Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
Audizione del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, Mario Ciaccia, sui nuovi scenari europei in materia di appalti e di concessioni, nonché sulle prospettive di riforma della «legge obiettivo» e del codice degli appalti (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 12
Tortoli Roberto, Presidente ... 25 28
Benamati Gianluca (PD) ... 23
Ciaccia Mario, Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti ... 3 25
Iannuzzi Tino (PD) ... 20
Margiotta Salvatore (PD) ... 12
Mariani Raffaella (PD) ... 16
Misiti Aurelio Salvatore (Misto-G.Sud-PPA) ... 14
Morassut Roberto (PD) ... 22
Piffari Sergio Michele (IdV) ... 19
Stradella Franco (PdL) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare:
Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, Mario Ciaccia, sui nuovi scenari europei in materia di appalti e di concessioni, nonché sulle prospettive di riforma della «legge obiettivo» e del codice degli appalti.
Nel ringraziarlo per la presenza, do la parola al Viceministro Ciaccia per la relazione.
MARIO CIACCIA, Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti. Grazie, presidente e onorevoli deputati. Innanzitutto, mi scuso per il ritardo determinato da situazioni congiunturali perché stamattina, come probabilmente sapete, sono stato anche al Senato per riferire su un altro tema.
La mia relazione, in realtà, toccherà principalmente due temi: i nuovi scenari europei che si affacciano in materia di concessioni e appalti e le prospettive, le analisi che sto portando avanti perché al corpus normativo che avete approvato con i decreti-legge passati possa darsi una definizione organica con poche norme, come vi dirò, sulle le quali però, siccome reputo, con umiltà, di non essere un tuttologo, ma di aver bisogno di capire quello che pensa il mondo dell'economia reale, ho aperto un tavolo di ascolto, intorno al quale ci sono l'ABI, i rappresentanti delle principali associazioni di categoria, dall'ANCE all'AGI e quant'altro. Al tavolo ci sono anche i rappresentanti di tre fondazioni storiche che conoscete dal punto di vista delle analisi: Italiadecide, Astrid e Res Publica: trovo, infatti, apprezzabile il volontariato nell'interesse del Paese. Vi riferirò, dunque, su questo complesso di
attività che stiamo portando avanti.
Comincerò dalle proposte di direttive comunitarie perché è una delle problematiche che credo abbiamo storicamente nel nostro ordinamento. Di norma, le direttive sono sempre state seguite in maniera non esattamente puntuale e attenta nella fase ascendente. Le abbiamo sempre accolte nella fase discendente, quando ormai era faticoso porre riparo, mentre questo è uno dei casi virtuosi in cui credo siano già incardinate anche per l'esame presso la Commissione 8a del Senato. In ogni caso, le stiamo seguendo a livello governativo per vedere, effettivamente, nella pluralità degli ordinamenti, come meglio possano trovare ingresso nel nostro sistema, avanzando motivi di eccezione e perplessità laddove necessario.
Vi ringrazio, quindi, per l'occasione che oggi mi offrite di illustrarvi queste prospettive di riforma della normativa in materia di contratti pubblici, non solo con riferimento al mutamento di scenario, cui facevo cenno testé, del diritto comunitario, ma anche in vista di esigenze di riforma del quadro normativo nazionale in materia di infrastrutture. Naturalmente, tutto questo si iscrive in un'ottica di sviluppo e di crescita del Paese, per cui sarò ben lieto di accogliere, al termine di questa mia audizione, quelli che potranno essere suggerimenti preziosi, di cui farò tesoro, come uso fare sempre nel mio lavoro.
Quanto al processo di rivisitazione del diritto comunitario in materia di contratti pubblici, come probabilmente sapete, è prevista l'adozione di tre nuove direttive, due di esse (Atti comunitari nn. 896 e 895) riguardano gli appalti di lavori, servizi e forniture, rispettivamente, nei settori ordinari e in quelli speciali, e andranno a sostituire le vigenti leggi direttive concernenti appalti nei settori ordinari e nei settori speciali; la terza direttiva, cui stiamo prestando particolare attenzione per le ragioni che dirò tra poco, concerne invece l'affidamento dei contratti pubblici di concessioni di lavori e servizi, che verranno, pertanto, a essere disciplinati dal diritto comunitario con una direttiva ad hoc.
Le tre proposte di direttive, cui ho sommariamente fatto cenno, di cui è prevista l'emanazione entro la fine di quest'anno, dovranno essere recepite nell'ordinamento nazionale entro giugno dell'anno 2014, data entro la quale dovrà essere adeguato alle disposizioni comunitarie anche il codice dei contratti pubblici che recepisce le direttive attualmente vigenti e nel quale sono disciplinati i contratti pubblici di concessione. Questa volta, dunque, non siamo in zona Cesarini e abbiamo l'attenzione e il dovere di seguire queste direttive per non trovarci di fronte a delle distonie normative con le quali dover fare i conti nel nostro ordinamento e negli ordinamenti con i quali ci confrontiamo.
Queste proposte direttive sono state predisposte a seguito della consultazione che, a suo tempo, è stata avviata dalla Commissione europea dopo la pubblicazione del cosiddetto «Libro verde sulla modernizzazione degli appalti pubblici» e messe a punto nella prospettiva di una rivisitazione dell'attuale quadro normativo in materia, volto a ottenere un miglioramento del sistema degli appalti in un'ottica di efficienza, semplificazione e modernizzazione.
Per la valutazione da parte del Governo sui contenuti delle proposte di direttive circa l'impatto - questo è importante - degli stessi sulle disposizioni che abbiamo già presenti nell'ordinamento italiano, è operativo presso il Dipartimento per le politiche europee un tavolo di consultazione, cui partecipano le amministrazioni dello Stato, istituito proprio per seguire puntualmente la formazione di queste direttive nella fase ascendente, ovviamente anche attraverso l'esame delle osservazioni e richieste di modifica, non sempre univoche peraltro, delle diverse amministrazioni dello Stato. Anche con questo, infatti, bisogna fare i conti, con le amministrazioni che governano particolari settori, e quindi con l'esigenza di arrivare all'elaborazione di una posizione di sintesi da portare a nome del Governo italiano alla negoziazione con la Commissione.
I lavori sono stati avviati nel corso del mese di gennaio di quest'anno e sono, attualmente, in corso con una previsione di conclusione prima dell'estate. A questo riguardo, naturalmente, c'è la mia disponibilità - lo do per scontato, ma è meglio ripetere le cose - e quella del Governo di tenere informato il Parlamento, a cominciare da questa Commissione, anche con report periodici sugli sviluppi della fase ascendente di formazione delle direttive in questione.
Nell'illustrare i principali elementi contenuti nelle proposte di direttive, mi soffermerò, in particolare, su questioni che sono state sollevate anche nel corso della seduta di questa Commissione svoltasi il 21 marzo ultimo scorso.
Partiamo dalle proposte di direttive sugli appalti, che andranno a sostituire, come dicevo, quelle attualmente vigenti - lo ricordo - sempre ispirandosi ai princìpi di modernizzazione, semplificazione e flessibilità. Al contempo, bisogna rilevare che, rispetto alle direttive vigenti, c'è senz'altro una maggiore chiarezza espositiva e un maggiore livello di dettaglio. Sono presenti disposizioni volte a incentivare l'uso di mezzi elettronici e informatici di comunicazione e di trattamento delle operazioni nell'ambito degli appalti. A questo riguardo, riteniamo che le stesse siano in linea con il percorso di digitalizzazione della pubblica amministrazione che ormai da tempo è in atto nel nostro Paese secondo disposizioni nazionali in materia di amministrazione digitale e che, pertanto, siano sostenibili, a questo punto, anche per le amministrazioni italiane.
È introdotta, inoltre, al fine di promuovere l'innovazione, una nuova procedura di affidamento, il cosiddetto partenariato per l'innovazione, che è a recepimento facoltativo, e che prevede che la pubblica amministrazione possa avvalersi del contributo innovativo fornito dagli operatori economici per lo sviluppo di prodotti, servizi o lavori innovativi e loro successiva acquisizione.
Sono, altresì, disciplinati per la prima volta nel diritto comunitario derivato la cooperazione pubblico-privato e gli affidamenti in house recependo gli orientamenti ormai consolidati della Corte di giustizia.
Devo evidenziare che la materia degli ultimi anni è stata effettivamente delineata in maniera compiuta dalla Corte di giustizia che, a partire dall'ormai famosa sentenza Teckal del 1998, fino ad arrivare a numerose pronunce, come la più recente sentenza del Coditel Brabant del 2007, ha chiarito le condizioni e i presupposti per l'utilizzo dello strumento dell'affidamento in house e, più in generale, dello strumento del partenariato pubblico-privato (PPP), già attuabile in Italia anche attraverso accordi tra amministrazioni pubbliche, così come dispone l'articolo 15 della legge n. 241 del 1990.
Mi preme sottolineare che, per garantire il rispetto dei princìpi e delle disposizioni in materia di concorrenza del mercato, è necessario un particolare rigore in termini di applicazione. In quest'ottica è da ritenere che l'adozione di specifiche disposizioni comunitarie volte a meglio definire e chiarire la portata e i presupposti alla base della cooperazione pubblico-privato sia utile proprio a garantire una maggiore uniformità applicativa tra i vari Stati membri dei criteri che sono già stati fissati dal giudice comunitario e che possono garantire un maggiore livello di certezze per le amministrazioni che intendono utilizzare queste forme di cooperazione, evitando in questo modo che la legislazione dei singoli o di alcuni Stati, perlomeno attraverso forme di collaborazione tra pubblica amministrazione che di fatto configurano appalti, comporti una sottrazione degli stessi al mercato.
Sono presenti, inoltre, disposizioni volte a promuovere l'inclusione sociale e un migliore uso degli appalti pubblici a sostegno di obiettivi sociali, quali la tutela dell'ambiente e una maggiore efficienza energetica. Sono ridotti, rispetto alle direttive vigenti, i termini minimi per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte nelle procedure di affidamento. Direi che questo consentirà, a seguito del recepimento delle direttive nell'ordinamento nazionale, di ridurre la durata complessiva delle procedure di gara, che è uno dei temi che affliggono in modo particolare il nostro ordinamento nazionale e che concorrono, a volte, a scoraggiare il capitale di rischio nazionale e estero, anche se con le norme recentemente approvate le procedure prevedono termini più ristretti, che quindi in qualche modo - consentitemi il termine - «fanno scopa» un po' con i princìpi contenuti in queste direttive.
Sono previste, inoltre, misure volte a favorire l'accesso al mercato e la tutela - questo è molto importante - per le piccole e medie imprese. A tale riguardo, mi riferisco, in modo particolare, alla previsione che le amministrazioni aggiudicatrici suddividano gli appalti pubblici in lotti e
che, nel caso in cui non decidano in questo senso, siano tenute a fornire una specifica motivazione che ne spieghi, appunto, le ragioni.
È poi prevista l'introduzione di un limite massimo che la stazione appaltante non può superare nel richiedere i requisiti economico-finanziari ai partecipanti alle gare d'appalto. Il fatturato richiesto, quindi, non può superare il triplo del valore a base di gara, fatti salvi, naturalmente, casi particolari debitamente giustificati. C'è, infine, la possibilità per gli Stati membri di prevedere il pagamento diretto, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, in favore dei subappaltatori.
Nell'accogliere con favore queste misure, alcune delle quali, come dicevo, sono già state di recente introdotte nell'ordinamento italiano, si è tenuto conto che in Italia il tessuto connettivo imprenditoriale è costituito essenzialmente da piccole e medie imprese. Riteniamo quindi che tali misure siano coerenti con le disposizioni in itinere.
Faccio presente, in particolare, che la ripartizione in lotti e la previsione che la suddivisione non possa intervenire oltre un certo limite, fa in modo, volendo sintetizzare, che questa ripartizione, in base a valutazioni che devono essere apportate per non ripartire verso le piccole e medie imprese questi lotti, non rischino di rendere l'esecuzione del contratto eccessivamente difficoltosa dal punto di vista tecnico e non rispondente al principio dell'economicità. Bisogna, cioè, coniugare due princìpi: quello volto alla tutela e alla garanzia delle piccole e medie imprese con quello che deve evitare che il meccanismo diventi così macchinoso da rendere, sostanzialmente, impraticabile il percorso - passatemi il termine - di tipo endoprocedimentale o da allungare, esso stesso, i tempi del procedimento.
Per quanto riguarda, poi, l'affidamento con procedura negoziata, e cioè la procedura competitiva con negoziato e la procedura negoziata senza pubblicazione preventiva, c'è da rilevare che i presupposti fissati dalla direttiva ricalcano, sostanzialmente, quelli già previsti dalle direttive vigenti, fatta salva, per la procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara, una maggiore precisione nell'individuazione dei presupposti che consentono il ricorso a questo tipo di procedura, che dovrebbe garantire che l'applicazione della disposizione sia limitata ai casi previsti dal legislatore senza consentire, in termini applicativi, spazi per un'interpretazione estensiva.
Abbiamo, inoltre, in corso una negoziazione con la Commissione europea per una formulazione della disposizione che potrà, comunque, consentire limitazioni dell'istituto in sede di recepimento da parte di singoli Stati membri.
Desidero, ora, sottolineare e portare alla vostra attenzione alcune criticità emerse nell'esame di queste proposte di direttiva.
Anzitutto, è eliminata l'attuale distinzione tra cosiddetti servizi prioritari e non prioritari, cui corrisponde la piena e illimitata applicazione delle direttive. In questo modo, la piena applicazione delle direttive sarebbe, infatti, estesa a una serie di servizi, quali i servizi legali, per i quali attualmente è richiesta l'applicazione solo parziale delle direttive. A questo riguardo vi informo, dunque, che in sede di negoziazione con la Commissione europea, si stanno operando delle modifiche oltre a mantenere, per talune di tipologie di servizi, quali appunto quelli legali, l'applicazione solo parziale delle direttive.
Altra criticità è quella costituita dal fatto che è consentita l'inversione della sequenza delle fasi procedurali della gara, che, attualmente, vede l'esame dei criteri di selezione precedere l'esame dei criteri di aggiudicazione. A questo riguardo, non possiamo che condividere le perplessità espresse anche da questa Commissione parlamentare sulla questione, considerato che l'inversione delle fasi, oltre a non garantire una maggiore celerità delle procedure di gara, potrebbe consentire la partecipazione alle procedure a evidenza pubblica anche di soggetti non in possesso dei requisiti, con i conseguenti effetti distorsivi sulla concorrenza del mercato anche per l'impossibilità oggettiva di procedere
all'esclusione di operatori che siano in stato di collegamento tra di loro e che presentino nella stessa gara più offerte imputabili a un unico centro decisionale.
A questo proposito, vi informo che, in fase di negoziazione con la Commissione europea, è stato concordato che possa esservi un adeguamento del testo della direttiva nel senso che i singoli Stati possano decidere, in sede di recepimento, di limitare la possibilità di inversione delle fasi.
Segnalo, inoltre, come ulteriore punto di criticità quello della previsione di un sistema di appalti semplificato per le amministrazioni aggiudicatrici sotto il livello dell'amministrazione centrale, come le autorità locali e regionali. In questo caso, anche nel condividere le considerazioni formulate da questa Commissione parlamentare rispetto all'opportunità di apportare correttivi in modo di prevedere l'applicazione del regime semplificato non in relazione alla tipologia dell'amministrazione procedente bensì al valore dell'appalto, si informa che il Governo ha chiesto, in sede di negoziazione, di modificare il testo nel senso che vi ho rappresentato.
Quanto a un'altra criticità, quella relativa all'ambito di attribuzioni all'autorità di vigilanza sugli appalti pubblici, laddove è previsto un suo potere di legittimazione ad agire in giudizio nel caso in cui le stazioni appaltanti assumano decisioni non conformi ai pareri conseguenti a una violazione riscontrata nell'esercizio della propria attività di vigilanza, devo evidenziare che questa disposizione, oltre a produrre un incremento del contenzioso, già abbastanza oneroso nella materia di affidamento di appalti di lavori pubblici, pone dei dubbi in merito alla compatibilità direi con la disciplina del contenzioso in materia di appalti prevista nel nostro ordinamento nazionale in attuazione della cosiddetta «direttiva ricorsi», che è tesa a garantire un sistema di giustizia che consenta di addivenire alla stipula del contratto con l'effettivo avente diritto. Vi comunico che è stato chiesto di proporre
alla Commissione europea di valutare l'espunzione di questa disposizione.
Ulteriori criticità riguardano poi le cause di esclusione dalla gara. La prima riguarda l'introduzione di alcuni adempimenti che potrebbero rivelarsi eccessivamente onerosi per le stazioni appaltanti relativi all'accertamento del rispetto delle convenzioni europee in materia di diritto del lavoro, di previdenza sociale e di diritto ambientale, non solo nella normativa nazionale in materia, che già si conforma - sia chiaro - alle norme europee. Un'altra criticità riguarda, invece, l'introduzione dei cosiddetti requisiti reputazionali che, seppure - sia chiaro - condivisibili in linea di principio, richiedono un'attenta valutazione in ordine all'effettiva possibilità che sia individuato, come verrebbe prescritto dalla proposta di direttiva, un sistema di selezione oggettivo basato su criteri misurabili, e quindi in grado di fornire una valutazione univoca delle performance degli operatori economici tale da non lasciare spazio a
discrezionalità da parte delle stazioni appaltanti che possono determinare una disomogeneità a livello operativo, un vulnus in contrasto con il principio della parità di trattamento, e produrre fenomeni distorsivi del mercato e dei rapporti tra le stazioni appaltanti e gli operatori economici.
Rilevo, infine, che le nuove direttive potrebbero, finalmente, costituire l'occasione per un chiarimento in materia di avvalimento. Sapete della controversa questione relativa all'applicabilità dell'istituto ai requisiti di natura soggettiva, quali l'esperienza professionale, il possesso di certificazione di qualità, dell'autorizzazione richiesta per i laboratori che eseguono indagini geotecniche, eccetera. Questo, finalmente, può essere il momento di valutare, insieme con gli altri Stati membri e con la Commissione europea, per chiarirci le idee su che cosa intendiamo per avvalimento e quali siano le possibilità di avvalersene.
Abbiamo, inoltre, la proposta di direttiva sulle concessioni, che per la prima
volta nel diritto comunitario derivato sarebbe introdotta, quindi, con disciplina specifica per l'aggiudicazione delle concessioni, che sono alla base di una quota significativa ormai delle attività economiche nell'Unione europea, presenti soprattutto nelle imprese erogatrici di servizi di rete e nella fornitura di servizi di interesse economico generale.
Attraverso una direttiva ad hoc, dunque, che va a definire con chiarezza il quadro giuridico di riferimento, la Commissione europea intende perseguire l'obiettivo di un più vasto ricorso allo strumento concessorio che, prevedendo un impiego privato, assume, nell'attuale situazione di scarsità di risorse pubbliche in cui vengono a trovarsi molti Stati membri dell'Unione - lo leggiamo giornalmente - un rilievo centrale per la crescita economica e l'innovazione.
Le problematiche che la direttiva si propone di superare riguardano, in particolare, l'incertezza del diritto, suscettibile di creare significative inefficienze sul piano economico, e gli ostacoli all'accesso al mercato, che sono dannosi per gli operatori economici e anche per gli enti aggiudicatori e per i consumatori, penalizzati in termini di mancato raggiungimento di un adeguato rapporto costi/benefici.
Da quello che abbiamo appreso in via ufficiosa, la proposta di direttiva sarebbe, tuttavia, oggetto di alcune resistenze a livello di istituzioni comunitarie, che ne potrebbero rendere incerta l'adozione. Vi segnalo, inoltre, che è stato chiesto al Ministro per gli affari europei di acquisire un chiarimento da parte della Commissione europea circa la portata e l'ambito di applicazione di questa direttiva con specifico riferimento alle concessioni demaniali marittime e alle concessioni per i servizi portuali.
Rispetto ai contenuti, la proposta di direttiva sulle concessioni, in particolare, delinea, innanzitutto, la fattispecie dei contratti di concessione connessa al concetto di rischio operativo che viene chiaramente definito; estende alle concessioni di servizi la maggior parte degli obblighi attualmente previsti dal diritto comunitario in materia di aggiudicazione delle concessioni dei lavori pubblici; prevede che la durata di ciascuna concessione sia determinata rispetto al tempo necessario a consentire il recupero di investimenti senza indicare limiti e che la durata è determinata sulla base di un piano economico finanziario alla base della concessione che contempla, quindi, gli investimenti che il concessionario dovrà realizzare, pertanto, al momento dell'affidamento della concessione e non più nel corso della vigenza della stessa; estende, infine, l'applicazione del diritto derivato all'aggiudicazione dei contratti di concessione nel settore dei servizi
di pubblica utilità.
Con questa parte termina la mia relazione concernente le proposte di direttive comunitarie. Passo, quindi, ad affrontare le prospettive di riforma della normativa nazionale. Al riguardo, vorrei premettere che l'attuale fase ascendente di formazione delle direttive comunitarie, cui si sta cercando di dare definizione nel modo più opportuno, accanto al panorama legislativo di livello comunitario va, a mio avviso, a porre l'accento sulle disposizioni oggi vigenti in materia di contratti pubblici e che hanno subìto, come sapete perché le avete approvate, recenti e consistenti modifiche.
Invero, gli ultimi provvedimenti normativi, a partire dall'emanazione del decreto-legge n. 70 del 2011, cosiddetto «decreto sviluppo», passando per le altre due manovre finanziarie dell'ultima estate, fino ad arrivare ai provvedimenti adottati dal presente Governo, sempre con la collaborazione del Parlamento - i cosiddetti decreti «salva Italia», «cresci Italia», «liberalizzazioni» e «semplificazioni» -, hanno, certamente, profondamente inciso sulla normativa del settore infrastrutturale e trasportistico con l'introduzione di oltre 100 disposizioni.
Abbiamo dunque lavorato insieme producendo un corpus iuris molto significativo, non si è trattato di norme spot, ma di ben oltre 100 disposizioni di legge. Vi risparmio che queste potrebbero contarsi
in numero maggiore se vi riconduciamo anche quelle collegabili e collegate, ad esempio, alle disposizioni sui servizi pubblici e quant'altro.
Alla base delle modifiche normative intervenute c'è il convincimento che l'obiettivo di risanamento dell'economia passa anche in una prospettiva di crescita e di sviluppo, in cui non si possa non tener conto del ruolo rilevante rivestito dalle opere pubbliche e dalle infrastrutture, che effettivamente costituiscono volano per la ripresa e rilancio dell'economia nazionale. Senza volerci rifare alle teorie di Keynes degli anni Trenta, oggi l'economia nel mondo cammina sulle gambe delle infrastrutture; senza infrastrutture in grado di sostenere un'economia che, ormai, corre alla velocità della luce, perderemmo, volendo restare in termini di mobilità territoriale, il treno.
Le misure che abbiamo adottato insieme fino a ora, dunque, nell'ottica di offrire risposte adeguate al bisogno infrastrutturale del nostro Paese con le limitate risorse pubbliche a disposizione, hanno teso, in una visione sistemica, a introdurre una programmazione strategia mirata a ridurre i costi delle infrastrutture e i tempi procedurali, nonché - lo sottolineo con particolare vigore - a creare condizioni più favorevoli per il partenariato pubblico-privato e per la finanza di progetto. Questi strumenti, anche attraverso l'architettura di strumenti finanziari innovativi, quali quelli che da ultimo avete approvato - i project bond e le obbligazioni di scopo degli enti locali -, possono fungere da moltiplicatore delle limitate risorse disponibili (parlo di risorse pubbliche, perché nel mondo di liquidità privata ce n'è fino a scoppiare).
In proposito, colgo l'occasione della mia presenza per confermarvi che anche in questi giorni prosegue l'attività - un incontro c'è stato proprio ieri - del tavolo di ascolto di cui ho parlato all'inizio della mia relazione - istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, cui partecipano operatori del settore, associazioni di categoria del mondo imprenditoriale, stazioni appaltanti e quant'altro -, con l'obiettivo di fare emergere, attraverso un positivo effetto sinergico, le proposte di misure da adottare per portare a compimento e consolidare l'importante lavoro di produzione normativa in tema di infrastrutture e trasporti svolto in questi mesi con la collaborazione del Parlamento.
In sintesi, si tratta di un'attività, di un metodo di lavoro che fa parte anche della mia cultura, basata sulla capacità di fare emergere bottom up le esigenze dell'economia reale da portare alla vostra attenzione, all'attenzione del Parlamento, una volta tradotte in norme con l'aiuto del nostro ufficio legislativo e dei nostri migliori funzionari, insieme ad una sorta di scheda di backup che vi dia il significato concreto del perché dell'adozione di quelle misure e non di altre, di che cosa quelle misure significano per la nostra economia e per le nostre infrastrutture.
Quel che vorrei in modo particolare, con l'approntamento di queste misure, con questo ascolto degli operatori del settore, con questa ulteriore attività esplorativa, è di riuscire ad individuare, di fronte al permanere di una situazione ancora critica per l'economia del Paese, e proprio con questo apporto di coloro che hanno maturato l'esperienza anche sul campo e che la vivono tutti i giorni, quei nodi essenziali da sciogliere cui sia possibile dare soluzione anche attraverso l'adozione di norme di carattere ordinamentale, che quindi possano armonizzarsi con le 100 e più disposizioni di legge cui facevo cenno, perché formino un corpus definito. Sarebbe questo una delle cose di cui credo che il Parlamento potrebbe andare fiero alla fine della legislatura: sarebbe, infatti, un complesso di norme destinate a restare nel tempo e ad offrire quel quadro di certezze e di indicazioni per dare risposte che il Paese richiede per colmare quel
gap infrastrutturale che ancora ci affligge ma che, visto sotto altro profilo, può diventare una grande opportunità per investitori, per il capitale di rischio nazionale ed estero.
Non mi riferisco, peraltro, solo a norme di carattere ordinamentale, ma anche a poche altre che non hanno oggi trovato
ancora recepimento perché hanno scontato, naturalmente, il limite dello strumento normativo della decretazione d'urgenza, quindi non erano «caricabili» in provvedimenti d'urgenza.
In esito alla valutazione che mi riservo di fare come viceministro responsabile di questo settore, potrò mettere a punto alcune misure da far confluire in un disegno di legge da sottoporre, ovviamente attraverso previo esame da parte del Consiglio dei Ministri, all'autorevole valutazione del Parlamento, e quindi con delle norme tese a completare, in continuità con l'attività parlamentare precedentemente svolta, l'evoluzione normativa avviata nonché anche a consolidare, attraverso un definitivo assestamento, il quadro regolatorio.
Per dare un'idea chiara e trasparente delle questioni in corso di valutazione, segnalo inoltre alcune criticità piuttosto rilevanti che, per essere superate, naturalmente richiedono la modifica di norme costituzionali e, di conseguenza, l'avvio di un più complesso percorso legislativo sulla base di un consenso politico molto largo. Credo, a questo proposito, che sia metabolizzata ormai l'esigenza di qualche piccola modifica, di qualche ritocco costituzionale sulle materie di cui sto trattando, in particolare per quanto concerne l'esigenza di ricondurre alla competenza esclusiva statale le infrastrutture strategiche di interesse nazionale anche in ambito energetico e di telecomunicazione, nonché in ordine all'esigenza di prevedere per l'applicazione di disposizioni in peius ai contratti in corso la necessaria approvazione con una maggioranza qualificata, di due terzi, quindi una sorta di legge rafforzata, per dare certezza alle disposizioni vigenti
al momento della gara e assicurare, ad esempio, il divieto di reformatio in peius retroattivamente alle disposizioni di legge sul trattamento fiscale degli investimenti infrastrutturali.
Non possiamo chiedere agli investitori di mettere i loro danari su concessioni che possono arrivare anche nella durata di cinquant'anni se non assicuriamo il rispetto di regole, che il contratto possa cambiare in corsa, quindi delle norme di principio che, evidentemente, consentano di dare queste certezze a investitori che stanno anche dall'altra parte del pianeta e, magari, possono venire a investire. Le infrastrutture, infatti, non sono delocalizzabili, ma le risorse sì e, se vengono, saranno benedette.
Ulteriori questioni in corso di valutazione riguardano una maggiore incentivazione anche per gli investitori stranieri dei project bond, che ancora soffrono per la mancanza di un trattamento fiscale agevolato. Scusate la digressione, ma sono stato anche nel Consiglio dei trasporti europeo che si è tenuto il 22 marzo a Bruxelles e il collega dei trasporti tedesco - la Germania non è molto favorevole, o almeno non si iscrive tra i fan dei project bond all'europea che toccano il debito dei singoli Stati - di fronte a questa prospettazione di cui avevo avuto notizia dei project bond come li abbiamo studiati, che in realtà non toccano il debito ma vanno sulle società di progetto, si è dimostrato molto interessato e con lui alcuni altri soggetti che sono venuti anche dalla Commissione europea a sentire che cosa avevo da dire in proposito.
Il tema, infatti, come si suol dire, profuma di buono: cerchiamo però di darglielo tutto il profumo perché, diversamente, depotenzieremo qualcosa che oggi è una nostra creatura - una vostra creatura -, col non aver capito che, in realtà, non si toglie niente a nessuno con l'equiparazione, per esempio, dei titoli di Stato. Si tratta infatti di categorie di investitori non alternative tra di loro: ci sono investitori che di titoli di Stato hanno la pancia piena, devono diversificare i loro investimenti e rivolgerli verso strumenti che fanno toccare con mano le infrastrutture per un lungo periodo di tempo. Non vorrei, tuttavia, soffermarmi ancora su questo per non rubare altro vostro tempo.
In ogni caso, proprio sui project bond, sul trattamento fiscale agevolato, evidenzio che con la «benedetta» approvazione dell'ordine del giorno 9/5025/206 votato nella seduta del 22 marzo ultimo scorso alla Camera nell'ambito dell'esame del disegno
di legge di conversione del cosiddetto «decreto liberalizzazioni», il Governo - ci tengo in modo particolare perché è uno strumento finanziario virtuoso a favore dei cittadini - è stato impegnato in tal senso.
Un'altra questione riguarda il superamento, per la programmazione delle opere strategiche, dell'attuale vincolo di una necessaria intesa con le regioni, attualmente prevista dalla legge obiettivo. Bisogna, in qualche modo, armonizzarla con le opere di carattere strategico nazionale per evitare che questo possa impedire, di fatto, a tempo indeterminato l'avvio di alcune opere.
Ciascuno di noi, dal Nord al Sud, sa che oggi si fatica a dire agli investitori che dal momento in cui si pensa un'opera ad aprire un cantiere servono almeno dieci anni. Ero in Qatar per accompagnare dei nostri imprenditori e lì ho avuto degli incontri bilaterali con un paio di soggetti che fanno parte del Governo: a fronte della possibilità di investire, hanno obiettato che da noi si fa fatica ad investire perché si sa quando si comincia, ma non quando si finisce. Credo che questi siano campanelli importanti da ascoltare perché, come dicevo, c'è tanta liquidità nel mondo, che ci siamo accorti non essere piatto ma tondo, metà del pianeta sta correndo e producendo risorse da investire, oltre che reclamare forme di partenariato con il nostro sistema industriale di piccole, medie e di quelle poche grandi imprese che abbiamo.
Stiamo anche esaminando il tema della previsione per le opere strategiche di meccanismi di composizione e superamento del dissenso da parte delle regioni in tema di localizzazione delle opere. Stiamo riflettendo sull'opportunità di istituire un comitato dei ministri con funzioni di coordinamento, monitoraggio e propulsione per le opere strategiche, ovvero di introdurre come norma di principio, quindi in questo caso non come norma costituzionale - quella richiede condizioni di tipo procedimentale che conosciamo - nel codice dei contratti pubblici il divieto della reformatio in peius dei contratti di partenariato pubblico-privato per dare, anche qui, certezza del quadro regolatorio in essere al momento della stipula del contratto.
Stiamo inoltre studiando l'introduzione di procedure di consultazione democratica delle realtà presenti sul territorio. È una sorta di débat public italiano, compatibile con le procedure proprie del nostro ordinamento.
Pensiamo poi a misure per promuovere il reperimento di risorse per l'ammodernamento e l'infrastrutturazione della rete portuale anche attraverso il graduale compimento del processo volto al raggiungimento dell'autonomia finanziaria dei porti. Anche in questo caso, con l'approvazione di quell'ordine del giorno di cui ho fatto menzione, nell'ambito della legge di conversione del quel decreto-legge sulle liberalizzazioni, il Governo ha assunto uno specifico impegno in tal senso.
Sto, inoltre, analizzando, con l'aiuto di chi mi supporta in questo compito, misure per agevolare il reperimento di finanziamenti delle opere pubbliche anche tramite forme più incisive di coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti.
Da ultimo, in una fase di iper-regolamentazione, quale quella resasi necessaria nell'ultimo periodo nel settore dei contratti pubblici, ritengo utile e indispensabile, per dare certezza agli operatori - sono state introdotte norme utili, ma bisogna che gli operatori si orientino - un assestamento, e ribadisco un assestamento, del quadro normativo di riferimento.
A questo riguardo, parlando proprio di tecnicalità, è auspicabile che possa esservi una delega al Governo per operare un consolidamento delle disposizioni in materia di contratti pubblici previste dal Codice degli appalti e dal regolamento esecutivo per evitare duplicazioni e sovrapposizioni, prendendo peraltro spunto fin da ora dai princìpi che stanno emergendo a livello comunitario, da non confondere con una fantomatica opera di riscrittura del codice, che esula dalle intenzioni di questo Governo, fatti salvi soltanto i necessari adeguamenti, in sede
di recepimento, delle nuove direttive comunitarie in materia di appalti e concessioni.
Risulterebbe, inoltre, opportuna la possibilità di conferimento di una delega al Governo anche per il riordino della materia edilizia, al fine di rendere organiche tutte le disposizioni finora emanate in materia, individuando in quest'ambito i princìpi fondamentali così che possa essere più agevole affrontare efficacemente e in un'ottica di sostenibilità le trasformazioni territoriali di cui il Paese necessita fortemente.
Anche a questo riguardo, ricordo che, sempre con l'approvazione dell'ordine del giorno che il presidente mi ha permesso di definire «benedetto», il Governo è stato impegnato a favorire gli investimenti nel settore dell'edilizia attraverso forme di premialità fiscale che rendano disponibili risorse economiche.
Va, inoltre, adeguatamente valutata l'introduzione di una legge quadro contenente i princìpi nella materia del governo del territorio che sia capace di mettere a sistema, sull'intero territorio nazionale, le innovazioni già introdotte nella normativa statale e in molte regioni per mezzo dell'attività legislativa concorrente regionale. In questa sede, ad esempio, potrebbero essere affrontate proprio le tematiche connesse alla copianificazione tra Stato e regioni, alla sussidiarietà che ispira la ripartizione dell'attribuzione delle competenze tra i diversi soggetti istituzionali e ai rapporti tra questi e i soggetti interessati alla cooperazione e al coordinamento attuati tramite intese e accordi tra i soggetti istituzionali, alla pianificazione per ambiti unitari, alle dotazioni territoriali, alla perequazione e alla compensazione alla fiscalità urbanistica e immobiliare.
Spero, onorevoli deputati, di essere stato esauriente nella mia relazione.
PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
SALVATORE MARGIOTTA. Ringrazio il Viceministro per essere qui. Gli argomenti sono tanti. Noi avremmo necessità di incontri più frequenti: cercheremo di chiederli e di ottenerli come Commissione.
Parto anch'io, immediatamente, dalle proposte di direttive europee su cui la nostra Commissione ha iniziato il proprio lavoro. Peraltro, io stesso ne sono relatore. Su questo vorrei fare alcune precisazioni e anche interloquire criticamente su alcune questioni.
Anzitutto, è stato ricordato dallo stesso Viceministro che siamo in fase ascendente. Questa Commissione l'anno scorso ha già lavorato sul Libro verde sugli appalti che lei richiamava e riteniamo che le stesse proposte direttive dell'Unione europea abbiano, in qualche modo, tenuto conto delle indicazioni che, anche attraverso la nostra Commissione, il Parlamento ha voluto dare.
Riteniamo che questo lavoro virtuoso debba continuare, per cui questo incontro è utilissimo, ma è importante che ce ne siano altri, soprattutto in questa fase di negoziazione intergovernativa. Lei diceva, giustamente, che il Governo è al tavolo di negoziazione. Noi, contemporaneamente, stiamo facendo il nostro lavoro con una serie di audizioni che porterà a un documento scritto, che rappresenterà l'opinione del Parlamento sull'argomento. Per noi è fondamentale che il Governo ne tenga conto, e dunque sarebbe utile anche formalmente che, prima che il Consiglio dell'Unione europea assuma decisioni cogenti, sia possibile attendere che il Parlamento svolga il proprio compito giungendo alla redazione di un documento sulle proposte di direttive.
Ovviamente, noi ci impegniamo, signor Viceministro, a essere celeri e a far sì che i tempi possano essere rispettati perché sappiamo che entro dicembre la Commissione europea dovrà esprimersi. Faremo molto presto in modo da dare al Governo il supporto delle decisioni e dell'orientamento del Parlamento.
Sul merito, sono d'accordo sulle criticità evidenziate dal Viceministro. Ne sottolineerei un'altra, cioè tutta la questione della procedura negoziata senza bando che la Commissione europea richiama e
impone: si tratta, a nostro avviso, di uno strumento da riservare a casi eccezionali. Naturalmente, infatti, può ledere trasparenza, rotazione, libertà di partecipazione alla gara, quindi anche questa è una questione da affrontare con grande cautela.
Sono d'accordo sulla delicatezza dei requisiti reputazionali, come lei diceva, ma credo che introdurli costituisca un vero e proprio salto di qualità in avanti che va fatto nella legislazione del nostro Paese. Non si vede, infatti, perché non ci sia, ad oggi, nessuno strumento per premiare un'impresa brava rispetto a un'impresa che brava non è; non ci sia in nessun modo la possibilità, attraverso il bando di gara, di dire che un'impresa che chiude il lavoro nei tempi giusti, senza riserve, senza guasti e senza danni di altra natura, merita un vantaggio sia pur minimo rispetto alle altre nell'aggiudicazione del bando successivo. Penso che sia un criterio essenziale che il Governo e il Parlamento farebbero bene a introdurre.
Allo stesso modo, la divisione dei lotti per favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese è cosa buona e giusta e, ovviamente, il gruppo del PD va in questa direzione. Anche su questo, però, con tutte le cautele del caso. Io vengo dal Mezzogiorno, come il mio collega Iannuzzi, che spesso ha lavorato sulla Salerno-Reggio Calabria, dove si sono vissute le esperienze dei piccoli e dei macrolotti: obiettivamente, bisogna riconoscere che i secondi hanno funzionato meglio, per cui tutte le forme che possano cautelare l'obiettivo della partecipazione delle piccoli e medie aziende con l'obiettivo della celerità nell'esecuzione delle opere è fondamentale.
Molto velocemente affronto anche la seconda parte del tema, su cui altri colleghi, a partire dal capogruppo Mariani, si soffermeranno maggiormente. Esistono tre emergenze in Italia nel settore dei lavori pubblici: la prima e la più grave è la mancanza di investimenti; la seconda, grave quasi quanto la prima, è il ritardo nei pagamenti anche «per colpa» del patto di stabilità che sta producendo danni fortissima alle imprese. Chiesi al Ministro Passera nella prima audizione se anche per questo Governo il patto di stabilità fosse un totem invalicabile come lo era per il Governo precedente. Non ricevetti, all'epoca, risposta e mi piacerebbe capire se lo è o meno. Le imprese, infatti, muoiono di patto di stabilità e le amministrazioni pubbliche sono in difficoltà per lo stesso tema.
La terza emergenza, infine, è quella delle regole, su cui - apprendo oggi dal Viceministro - si sta lavorando. Lei ha citato, e in Commissione lo sappiamo bene, aggiungo con un po' di mal di pancia dal nostro punto di vista, le tante norme presenti nei decreti-legge fin qui approvati che incidono sui lavori pubblici. Il mal di pancia è dovuto all'applicazione delle norme regolamentari della Camera che fanno sì che questi decreti-legge sono sempre assegnati ad altre Commissioni per preponderanza di materia, per cui la Commissione lavori pubblici si esprime solo in via consultiva su una parte fondamentale della legislazione in materia di lavori pubblici, che trova spazio nei diversi decreti-legge emanati dal Governo. Ecco perché anche noi auspichiamo che ci sia, come lei ha anticipato, un provvedimento, sotto forma non di decreto-legge ma di disegno di legge, che abbia come scopo la formazione di un corpus normativo complessivo, e che quindi
renda possibile a questa Commissione di lavorare così come bisogna anche per l'esperienza e la competenza che abbiamo in materia.
Ci ha detto, signor Viceministro, che esiste un tavolo di confronto presso il suo dicastero. Noi sappiamo - perché ne abbiamo discusso a lungo - che il precedente Governo ne aveva costituiti addirittura due: ci auguriamo che si riesca a far tesoro delle cose dette negli anni precedenti e celermente a pervenire alla presentazione di questo disegno di legge.
Non entro nel merito, enuncio solo tre temi a mo' di titolo. A mio avviso, tre problemi rilevanti su cui vale la pena che si rimetta mano dal punto di vista legislativo sono i seguenti. Il primo è quello
della qualità del progetto: sappiamo che molte opere pubbliche non si finiscono perché è posto a base di gara un progetto sbagliato, fatto male o comunque insufficiente. Il secondo è quello dell'eccessivo utilizzo del massimo ribasso: oggi si appaltano opere in Italia con il 58, qualche volta 60 per cento di ribasso. Questo significa che l'opera non si realizzerà perché quell'aggiudicazione servirà all'impresa a ottenere qualche credito dalla banca per saldare debiti precedenti, ma non a realizzare il lavoro. Si ricorra, allora, alla media mediata per lavori medio-piccoli, a quella economicamente più vantaggiosa per lavori maggiori, a una condizione però: che le commissioni di gara siano costituite in modo da garantire il massimo di trasparenza. Se l'offerta economicamente più vantaggiosa, infatti, fosse solo il modo per introdurre grande discrezionalità in capo al committente, rischiamo di
fare danni anche in questo campo.
Il terzo tema, infine, a mio parere fondamentale (da questo punto di vista, va detto che il Governo in carica ha già operato bene, ad esempio nel cosiddetto «decreto salva Italia» c'è un primo segnale importante) è quello della riduzione e della qualificazione del numero delle stazioni appaltanti. Ci sono troppe stazioni appaltanti, molto spesso non qualificate rispetto al tipo di opera che esse vogliono appaltare. Nel decreto «salva Italia» si impone a tutti i comuni al di sotto di 5.000 abitanti di trovare un modo di consorziarsi e individuare un unico soggetto appaltante. Questo va molto bene e, probabilmente, bisogna continuare in questa direzione.
Concludo su questo tema dicendo che oggi esistono, secondo l'Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici, circa 10.000 stazioni appaltanti: la reductio ad unum sarebbe sbagliata, non si tratta di passare da 10.000 a 50, ma probabilmente passare da 10.000 a 5.000 stazioni appaltanti sarebbe un grande passo in avanti, anche per l'economia di questo Paese.
AURELIO SALVATORE MISITI. Ringrazio il Viceministro per questa lunga e ampia illustrazione dell'attività che sta svolgendo il Governo nel campo dei contratti pubblici. Ritengo importantissimo che il Governo stia seguendo la formazione delle direttive europee mentre nascono, crescono e si scrivono. Purtroppo, infatti, la legislazione italiana è stata sempre influenzata da direttive europee calate dall'alto che, praticamente, dal 1994, le inseriamo nella legislazione italiana complicando le cose e arrivando ai livelli assolutamente anormali di leggi e regolamenti con 500/800 articoli e così via.
Sappiamo benissimo che quelle 8-10 mila stazioni appaltanti non sono in grado di seguire un appalto e il problema principale in Italia, in questo momento, sono i contenziosi. Tutti i comuni, tutte le stazioni appaltanti hanno contenziosi. Le principali stazioni appaltanti, come l'ANAS, hanno contenziosi che valgono almeno dieci anni di finanziamento di quegli enti, e quindi non si sa dove si andrà a finire: servirebbero tre Governi per arrivare alla fine di questo contenzioso, ma tre Governi di cinque anni. Questa è la grande verità e dico questo anche per congratularmi del lavoro che il Governo sta facendo per ridurre il contenzioso.
Aggiungo che fino al 1994, nonostante le distorsioni precedenti, distorsioni singole, personali, di gruppi e così via, avevamo una legislazione degli appalti - parlo dei lavori pubblici perché il resto è stato introdotto dopo - fatta, certamente, in 30 anni, ma durata 80-90 anni, ed era una legislazione molto chiara, era la legislazione migliore in Europa.
Sottolineo, però, che questa legislazione era stata fatta con la consultazione non delle imprese, ma degli uffici del Genio civile italiano, cioè dei grandi funzionari che avevamo in tutto il territorio nazionale, che hanno suggerito modalità semplicissime per approntare la legislazione.
Guai se oggi si facesse al contrario! Una delle nostre sventure, infatti, è proprio dovuta al fatto che la legislazione europea, le direttive, sono frutto dell'azione di lobby, di società di costruzione, che - fanno il loro mestiere - dando spinte e indicazioni.
Avevamo normative frutto, invece, dei suggerimenti e delle osservazioni di rappresentanti della cosa pubblica, di soggetti che, evidentemente, avevano dedicato la vita intera a quelle operazioni.
Dal 1994, invece, siamo costretti ogni anno a modificare la normativa. Nel 1994 avevamo fatto la legge Merloni, poi abbiamo fatto la Merloni-bis, la Merloni-ter, la Merloni-quater e così via, proprio utilizzando le direttive europee. Ora io spererei che la vostra durata, la durata del Governo in carica fosse più lunga in modo da poter arrivare a riformare tutto il sistema (delle 100 norme credo, in realtà, alcune siano modifiche: se fossero tutte nuove, mi preoccuperei di più perché significherebbe che, agli 800 articoli vigenti, si aggiungerebbero altri 100 articoli che disturbano l'attività soprattutto delle piccole stazioni appaltanti).
Sarebbe necessario, però, consultare molto le amministrazioni locali, le stazioni appaltanti, che sono tutte pubbliche, i funzionari dei provveditorati alle opere pubbliche, senza lasciarsi troppo influenzare da quello che dicono gli esperti, che provengono solo dal mondo delle imprese. Penso non debbano essere inserite norme frutto di elaborazioni che non hanno nulla a che fare con una certa struttura pubblica. Va sempre bene ascoltare, ma la decisione spetta all'amministrazione pubblica.
Qualcuno può anche criticarmi, ma credo che vada sentita anche l'amministrazione della giustizia, quella civile soprattutto. La questione del contenzioso, infatti, la coinvolge. Parlo anche della giustizia dei Tar. Bisogna, a mio avviso, avere il quadro molto generale. Porrei mano, quindi, a restringere la normativa, a semplificarla e a ridurla. Si potrebbe obiettare che non è compito vostro, che il Codice degli appalti è stato fatto così, il regolamento pure, ma anche il Codice ha subìto 3, 4, 5, 6 modifiche per queste ragioni.
Il collega Margiotta diceva, giustamente, che non abbiamo avuto mai la possibilità di discutere su questo punto in maniera esclusiva nella nostra Commissione. Questo ci ha sempre un po' danneggiato, anche se ripeto che ho votato i vari decreti-legge emanati dal Governo e sono convinto che fossero giuste alcune delle norme in essi inserite, che altre fossero meno importanti, ma quelle importanti le ho sostenute e le sostengo.
Nel merito, dico soltanto poche parole sulle concessioni: fate bene a parlare dell'avvalimento, a cercare di chiarire, ma queste sono singole questioni che possono essere affrontate e chiarite anche soltanto con dei decreti ministeriali, ma - se lo si reputa necessario - anche una legge va bene.
Sulla ripartizione in lotti, invito a fare attenzione perché c'è un punto negativo. Gli stralci sono strati sempre previsti. Con la vecchia normativa si faceva il progetto generale e poi si realizzavano gli stralci; ed erano tutti stralci funzionali, nel senso che era giusto il lotto solo a condizione che potesse servire anche se realizzato da solo.
Al contrario, se si realizza un'opera in lotti senza questa condizione, si fanno solo dei pezzi di opera. è possibile, infatti, non ci sono tutti i soldi necessari e sappiamo benissimo che può esserci la tentazione di dividere le poche risorse esistenti in tanti lotti perché così si coinvolge un certo numero di aziende. Poi magari dei 100 milioni necessari, solo 20, o solo 40, si possono avere nel giro di qualche anno e così alcuni lotti si realizzano, altri non si realizzano e l'opera resta non finita.
Starei, quindi, molto attento alla questione della ripartizione in lotti. Personalmente, abbraccerei, invece, la linea della legislazione italiana antica, con stralci funzionali. È chiaro che le imprese che vogliano partecipare, se il lotto funzionale è più grande, si aggregheranno, come non è vietato a nessuno di fare. La mia è un'ottica contraria a quella delle cattedrali nel deserto.
Ci sarebbero tante altre cose, lei ha toccato tantissime questioni e, se avremo tempo, ci torneremo sopra, soprattutto per la legislazione nazionale. Un punto solo vorrei ricordare, quello che, a suo avviso, sarebbero veti posti dalle regioni: io credo, invece, che i veti fondamentali siano posti dai comuni.
Se la legge obiettivo aveva un pregio, era quello di superare la questione dell'ostacolo comunale. Le regioni, in genere, sono sempre d'accordo con lo Stato, mentre i comuni, grazie alla modifica del Titolo V della Costituzione, sono i protagonisti, nel senso che se dicono che «non si passa», non si può passare.
Credo che si debba puntare molto a far sì che l'opera strategica sia di competenza statale e basta, non c'è da concordare niente con nessuno. Se lo Stato decide di realizzare un'opera strategica, questo non può essere impedito da nessun'altra struttura, ma questo cozza un po' con la normativa approvata con la riforma del Titolo V della Costituzione. Dobbiamo, allora, essere realisti: la legge obiettivo ha sfiorato proprio la Costituzione, è stata quasi dichiarata incostituzionale per questo aspetto, che abbiamo superato non so per quale motivo. Se andiamo ancora a «sfruculiarla», come si dice dialetto, credo che rischiamo di avere un ricorso della Corte costituzionale, che boccerà la normativa. La legge obiettivo, infatti, già dava molta noia al dettato del nuovo Titolo V della Costituzione, ai poteri dei comuni, per cui se rimane la legge obiettivo avremo questo problema fino a che non sarà cambiata la norma
costituzionale, che io sono d'accordo vada cambiata (la norma costituzionale) perché l'opera strategica è un'opera strategica dello Stato.
RAFFAELLA MARIANI. Sarò velocissima. Apprezzo i riferimenti che il Viceministro ha fatto a tutto il lavoro necessario per accelerare le procedure legate alla ripresa dell'attività delle opere pubbliche, dell'infrastrutturazione in generale del settore edile del nostro Paese, che in questo momento subisce una delle più gravi crisi di tutti i tempi.
A me interessa concentrarmi sulla questione della normativa nazionale. Abbiamo richiesto di audire il Viceministro per aver appreso da organi di stampa della volontà del Governo di partire con un disegno di legge delega con una maggior collaborazione col Parlamento e con la nostra Commissione proprio in riferimento ad alcuni dei temi che qui già altri colleghi hanno anche sottolineato e che io voglio ricitare. Questi riguardano soprattutto, oltre che il tema della velocizzazione e della trasparenza delle procedure, tutta la questione che ha riguardato in questo momento la delegificazione e il rimaneggiamento del Codice degli appalti, che ha subìto in numerose occasioni e attraverso numerosi decreti-legge diversi ritocchi e che, però, non ha mai reso organicamente una visione di quello che si voleva andare a fare.
Il Codice degli appalti in parte ha la necessità di adeguarsi a normative comunitarie - ci mancherebbe altro, sottolineo io - ma ha anche dovuto fare i conti con l'applicazione, per esempio, di un Regolamento esecutivo molto complesso, che in alcuni casi è stato di per sé stesso un freno anche nell'applicazione delle norme che tutti i soggetti che dovevano attuarlo ci hanno messo in evidenza, le stazioni appaltanti come coloro che dovevano gestire in primo luogo i lavori partecipando a gare. Credo che in alcuni casi la delegificazione non porti una semplificazione se non si hanno obiettivi chiari e netti e in questo senso forse tutti insieme, con l'esperienza di questi ultimi anni, possiamo anche offrire un contributo.
Vorrei anche sottolineare velocemente, sui tempi delle procedure, che oggi assistiamo, mediamente, ad una sfasatura inaccettabile dei tempi di approvazione delle delibere CIPE e di pubblicazione delle stesse sulla Gazzetta Ufficiale. Io considero questo ultimo termine come l'elemento di ufficialità di una delibera CIPE perché fino ad allora il Parlamento, non dico il cittadino comune, non ne è al corrente. L'altro giorno il Ministro Passera in Commissione bilancio ha spiegato che uno degli obiettivi di questo Governo è
rendere monitorabile un'opera dal momento in cui è deliberata dal CIPE, ma il Parlamento, lo ripeto, conosce le delibere CIPE, mediamente, un anno dopo la loro approvazione. Non può essere questo il meccanismo di un Governo efficiente, di un sistema moderno!
Il Parlamento deve avere piena e tempestiva conoscenza e deve poter monitorare quello che avviene al CIPE. Invece, in sede di applicazione di un decreto legislativo sul quale la Commissione aveva dato un parere (il decreto legislativo n. 229 del 2011 in materia di monitoraggio delle opere pubbliche, emanato in attuazione dell'articolo 30 della legge n. 196 del 2009, che riconosce a Camera e Senato la possibilità di effettuare un monitoraggio sullo stato di realizzazione delle opere pubbliche passate dal CIPE e approvate dai ministeri competenti) ci siamo sentiti rispondere dalla Ragioneria dello Stato e dal Ministero dell'economia che l'accesso in ogni momento alle notizie relative alla realizzazione delle singole opere non era previsto per il Parlamento. Mi domando se, in questo senso, questo Governo voglia dare un segnale molto netto consentendo alle Camere l'accesso diretto ai dati relativi al percorso delle opere fin dal momento in cui escono dal CIPE, non dal momento
in cui le relative delibere sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.
Per noi questo è dirimente perché dire, come ha detto il Ministro Passera, che un cittadino ha diritto di vedere il percorso significa anche dire, a maggior ragione, che anche il Parlamento può farlo, fin dal momento stesso in cui il CIPE ha deliberato.
Siamo, inoltre, d'accordissimo che la Corte dei conti debba dare su tali atti un parere preventivo, magari in tempi perentori, definiti. Tutto questo non può essere, infatti, un ostacolo per rimpallarsi nelle segrete stanze alcune opere ed altre no. Ribadisco che lo riteniamo dirimente.
Anche sul tema che lei ha citato e che abbiamo caldeggiato anche con ordini del giorno, degli sgravi finanziari sui project bond, siamo d'accordissimo.
Infine, Viceministro c'è una questione che riguarda in modo specifico le piccole opere. Abbiamo, infatti, un'idea condivisa che vi sia la necessità di intervenire in materia di opere strategiche per fare le cose che abbiamo detto, ma abbiamo anche interesse che il Governo dica cosa pensa riguardo alle piccole opere e in particolare alle cosiddette «opere non bancabili» che spetterebbe finanziare propriamente dallo Stato, cioè quelle opere per le quali non è possibile fare ricorso al project financing, né sollecitare l'interesse degli investitori privati nazionali e stranieri. Qui le questioni riguardano, oltre ai rallentamenti delle procedure, citati già dal collega Margiotta, anche le questioni del superamento del patto di stabilità interno e del ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Abbiamo, in sostanza, bisogno che anche in tema di opere medie e piccole ci sia una risposta
politica del Governo.
Porto l'esempio delle Ferrovie perché è il più calzante: è in corso una grande discussione su grandi infrastrutture ferroviarie, alle quali all'inizio ha partecipato solo lo Stato - penso anche alla TAV, su cui oggi si cercano anche investitori privati - e non c'è mai stata una discussione chiara e netta, per esempio, sul trasporto pubblico ferroviario locale, di cui usufruiscono milioni di cittadini, che spetta allo Stato e alle regioni finanziare, e su cui non troveremo facilmente investitori privati. Ciò però, di per sé stesso, non dovrebbe essere un ostacolo per lo Stato ad intervenire perché si tratta di servizi fondamentali per i cittadini.
L'ultima raccomandazione riguarda il DEF. La prossima settimana, dopo Pasqua, discuteremo del documento di finanza pubblica. Ogni anno abbiamo avuto problemi col Ministero delle infrastrutture riguardo all'Allegato infrastrutture, che è arrivato sempre un po' in ritardo. Anche quest'anno corriamo il rischio che l'Allegato probabilmente non sarà presentato, e anzi colgo l'occasione per chiederle se il Governo lo presenterà. Quel che noi chiediamo
formalmente al Governo è di poterlo vedere con chiari riferimenti alle opere che si possono e non si possono realizzare.
In passato ci siamo trovati, infatti, inseriti nell'Allegato infrastrutture un elenco di opere che non erano quelle che avevano la fortuna di essere finanziate o autorizzate e ci siamo trovati, sul territorio, a dover spiegare che sì, quello era un elenco, ma che alla fine mancavano le risorse. In questo senso, chiedo al Ministero delle infrastrutture un segnale di discontinuità rispetto al recente passato, indicando nell'Allegato infrastrutture quali saranno le opere prioritarie e le opere realizzabili.
FRANCO STRADELLA. Ringrazio il Viceministro per l'ampia illustrazione del lavoro del Ministero, anche se è tanto ampia che necessiterebbe di tempi più lunghi per gli approfondimenti in quanto i temi toccati sono moltissimi e tutti sono molto importanti per il nostro settore.
Condivido le osservazioni svolte dai colleghi che mi hanno preceduto che, lei lo avrà notato, non sono per nulla condizionati da questioni ideologiche o di appartenenza, e quindi non ripeterò le cose che sono state dette, condividendole sostanzialmente tutte. Mi esprimerò soltanto su alcuni dati riferiti al suo intervento e a un'opinione personale, frutto anche di esperienza professionale.
La partecipazione al tavolo della riscrittura delle direttive europee deve tener conto della situazione nel nostro Paese, che è assolutamente diversa da quella di molti altri Paesi. Noi abbiamo infatti un gap infrastrutturale importantissimo, che deve essere affrontato in modo diverso dalla Germania, dalla Francia o da altri Paesi. Inoltre, oggi è stato già ricordato, abbiamo una pletora di stazioni appaltanti, che determinano una situazione della gestione completamente diversa da quella di altri Paesi.
Su questo dobbiamo prestare moltissima attenzione perché, altrimenti, ci riduciamo ad avere regole la cui applicazione diventa difficile, perché è difficile l'adeguamento alla situazione in parte da parte dei centri di spesa e in parte anche da parte del sistema delle imprese. Del resto, il sistema delle imprese è quello che è ed è necessario assumere la consapevolezza che così come è difficile cambiare il sistema degli appalti, così è difficile cambiare il sistema delle imprese.
Una proposta di legge approvata da questa Commissione, quella sull'accesso alle professioni edili, è una sorta di sistema di qualificazione delle imprese diretto ad evitare che a questo tipo di attività professionale si affacci chiunque senza avere un minimo di professionalità, ma capisco che questa non è la soluzione del problema. Le imprese sono quelle che sono e noi dobbiamo lavorare sulla loro qualificazione, ciò che non viene mai detto, ma deve anche essere un argomento di forte preoccupazione per evitare che il settore cada in mano a organizzazione che è bene non definire, ma che tutti sappiamo quali possono essere. I tagli degli appalti, quindi, devono essere conseguenza e devono tenere conto della situazione reale delle imprese.
Sono d'accordo sulla questione che lei individuava di grave difficoltà a ottenere il via libera alle opere pubbliche in presenza di veti incrociati degli enti locali o quando non c'è una programmazione nazionale, soprattutto sulle grandi infrastrutture.
In tal senso, direi che va valutata, esaminata e risolta in modo diverso dal passato la questione delle compensazione ambientali. Queste vanno bene quando sono il riconoscimento reale del danno ambientale o della modifica dell'ambiente o del paesaggio, ma non possono diventare un elemento di contrattazione per costruire la scuola materna, l'asilo infantile, la scuola media, la piscina, l'oratorio. Se tutte le volte ci perdiamo in una trattativa che non finisce mai sulle compensazioni ambientali, l'opera non parte mai, i prezzi lievitano e le difficoltà per il nostro Paese crescono!
Ancora, sulla questione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, dico che bisognerà definirne, una volta per tutte, il significato. Dalle mie parti ho avuto la
possibilità di verificare proprio in queste settimane l'esperienza di un appalto di 20 milioni di euro per il quale è stato verificato che ci sono 3.500.000 euro di opere aggiuntive che non sono state previste dal contratto, ma che, essendo l'importo di queste ultime complessivamente non superiore al 30 per cento dell'appalto, possono essere affidate in automatico. Siamo, insomma, alle solite questioni degli «aggiustamenti».
L'onorevole Margiotta da ingegnere - gli va riconosciuto il merito di aver citato la questione della qualità della progettazione, che è un fatto estremamente importante per le opere pubbliche - sottolineava che la qualità della progettazione non può essere bypassata dalla valutazione di un'offerta economicamente più vantaggiosa che, a un certo punto, ha la possibilità di scappatoie non controllabili a monte, e che quindi determinano un vantaggio per certe imprese che conoscendo meglio la situazione possono fare offerte vincenti.
Su queste e su tante altre questioni, su tutto quanto evidenziato dai colleghi, gradirei che ci fosse, senza nessun rimprovero o critica a nessuno, una consultazione continua sull'iter delle procedure sia dal punto di vista delle norme europee sia da quello delle norme italiane.
Infine, Viceministro, lei ha giustamente parlato della politica abitativa. Noi stiamo esaminando una proposta di legge in materia di governo del territorio che si è «assottigliata» nel tempo - che è stata avviata all'inizio della legislatura e che speriamo di portarla a compimento prima della sua fine - proprio perché il lavoro del Governo ha continuamente modificato la situazione normativa.
Oggi ci troviamo di fronte al nuovo panorama della reintroduzione dell'ICI o dell'introduzione dell'IMU, che determinerà una diversa valutazione degli immobili sul mercato immobiliare, ma soprattutto renderà indispensabile l'intervento nei centri storici per il riutilizzo di quegli immobili/contenitori che magari sono vuoti o non suscettibili di intervento. Si tratta di riportare questi immobili all'uso abitativo, ovviamente con dei vantaggi di tipo fiscale, che si possono e si devono studiare. Infatti, in una situazione in cui le risorse pubbliche sono ridotte al lumicino, bisognerebbe trovare quelle forme di incentivazione che consentano il riutilizzo di questi contenitori abitativi e che scongiurino il rischio e la prospettiva di vederli svuotati e abbandonati.
Del resto, se i proprietari agricoli stanno pensando di demolire le vecchie cascine per evitare di pagare l'IMU, non vorrei che la stessa cosa succedesse nei nostri centri storici perché non c'è economicità di utilizzo dei fabbricati e non c'è la possibilità di intervenire in qualche modo!
SERGIO MICHELE PIFFARI. Cercherò di essere breve. Intanto, ringrazio il Viceministro per la relazione e mi riserverò di depositare un documento scritto sulla materia, però parto subito dalla questione pagamenti.
L'Italia ha questo cancro ormai devastante: non possiamo avere 70 miliardi di euro in attesa di essere riscossi e stiamo discutendo di come rivedere le norme per gli appalti. La verità è che qui più nessuno vuol partecipare alle gare d'appalto se mettiamo tante condizioni. Ci sono anche le condizioni di pagamento, che è indispensabile. Si può essere, infatti, ricchi di qualità, efficienti, portare risultati sugli obiettivi nei tempi nel realizzare l'opera, essere innovativi, fare varie proposte, ma che razza di garanzia diamo alle imprese, se non consentiamo loro di riscuotere i pagamenti dovuti?
Si, è vero, il Governo ha messo in campo 6 miliardi di euro, una parte in liquidità, una parte in titoli di Stato o quant'altro. Credo, però, che sia fondamentale trovare degli ulteriori strumenti, ad esempio attraverso l'utilizzo di fondi BEI: tempo fa un Ministro ci parlava della disponibilità di 16 miliardi di euro provenienti dalla BEI. Bene, utilizziamoli come strumento per accedere alle liquidazioni degli appalti pubblici, per dire che le imprese, anche a tassi corretti, possono
accedere a questi soldi per i lavori effettuati. Non chiedo di anticipare contratti di fornitura o di lavoro, ma chiedo alle pubbliche amministrazioni di pagare per quello che le imprese hanno già realizzato visto che non riusciamo a superare il patto di stabilità e abbiamo una serie di vincoli finanziari. Troviamo almeno delle forme per dare la possibilità alle imprese di stare in piedi. Siamo bravi, infatti, nel creare le norme, ma un po' meno bravi nel farle rispettare a tutti.
Condivido, inoltre, la questione posta dalla collega Mariani della necessità di avere disponibili in Parlamento le delibere CIPE in tempi un po' più reali. Una trasparenza sull'informazione è fondamentale. Questo evita che le imprese cerchino corridoi o percorsi alternativi, come spesso succede. Probabilmente, c'è necessità di elevare le soglie sul tipo di gare, ma nello stesso tempo dobbiamo trovare forme che cancellino le devianze che in Italia ci sono, i cartelli. Spesso, infatti, dentro la soglia partecipano gruppi in imprese che monopolizzano gli appalti. Nelle trattative private, con tutti questi centri o stazioni appaltanti, va bene ascoltare tutti, ma ricordiamo che dobbiamo cercare di tutelare l'interesse collettivo, pubblico.
L'ANCI, ad esempio, difficilmente ci aiuterà a far partire l'aggregazione di queste 8.000 stazioni appaltanti. Anche il piccolo comune da 200 abitanti ha infatti il suo tecnico e, altrimenti, se lo procura esternamente ricorrendo all'amico dell'amico; si creano delle situazioni che non sono più casi, ma la norma. Applichiamo, dunque, questa obbligatorietà di accorpare le stazioni appaltanti. È vero che è una materia concorrente, quindi le regioni devono fare la loro parte, per cui non chiedo che se ne occupi il Provveditorato alle opere pubbliche regionali, ma almeno che ogni regione si attivi per realizzare questi appalti in determinate dimensioni: non può esserci più il paesino che fa la gara.
Sulla questione dei lotti, passiamo dai grandi contratti, come quello dell'alta velocità, coi general contractor che hanno vinto la gara vent'anni fa e sono lì ancora in regime di monopolio, su prezzi, su tutto, determinano il costo dell'opera pubblica, al far partecipare le piccole e medie imprese e a dividere in piccoli lotti. Anche questo è un modo di forzare e di procedere con le furbizie. Attraverso la divisione in lotti, infatti, spesso si va al di sotto delle soglie, quindi non si bandiscono gare a evidenza pubblica in una certa maniera, ma si va avanti con trattative private e quant'altro. Teniamo sempre presente questo rischio!
Del resto, le associazioni temporanee di impresa si possono fare, la legge lo prevede: evitiamo, magari, che, se diverse imprese si mettono insieme, possano effettivamente avere le stesse capacità di appalto che ha la grande impresa sommando le loro capacità di lavoro. Anche io, quindi, ho dei dubbi su questa necessità di dividere in lotti gli appalti perché ogni investimento deve essere funzionale e produttivo da subito per evitare di avere opere nel deserto per le quali non troviamo più le risorse per terminarle.
Per il resto mi riservo, come dicevo, di farle avere un documento o, se la Commissione ce ne darà la possibilità, di riprendere l'argomento anche tra di noi.
TINO IANNUZZI. Ringraziamo il Viceministro per quest'audizione che traccia una tale quantità e vastità di problemi che impongono anche un dialogo molto più stretto e stringente anche andando un po' più nella specificità delle singole questioni tra il Governo, il Ministero delle infrastrutture e la nostra Commissione.
Con molta rapidità, penso che in materia di appalti pubblici siamo di fronte a una vicenda che ha sicuramente un problema di natura economica, di certezza di risorse, anche alla luce del meccanismo perverso che ricordava la collega Mariani delle «delibere annuncio» del CIPE, rispetto alle quali non si ha mai chiarezza e certezza dei tempi di erogazione delle risorse finanziarie. Si ha però anche un problema di liquidità concreta legata al rispetto dei vincoli del patto di stabilità e
al ritardo scandaloso nei pagamenti alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni.
Siamo, inoltre, anche di fronte a una materia che ha questioni molto rilevanti di assetto, di stabilità, di solidità, di chiarezza del quadro normativo. Dal 1994 a oggi sono trascorsi 18 anni, in cui abbiamo avuto - potrei sbagliare in difetto, non in eccesso - quattro versioni della originaria legge Merloni, la legge obiettivo, due versioni dei decreti legislativi attuativi della legge obiettivo sulle grandi opere, l'esperienza del Codice degli appalti varato con il decreto legislativo n. 163 del 2006 e quattro o cinque decreti correttivi e integrativi di tale decreto legislativo, una pluralità di norme, alle quali si aggiunge il corpus delle 100 oltre disposizioni legislative di cui ha parlato il Viceministro (disseminate negli ultimi decreti-legge che riguardano la materia economica latu senso) e, infine, la ripetuta modifica del Regolamento esecutivo del Codice degli appalti.
È vero che i tempi sono cambiati, però non dimentichiamo che per decenni in questo Paese la materia delle opere pubbliche è stata regolata dall'Allegato n. 2248 del 1865 e dal Regolamento di esecuzione del 1895 e non mi sembra che la realizzazione delle opere pubbliche, che significativamente in quel corpus normativo era legata con l'altro Allegato alla materia espropriativa, si sia bloccata.
C'è quindi bisogno, secondo me, di intervenire sul divenire continuo di questo processo normativo in fieri, a cui, anche rispetto all'intelligente lavoro che sta compiendo il collega Margiotta, l'inserimento delle direttive europee molto spesso ha creato ulteriori problemi perché l'inserimento è eterogeneo, disarticolato, che una volta inserisce il dialogo competitivo, un'altra la procedura di avvalimento, un'altra diverse tipologie alle procedure negoziate con o senza previa pubblicazione di bando, senza mai guardare l'effetto che ne deriva sul quadro complessivo del sistema.
Penso dunque che abbiamo bisogno di un intervento normativo che, finalmente, restituisca, possibilmente in questo scorcio di legislatura, che ha una condizione parlamentare per tanti versi eccezionale e favorevole, la certezza di un corpus normativo o di un Codice che sia effettivamente tale, che è tale se regge negli anni. Anche la codicistica del 1942 ha retto nei decenni!
Da questo punto di vista, credo che dobbiamo sforzarci - in questo l'impegno del Viceministro è fondamentale - di avere un disegno di legge organico su questa materia, che possibilmente parta in prima lettura dalla Camera, dato che nell'esame degli ultimi decreti-legge a noi è toccata sempre la ventura di andare in seconda battuta, e quindi abbiamo fatto da spettatori (a parte i problemi, come si osservava, di norme inserite in decreti che andavano in altre Commissioni di merito), e che ci consenta di porre mano alla materia sulla base di princìpi chiari.
Se debbo indicare un esempio di come la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra nel campo degli appalti, indicherei lo sforzo compiuto da giugno a oggi per snellire, semplificare e velocizzare le procedure di gara. Col nuovo articolo 46 del Codice degli appalti abbiamo, infatti, sancito la tassatività delle cause e l'esclusione dagli incanti, che quindi diventano l'eccezione legata a ipotesi nominativamente sancite; con l'articolo 20 del decreto-legge che oggi abbiamo varato in terza lettura, abbiamo previsto l'istituzione della banca centrale dati per la predisposizione di bandi di gara tipo con condizioni prefissate senza possibili mutamenti di volta in volta. Questa è la sede per la discussione del disegno di legge di riordino della materia.
I nodi da affrontare sono tantissimi. Penso che giustamente sia stato sottolineato che il nodo principale è quello della qualità della progettazione. In Italia, c'è un problema di qualità della progettazione perché i progetti posti a base delle gare molto spesso sono assolutamente carenti ed è un problema che investe tutto il meccanismo formativo della progettazione
e, naturalmente, chiama in campo anche l'intelligenza e il patrimonio delle professioni tecniche italiane.
Penso, ad esempio, che la tipologia progettuale preliminare-definitivo-esecutivo in qualche misura andrebbe snellita. Dovremmo andare, a mio avviso, verso un rafforzamento del livello progettuale preliminare, verso un progetto preliminare molto più vicino al concetto di progetto definitivo-esecutivo piuttosto che a quello del vecchio progetto di massima.
In secondo luogo, ritengo sia necessario rivisitare la legge obiettivo. Non sono fra quelli che reputano che sia una legge sbagliata o che non abbia prodotto effetti positivi, però alcuni obiettivi che si era posti, al di là della denominazione, non sono stati raggiunti. La velocizzazione dell'iter procedurale, il tempo che passa tra la progettazione e la cantierizzazione continua a essere troppo alto.
Il terzo tema importante riguarda, inoltre, il meccanismo di funzionamento del general contractor. Sono state citate le piccole e medie imprese, espressione delle diverse comunità e dei diversi territori: ma il general contractor schiaccia, soffoca il meccanismo delle piccole medie imprese, quindi un coordinamento normativo operativo va trovato.
Infine, penso che dobbiamo riflettere sui meccanismi dell'aggiudicazione, come è stato qui ricordato. Se questi ci portano a ritenere, come secondo Margiotta, che il massimo ribasso produce conseguenze aberranti nei lavori pubblici e nelle progettazioni negli incarichi tecnici, dobbiamo per forza dare spazio al meccanismo discrezionale valutativo, al modello dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Eventuali patologie vanno stroncate correggendo il comportamento delle persone e migliorando la qualità delle strutture, ma non modificando la norma.
Sul project financing, Viceministro, dico che si continua a intervenire normativamente, ma i tre obiettivi che dobbiamo porci non sono stati raggiunti: la certezza del costo dell'opera, la certezza dei tempi di esecuzione, la certezza del rendimento economico che ne ricaverà l'investitore e l'imprenditore privato.
Su questo ampio terreno penso che ci sia lo spazio per un'importante iniziativa legislativa del Governo e un forte lavoro di merito di questa Commissione e del Parlamento.
ROBERTO MORASSUT. Anzitutto mi scuso perché non potrò restare per la replica del Viceministro, ma farò affidamento al resoconto della seduta. Pongo soltanto alcune richieste di precisazione sul tema delle concessioni, che fanno riferimento alla relazione del Viceministro.
Quella delle concessioni è una materia complessa e disorganica, come è stato evidenziato anche in sede di avvio in Commissione della discussione sulla proposta di direttiva europea in materia, originata proprio dall'esigenza di addivenire ad una disciplina organica da parte dell'Unione europea. La prima richiesta di chiarimento e, più che altro, di informazione riguarda lo stato dell'iter dei negoziati intergovernativi e l'orientamento dei diversi Stati membri sulla materia, partendo dal presupposto che già alcuni importanti Paesi europei si sono espressi, a vario livello, in forma negativa sui contenuti della proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea.
La seconda questione riguarda il tema delle concessioni portuali e dell'uso dei beni demaniali. Lei, Viceministro, ci ha informato che, su questo specifico punto, è stato già posto alla Commissione europea una richiesta di chiarimenti. Vorremmo tuttavia sapere in che direzione il Governo italiano intende muoversi in ordine ai contenuti della richiesta di chiarimenti sottoposta a livello europeo.
Il terzo tema che vorrei proporre è un tema problematico perché, come già è stato sottolineato in apertura della sua relazione, in materia di servizi pubblici locali già oggi, con i provvedimenti d'urgenza recentemente adottati dal Governo, da ultimo il cosiddetto «decreto liberalizzazioni», si è prodotta una maggiore complessità di normative (fanno fede di questo,
appunto, le oltre 100 disposizioni richiamate dal Viceministro, che si riferiscono a diversi provvedimenti). In tal senso, le chiedo: come la materia delle concessioni e ciò che riguarda specifici aspetti della proposta di direttiva europea si collegano con i provvedimenti nazionali emanati dal Governo ed approvati dal Parlamento? Su questo specifico punto, quali sono gli indirizzi della proposta di direttiva e c'è coerenza fra questi ed i contenuti dei provvedimenti da noi approvati negli ultimi mesi in sede nazionale?
In quarto luogo, pongo il tema dei tempi e delle relazioni tra l'annunciato disegno di legge del Governo e i tempi di approvazione della proposta di direttiva europea sulle concessioni, che abbiamo detto essere collocabili all'incirca alla fine dell'anno in corso (nello stesso tempo, però, lei ha fatto riferimento all'esigenza di un disegno di legge specifico del Governo per quanto riguarda proprio gli aspetti legati alla posizione organica del Governo italiano sulla materia).
Un ultimo punto riguarda, infine, le modifiche alle condizioni di concessione in corso di esecuzione, che è un aspetto specifico che mi pare che sia stato trattato nella sua relazione.
Un punto ancor più specifico, che non riguarda la materia delle concessioni, ma il tema del riordino della normativa in materia di governo del territorio. L'onorevole Stradella ha ricordato che la Commissione si sta impegnando da tempo e sta cercando di trovare un punto di sintesi tra le varie proposte di legge, anche snellendone i contenuti e finalizzandoli al raggiungimento di due o tre specifici obiettivi. Nella sua introduzione, Viceministro, si fa riferimento all'esigenza di affidare una delega al Governo per addivenire al riordino della normativa e all'approvazione di una disciplina organica sulla materia dell'edilizia (quindi ritengo che lei si riferisca ad una revisione del Testo Unico sull'edilizia del 2001), nonché ad un ulteriore provvedimento che, evidentemente, debbo pensare sia quello che potrà attivare il lavoro della Commissione e del Parlamento in materia di governo del territorio.
Su questa materia, naturalmente, bisogna sottolineare un aspetto: la materia dell'edilizia e del governo del territorio, cioè delle trasformazioni territoriali, delle trasformazioni urbane è ormai, anche a seguito dei provvedimenti degli ultimissimi anni che si sono sovrapposti nel tempo, anche qui rendendo più complessa e quasi inscindibile tutta la materia (a partire dal cosiddetto «decreto sviluppo» del 2010, per arrivare a quello successivo del 2011, ma anche, per esempio, al cosiddetto «Piano casa», che ha avuto varie versioni nelle traduzioni regionali) del resto strettamente connessa, anche se in un caso più estesa e nell'altro più specifica, dell'edilizia e delle trasformazioni del territorio.
Da questo punto di vista, la necessità di una organica revisione normativa e di una riforma complessiva di questo settore decisivo per lo sviluppo del Paese, per un equilibrato percorso verso un modello di sviluppo sostenibile, forse portano a pensare alle necessità di un provvedimento unico, snello, molto semplice, visti i tempi a disposizione ormai non più lunghi prima della fine della legislatura, nel quale le due materie - l'edilizia e il governo del territorio - possano, comunque, essere trattate organicamente insieme.
Vorrei, su questo un chiarimento su cosa significa per lei, Viceministro, una delega al Governo sulla materia dell'edilizia e un provvedimento, invece, separato sul governo del territorio.
GIANLUCA BENAMATI. Essendo l'ultimo, cercherò di non essere troppo lungo e vorrei focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti che sono stati marginalmente toccati negli interventi che hanno preceduto il mio, anche perché con gli interventi di merito del collega Margiotta e del collega Iannuzzi sul tema degli appalti sono perfettamente d'accordo.
Nel ringraziarla della sua ampia relazione, proporrei una riflessione aggiuntiva sul tema che ha sollevato del finanziamento delle opere pubbliche. Al di là delle questioni tecniche, il problema vero, come abbiamo già avuto modo di discutere anche nella sua audizione precedente, è
quello delle risorse disponibili. Questo è evidentissimo nel piano delle infrastrutture strategiche (PIS), che penso quest'anno aggiorneremo nell'ambito del DEF, per le quali, ovviamente, per le circa 180 che sono finanziate dal CIPE, abbiamo una disponibilità, a fronte dei 132 miliardi di euro circa necessari, di 75 miliardi, solo il 20 per cento dei quali, provenienti da privati.
Il tentativo di muoversi nella direzione di un maggiore coinvolgimento dei privati che lei ci aveva già annunciato è, quindi, sicuramente positivo sia nell'ambito della nuova disciplina europea sia in quello delle iniziative del cosiddetto «decreto liberalizzazioni». Devo ammettere che ci sono dei passi avanti evidenti con l'introduzione di discipline nuove in tema di partenariato pubblico-privato, di partenariato per l'innovazione, che potrebbe essere molto interessante - ma, da questo punto di vista, il tema della introduzione dei titoli di debito e anche la modifica delle condizioni per le società per accedere all'emissione di questi titoli rivolgendosi anche a utenti qualificati, quindi cambiando un po' le cose, sono sicuramente positivi.
In questo non possiamo nasconderci che esiste un problema di trattamento fiscale per rendere assolutamente - lei ha già colto il punto - attrattivo questo tipo di investimento. Su questo direi - aggiungo, forse, una parte alla sua relazione - che, essendo titoli che sostituiscono in parte un investimento pubblico, quindi un titolo di debito pubblico, il trattamento fiscale di questi titoli dovrebbe avere come riferimento il trattamento fiscale del titolo di debito pubblico.
Il Governo dovrebbe, dunque, compiere una serie di azioni in questo settore per rendere veramente efficiente questo strumento, in parte già presente anche nella passata legislazione. Per questo, oltre all'ordine del giorno che lei citava, abbiamo presentato, con alcuni colleghi, ieri un'interrogazione parlamentare proprio per capire meglio il complesso degli intendimenti del Governo in questo settore.
Dal punto di vista, invece, delle risorse pubbliche - giustamente, l'onorevole Mariani citava l'universo delle proposte di opere pubbliche presenti nell'Allegato infrastrutture, le circa 180 finanziate hanno di fianco a loro 230 proposte senza finanziamento - c'è un tema, al di là delle importante importanti questioni di metodo che ha posto (come le consultazioni pubbliche, un nuovo coordinamento dei ministeri sull'avanzamento per le opere e anche forse sulle scelte strategiche di quali opere considerare prioritarie), che però rimane: quello del finanziamento pubblico delle opere.
Viceministro, il tema è molto semplice (il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti va bene) e le illustro un esempio che fa capire cosa intendo quando parlo della necessità di superare il patto di stabilità. Nella mia città di Bologna avevamo l'idea di realizzare una metropolitana, un progetto molto vecchio, che vale circa 700 milioni di euro, che con la stretta del decreto-legge n. 112 del 2008 risultava praticamente al limite della fattibilità, col decreto-legge n. 78 del 2010 l'opera risultava praticamente quasi infattibile e non più fattibile con i decreti-legge n. 98 e n. 138 del 2011.
Esiste, quindi, un tema di disponibilità delle risorse da parte delle pubbliche amministrazioni e dei comuni, di superamento del patto di stabilità e di utilizzo delle risorse per investimento che dovrebbero essere escluse dai vincoli del patto di stabilità.
Questo, se è importante per le grandi opere, nel campo delle piccole opere è essenziale. Il comune che ha, infatti, la disponibilità di intervenire con somme anche non elevate - lo citava l'onorevole Mariani che mi ha preceduto - per interventi non bancabili, reca grande utilità nel campo delle opere di interesse pubblico, ma nella stragrande grande maggioranza dei casi non riesce a intervenire perché impedito dai vincoli del patto di stabilità.
Quello delle piccole opere, dunque, è anche un tema di possibilità concreta di attivare finanziamenti da parte dell'ente pubblico.
Do atto al Governo di muoversi su questo settore perché, oggettivamente, il passo avanti con il Decreto liberalizzazioni c'è stato. Ovviamente, il cammino non è finito, ma ci si sta muovendo. Questi sono tre temi che, assieme a quelli posti dai colleghi, a mio avviso sono assolutamente da tenere presente per rendere efficace lo sforzo in questo settore.
PRESIDENTE. Do la parola al Viceministro Ciaccia per la replica.
MARIO CIACCIA, Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti. Grazie, onorevoli deputati. Cercherò - ho preso nota un po' di tutto - di essere chiaro. Alcune riflessioni, ovviamente, ne accomunano diversi, quindi non mi soffermerò su ciascun singolo intervento.
Parto dall'affermazione che a me piace molto perché mi ci riconosco dell'onorevole Benamati «il cammino non è finito»: non lo è nemmeno con questo auspicabile e auspicato disegno di legge. Non abbiamo la pretesa di esaurire in un'unica volta anche questo aspetto perché, diversamente, penso che saremmo, come minimo, tacciati di presunzione. Questo disegno di legge deve riuscire a risistemare un po' la materia ovviamente nei limiti accettabili, e per questo sono richieste alcune ipotesi di delega.
Naturalmente, in alcuni interventi, anche dell'onorevole Morassut, che non è potuto restare, a volte si ha l'impressione quasi che, sostanzialmente, si siano recepite già delle direttive quando, invece, io sono qui per informarvi del fatto che si stanno studiando a fondo. Casomai, si pone un problema di vedere quanto più si riesca nei termini previsti per l'approvazione da parte della Commissione direttive di lucrare perché in quelle norme che dovranno far parte del disegno di legge si possa dare il massimo della utilità.
Ovviamente, ci sono anche interventi che mi invitano a tener conto delle osservazioni e delle riflessioni di questa Commissione. Ma io credo di avere nel DNA le istituzioni, verso le quali nutro il massimo rispetto. Tra queste, spicca certamente il Parlamento, la prima istituzione del popolo italiano, e credo che rappresenti un elemento di novità il fatto che io sia qui a riferire prima di portarvi delle norme. Credo che non rientri nelle regole, almeno da quello che ho letto sui libri di scuola.
Sono qua per dirvi quello che sto facendo proprio perché voglio ascoltare. E quindi alle suggestioni di chi mi suggerisce di fare attenzione agli ascolti dico che le norme si costruiscono nel mio ufficio, nell'ufficio del ministero e, ovviamente, si ascoltano per primi gli uffici del ministero, - onorevole Misiti, non scherziamo -, i provveditorati alle opere pubbliche, con le esperienze da loro maturate e con la loro stratificazione culturale.
Abbiamo dei bei cervelli! È ora di sottolineare forte e chiaro che le amministrazioni dello Stato, nella buona parte, almeno, che ho avuto modo di conoscere, devono essere orgogliose del patrimonio anche culturale che possiedono. Non c'è dubbio, però, che si debba ascoltare il Paese e, ovviamente, questo porta, onorevole Iannuzzi, anche a volte all'impressione che possa esserci quella che potremmo qualificare una superfetazione normativa.
D'altra parte, il mondo cambia a una velocità che non ci aspettavamo soltanto fino a qualche anno fa.
Giustamente, però, onorevole Iannuzzi, lei pone una riflessione su come si debbano muovere gli operatori per non restare sconcertati. È per questo che esiste un'ipotesi di richiesta di delega, per consolidare la normativa attualmente esistente e renderla coerente. In questo quadro, non c'è dubbio che il tema della progettazione, e quindi della qualità della progettazione - è una sofferenza che abbiamo da tempo lontano quella di una scarsa qualità della progettazione - merita maggiore attenzione. Credo che quanto già introdotto nel Regolamento esecutivo del Codice degli appalti possa trovare proprio emersione nell'opera di consolidamento che deve essere portata avanti.
Non c'è alcun dubbio neanche - forse vado in maniera eccessivamente disordinata - sul fatto che si debba distinguere
la parte delle proposte di direttiva che dobbiamo seguire con attenzione per evitare che vi siano quelle discrasie che sono state potenzialmente lamentate e che corrono il rischio di creare affastellamenti normativi ulteriori. Dio ce ne scampi e liberi! Ma dobbiamo prendere gli spunti migliori di tali proposte di direttive, i più coerenti anche in termini di trasparenza correttezza e quant'altro.
È evidente che la materia delle concessioni merita di essere riguardata, onorevole Morassut, e, ovviamente, dovremo tener conto anche delle peculiarità, delle esigenze del nostro ordinamento senza arrivare al frazionamento in microlotti, distinguendo tra opera e opera ovviamente, ma nello stesso tempo avendo anche l'esigenza - che vi sottolineo nuovamente - di tutela delle nostre piccole e medie imprese, che costituiscono la tessitura fine del nostro sistema Paese, che dobbiamo tenere presente, evidentemente, in tutto il nostro lavoro.
Quanto al problema delle certezze, la rivisitazione della legge obiettivo è in re ipsa anche in parte nelle norme che avete approvato nel momento in cui abbiamo previsto come prioritarie le reti anche ai fini della defiscalizzazione, le reti TNT Core. Lì, in realtà, è già presente una visione a rete delle principali opere perché sono finanziate dall'Europa. Noi abbiamo «portato a casa» il finanziamento di quattro corridori europei su dieci e possiamo di questo essere orgogliosi. C'è già un'identificazione a rete di corridoi autostradali, ferroviari, portuali, terminali aeroportuali, interporti, logistica. Questa è già una sorta di ricadenzamento delle priorità alle quali guardiamo con molto interesse.
Per quanto riguarda le certezze, rammento che già nel primo decreto-legge si è detto chi fa cosa, la Banca d'Italia, il cronoprogramma, come effettivamente bisogna allungare le concessioni perché l'investitore possa avere un quadro di certezze. Potrei continuare, ma vi annoio perché sono 100 norme, molte delle quali nuove. Non dimentichiamo, in ogni caso, che la legge successiva, laddove modifichi radicalmente la norma precedente, senza raddoppiarsi, comunque è un novum che fa sistema con il resto. Non dimentichiamo neanche che, a questo fine, sono stati introdotti princìpi importanti.
Ricordo anch'io per la mia cultura ed esperienza professionale che c'è il principio della bancabilità, che avete normativamente approvato e condiviso e ne sono felice. Ovviamente, questo vuol dire che deve esserci un'asseverazione economica e finanziaria seria dei progetti, che possa esservi uno studio di fattibilità da parte di un promotore finanziario, che concorra a dare respiro nel prospettare la fattibilità di un'opera affinché l'amministrazione pubblica possa farne la valutazione corretta.
Direi che questo è un percorso che, con i vostri suggerimenti, non posso che accogliere, ivi compreso che si ritiene di entrare nello specifico di alcune materie che dovrebbero essere trattate nelle ipotetiche deleghe legislative, ma - vivaddio - tutto questo sarà oggetto di un disegno di legge, quindi i paletti e le materie e l'ampliamento da dare in materia di edilizia, onorevole Morassut, è proprio uno spazio lasciato al Parlamento che, giustamente, deve rivendicare a sé gli ambiti di esplorazione che dovranno essere seguìti in sede di stesura degli eventuali futuri decreti legislativi.
Per quanto riguarda la materia del governo del territorio, vale lo stesso discorso, ma per quanto riguarda la nostra normativa, vigente, positiva, l'altro salto di qualità - mi dispiace che non sia accaduto prima - prendo l'impegno formalmente, come credo abbia preso già anche in altre sedi il Ministro Passera, che da qui a poco tempo ci sia sul sito del ministero l'indicazione opera per opera. Naturalmente, siccome non sono il Mago Zurlì, non posso riprendere tutte quelle del passato, ma quanto alle tante opere che sono investite dalle tre deliberazioni CIPE del 6 dicembre dello scorso anno, del 20 gennaio e del 23 marzo di quest'anno, credo si abbia il dovere di far conoscere anzitutto al Parlamento, ma a tutto il Paese, a che punto sono, se sono ferme, se è partito il bando di gara, dov'è, quali sono le risorse stanziate,
quante quelle pubbliche, quante le private. Spero che, immediatamente dopo Pasqua, questo possa accadere.
Allo stesso modo, i tempi delle delibere ormai sono fortemente accorciati. Nella scansione temporale che avete condiviso, si sono accorciati i tempi per il CIPE e anche per la stessa Corte dei conti, per tutti i soggetti chiamati a essere protagonisti dell'iter endoprocedimentale. In questo, quindi, non potremo, ovviamente, che continuare nel rispetto verso il Parlamento e verso il Paese per dar conto di quello che si fa.
Voglio, inoltre, ricordare che ci sono certamente opere che non possono fare parte del PPP - è inutile ci prenderemmo in giro - che sono opere fredde. Ricordo che c'era una deliberazione CIPE, mi pare del 2009 - vado a memoria perché non ero pronto a tutte le domande, ma la memoria in genere mi assiste - per cui ammontavano more or less a 766 milioni privi di copertura: nell'ultimo CIPE del 20 gennaio 2012, per oltre 400 milioni è state data copertura, c'è l'elenco allegato a quella delibera di tutte le opere. Ne mancano ancora più di 300, ma speriamo, con uno sforzo che deve essere anche di costituzione di risorse da aggregare certamente non attraverso le nuove ulteriori tasse, ma attraverso anche strumenti virtuosi, possano essere trovati.
Figuriamoci se le piccole e medie opere possono essere trascurate! Sono i 1.000, i 10.000 cantieri che si possono attivare nel territorio e, non a caso, devono essere una visione sistemica. Non voglia Iddio il pensare di fare come nelle campagne, in cui qualcuno vuole buttare giù i cascinali per non dover pagare l'IMU perché si toglierebbe l'anima alle campagne: figuriamoci se si togliesse l'anima alle città! Ieri proprio partecipavo a un incontro con l'ANCE, in cui ho condiviso un «Piano città» e ho ritenuto che evidentemente, anche attraverso la riscoperta delle necessarie forme di incentivazione, debba esservi la restituzione dell'anima anche a edifici che sono stati dismessi o sono mal utilizzati o inutilizzati. C'è inoltre tutto il problema del consumo del suolo, legato alla sostenibilità ambientale, alla restituzione della qualità della vita, al trasporto pubblico locale. Su questi temi, personalmente, ma
credo anche tutto il Governo, sono molto sensibile e non faremo mancare certamente tutto quello che sarà possibile dare.
Quanto ai ritardi nei pagamenti, certo, non è possibile immaginare un Paese che cerca di dare un quadro di certezze per attrarre investimenti e poi non paga. Non c'è dubbio, però, che - non so qual è la dimensione esatta della questione, che in ogni caso è enorme: non sono stati stimati tutti, qualcuno dice 90 miliardi, qualcuno 100, bisogna ben individuare qual è la parte legata ai SAL, qual è quella legata alla prestazione di beni e servizi - questo è un obbligo che ci siamo presi per studiare quali strumenti attivare per arrivare presto a una soluzione che, in termini significativi, possa essere soltanto il vero passo rispetto all'antipasto che è stato dato con quei 5 o 6 miliardi di euro messi a disposizione, in parte, con pagamenti, in parte, con titoli di Stato.
Dobbiamo restituire liquidità alle imprese, che sono alla canna del gas. È inutile nasconderci dietro un dito. Questo è un problema che dovremo risolvere.
Anche sul patto di stabilità, onorevole Benamati, stiamo studiando e non solo. Tutto sommato, quello che vi ho detto e quello che abbiamo fatto e che vogliamo fare non è soltanto la presentazione di una tesi di laurea che deve essere sottoposta a votazione. Credo che questo debba essere fatto perché in questo risiedono le basi dello sviluppo e la crescita. Diversamente, avremmo perso tutti, non è neanche il caso di dirlo.
Quanto alle compensazioni ambientali, onorevole Stradella, in quanto ci sia non dico violenza, ma in quanto il territorio sia inciso in qualche modo, è logico che possano e debbano esservi, ma certamente non può essere una forma attraverso cui non soltanto c'è un incremento di costi che non dovrebbe esserci e che snatura il progetto originario, ma attraverso cui qualcuno , solo per la fortuna di essersi trovato in mezzo all'opera, anziché restituire
valore - in fondo, c'è il problema della cattura del valore che vale al contrario - addirittura riesca ad aggiungere valore al proprio pezzo di territorio, mettendo però in discussione l'interesse di più ampie aree dello stesso, se non, in alcuni casi, di quello nazionale.
Secondo qualcuno, i temi portati alla vostra attenzione sono tanti: ma io ve ne ho portati tanti perché ritengo doveroso che li conosciate. Consentitemi di dirvi, solo compatibilmente con la durata delle giornate, che sono spese a tempo pieno e senza risparmio, che io voglio essere qua da voi. Non posso promettervi di esserci, come vorrei, «spessimissimo», usando un brutto neologismo, però certamente con degli appuntamenti periodici, affinché abbia da darvi informazioni e da raccogliere suggerimenti.
Quanto asserito dall'onorevole Stradella, che qui non ci sono le ideologie, mi fa molto piacere non solo perché io non sono portatore di alcuna ideologia e sto cercando di fare soltanto il mio mestiere, anche facendo i compiti a casa, ma perché credo che le infrastrutture, l'edilizia, queste materie, non siano patrimonio di nessuna ideologia, né del nord, né del centro, né del sud, ma patrimonio del nostro Paese, in alcuni casi direi neanche soltanto del nostro Paese, ma patrimonio dell'Europa. Se non riusciamo a interconnetterci e a far parlare l'Europa con gli altri continenti, infatti, forse perde anche l'Europa. Di questo quindi mi compiaccio, ma ne ero sicuro poiché conosco il vostro impegno e ho letto molto spesso le cose che scrivete. Tra i difetti che ho, c'è infatti anche quello di essere un attento lettore.
Non so se io abbia trascurato qualcuno, non ho quest'impressione. Certo, come diceva la mia povera mamma, zucchero a bevanda agrodolce non guasta. È vero i project bond vanno aiutati per essere forti e, quanto al resto, certamente non basta la Cassa depositi e prestiti. Quando, però, mi riferisco a soggetti che possono concorrere nel dare sostegno al settore, non mi riferisco soltanto alla Cassa depositi e prestiti, ma a tutte le istituzioni finanziarie, fondi e quant'altro. Le obbligazioni di scopo, che conoscete - ma non voglio impegnarvi di più di tanto - riguardano ad esempio i cittadini che possono direttamente, in questo modo, addirittura superare il patto di stabilità. Sono strumenti virtuosi, vanno riletti tutti, li dovremo rileggere tutti assieme.
Spero presto che possa essere presto sul sito anche questo se ce la facciamo di pubblicare le norme che abbiamo insieme approvato perché ci sia anche un commento che possiate leggere.
Credo di aver risposto a tutti.
PRESIDENTE. Ringrazio il Viceministro Ciaccia e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,20.