Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 2
Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guido Bertolaso, sugli eventi alluvionali che hanno interessato l'intero territorio nazionale (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Alessandri Angelo, Presidente ... 2 10 16
Armosino Maria Teresa (PdL) ... 13
Bertolaso Guido, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ... 2 13 16
Bratti Alessandro (PD) ... 10
Foti Tommaso (PdL) ... 15
Garofalo Vincenzo (PdL) ... 11
Ghiglia Agostino (PdL) ... 11
Ginoble Tommaso (PD) ... 16
Mariani Raffaella (PD) ... 14
Stradella Franco (PdL) ... 12 13
Togni Renato Walter (LNP) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 8,40.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Guido Bertolaso, sugli eventi alluvionali che hanno interessato l'intero territorio nazionale.
Do la parola al Sottosegretario Bertolaso, che ringrazio per la sua presenza.
GUIDO BERTOLASO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, signor presidente. Ho con me una cospicua documentazione che riguarda tutto quello che è successo in questa situazione di emergenza, che noi dividiamo in due momenti diversi. Un primo momento è quello complessivo, che dal 22 ottobre arriva fino a oggi. In questo periodo le criticità hanno interessato di fatto tutto il Paese: non c'è stata regione italiana che dal 22 ottobre ad oggi non sia stata interessata da un qualche fenomeno atmosferico anche particolarmente serio. Il secondo momento, più nel dettaglio, è quello relativo alla vicenda che ha riguardato in particolare il Lazio e la città di Roma, connessa alla piena del Tevere, che è stata sicuramente una delle piene più importanti degli ultimi cento anni.
Ho anche predisposto - la lascerò agli atti - una descrizione di tutto quello che è stato realizzato dal sistema nazionale di protezione civile, come sintesi di tutto quello che è accaduto in questo autunno, che sicuramente, da un punto di vista meteorologico, possiamo considerare l'autunno peggiore che si sia verificato a memoria d'uomo. Sono i fatti a confermarlo, non certo le mie affermazioni verbali, e questi fatti potrete tranquillamente riscontrarli in questa documentazione.
Vorrei ripercorrere con estrema sintesi le tappe e le criticità più importanti, concentrandomi su quest'ultimo periodo. Fra l'altro, anche nel corso di precedenti audizioni in Commissione, sia alla Camera che al Senato, come pure in occasione di informative in Assemblea , ho potuto descrivere alcuni episodi. Il primo, ossia quello che noi consideriamo l'episodio di partenza di questo critico autunno, è quello di Capoterra in provincia di Cagliari, dove il 22 ottobre hanno perso la vita - come è noto - cinque persone. Nell'occasione, una grande parte della provincia di Cagliari fu devastata da un temporale violentissimo. Peraltro, nel mese di novembre più volte si sono ripetuti temporali analoghi in Sardegna, sebbene, fortunatamente, abbiano interessato zone diverse rispetto a quella di Capoterra, altrimenti la situazione sarebbe stata ancora più difficile e critica.
Le statistiche - quelle più dolorose, che vengono citate il giorno dopo l'evento, ma poi vengono dimenticate - parlano di diciotto vittime dal 22 ottobre ad oggi. A quelle che ho già citato relative all'episodio di Capoterra, se ne sono - ahimé - aggiunte altre nell'ambito delle diverse situazioni che si sono verificate.
Sicuramente tutti ricordiamo il bambino che perse la vita a Roma, a novembre, durante un nubifragio, quando fu colpito in pieno e ucciso sul colpo da uno dei tanti alberi che crollò in quell'occasione.
Ci sono state molte altre vittime, persone sorprese dal maltempo mentre cercavano di mettere in sicurezza gli animali, o di togliere la neve dai tetti, oppure di attraversare un sottopassaggio (penso alla povera signora che ha perso la vita a Monterotondo, in occasione dell'ultimo nubifragio che ha colpito la zona di Roma).
Certamente quello che ho citato è un numero importante - diciotto - ma se volessimo richiamare situazioni che hanno colpito il nostro Paese nel corso dei decenni passati, oppure se volessimo traslare questa drammatica esperienza di cinquanta giorni estremamente negativi in altri momenti della nostra storia (secondo me, anche fino alla fine degli anni '90), registreremmo numeri sicuramente molto superiori.
In effetti, al di là dei problemi del nostro territorio, i dissesti sui quali ogni giorno ragionate e dei quali spesso anche parliamo, dobbiamo dire che il sistema di previsione, che nel corso degli anni è cresciuto, e soprattutto il sistema di organizzazione dei soccorsi hanno consentito di limitare al massimo i danni per le persone e per le cose. Devo dire che anche il sistema di prevenzione è cresciuto, ma tutti sappiamo che siamo lontanissimi dal raggiungimento di condizioni ottimali per il nostro Paese.
La documentazione che allego è un vero e proprio bollettino di guerra, anche per quanto riguarda gli ultimi giorni. Il Centro funzionale centrale della Protezione civile è la struttura di monitoraggio, quella che osserva, controlla, valuta e verifica gli andamenti delle condizioni meteorologiche, ma non solo quelli, nei diversi momenti dell'anno, per organizzare di conseguenza i sistemi di allerta e di allarme che sono stati definiti anche in collaborazione con le autorità regionali. Ne avevo già parlato, ma invito la Commissione a visitare questo Centro, altrimenti è difficile averne un'idea. Recentemente, durante la vicenda che ha riguardato Roma, una delegazione del partito democratico si è recata a visitarlo e devo dire che i giudizi che sono stati espressi da quella rappresentanza politica sono stati estremamente lusinghieri.
Ricordo, inoltre, le visite del Presidente della Repubblica, dei due Presidenti del Consiglio che si sono succeduti quest'anno, di vari ministri e sottosegretari e, da ultimo, del sindaco di Roma e del presidente della regione Lazio (questi ultimi per partecipare ad alcune riunioni dedicate all'emergenza Tevere), che hanno consentito a queste autorità di prendere diretta visione del Centro e, quindi, di capirne meglio il sistema di funzionamento.
In poche parole, in questa struttura abbiamo una rete di radar meteorologici voluta dal Parlamento dopo la famosa emergenza di Soverato di dieci anni or sono - l'emergenza che colpì la Calabria - e una rete di registrazione di tutti i pluviometri e degli altri strumenti che ci permettono di mettere il più possibile sotto controllo il territorio. Questo ci consente di conoscere le previsioni meteorologiche, che sono frutto di un lavoro di sintesi fra il servizio meteorologico dell'Aeronautica, le strutture di previsione meteorologica regionale e le strutture meteorologiche che abbiamo messo in piedi come dipartimento. In questo Centro avviene, appunto, un momento di sintesi di tutte le diverse previsioni meteo, che consente di emettere un bollettino condiviso da parte di tutti.
Sappiamo bene che nel campo della meteorologia - come, del resto, nel campo della medicina, dove dieci medici fanno dieci diagnosi diverse - è estremamente difficile trovare previsioni concordi. Quello che noi emaniamo ogni giorno, invece, è un bollettino istituzionale, firmato da tutte le componenti che in Italia, a livello istituzionale, si occupano di previsioni meteo.
Altro discorso è quello relativo a quei centri privati - ad esempio Epson e altri, che tutti conosciamo - che, a pagamento, forniscono le loro previsioni meteorologiche. Non intendo far polemica, ma solo chiarire che le previsioni meteo che vengono diffuse dalla Protezione civile nazionale rappresentano la sintesi di tutto quello che, in questo ambito, a livello istituzionale si produce in Italia.
Credo che questo sia un buon risultato, se pensiamo che fino a qualche anno fa ognuno andava per la sua strada e diceva la propria. Il servizio meteorologico dell'aeronautica, ad esempio, che è sempre stata la struttura istituzionalmente responsabile, nasce per produrre le previsioni meteorologiche per i piloti; ancora oggi, dunque, le previsioni meteo dell'aeronautica militare sono finalizzate a situazioni che possono riguardare l'atmosfera, ma non si occupano degli effetti al suolo di precipitazioni intense: nevicate, mareggiate, tempeste di vento e quant'altro.
A livello regionale, invece, i servizi meteo si occupano, insieme al dipartimento della Protezione civile, soprattutto delle conseguenze al suolo di questi fenomeni meteorologici. Poco ci importa, infatti, di sapere se da mille fino a diecimila metri di altezza ci sono cumuli nembi che provocheranno piogge violentissime; semmai ci interessa sapere cosa cadrà da queste nubi, quanti millimetri di pioggia cadranno, quanti centimetri di neve, che tipo di vento arriverà, dove colpirà. Sulla base di queste proiezioni di possibili effetti al suolo, noi elaboriamo quei bollettini di criticità, idrogeologica soprattutto, e conseguentemente, quando abbiamo la conferma che le nostre preoccupazioni si stanno avverando, di possibile allarme per il territorio delle aree che possono essere colpite.
Si tratta, quindi, di un lavoro di previsione che oggi, a mio modesto avviso, non è secondo a nessuna realtà internazionale, anche di Paesi molto più moderni da questo punto di vista, con i quali oggi siamo in grado di competere.
Non abbiamo ancora sviluppato - questo è un problema di carattere tecnologico sul quale si sta lavorando - capacità che ci possono consentire di prevedere, addirittura nell'arco di cinquanta chilometri quadrati, le reali situazioni. Non siamo, cioè, in grado di prevedere se 250 millimetri di pioggia cadranno su Roma piuttosto che su Monterotondo, oppure su Torino piuttosto che su Cuneo o su Pinerolo. Questa è la difficoltà che in certe situazioni scatena critiche o polemiche, di cui a volte leggiamo. Lo ripeto, noi oggi siamo in grado di conoscere, in un ambito al massimo provinciale, le possibili situazioni, ma purtroppo non siamo in grado di avere una definizione nel minimo dettaglio, così da poter mettere in allerta un comune del nord di una determinata provincia piuttosto che un comune del sud di quella stessa provincia.
Questa è la difficoltà che in certi casi può ingenerare equivoci, contraddizioni, polemiche. Quando emettiamo i bollettini di allerta meteorologica, sappiamo che è un'informazione che raggiunge tutti i livelli istituzionali: vigili del fuoco, forze dell'ordine, forze armate e tutte le società che erogano servizi (Società autostrade, AISCAT, ANAS, società di telefonia mobile, società che erogano energia elettrica, società che si occupano delle linee ferroviarie, delle linee aeree e via elencando). Si arriva così fino al più piccolo comune che fa parte dell'area interessata, al cui sindaco arriva il nostro bollettino, prima di criticità e poi, eventualmente, di allerta meteorologica.
Sulla base delle varie direttive che abbiamo elaborato in questi anni, anche il sindaco del comune più piccolo, se riceve un bollettino di allerta meteorologica, deve organizzare le strutture delle quali può disporre. Anche i tre vigili urbani che dovessero essere disponibili nel comune hanno il dovere di organizzarsi in modo che la viabilità e tutti gli impianti e le situazioni a rischio del comune siano messi sotto controllo. Questo perché, è bene anche ricordarlo, sulla base della legge n. 225 del 1992, ogni comune italiano - sono oltre 8300 - avrebbe dovuto dotarsi del piano comunale di emergenza, che contiene tutte le misure che i diversi
comuni debbono mettere in piedi per fronteggiare i possibili rischi di fronte ai quali potrebbero trovarsi.
È evidente che, sulla base delle realtà geografiche del nostro territorio, il comune in provincia di Asti o in provincia di Cuneo dovrà organizzare i propri piani comunali relativamente al rischio maltempo, rischio pioggia, rischio neve, rischio esondazione, e via elencando. Non si chiede ai comuni del Piemonte di organizzare piani comunali di emergenza per il rischio vulcanico. Ovviamente, però, in Campania e in Sicilia si chiede ai comuni di occuparsi anche delle categorie di rischio più frequenti relativamente a quei territori.
Come dicevo, consegnerò una relazione robusta - diciotto pagine - che auspico vivamente che possa essere esaminata dagli onorevoli deputati. Si tratta di una relazione molto tecnica, ma anche molto chiara ed esaustiva di tutte le sequenze temporali che abbiamo dovuto affrontare. La relazione, dal punto di vista tecnico, si riferisce agli eventi che hanno riguardato tutta l'Italia dal 22 ottobre al 2 dicembre (quanto è piovuto, quanto è nevicato, eccetera), ma la parte che consegno contiene anche una descrizione dettagliata di tutto ciò che è accaduto in Italia dal 9 dicembre ad oggi. Infine, credo che sia interessante leggere il rapporto sull'evento di piena del Tevere che, come sappiamo, ha interessato il Lazio fra il 10 e il 13 dicembre.
Come dicevo, si tratta di un bollettino di guerra. Anche io, riguardando la documentazione ieri sera e questa mattina, sono rimasto particolarmente colpito dalle varie situazioni che si sono verificate. Solo in questi ultimi giorni abbiamo avuto problemi di esondazione di diversi fiumi e nel Lazio, ad esempio, anche il viterbese è stato colpito da questi fenomeni. Abbiamo avuto nevicate che fra il 9 e il 10 dicembre hanno interessato inizialmente la Liguria e il Piemonte; in certe zone della provincia di Cuneo sono stati registrati anche 2-3 metri di neve, ma - non so se i parlamentari della zona mi smentiranno -, da un punto di vista della viabilità, non vi sono state quelle situazioni di blocco completo che conosciamo (ovviamente soprattutto a livello delle grandi arterie, a livello autostradale).
Le precipitazioni nevose hanno colpito anche la Lombardia, particolarmente la zona di Bergamo e Brescia, poi anche Trento e Bolzano; a Belluno abbiamo avuto 170 centimetri di neve nell'arco di due giorni. Tutte le isole minori sono rimaste praticamente isolate; le Pontine, le isole del Golfo di Napoli, le Egadi; Lampedusa, Linosa e Pantelleria sono state isolate per nove giorni consecutivi a causa del maltempo. In Calabria, nella provincia di Reggio Calabria, in tre giorni si sono registrati mediamente 200 millimetri di pioggia; in provincia di Catanzaro 180 millimetri di pioggia; a Taverna, in provincia di Cosenza, sono caduti nei tre giorni 400 millimetri di pioggia. Devo dire che, anche in questo caso, rispetto alle esperienze degli anni passati, con questi numeri ci saremmo aspettati delle situazioni catastrofiche che fortunatamente - anche per le ragioni che ho detto - non ci sono state. Abbiamo avuto smottamenti, frane, interruzioni di strade statali anche importanti. In
Calabria c'è stata una vittima. Tuttavia, rispetto a quello che è accaduto, il bilancio è comunque positivo. Il fiume Crati, esondando, ha interessato i comuni di Cassano allo Ionio e Corigliano Calabro; è esondato anche il fiume Petracci, provocando la mancanza di acqua potabile a 40 mila persone.
In Sicilia, nella provincia di Messina, sono caduti 370 millimetri di pioggia nell'arco di 48 ore nel comune di Castroreale, creando frane e smottamenti e costringendo all'isolamento 1500 persone nello stesso comune. La rete ferroviaria, ovviamente, è stata molto colpita, oltre a quella viaria. C'è stata l'interruzione dell'asse Nord-Sud; la linea ferroviaria Salerno-Reggio è rimasta bloccata a causa di una frana fra Ascea e Pisciotta, costringendo quattro treni a rimanere fermi, con i disagi conseguenti. Tuttavia, non avete letto da nessuna parte che l'Italia è stata divisa a metà, perché anche in questo caso l'intervento è stato di fatto immediato, sebbene il tutto accadesse durante la
notte. Prima con un bypass di pullman e poi con un intervento di Trenitalia sulla ferrovia, nell'arco di dodici ore la viabilità è stata completamente ristabilita.
A questo bollettino di carattere generale, si aggiunge quello che riguarda il Lazio, in particolare il Tevere. Abbiamo seguito tutta la vicenda dal primo minuto. Vi ho già detto del Fiora, del Marta, del Mignone, fiumi del viterbese che hanno creato non pochi problemi, ma che sono stati fortunatamente sempre tenuti sotto controllo. Vi ho raccontato rapidamente anche quali sono stati i disagi in senso complessivo. Per quello che riguarda il cronoprogramma degli interventi, troverete una scaletta dalla quale si evince che siamo entrati in stato di preallarme dal 10 dicembre e che alle ore 15,00 dell'11 dicembre si è riunito il comitato operativo nazionale della Protezione civile per cominciare a seguire e a gestire il possibile rischio del Tevere.
Segnalo, anche in questo caso, che si è trattato di un lavoro comune, condiviso. All'apertura del comitato operativo erano presenti il presidente della regione Lazio e il sindaco di Roma, mentre il presidente della provincia di Roma è sempre stato in contatto con chi vi parla e, comunque, un suo rappresentante era presente nel comitato operativo.
Abbiamo registrato il livello dell'invaso della diga di Corbara - una diga che, come sapete, è stata costruita negli anni '60 e che è in grado di controllare la situazione a valle del Tevere - che rappresenta un po' il polmone e la valvola di sicurezza per Roma. Abbiamo controllato anche i livelli dei fiumi che sotto la diga di Corbara affluiscono nel Tevere, non solo l'Aniene, ma anche il Paglia e il Nera, che sono in grado di apportare anche volumi d'acqua abbastanza importanti e, quindi, di far scardinare l'impianto di regolazione che riusciamo a far funzionare con la diga di Corbara.
Già la sera dell'11 dicembre l'idrometro di Ripetta, nel centro di Roma, ci dava un livello di circa 11,5 metri rispetto alla soglia idrometrica, quindi sapevamo di aver già abbondantemente superato, in quel momento, l'ultima piena, quella del dicembre del 2005, che, sebbene non avesse creato problemi in città, aveva determinato un po' di esondazione a monte e a valle, in particolare nella famosa zona del Passo della Sentinella, alla foce del Tevere. Qui - anche questo luogo meriterebbe un sopralluogo - dentro l'argine del fiume, proprio davanti alle onde del mar Tirreno, è stato costruito un insediamento abusivo, da trent'anni a questa parte, nel quale vivono circa tremila persone. Direi che questo è l'esempio più calzante dell'abusivismo che è stato perpetrato in questo Paese, un abusivismo che non si è riusciti ad eliminare.
Addirittura, in una trasmissione televisiva sull'emergenza del Tevere - non so se qualcuno di voi questa notte l'ha vista - sono stati intervistati gli abitanti del Passo della Sentinella e tutti chiedevano chi avrebbe ripagato loro i danni!. Mi sembra giusto! Visto che queste persone vivono all'interno dell'argine, sulla foce del fiume, quindi sono soggetti non solo alle possibili esondazioni del fiume, ma anche alle mareggiate! Da un lato arrivano loro le onde del Tirreno, dall'altro il fiume risale. Spesso il combinato disposto di un vento che soffia da sud-ovest e di fiume in piena impedisce al fiume di defluire e i primi a pagarne le conseguenze sono gli abitanti del Passo della Sentinella.
Specifico che Passo della Sentinella è nel comune di Fiumicino e che in quel caso si litiga, perché il terreno è di proprietà della regione e, quindi, il comune di Fiumicino sostiene di non poter fare nulla perché gli abusivi sono su un terreno di proprietà della regione e quest'ultima chiama in causa la responsabilità del comune di Fiumicino. E questo, badate, non succede mica da oggi, ma da trent'anni! Per l'Idroscalo - in questo caso il discorso riguarda il comune di Roma - si verifica esattamente la stessa situazione. Sempre sulla foce del fiume, infatti, si guardano gli abitanti del Passo della Sentinella e dell'Idroscalo. Anche gli abitanti dell'Idroscalo subiscono il rischio dell'esondazione e il rischio delle mareggiate, tant'è vero
che hanno disposto dei massi paraflutti che vengono tranquillamente superati dalle onde del Tirreno.
Sto anche un po' divagando, ma queste sono le situazioni nelle quali ci troviamo. Sapete bene, naturalmente, che non è il Tevere l'unico esempio di questo genere di problematiche. Non voglio pensare a quello che potrebbe accadere se dovesse esondare il Volturno, che ha piene cinquantennali e, tuttavia, non esonda da ottant'anni. Ricordo che Castel Volturno è stato costruito in modo abusivo alla foce del Volturno. Oggi ci vivono, se non sbaglio, circa 25 mila persone. Abbiamo, sì, un piano di evacuazione, ma non so se riusciremo mai ad attuarlo nel caso dovesse verificarsi una reale situazione di crisi.
Tornando al Tevere, temendo che si potesse raggiungere il livello di quattordici metri, che è il livello critico per possibili esondazioni, ma soprattutto per possibile rigurgito del Tevere all'altezza di Ponte Milvio, dove il sistema fognario non è così mappato e studiato nel dettaglio, siamo stati costretti a impostare tutte le attività e le procedure previste dalla legge. Pertanto, il Presidente del Consiglio, ai sensi dell'articolo 3 di un decreto-legge che venne approvato dopo la tragedia di San Giuliano di Puglia, sentito il presidente della regione Lazio, ha firmato una dichiarazione di stato d'emergenza che affidava al Capo del dipartimento della Protezione civile la responsabilità di gestire tutta la situazione di possibile emergenza.
Abbiamo attivato, quindi, dei presìdi nella città di Roma, insieme a tutte le realtà che poi rapidamente vi descriverò, che hanno consentito di mettere sotto controllo le zone più a rischio e di organizzare anche gli interventi di carattere sanitario (il Fatebenefratelli, nell'isola Tiberina, era uno degli ospedali a rischio, così come il Cavalieri di Malta alla Magliana, oltre alle zone di Fiumicino di cui già vi ho detto).
Abbiamo studiato tutti i presìdi per limitare la viabilità nelle zone di Roma che potevano essere interessate dal rigurgito fognario. Abbiamo lavorato con i commercianti, con i presidi delle scuole; abbiamo fatto attività di informazione; abbiamo organizzato l'arrivo di materiali e mezzi da parte del comando operativo interforze della difesa, i vigili del fuoco, squadre speleologiche, alpinistiche, fluviali, i volontari e tutte le varie organizzazioni.
Abbiamo, a titolo preventivo, evacuato da due campi-rom che si trovano anch'essi dentro gli argini del Tevere, ma a monte di Ponte Milvio - quindi anch'essi abbastanza a rischio -, 400 rom che il comune di Roma ha opportunamente trasferito nei locali della vecchia Fiera di Roma. Si è poi detto che a Roma sono state evacuate mille persone, ma in realtà sono stati evacuati 400 rom, a titolo preventivo, per evitare che anche questa povera gente potesse ritrovarsi con i piedi nell'acqua.
Credo che abbiamo gestito la situazione nel modo migliore, mentre il Tevere continuava a salire. A Orte Scalo era arrivato a 7,37 metri e, siccome è noto che dopo venti ore dal livello massimo di Orte Scalo, si segna il colmo di piena alla stazione di Ripetta, nell'arco della giornata e della serata abbiamo avuto livelli progressivi di crescita del Tevere, fino a quattro metri sopra il livello delle banchine alle 22,30 dell'11 dicembre. Il livello è cresciuto ancora fino a quando, il 12 dicembre, Corbara era piena, non poteva più trattenere neppure un goccio d'acqua, quindi tutto quello che entrava nell'invaso usciva e avevamo raggiunto anche un rilascio superiore ai mille metri cubi al secondo. Ovviamente, il livello del Tevere è aumentato ancora, superando alle 15,45 i dodici metri, creando problemi anche all'Aniene, che non riusciva a scaricare nel Tevere, ormai troppo pieno. Ci sono stati, dunque, problemi di allagamento nella zona di Ponte
Mammolo e del Tiburtino, dove diversi stabilimenti industriali si sono trovati sott'acqua. Il colmo di piena si è registrato all'1,30 del 13 dicembre, con un livello di 12,55 metri sullo zero idrometrico. A questo punto è stata registrata la piena di fatto più elevata da quando, negli anni '60, è stata costruita la diga di Corbara.
La nostra preoccupazione era legata al rischio di occlusione delle luci dei ponti
sia per l'innalzamento del fiume, sia per l'impressionante mole di detriti che sono stati portati a valle da questa piena. Ho visto oggetti che non immaginavo neppure di vedere in un fiume: boiler grandi come metà di questa stanza, lavatrici, frigoriferi, tronchi d'albero che sembravano sequoie.
Ovviamente, abbiamo dovuto registrare il problema dei barconi, che ha rappresentato un pericolo serio - forse il più serio di tutti - in questa situazione, che pure era già abbastanza complicata. Peraltro, nonostante fosse stato dato ordine di rinforzare gli ormeggi con ventiquattr'ore d'anticipo e nonostante avessi chiesto personalmente ad una serie di realtà locali di verificare gli ormeggi, si sono staccati proprio i barconi immediatamente a monte di Ponte Sant'Angelo, ponte che, a differenza di Ponte Milvio, che è stato ricostruito più volte, è il ponte più antico della città e il più importante dal punto di vista culturale, dal momento che su di esso, come sapete, insistono dieci statue realizzate dal Bernini nel 1630.
Speravo o pensavo che fossero delle copie e che gli originali fossero gelosamente custoditi in qualche museo, ma ho scoperto in questa occasione che quelle statue sono originali. Ebbene, sotto queste dieci statue del Bernini, ci siamo ritrovati con un barcone incastrato nell'arcata del ponte e altri tre adagiati sulle altre due arcate. In realtà, questi barconi potevano anche non rappresentare un grossissimo rischio in sé, ma essi hanno fatto da rete, bloccando tutto quello che arrivava. Ci siamo ritrovati, dunque, degli iceberg che arrivavano fino al letto del fiume, che di fatto sembravano delle dighe come quelle costruite dai castori e avevano bloccato tre delle cinque luci di Ponte Sant'Angelo.
Insomma, il rischio era quello, dopo essere riusciti a gestire tutta questa piena, di ritrovarsi nel centro storico di Roma, durante la notte, con un'esondazione a Piazza San Pietro o a Piazza Navona, a causa di questi barconi, che rappresentavano un «tappo» per il fiume nel centro della città.
Siamo stati costretti a intervenire, ovviamente immaginando anche provvedimenti drastici. Quando nessuno riusciva a darmi delle risposte, ho chiamato gli incursori del COMSUBIN da La Spezia - famosi anche per una saggia, puntuale ed efficientissima gestione degli esplosivi - perché ci mettessero in condizione di far saltare il ponte o i barconi, qualora la situazione di rischio fosse diventata insostenibile.
Devo dire che, nell'arco di tre ore dalla chiamata, gli incursori del COMSUBIN erano sul Ponte Sant'Angelo e, insieme a loro, c'erano i SAF dei vigili del fuoco e tutte le altre realtà che avevamo chiamato per coordinare l'operazione. Fortunatamente non è stato necessario in una prima fase, durante quella notte, intervenire con gli esplosivi, ma con le gru, che hanno cominciato a raccogliere la legna e i detriti. Il tutto avveniva vicino alle statue del Bernini, quindi con un buon margine di preoccupazione: un elefante si stava muovendo in un museo.
Abbiamo portato via - è scritto nella relazione, adesso cito a memoria - cinquanta camion da quattro tonnellate ciascuno pieni di detriti che abbiamo raccolto dal fiume all'altezza di Ponte Sant'Angelo. Calcolate voi quanto abbiamo raccolto in totale solo in quel momento! Sulle manovre di «sgancio» dei barconi non aggiungo nulla, anche perché le avete viste in televisione. È stato un lavoro strepitoso, semplicemente strepitoso, portato avanti dalle forze armate e dai vigili del fuoco. Non ricordo di aver mai visto lavorare insieme, come se fossero un'unica squadra, vigili del fuoco, incursori della marina, allievi del Vespucci, nostromi della capitaneria di porto di Fiumicino, volontari di protezione civile, forze dell'ordine, vigili urbani. È stata un'azione incredibile di collaborazione e di lavoro comune e condiviso.
Prima di concludere questa mia probabilmente poco dettagliata relazione - dirò poi qualche parola sul Piemonte e sul problema delle valanghe - tengo molto a raccontarvi i numeri di questi coinvolgimenti del sistema nazionale. Il comune di Roma ha messo in campo 1.297 persone (servizio giardini, AMA, polizia municipale,
volontariato e via dicendo) con 233 mezzi (hanno partecipato l'Italgas e tanti altri); la regione Lazio ha messo in campo 1.300 volontari che hanno usato idrovore, motopompe, ambulanze, i mezzi per movimento terra e tre cucine da campo (abbiamo lavorato 72 ore ininterrottamente a Castel Sant'Angelo, quindi era necessario anche dare da mangiare a coloro che lavoravano); la provincia di Roma ha impiegato venti pattuglie per il controllo della viabilità; il corpo nazionale dei vigili del fuoco ha effettuato oltre 1.600 interventi di soccorso tecnico, ha schierato 600 uomini - soprattutto con le squadre di SAF e coinvolgendo le direzioni regionali di Liguria, Toscana, Umbria, Marche - utilizzando cinque elicotteri e sette anfibi.
Quanto alle forze di polizia, la polizia di Stato ha impiegato 3.622 uomini, 855 mezzi e cinque elicotteri (questo numero va riferito su scala nazionale, anche per le vicende del maltempo e del vento forte a Lampedusa); l'arma dei carabinieri ha impiegato 3.849 uomini, 1.328 mezzi, un elicottero; la guardia di finanza 147 uomini e 50 automezzi; il corpo forestale dello Stato 222 unità di personale, 126 mezzi e sette elicotteri. Per quanto riguarda le forze armate, l'esercito e la marina - coordinati dal comando operativo interforze - hanno impiegato 115 uomini e 55 mezzi: può sembrare un numero ridotto, ma sono gli uomini del COMSUBIN che hanno lavorato su Ponte Sant'Angelo. Le capitanerie di porto sono intervenute con 246 uomini e hanno usato 13 mezzi navali nelle varie situazioni, anche nel caso delle isole prive di collegamenti. L'ANAS ha impiegato 106 uomini e 33 mezzi; Autostrade per l'Italia ha impiegato 671 uomini, operai per la manutenzione, operatori
radioinformativi, operatori per il monitoraggio degli impianti, e 150 mezzi comprensivi anche delle pale gommate e di furgoni attrezzati; l'ENEL ha utilizzato 54 unità di personale per il monitoraggio delle centrali idroelettriche e infrastrutture; TERNA 21 uomini e 12 mezzi. Il gestore dell'energia elettrica ha seguito tutte le varie situazioni; Isoradio ha garantito coperture di ventiquattr'ore, e non solamente durante il giorno, con 18 unità di personale; il CIS ha impiegato 26 unità.
Complessivamente gli uomini e le donne delle strutture operative, degli enti e delle amministrazioni facenti parte del Sistema nazionale di Protezione civile che sono scesi in campo per fronteggiare l'emergenza del 10-13 dicembre sono stati 12.500 e i mezzi impiegati oltre 3.200. Credo che questi numeri meritino la massima attenzione.
Una volta esaurita questa vicenda, abbiamo cominciato a registrare una situazione molto critica nelle aree alpine e prealpine, soprattutto del Piemonte e della Valle d'Aosta, a partire dal 14 dicembre, dove abbiamo avuto nevicate che in certe zone hanno superato abbondantemente i due metri. Credo che tutti i parlamentari piemontesi sappiano che quello che è caduto sul Piemonte e sulla Valle d'Aosta è esattamente lo stesso quantitativo di H2O (fortunatamente non è stata acqua, ma neve!) che cadde nel 1994. La differenza, rispetto al 1994, si chiama zero termico: fortunatamente quest'anno lo zero termico era a una quota altimetrica molto bassa, quindi è nevicato. Se tutta quella neve fosse stata acqua, non so quali sarebbero state le conseguenze per il Po e per tutti i suoi affluenti. Del resto, l'abbiamo visto per il Tanaro e il Bormida che, avendo risentito meno della neve e dello zero termico, hanno cominciato a preoccuparci assai. Questa
è una delle conferme di questa situazione assolutamente particolare e originale.
Anche in questo caso, nella relazione è tutto descritto nel dettaglio, compreso il problema dell'altissimo rischio valanghe, ancora forte per tutto il Piemonte e la Valle d'Aosta. È ovvio che le province più interessate da questo rischio sono quelle di Cuneo, Torino, le aree del vercellese e del Verbano. Nell'incontro che abbiamo svolto a Torino l'altro giorno alla presenza della presidente della regione, dei presidenti delle province, dei prefetti, dell'ARPA Piemonte e di tutti gli addetti ai lavori e i tecnici, tutti hanno espresso all'unanimità
la loro serissima preoccupazione che ci potessero essere altissimi rischi per le persone. Oltre il problema di paesi ancora isolati, di utenze di energia elettrica che ancora non erano state garantite, ci si poneva l'altro ieri il problema di che cosa fare, considerando che stava arrivando il bel tempo e che, quindi, tutti sarebbero partiti verso le stazioni sciistiche.Tuttavia, considerando la condizione del manto nevoso, i tecnici, anche nel corso di quella riunione, hanno più volte ribadito il rischio che vi fossero anche valanghe delle quali non si aveva memoria, essendo questo un fenomeno che, sempre a detta dei tecnici, non si registrava da parecchio tempo. Tutti, dunque, avevano suggerito l'opportunità di tenere chiuse le strade a rischio, le scuole e gli stessi impianti sciistici, anche per il fine settimana, se le condizioni meteo che prevedevano ancora phoen nel versante italiano delle Alpi fossero rimaste inalterate.
A quel punto, siccome nessuno intendeva assumersi la responsabilità di adottare questi provvedimenti, certamente non molto popolari, e poiché vi ho detto che il sottoscritto, ai sensi del provvedimento del Presidente del Consiglio che ho citato, già da venerdì scorso era responsabile dell'emergenza maltempo, ho ritenuto opportuno adottare io questo provvedimento, affidando però alla commissione tecnica valanghe della regione Piemonte, in cui sono compresi i rappresentanti per il rischio valanghe delle diverse comunità montane, il compito di redigere una sorta di documento di dettaglio, che individuasse le strade che dovevano essere chiuse, quelle che potevano essere aperte solo per i mezzi d'emergenza, quelle che potevano essere aperte anche al traffico locale, effettuando quindi una mappatura delle condizioni maggiormente a rischio. Questo documento è stato predisposto nella giornata di ieri ed è stato trasmesso a
tutti i sindaci, le province e i prefetti, affinché lo rendessero operativo.
Questa è la situazione per sommi capi. Sono pronto a dare tutte le ulteriori informazioni e i dettagli su questo argomento, fermo restando che, come sapete, ieri il Governo ha formalmente dichiarato lo stato d'emergenza a livello nazionale ai sensi della legge n. 225 del 1992, per cui sono ben lieto di dichiarare che il non facililissimo onere di dover gestire da solo tutta la vicenda nel Paese e quindi la responsabilità di fungere oggi da Commissari di Governo , ai sensi di questa dichiarazione nazionale, d'intesa con i vari presidenti delle regioni, vengono trasferiti alle varie regioni che, nel corso degli ultimi giorni, hanno chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza. Adesso bisogna fare l'ordinanza e nominarli, quindi per il momento continuo a tenere io in mano il cerino, in attesa che questa materia venga affidata alle realtà locali, così come dovrebbe essere. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, Sottosegretario Bertolaso.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSANDRO BRATTI. Desidero innanzitutto ringraziare il sottosegretario per la puntualità e la ricchezza delle informazioni fornite. Vorrei soffermarmi in particolare su una questione. Lei giustamente ha fatto riferimento all'importanza delle reti idropluviometriche e del centro di competenza nazionale, che fa da raccordo tra tutti i centri di competenza regionale. Lo scorso 15 ottobre, lei, giustamente, aveva inviato a tutti questi centri di competenza non solo regionali una lettera abbastanza preoccupata, comunicando il taglio di 78 milioni di euro sul bilancio della protezione civile. Tra questi, una parte rilevante dei tagli era rappresentata dai fondi per le manutenzioni di queste reti radar idropluviometriche, per le quali la parte restante viene investita dalle regioni.
Per quanto riguarda la regione Emilia-Romagna, ma credo anche per la regione Piemonte e per le altre regioni, se non verranno ripristinati questi fondi, la manutenzione di queste reti non verrà adeguatamente effettuata, rischiando di creare problemi in questa rete che lei
giustamente considera - come la mia esperienza conferma - una delle più importanti dal punto di vista della prevenzione di fenomeni del genere. Poiché si è aperta la discussione sulla legge finanziaria, se questi 78 milioni di euro non saranno ripristinati, ci saranno serissimi problemi per poter mantenere una rete così importante, efficiente ed efficace, come quella che lei ci ha descritto. Vorrei chiederle quindi se rispetto ad ottobre siano subentrate novità e questi enti possano essere tranquilli rispetto al prossimo bilancio e al prossimo lavoro o se questa preoccupazione permanga e richieda provvedimenti necessari.
Purtroppo, infatti, in questo Paese ci si accorge delle cose che funzionano solo quando si verificano dei disastri, mentre quando non succede niente sembra che sia stato per caso; al contrario ,spesso, non si giunge a determinate situazioni perché una serie di strumenti e di accorgimenti tecnici hanno funzionato e funzionano tutti i giorni. Questi bollettini sono fondamentali a livello regionale e nazionale. Vorrei quindi sollevare questa problematica e chiederle se, rispetto a ottobre, la situazione relativa a questi finanziamenti sia cambiata.
AGOSTINO GHIGLIA. Ringrazio il sottosegretario per avere immediatamente riferito in Commissione sullo stato dell'arte. Mi rendo conto che la situazione è tanto complessa quanto è lunga l'Italia, ma dobbiamo cercare di formulare risposte a livello locale e, soprattutto, avere le idee chiare. Mi riferisco soprattutto alla situazione piemontese. Dalla lettura dei giornali di oggi emerge come nella provincia di Torino domini il caos, perché il presidente della provincia afferma di essere stato abbandonato, i sindaci dei comuni sono in rivolta per l'indicazione di tenere chiusi gli impianti turistici invernali e le strade, perché temono una pesante ricaduta sul turismo. Poiché le settimane turistiche natalizie per la montagna sono comprese da sabato a sabato, ciò può coinvolgere migliaia di turisti che vengono deviati o bloccati in città. Per la provincia
di Torino si tratta dunque di una situazione estremamente seria per la ricaduta economica: un fatto senza precedenti.
Per quanto riguarda le responsabilità, il sottosegretario oggi è Alto commissario per l'emergenza, laddove sia stato dichiarato lo stato di emergenza, ma vorrei sapere se le regioni abbiano già la potestà di intervenire direttamente o se i sindaci debbano fare le ordinanze; vorrei sapere di chi sarebbe la responsabilità, se la mancanza dell'ordinanza di un sindaco contravvenisse alle linee guida stabilite dal sottosegretario e/o commissario all'emergenza, giacché non so se spetti alla provincia prendere una decisione finale sulla chiusura delle strade provinciali. Ad esempio, le tre strade che arrivano a Sestrière, Cesana e Sansicario sono tutte chiuse. Poiché possono passarci i residenti, alcuni si chiedono perché non possano passarci anche i turisti, visto che la vita di un residente e quella di un turista hanno lo stesso valore. In queste situazioni, purtroppo, la demagogia e la speculazione balzano in
primo piano, però vorrei solo chiedere al sottosegretario se il rischio di valanghe sia talmente importante da vietare ogni via d'accesso all'alta Val di Susa, stante il progredire delle condizioni meteo, o si possa creare un passaggio attraverso cui consentire, se non di raggiungere la normalità, laddove il rischio è alto, almeno di evitare le più gravi ricadute economiche.
Non ho alcun timore a sostenere la posizione del sottosegretario del Governo, anche se impopolare nella mia provincia, ma, se taluni spiragli potessero evitare gravi ricadute economiche e territoriali, dovrebbero essere perseguite. Vorrei sapere chi debba assumersi questa responsabilità. Grazie.
VINCENZO GAROFALO. Esprimo il mio apprezzamento per la relazione attenta e puntuale e per la tempestiva presenza del Sottosegretario Bertolaso, che ha ancora una volta dimostrato come il nostro Paese in alcuni settori abbia compiuto grandi passi avanti e si dimostri capace di intervenire su situazioni imprevedibili con efficacia e tempestività.
Credo si possano distinguere tre fasi dell'emergenza: «il prima», ovvero la fase antecedente, riguardo la quale il sottosegretario ha delineato la grande rete presente ormai in tutto il territorio nazionale; «il durante», ossia la capacità di mettere in rete e a sistema tutti gli interventi, sia istituzionali - quindi dello Stato- -, sia di volontari, con grande efficacia e tempestività; e poi il «dopo», sul quale ritengo sia opportuno riflettere per ricercare il modo migliore per intervenire.
Non mi soffermo sulla situazione specifica della Sicilia, anche se è noto che nel territorio dal quale provengo - la provincia di Messina - sono quaranta i comuni interessati, oltre alle isole minori. Del resto, il sottosegretario conosce la nostra provincia, così come la questione Stromboli; si tratta di una realtà nella quale si è toccata con mano la grande capacità dello Stato di essere presente.
Ora, però proprio sul «dopo», la gente si aspetta probabilmente un passo avanti e non solo il momento di sostegno, pure necessario, che consideri i danni economici di numerose attività, soprattutto piccole, che intravedono un periodo veramente difficile. Ho visitato quei luoghi; , sulla situazione di Castroreale è stato mostrato un filmato, dal quale risultava che alcune aree non sono ancora accessibili. Ma, detto questo e considerato il lavoro svolto dalla Protezione civile e le cause dei fenomeni, illustrati nella sua relazione, ora occorre intervenire sul «dopo» con un provvedimento che riguardi tutta l'Italia, per evitare una discussione tra Governo ed ogni singola regione e provincia.
Si dovrebbe quindi adottare, d'intesa con tutte le regioni, un provvedimento che tenga conto di quanto verificatosi in questo periodo - dal 22 ottobre ad oggi -, collegando gli interventi necessari per evitare che si ripeta in futuro ciò che poteva essere evitato, quali le ostruzioni degli alvei dei torrenti e le altre problematiche che i sindaci conoscono bene e più di tutti.
Per questo, io credo che i sindaci devono quindi essere parte integrante di questa rete; è vero che i loro mandati cambiano e si susseguono nel tempo, ma i comuni sono un terminale cui ormai il cittadino è abituato a rivolgersi e devono essere posti nelle condizioni di far rispettare le norme riguardanti il rispetto della natura e l'ambiente.
Richiamo dunque l'attenzione del sottosegretario, proprio per l'esperienza del suo dipartimento, sulla fase del «dopo», nella quale occorre valutare le risorse necessarie e come impiegarle, considerando anche gli effetti sul patto di stabilità interno che, per i comuni sono non poco problematici, e considerando anche le eventuali premialità per chi ha effettuato gli investimenti necessari per evitare il reiterarsi di simili situazioni e le penalità per chi invece non li ha fatti, oltre alle modalità con cui sostenere coloro che hanno subìto danni.
FRANCO STRADELLA. Desidero ringraziare il sottosegretario per l'ampia relazione sugli eventi e per l'opera che ha prestato, insieme a tutti i soggetti citati nella relazione, per evitare conseguenze più gravi.
Nella relazione sono stati citati molti soggetti che sono intervenuti e che hanno avuto quota parte del merito del buon esito dell'impresa, ma non ho sentito parlare delle autorità di bacino. Io sono convinto che molti disagi e inconvenienti che accadono sul territorio, al di là dell'eccezionalità dell'evento che talvolta non consente di porre rimedio a eventuali disastri, siano dovuti all'incuria e alla scarsa manutenzione, intanto dei corsi d'acqua maggiori, dove non si pratica più il disalveo - e non si capisce bene perché -, non si fanno le manutenzioni spondali, con conseguenti, rilevanti quantità di alberi e di tronchi che poi provocano ostruzioni, ma soprattutto dei corsi d'acqua minori, dove non si fa più la manutenzione e che vengono completamente trascurati dalle autorità di bacino.
Come ho ribadito più volte in Commissione, non esiste più l'omino con il badile quadrato che va ad aprire i fossi ed evita l'accumulo di grandi quantità d'acqua che poi si riversano improvvisamente, determinando
situazioni di piena. Ritengo quindi che su questo argomento sia doveroso aprire un confronto, per stabilire la competenza e la responsabilità della manutenzione dei corsi d'acqua minori, che non possono essere assolutamente manutenuti o vigilati dalle autorità di bacino. Forse bisognerà spiegare a Feltri e a tutti coloro che polemizzano contro le province, che le province possono servire anche a fare queste cose, ma - in ogni caso - credo che la manutenzione del territorio - e lo chiedo a lei, che ha una maggiore esperienza diretta - risulti quasi sempre determinante rispetto alla prevenzione delle calamità naturali.
Poiché di questo si discute sempre in termini di emergenza e si scarica tutta la responsabilità e tutta l'operatività sulla Protezione civile, che dovrebbe invece intervenire in casi eccezionali e non nella normalità, le chiedo se lei possa promuovere un confronto e cercare di riaffermare la centralità dei di lavori di ordinaria manutenzione come essenziali per prevenire il verificarsi di questi eventi.
Sulla questione relativa al rischio valanghe, essendo io piemontese, ma di pianura, rilevo l'esigenza di tenere nel debito conto il senso di responsabilità e di prudenza, laddove forse talune affermazioni di colleghi - non quelli presenti in Commissione, ma quelli che si dedicano più alle agenzie di stampa - sono legate più al desiderio di apparire che alla conoscenza e all'analisi...
GUIDO BERTOLASO. Lo dice a me che ho parlato della capacità di evitare l'esondazione del Tevere, ma di non poter nulla contro il rischio esondazione delle esternazioni!
FRANCO STRADELLA. Appunto per questo lo dico io che posso assumermi la responsabilità. Anche per questo mi pare che un atteggiamento di prudenza sia doveroso in queste situazioni decisamente inconsuete. Non credo che questa precipitazione nevosa possa avere molti riferimenti negli anni passati, per cui è consentita l'eccezionalità dei provvedimenti.
MARIA TERESA ARMOSINO. Chiedo scusa per il mio intervento in questa Commissione di cui fanno parte persone che hanno una competenza tecnica assolutamente superiore alla mia.
Desidero intervenire su due aspetti, entrambi molto pratici, da profano tecnico, oltre che fortunatamente non coinvolta in altre calamità di questa portata. Credo di volere e dovere sostenere assolutamente tutte le decisioni prese in Piemonte, al tavolo regionale, su indicazione e sotto la responsabilità del sottosegretario Bertolaso, confermando che la presidente della regione, il presidente della provincia di Torino, il presidente della provincia di Cuneo, interessati a evitare ulteriori danni, hanno unanimemente accolto - io stessa l'ho trovato estremamente ragionevole - il discorso portato avanti dai tecnici.
In un passaggio - è stato detto, ma non so se esistano verbali - si esortava a prepararsi a una polemica, perché la situazione che investe il Piemonte è diametralmente opposta a quella della Francia: mentre in Francia, dove arriva l'aria fredda, gli impianti turistici potranno operare, da noi arriva il phoen e abbiamo rischi che, se non evitati, potrebbero pregiudicare tutta la stagione sciistica delle prossime festività natalizie. Depreco quindi assolutamente, da chiunque vengano fatte, le affermazioni di qualunquismo e di demagogia. Rilevo, invece, un fatto.
In una provincia colpita da altri fenomeni come quella di Asti, che oggi desta più preoccupazioni di prima, perché come zona collinare è soggetta a movimenti franosi soprattutto a valle, ove stanno crollando strade che richiedono urgenti interventi di micropalificazione per non isolare talune realtà, due considerazioni appaiono doverose.
La prima è che queste occasioni devono servire per porre rimedio alle difficoltà che si sono incontrate. Allora io voglio dire che in questa occasione non ho potuto avere un rapporto semplice con il magistrato del Po. A mio avviso, infatti, è intollerabile che autorità di questo tipo, che pure è intervenuta, che ha dato indicazioni
per evitare l'allagamento della città di Nizza, giacché lì il Belbo era già esondato, affermino che non funziona il meccanismo di governo di adduzione delle acque o che intende occuparsene solo all'interno delle casse.
Per questo credo che proprio nel momento in cui si fa tanta demagogia su chi debba fare che cosa, sui ruoli e sulle responsabilità di ciascuno, si deve stabilire con assoluta chiarezza le competenze e le responsabilità di tutti gli enti e dotarli dei mezzi necessari per fare quanto necessario, perché poi il rischio che si verifichino dei morti, purtroppo, è sempre in agguato.
Il secondo rilievo è assolutamente tecnico, ma è imprescindibile, e investe tutta la politica, tutti coloro che hanno responsabilità di amministrazione, organizzazione e legislazione nel Paese. In questo momento bisogna mettere in sicurezza il territorio; questo richiede interventi e per farli occorre quantomeno stabilire, con effetto immediato, che essi non siano computati nel Patto di stabilità.
Vorrei che a tutti fosse chiaro che in questi giorni gli enti locali stanno approvando i bilanci e stanno affrontando spese proprio per interventi urgenti, ad esempio - parlo della situazione che conosco e non di altre - per chiudere dei crateri ed evitare ulteriori danni; lo stanno facendo con la spada di Damocle del mancato rispetto del Patto di stabilità interno.
Ribadisco dunque che è necessario definire immediatamente che le opere necessarie a portare soccorso nelle situazioni di emergenza non rientrano nel Patto di stabilità interno; di fronte ad una emergenza non ne terrei conto e sfonderei i limiti, ma così questo non è più uno Stato di diritto che assicura a tutti un trattamento uguale; lo Stato non deve costringere gli amministratori locali a decidere in queste condizioni; altrimenti tutti gli amministratori restituiranno le chiavi allo Stato, ad un signor Pantalone che, ad esempio per una strada, si dovrà occupare non si sa bene di fare che cosa.
Inoltre, occorre prevedere stanziamenti adeguati per le necessarie opere infrastrutturali, che vengono purtroppo prima dei danni che si rileveranno in seguito al verificarsi di questi eventi.
RAFFAELLA MARIANI. Desidero ringraziare il sottosegretario non solo per la relazione, ma per l'opera concreta profusa in queste settimane dalla Protezione civile, che ha lavorato con un efficace coordinamento anche con molte regioni. Io che provengo dalla regione Toscana, sottolineo ogni volta la positiva collaborazione con il dipartimento della Protezione civile, e ho più volte sperimentato in seguito a calamità un meccanismo che funziona e risponde a tante esigenze poste oggi anche in questa sede dai parlamentari di altre regioni.
Per quanto riguarda la questione del Patto di stabilità interno, abbiamo già verificato in Commissione come per alcune questioni di emergenza alcuni territori abbiano superato il vincolo del Patto di stabilità interno, grazie a ordinanze e dichiarazioni predisposte dalla Protezione civile.
Considerando la sua autorevolezza e la discussione svolta, su cui si rileva un unanime accordo, le chiedo, sottosegretario, di poter svolgere una seria riflessione sul «dopo emergenze», magari anche congiuntamente con il Ministro dell'ambiente. Il tema del «dopo emergenze», viene sempre affrontato oltre che con una limitatezza di risorse, con una farraginosità di competenze e soprattutto con una difficoltà a indicare le priorità, per cui quando si fa un provvedimento sulla difesa del suolo, sull'assetto idrogeologico e per la ripartizione delle risorse non siamo in grado di dar seguito a quanto in un coordinamento efficace è avvenuto durante le fasi di emergenza. Poche settimane fa, abbiamo assistito alla predisposizione di un decreto sulle risorse per la difesa del suolo, sul quale le Commissioni parlamentari non hanno avuto alcuna voce e che sicuramente rispondeva ad altre logiche, con il rischio sempre presente di finire
nella contrattazione diretta tra alcune località o regioni e il Ministero competente. Ritengo che a noi manchi la
consequenzialità delle azioni, rispetto all'emergenza e a chi si occupa di questo.
Desideravo anche sottolineare, con riferimento a quanto rilevato dal collega Stradella in merito alle differenti competenze, riferendosi alla pianificazione che sta in capo alle autorità di bacino, che ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge omnibus che riguarda i temi ambientali e anche una parte delle competenze delle autorità di bacino, contrapponendole a quelle di distretto, che dovrebbero essere costituite. Io penso che realizzare un'operazione di mero trasferimento di competenze, come sembra fare il decreto-legge, senza avere il tempo di riflettere anche con qualche indicazione derivante da una discussione come questa, ma cambiando solo il cappello e allargando un distretto o un bacino e conservando la stessa farraginosità delle competenze e delle responsabilità non rappresenta un buon lavoro; al contrario, come tutti hanno sottolineato, si dovrebbe riconoscere l'esigenza di rivedere questa parte per renderla
più efficace ed efficiente.
Nella discussione di questo provvedimento, che forse dovremo fare in fretta perché si tratterrà magari di un solo articolo tra molti, ritengo invece che potremmo impegnarci tutti per valutare l'opportunità di individuare norme in grado di rendere tutto più veloce.
Inoltre, sottosegretario, anche se si tratta di competenze di altri ministeri, molto collegate però all'emergenza e alla protezione civile, giacché riguardano l'efficacia del positivo coordinamento con le regioni, vorrei chiederle un'opinione sul fondo regionale di protezione civile, che è stato molto utile alle regioni per avviare, anche in compartecipazione con i comuni, i mutui per i risarcimenti ed il reperimento delle risorse necessarie per le emergenze e per i primi aiuti.
In base a una piccola ricerca, mi sembra che dopo le ultime proroghe di questo fondo fatte nel 2007 il Parlamento non ne abbia fatto ulteriori. Vorrei quindi sapere se vi manchi l'operatività di quel fondo o se, magari, non abbiamo capito bene come funzioni oggi la compartecipazione con le regioni in sostituzione di quel fondo.
RENATO WALTER TOGNI. Mi unisco ai ringraziamenti dei colleghi, anche perché provengo dalle Valli di Lanzo del Piemonte, che hanno visto nevicate terribili.
Sarò telegrafico, per non ribadire temi già affrontati negli interventi precedenti. Ritengo che la nostra Commissione ambiente dovrebbe avere uno scatto di orgoglio e promuovere alcune delle importanti iniziative richiamate dai colleghi, prima fra tutte quelle della manutenzione straordinaria e ordinaria dei corsi d'acqua.
Il sottosegretario può aiutarci in certe circostanze, ma dobbiamo essere noi capaci di impostare norme diverse. Ho vissuto in prima persona dal 1994 quasi tutte le alluvioni e le conseguenti opere di arginatura e difese spondali. È vero, abbiamo il problema dell'approvvigionamento dei fondi, ma nei fiumi e soprattutto nelle zone limitrofe ci sono le risorse necessarie. Dovremmo quindi stabilire - e dobbiamo farlo noi - che si possano pagare gli interventi con il materiale tolto dai fiumi e con la legna presente sulle sponde. Ritengo che questo intervento possa essere effettuato in fretta, essendo utile a sopperire all'attuale mancanza di fondi.
Per quanto riguarda le competenze, anch'io ritengo necessaria una riformulazione di tutto il sistema, perché adesso non si capisce chi, come e quando debba intervenire.
Infine, mi sembra che il patto di stabilità interno escluda già le spese per danni da stato di emergenza, quindi perlomeno in questo siamo stati anticipatori della situazione.
TOMMASO FOTI. Intervengo molto brevemente, signor presidente, per esprimere una considerazione.
In questa crisi, il tema dell'asta del Po è stato marginale, nel senso che si prevedeva un innalzamento del suo livello, ma poi le condizioni atmosferiche sono migliorate
e tutto è rientrato. Ritengo però che il problema rimanga e possa avere ricadute nella prossima primavera, quando si faranno sentire gli effetti di queste abbondanti nevicate. E, anche per questo voglio porre una questione, non perché sono un inascoltato fautore della necessità di creare un'Authority per il Po, sgombrando tutte le varie competenze oggi frammentate tra tre regioni, venti presidenti di provincia, un magistrato del Po, accordi di programma scritti e non realizzati, ma perché ritengo che il tema del Po rischia di scoppiarci in mano.
Sarebbe quindi opportuno prevedere, in accordo con gli altri Ministri competenti, una task force che cominci ad occuparsi concretamente di ciò che non funziona nella gestione del principale fiume italiano. In tal senso, non esprimerò il mio giudizio sui consorzi di bonifica, perché è sufficientemente noto, ma mi limiterò ad osservare che sistematicamente gli enti che ricevono tributi per realizzare la manutenzione dei canali, creano i maggiori problemi. Si occupano di feste sportive o paesane, ma non di quello che servirebbe per la manutenzione dei canali. Vorrei chiederle quindi una sua precisa azione e pressione, perché molti stanno sottovalutando la bomba del Po.
TOMMASO GINOBLE. Anch'io vorrei associarmi aI ringraziamenti al sottosegretario e porre l'attenzione su quanto già rilevato dal mio collega Togni. Considero, infatti, necessario un cambio di approccio culturale al problema, laddove quando avvengono i disastri troviamo i soldi per riparare i danni, mentre gli stessi soldi utilizzati per prevenirli ci farebbero risparmiare e garantirebbero un riordino della questione ambientale. Proponeva dunque il collega Togni che questa Commissione unisse i suoi sforzi a quelli del sottosegretario e del Ministro, creando una task force su questo argomento, che permetta dal punto di vista legislativo, normativo e delle competenze di fare un progetto complessivo.
Poiché c'è un calcolo delle probabilità per prevedere alluvioni e disastri, non potendo illuderci che simili eventi non si verifichino più, dobbiamo riconoscere che la mancanza di fondi non è una giustificazione valida, perché poi, quando dobbiamo risarcire sull'onda emotiva di spinte locali, li troviamo. Sarebbe utile porsi di fronte al problema in questa maniera, evitando la solita litania successiva al verificarsi degli eventi calamitosi.
PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario Bertolaso.
GUIDO BERTOLASO, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Resto comunque a vostra disposizione per fornire ulteriori precisazioni ad integrazione della mia relazione.
PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Bertolaso e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.