Sulla pubblicità dei lavori:
Saglia Stefano, Presidente ... 3
Audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, sulle linee programmatiche, per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Saglia Stefano, Presidente ... 3 8 19 23
Baldelli Simone (PdL) ... 11
Bobba Luigi (PD) ... 22
Brunetta Renato, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ... 3 10 19 22
Cazzola Giuliano (PdL) ... 8
Damiano Cesare (PD) ... 17
Delfino Teresio (UdC) ... 13 22
Di Biagio Aldo (PdL) ... 19
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 9
Madia Maria Anna (PD) ... 10
Mattesini Donella (PD) ... 16
Mosca Alessia Maria (PD) ... 10
Poli Nedo Lorenzo (UdC) ... 13
Santagata Giulio (PD) ... 15
Schirru Amalia (PD) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta sulle linee programmatiche, per le parti di competenza.
Do la parola al Ministro Brunetta per la sua esposizione.
RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor presidente, quando ho inviato una lettera per dare la mia disponibilità a riferire alla Commissione affari costituzionali e alla Commissione lavoro, ho inteso instaurare un primo rapporto con voi, non tanto su testi normativi, che pure arriveranno nelle prossime settimane, quanto nell'impostazione del lavoro del mio Ministero.
In queste settimane trascorse dall'insediamento, ho predisposto un paio di documenti che via via vengono perfezionati e che si intitolano: «Linee programmatiche sulla riforma della pubblica amministrazione-Piano industriale» e «Riforma del lavoro pubblico e della contrattazione collettiva».
Il primo testo contiene sostanzialmente un approccio economicista al tema della pubblica amministrazione, il secondo un approccio lavorista, cioè dal diritto del lavoro all'economia del lavoro, rispetto alla fattispecie specifica del cosiddetto lavoro pubblico.
Il primo testo vede la pubblica amministrazione come un settore produttivo e il secondo testo fa riferimento al mercato del lavoro pubblico (datore di lavoro e lavoratore pubblico) come a un mercato distinto, anche se non confliggente con il lavoro privato.
I due testi assieme rappresentano, sostanzialmente, le linee guida alle quali mi sto uniformando per predisporre i testi di legge (ma non solo) che saranno presentati in Parlamento nelle prossime settimane, all'interno del convoglio che prevede sia la manovra triennale predisposta dal Ministro Tremonti, sia una serie di altri provvedimenti in tema di semplificazioni, liberalizzazioni e riforme della pubblica amministrazione. Pertanto, questo approccio si inserisce in una più ampia riflessione del Governo, che troverà collocazione all'interno di specifici atti normativi.
Tutto questo troverà un'ulteriore collocazione nei provvedimenti in tema di federalismo, che saranno predisposti in autunno, assieme alla legge finanziaria e di bilancio.
Tale è il contesto di politica economica e di manovra nell'ambito del quale si colloca questa riflessione, che non è a sé stante, né limitata a un segmento, ma si
pone all'interno di una strategia. La strategia è, neanche a dirlo, quella di Lisbona, vale a dire la strategia volta a far crescere di più l'Europa, a modernizzarla, a fare delle pubbliche amministrazioni dei 27 paesi dell'Unione europea altrettanti centri traenti dell'economia europea. Mi riferisco al processo di Lisbona, cioè a quella strategia che si è delineata nel 2000 e che dovrebbe, nel 2010, portare risultati, in termini di benchmarking europeo, di maggiore crescita e occupazione (soprattutto femminile), maggiore efficienza e produttività, il tutto collegato alla componente Maastricht, quindi al risanamento della finanza pubblica.
Questo è il processo di Lisbona, laddove il Trattato di Lisbona (irlandesi permettendo) fa riferimento alle pubbliche amministrazioni come base portante della cultura europea di buona amministrazione, di welfare e di tutela dei cittadini.
I due chiodi fondamentali, a cui si aggancia tutta la strategia del Governo - e in particolare questa - sono europei: un chiodo normativo di base giuridica, cioè il Trattato che speriamo venga perfezionato e ratificato al più presto; un secondo chiodo di tipo economico e strategico, rappresentato dal processo di Lisbona.
Ho chiamato il primo documento «piano industriale», in maniera innovativa, per uscire dai canoni tradizionali della riforma della pubblica amministrazione, come ennesimo tentativo di mettere mano ad una realtà non riformabile.
Forse si tratta anche di un esorcismo: lo abbiamo intitolato in maniera diversa, piuttosto che «ennesimo tentativo di riforma della pubblica amministrazione»!
Conferiamo un contenuto economico ed economicista alla strategia, poiché l'obiettivo è quello di far convergere i settori pubblico e privato. Si vuole non soltanto avere i settori pubblico e privato come elementi di convergenza e di benchmarking, ma addirittura mettere questi due settori in competizione e concorrenza. Declinerò in seguito, con alcuni esempi, cosa significa tutto questo.
Si vuol far competere fra loro il settore protetto e quello esposto alla concorrenza. Si vuole inoltre instaurare il benchmarking con l'Europa, cioè far competere il nostro settore pubblico con gli altri settori pubblici europei, avendo consapevolezza che, fino a ieri, il settore pubblico è stato non solo del tutto protetto, ma anche tenuto fuori dal dialogo con il resto dell'economia, diventandone così un fattore frenante.
Con la moneta unica e la conseguente impossibilità di recuperare competitività del sistema Paese attraverso le svalutazioni competitive, non possiamo più permetterci un settore pubblico inefficiente, o comunque più inefficiente della media degli altri settori pubblici europei. Una tale condizione diventa un fattore di non competitività.
Osservando i tassi di crescita dell'Italia dopo l'ingresso nell'Unione monetaria e poi nella moneta unica, vedrete che (contrariamente ai decenni precedenti, in cui l'Italia mediamente cresceva di più degli altri Paesi europei e aveva anche un più alto tasso di inflazione) l'Italia cresce - guarda caso - di meno. Ha la stessa inflazione, semmai più bassa, ma cresce di un 30, 50 per cento di meno di quanto non crescano gli altri Paesi europei.
La ragione è presto detta, sia per il prima, che per il dopo. Prima, la nostra crescita era drogata dalle svalutazioni competitive e dall'inflazione alta. Dopo, non avendo più possibilità di fare svalutazioni competitive e avendo gli stessi tassi di inflazione degli altri Paesi, paghiamo in termini di minor crescita le nostre carenze infrastrutturali, la nostra scuola e università che non funzionano, la nostra ricerca scientifica che ristagna e, soprattutto, l'inefficienza della burocrazia e della pubblica amministrazione.
Ieri la pubblica amministrazione poteva essere considerata come uno dei tanti problemi irrisolti del Paese che, tutto sommato, non guastava più di tanto, giacché le fonti di competitività erano altre. Oggi, con la moneta unica, i Paesi sono in diretta competizione fra di loro e, quindi, paghiamo immediatamente una pubblica amministrazione inefficiente in termini di minor crescita.
Da ciò deriva una consapevolezza brutale, da parte dell'opinione pubblica, famiglie e imprese, soprattutto di quelle esposte alla concorrenza. Le famiglie sono tutte esposte, in quanto la concorrenza è rappresentata dai prezzi, dai servizi, dal loro benessere. Le imprese, invece, devono vendere i propri prodotti e trovano nella pubblica amministrazione non un aiuto, bensì un vincolo e un ostacolo.
Quando ho cominciato questa mia piccola - ennesima - battaglia, ho riscontrato una grande reazione positiva da parte della pubblica opinione tutta, non tanto perché io sia particolarmente comunicativo, quanto perché ho toccato un nervo dolente in un momento estremamente particolare della vita del nostro Paese.
Dobbiamo renderci conto che o realizziamo l'alta velocità e la banda larga, miglioriamo la nostra scuola, l'università e la ricerca, miglioriamo - lo dico per competenza - la nostra pubblica amministrazione (oggi, subito, quantomeno nel giro di pochi anni), oppure verremo strutturalmente e tragicamente emarginati dal quadro europeo.
Il problema non è settoriale, bensì macro economico ed esistenziale per il Paese. Questo lo so io, lo sapete voi, lo sa l'opinione pubblica e lo sanno anche gli stessi pubblici dipendenti, che si trovano tra l'incudine e il martello di un'opinione pubblica che li addita al pubblico ludibrio da un lato (i fannulloni) e dall'altro percepiscono la propria inutilità in un momento particolarmente delicato per il Paese.
Non so se quest'approccio sia giusto, ma è quello che io propongo. Il meccanismo democratico parlamentare è tale per cui il Governo si confronta con il Parlamento, così da trarre il massimo delle indicazioni e dei suggerimenti. Penso, tuttavia, che la consapevolezza possa essere condivisa. La consapevolezza dell'interesse collettivo e globale di una riforma di questo tipo può essere condivisa. Dirò di più - come ho già affermato davanti alla I Commissione - : un'operazione di questo genere non si fa, se non tutti insieme. Non si tratta di una captatio benevolentiae bipartisan: il fatto è che un approccio così pervasivo e che tocca sedimenti così profondi non lo si può fare se non assommando, oltre al fondamentale consenso della gente, anche una vasta platea di consenso politico.
In parte tale consenso politico già esiste, non tanto nelle verifiche (in questa legislatura lo vedremo più avanti), quanto piuttosto dal punto di vista delle idee, dei testi di legge che negli ultimi 15-20 anni si sono succeduti e che hanno mostrato tantissimi e lodevoli (lo affermo senza piaggeria) tentativi di riforma da parte di Frattini, Bassanini, Nicolais, Sacconi, con il decreto legislativo n. 29 del 1993 e altri ancora. Chi è del mestiere, sa cosa significano questi nomi e numeri.
Si tratta di tentativi fino ad ora tutti andati a vuoto, non perché fossero sbagliati, ma molto probabilmente perché il momento non era quello giusto. Le forze della conservazione erano più forti, per le ragioni macro economiche che ho illustrato prima, della forza riformatrice.
Pertanto, non ho fatto altro che recuperare il meglio della riflessione riformatrice che deriva, quantomeno, dal decreto n. 29 del 1993, elaborato dall'allora sottosegretario Sacconi e poi, a cascata, da tutti i tentativi riformatori che si sono succeduti, mettendoli in sintesi.
Naturalmente la responsabilità è mia, come si dice sempre in questi casi, però non posso che ribadirvi che queste riflessioni, questo approccio e anche queste affermazioni forti vengono da lontano, hanno vari padri - che io qui ringrazio, tutti - rispetto ai quali chiederei di continuare con voi una riflessione comune.
Circa i contenuti, esistono alcune idee-forza che, in parte, avrete visto sui giornali, depurate dalla retorica giornalistica sui fannulloni e quant'altro. Ve le declino banalmente come interpretazione autentica del mio pensiero: il pesce puzza dalla testa, quindi se il sistema pubblico non funziona è perché il policy maker non svolge il proprio mestiere di datore di lavoro oppure lo svolge male. In tal modo,
egli condiziona tutto il resto della piramide: i dirigenti, e così via «giù giù per li rami».
Il settore pubblico manca di un altro grande strumento proprio del settore privato, cioè il controllo del mercato. Come voi sapete, Adam Smith parlava di mano invisibile, alla quale io aggiungerei anche il piede invisibile. Se un'azienda non funziona, se il datore di lavoro è fannullone, il piede invisibile si incarica di buttarlo fuori dal mercato con un calcione.
Nel settore pubblico non esiste il piede invisibile e, per la verità, neppure la mano invisibile, in quanto non esiste proprio il mercato. Più precisamente, esiste un mercato politico, che però ha una voce troppo lontana. Se un amministratore pubblico non svolge bene il proprio mestiere, il giudizio che affronta è unicamente politico elettorale e può tranquillamente essere condizionato da altri strumenti (pensiamo al clientelismo, all'acquisizione del consenso e quant'altro). In definitiva, un amministratore può far male ed essere rieletto, oppure può far bene ed essere bocciato. La sanzione politica - a cui credo, poiché democraticamente non si può non fidare sulla sanzione politica - spesso non è sufficiente a garantire l'efficienza della pubblica amministrazione. È condizione necessaria, ma non è sufficiente, per cui bisogna trovare una sanzione di tipo privatistico, dando la voce
ai cittadini. Non basta la voce dei cittadini elettori, occorre anche la voce dei cittadini consumatori. Spesso, i cittadini elettori sono diversi dai cittadini consumatori, pur coesistendo nella stessa persona: il cittadino consumatore si lagna che non funzionano la sanità, le poste o l'ufficio anagrafe del comune, ma quando va a votare, per varie altre ragioni, vota la stessa amministrazione che gli dà poste, anagrafe e sanità balorde, solo perché viene «comprato» in altri modi.
Ebbene, occorre dividere il cittadino elettore dal cittadino consumatore e dare a quest'ultimo voce più immediata di quella che si dà, solo ogni cinque anni, al primo. Facile a dirsi, difficile a farsi.
L'idea innovativa su cui sto riflettendo è di verificare se sia possibile estendere la class action anche al settore pubblico, con modalità di tipo opportuno, o comunque dare voce al cittadino consumatore.
Non a caso, ho cominciato le consultazioni chiamando i sindacati dei lavoratori del pubblico impiego, il mondo dei datori di lavoro (in quanto interessati ai prodotti della pubblica amministrazione), nonché le associazioni di consumatori in rappresentanza del cittadino consumatore.
Non so ancora come declinerò in maniera definitiva questa riflessione, però penso che questo sia un fatto importante: dare voce al cittadino consumatore perché sanzioni col suo giudizio - non solo politico, ma anche economico funzionale - i comportamenti della pubblica amministrazione, a partire da quelli del datore di lavoro.
Se il datore di lavoro funziona, non possono non funzionare i dirigenti; se funzionano i dirigenti, non possono non funzionare i dipendenti.
Ho detto più volte, per evitare qualsiasi fraintendimento, che non penso che i dipendenti pubblici siano antropologicamente diversi dai dipendenti privati. Anzi, se sono diversi, lo sono perché - statisticamente parlando - presentano un tasso di scolarizzazione e di accumulo di capitale umano superiore a quello dei dipendenti privati. Ciò si può anche spiegare per ragioni di composizione settoriale: il settore pubblico è quasi tutto terziario, mentre il settore privato è secondario, terziario e altro ancora. Nel privato ci sono i minatori, nel pubblico no. Tralascio gli economicismi e ribadisco che il settore pubblico - è verificato - ha una dotazione di capitale umano superiore a quella del settore privato.
Nel passato si diceva che sussiste un patto perverso tra datore di lavoro pubblico e lavoratore pubblico: io ti pago poco, ma tu lavori meno. Ammesso e non concesso che lo sia mai stato, oggi non è più vero: ormai i livelli salariali del settore pubblico sono paragonabili a quelli del settore privato. Anzi, le dinamiche salariali del settore pubblico sono superiori a
quelle del settore privato. Riassumendo: non è più vero che il lavoratore pubblico sia pagato male; non è più vero che il settore pubblico sia pagato dinamicamente meno, dato che i rinnovi contrattuali normalmente sono più ricchi nel settore pubblico che nel settore privato; la dotazione di capitale umano è superiore. Ebbene, non esiste alcuna ragione per cui il settore pubblico e il lavoro pubblico siano meno efficienti del settore e del lavoro privato. O meglio, la ragione è quella che ho detto: manca il datore di lavoro, oppure - diciamo così - è distratto. Manca il fiato sul collo della domanda e del controllo del mercato, cioè dei clienti finali che non chiamerei mai più utenti, bensì clienti e cittadini.
Tutta questa riflessione è finalizzata a individuare due semplici interventi: come stimolare policy maker e dirigenza a diventare datore di lavoro vero, non assenteista o fannullone; come far sentire la voce dei cittadini, non solo come cittadini elettori ma anche come cittadini consumatori. Mi riferisco, quindi, a premi, punizioni, merito, benchmarking.
Non si capisce perché il tasso di assenteismo del settore pubblico sia il doppio di quello del settore privato. Senza voler emettere alcun giudizio, ma la penosità del lavoro pubblico non sembra superiore a quella del lavoro privato, quindi non si giustifica che la produttività del lavoro pubblico misurata sia inferiore dal 30 fino all'80 per cento rispetto a quella del settore privato, se non proprio in virtù delle ragioni sopra enunciate.
Strutturalmente, ontologicamente e antropologicamente, pubblico e privato sono fatti dalle stesse persone in carne ed ossa. Siamo noi stessi. Nel pubblico, però, le condizioni di controllo regolative, il mercato, l'efficienza, sono praticamente inesistenti. Dirò di più: la produzione di beni e servizi che di fatto avviene nel settore pubblico è lasciata al buon cuore dei dipendenti pubblici, poiché non esistono regole, condizioni, stimoli, premi e punizioni che portino a quel risultato.
I concetti fondamentali che presiedono alla produzione del lavoro pubblico sono: amor proprio, senso di responsabilità, buonsenso. Si tratta di valori fondamentali, ma pensate di applicarli a un'azienda che produce bulloni o automobili. Pensi, collega Damiano, se questa azienda basasse la propria efficienza e produttività solo su elementi quali l'amor proprio, il buonsenso, il senso della dignità, il sentimento che non è possibile non lavorare, che la vita porta ognuno a dover lavorare: fallirebbe in due settimane.
Purtroppo questi sono gli unici momenti veri del lavoro pubblico, che riguardano tante persone, poiché alla fin fine i beni e servizi pubblici vengono comunque prodotti, seppure non nella qualità che i cittadini si aspettano, non nella quantità che ci si aspetta e soprattutto in modo inefficiente.
Mi chiedo se sia possibile uscire da questo circuito vizioso, se sia possibile far sì che l'amor proprio, il senso della responsabilità, il senso dell'onore, il buonsenso non bastino a se stessi, ma siano accompagnati anche da altri catalizzatori. Penso di sì. Non voglio compiere fughe in avanti, né voglio inventare l'acqua calda, però se dichiarassimo che nell'arco di un triennio, opportunamente strutturato, ci si aspetta che i tassi di assenteismo nel settore pubblico diventino simili a quelli del settore privato, penso che non diremmo nulla di tragico.
Leggevo recentemente un'intervista al segretario dei chimici Morselli, alla conferenza d'organizzazione della CGIL, in cui egli si domandava come avrebbe fatto a spiegare ai propri iscritti alla CGIL Chimici che i loro colleghi del settore pubblico, iscritti alla CGIL o meno, hanno tassi di assenteismo doppi rispetto ai loro.
Si tratta di un dibattito che attraversa le forze politiche, i partiti e i sindacati. Le ragioni macro economiche ve le ho spiegate: non ci possiamo più permettere un settore pubblico «palla al piede». Non è giusto, soprattutto per i cittadini più deboli e per le imprese che competono.
I cittadini meno deboli, nel mercato privato, il settore pubblico se lo comprano.
Le imprese monopolistiche o protette se lo fanno in casa, tanto non hanno problemi di competizione.
Il problema è rappresentato dai tanti artigiani e piccole imprese, che da un settore pubblico inefficiente traggono elementi di svantaggio, nonché dalle famiglie - tutte in generale, ma soprattutto quelle più deboli - che da un settore pubblico inefficiente traggono elementi di scarsa qualità della loro vita. Insomma, non possiamo più permetterci un settore pubblico inefficiente!
Non lo vogliono neanche più i dipendenti, perché a questo punto sono tra l'incudine e il martello di una pubblica opinione che li criminalizza, spesso ingiustamente. D'altra parte, ci si domanda come si possa oggi reagire se, recandosi alle poste, non si trovano sportelli aperti, o se in un ospedale ci si deve iscrivere in una lista d'attesa a sei o a nove mesi per una mammografia. È completamente inutile arrabbiarsi, gettare una bomba molotov o prendersela con chi ci si trova di fronte. Oggi non esiste via d'uscita, quando un ufficio burocratico chiede sette documenti - di cui è già in possesso - facendoti perdere tempo. Tutto questo davvero, non ce lo possiamo più permettere.
Non so se il mio sia solo velleitarismo. Chiedo solo la vostra collaborazione e il vostro aiuto per un lavoro comune. Lo ripeto: questa è una riforma, una piccola grande rivoluzione, che si fa insieme, oppure non si fa. Si fa certamente assieme alle forze politiche e al sindacato, ma si fa soprattutto con i cittadini.
Quando avrò qualche problema, mi rivolgerò certamente a voi come mio interlocutore istituzionale, ma mi rivolgerò soprattutto ai cittadini. Se qualcuno si metterà di traverso, dirò: costui non vuole che funzionino meglio gli ospedali; non vuole che per avere una TAC ci sia una lista d'attesa di una settimana e non oltre; non vuole una scuola migliore; non vuole un'università migliore.
Giudichino i cittadini: questa è la sfida.
Nei documenti che vi lascio a disposizione troverete tante affermazioni, elenchi, enumerazioni. Si tratta del lavoro aggiornato a dieci giorni fa, ma stiamo lavorando con molta intensità e nelle prossime settimane saranno pronti i testi di legge che entreranno nella manovra triennale del Ministro Tremonti. Fin dalle prossime settimane, pertanto, avrete i testi su cui riflettere.
Altrettanto importante dei testi, degli emendamenti, degli iter legislativi, è il clima che si può e deve formare nei confronti di un impegno di questo tipo.
PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Mi consenta un'annotazione personale. Leggere nel piano industriale della riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni che il principio guida del processo sarà la sussidiarietà, orizzontale e verticale, mi conforta in maniera significativa, anche per ciò che questa definizione evoca in termini di cultura del lavoro.
Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
GIULIANO CAZZOLA. Signor Ministro, immagino che lei dagli amici si aspetti qualche consiglio. Cercherò pertanto di svolgere alcune brevi considerazioni rispetto al progetto, molto ampio e articolato, che ci ha presentato e che oggi ho avuto modo di sentire e apprezzare.
Credo che, nell'analisi che compie, lei debba operare alcune distinzioni. Ho già avuto modo di considerare che, secondo me, il discorso riguardante indistintamente tutta l'amministrazione non coglie la realtà. Sono convinto che anche nella pubblica amministrazione pesino quei divari fondamentali che pesano su tutto il paese. Indubbiamente, riferirsi alla media ci porta a dare una valutazione di condivisione delle considerazioni che lei ha presentato. Tuttavia sono convinto che se scorporassimo l'assenteismo, non solo a livello di settori verticali, e facessimo una valutazione articolata di quelle piaghe che lei giustamente denuncia, troveremmo una grande differenza tra il nord e il sud del paese, o tra aree diverse magari collocate in zone diverse del Paese. Un tale approccio farebbe bene anche all'analisi mass mediale
con cui si affronta questo problema.
Sono convinto che, in certe aree del Paese, la pubblica amministrazione non rappresenti un peso, bensì favorisca lo sviluppo economico e l'integrazione sociale di quelle realtà.
Sono parimenti persuaso che, nell'ordinamento giuridico italiano, stante la disciplina del licenziamento individuale, licenziare i fannulloni sia difficile dappertutto. Mi dispiace sollevare la questione dei fannulloni, l'aspetto su cui si è aperta la riflessione sulla sua proposta. Lei stesso ha voluto riconoscere che si tratta di una forzatura operata da stampa e televisione, però se esaminiamo la giurisprudenza relativamente al settore privato ci accorgiamo che, in Italia, non solo nella pubblica amministrazione non sono tutti fannulloni ma i fannulloni esistono anche nel mondo del lavoro privato. Stanti gli ordinamenti, è difficile venire a capo di questa vicenda e di questo difetto anche nel mondo del lavoro privato.
Ciò mi porta a formulare la domanda che volevo rivolgerle. Lei propone, sostanzialmente, di dare fisionomia e profilo a un datore di lavoro e di ricostruire una gerarchia attraverso i dirigenti. Dimentica però un elemento fondamentale, cioè il giudizio che viene espresso sul provvedimento. Non basta arrivare più rapidamente e più sollecitamente a un provvedimento sanzionatorio, poiché l'esperienza dimostra che l'asino del rigore casca nel momento dell'intervento della tutela giurisdizionale sul provvedimento.
Ho visto, in una delle bozze preliminari che lei aveva anticipato alla stampa, quindi con la credibilità che si può attribuire a questi casi, una proposta che ritenevo avesse valore generale: consegnare alla pubblica amministrazione la possibilità, in caso di sconfitta in giudizio su un caso di licenziamento, di optare tra la reintegra e il risarcimento del danno. Mi sembrava un provvedimento dotato di un valore di carattere generale, idoneo ad affrontare una serie di problemi che riguardano tutto il mercato del lavoro. Detto ciò, trovo che sulla fase procedimentale, decisiva per affrontare quei problemi di efficienza (problemi della conciliazione, delle corti disciplinari, del ricorso alla magistratura e quindi, in buona sostanza, il problema della tutela sostanziale dei diritti), rimanga - almeno per ora - un punto che lascia scoperta la sua impostazione.
MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Ministro, la Lega esprime apprezzamento per la sua relazione, assai convincente. Già in passato, con il precedente Governo, avevamo spinto perché si intervenisse nel settore pubblico che, effettivamente, non dà le risposte che i cittadini e le imprese chiedono. Della sua relazione, apprezzo anche il distinguo - richiamato dal collega - operato riguardo alle aree del Paese caratterizzate da una maggiore produttività del settore pubblico e dove le cose funzionano meglio.
Sono convinto, comunque, che ci sia da intervenire anche in quelle realtà.
Vorrei soltanto porle un quesito riguardante una norma portata avanti nella precedente finanziaria, allo scopo di comprendere le intenzioni del Governo. Mi riferisco alla cosiddetta norma «salva precari», cioè al fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici e privati.
Come Lega ci siamo posti alcuni dubbi al riguardo, poiché non ritenevamo corretto che assunzioni fatte a discrezione di amministratori pubblici potessero essere regolarizzate e quindi portate a tempo indeterminato.
Il dubbio era relativo anche ai fondi impiegati per coprire questo tipo di manovra, cioè i risparmi sugli interessi derivati dalla riduzione del debito, utilizzando il 20 per cento delle somme dei depositi giacenti, e una somma pari al risparmio di interessi derivante dalla riduzione del debito attraverso una quota fino al 5 per cento dei dividendi derivati dalle società pubbliche.
Questa copertura non ci appare idonea, in quanto da un lato l'utilizzo dei conti dormienti figura piuttosto come entrata una tantum, che non può coprire un'assunzione a tempo indeterminato di dipendenti
pubblici, mentre dall'altro lato si presuppone che le società pubbliche producano sempre e costantemente dividendi.
Su questo volevamo conoscere le linee del Governo, cioè se permanga l'intenzione di portare avanti questo fondo o se si pensi di rivedere le decisioni prese nella finanziaria.
MARIA ANNA MADIA. Signor Ministro, le pongo una questione specifica: proprio in questa sede il sottosegretario Viespoli, qualche giorno fa, si è impegnato a fare marcia indietro rispetto alla questione dei finanziamenti ISFOL. Lei sa che questi finanziamenti sono stati tagliati nel decreto fiscale, a copertura degli sgravi per l'ICI.
Mi auguro che il Governo rispetti questo impegno concreto, innanzitutto per i quasi trecento lavoratori pubblici, ricercatori di altissima professionalità, che hanno vinto concorsi. Me lo auguro per la loro stabilizzazione, per la certezza del loro lavoro e per la loro vita. Me lo auguro anche per la stabilizzazione dell'istituto, che sicuramente si pone in continuità con le decisioni dell'ultimo esecutivo, ma anche del Berlusconi-bis. Si tratta di un istituto che si avviava a diventare una vera e propria agenzia nazionale per la formazione professionale e per le politiche del lavoro.
Non voglio qui investirla della questione delle risorse, per le quali è competente il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in quanto ISFOL è diretta emanazione di tale ministero, anche perché mi rendo conto che l'ultima parola spetta al Ministero dell'economia e delle finanze. Credo, tuttavia, che lei oggi ci possa chiarire le linee del Governo rispetto alla mission di questo ente di ricerca pubblico così importante, che in questo tempo è cresciuto in quantità e qualità delle competenze e che svolge attività diverse, alcune delle quali previste per legge nazionale e imposte in sede comunitaria (penso per esempio al monitoraggio degli attori locali).
RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Forse lei non sa che sono stato presidente dell'ISFOL.
MARIA ANNA MADIA. Pertanto, lei sa come il ridimensionamento strategico ed economico di questo istituto potrebbe non soltanto privarci di attività indispensabili, ma crearci anche problemi in sede comunitaria. Le chiedo una risposta su questo punto.
ALESSIA MARIA MOSCA. Ringrazio il Ministro sia per la sua esposizione, sia per il piano che ha distribuito. Concordiamo con il Ministro su una serie di considerazioni, specialmente sulla necessità di intervenire; apprezziamo molto che nelle sue slide ricorra in continuazione la parola «merito» e che l'insistenza sulla meritocrazia sia un aspetto così sottolineato. Da parte nostra, ci sarà tutta la collaborazione necessaria perché si possa intervenire al riguardo, tanto che già in passato le nostre posizioni non sono state poi troppo differenti, su molti punti.
Sussistono, tuttavia, alcune questioni e considerazioni generali che ci preoccupano, sulle quali vorremmo risposte e chiarimenti più specifici.
In primo luogo, lei, Ministro, ha parlato su un piano generale, pur facendo riferimento ad una qualche possibilità di considerare i differenti aspetti delle diverse pubbliche amministrazioni. Vorremmo che ci fosse una maggiore insistenza sulla capacità e sulla possibilità di distinguere, non solo geograficamente (mi riferisco all'intervento del collega della Lega). Provengo dal nord e quindi su questi temi anch'io sono molto sensibile, però, siamo tutti consapevoli che esiste una distinzione delle pubbliche amministrazioni che prescinde l'aspetto geografico, in quanto si rilevano pubbliche amministrazioni ben funzionanti in qualsiasi area del Paese. Nessuna area può rivendicare l'esclusiva dell'efficienza, rispetto alle altre.
In secondo luogo, ci piacerebbe avere un maggiore approfondimento sulle possibilità di rendere il settore pubblico più vicino a quello privato. Tutti ben sappiamo che il pubblico produce beni molto differenti
da quelli che il privato deve fornire ai consumatori, come giustamente lei ha sottolineato. Chiediamo, quindi, quali siano in dettaglio le misure che lei intende portare avanti perché ciò avvenga. Capisco l'esigenza dell'efficienza, ma considero anche che i due settori non sono pienamente equiparabili, data la differenza di beni che producono.
Infine, ci piacerebbe entrare nel vivo sulla possibilità di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, al di là della class action (sulla quale nutriamo peraltro qualche dubbio, visto che sussistono perplessità sul suo inserimento nello stesso settore privato). Vorremmo sapere come questo provvedimento possa essere portato avanti e, allo stesso tempo, se parallelamente a questo possano essere introdotte anche altre misure di valutazione. Apprezziamo molto la possibilità che il consumatore sia coinvolto e che si arrivi a una maggiore responsabilizzazione di tutti gli addetti e gli impiegati del settore pubblico, però ci piacerebbe capire nel merito - ho dato solo una lettura molto veloce dei piani che ci ha distribuito e quindi magari qualcosa mi è sfuggito - e avere qualche elemento in più, visto che, ripeto, i discorsi fatti sono chiaramente accettati e accolti con grande entusiasmo dai cittadini
(soprattutto da quelli del nord), ma, visto che siamo in una Commissione lavoro, vorremmo - al di là dell'apprezzamento e della naturale condivisione delle linee - capire come queste linee stesse verranno perseguite.
Mi permetto di aggiungere una nota di metodo: non vorremmo che poi, al di là di ciò che viene propagandato e giornalisticamente diffuso, avvengano altri episodi, come quello che abbiamo discusso proprio la scorsa settimana in questa sede, quando, quasi contestualmente alle sue dichiarazioni sulla necessità di inserire il merito nella pubblica amministrazione, ci siamo trovati a discutere su un decreto che aveva il carattere dell'urgenza (faccio riferimento al decreto-legge n. 90 del 2008 sui rifiuti), nel quale però, utilizzando il pretesto dell'urgenza, venivano inserite alcune norme, due in particolare, che contraddicevano qualsiasi criterio meritocratico. Non vorremmo più doverci ritrovare ad avere, in teoria, linee programmatiche che possiamo anche condividere e, dal lato pratico, provvedimenti in discussione che contraddicono totalmente quanto viene diffuso attraverso queste linee guida.
SIMONE BALDELLI. Ringrazio il Ministro per la sua presenza puntuale e per il quadro di insieme che in questo momento ci ha dato, anche nella consapevolezza che si tratta di un terreno strategico.
Condividiamo l'osservazione del Ministro sul fatto che la pubblica amministrazione, in questo momento, può essere volano di sviluppo o, addirittura, di freno. Su un tale elemento esiste l'apprezzabile necessità di instaurare un dialogo, raccogliendo gli spunti migliori in termini di eredità riformista che è stata messa in cantiere in questi anni. Mi riferisco tanto a proposte poi divenute leggi vigenti, quanto ad altri spunti di iniziativa politica. Penso ad esempio al disegno di legge Nicolais, che pure è stato approvato da un ramo del Parlamento e poi è rimasto fermo al Senato nella scorsa legislatura.
In parte condividiamo anche l'approccio di una pubblica amministrazione che, se efficiente e funzionante, diventa strumento di equità sociale, nel senso che diventa quel servizio a cui si rivolgono coloro che davvero hanno più bisogno, a differenza di coloro che possono comprare il pubblico nell'ambito di un servizio privato.
Si riconosce, nella pubblica amministrazione che funziona bene, un meccanismo sociale autentico, che aiuta i cittadini che hanno necessità e diventa elemento di sviluppo per l'impresa.
Occorre staccarsi completamente da una logica che vede la pubblica amministrazione agire nella funzione di ammortizzatore sociale, cioè come elemento in cui debba essere assorbita tutta una quantità di individui, di figure socialmente deboli, con i precedenti che abbiamo avuto, dai lavoratori socialmente utili fino alla stabilizzazione che è stata, seppure con certi distinguo, un'operazione su cui
ancora adesso risulta piuttosto difficile ricostruire un credibile quadro di impatto finanziario e di valutazione numerica (anche se sappiamo che ci sono stati allarmi provenienti persino dalla Corte dei conti).
In un quadro generale di tre milioni settecento mila dipendenti e quattrocentomila eccedenze, dichiarati dall'allora Ministro Nicolais all'inizio del suo mandato nel 2006, si percepisce l'esigenza di incardinare un concreto discorso di meritocrazia.
È apprezzabile la riflessione del Ministro, quando dice che il pesce puzza dalla testa, che la parte datoriale non riesce a svolgere effettivamente la propria funzione per logiche di compromesso, di quieto vivere e di pace sociale (interna sia alla funzione pubblica, sia al Paese), nonché per un certo modo di intraprendere la relazione industriale. Questa difficoltà è stata effettivamente, sino ad oggi, riscontrata.
Credo che in questo momento, se esistono una volontà e una convergenza a livello parlamentare, politico e anche sindacale (mi pare che ci siano stati segnali importanti, al riguardo), si possa svolgere un ragionamento serio sia in termini - per dirla in linguaggio giornalistico - di lotta al «fannullismo», sia in termini di controllo e lotta all'assenteismo. Dobbiamo riuscire a raggiungere, nel pubblico, un obiettivo che solo in Italia sembra una rivoluzione copernicana: pagare di più chi lavora di più, pagare di meno chi lavora di meno e poter licenziare chi, in maniera sistematica, non si reca al lavoro.
Abbiamo visto che parti di normative - penso al decreto legislativo n. 165 del 2001 - in ordine alla mobilità, non sono state applicate. Esiste una disciplina industriale di contratti del pubblico impiego, che pure prevedeva norme per sanzionare l'assenteismo, su cui si è verificato un abbassamento della guardia negli ultimi anni e su cui, invece, la guardia va rialzata. Sappiamo che esiste un meccanismo difficile, con episodi di cronaca, in ambito sanitario, con processi, licenziamenti e inchieste penali sull'assenteismo.
È necessario dare un segnale, poiché combattere il «fannullismo» e l'assenteismo ci permette di valorizzare quei tanti dipendenti che nel pubblico lavorano. Nel sistema pubblico, quando di due dirimpettai di scrivania uno lavora molto, l'altro non lavora per niente, e guadagnano ambedue lo stesso stipendio, c'è qualcosa che non va e soprattutto si mortifica colui che lavora di più. In questo senso, credo che anche a livello di relazioni industriali, di rinnovo del contratto (su cui si è aperto un dibattito, che è durato per quasi tutta l'intera scorsa legislatura, sull'assegnazione della produttività), penso che si possa tentare di fare, con una certa rigidità, una scommessa sulla dirigenza.
Abbiamo sentito, per molto tempo, accusare la dirigenza di essere una delle cause del malfunzionamento della pubblica amministrazione. Questo può essere vero in parte, completamente, oppure per niente, ma possiamo provare a fare una scommessa per cercare di capire se la dirigenza possa diventare anche una delle possibili soluzioni, assegnandole poteri datoriali effettivi.
Concludo con un accenno rapido a un altro elemento su cui poi, con il tempo, lei, signor Ministro, dovrà cercare di esprimere una valutazione e di disegnare un quadro di insieme. Abbiamo 70 mila vincitori di concorsi e 70 mila idonei che sono stati chiamati dal pubblico, attraverso bandi, a prepararsi e a studiare. Si tratta di persone che hanno vinto un concorso e che, da anni, aspettano di essere assunti dalla pubblica amministrazione. Credo che un tale fatto sia vergognoso per un Paese civile, specie in un clima in cui in passato sono state avviate stabilizzazioni e quant'altro, in cui spesso vigono meccanismi di natura diversa. Con 70 mila persone idonee e 70 mila vincitori, sorgerà forse la necessità di fare una riflessione complessiva anche sul meccanismo dei concorsi, legando l'autorizzazione a bandire alle effettive esigenze di pianta organica e all'autorizzazione ad assumere. Diversamente, abbiamo, con lo scollamento di questi due momenti, una
serie di indizioni di concorsi «elettorali»
che le amministrazioni fanno a fine mandato, con conseguenti vincitori di concorsi che rimangono senza assunzione.
NEDO LORENZO POLI. La campagna elettorale è finita, si inizia una legislatura e lei, come Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, ha lanciato tutti questi messaggi e slogan, come se fino ad ora ognuno fosse vissuto in un Paese diverso. Sappiamo benissimo che, per poter far funzionare la pubblica amministrazione - come lei dice e come auspichiamo tutti -, bisogna partire dalla testa.
Se non riorganizziamo totalmente il Paese, è inutile continuare a discutere. Se lei mi dice che nel pubblico l'assenteismo è doppio rispetto al privato, io le chiedo se sa quanti certificati medici vengono fatti in questo Paese in un anno, fra pubblico e privato. Credo che si tratti di una cifra compresa fra i 27 e i 30 milioni di certificati medici.
Lei sa benissimo, come tutti noi sappiamo, che solamente il 30 per cento di tali certificati viene controllato da tutti gli istituti preposti, poiché siamo sempre al lavoro manuale e non riusciamo nemmeno a procedere all'informatizzazione di tutti questi dati, come nel 2008 sarebbe auspicabile avvenisse.
Se lo stato della pubblica amministrazione, dal punto di vista dell'organizzazione e della struttura, è tale per cui sappiamo che esistono enti inutili, è probabile che anche coloro che partecipano a questi enti non riescano a produrre niente! Non si può scaricare tutto addosso ai dipendenti, perché i dipendenti seguono l'indirizzo dato dalla direzione o dal datore di lavoro, sia pubblico che privato.
Non riusciamo a fare in questo Paese una riforma seria e concreta. Lei mi parla di cose che io sottoscrivo interamente: organizzazioni, strutture. Siamo tutti d'accordo, ma la domanda è da dove si parte per realizzare tutto ciò. Non partiamo dal dipendente, dicendo che è un fannullone o che è diverso dagli altri. Ciò che deve essere modificato è un sistema, partendo da riforme costituzionali importanti e dal riordino generale dello Stato. È necessario partire dall'inizio, per poi arrivare ai mali di un Paese in cui il merito, non solo nel pubblico, ma anche nel privato, non viene messo nel giusto risalto che dovrebbe avere.
Vanno bene le sue diagnosi e proposte, ma la questione è come si possa arrivare alla realizzazione in un tempo celere. Potrebbero passare diversi anni. Mi riferisco al provvedimento dell'invio telematico dei certificati medici che è stato adottato nel 2004, nella legge finanziaria del centrodestra, con un emendamento del collega Eufemi, del mio stesso partito. Siamo nel 2008 - qui è presente l'ex Ministro Damiano (credo sia stato pubblicato oggi il DPCM) - ma ancora non siamo stati capaci di mettere in linea un sistema che dà certezza e controllo anche sulla malattia nel settore privato, cui il provvedimento faceva riferimento.
Abbiamo uffici e servizi che non sono all'altezza della situazione, abbiamo enti inutili che si sovrappongono a quelli reali; in una confusione del genere, penso che sia difficile riorganizzare un settore.
Bisogna partire dalla testa. Poi si arriverà, quando è tutto organizzato, a mettere in ordine anche chi lavora.
Signor Ministro, dobbiamo partire dalle riforme, che non si fanno nel tavolo ristretto, ma in quello del Governo, con tutte le forze democratiche che fanno parte di questa legislatura. Diversamente, ad ogni nuovo Governo si cambia amministrazione e si va a modificare quello che è stato realizzato.
Sui progetti che ha preannunciato credo nessuno sia contrario; lavoriamo ma non puntiamo il tiro sui dipendenti; sappiamo che esistono già gli strumenti per mandare a casa chi non lavora, o per metterlo in condizione di comportarsi diversamente.
TERESIO DELFINO. Guardiamo, signor Ministro, con grandissimo interesse al suo lavoro. Prendiamo atto della sua buona lena e del suo entusiasmo, anche se condito da una specie di maledizione che sembra incombere sui Ministri che si apprestano - come lei, nella presente legislatura -
a questa straordinaria riforma. Non voglio certamente rileggere il suo intervento in questo mio breve approfondimento, bensì soltanto annotare qualche riflessione, partendo dalla finalità del lavoro pubblico e del lavoro privato.
Il privato normalmente lavora per il profitto. La finalità della pubblica amministrazione, lei me lo consentirà, è diversa: dare una risposta di beni e servizi a tutta la collettività, a tutti i cittadini. Essa quindi si pone obiettivi che non possono, a mio parere, non avere una ricaduta, tanto che il legislatore costituzionale, come non ha fatto per il privato in modo specifico, e anche il legislatore ordinario in sede attuativa, ha fatto in modo che nel rapporto di pubblico impiego, ma anche nel processo per arrivare all'assunzione - i sistemi di valutazione e di promozione, il famoso discorso della premialità, in relazione alla quale, signor Ministro, come UDC avevamo inserito nelle nostre poche missioni anche quella del riconoscimento del merito, in totale sintonia con lei - vi fossero, nella selezione e nella valutazione del dirigente pubblico, alcuni elementi imprescindibili.
Aspetteremo per formulare una valutazione del suo operare, limitandoci qui a esprimere sensazioni, non certamente giudizi, ma riteniamo opportuno considerare questi aspetti in termini più precisi e puntuali, perché, come rilevato dal collega Cazzola e come emerso in televisione nel corso di un dibattito sulla licenziabilità dei dipendenti, non si può prescindere dal tema della tutela giurisdizionale nel settore del pubblico impiego, a meno che il buon Calderoli nella sua grande capacità ci consenta di semplificare, tagliare, disboscare, annullare anche la Costituzione.
In base alla mia lettura delle sue prime, pregevoli bozze, strumenti di lavoro che ci fornisce e di cui la ringraziamo, mi sembra che il tema della specificità della pubblica amministrazione non ci consenta di compiere una totale parificazione nell'affrontare la questione della riforma della pubblica amministrazione e del rapporto del pubblico impiego. Considero infatti irrinunciabili alcuni aspetti nell'azione della pubblica amministrazione, sui quali svilupperemo un confronto molto sereno.
Desidero evidenziare una seconda questione, che parte da una condivisione degli obiettivi da lei citati, quali ad esempio parificare il tasso di presenza, quindi di assenza, laddove chi ha vissuto anche la storia sindacale sa che queste questioni rispondono a una sentita e diffusa opinione non soltanto dei lavoratori ma di tutta l'opinione pubblica.
Desidero però rilevare che tale questione dovrebbe procedere sul piano di una rigorosa razionalizzazione, trasformazione, innovazione, senza però generare, come sembra emergere in alcuni aspetti dell'azione di Governo, figli e figliastri. Faccio riferimento, ad esempio, al decreto-legge sulla detassazione degli straordinari, anche se considero encomiabile che il presidente Giuliano Cazzola affermi che intendete completarlo in un secondo tempo.
Per alcune categorie del pubblico impiego, le Forze dell'ordine piuttosto che gli infermieri, mi parrebbe necessario - opinione espressa nel dibattito da alcuni sindacati privi di pregiudizi verso questo Governo e questa maggioranza - l'uso del bastone e della carota. Dobbiamo dimostrare di voler giustamente parificare alcuni elementi nel rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, senza però qualificare i primi atti di Governo con uno snellimento che a me sembra di effettiva discriminazione.
L'ultima considerazione si ricollega ad un provvedimento del Governo che esamineremo in sede consultiva, come punto successivo all'ordine del giorno. Mi sembrerebbe coerente alla fatica da lei affrontata individuare indicazioni legislative per provvedimenti emergenziali come quello sui rifiuti.
Lo prendo a titolo esemplificativo per sottolineare un'azione che lei sta portando avanti e che noi siamo molto attenti a cogliere nelle esigenze e nella prospettiva da lei indicata. Ritengo però che non rappresenti un buon inizio dare segnali
così contraddittori con la promozione di dirigenti in deroga a molte normative esistenti.
Vorrei chiudere, pur non avendo esaurito con l'intervento del collega Nedo Poli e con queste mie poche parole la nostra riflessione su questo tema, sottolineando la nostra condivisione dei temi da lei posti e la nostra volontà di sviluppare in base ad essa un costante confronto, per raggiungere una riforma che finalmente superi la maledizione iniziale, che lei ha richiamato.
GIULIO SANTAGATA. Premesso che il confronto dovrà avvenire obbligatoriamente nel merito dei provvedimenti, mi soffermerò velocemente sul livello generale e quasi teorico, che il Ministro Brunetta ha voluto dare alla sua introduzione.
È facile condividere con lui l'idea che la qualità dell'amministrazione influenzi il livello e la qualità dello sviluppo del Paese, ma da quanto ho letto e sentito posso dire di non condividere l'impostazione generale scelta, proprio per questa affermazione, un'impostazione che vede nella pubblica amministrazione l'ultimo baluardo, l'ultima isola del fordismo nell'organizzazione moderna, l'idea che all'amministrazione manchi la gerarchia e che il comando sia l'elemento chiave per riorganizzare e aumentare la produttività. Mi sembrano concetti ormai da anni abbandonati dalle industrie, anche dalle più grandi, quasi una rincorsa in ritardo rispetto ai veri problemi.
Quando vogliamo misurare la qualità e la quantità degli output dei nostri collaboratori o dipendenti, dobbiamo interrogarci sulla nostra capacità di dare output misurabili e coerenti. Questa mi sembra attualmente la fondamentale mancanza di cui soffre l'amministrazione. Brunetta ha in mente l'amministrazione delle anagrafi, dove l'output si misura facilmente nel tempo di evasione di una coda per avere un certificato. Sa bene però che i ministeriali non fanno front office e che la qualità di produzione dei dipendenti dei ministeri richiede una fissazione di obiettivi misurabili e quantificabili. L'efficienza dell'amministrazione richiede l'uso degli stessi parametri di efficienza formulati dalle imprese per l'efficienza, laddove non possiamo con la giacca del lavoro privato predicare la flessibilità e con quella del lavoro pubblico predicare la rigidità gerarchica.
La flessibilità deve essere ricercata nell'organizzazione. Ad esempio, nella scorsa legislatura abbiamo cominciato a riorganizzare il bilancio pubblico per missioni. La riorganizzazione del bilancio non può essere solo una questione nominalistica, laddove per organizzare la spesa per missioni è necessario essere in grado di organizzare in modo più flessibile chi lavora per quelle missioni.
Aspetto di vedere i provvedimenti del Ministro Brunetta. Credo che l'idea di dover semplicemente recuperare ore o giornate di lavoro e controllo su questo lavoro non ci porterà molto lontano.
AMALIA SCHIRRU. Condivido quella parte di analisi dei problemi che riguardano il nostro Paese, soprattutto in rapporto al raffronto con altri Paesi dell'Unione europea, e quindi la necessità di concludere quel processo di riforma della pubblica amministrazione, che è stato avviato da diversi anni e che però adesso necessita di un'ulteriore rivisitazione.
Abbiamo bisogno di una pubblica amministrazione che svolga qualitativamente servizi di sostegno alle famiglie e alle imprese, mettendo in campo una nuova strategia. Ritengo però che la strategia non possa consistere nell'obiettivo principale del Ministro di far competere lavoro pubblico e lavoro privato.
In base all'esperienza maturata come lavoratrice nell'ambito del pubblico impiego ma anche nella direzione di amministrazione pubblica, ritengo che la competizione non possa produrre il cambiamento e l'innovazione necessari al Paese e che soprattutto nell'ambito della pubblica amministrazione sia necessario un metodo di condivisione, di compartecipazione, di motivazione del personale.
Credo soprattutto che sia opportuno rovesciare un'altra tesi che emerge nel nostro Paese e che si pensa di risolvere
come indicato nelle note del Ministro. Non si può infatti continuare come in questo ultimo periodo a esternalizzare una serie di problemi o di servizi, dando anche l'impressione che la pubblica amministrazione o comunque l'organo di direzione e di indirizzo, che è anche l'organo politico e istituzionale, si limiti ad affidare i problemi all'esterno, al privato, senza svolgere al meglio i suoi compiti fondamentali, sulla base di quanto già disposto dalla normativa, ovvero dare precisi indirizzi di carattere politico richiedendo al personale la realizzazione di quegli obiettivi.
Oggi, si assiste al venir meno delle risorse nelle pubbliche amministrazioni (basti citare le problematiche che vivono i comuni, la pubblica istruzione, l'amministrazione e la sanità).
Lei ha citato ad esempio l'esigenza di adottare la banda larga in tutto il Paese, in particolare nelle piccole comunità, ma i fondi messi a disposizione proprio per questi progetti vengono ridotti o eliminati.
Ritengo che, mantenendo fede all'esigenza di misurarci sui meriti dei singoli provvedimenti, sia doveroso tener conto dell'esigenza di avere nuove risorse per la pubblica amministrazione, di attivare una maggiore conoscenza e formazione del personale e soprattutto, come esposto da altri colleghi, di adottare il sistema della valutazione sul merito delle singole professionalità, di attivare una maggiore mobilità per favorire nuove conoscenze, di rimotivare il personale e via elencando.
La nuova strategia deve interessare soprattutto la politica, ma chi governa la pubblica amministrazione ha l'esigenza di recuperare nuova responsabilità delle funzioni dirigenziali con dirigenti che devono essere selezionati e non nominati, con l'attuazione del sistema di verifica e di controllo e con l'individuazione di indicatori oggettivi di misurazione del risultato.
Siamo favorevoli anche alle consultazioni dei cittadini, sia che il cittadino venga chiamato come elettore che come consumatore.
Per poter realizzare una vera riforma, è necessario ricordare che il cittadino utente deve avere oggi l'opportunità di interagire con il vertice dell'amministrazione, perché spesso oggi il cittadino si confronta con l'ultimo anello debole della macchina amministrativa, con tutta quella grande precarietà che oggi vive nella pubblica amministrazione, con personale laureato che svolge lavori molto umili, in cui non viene riconosciuta la sua capacità e la sua conoscenza.
È necessario soprattutto tenere conto dell'esigenza di rimotivare, di far partecipare, di premiare e di creare una modalità di cooperazione tra l'organo politico amministrativo e l'organo di funzione.
DONELLA MATTESINI. Signor Ministro, credo che a un politico attento come lei non sia sfuggita la centralità che il programma elettorale del Partito democratico attribuiva alla riforma della pubblica amministrazione e alla sua riqualificazione, che mira a farle pienamente svolgere la sua funzione di equità sociale, laddove fornisce servizi, e a permetterle di svolgere totalmente la sua funzione di soggetto di sviluppo, giacché in molte parti del Paese la pubblica amministrazione già sostiene e promuove lo sviluppo sociale ed economico.
In linea generale, quindi, non possiamo che essere d'accordo con i termini della sua relazione e del piano industriale, proponendo di introdurre e rafforzare nella pubblica amministrazione la selezione, la valutazione, la meritocrazia. Rispetto a questo, però, anch'io le chiedo quale atto di coerenza intenda compiere rispetto al fatto che uno dei primi decreti-legge che la prossima settimana discuteremo in Assemblea, quello dell'emergenza rifiuti in Campania, introduce una super sanatoria illegittima di super precari, basata non sui meriti acquisiti mediante concorso pubblico aperto a tutti, ma sulla sola anzianità, elemento che lei dichiara di voler togliere dal percorso. Tale anzianità è stata inoltre maturata in posti e ruoli a tempo determinato senza concorso o con una selezione riservata.
Ritengo anche che per affrontare il tema della riqualificazione della pubblica amministrazione non sia sufficiente colpevolizzare
i dipendenti pubblici aggettivandoli come fannulloni e cavalcando un diffuso senso comune, atteggiamento che non giova a nessuno.
Condivido le osservazioni dell'onorevole Cazzola sulla necessità di uscire da un ragionamento generale e generico e di introdurre rispetto alle questioni di difficoltà della pubblica amministrazione analisi più precise in termini territoriali piuttosto che di settore.
In passato, ho avuto la fortuna di svolgere il ruolo di assessore al personale sia in un comune che in una provincia e sono convinta che nel settore pubblico i dipendenti pubblici siano la risorsa fondamentale dell'azione amministrativa, talvolta ancora più delle risorse stesse. Certamente, esistono rilevanti sacche di assenteismo, ma anche una grande qualità. In tante parti del Paese la sanità rappresenta un'eccellenza e personalmente, abitando in Toscana, ho presente la grande qualità dei servizi educativi all'infanzia, la grande qualità e l'abnegazione del lavoro svolto da Vigili del fuoco, militari e altri dipendenti pubblici.
Nel piano industriale si sottolinea la necessità di passare dalla fase del procedimento al risultato e quindi al provvedimento. Poiché viviamo nel mondo reale e abbiamo contatti con la pubblica amministrazione, sappiamo che i ritardi e le difficoltà che il cittadino incontra nell'accesso a un servizio in termini di lunghe attese per una TAC o altro hanno spesso a che fare non con la scarsa qualità professionale dei dipendenti, ma con una legislazione che ingessa la pubblica amministrazione e allunga terribilmente i tempi di chi ci lavora.
Poiché per rendere efficace la pubblica amministrazione si deve porre un tema importante di delegificazione e di semplificazione che garantisca rapidità, efficienza ed efficacia nella risposta, giacché non ne ha fatto parola nella sua relazione né nel piano industriale, vorrei sapere cosa pensi di questo e come eventualmente intenda affrontarlo.
Concordo sul fatto che non sia sufficiente introdurre la meritocrazia, perché abbiamo bisogno di una pubblica amministrazione efficiente, che per essere tale necessita di una stabilità economica e del personale. Alla luce del taglio dell'ICI e al fatto che i comuni non hanno certezza di quando le risorse verranno restituite - scelta che ha introdotto negli enti locali un elemento di grande instabilità e di difficoltà nel fornire risposte ai cittadini - le chiedo maggiori delucidazioni sull'introduzione, per quanto riguarda la riorganizzazione della pubblica amministrazione, delle sponsorizzazioni e dei project financing. Nella mia esperienza il project financing è uno strumento importante introdotto per quanto riguarda i lavori pubblici, per cui vorrei capire se intenda introdurlo come elemento di un ulteriore allentamento dello Stato rispetto all'esigenza di mantenere e forse rafforzare i finanziamenti pubblici, anche
nell'ambito di quel federalismo che ci proponete.
Se il project financing diventa uno strumento per poter ulteriormente restringere l'impegno dello Stato nei confronti di enti locali e delle regioni, potrebbe essere un elemento di ulteriore destabilizzazione, anziché garantire alla pubblica amministrazione, fondamentale elemento di equità sociale, il mantenimento della sua funzione pubblica. In questo intravedo il rischio di un'introduzione di forme di rapporto privato nel pubblico, che possono ulteriormente restringere l'importante area di funzione pubblica.
CESARE DAMIANO. Signor Ministro, ho apprezzato la sua affermazione iniziale di voler lavorare insieme. Mi auguro che anche questa sia una sede di confronto su queste tematiche, che ci consenta di approfondire un tema estremamente complesso.
Ho ricevuto i due testi, che ho letto velocemente. Mi riprometto un esame più dettagliato, vista la delicatezza e la complessità della materia.
Ho ascoltato con attenzione le sue argomentazioni anche di carattere filosofico generale. Naturalmente, su molte linee non si può che essere d'accordo, ma è necessario capire come queste intenzioni
si traducano in legislazione e in contrattazione con il sindacato e con la parte sociale.
Non ho mai apprezzato la polemica sui fannulloni, non ho mai inteso fare di ogni erba un fascio, pur non volendo nascondere problemi anche importanti di efficienza, che riguardano la pubblica amministrazione e in generale il sistema Paese.
Per quanto riguarda l'assenteismo, negli anni '70 in assemblee sindacali molto difficili come alla Fiat Mirafiori non ho mai mancato di ricordare ai lavoratori che un malato finto produce un risultato negativo per chi è davvero malato e ha bisogno di tutela. Una dissuasione è dunque sicuramente necessaria.
Nel corso della mia esperienza, ho anche lottato per garantire un'equiparazione di condizioni tra il settore pubblico e il settore privato. Ricordo a tal proposito la riforma pensionistica del 1995, che finalmente sanò una situazione di intollerabile disparità. I lavoratori del settore industriale lamentavano infatti le condizioni di privilegio di cui godeva il settore pubblico per quanto riguarda il sistema pensionistico. Il punto è capire come si realizzi e in quale contesto maturino queste intenzioni.
Ascoltando la volta scorsa il Ministro Sacconi, mi ha preoccupato il prevalere nel Governo di un orientamento politico che definirei di deregolazione spinta del mercato del lavoro. Non vorrei che questa tendenza valesse anche come contesto di riflessione per quanto riguarda il settore pubblico.
Ho visto questo annuncio formulato in modo soft, però le intenzioni mi sono sembrate più drastiche di quanto sembrava all'inizio, quando il Governo aveva annunciato una sorta non di continuismo con l'amministrazione e il Governo precedente, ma di maggiore tolleranza rispetto agli indirizzi di riforma ritenuti consensualmente utili per il Paese. Ho anche visto estendersi questa logica di deregolazione al settore della previdenza, aspetto che mi preoccupa molto.
Desidero rivolgerle una domanda, cui avrà modo oggi e nel prosieguo di rispondere. Nel parlare di un allineamento di situazioni fra il pubblico e il privato anche per quanto riguarda l'efficienza e l'assenteismo, dobbiamo ricordare di avere obiettivi di breve, medio e lungo periodo. Del resto, lei ha visto come sia stato difficile giungere a risultati concreti anche per chi ha provato in precedenza a fare queste riforme.
Abbiamo visto che il Governo ha intenzione di operare con un suo decreto sul tema degli straordinari, ma, come evidenziato dall'onorevole Delfino, al di là della bontà della misura, avrei preferito che le risorse che intendete destinare agli straordinari fossero, ad esempio, devolute per i premi di produttività, ma questa è un'opinione politica. Le chiedo quindi se non constati una disuguaglianza, un disallineamento già all'inizio, che colloca in una diversa situazione i lavoratori pubblici (forze di polizia, carabinieri, infermieri), con la creazione di disuguaglianza nel regime degli straordinari fra infermieri di una clinica privata o di una clinica pubblica. Oggi, le cliniche private non brillano dal punto di vista della trasparenza e i fatti di Milano dimostrano l'esigenza di modifiche drastiche.
La seconda domanda è relativa al modello contrattuale. Ieri, è cominciato il confronto tra le parti sociali, che ha come obiettivo la conclusione nel mese di settembre. Vorrei sapere se lei pensi di allineare questa riflessione sul modello contrattuale negli stessi tempi rispetto a quanto sta succedendo nel settore privato. Nei suoi documenti è infatti giustamente scritto che si tratta di arrivare a un sostanziale allineamento del modello contrattuale.
Ho sempre sostenuto la triennalizzazione della cadenza normativa e salariale del contratto e credo che questo debba valere anche nel campo della pubblica amministrazione. Ciò richiede però tempi analoghi e conclusioni analoghe, perché sarebbe sbagliato avere uno scostamento di modello contrattuale mentre si persegue un indirizzo comune sotto il profilo dell'efficienza e della produttività.
Sempre sul modello contrattuale, poiché propone un'innovazione nella contrattazione di secondo livello, quella di produttività, vorrei chiederle se ipotizzi di proporre parametri particolari, differenti da quelli della redditività, della produttività, della qualità del sistema della pubblica amministrazione, e in che modo questa produttività possa essere regolata secondo nuovi parametri a livello decentrato, anche considerando le diverse tipologie e le strutture degli uffici della pubblica amministrazione.
Lei cita una clausola di salvaguardia. Per mia curiosità di studioso della materia, desidero chiederle se essa riguardi la pubblica amministrazione o i lavoratori della pubblica amministrazione in caso di esubero della spesa. Lei sembra proporre un contratto elastico che possa durare di più nel caso in cui la spesa sia superiore a quella prevista dalla pubblica amministrazione nella negoziazione col sindacato.
Questi sono i primi interrogativi, ma il punto è come raggiungere un obiettivo utile per il Paese. Sono sicuro che in futuro il confronto, oltre agli elementi critici, potrà individuare elementi di convergenza e che proseguirà la concertazione con il sindacato dei lavoratori.
ALDO DI BIAGIO. Si condividono i presupposti della base del programma di risanamento strutturale e di rilancio della macchina pubblica italiana, con una sola considerazione circa l'allineamento al settore privato e ai livelli contributivi, che può ammettersi per livelli più bassi, ma non sembra riscontrabile per quelli più alti. Appare necessario riassorbire il gap, che su questo terreno sussiste tra l'Italia e i Paesi europei, rispetto ai quali gli ultimi dati ISTAT registrano un ritardo pari ad almeno il 13 per cento.
Riguardo alla definizione del datore di lavoro pubblico, considerando la necessità di individuare un unico datore di lavoro, occorre capire se questo debba corrispondere al soggetto politico, amministrativo o manageriale.
Le risorse a disposizione del datore di lavoro non devono essere gestite in termini indifferenziati, poiché alle diverse qualifiche e ai trattamenti devono corrispondere posizioni funzionali, che siano effettivi terminali di potere e di responsabilità.
Potrebbe dunque rivelarsi opportuno introdurre meccanismi volti a motivare il personale per le figure direttamente coinvolte nell'attuazione dei fini istituzionali delle amministrazioni. Si potrebbe introdurre uno schema gerarchico, in relazione al quale ordinare l'organico delineando i percorsi di carriera e i relativi sviluppi economici.
Sarebbe infine necessario risolvere la questione attinente alle responsabilità e ai doveri del dipendente pubblico per la piena valorizzazione dello stesso.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi intervenuti per i contributi offerti.
Do la parola al Ministro Brunetta per la replica.
RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Farò due o tre battute di carattere generale, e poi risponderò ai singoli interrogativi.
Consentitemi di fare il professore per soli tre minuti. Il settore pubblico produce beni e servizi pubblici, il settore privato beni e servizi privati. I beni pubblici hanno la caratteristica della non esclusione, per cui il prezzo non può discriminare. Non si può garantire di consumare caviale e champagne a chi sia privo dei soldi necessari per comprarli, ma non si può escludere dalla fruizione di istruzione, sanità, sicurezza e di altri beni e servizi pubblici chi non ha le risorse per poterseli permettere. I due mondi sono quindi ontologicamente diversi.
Per cultura, formazione e sensibilità, considero il settore pubblico e i beni pubblici centrali per la vita democratica di un Paese, come è scritto nell'ultima pagina del documento che vi ho presentato.
Un Paese in cui il settore pubblico non produca beni e servizi pubblici adeguati non garantisce eguaglianza, equità, funzionalità, di fatto vera democrazia.
I beni e i servizi pubblici possono essere forniti da pubblici dipendenti e dal
mercato. Contano le modalità con cui vengono prodotti e le forme di esclusione e non esclusione.
Un taxi produce un servizio pubblico, ma il produttore del servizio è un dipendente privato, nella fattispecie un artigiano sottoposto a regolamentazione.
Da questa distinzione si capisce anche lo status potenziale del dipendente pubblico, ovvero di colui il quale è preposto alla produzione diretta o indiretta di beni e servizi pubblici fondamentali per l'esistenza di un Paese, di un'economia, di un sistema complesso come il nostro.
Da questa origine derivano anche le guarentigie, che originariamente erano in capo ai dipendenti pubblici, che, proprio perché preposti alla produzione di beni e servizi pubblici, avevano caratteristiche di garanzia del loro status e del loro posto di lavoro diverse da quelle del privato. Tutto questo purtroppo si è progressivamente perso, per cui a fronte di una progressiva e un po' confusionaria privatizzazione (una finta privatizzazione), si è perso lo status, l'immagine e anche il ruolo del pubblico dipendente. Si sono dunque mantenute le garanzie, si è perso lo status e le caratteristiche distintive del dipendente pubblico nella sua funzione di produttore di beni e servizi pubblici rispetto al dipendente privato.
Ritengo che i beni e i servizi pubblici debbano essere aumentati, migliorati, qualificati e non certamente diminuiti, peggiorati, dequalificati. Sono quindi per più servizi pubblici, migliori servizi pubblici, più beni pubblici, migliori beni pubblici.
Cosa diversa è valutare chi dovrà produrre questi beni e servizi. Nell'attuale situazione produciamo malamente beni e servizi pubblici con i costi conseguenti soprattutto per le famiglie più fragili e più povere e per le imprese, che sono esposte alla competizione. Una riforma della pubblica amministrazione mira dunque non a dequalificare, ma a qualificare. Questa è la mia dichiarazione politica di intenti.
Ci chiediamo come realizzare tutto questo. Se continuiamo nella deriva o nella china che abbiamo seguito fino ad ora, avremo servizi pubblici e beni pubblici sempre in qualità peggiore e in quantità minore. L'insoddisfazione dei cittadini è crescente, il che significa che il processo che si è andato evidenziando ad oggi è negativo. Se la gente potesse ascoltare il dibattito di questa Commissione, ci chiederebbe se i servizi pubblici migliorino o peggiorino, se le liste di attesa si accorcino, se i tempi della burocrazia si riducano, se la qualità migliori. Questa è la domanda della gente e, piuttosto che al sindacato dei dipendenti pubblici, personalmente rispondo al mio datore di lavoro finale, che è il cittadino.
Da questo punto di vista, la pubblica amministrazione non è una ma tante, ciascuna con la sua caratteristica e specificità, ma per ragioni metodologiche c'è una fase olistica e una fase riduzionistica, laddove la prima è la fase di sintesi, iniziale, che individua alcune grandi strategie, e da essa poi deriva la fase riduzionistica, ovvero la settorializzazione e la sua applicazione.
Mi è stata rivolta un'altra critica un po' ingenerosa non tanto qui, quanto fuori. Ho giurato il giorno 8 maggio 2008, ho preso possesso del Ministero il giorno dopo dalle mani del buon Nicolais, 20 giorni dopo erano pronti questi due documenti, ho scritto in quella stessa data a questa Commissione per essere udito e nelle prossime settimane avrete tre disegni di legge a distanza di un mese e mezzo. Penso che nessuno possa accusarmi di fare propaganda e non interventi concreti. Non so se questi disegni di legge saranno buoni o meno buoni, però il PERT da me seguito è questo e penso sia di tutto rispetto. I contenuti sono poi da verificare, ma per il momento analizzate quello che avete sotto gli occhi.
Di ISFOL, anche se per poco tempo, sono stato presidente, quindi conosco il suo ruolo, il problema dei precari e il tema ben più vasto di come si accede alla pubblica amministrazione.
Per le succitate ragioni della produzione di beni e servizi pubblici, vi si dovrebbe entrare unicamente per concorso. In realtà, la stragrande maggioranza dei dipendenti della pubblica amministrazione
non è entrata per concorso, con punte elevatissime per la scuola, in cui il 60-80 per cento non è entrato per concorso, con punte differenziate rispetto ad altre amministrazioni.
La rottura del patto in base al quale a chi produce beni e servizi pubblici spettano garanzie e uno status particolare si è rotto da tempo, quindi o decidiamo che questo patto tra Stato, dipendenti pubblici, produzione di beni e servizi pubblici debba essere completamente cambiato privatizzando tutto, oppure ritorniamo alle regole del gioco, in base alle quali nella pubblica amministrazione si entra solo per concorso, ivi comprese le contraddizioni delle prime fasi del Governo, che ho subito.
Su questo, i quattro o cinque che lo hanno citato hanno ragione. Le ho subite e addirittura attenuate perché erano più rilevanti, compresa la differenziazione pubblico/privato per quanto riguarda il provvedimento sugli straordinari.
Anche su questo, chi è senza peccato, Ministro Damiano, scagli la prima pietra, perché purtroppo della differenziazione pubblico/privato ciascuno porta qualcosa nella propria storia personale.
Rispetto al pubblico/privato e straordinari, avevo proposto di estendere un vantaggio alle Forze di polizia, ma non ci sono riuscito.
Il provvedimento è sperimentale, l'obiettivo dichiarato dal Ministro Sacconi e dagli altri Ministri è quello di estenderlo progressivamente, ma questo non è ancora avvenuto.
Personalmente, sono per una convergenza dei modelli pubblico e privato, per una convergenza del modello contrattuale (se si decide per la triennalizzazione, così deve essere nel pubblico e nel privato), ancorché le modalità possano essere diverse.
Sono due animali diversi. Cito solo un esempio: nel settore privato la contrattazione di secondo livello si è configurata storicamente, ancorché in maniera limitata, come un bene, nel settore pubblico si è configurata in maniera massiva come un non bene, per non dire un male. Questi due mondi diversi devono quindi essere trattati in maniera diversa.
I grandi sfondamenti nelle risorse stanziate, i grandi sprechi sono avvenuti soprattutto nelle contrattazioni di secondo livello nei governi locali per quanto riguarda il settore pubblico.
La clausola di salvaguardia, amico Damiano, è già legge dello Stato mai applicata. L'origine era mia, il Ministro del lavoro era Giugni, ed era scritta semplicemente in questi termini: qualora si verificasse uno sfondamento tra quanto stanziato ex ante e quanto sborsato ex post in termini di remunerazione di fatto per quanto riguarda il complesso del settore pubblico, una volta valutato lo sfondamento, il contratto si prolunga di un periodo tale da assorbire lo sfondamento stesso.
Non è stata mai applicata per due ragioni: la difficoltà di verifica dello sfondamento e il fatto che lo sfondamento avviene in maniera differenziata in base alle amministrazioni, per cui un'amministrazione può rispettare perfettamente quanto stanziato, altre no e la media complessiva porta a uno sfondamento. Il risultato è che ci sarebbe la penalizzazione di chi non ha colpa a causa dei responsabili. Tale norma è quindi facilmente idealizzabile, ma difficilmente applicabile.
Sul pubblico-privato il mio auspicio è la massima convergenza nei modelli contrattuali, ma posso capire che il Ministro Sacconi, quando ha introdotto sperimentalmente la detassazione degli straordinari in un regime di risorse limitate, abbia scelto di partire dai settori esposti alla concorrenza, che più potevano nel breve periodo dare origine a incrementi di produttività.
Ringrazio per i suggerimenti l'onorevole Giuliano Cazzola, che ha perfettamente ragione per quanto riguarda la giurisdizione, laddove uno dei punti fondamentali è come si giudicano, nell'ambito del processo del lavoro, le inadempienze, considerato che il giudizio finale non dipende tanto dalla pubblica amministrazione,
ma produce effetti al di fuori. Nei disegni di legge ci saranno anche elementi a questo riguardo.
Sull'ISFOL e sui precari la mia posizione è quella di riflettere complessivamente sul tema che ci ha lasciato in eredità il Governo precedente, di fare fronte alle necessità considerando i diritti di chi ha vinto i concorsi, di chi ha superato esami di idoneità, mettendo in gerarchia queste figure e tralasciando altre forme demagogiche e populistiche, che non hanno alcuna ragione.
Sul decreto sui rifiuti ho ammesso, con onestà, che è stata una contraddizione. Non succederà più.
TERESIO DELFINO. Anche perché sei battagliero!
RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Il Ministro Tremonti ha anche la capacità di compattare il consenso su obiettivi straordinari, ma in seguito ci si rende conto di cosa significhi l'acquisizione del consenso. Lo dico con grande simpatia, ma a Napoli con l'emergenza rifiuti ci si è chiesti come fosse possibile rifiutare...
LUIGI BOBBA. Correggetelo, siete ancora in tempo!
RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Per carità! Condivido totalmente le considerazioni dell'onorevole Poli, che ha condiviso esattamente tutto quello che ho detto. Al collega, professor Santagata manderò un paper scientifico, visto che non è più presente in aula; si fa così tra professori inutili: ci scambiamo paper inutili! Questo è un luogo utile, che vede la presenza di persone utili che parlano con persone utili.
Capisco l'esperienza dell'onorevole Schirru, ma l'esercizio che faccio con me stesso è tendere alla soddisfazione dei cittadini, nonostante tutte le nostre riflessioni ed elucubrazioni. Questa deve essere la stella polare. Le nostre filosofie, le nostre metafisiche, le nostre incrostazioni ideologiche sono ammissibili, ma prima di tutto siamo qui per dare soddisfazione ai cittadini.
Anche se non rientra nella mia competenza, sull'ICI desidero sottolineare un'idea che sarà contenuta nei testi, che non è neanche mia. Poiché con l'abolizione dell'ICI prima casa probabilmente si libererà personale delle amministrazioni locali, che era preposto alla sua gestione amministrativa, ho ipotizzato di ridestinare questo personale alle funzioni previste da un norma della legge finanziaria 2006 (predisposta a suo tempo da Tremonti con l'aiuto di Brunetta), che prevedeva la partecipazione dei Governi locali nell'accertamento delle amministrazioni centrali, con un ritorno agli enti locali stessi del 20-30 per cento dell'incremento di gettito prodotto dalla collaborazione tra Governi locali e amministrazioni finanziarie e fiscali centrali. Se questo personale liberato fosse utilizzato a questi fini, probabilmente ci sarebbe un effetto positivo.
All'amico Damiano - mi permetto di chiamarlo così, perché penso che sia così - sottolineo che la mia apertura sul lavorare insieme non vuol essere una captatio benevolentiae, ma è vera. Ho tre punti di riferimento: la mia riflessione, la mia coscienza politica e il programma del mio Governo, istituzionalmente il Parlamento, l'opinione pubblica e i cittadini.
Questa è una fase fondamentale. Le cose di cui abbiamo parlato oggi possono essere cambiate solo insieme. Consentitemi però una battuta un po' provocatoria: è necessario cambiare insieme anche utilizzando intelligentissime fughe in avanti, come il disegno di legge Ichino presentato al Senato in questi giorni, miniera di innovazione talvolta anche spinta. Su questi temi, si dovrà tenere dritta la barra, al di là degli innamoramenti individuali, cercando un percorso coerente, che risponda sempre alle esigenze del Paese.
Questa mattina, ho proposto di seguire la linea del disegno legge Ichino ai sindacati del pubblico impiego, ma hanno detto «meglio Brunetta», il che mi ha fortemente rasserenato.
Con questa battuta di grande affetto e di grande stima nei confronti del mio amico e collega Pietro Ichino, che testimonia anche la complessità del lavorare insieme, vi ringrazio. Ringrazio anche il presidente per questa occasione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro. Il lavoro sarà intenso, ma credo che ci consentirà di dare ulteriore gratificazione al nostro ruolo di parlamentari partecipare a questo processo di riforma in collaborazione con la Commissione affari costituzionali, con la quale cercheremo di lavorare su questi temi anche in virtù del disegno di legge che il Ministro ci presenterà.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.