Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 2
Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sullo stato di attuazione delle politiche in materia di ambiente (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Alessandri Angelo, Presidente ... 2 14 22 32
Benamati Gianluca (PD) ... 24
Braga Chiara (PD) ... 31
Bratti Alessandro (PD) ... 25 27
Iannuzzi Tino (PD) ... 25
Margiotta Salvatore (PD) ... 20 31
Mariani Raffaella (PD) ... 22
Mondello Gabriella (UdC) ... 32
Motta Carmen (PD) ... 29
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 30
Prestigiacomo Stefania, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 2 14 20 27
Realacci Ermete (PD) ... 13 14 27
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 20 24
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,25.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sullo stato di attuazione delle politiche in materia di ambiente.
Do la parola al Ministro Prestigiacomo, che ringrazio per la presenza.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Buongiorno a tutti. Ringrazio il presidente e i commissari per questa nuova opportunità di incontro, che giunge in un momento particolarmente delicato e importante della legislatura: il momento in cui, superata la lunga fase di assestamento e ridefinizione delle politiche ambientali e degli assetti stessi del Ministero, si possono affrontare con un respiro più ampio le principali tematiche.
Tutti sappiamo di dover fare i conti con il problema del bilancio pubblico che impone al Governo una particolare attenzione alle spese e tagli spesso molto dolorosi. Tutto ciò rappresenta un problema serio, è inutile negarlo, ma la situazione economica complessiva (e la politica di rigore che essa impone) se da un lato non attenuerà il mio impegno per ottenere quelle risorse che ritengo essenziali per le politiche ambientali - politiche che devono essere di sviluppo, non di mera conservazione - dall'altro non può rappresentare un alibi per una strategia di basso profilo.
L'impegno del Governo è stato e sarà massimo per indirizzare il nostro Paese verso uno sviluppo sostenibile. Un impegno che muove dal Ministero dell'ambiente, ma coinvolge scelte del Governo nel suo complesso, indirizzando tutte le iniziative di crescita verso progetti che puntano a ridurre l'inquinamento, migliorare l'efficienza energetica, produrre energia da fonti sempre più pulite, costruire attorno alle attività sostenibili filiere economiche in grado di dispiegare un nuovo modello di sviluppo per il nostro Paese.
Questo modello di sviluppo - lo sappiamo tutti - si chiama green economy e verso di esso si sta muovendo non soltanto l'Italia, ma l'intera comunità internazionale; su questo modello, infatti, ruota il dibattito fra Nord e Sud del mondo, fra Paesi industrializzati, tra Paesi emergenti e Paesi poveri.
Nell'economia di domani sarà vincente chi saprà essere leader nei settori dell'energia pulita e a basso costo e nell'innovazione.
Noi intendiamo spingere l'Italia su questa via e sostenere il nostro Paese in questa competizione globale, perché questa è la via del futuro, ma anche la via per affrontare e risolvere i problemi di oggi. Cito due esempi per tutti: i rifiuti e lo smog. Ciò sarà possibile se il Ministero dell'ambiente saprà essere motore trasversale, protagonista a tutto tondo nell'affrontare e risolvere le criticità, nel progettare soluzioni per il futuro. So di avere in questa Commissione il più forte e rigoroso degli alleati, un prezioso consigliere, ma anche un attento controllore e vi ringrazio per l'attività che svolgete con passione e competenza.
Ho preparato per voi una relazione sulle attività del Ministero, che vi illustrerò compatibilmente con i tempi che abbiamo a disposizione. In ogni caso, la lascerò agli atti perché possa essere oggetto di approfondimento e spero che possa esserci un'ulteriore sessione in cui potrò rispondere alle vostre richieste e domande.
È stata attuata una rilevante e significativa riorganizzazione del Ministero dell'ambiente con l'obiettivo di superare duplicazioni, sovrapposizioni e vuoti di competenza, oltre che difficoltà di coordinamento. So che in alcune fasi c'è stata un po' di incertezza - anche la Commissione è a conoscenza delle difficoltà nel rendere operativi alcuni provvedimenti - ma adesso la riorganizzazione è stata attuata nel rispetto dei princìpi e della massima trasparenza e partecipazione. Sono stati conferiti gli incarichi dei dirigenti generali già passati al vaglio della Corte dei conti, dunque le nuove strutture di primo livello sono pienamente operative.
Stiamo ultimando, inoltre, tutte le procedure necessarie alla seconda fase della riorganizzazione che riguarda i dirigenti di seconda fascia, questione urgentissima che completa la riorganizzazione del Ministero: abbiamo dovuto effettuare la riduzione del 10 per cento di tutti gli organi collegiali e, a giorni, non appena sarà completata la ricognizione di tutti gli organi collegiali e applicata la citata riduzione del 10 per cento, si procederà all'interpello per i dirigenti di seconda fascia.
Anche l'ISPRA - so che lo avete seguito con tanta attenzione - è stato oggetto di un ampio intervento di riorganizzazione. In questa settimana si completa l'insediamento degli organi di vertice che segna quindi il ritorno alla gestione ordinaria dopo la fase del commissariamento. Lunedì scorso si è insediato il presidente, il professor De Bernardinis, che apporta un'esperienza preziosa acquisita anche ai vertici della Protezione civile, ed è stato nominato il direttore generale, nella persona del dottor Stefano Laporta, che proviene dalla carriera prefettizia.
Il lavoro di riorganizzazione dell'Istituto però non è finito; resta infatti da ultimare il processo, tuttora in corso, di articolazione interna in dipartimenti. Questa attività, tra l'altro, coincide anche con il varo, a breve, dell'Agenzia nucleare dove una parte dell'ISPRA dovrà confluire.
Adesso passo al tema delle bonifiche, che è uno dei temi pregnanti, uno degli snodi chiave dell'attività del Ministero dell'ambiente, sia per la sua valenza ambientale, sia perché è doveroso puntare al risanamento di aree fortemente inquinate anche per la valenza sociale che queste aree industriali bonificate possono avere. In queste aree si possono, infatti, sviluppare nuove iniziative imprenditoriali nel segno dello sviluppo sostenibile.
Oggi, come sapete, abbiamo 57 siti di interesse nazionale (SIN), che rappresentano le zone più inquinate del Paese la cui bonifica è gestita dal Ministero. I SIN comprendono aree a terra e aree a mare per un'estensione di 700 mila ettari corrispondenti al 3 per cento del territorio nazionale. All'interno dei SIN sono presenti 3 mila soggetti privati, proprietari delle aree, tra cui le più importanti realtà industriali italiane ed estere in campo chimico e petrolifero.
Il Ministero dell'ambiente, per ciascuno di tali siti, esamina e approva i
progetti di messa in sicurezza e caratterizzazione e bonifica dei suoli e della falda; finanzia e realizza gli interventi di bonifica in aree pubbliche attraverso lo strumento dell'accordo di programma; gestisce il contenzioso amministrativo, civile e penale; stipula atti transattivi con i privati in materia di bonifica e di danno ambientale.
Nel biennio 2009-2010, complessivamente, sono state tenute circa 140 conferenze di servizi. Ad oggi, a parte le centinaia di progetti di caratterizzazione e messa in sicurezza di emergenza, sono stati approvati 200 progetti definitivi di bonifica, di cui 60 nell'ultimo anno.
Da tempo sono diffusi dati sullo stato di realizzazione delle bonifiche che non corrispondono alla reale situazione e che tendono a sottostimare i risultati raggiunti, quasi si fosse all'anno zero. Questo non è vero e va detto con chiarezza, senza sottovalutare ovviamente tutto quello che resta da fare, ma riconoscendo il lavoro svolto e l'impegno che si sta spendendo per affrontare situazioni di grave inquinamento del nostro Paese.
Secondo i dati del Ministero risulta che è stata eseguita la caratterizzazione dell'80 per cento delle aree a terra dei SIN; sono stati realizzati interventi di messa in sicurezza d'emergenza per circa il 60 per cento delle aree a terra dei SIN; sono stati approvati i progetti definitivi di bonifica dei suoli e delle acque di falda per circa il 40 per cento delle aree a terra dei SIN; sono in corso di realizzazione o già ultimate attività di bonifica.
Per riportare alcuni esempi di bonifica in avanzato stato di realizzazione, oltre al sito di interesse nazionale di Porto Marghera, si possono senza dubbio citare quello di Cengio e Saliceto, (Acna), dove la bonifica è praticamente ormai conclusa, quello di Manfredonia e quello di Pioltello-Rodano, dove la bonifica verrà in gran parte ultimata entro i primi mesi del prossimo anno, soprattutto grazie ai fondi pubblici.
Ciò, peraltro, consentirà il superamento - spero in maniera conclusiva - di tutte quelle procedure d'infrazione comunitarie aperte negli anni passati relativamente alla mancata bonifica delle discariche e dei siti in questione, evitando così pesanti condanne e sanzioni già emesse dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Per quanto riguarda la stipula di accordi di programma nei SIN nazionale per finanziare la realizzazione di interventi di bonifica in aree pubbliche, in questi ultimi due anni sono stati sottoscritti 11 accordi, per uno stanziamento complessivo di 71 milioni di euro. Tra questi accordi risulta anche quello relativo al Sulcis, recentemente venuto agli onori della cronaca, quasi fosse una novità assoluta, sulla scorta del caso dell'inquinamento dei fanghi rossi in Ungheria. Invece, l'accordo per il bacino di fanghi rossi dell'Eurallumina è stato siglato quasi un anno fa. Le attività finanziate inoltre riguardano la verifica, il monitoraggio - realizzati di intesa con la procura della Repubblica di Cagliari - e la stabilità strutturale del bacino da tempo oggetto della massima attenzione da parte del Ministero.
Altri 86 milioni sono stati stanziati per le bonifiche di Pioltello-Rodano (25 milioni di euro), Manfredonia (10 milioni di euro), Taranto (4 milioni di euro), litorale Domitio-Flegreo e Agro Aversano (Giugliano e laghetti di Castel Volturno - 47 milioni di euro).
Infine è in corso di predisposizione un accordo di programma per il risanamento ambientale delle aree SIN di Crotone, per il quale il Ministero dell'ambiente ha previsto lo stanziamento di 10 milioni di euro.
Riguardo alle transazioni stipulate dal Ministero dell'ambiente con le aziende private, queste rappresentano senza dubbio un elemento virtuoso che consente al tempo stesso di risolvere il problema della bonifica di aree di proprietà delle aziende, di restituire agli usi legittimi importanti aree già infrastrutturate - quindi per investimenti produttivi e sostenibili - e in ultimo di incamerare
risorse finanziarie che poi devono essere destinate alla bonifica delle aree pubbliche.
Da qui deriva anche un risparmio per la collettività, per il fatto che vengono meno contenziosi decennali che certamente arricchiscono qualche studio legale, ma non consentono di ottenere nessun risultato in termini ambientali.
Il Ministero dell'ambiente negli ultimi due anni ha esteso questo strumento, precedentemente utilizzato soltanto per Venezia, a molti altri siti (ad esempio Brindisi, Napoli orientale, Priolo) e, grazie al nuovo strumento della transazione globale, presto arriveranno i primi risultati in tutti gli altri siti. Negli ultimi due anni sono state sottoscritte 15 transazioni, per un importo complessivo di oltre 110 milioni di euro, e decine di atti transattivi sono in corso di stipula, essendo state già definite le clausole principali tra il Ministero dell'ambiente e le aziende interessate.
Questi 110 milioni di euro già transatti sono poi pagati mediante rate (alle imprese è concessa infatti una rateizzazione) e incamerati dal Tesoro; finora i soldi incamerati sono stati tutti riassegnati al Ministero dell'ambiente che deve spenderli per bonificare le aree pubbliche.
Per quanto concerne le bonifiche ovviamente resta ancora molto da fare, ma credo che i passaggi più importanti siano stati conclusi. Negli ultimi due anni si è ricostruito un rapporto di confronto fra le aziende proprietarie delle aree e il Ministero dell'ambiente, che non ha tardato a produrre risultati sia in termini di progetti presentati e approvati, sia in termini di transazioni stipulate e di riduzione del contenzioso.
In un periodo di scarsità di risorse disponibili per la pubblica amministrazione, credo che la transazione globale costituisca un valido strumento per dare certezze alle imprese relativamente all'approvazione dei progetti di bonifica e alla restituzione e agli usi legittimi delle aree, ma anche per reperire per il Ministero risorse utili alle bonifiche.
Riguardo ai rifiuti, nel corso degli ultimi due anni uno degli obiettivi caratterizzanti l'attività del Ministero dell'ambiente in materia di gestione dei rifiuti è rappresentato dal recepimento della direttiva europea che, come sapete, è attesa da molto tempo. Ormai l'iter si sta concludendo, in anticipo rispetto alla scadenza prevista del dicembre 2010, e il provvedimento introdurrà novità soprattutto relativamente ai sottoprodotti e alle materie prime secondarie. Un'ulteriore innovazione in materia di raccolta differenziata è la determinazione degli obiettivi di recupero e l'attuazione obbligatoria della raccolta differenziata per alcune tipologie di rifiuti (carta, metalli, vetro e plastica).
Un'altra problematica che è stata affrontata, e si può dire risolta, riguarda la normativa sulle discariche. Ricorderete che, nell'aprile del 2008, l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea per non aver recepito in maniera corretta la direttiva sui rifiuti. Abbiamo cercato di porre rimedio a questa sentenza con altri provvedimenti normativi; il contenzioso comunitario però rischiava di essere aggravato dal fatto che, di anno in anno, veniva data sistematicamente una proroga che consentiva di continuare a conferire in discarica rifiuti urbani senza rispettare i criteri europei di ammissibilità. Il settore dei rifiuti urbani, quindi, incideva notevolmente su questa situazione dal momento che non tutte le regioni - come purtroppo sappiamo - sono attrezzate con impianti idonei a trattare i rifiuti prima del loro collocamento in discarica.
Per porre fine a questo sistema di proroghe infinite, nel 2009 abbiamo definito l'ultimo provvedimento di proroga al 31 dicembre annunciando che non ci sarebbero più state proroghe. In parallelo, il Ministero ha emanato una circolare sul trattamento dei rifiuti urbani e predisposto un nuovo decreto sull'ammissibilità in discarica dei rifiuti. La Commissione europea ha apprezzato il lavoro
del Governo italiano e ha recentemente comunicato di avere chiuso la procedura di infrazione.
La direttiva europea incide in maniera significativa sul Codice ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) e ne ha modificato una parte importante. Resta però una parte che, a mio avviso, occorre modificare - quella relativa alle bonifiche, ai consorzi e, più in generale, alla gestione dei rifiuti urbani - per la quale è necessario che il Parlamento conceda una proroga della delega al Governo, altrimenti sarebbe una incompiuta. La direttiva europea, infatti, innova solo una parte della questione relativa ai rifiuti, ma lascia fuori un aspetto importante sul quale noi siamo abbastanza pronti a intervenire con delle proposte. Dobbiamo però trovare una soluzione in un provvedimento rapido per rinnovare la delega di modifica del Codice ambientale e poter completare questa riforma.
Un ulteriore obiettivo del Ministero dell'ambiente in ordine alla gestione dei rifiuti è l'emanazione dei decreti attuativi di norme primarie nel campo della gestione dei rifiuti. In questo senso sono da segnalare il decreto sulla semplificazione di alcune attività di gestione dei RAEE, che ha disciplinato l'obbligo per i negozianti del ritiro delle apparecchiature usate in caso di acquisto di nuove apparecchiature, il provvedimento sulla gestione delle isole ecologiche e il decreto che ha disciplinato lo smaltimento di alcuni idrocarburi.
Si riscontrano ovviamente problemi sulla gestione dei rifiuti urbani. Io ho trattato la parte normativa, di riordino, ove c'era effettivamente un caos, ma sappiamo che vi sono gravi difficoltà soprattutto relative alla mancanza di impianti nell'Italia meridionale. Questa mancanza ormai è contestata anche dalla Commissione europea, che la collega a un'incapacità di predisporre e attuare una corretta pianificazione. Per questi motivi, la Commissione ha aperto diverse procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese.
È noto che la realizzazione di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti sul territorio nazionale è fortemente ostacolata dalle opposizioni delle comunità locali interessate dall'insediamento degli stessi. L'analisi dell'attuale pianificazione territoriale fa emergere approcci molto diversificati da parte delle regioni e degli enti locali e, in alcuni casi, i piani si rivelano inefficaci a garantire il corretto funzionamento del ciclo di gestione dei rifiuti urbani.
A seguito dell'entrata in vigore della direttiva rifiuti, le regioni dovranno rivedere il proprio piano di gestione dei rifiuti. Da quanto detto emerge l'esigenza di dettare delle linee guida nazionali per l'adeguamento dei piani regionali, che tengano conto della necessità di realizzare un sistema industriale di gestione dei rifiuti basato prevalentemente sul riciclo e sul recupero energetico, e nel quale lo smaltimento in discarica rappresenti una forma residuale di smaltimento.
In questa prospettiva stiamo lavorando per istituire una Cabina di regia nazionale per il coordinamento dei piani regionali degli inceneritori.
In conclusione, solo quando si riuscirà a valorizzare il potenziale di risorsa insito nei rifiuti, sviluppando in Italia - come avviene in Europa - una vera e propria economia del riciclo e del recupero, potranno considerarsi risolte molte delle criticità connesse a una gestione dei rifiuti legata ancora, in parti del nostro Paese, a una concezione ormai superata.
Al problema della corretta gestione dei rifiuti sono strettamente legate, purtroppo, le attività criminali delle cosiddette «ecomafie» che lucrano sullo smaltimento illecito dei rifiuti e avvelenano la terra e le acque nelle falde idriche. Il sistema di controllo della movimentazione dei rifiuti speciali si è purtroppo rivelato altamente inefficace. La possibilità di un controllo in tempo reale dei movimenti dei rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, da parte delle forze dell'ordine rappresenta - a mio avviso - un colpo decisivo all'attività delle cosche,
una garanzia per le imprese, un vantaggio per l'ambiente e, soprattutto, per la salute dei cittadini.
Per questo motivo è nato il Sistri, il nuovo sistema informatizzato di tracciabilità dei rifiuti. È utile rammentare che l'idea di istituirlo risale al Governo Prodi che, con la legge finanziaria per il 2007, mise a disposizione uno stanziamento di 5 milioni di euro per realizzare questo sistema. Nel febbraio del 2007 il mio predecessore operò la segretazione del progetto, ritenendo che potesse incidere su questioni di interesse strategico-nazionale e rilevanti per la sicurezza interna dello Stato, anche in ragione della diffusa presenza della criminalità organizzata nell'ambito delle attività dello smaltimento dei rifiuti.
In seguito, il mio predecessore modificò il Codice ambientale prevedendo l'obbligo, per tutte le categorie della filiera del rifiuto, di installare apparecchiature elettroniche per la tracciabilità dei rifiuti in aggiunta al mantenimento del vecchio sistema cartaceo.
Questo Governo, preso atto di questa importante iniziativa e verificato il progetto, ha perfezionato la procedura di segretazione. Riguardo all'operatore per la gestione, voglio precisare che questo Governo si è limitato a confermare una scelta, a nostro avviso, di qualità già effettuata dal precedente Governo.
In questi mesi sono state sollevate sul Sistri molte critiche che ritengo in somma parte strumentali: da un canto, si tratta di resistenze fisiologiche a una radicale innovazione; dall'altro, è evidente che c'è chi butta benzina sul fuoco delle critiche in quanto il Sistri aggredisce il sistema di gestione illecita dei rifiuti.
Per questo motivo ho chiesto formalmente alla Presidenza del Consiglio che venga rimosso il segreto, essendo ormai venute meno, a mio avviso, le preoccupazioni di infiltrazioni criminali durante la predisposizione dell'apparato operativo.
Non devono esserci motivi di sospetto su un sistema che - lo dico senza esagerare - può cambiare il corso delle politiche ambientali in materia di rifiuti nel nostro Paese.
Il mondo del racket dei rifiuti, la camorra, le ecomafie non possono certamente vedere con favore che finalmente lo Stato sia in grado di acquisire i dati sulla filiera dei rifiuti in tempo reale, per prevenire e reprimere le illegalità. In gioco c'è la sorte di milioni di tonnellate di rifiuti speciali che vengono prodotti ogni anno in Italia, di cui circa il 10 per cento sono rifiuti pericolosi che, se non sono correttamente gestiti, costituiscono un gravissimo pericolo per la salute dei cittadini e per l'ambiente.
Al fine di superare alcune difficoltà di implementazione segnalate dagli operatori, sono stati sinora emanati quattro decreti ministeriali nonché alcuni chiarimenti tesi a superare alcuni profili di incertezza.
In riferimento al costo del sistema, anche dal punto di vista degli oneri per le imprese, riteniamo che il bilancio dell'operazione Sistri risulti estremamente positivo. Il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione ha valutato, nel «Primo rapporto 2007-2008: misurazione e riduzione oneri amministrativi», una spesa di circa 671 milioni di euro per le piccole e medie imprese (cioè fino a 249 addetti) per la predisposizione del sistema cartaceo ambientale (formulario dei rifiuti, registro di carico e scarico e Mud).
I 671 milioni di euro sono così suddivisi: un costo medio di 464 euro all'anno per le imprese piccole (da uno a quattro addetti) e un costo medio di 1.183 euro per le imprese da cinque a 249 addetti. In base ai conti, si deduce che il Sistri ha decisamente ridotto questi costi, abbattendoli fino all'80 per cento. Abbiamo altresì mostrato - ritengo - consapevolezza sulla necessità, nella prima fase di transizione, di rendere più graduale l'entrata in vigore del Sistri. Per questo motivo a settembre ho emanato un nuovo decreto che consente sino alla fine dell'anno l'utilizzo del vecchio e del
nuovo sistema, in modo da permettere alle imprese di familiarizzare col Sistri.
Ad oggi è stata consegnata a tutti gli aventi diritto la quasi totalità dei dispositivi elettronici e riteniamo che la restante parte possa essere consegnata tutta entro la fine di novembre.
Per quanto riguarda le problematiche legate al dissesto idrogeologico, sappiamo che queste negli ultimi anni hanno assunto i connotati di una vera e propria emergenza nazionale, sia in termini di danni causati da frane e alluvioni sia, purtroppo, per le perdite umane che anche negli ultimi mesi hanno causato lutti e comprensibile rabbia nelle comunità colpite.
I Piani di assetto idrogeologico, i PAI, hanno fornito un quadro completo dello stato di dissesto e di rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale, nonché dei costi necessari per la messa in sicurezza del territorio. Il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica. Sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani: il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana; il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione; il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione.
Le regioni che hanno pressoché la totalità dei comuni con aree a rischio idrogeologico sono: Calabria, Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Provincia autonoma di Trento.
A questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani dove sono direttamente coinvolti beni esposti.
Il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro. Di contro, per azioni di emergenza e di protezione civile, indennizzi e opere a seguito di interventi calamitosi, nel solo bacino del fiume Po, dal 1994 al 2005 sono stati spesi oltre 12 miliardi e mezzo di euro, dei quali oltre 5 miliardi e mezzo per far fronte alla sola alluvione del 2000. Inoltre, per gli interventi di gestione dell'emergenza della zona del Sarno è stato speso oltre mezzo miliardo di euro.
In sintesi, si stima che la spesa dello Stato per le attività di emergenza sia stata mediamente tra 2 e 3,5 miliardi di euro all'anno. La spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno; per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione.
È noto che, in passato, i fondi destinati alla prevenzione sono stati, oltre che esigui, anche mal spesi. La portata del problema richiede - a nostro avviso - un intervento straordinario, sia in termini di risorse che di efficacia ed efficienza di programmazione e realizzazione degli interventi. A tal fine, è stato previsto uno stanziamento straordinario di un miliardo di euro, specificamente destinato alla realizzazione di piani straordinari per le aree a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale.
Si tratta di tutto lo stanziamento destinato dal CIPE, fino a oggi, all'ambiente. Ciò testimonia quanta attenzione si intende dedicare alle problematiche della difesa del suolo. A tali risorse sono state aggiunte quelle già a disposizione del Ministero dell'ambiente per l'annualità 2009, per un totale di 1.386 milioni di euro: si tratta di un investimento davvero eccezionale rispetto alle assegnazioni degli ultimi anni, soprattutto se si tiene conto che il piano viene cofinanziato - praticamente in modo paritetico - dalle regioni, determinandosi in tal modo, sostanzialmente, il raddoppio delle risorse a disposizione. In pratica si spenderà, con un unico organico programma di prevenzione, quello che è stato speso in modo parcellizzato negli ultimi dieci anni.
La novità principale è rappresentata dalle modalità di programmazione e di utilizzo di tali risorse. Lo strumento che viene oggi utilizzato è l'accordo di programma che consente di pianificare simultaneamente le risorse ministeriali e
regionali per la realizzazione di un unico programma straordinario, condiviso con la Protezione civile e con le Autorità di bacino, evitando così duplicazioni di interventi e frammentazione della spesa.
Ad oggi sono stati siglati quattro accordi di programma con le regioni Sicilia, Lazio, Liguria e Abruzzo, che hanno peraltro partecipato anche finanziariamente alla definizione del programma di interventi. Gli accordi con Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Calabria e Sardegna sono in avanzato stato di definizione; i restanti accordi si concluderanno immediatamente dopo, e comunque tutti entro l'anno.
Si deve considerare che i soldi sono stati previsti dalla legge finanziaria per il 2010; poi ci sono state le elezioni regionali e abbiamo dovuto attendere non soltanto che si insediassero le nuove giunte regionali, ma che prendessero contezza delle problematiche. Non a caso siamo partiti prima con la regione Sicilia - in quella regione infatti non si votava - dove abbiamo impegnato i fondi del Ministero del 2009.
Noi - apro una parentesi - abbiamo sottoscritto questi accordi e io conto, entro l'anno, di concluderli con tutte le regioni. Abbiamo chiesto l'apertura del capitolo di spesa al Ministero dell'economia e delle finanze perché, ovviamente, i soldi devono essere spesi; abbiamo anche fornito i chiarimenti richiesti esiste una documentazione veramente importante - ma siamo ancora in attesa che questo capitolo venga aperto.
Fra l'altro, è in atto una discussione relativamente ai fondi da spendere per le compensazioni ambientali in Campania, contenuti nel decreto-legge che abbiamo approvato due anni fa (il primo provvedimento emanato dal Governo per fronteggiare l'emergenza rifiuti in quella regione). È utile ricordare che io, da oltre due anni, chiedo l'apertura del capitolo di spesa e l'avvio del programma concordato con la regione. Si tratta di 47 milioni di euro per tre anni. Adesso mi è stato detto di prendere le risorse dal Fondo per la difesa del suolo, ma ciò non è possibile perché, come ho già spiegato e come ripeto - e penso che voi lo condividerete - abbiamo detto che abbiamo la necessità di 40 miliardi di euro per affrontare tutto il dissesto idrogeologico del Paese; non si tratta di situazioni tutte urgenti, però sicuramente c'è chi stima le urgenze da 11 a 15 miliardi di euro. Io so - in base all'esperienza
maturata lavorando con le regioni - che gli interventi che restano esclusi sono più numerosi di quelli che sono finanziati. È davvero molto complicato stabilire le priorità di una serie di emergenze tutte dello stesso tipo. Togliere un euro, quindi, al Fondo per la difesa del suolo significa togliere un euro a situazioni critiche.
Ora, le compensazioni ambientali previste per la Campania sono urgenti sul piano politico, in quanto c'era un accordo con il territorio che si obbligava a pagare un prezzo ancora pesante per l'apertura di nuove discariche, per fronteggiare, in maniera assolutamente fuori dall'ordinario, una situazione emergenziale. Queste opere, però, non sono minimamente paragonabili a quelle previste nel piano per la difesa del suolo. Peraltro, dovremmo sottrarle alla stessa Campania? Questa soluzione non è assolutamente sostenibile.
Il mio impegno consiste nel fare in modo che possano essere reperiti al più presto 47 milioni di euro per far partire il piano di compensazioni ambientali. Peraltro, le opere propriamente ambientali non sono poi tantissime; sebbene si parli di piano di compensazioni ambientali, in realtà ci sono molte infrastrutture che hanno ben poco di quelle caratteristiche ambientali normalmente previste dagli interventi di questa natura.
In relazione alla difesa del suolo, è necessario che questo sistema, in cui si prevede la nomina di commissari - non del tipo di quelli della Protezione civile, ma commissari vigilanti e acceleratori delle procedure - sia messo a regime e che si assicuri una continuità, nel tempo,
per ridurre al minimo gli effetti della mancata prevenzione nelle aree maggiormente esposte al rischio.
Insomma, noi andremo avanti con il piano triennale, ma occorre metterlo a regime. Anche questo, dunque, è un lavoro che deve essere fatto.
Per quanto riguarda l'acqua, certamente questo è un capitolo importante delle politiche ambientali sviluppate nel corso di questi due anni e mezzo e oggi, per varie ragioni, è più che mai al centro del dibattito.
Fra gli importanti obiettivi raggiunti nel settore della tutela delle acque dall'inquinamento e della gestione integrata delle risorse idriche, voglio ricordare l'adozione dei piani di gestione dei distretti idrografici richiesti dalla direttiva quadro europea in materia di acque n. 60 del 2000.
Il piano di gestione è assolutamente il fulcro della strategia comunitaria in materia di acque, perché al suo interno sono sintetizzate le caratteristiche generali del distretto, l'analisi delle pressioni e degli impatti delle attività umane sui corpi idrici, l'analisi economica dell'utilizzo idrico e i risultati del monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee. Inoltre, il piano contiene gli obiettivi ambientali da perseguire per ciascun corpo idrico e il programma di misure per raggiungere tali obiettivi.
Particolare importanza in questo quadro verrà data al completamento degli schemi fognari e depurativi che continuano a rappresentare la principale causa di inquinamento dei corpi idrici nel nostro Paese. Allo scopo, saranno sviluppate le azioni necessarie per realizzare gli obiettivi specifici del risparmio idrico, del riutilizzo delle acque reflue depurate e della riduzione delle perdite in rete.
Il lavoro che il Governo sta svolgendo in questo settore è reso più complicato dalla mancata istituzione delle Autorità di bacino distrettuali previste dalla citata direttiva europea n. 60 del 2000. Non solo questo non è stato fatto, ma nel 2006, con un decreto legislativo correttivo, sono state prorogate le Autorità di bacino, nelle more della revisione della relativa disciplina legislativa, con l'adozione di un ulteriore decreto legislativo correttivo. Anche questo tuttavia non è mai arrivato a compimento. Quindi, si è aggiunta confusione a confusione, favorita forse dalla discussione sorta tra Stato e regioni, anche alla luce della riforma costituzionale del 2001, sul nuovo assetto delle competenze nei settori della difesa del suolo e delle risorse idriche, come disegnato dal Codice ambientale. Ad avviso delle regioni, infatti, questi settori ricadrebbero nella materia del governo del territorio non più
legificabile dallo Stato in via unilaterale. Si è imposta quindi l'esigenza di approfondire questo aspetto attraverso un serio confronto con le rappresentanze regionali.
In tale contesto, nelle more della istituzione delle nuove Autorità distrettuali, questo Governo è intervenuto con un provvedimento urgente, grazie al quale le Autorità di bacino nazionali e regionali hanno predisposto i piani di gestione, successivamente trasmessi alla Commissione europea, nel rispetto dei termini previsti.
In ogni caso, è chiaro che occorre uscire da questa situazione provvisoria per tornare rapidamente ad un assetto di tipo ordinario. In questa direzione, l'impegno è quello di completare il confronto con le regioni e provvedere all'istituzione delle autorità competenti dei distretti idrografici, senza le quali si rischia di perseverare una situazione di indeterminatezza e precarietà che può compromettere la capacità di attuare le politiche di prevenzione, tutela e risanamento del territorio dei corpi idrici.
Importanti risultati sono stati a mio avviso raggiunti anche nel settore del servizio idrico integrato. Su questo versante, allo scopo di superare ritardi di anni, ho inteso innanzitutto rilanciare la funzione di vigilanza e regolazione attraverso l'azione della Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, CoNViRI: regolazione e vigilanza sono gli
snodi essenziali della sfida da raccogliere, ai fini dell'ammodernamento del sistema idrico.
In questo quadro, ritengo che un cenno meriti anche il dibattito su «acqua pubblica acqua privata». In proposito, ritengo che si sia raggiunto un tale livello di confusione e di mistificazione che si impone la necessità di un intervento del Governo per riportare chiarezza, nel rispetto delle norme costituzionali.
In particolare, il dibattito sulla necessità di istituire un'authority di vigilanza sui servizi idrici impone la necessità di aprire un confronto basato sull'esperienza tecnica maturata nel settore e non sulla semplice, acritica imitazione di altri modelli di regolazione che poco hanno a che vedere con il mondo delle acque.
Infine, va dedicata attenzione all'attuazione del cosiddetto federalismo demaniale. Avvertiamo infatti la necessità di comprendere fino in fondo gli effetti sul territorio del passaggio alle Regioni e agli enti locali di elementi del reticolo idrico ed idraulico.
Per quanto riguarda il tema più generale della biodiversità - questo è l'anno internazionale della biodiversità -, come annunciato durante la Conferenza nazionale tenutasi nello scorso mese di maggio, la prossima settimana l'Italia presenterà a Nagoya, in Giappone, alla Decima conferenza delle parti della Convenzione internazionale sulla biodiversità, la propria strategia nazionale come strumento per affrontare le sfide globali post 2010 per la conservazione della biodiversità.
Un lungo lavoro di preparazione nella prima parte del 2010 ha consentito di redigere uno schema del documento, sul quale il 7 ottobre si è espressa favorevolmente la Conferenza Stato-Regioni, sulla base di un ampio processo di consultazioni, culminato proprio nella Conferenza nazionale per la biodiversità che si è svolta a Roma appunto nel maggio scorso.
La strategia nazionale si pone come strumento di integrazione della biodiversità nelle politiche nazionali, riconoscendo la necessità di mantenerne e rafforzarne la conservazione e l'uso sostenibile, in quanto elemento essenziale per il benessere umano.
La strategia nazionale è stata articolata attorno a tre tematiche cardine: biodiversità e servizi ecosistemici, biodiversità e cambiamenti climatici, biodiversità e politiche economiche.
Il tema della biodiversità risulta strettamente interconnesso con la maggior parte delle politiche di settore e il conseguimento degli obiettivi strategici viene affrontato in quindici aree di lavoro: specie, habitat, paesaggio; aree protette; risorse genetiche; agricoltura; foreste; acque interne; ambiente marino; infrastrutture e trasporti; aree urbane; salute; energia; turismo; ricerca e innovazione; educazione, informazione e comunicazione; l'Italia e la biodiversità nel mondo.
La formula di governance definita tra il Ministero dell'ambiente e le regioni nasce dalla consapevolezza che l'attuazione della strategia nazionale per la biodiversità richiede un approccio assolutamente multidisciplinare e una forte condivisione e collaborazione tra il Governo e le amministrazioni centrali e regionali, con il supporto del mondo accademico e scientifico, raccogliendo le istanze dei portatori di interesse. Per questo, è stata individuata la Conferenza Stato-regioni quale sede di discussione e decisione politica in merito alla strategia e si è prevista l'istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un Comitato paritetico composto da rappresentanti delle amministrazioni centrali, delle regioni e delle province autonome. Il comitato sarà affiancato da un Osservatorio nazionale sulla biodiversità che darà il necessario apporto scientifico e multidisciplinare.
Inoltre, è stato istituito un tavolo di consultazione che coinvolgerà i rappresentanti delle principali associazioni delle categorie economiche e produttive e delle associazioni ambientaliste.
In questa legislatura, il Ministero dell'ambiente ha inteso altresì dedicare molta attenzione alle politiche per il
mare, come deve essere - riteniamo - in un Paese peninsulare con quasi 7.400 chilometri di costa. Anche per il mare tuttavia servivano regole nuove. La stessa Unione europea ne ha avvertito la necessità e ha emanato la direttiva n. 56 del 2008.
Noi non abbiamo indugiato a dare attuazione a tale direttiva. Come sapete, il testo del decreto di recepimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri pochi giorni fa, dopo avere acquisito i pareri delle Commissioni parlamentari.
Si tratta di un passaggio veramente importante, perché la direttiva richiede agli Stati di raggiungere entro il 2020 e di mantenere, mediante la realizzazione di programmi e di misure definiti sulla base di un approccio ecosistemico della gestione dell'ambiente marino, una condizione delle proprie acque marine definita di buono stato ambientale.
Lo scopo è quello di riuscire a realizzare un equilibrio dinamico tra buono stato ambientale delle acque marine e uno sviluppo sostenibile. Per raggiungere tali obiettivi, occorre instaurare un quadro legislativo che favorisca l'integrazione a fini ambientali delle diverse politiche di settore, quali la politica della pesca, la politica agricola, quella dei trasporti marittimi e le altre pertinenti sia nazionali che comunitarie.
Lo stato di salute del nostro mare richiede infatti che le azioni adottate dalle autorità pubbliche siano fra loro coordinate, coerenti e ben integrate in relazione a quelle previste da altri atti normativi comunitari e accordi internazionali.
Ovviamente, il recente disastro ecologico del Golfo del Messico ha rafforzato anche nel Parlamento italiano la convinzione di dover operare un'attenta regolazione delle attività legate all'estrazione e al trasporto degli idrocarburi a mare, per prevenire incidenti che possono determinare gravi ripercussioni non solo ambientali, ma anche economiche e sociali.
Grazie al contributo della Commissione ambiente, abbiamo introdotto nuove regole nel rilascio dei permessi di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare, nelle aree marine protette e costiere.
Inoltre, occorre considerare la precedente presa di posizione della Commissione europea che, in una comunicazione, ha messo in luce proprio i rischi dell'esplorazione di idrocarburi offshore, raccomandando agli Stati membri un atteggiamento di precauzione e di attenzione che la norma entrata in vigore di recente in Italia sembra aver perfettamente interpretato e anticipato.
Lo spirito di questo intervento è dunque quello di conseguire l'obiettivo di tutelare pienamente ambiti di grande interesse ambientale, già ritenuti meritevoli di salvaguardia per le caratteristiche del territorio, per la loro biodiversità, facendo piena applicazione del principio di precauzione.
Nella vigenza di queste norme, dal Ministero per lo sviluppo economico sono stati autorizzati nel sottofondo marino due permessi di prospezione, ventiquattro permessi di ricerca e sessantacinque concessioni di coltivazione.
A seguito delle limitazioni introdotte, è stata da noi avviata una verifica dei procedimenti in corso. Complessivamente, in relazione ai ventuno progetti per i quali gli accertamenti sono già stati ultimati, risulta che ben sedici, ovvero ben il 76 per cento, intercettano le aree di divieto in questione.
Sul tema, va peraltro aggiunto che il problema dei rischi connessi con le attività petrolifere nell'offshore si pone anche fuori dal contesto nazionale, con riferimento ai Paesi che si affacciano sul bacino mediterraneo. Per questa ragione il Ministero dell'ambiente promuoverà la collaborazione con altri Stati del bacino mediterraneo, per la condivisione di esperienze e lo scambio di informazioni.
Passiamo al tema dei parchi. I 29 milioni di euro previsti nella tabella dalla legge di stabilità non basteranno nemmeno a pagare le bollette, oltre che gli stipendi del personale dei parchi nazionali.
In dettaglio, va puntualizzato che con questa somma dovremmo assicurare non soltanto il funzionamento dei ventiquattro parchi nazionali esistenti, ma anche quelli di quattordici Riserve naturali dello Stato, del Parco tecnologico ed archeologico delle colline metallifere grossetane, del Parco museo delle miniere dell'Amiata, del Parco museo minerario delle miniere di zolfo delle Marche. Dovremmo inoltre far fronte alle spese per l'adesione alla Convenzione internazionale di Rio de Janeiro sulla biodiversità, alla Convenzione di Bonn e alla Convenzione sul commercio internazionale di flora e fauna minacciate di estinzione (CITES).
La linea del Ministero dell'ambiente è quella di incentivare la costituzione dei nuovi parchi nazionali. In questa direzione, nel corso del 2011, dovrebbero essere istituiti quattro parchi nazionali in Sicilia, quello delle Egadi e del Litorale trapanese, delle Eolie, di Pantelleria e degli Iblei, nonché quello in Abruzzo della Costa teatina. Tuttavia, i relativi contributi ordinari, prudenzialmente quantificati in 500.000 euro ciascuno, per assicurare almeno le iniziali attività, graveranno sullo stesso capitolo di bilancio, concorrendo così al riparto dei 29 milioni di euro.
Il problema delle risorse riguarda naturalmente anche le aree marine protette che rappresentano un prioritario traguardo per la difesa della biodiversità marina e la tutela di zone di particolare pregio ambientale e paesaggistico. Le aree marine protette devono tutelare le specie e gli habitat marini e conservare la biodiversità. Per farlo, occorrono risorse. Ad oggi, le ventisette aree marine protette istituite necessitano di risorse certe sia per assicurare almeno il livello minimo di funzionalità, che per preservare gli obiettivi fino ad ora raggiunti nella salvaguardia e tutela ambientale.
La stima operata dagli uffici indica che per le ventisette aree marine protette già istituite e le altre cinque che si prevede di istituire nel corso del 2011, il fabbisogno minimo ammonta ad almeno 11.300 euro.
Se non intervengono subito le misure correttive promesse nel corso dell'ultimo Consiglio dei ministri, ma non ancora attuate, non resterà altro da fare che chiudere almeno la metà dei parchi oggi esistenti, disperdendo un inestimabile serbatoio di conoscenze ed esperienze che il mondo ci invidia, che sono il motore economico di aree talora depresse e una forma di tutela della natura, che oltretutto attira turisti con relativo giro d'affari.
In altri termini, i nostri parchi nazionali non sono soltanto dei gioielli naturalistici del nostro Paese, ma sono anche giacimenti di biodiversità con un potenziale economico molto rilevante. Del resto, i numeri parlano chiaro. Negli ultimi sette anni, il turismo nei parchi nazionali è aumentato del 34 per cento rispetto al 19 per cento del turismo in generale e il giro economico legato al sistema turistico nei parchi nazionali si attesta intorno al 10 per cento dell'indotto complessivo del turismo.
I parchi andrebbero dunque maggiormente valorizzati e non scarnificati. Non dico che le risorse devono essere solo pubbliche. Con una modifica normativa è possibile attrarre investimenti privati e risorse private nei parchi, ma il minimo indispensabile deve essere assicurato.
Stiamo lavorando intensamente con Federparchi. Ho chiesto loro di dare suggerimenti su come modificare la normativa dei parchi e a giorni presenteranno una proposta. Al Senato c'è già una proposta che è in avanzata fase di discussione. Il Ministero aveva avanzato delle idee sin dall'inizio della legislatura, ma poi si era detto che volevamo privatizzare i parchi. Non era nelle nostre intenzioni privatizzare i parchi. Ci eravamo posti, forse, con un certo anticipo, il problema della sopravvivenza dei parchi che purtroppo esiste.
ERMETE REALACCI. Signor Ministro, le chiedo scusa. Posso chiederle un chiarimento
- ne avevamo parlato anche in precedenza con il presidente della Commissione - per capire come intendiamo lavorare?. Gli argomenti esposti sono molto interessanti e sono sicuro che ve ne siano molti altri...
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Non ho neanche finito la relazione...
ERMETE REALACCI. Questo lo immaginavo. Tuttavia, siccome è un remake, nel senso che la volta scorsa...
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. No, non è un remake.
ERMETE REALACCI. Intendo dire, signor Ministro, che siccome nella sua precedente audizione abbiamo ascoltato una relazione di un'ora e venti, a seguito della quale formulammo delle domande e ci rivediamo adesso dopo circa un anno, vorremmo capire come gestire i nostri lavori. Mi sembra che lei abbia detto che si aspettava delle domande e che in seguito sarebbe tornata per rispondere. Possiamo anche procedere in questo modo.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. No, io nono sapevo...A me è stato chiesto di venire a riferire sulle politiche ambientali. Quindi, ho posto in rassegna tutti i settori delle politiche del Ministero e ve li sto presentando. Dopodiché, se vorrete, porrete delle domande. Se non ci sarà il tempo di rispondere o se non avrò elementi tecnici, mi riserverò di portarvi le risposte. La prossima settimana non è possibile purtroppo, perché devo andare a Nagoya e in Egitto. Quando torno, la settimana successiva - possiamo fissare anche subito un incontro -, verrò a rispondere.
ERMETE REALACCI. Va bene. Basta che non passi un anno.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Mi è stato chiesto di fare un'audizione ampia sulle attività...
PRESIDENTE. Se possibile, però, signor Ministro, direi di organizzare i lavori in modo che i deputati possano almeno formulare già oggi le domande.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Quanto tempo abbiamo a disposizione?
PRESIDENTE. Non essendo previste votazioni in Aula, la seduta può proseguire anche oltre le ore 16.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Bene, allora direi di finire la relazione, poi i deputati formulino le domande, quindi valutiamo se posso dare subito alcune risposte, come penso e spero. Se dovessero emergere questioni molto tecniche, mi riserverò di tornare a rispondere.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Vorrei fare il punto sul tema delle fonti rinnovabili. Come sappiamo, gli impegni vincolanti in materia di energia da fonti rinnovabili sono stati assunti a livello europeo con il famoso «pacchetto clima-energia 20-20-20».
Per uniformarsi a tale direttiva, l'Italia dovrà raggiungere l'obiettivo del 17 per cento come quota minima di energia da fonti rinnovabili sui consumi finali di energia al 2020 (elettrico, calore e trasporti
sono i tre settori). Tale obbligo ne include un secondo: almeno il 10 per cento dell'energia consumata nel settore dei trasporti deve derivare da fonti rinnovabili.
Il dato incoraggiante è che in Italia si registra un costante aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare, la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili sui consumi finali di energia ha raggiunto nel 2008 il valore di circa il 6,8 per cento. Per il 2010, si stima che sarà possibile raggiungere l'8 per cento, registrando quindi un andamento crescente rispetto alla quota del 2005, che era pari circa al 5 per cento, e in linea tendenziale quindi con l'obiettivo del 17 per cento al 2020.
Passi importanti sono stati fatti negli ultimi anni nel settore elettrico. Nel 2008 - il dato più recente disponibile -, la capacità installata relativa a impianti alimentati da fonti rinnovabili è cresciuta del 7 per cento rispetto al 2007 e quasi del 12 per cento rispetto al 2006.
In particolare, tale evoluzione positiva riguarda principalmente l'eolico e il fotovoltaico. A fine 2009, erano in esercizio impianti eolici per una potenza di quasi 5.000 megawatt, ossia triplicata rispetto al 2005. Nel settore del fotovoltaico, è stato raggiunto e superato l'obiettivo dei 1.200 megawatt di potenza incentivati con il cosiddetto «Conto energia» del decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 (secondo Conto energia). Il 2008 e il 2009 sono stati anni determinanti in tal senso, con circa 64.000 nuovi impianti realizzati. Il 2010 sta confermando tale andamento positivo. Sono stati infatti realizzati oltre 30.000 nuovi impianti e attualmente la potenza installata ammonta a 1.600 megawatt. Si tenga presente che prima del 2005, cioè precedentemente all'entrata in vigore del primo conto energia, l'apporto del fotovoltaico alle produzioni elettriche nazionali era del tutto trascurabile. L'effetto positivo ottenuto da questo strumento ha convinto
il Governo a insistere ed è stato definito il terzo Conto energia, con le nuove tariffe incentivanti e il nuovo obiettivo di potenza al 2020 pari a 8.000 megawatt.
Sul lato calore, cioè riscaldamento e raffrescamento, si stima che le fonti rinnovabili al 2010 possano rappresentare circa il 6,5 per cento dei consumi finali di energia. Al 2005, questa quota era inferiore al 3 per cento. Tale risultato si deve principalmente a due meccanismi che hanno sostenuto le tecnologie del solare termico, del geotermico e delle caldaie a biomassa, ossia i cosiddetti «Certificati bianchi» o titoli di efficienza energetica e le detrazioni fiscali del 55 per cento; queste ultime per interventi di piccola entità, ma altamente diffusi sul territorio.
Ai fini dell'obiettivo complessivo del 17 per cento al 2020, proprio nei settori del calore e dei trasporti, occorrerà compiere gli sforzi maggiori. Si tratta di passare rispettivamente dal 2,8 per cento e 0,9 per cento del 2005 a 17 e 10 per cento nel 2020. Dobbiamo dunque compiere uno sforzo veramente molto grande.
Di recente, è stato definito e trasmesso alla Commissione europea il Piano d'azione nazionale per le energie rinnovabili, così come previsto dalla stessa direttiva. Il Piano si basa su due obiettivi generali di pari importanza. In primo luogo, è necessario aumentare le produzioni da fonti rinnovabili in tutti i settori (elettrico, calore e trasporti). Al 2020 occorrerà all'incirca triplicare i consumi di energia da fonti rinnovabili rispetto al 2005.
In secondo luogo, si dovrà ricorrere ad uno straordinario impegno per l'incremento dell'efficienza energetica e la riduzione dei consumi di energia. In pratica, al 2020 occorrerà stabilizzare i consumi finali ai valori attuali, quindi circa 133 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.
Al perseguimento di questi obiettivi tendono fra l'altro il nuovo Conto energia per il fotovoltaico (decreto ministeriale del 6 agosto 2010), le linee guida - questo è un lavoro molto importante che abbiamo fatto con il Ministero dello sviluppo economico - per l'autorizzazione
unica degli impianti alimentati con fonti rinnovabili, che finalmente renderanno uniformi su tutto il territorio nazionale le procedure relative alla cosiddetta autorizzazione unica per la realizzazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonché le semplificazioni delle procedure di autorizzazione.
In modo schematico, l'attuazione del Piano nazionale e l'ammodernamento del sistema normativo interno favoriranno il processo teso a: garantire il conseguimento degli obiettivi nazionali, mediante la promozione di efficienza energetica e di utilizzo di fonti rinnovabili; semplificare in modo efficace le procedure e i procedimenti a capo della costruzione e dell'esercizio degli impianti alimentati con fonti rinnovabili, e quindi anche relativamente alle infrastrutture di rete; lavorare per lo sviluppo e la gestione della rete elettrica di trasporto e distribuzione, al fine di garantire l'integrazione in sicurezza dell'elettricità da fonti rinnovabili (sarà importante muovere verso il concetto di rete intelligente); introdurre misure volte a migliorare la cooperazione tra autorità locali, regionali e nazionali; favorire le iniziative di cooperazione per i trasferimenti statistici e per i progetti comuni con Stati membri dell'UE e Paesi terzi.
In questo quadro in forte divenire, il Ministero gestisce principalmente due strumenti che riteniamo daranno una spinta decisiva sia alla diffusione di fonti rinnovabili che all'incremento dell'efficienza e del risparmio energetico. Il primo è il fondo di rotazione per Kyoto, che finalmente è stato reso operativo. Esso ammonta a 600 milioni di euro, erogabili in forma di credito agevolato, ed è dedicato alla realizzazione di impianti energetici puliti ed efficienti distribuiti sul territorio. Il secondo strumento è il Programma operativo interregionale (POI), «Energie rinnovabili e risparmio energetico 2007-2013», per il quale sono disponibili 534 milioni di euro a supporto di interventi di efficienza energetica (i primi bandi sono già stati emanati nel 2010).
Fra i bandi volti a incentivare l'utilizzazione di fonti di energie rinnovabili, ricordo in particolare: il bando adottato dal Ministero per finanziare la realizzazione di interventi per l'efficientamento energetico degli edifici di proprietà dei comuni fino a 15.000 abitanti, compresi i borghi antichi e di pregio, e le loro forme associative, delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia; il bando diretto all'efficientamento energetico degli edifici delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere presenti in Campania, Puglia e Sicilia; il bando bike sharing e fonti rinnovabili, che cofinanzia investimenti volti alla riduzione delle emissioni; il bando per il finanziamento di progetti di ricerca finalizzati ad interventi di efficienza energetica e utilizzo delle fonti di energie rinnovabili in aree urbane e il bando «Il sole a scuola», finalizzato alla realizzazione di impianti fotovoltaici sugli edifici scolastici.
Ritengo opportuno aggiungere a questo punto alcune considerazioni riguardo al tema del nucleare.
Intendo farlo anzitutto perché il Governo avverte la responsabilità di svolgere un'opera di informazione obiettiva e trasparente per aiutare il Paese a valutare il nucleare in modo corretto, nell'ottica di accompagnare questa decisiva spinta verso una maggiore autosufficienza energetica con un confronto ampio, con scelte consapevoli, con il consenso dei territori e con le massime garanzie di sicurezza e le migliori tecnologie. Evidenze scientifiche confermano che il nucleare sicuro è possibile e noi vogliamo realizzare quello nel nostro Paese.
Inoltre, poiché dopo il referendum in Italia vi è stato il sostanziale azzeramento del dibattito pubblico sui temi del nucleare, dando luogo alla progressiva riduzione del livello di conoscenza da parte dei cittadini e delle stesse istituzioni, soprattutto a livello locale, il Governo ritiene necessario dare ulteriore impulso ad alcune misure in particolare.
Innanzitutto, occorre garantire la massima qualità e sicurezza degli impianti, attraverso il più elevato livello di attenzione
possibile per i requisiti da imporre agli operatori del settore per la scelta dei siti, per il decommissioning, per la radio protezione e per la gestione dei rifiuti radioattivi.
Inoltre, è necessario: promuovere una corretta, trasparente e aggiornata comunicazione e informazione nei confronti dei cittadini e dei diversi livelli istituzionali coinvolti; rafforzare il dialogo e la cooperazione con le regioni e con gli enti locali in fase di definizione delle scelte strategiche; illustrare, e dove è necessario modificare, le misure compensative previste dalle norme già emanate in favore dei territori interessati, in particolare attraverso il riconoscimento, agli enti locali e alle popolazioni, di incentivi economici legati sia alla costruzione che all'esercizio degli impianti.
È per questo che la legge n. 99 del 2009 ha previsto un'articolata sequenza per il ritorno dell'Italia al nucleare. Una sequenza - ci tengo a precisarlo - che stiamo rispettando.
Il primo passo previsto è l'avvio dell'Agenzia per la sicurezza nucleare, istituita direttamente dalla legge. Per consentirle di operare era però necessario dotarla di uno Statuto - e noi lo abbiamo fatto - e nominare cinque componenti dell'Agenzia. Anche in questa direzione il Governo non è rimasto inerte, conciliando il ritorno dell'Italia al nucleare con l'esigenza di fornire le garanzie che gli italiani chiedono e a cui hanno diritto.
In questa direzione, prima della pausa estiva, abbiamo considerato con il Presidente del Consiglio dei ministri, cui spetta la nomina del, il profilo del presidente dell'Agenzia, affinché la relativa scelta cadesse su una persona dalle competenze tecniche unanimemente riconosciute anche al di fuori dell'Italia. Non ci siamo fatti condizionare al riguardo da logiche di schieramento o da meschini calcoli politici, come riteniamo debba accadere ogni qualvolta sia in gioco il futuro del nostro Paese. Ormai le nomine sono imminenti. Non posso fare nomi, perché spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, comunque, saranno definite a giorni.
Il Ministero dell'ambiente, oltre alla sua presenza all'interno dell'Agenzia, è direttamente coinvolto in una serie di competenze: nell'elaborazione della strategia nucleare nazionale; nell'individuazione delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari; nella valutazione ambientale e strategica della strategia nucleare nazionale; nella certificazione dei siti; nella gestione dei rifiuti radioattivi, a partire dalla identificazione e realizzazione del sito nazionali stoccaggio; nell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti, nella partecipazione ai programmi internazionali per lo sviluppo dei reattori di quarta generazione; nel monitoraggio ambientale e nell'informazione alla popolazione.
Tra le questioni più delicate rientra certamente l'individuazione delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari. Al riguardo, i criteri di previsione e valutazione dei rischi ambientali e sanitari devono considerare i possibili fattori critici, che si presentano peraltro differenziati nelle diverse aree del Paese in ragione della variabile incidenza di una serie di elementi: elevata e diffusa densità demografica, fragilità idrogeologica del territorio e sismicità, variabilità della disponibilità stagionale di acqua per il raffreddamento di impianti e caratteristiche dei corpi idrici ricettori degli scarichi termici.
Nello stesso tempo, poiché le priorità sono rappresentate dalla protezione sanitaria delle popolazioni e dalla protezione ambientale dalle radiazioni ionizzanti, è necessario attuare una campagna di monitoraggio, integrata da analisi epidemiologiche, nei possibili siti di localizzazione degli impianti, ai fini della mappatura dello zero di riferimento per la valutazione dei rischi sanitari e ambientali nella costruzione ed esercizio degli impianti.
A questo va aggiunto che un Governo che avverta la responsabilità di un'operazione di così vasta e decisiva portata
non può pensare di sviluppare il ritorno al nucleare in chiave puramente domestica, come se si trattasse di una faccenda senza implicazioni nelle relazioni politiche ed economiche con gli altri Paesi. Questo errore non lo abbiamo compiuto. Fin dal momento in cui l'impegno del Governo su questo tema ha iniziato a concretizzarsi in alcuni atti preliminari, tra i quali, voglio ricordare in particolare l'accordo firmato il 24 febbraio 2009 tra i presidenti Berlusconi e Sarkozy per la collaborazione tra Italia e Francia in tutti i settori della filiera nucleare, con i primi memorandum of understanding fra i due principali operatori elettrici dei due Paesi, ENEL ed Edf, e con l'obiettivo della realizzazione di almeno quattro centrali di terza generazione nel territorio italiano.
Un ulteriore passo significativo è rappresentato dall'ispezione condotta dalla Commissione dell'Unione europea nei giorni 3 e 7 maggio 2010 presso alcune regioni del sud Italia (Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata), secondo quanto previsto dall'articolo 35 del trattato Euratom. Il Ministero ha partecipato attivamente alla preparazione di tale ispezione, in raccordo con l'ISPRA e le regioni, contribuendo all'esito positivo della stessa.
Ritengo siano da considerare addirittura fondamentali gli accordi che abbiamo sottoscritto con la Francia il 9 aprile 2010 e con gli USA il 21 luglio 2010 che, come è noto, detengono il più importante know-how a livello mondiale in materia di tecnologie nucleari e conseguentemente in termini di sicurezza, di gestione del ciclo combustibile, di rapporti con le realtà territoriali e più in generale di tutto quanto connesso alla filiera del nucleare.
In particolare, il protocollo siglato con la Francia istituisce tra i due Paesi un regolare sistema di scambio di informazioni e di esperti, in materia di sicurezza nucleare. Al tempo stesso, è stato firmato un accordo di collaborazione tra l'ISPRA e l'Agenzia per la sicurezza nucleare francese, finalizzato allo scambio di informazioni nelle questioni relative alla scelta dei siti, alla costruzione, alla messa in opera e al decommissioning di impianti nucleari, al ciclo del combustibile, alla gestione dei rifiuti radioattivi, alla protezione radiologica nei settori industriali, alla ricerca e alla salute.
È importante notare che il protocollo promuove anche gli scambi di informazione e la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali dei due Paesi per l'esercizio delle competenze in materia di protezione dell'ambiente nei siti degli impianti nucleari; per la definizione di programmi comuni in ambito europeo e internazionale; per la promozione di procedure e buone pratiche, finalizzate alla definizione di standard condivisi; per la gestione in sicurezza degli impianti nucleari; per la protezione dell'ambiente e la salvaguardia della salute delle popolazioni.
Per quanto riguarda le intese con gli USA, invece, è stato siglato con l'Agenzia governativa americana, attraverso l'ISPRA, un trattato sulla sicurezza che ha aperto un'importante confronto sulla tecnologia alternativa all'EPR detenuta dalla Westinghouse electric company.
Allo scopo di confrontarci con il maggior numero possibile di esperienze, abbiamo guardato anche ad est. In questo senso, desidero ricordare l'accordo siglato con la Slovenia, in data 24 maggio 2010, con il quale è stato promosso uno scambio di informazione reciproca, volta a condividere e risolvere tutti gli eventuali problemi derivanti dalla vicinanza dei due Paesi.
Cambiamo argomento e parliamo del negoziato per la regolamentazione dell'emissione dei gas ad effetto serra, per il periodo post 2012, che è ancora in corso in vista di Cancun.
Fallita Copenhagen, c'è la consapevolezza internazionale che il livello di ambizione verso Cancun deve essere mirato ad un obiettivo possibile e raggiungibile, per evitare che ponendo delle ambizioni troppo elevate anche questa occasione sia un fallimento, e, al contrario, per far progredire questo negoziato che è fondamentale.
Cancun si configura infatti come un passo intermedio verso la definizione di un regime globale per il periodo post 2012 che avverrà, nella migliore delle ipotesi, nel 2011 o, più realisticamente, dopo il 2011. Al momento, gli sforzi a livello internazionale sono orientati ad estrarre dai complessi dati negoziali l'ossatura delle decisioni che dovrebbero essere adottate a Cancun.
In questo contesto, l'Italia si sta adoperando, affinché queste decisioni: siano equilibrate, ossia riguardino non solo le tematiche di interesse per i Paesi in via di sviluppo, quali i finanziamenti, il capacity building, il trasferimento di tecnologie, ma anche le misure per la riduzione dell'emissione di gas ad effetto serra in tutte le maggiori economie; non pregiudichino soprattutto la possibilità di giungere ad un accordo globale, legalmente vincolante, che preveda impegni confrontabili, non soltanto in termini di sforzo di riduzione, ma anche di natura legale degli impegni, per tutti i Paesi industrializzati.
Riteniamo prioritario quest'ultimo punto e per tale ragione l'Italia ha sempre sostenuto la necessità di giungere ad un accordo unico, legalmente vincolante, che regolamenti, seppure in maniera differenziata, le emissioni di tutti i Paesi industrializzati e quelle dei Paesi in via di sviluppo. Siamo infatti fermamente convinti che questo sia il modo migliore per garantire l'efficacia del sistema e verificare l'effettiva confrontabilità degli impegni di riduzione.
Siamo anche consapevoli della pressante richiesta dei Paesi in via di sviluppo di non uccidere il protocollo di Kyoto. Quest'ultimo, tuttavia, ha dimostrato di non essere uno strumento efficace a causa prima di tutto dal mancato impegno degli USA e poi della conseguente assenza di un qualsivoglia impegno delle economie emergenti.
I partner attuali del protocollo, quali Canada, Giappone e Russia in particolare, hanno già chiarito di non essere interessati ad un Kyoto2, che abbia le stesse caratteristiche del protocollo in vigore. Gli USA da parte loro non sembrano in grado di adottare alcun impegno vincolante di riduzione delle emissioni per l'opposizione del Senato e la Cina, l'India, il Brasile, il Messico e il Sudafrica aspettano di conoscere che posizione assumeranno gli USA.
In queste condizioni, un impegno unilaterale dell'Unione europea per un Kyoto2 rappresenta al massimo un atto di buona volontà e comunque rischia di penalizzare l'economia europea senza alcun reale vantaggio ambientale. Già a Copenhagen del resto abbiamo sperimentato che l'impegno unilaterale del 20-20-20 non ha avuto alcun effetto sul negoziato. Inoltre, è difficile immaginare che tale posizione possa avere qualche effetto di convincimento sui Paesi industrializzati non europei.
Comunque, nell'ipotesi in cui, nell'ambito del negoziato, l'opzione di un Kyoto2 condizionato guadagnasse consensi, per quanto ci riguarda, la condizione irrinunciabile per dare attuazione agli impegni in esso contenuti sarebbe che, contestualmente, si raggiungesse un accordo legalmente vincolante che regolamenti le emissioni di tutti i Paesi industrializzati, che non saranno parte del secondo periodo degli impegni di Kyoto, e dei Paesi con economia emergente.
Lo stato del negoziato ad ogni modo non fa ben sperare nella possibilità di giungere a Cancun ad un risultato positivo. I problemi aperti a Copenhagen sono ancora sul tavolo, con qualche elemento ulteriore di criticità. Mentre a Copenhagen si nutriva infatti ancora qualche speranza su un impegno USA entro il 2010, oggi questa ipotesi appare assai più remota.
La crisi finanziaria mondiale, per altro verso, rende molto più problematico l'impegno assunto a Copenhagen dai Paesi industrializzati di sostenere le politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo con fondi nuovi e addizionali, pari a 10 miliardi di dollari l'anno per il periodo 2010-2012 (il famoso Fast Start), e con 100 miliardi di dollari l'anno
per il periodo 2013-2020. Occorre perciò guardare con realismo all'ipotesi di raggiungimento di un accordo a Cancun.
D'altra parte, sembra anche difficile raggiungere un'intesa su soluzioni intermedie, quali accordi settoriali globali per promuovere tecnologie e buone pratiche attraverso accordi volontari e/o standard condivisi, perché il modello negoziale è ancorato al format delle Nazioni Unite e non ha la flessibilità sufficiente per cercare percorsi diversi da quelli consolidati nell'ambito ONU (i famosi due track).
In questa situazione, l'Unione europea rischia di essere esposta al doppio risultato negativo di un ulteriore impegno unilaterale di riduzione delle emissioni e di un sostanziale fallimento del negoziato. L'Italia ovviamente ha scoraggiato e scoraggia impegni unilaterali dell'Unione europea, mentre nello stesso tempo ha promosso e continua a promuovere la ricerca di possibili percorsi innovativi, anche attraverso accordi nell'ambito del gruppo G20 o del MEF.
Quanto a quel che accade in ambito dell'Unione europea, l'Agenzia europea dell'ambiente ha recentemente pubblicato un rapporto sullo stato degli impegni degli Stati membri rispetto all'obiettivo di riduzione delle emissioni stabilito dal protocollo di Kyoto. Secondo l'Agenzia, la Spagna, l'Italia, l'Austria, l'Irlanda potrebbero non raggiungere l'obiettivo con le sole misure di riduzione delle emissioni nel mercato interno.
In particolare, l'Italia, pur avendo stabilizzato nel 2009 le proprie emissioni rispetto al 1990, avrebbe difficoltà a rispettare l'obiettivo di riduzione del 6,5 per cento stabilito nell'ambito del protocollo di Kyoto. A questo proposito, si rileva che fin dalla comunicazione nazionale sui cambiamenti climatici fino alla convenzione del 1998, l'Italia, considerando non equo l'obiettivo di riduzione assegnato, ha sempre dichiarato in maniera esplicita che la riduzione delle emissioni richiesta sarebbe stata raggiunta attraverso una combinazione di misure interne e di crediti di emissione generati mediante i progetti di cooperazione, i famosi CDM. Va peraltro sottolineato che, rispetto alle previsioni del 1998, il ricorso ai crediti sarà inferiore a quanto previsto.
Veniamo adesso a un dato di efficienza.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Scusi signor Ministro, si può sapere fino a quando si trattiene?
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ho quasi finito. Manca la parte finale, se vi interessa. Altrimenti, possiamo anche sospendere e aprire la discussione.
SALVATORE MARGIOTTA. Signor Ministro, siamo rimasti un po' sconcertati, ma potrebbe non essere una sua responsabilità. Al presidente della Commissione era stato dato mandato di preparare l'audizione in un certo modo, ma forse non glielo ha neanche detto.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Mi è stato chiesto di fare un'ampia relazione sulle politiche ambientali del Ministero, poi il presidente della Commissione stabilirà cosa dire.
Vi sono ancora dati che riguardano la VIA, la VAS, l'AIA, la decretazione attuativa, le direttive e via dicendo. Ad ogni modo, posso anche semplicemente accennare queste informazioni e lasciarne copia alla Commissione. La relazione è quasi finita. Non scappo. Tornerò in Commissione. Decidiamo ora come impostare la mia prossima audizione in Commissione.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Se mi dite quali sono gli argomenti che vi interessa approfondire, possiamo procedere in tal senso.
Credo di averli illustrati quasi tutti. Rimangono solo da definire, per vostra conoscenza, i dati relativi al lavoro svolto dalle commissioni VIA, VAS ed AIA. Ritengo che possa essere di vostro interesse fare un bilancio dei due anni di lavoro svolto.
Volevo anche informarvi - ma ve lo lascio agli atti, posso anche concludere qui - circa i decreti attuativi che sono stati emanati. Abbiamo trovato una situazione, nella quale erano state formulate tante norme che tuttavia rimanevano bloccate. Quindi, abbiamo predisposto decine e decine di decreti attuativi in tutti i settori. Oltre a ciò, abbiamo dato un impulso non da poco all'attività di recepimento delle direttive europee.
Forse vi può essere utile avere qualche dato sul bilancio del Ministero dell'ambiente, anche per fare delle valutazioni come Commissione. Si tratta di dati pubblici. Non nascondo che la situazione nella quale opera il Ministero è sicuramente difficile. In pratica, siamo passati da un bilancio di 737 milioni di euro nel 2008 a una cifra di circa 500 milioni di euro iscritti nel 2010 che poi scende nel 2011.
Probabilmente, abbiamo avuto una sofferenza maggiore rispetto ad altri ministeri. È evidente infatti che quando si vanno a operare dei tagli lineari, vista la situazione difficile, se questi vanno a incidere su un bilancio ricco, tutto sommato, si possono fare delle economie interne, si possono spostare i capitoli, le risorse, riuscendo comunque in qualche modo a mantenere gli obiettivi minimi previsti dalla legge. Per il Ministero dell'ambiente, invece, è chiaro che in queste condizioni è veramente difficile operare. Con i 500 milioni previsti nel 2011, rischiamo di pagare soltanto le spese di gestione e di funzionamento del Ministero, ossia di fare l'ordinaria amministrazione e basta.
Tra l'altro, come avete sentito, nella relazione ho citato tante bonifiche realizzate. Abbiamo parlato di cifre importanti. Abbiamo svolto un lavoro di grande efficienza, rimettendo nel circuito risorse vecchie che erano bloccate e risorse ferme e riprogrammando risorse esistenti, ma adesso abbiamo esaurito tali risorse. Adesso noi lavoriamo solo con il bilancio, con il miliardo di euro dei fondi FAS e con l'attività delle transazioni che fa rientrare fondi nelle casse dello Stato.
Segnalo che pochi giorni fa il Governo ha licenziato la nuova direttiva europea sulle emission trading da applicare al settore dell'aviazione. In quella direttiva manca un pezzo importante, senza il quale personalmente non firmerò tale recepimento della direttiva. Mi riferisco al fatto che, come per il sistema emission trading, i fondi che derivano dalle aste pubbliche dei certificati di carbonio devono essere riassegnati al Ministero dell'ambiente che sviluppa, nel caso delle industrie assieme al Ministero dello sviluppo economico nel Comitato interministeriale, delle politiche per contrastare i cambiamenti climatici e per ridurre le emissioni.
È chiaro che deve essere applicato lo stesso metodo anche per il sistema aviazione, perché si tratta di un ampliamento della direttiva madre. Quindi, i soldi che deriveranno delle aste pubbliche del settore dell'aviazione non possono avere destinazione diversa. La direttiva europea dice esplicitamente che devono essere riassegnati al Ministero dell'ambiente, che li spenderà ovviamente con il contributo del Ministero dei trasporti, in questo caso responsabile del settore del trasporto aereo.
La Ragioneria generale dello Stato ha eccepito che nella legge di recepimento della direttiva europea non era contenuta una delega espressa su questo punto. Secondo noi, questo è un pretesto per tentare, come sempre, di far incamerare tali risorse al Ministero dell'economia. Peraltro, quando è stata recepita la direttiva madre non vi era contenuta una delega e si è deciso, anche in accordo con il Parlamento, che le risorse derivanti da tali settori avessero determinate destinazioni.
D'altro canto, la tassa ambientale segue il principio del chi inquina paga.
Tuttavia, si paga perché le risorse vengano spese a fini del disinquinamento. Lo segnalo alla Commissione, perché voi esprimerete un parere. Se questo seguirà l'orientamento della direttiva madre, mi consentirà di chiedere al Consiglio dei ministri, in seconda lettura, di includere le condizioni che eventualmente la Commissione vorrà indicare.
Insomma, la situazione del Ministero è di grave carenza. Al di là degli obblighi previsti dalle norme sulle bonifiche, sugli interventi, sulla qualità dell'aria e tutti gli obblighi per i quali il Ministero dell'ambiente ha una responsabilità, credo che il Ministero dovrebbe anche spingere maggiormente sulle politiche di sviluppo, assieme al Ministero dello sviluppo economico.
Ovviamente, siamo in una fase delicata e difficile, però in questa situazione non riusciamo neanche a garantire il rispetto degli obblighi che abbiamo. Quindi, non possiamo immaginare di fare una politica che vada oltre questo.
Adesso si dovrà procedere a ripartire le risorse in vista dell'emanazione del decreto-legge di fine anno. Già circola una cifra in proposito, ma si tratta di dati assolutamente non certi. Credo che una quota di queste risorse debba essere assolutamente indirizzata ad altre priorità, quali la riforma dell'università, ma ritengo anche che una parte di queste risorse debba essere assegnata al Ministero dell'ambiente per la sua azione in settori strategici. Penso, come ho già detto, alle fonti rinnovabili, che credo siano il maggiore volano, agli obiettivi del 20-20-20 che dobbiamo raggiungere, all'investimento sulle reti intelligenti che ritengo siano una grande innovazione per il nostro Paese, una modernizzazione, che guarda al futuro e che un domani potrà rendere non assistita la produzione di energia da fonti rinnovabili. Infatti, se chi fa l'investimento avrà la possibilità di vendere tale energia e quindi di farla
circolare nelle reti, attraverso le smart grid, possiamo ipotizzare per il futuro un settore delle fonti rinnovabili che sia meno assistito, meno incentivato e che viva veramente di mercato.
Questi sono gli obiettivi del Ministero per quanto concerne le politiche ambientali. Credo di aver toccato tutti i temi più importanti. Sicuramente, ne avrò dimenticati alcuni, ma penso che i più rilevanti siano stati sviluppati dalla mia relazione. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
RAFFAELLA MARIANI. A noi dispiace che ci sia stato questo equivoco sull'organizzazione dei lavori della Commissione, signora Ministro. Avendo così rare occasioni di incontrarci, avremmo preferito affrontare direttamente alcune questioni che volevamo poter dibattere già oggi. Il nostro timore è infatti quello - inutile ripeterlo, lo hanno già detto i colleghi - di ritrovarci tra un anno ad ascoltare risposte a domande che porremo oggi.
Detto questo, non voglio perdere tempo. In questa Commissione non siamo abituati a fare polemiche inutili. Vorremmo che il nostro lavoro andasse a buon fine e abbiamo sempre ritenuto che, anche per un difficile rapporto con il Ministero, questa Commissione avrebbe potuto dare contributi maggiori e costruttivi.
Abbiamo ascoltato molte cose. Sarebbe necessario anche rileggere il testo della sua esposizione. Una relazione lunga come quella da lei presentata richiederebbe infatti la possibilità di approfondire meglio alcune delle questioni da lei sollevate.
Ad ogni modo, ci eravamo concentrati su alcuni temi fondamentali che ci siamo divisi tra colleghi, per porle almeno le questioni che riteniamo prioritarie.
Personalmente, mi interessa far rilevare degli aspetti generali, anche di metodo, rispetto all'atteggiamento che vorremmo che il Ministero condividesse con questa Commissione. Facciamo l'opposizione,
ma siamo anche convinti che su alcune questioni si possano trovare delle condivisioni.
Lei ha citato la difesa del suolo e i fondi per la messa in sicurezza del nostro territorio. Nella passata legge finanziaria fu stanziato il famoso miliardo di euro per il programma relativo alla messa in sicurezza. Abbiamo segnalato in più occasioni, anche nella discussione che abbiamo svolto da soli a conclusione di un'indagine conoscitiva molto interessante di questa Commissione sulla difesa del suolo, che era necessario istituire un capitolo di spesa, costruire uno schema di decreto e spendere quei soldi. Rispetto a questo, oggi lei ci conferma quello che temevamo, ossia un attacco da parte del Governo in generale - poi possiamo di volta in volta attribuire le colpe a Bertolaso, a Tremonti o a Matteoli - al fondo per la messa in sicurezza del territorio che riguarda tutte le regioni.
Lei ha sottolineato che c'è una questione di priorità difficile da individuare, ma quel fondo oggi non è ancora stato utilizzato. Il nostro timore è che uno dei motivi che lo rende debole sia legato al fatto che non abbiamo attuato una spinta effettiva a spendere quelle risorse.
Nella serie di audizioni che abbiamo tenuto con le regioni, con le Autorità di bacino, con tutti i soggetti - che sono moltissimi, anche troppi - competenti su questo tema, è sempre stato detto che non c' era bisogno di fare una nuova pianificazione, ma casomai di individuare le priorità e di spendere quei fondi. Ci dispiace, perché anche in recenti risposte a nostre interrogazioni parlamentari, ci è stato detto che rispetto a quel fondo non è ancora stato predisposto uno schema da inviare al CIPE, e questo ulteriore ritardo va considerato anche per tutto quello che comporta in termini di allungamento dei tempi.
L'altro aspetto che richiamo attiene al sistema più generale di organizzazione del Ministero e, come avvenuto per il sistema Sistri, sta creando grandi disagi alle istituzioni, alle imprese e ai gestori: si tratta dell'aspetto relativo alla regolazione del servizio idrico integrato. Questo Ministero infatti ha fatto scadere la delega legislativa che pure aveva voluto per la correzione del Codice ambientale senza neanche prendere in considerazione la partita che riguarda il sistema idrico e le acque.
Per questo, oggi, - dobbiamo renderci conto di questo tema che lei ha solo sfiorato - ci troviamo con la coincidenza di due normative che in qualche modo sono in contraddizione (una è quella del cosiddetto «decreto Ronchi», l'altra quella introdotta dal decreto-legge n. 2 del 2010 (cosiddetto «decreto Calderoli»), quello che abolisce gli ATO. A causa di ciò, alla fine di quest'anno, ci troveremo in gravissime difficoltà organizzative e di gestione del servizio idrico integrato, con tutto quello che ciò comporta in termini di difficoltà amministrative, gestionali e di rapporti con le banche e con le istituzioni che daranno un altro colpo a molte imprese che lavorano in quel settore.
Infine, sottolineo e che dal nostro gruppo è venuto un appello molto forte al Governo su questi argomenti, a non modificare - naturalmente riconosciamo che il Governo abbia l'autonomia di fare le proprie scelte -, ma a semplificare il quadro normativo in materia di gestione di alcune importantissime partite ambientali e nazionali. Oggi, invece, le scelte del Governo hanno portato ad un avvicendamento di norme che non sono state rese coerenti tra loro e che stanno complicando la vita sia alle istituzioni che a chi deve occuparsi della gestione. Questo è un appello e un grido che continuiamo a lanciare. Vorremmo che venisse coinvolto soprattutto il Ministero dell'ambiente, perché la conseguenza di questi atti sarà sicuramente che ci troveremo nel prossimo anno in un caos normativo.
Dal canto nostro, imputiamo a questo Governo - l'avevamo fatto anche con il Governo precedente, quindi non abbiamo timore a dirlo - il fatto che la mancata indicazione di distretti idrografici, così come richiede la direttiva comunitaria, comporti una diminuzione di importanza
e di organizzazione per un sistema che avrebbe invece bisogno di filare direttamente.
Per le altre questioni, che sono molto importanti e rispetto alle quali penso che i colleghi abbiano preparato delle domande, lascio loro la parola. Spero che sia possibile avere occasione di ascoltare presto la sua replica.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Anche io parto dalla questione, che penso stia particolarmente a cuore - si avverte anche quando il Ministro ne parla - del governo del territorio.
Intervengo per chiederle quando ritornerà, se potrà, per parlare di uno strumento che penso possa esserle di aiuto, ossia una mozione che la Camera dei deputati ha approvato all'unanimità lo scorso mese di gennaio proprio su queste tematiche. Le domando dunque se può illustrarci che cosa è stato fatto relativamente ai vari punti su cui si è impegnato il Governo, ma in particolare le chiedo un chiarimento rispetto a quanto oggi riferito a questa Commissione circa le risorse destinate al dissesto idrogeologico.
Lei ha parlato di una somma che si aggira intorno al miliardo - miliardo e 300 milioni di euro per un piano triennale, se non ho capito male. Volevo dunque capire se queste risorse sono spalmate su tre anni, oppure se sono relative soltanto ad un anno. È evidente infatti che se tale somma si dovesse utilizzare nell'arco di tre anni, ci troveremmo nella criticità, che lei stessa sottolineava, determinata da una destinazione esigua di risorse per far fronte al rischio idrogeologico. Dovremmo quindi registrare l'assenza di un'inversione di tendenza, nonostante il Governo si fosse impegnato a dotare di opportune risorse pluriennali un piano nazionale straordinario per il dissesto idrogeologico.
Vorrei dire molte cose sulla irresponsabilità della scelta legata al nucleare. In particolare, vorrei sapere chi metterà le risorse per far fronte a questa scelta energetica. Tuttavia, il tempo a disposizione mi sembra poco.
Ad ogni modo, rispetto alla questione dei siti di interesse nazionale da bonificare, le vorrei segnalare che ho presentato decine e decine di interrogazioni parlamentari, in particolare sulla situazione in alcune aree della Basilicata, ma ho ricevuto risposta solo ad una di esse. Le segnalo tale questione, anche perché spiace vedere che alcuni direttori generali del Ministero esprimono solidarietà o stima nei confronti del direttore dell'ARPA della Basilicata, quando tale persona è all'origine di molte problematiche ambientali che riguardano questa regione.
GIANLUCA BENAMATI. Signora Ministro, cercherò di essere breve, anche perché molti dei temi che lei ha sollevato meriterebbero essi stessi un'audizione specifica. Proverò quindi a limitarmi a un paio di questioni o richieste di chiarimento. Se lei potesse farci pervenire una risposta o comunque riferire in merito in un prossimo incontro, sarebbe molto gradito.
La prima questione riguarda la situazione che ha enunciato sul nucleare. Prendo spunto da una sua dichiarazione iniziale che potrei avere frainteso o che potrebbe essere stata mal formulata, relativa al passaggio in cui ella ha detto che l'ISPRA confluirà nell'Agenzia per la sicurezza nucleare, intendendo - almeno penso che sia così - che l'ISPRA dovrà collaborare strettamente con l'Agenzia per la sicurezza nucleare. Vorrei capire meglio, signora Ministro. Peraltro, molto correttamente lei ha elencato molti degli impegni del suo Ministero nel riavvio del nucleare, sia per la definizione della strategia nazionale, che per l'individuazione dei siti, per la certificazione, per l'emissione dell'autorizzazione unica e per il controllo del territorio in termini di radioprotezione e di quella che lei ha chiamato la definizione dello zero.
Da questo punto di vista, circa gli enti sorvegliati e le risorse umane esistenti all'interno del Ministero, visto che si
tratta di impegni gravosi che richiedono competenze, capacità e personale formato, qual è la situazione esatta per far fronte a questo tipo di necessità? Siamo completamente coperti? Abbiamo la necessità di ulteriori reclutamenti? Siamo carenti in alcune parti?
In secondo luogo, signora Ministro, lei ha parlato del recepimento della disciplina europea sul trattamento e lo smaltimento dei rifiuti che è stata emanata nel 2008. Ovviamente, ha fatto riferimento al passaggio clou di questa disciplina che spinge verso il recupero di materia e di energia, ponendo le discariche come ultimo elemento della catena del ciclo dei rifiuti. Ha fatto obiettivamente e correttamente riferimento ai piani regionali per l'adeguamento del nostro sistema impiantistico nazionale.
Visto che ci ha informato che questa è l'ultima proroga che si intende concedere, le chiederei, signora Ministro, se fosse possibile avere un quadro a livello nazionale dello stato di adeguamento del nostro sistema di smaltimento e trattamento dei rifiuti.
TINO IANNUZZI. Signora Ministro, nel ringraziarla per la sua presenza, le sottopongo solo una questione di drammatica attualità, quella dei rifiuti in Campania.
Come lei ben sa, nel febbraio scorso, con un decreto-legge convertito in legge dalle Camere, il Governo ha ritenuto che per uscire dall'emergenza e rientrare nell'ordinario bastasse sancirlo in un decreto-legge. La situazione è sotto gli occhi di tutti. Si tratta di una condizione di grande difficoltà e preoccupazione che certamente non è enfatico, né retorico, definire a tratti drammatica ed esplosiva. L'emergenza non è terminata per decreto-legge, è riesplosa nei fatti, con una serie di nodi che si trascinano irrisolti e sui quali il Governo deve far conoscere la propria volontà, ma anche la propria ricostruzione della situazione e la decisione circa i provvedimenti da assumere in relazione alle discariche esistenti già sature, alla insostenibile vicenda di Terzigno - rispetto alla quale lei già conosce le posizioni del Presidente del Consiglio dei ministri -, alla vicenda dei termovalorizzatori (non si sa
quando, come e per quanto funzionerà Acerra, mentre gli altri sono fermi) e alla vicenda della raccolta differenziata.
Inoltre, con quel decreto-legge, si riteneva di uscire dall'emergenza e di rientrare nell'ordinario con il principio della provincializzazione che significava e ha significato la decapitazione della competenza dei comuni nell'attività di raccolta dei rifiuti con una soluzione che non trova alcun eguale nell'ordinamento italiano, ossia la decapitazione dei comuni dal punto di vista delle competenze, l'azzeramento di esperienze di qualità e di eccellenza, ma anche dal punto di vista della riscossione e della gestione della TIA e della TARSU.
Colgo dunque l'occasione di questa audizione, per sollevare la questione. Ritengo infatti che tale situazione sia talmente delicata, difficile e irrisolta da richiedere una posizione ufficiale e chiara del Governo. Fra l'altro, le province - non lo dico per fini politici, perché sono quasi tutte, quattro su cinque, governate al centrodestra - implorano e sollecitano il Governo, con il dissenso del sottosegretario Bertolaso, a non far scattare dal primo gennaio 2011 il principio di provincializzazione; mentre la posizione dei comuni è motivata e netta e vi è stata riconfermata. Si renderà conto che questa è la situazione peggiore, dal punto di vista innanzitutto legislativo e istituzionale, ma anche politico, per affrontare una vicenda così delicata.
ALESSANDRO BRATTI. Signora Ministro, evito di fare commenti perché abbiamo poco tempo ed è giusto andare al cuore dei problemi. Riprendo un ragionamento sulla questione dei rifiuti, che credo che sia una delle più grandi emergenze mai finite, che peggiorerà sempre più nel corso del tempo e che rischia di non risolversi.
Lei dice giustamente che il Governo ha una possibilità di intervento dovuta a una legislazione che di fatto affida alle regioni, in condizioni ordinarie, il compito della gestione integrata dei rifiuti. Il compito del
Ministero, invece, dovrebbe essere solo ed unicamente quello del coordinamento dei piani. Tuttavia, come lei ben sa, siamo in una condizione assolutamente straordinaria di difficoltà, non solo in Campania, di cui oggi abbiamo parlato, ma anche in Sicilia. Nella Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, abbiamo oggi approvato la prima relazione territoriale, dedicata alle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana. Mi creda, se avrà occasione di leggerla - peraltro lei conosce bene la terra siciliana - si renderà conto che la situazione è molto, molto complicata. Anche in quel caso ci sono delle situazioni incancrenite: non c'è un impianto a norma, signora Ministro, non c'è una discarica, sia essa privata o pubblica, che non abbia problemi e una serie di difficoltà.
Ebbene, non crede che sia il caso - chiamiamolo piano di emergenza, piuttosto che piano di crisi - che il Governo giochi un ruolo differente rispetto a quello che ha svolto fino ad adesso? Soprattutto, io ritengo che il Governo non si dovrebbe trincerare dietro al fatto che rispetto alla pianificazione non si tratta di una sua responsabilità, ma delle regioni, perché le situazioni non si stanno risolvendo.
A questo proposito, il tema dei finanziamenti e delle compensazioni ambientali, che veniva citato prima rispetto al comune di Terzigno, non è una questione di lana caprina per cui i soldi sono stati usati. Insomma, sembra che adesso non siano così importanti. Lei ha partecipato a dei tavoli ufficiali in cui questi finanziamenti sono stati abbondantemente promessi. Era una delle condizioni necessarie perché si sviluppassero altri ragionamenti.
Pertanto, mancando una delle condizioni fondamentali, è evidente che si manifesti un certo tipo di protesta. Non dico che sia conseguente, perché non siamo così ingenui, ma sicuramente tale aspetto non ha aiutato in una faccenda complessa e complicata come quella di Terzigno. Come lei ben sa, dopo che abbiamo approvato il sito, la regione ha sostenuto una posizione del tutto contraria, visto che se si fosse aperta quella discarica probabilmente non sarebbero arrivati i finanziamenti da Bruxelles. A quel punto, si è dato un segnale assolutamente negativo circa la realizzazione dell'impianto. Successivamente, invece, si è tornati a dire che l'impianto sarebbe stato realizzato. È evidente dunque che sono esplose una serie di tensioni.
Quanto alle bonifiche, avete in campo una serie di ipotetiche o probabili transazioni. Mi interessa capire se è in atto un tentativo di transazione complessiva con Eni-Syndial, per tutti i siti in cui sono presenti. Inoltre, vorrei sapere come si ha intenzione di spendere i soldi che vengono dalle transazioni e anche qual è l'ammontare delle cifre, di che cosa stiamo parlando. Lo chiedo perché ogni tanto ballano delle cifre di un certo peso.
Le porrei ancora una domanda relativamente alle bonifiche, perché anche lì stiamo pagando, abbiamo pagato o pagheremo a breve sanzioni. Sul tema di Pioltello-Rodano, eravamo in infrazione comunitaria. Non intendo ripetere i quesiti posti da Report, ma come avevamo già evidenziato in un'interrogazione parlamentare esistono alcune questioni rispetto al ruolo del capo della sua segreteria tecnica, perché ci sembrava che la molteplicità di incarichi a lui assegnati lo potessero distogliere dal lavoro importante che deve svolgere. Ha veramente tanti incarichi: se si va a leggere il suo curriculum, questo appare evidente e non lo ha neanche negato. Fa parte del CdA di Sogesid, è nel CdA di AMA Roma, è capo della sua segreteria tecnica, è commissario straordinario di Pioltello-Rodano ed è anche commissario straordinario alle isole Eolie, credo. Insomma riveste diversi incarichi, quindi ci interessa
capire come se la cava.
Sull'Agenzia per la sicurezza nucleare, inoltre, va detto che sul piano organizzativo la questione non riguarda solo il presidente, ma anche il consiglio di amministrazione. Inoltre, attraverso lo Statuto sono state risolte una serie di problematiche, ma occorre comprendere quali siano le competenze dell'Agenzia della sicurezza
nucleare, quali siano i soldi e quale il personale. La formula originaria prevedeva una composizione degli organici derivante per il 50 per cento da ISPRA e per il restante 50 per cento da ENEA. Tuttavia, riprendendo anche le considerazioni svolte dal collega Benamati, ci piacerebbe capire quale sia la qualificazione del personale coinvolto e anche il ruolo residuale che rimarrà all'ISPRA rispetto a tali questioni.
Quanto all'ISPRA, ne è stato nominato il presidente che speriamo di incontrare al più presto. Tuttavia, vorrei evidenziare la questione relativa al ruolo di ISPRA e delle Agenzie regionali per il controllo ambientale. A proposito del nucleare, ad esempio, lei ha fatto delle affermazioni che mi lasciano perplesso. Spero, ad esempio, che il monitoraggio ambientale non sia una competenza che si riporti dentro al Ministero, ma che sia una funzione tecnica esercitata da un organismo tecnico. Altrimenti, mi chiedo a che cosa serva avere l'ISPRA e le agenzie regionali del controllo ambientale.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ma l'ISPRA è il Ministero...
ALESSANDRO BRATTI. Anche questa però è una concezione abbastanza curiosa del ruolo di ISPRA, perché dovrebbe essere un'agenzia terza. Se è un ufficio del Ministero...
STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Non è un'agenzia terza. Ma quando mai!
ALESSANDRO BRATTI. È un'agenzia, se non altro perché ha una propria autonomia, visto che ha un CdA con un presidente e un'autonomia giuridica. Altrimenti, scioglietelo, create un ufficio del Ministero e annettete ISPRA. Non dico che sia un'authority, questo è un argomento su cui non mi spendo. Peraltro, lei chiama autorità il CoNViRI, che non è tale, essendo un suo organismo.
Fatto sta che si sta aprendo una discussione - l'ha detto lei stessa - su una probabile Autorità, anche per quanto riguarda l'acqua. Bisognerà capire in sostanza di che morte si vuol far morire l'ISPRA. Volevo intendere questo e volevo capire quali fossero le linee strategiche in merito.
Inoltre, le vorrei porre una domanda sul tema delle rinnovabili. Vorrei capire fino a che punto arrivano le competenze del suo Ministero e dove cominciano quelle del MISE. È abbastanza interessante comprenderlo, perché da qui derivano ulteriori questioni. In particolare, quelle relative agli strumenti per mantenere le detrazioni fiscali del 55 per cento e per svolgere altri ragionamenti come ad esempio sul Conto energia, in relazione ai quali abbiamo chiesto tantissime volte se fosse possibile svincolare davvero, volendo far crescere le rinnovabili, i comuni che sono soggetti al patto di stabilità rispetto agli investimenti in tale settore. Credo che questo sarebbe uno degli obiettivi da perseguire.
Mi sembra che lei sia giustamente portata a dire che il Ministero dell'ambiente non deve svolgere solo un lavoro di difesa, ma anche di attacco, soprattutto sulle questioni legate allo sviluppo. Forse dunque condurre una battaglia in questo senso potrebbe essere interessante.
ERMETE REALACCI. Ministro, innanzitutto vorrei dire che lei dovrebbe avere in questa Commissione un alleato naturale. L'ha anche detto en passant. Avrà avuto modo di verificare, inoltre, che da parte dell'opposizione - che oggi è presente in forze - c'è forse più attenzione che da parte della maggioranza, perché teniamo al fatto che queste politiche vadano avanti e alla forza del suo Ministero.
Del resto, lei lo sa bene, perché in tante occasioni, fra ordini del giorno, emendamenti e passaggi vari, ha avuto modo di verificarlo. Alcune questioni del resto le ha nominate anche lei. Penso, ad esempio, ai temi legati alla certezza dei finanziamenti al Ministero, alla battaglia svolta sul fondo per la difesa del suolo, alla questione
finanziaria sui parchi che ci hanno sempre visti lavorare in questa direzione. D'altra parte, tutto questo implica un rapporto più costante con le attività parlamentari. Ognuno di noi ha tanti impegni, ma francamente mi auguro che la prossima volta la risposta alle questioni che poniamo non arrivi tra un anno. Oltretutto, sarebbe utile se queste risposte venissero prima della votazione dei provvedimenti di bilancio, perché magari in quella sede vi potrebbe essere qualche aiuto da parte della Commissione nell'avere un Ministero più rafforzato in materia.
Cito brevemente le questioni che le pongo, aggiungendo che ho apprezzato la sua apertura iniziale sull'importanza della green economy e della sfida ambientale anche per rispondere alla crisi economica. Le dirò di più, per quanto riguarda la posizione avuta dal Governo italiano in sede di Unione europea sul non passaggio automatico al 30 per cento, sono d'accordo, e non perché sarebbe un handicap sotto il profilo economico, ma perché sarebbe una sciocchezza dal punto di vista negoziale. Pensando all'Europa e ai risultati che vogliamo ottenere, troverei sbagliato presentarsi al negoziato senza avere una merce di scambio, nel caso in cui la situazione si mettesse bene. So che questa posizione non è una condivisa da tutti, ma penso che in tale circostanza sia stato usato un elemento di saggezza.
In materia di politiche ambientali, le voglio porre dei quesiti. In primo luogo, per quanto riguarda il fondo rotativo per Kyoto, lei ci ha detto oggi delle cose diverse da quelle dette dal rappresentante del suo Ministero non più di dieci giorni fa in sede di svolgimento di un'interrogazione parlamentare. Il sottosegretario Menia, infatti, è venuto in Commissione con una risposta, evidentemente preparata dal Ministero, in cui si diceva che il famoso fondo rotativo istituito nel 2007 sarebbe a tutt'oggi in via di utilizzazione o di possibile utilizzazione, peraltro non ancora definitiva, soltanto per quello che riguarda 25 milioni di euro sui 600 triennali previsti (erano previsti 200 milioni per anno). Questo è quello che ci è stato risposto a un quesito specifico formulato.
Vengo ora ad un'altra domanda specifica. Lei ha giustamente citato la vicenda mare. A tal proposito, le chiedo: a che punto è la convenzione per il monitoraggio e la messa in sicurezza delle nostre coste? A me risulta che non sia ancora arrivata a soluzione definitiva. Quindi, incrociando le dita come scongiuro, se succedesse un incidente nelle nostre acque adesso, avremmo la rete di protezione minima garantita dall'attivazione di quella convenzione?
Un tema che invece lei non ha proprio toccato - così mi sembra, sono stato attento, anche se la relazione è stata lunga -, ma che è importante, riguarda la partita della città e dell'inquinamento. Abbiamo una procedura di infrazione dal punto di vista dell'Unione europea in merito. Abbiamo letto dai giornali, ma come Commissione non abbiamo mai avuto tra le mani, le proposte che sono arrivate dal Governo italiano. Le ricordo che questa Commissione, assieme alla Commissione trasporti, aveva votato - altrimenti non si capisce che cosa stiamo a fare qui - all'unanimità una risoluzione congiunta, con una serie di misure che sicuramente sono anche di indirizzo per quanto riguarda le politiche complessive del Governo e delle amministrazioni locali, che mi pare sia stata sostanzialmente ignorata dal Ministero. Non credo che questo sia utile ai fini di una efficace azione in questa direzione.
Infine, vengo a un tema che lei ha nominato. È vero che tale questione non riguarda direttamente il suo Ministero, ma la partita del 55 per cento nell'edilizia è una delle misure anticicliche più importanti per un settore ad alta intensità occupazionale e a più alta efficacia dal punto di vista del risparmio energetico. Ebbene, sta finendo. A fine anno quella vicenda terminerà. C'è una posizione del suo Ministero in materia? Quando approvate le manovre finanziarie, qualcuno solleva questo tema? Quale risposta dà il deus ex machina del Governo, il Ministro
Tremonti, a queste vicende? Lo chiedo, perché altrimenti non capiamo il senso delle politiche. Premettendo che condivido la sua apertura iniziale, aggiungo che questa si deve sostanziare in una pratica.
Sottolineo un ultimo aspetto. Se i 900 milioni che abbiamo citato in precedenza, non vengono impegnati in misure di tutela, sono il serbatoio a cui attingere. È già accaduto. L'utilizzo dei fondi siciliani che è stato fatto era improprio, perché quelle risorse dovevano essere date, e anche in misura maggiore, ma riguardavano esattamente quei 2,5 miliardi, 3 miliardi che lei citava per riparare i danni e non per l'azione di prevenzione. Se quel fondo diventa il tesoretto a cui attingere quando c'è una grana, si passa dai 500 milioni già insufficienti stanziati dal Governo Prodi per la difesa del suolo a poco più di zero e questo sarebbe veramente un passo indietro inaccettabile.
CARMEN MOTTA. Signora Ministro, affronto due questioni in modo rapido.
Nel dicembre del 2007, la delibera CIPE n. 166 aveva destinato uno stanziamento di 180 milioni di euro per un progetto strategico speciale, noto come «Progetto Valle del fiume Po». Tale progetto ha visto una condivisione di ben quattro regioni (Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna), la consulta di ben tredici province e centinaia di comuni rivieraschi, ovviamente di diversa colorazione politica, oltre all'interessamento dell'Autorità di bacino del Po.
Con l'ulteriore delibera CIPE n. 62 del 2008 è stato approvato in modo definitivo il documento di questo progetto speciale e strategico. Sono state adempiute tutte le prescrizioni. Sennonché - le espongo questa minima cronistoria, perché se non dovesse ricordare i termini della questione, ha la possibilità di avere il quadro complessivo -, con il decreto-legge n. 112 del 2008, viene istituito il fondo per il finanziamento di interventi strategici e a tale fondo vengono destinate diverse risorse, tra cui, purtroppo, anche quelle dedicate al «Progetto Valle del fiume Po».
Tra parentesi, sappiamo anche che ben 80 milioni di quei 180 milioni sono stati utilizzati per finanziare il dissesto del comune di Palermo.
Ebbene, del progetto in questione non si è saputo più nulla, fino a quando, rispondendo ad un'interrogazione a mia prima firma, nel gennaio di quest'anno, il sottosegretario Menia - devo dire con un certo imbarazzo - ha ricostruito tutta la vicenda e ha dovuto ammettere che i 180 milioni non erano più disponibili in alcun modo. Nella risposta, il sottosegretario Menia - cito testualmente - disse: «Si cercherà di reperire le risorse finanziarie necessarie a valere sui fondi FAS, programmazione 2007-2013», perché il Ministero confermava il suo impegno per la realizzazione di questo progetto considerato strategico, in quanto destinato a occuparsi della sicurezza del fiume Po, anche con valore più ampio di tipo turistico. Su questo tema le chiedo, signora Ministro, se il progetto e il protocollo che vedeva pienamente coinvolto il suo Ministero è ancora condiviso e se e come intende reperire le risorse a questo punto.
Peraltro, signora Ministro, le rappresento che diversi comuni avevano già iniziato a finanziare progetti, in attesa che arrivasse il finanziamento.
Le segnalo anche che vi erano progetti molto importanti, come la messa in sicurezza di alcuni nodi idraulici (e tra questi quello di Colorno) in provincia di Parma e Modena. Si tratta di questioni di primaria rilevanza, perché, come lei saprà, in quelle zone, nel corso degli anni, abbiamo avuto delle vere e proprie emergenze dal punto di vista del fiume.
Inoltre, le chiedo se per caso il Ministero dell'ambiente ha posto un'attenzione maggiore verso un progetto di bacinizzazione del fiume Po, come peraltro richiesto da una componente della maggioranza di questo Governo, perché potrebbe far comprendere lo scarso impegno di questo anno nel recuperare le risorse, che peraltro erano state assicurate a tutte le amministrazioni che ho citato. Il progetto, tra l'altro, va nella direzione completamente opposta al «Progetto Valle del fiume Po».
Desidererei avere da lei una risposta puntuale, e non tanto perché debba rispondere a me, signora Ministro, quanto piuttosto alle quattro regioni, alle tredici province e alle decine e decine di comuni che attendono di sapere se il Ministero dell'ambiente è ancora intenzionato a valorizzare e a mettere in sicurezza il fiume Po.
Vengo alla seconda questione e ho finito. Le volevo chiedere, signora Ministro, se il Ministero dell'ambiente sta seguendo e a che punto siamo circa il decommissioning della centrale nucleare di Corso. Anche su tale tema avevo presentato, insieme al collega Bratti, un'interrogazione specifica, ma la risposta era rimasta vaga. Inoltre, vorrei sapere se ha notizie che escludano in maniera certa la possibilità che Caorso venga individuato come sito per attivare una centrale nucleare, avendo già avuto in passato questo tipo di destinazione, ma essendo in atto un processo di decommissioning che dovrebbe definire in maniera totale lo smantellamento di quello che resta della centrale nucleare e far sì che tale sito sia soggetto a una completa bonifica, quindi al riparo da altri insediamenti. Glielo chiedo, perché da notizie di stampa questa esclusione non è data per certa e si continua a parlare di un sito nella regione Emilia
Romagna. Ci interesserebbe sapere dunque se per caso lei è a conoscenza della possibilità che tale sito possa essere individuato nel comune di Caorso.
SERGIO MICHELE PIFFARI. Signora Ministro, intanto vorrei darle un suggerimento, non me ne voglia. Visto che lei ha presentato una relazione scritta molto lunga, sarebbe stato più facile seguire la sua esposizione avendo a disposizione la copia cartacea.
Ad ogni modo, rilevo che rispetto all'ultimo incontro in questa Commissione vi sono delle differenze. A suo tempo mi era sembrato di assistere a una marcia trionfale, mentre oggi perlomeno rilevo, così mi pare, una richiesta di collaborazione da parte del Ministro. Senza dubbio, da parte nostra, da parte mia, c'è tutta l'intenzione di collaborare. Come qualche collega ha già detto precedentemente, la Commissione deve essere il suo migliore alleato nelle politiche a tutela dell'ambiente.
Alla questione della difesa della coste non faccio riferimento, perché ho un'interrogazione a risposta immediata domani.
Vorrei tuttavia fare un paio di richiami. Anche io ho bisogno di chiarimenti sulle questioni dei rifiuti, ma sono state già richiamate in modo dettagliato prima, quindi soprassiedo su tale aspetto. Quanto alle bonifiche elencate sono forse i risultati più visibili o concreti che il Ministro ha voluto significare e relazionare. Mi chiedevo se in Lombardia in particolare siano stati effettivamente posti degli ulteriori sistemi di controllo e garanzia, visto quello che è successo. Ricordiamo infatti che qualcuno vive ancora in amministrazione controllata, in libertà vigilata; non so come si possa chiamare. In alcuni casi ha patteggiato e in altri si sta ancora indagando. Credo che sia un fenomeno pericolosissimo. Inoltre, sempre in Lombardia è stata effettuata di recente una retata da parte della procura con tre o quattrocento persone coinvolte sulla questione delle cave e della criminalità organizzata, come la 'ndrangheta. Credo
dunque che il livello di attenzione in questo caso debba essere doppio. Spero che non ci si nasconda dietro alla questione che si tratta di accordi di programma, quindi con soggetti attuatori magari diversi e quant'altro. In questo caso, il Governo dovrà assumere dei ruoli di indirizzo e di controllo molto più restrittivi e incisivi rispetto a quelli assunti fino ad oggi, visto che poi mettiamo sul campo le uniche risorse che si sono attivate in questi due anni.
Quanto all'Agenzia nucleare, prendo atto che si sta procedendo; c'è lo Statuto e sembra che sia stato individuato il presidente. Vorrei tuttavia che si riuscisse comunque a garantire la massima indipendenza di queste persone. Ciò vuol dire che chi entra in questi organismi a livello dirigenziale deve astenersi da qualsiasi altro tipo di attività, anche se importante. Nel caso del presidente, conosciamo tutti il suo trascorso di scienziato, di ricercatore
e gli ottimi successi che ha avuto nella ricerca contro i tumori e via dicendo. Non vorrei tuttavia che sorgessero questioni di sospetto, anche solo per la sponsorizzazione di alcune iniziative condotte parallelamente, anche se umanitarie e di assoluta importanza e priorità per la salute dei cittadini.
A mio avviso, è indispensabile garantire l'assoluta trasparenza e la totale dedizione a questa attività, proprio per l'esigenza di dare un'immagine di terzietà all'Agenzia per la sicurezza nucleare, affinché non sia una struttura, come si specificava prima per l'ISPRA, di realizzazione di direttive del Governo.
In questo caso, credo che sia assolutamente necessario dare questa immagine, proprio adesso che ci si trova all'inizio di un processo che non sappiamo bene come avverrà o come funzionerà. È chiaro che il decreto ha fornito indicazioni circa le modalità, ma forse i territori non sono molto coinvolti al momento. In Lombardia, ad esempio, a fronte dell'invito del Ministro alle attività produttive a rendersi conto che laddove si consuma energia bisogna anche pensare di produrla, il governatore della Lombardia oggi ha ribadito la contrarietà all'insediamento di centrali nucleari sul proprio territorio. Anche da questo punto di vista, dunque, dovremo trovare una forma di dialogo e di discussione con le comunità locali e con i territori, prevedendo una serie di scadenze ben definite, in modo che ognuno si attivi per la propria parte.
SALVATORE MARGIOTTA. Sulla partita del nucleare abbiamo sentito enunciare dal Ministro i criteri, peraltro presenti nel decreto, a proposito dell'individuazione dei siti per l'ubicazione delle centrali.
Vorrei invece un chiarimento per quanto riguarda il deposito nazionale delle scorie radioattive. Sono convinto che le nuove centrali di terza generazione alla base del programma del Governo non si realizzeranno, nonostante l'ottimismo del Governo, soprattutto per motivi economici, quindi non credo che per le nuove scorie vi saranno problemi, mentre si pongono per quelle antiche, derivanti dal decommissioning.
Vorrei capire se per le antiche scorie, o meglio, per le scorie già esistenti ci si sta orientando verso un deposito unico geologico o per più depositi di superficie e, nel caso si propenda per la prima ipotesi, se se la sente di escludere che sia riproposta da parte del Governo la scelta di Scanzano Jonico quale sito ultimo per lo stoccaggio di tali scorie. Come ben sa, si tratta di una scelta che il Governo Berlusconi e la Sogin, i due soggetti che anche questa volta sono chiamati a decidere, fecero nel 2003 e che fu poi abbandonata anche in virtù della sollevazione della popolazione lucana. Dal momento che su questo aspetto c'è una grandissima attenzione da parte della regione e dell'opinione pubblica in generale, mi piacerebbe sapere se è possibile escludere tale eventualità.
CHIARA BRAGA. Ministro, ritorno brevissimamente sul tema della difesa del suolo, intanto per invitarla a una riconsiderazione delle dichiarazioni fatte riguardo alle entità di risorse stanziate dai precedenti Governi e da questo, o per lo meno a utilizzare un criterio temporale di riferimento che sia omogeneo. Ricordo infatti che l'ultima finanziaria del Governo Prodi stanziò, per il programma di conservazione dell'assetto idrogeologico, 558 milioni di euro che le ultime finanziarie hanno ridotto progressivamente a 120 milioni nel 2010 e così via anche per gli anni successivi.
Oltre a ciò, vorrei porle alcune domande molto specifiche su questo aspetto. Intanto, vorrei capire quali sono stati effettivamente i trasferimenti di risorse ai territori già colpiti dalle emergenze e da fenomeni di dissesto.
Riguardo ai 900 milioni di euro, vorrei capire e a che punto è, da parte del Ministero dell'ambiente, il lavoro di definizione dello schema di ripartizione di queste risorse. Una delibera CIPE e la stessa norma della finanziaria per il 2010 prevedevano che il Ministero individuasse
la destinazione di queste risorse sulla base di un raccordo con i piani di assetto idrogeologico, sentite appunto le Autorità di bacino. Vorrei capire a che punto è la predisposizione da parte del Ministro di questo lavoro, come si sta raccordando con le Autorità di bacino e come intende dare riscontro alla destinazione territoriale, trattandosi in parte consistente di risorse e che provengono dai fondi FAS.
Vi è una preoccupazione, perché riguardo agli accordi di programma che sono stati già definiti e sottoscritti, in particolare quello della regione Lazio, risulta che quasi la metà degli interventi finanziati ricadono in aree non perimetrate dal PAI. Quindi, questa è una situazione da tenere in considerazione. Dal momento che la stima del fabbisogno delle risorse dei 44 miliardi che lei citava è stata fatta proprio sulla base dei PAI vigenti, è evidente che se l'impostazione dovesse essere quella emersa dall'accordo di programma con la regione Lazio, le stime sballerebbero pesantemente.
Infine, le chiedo se, riguardo alla definizione dei distretti idrografici, il Ministero intende valutare la possibilità di una ulteriore proroga del termine.
Quanto invece alla partita più generale dei finanziamenti per il Ministero dell'ambiente, stando ai dati appena visti, riscontriamo che il Ministero dell'ambiente pagherà una riduzione superiore al 10 per cento rispetto ad altri settori.
Inoltre, poiché rispetto alla finanziaria per il 2008, sulla parte dell'ecobilancio, passiamo da 2.351 milioni di euro a poco più di 700 milioni di euro nel 2011, vorremmo sapere come il Ministero intende contrastare questa tendenza alla riduzione dei finanziamenti, a fronte di tutti i buoni propositi che ci ha elencato oggi.
GABRIELLA MONDELLO. Ringraziando il Ministro per la presenza ripeterò forse concetti già detti, ma mi fa piacere ribadirli. La relazione è stata molto completa. Spero - e mi rivolgo al presidente della Commissione - di averne copia quanto prima, perché, come hanno detto i colleghi, è una relazione che merita di essere letta e approfondita.
Per quanto riguarda il nostro gruppo Udc, formulerei soltanto due domande. La prima riguarda, come hanno già chiesto alcuni colleghi, lo stato delle bonifiche. In particolare vorrei sapere quando effettivamente verrà predisposto un vero e proprio piano organico per la difesa del suolo, anche alla luce delle gravissime intemperie che sconvolgono parte del nostro Paese, come quelle verificatesi recentemente a Genova.
Avremmo tutti piacere, dopo aver ascoltato oggi tantissime notizie, di averla al più presto in Commissione, perché credo che questo metodo di lavoro, se diventasse stabile, porterebbe dei risultati. Capiamo gli impegni anche internazionali del Ministro, ma sicuramente sarebbe meglio per tutti poter avere questa forma di colloquio e di comunicazione.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro Prestigiacomo, avverto che il Ministro svolgerà le proprie considerazioni in replica in una prossima seduta, che fisseremo al più presto d'intesa con lo stesso Ministro.
Rinvio quindi il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 16,45.