Sulla pubblicità dei lavori:
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3
Seguito dell'audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di politiche giovanili (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 13 22
Bossa Luisa (PD) ... 19 21
Calgaro Marco (PD) ... 8
Mancuso Gianni (PdL) ... 11
Meloni Giorgia, Ministro della gioventù ... 13 19 21
Molteni Laura (LNP) ... 6
Patarino Carmine Santo (PdL) ... 7
Porcu Carmelo (PdL) ... 9
Rondini Marco (LNP) ... 3
Sbrollini Daniela (PD) ... 4
Testa Nunzio Francesco (UdC) ... 4
Turco Livia (PD) ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14,15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di politiche giovanili.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
MARCO RONDINI. Premettendo che ci associamo a quanto da lei illustrato, signora Ministro, riguardo ai programmi del suo Ministero rivolti ai giovani, riteniamo che il suo sia un compito importante per il futuro della nostra società che, grazie all'azione del nostro Governo, ci auguriamo divenga presto quella società attiva e con un alto tasso di natalità auspicata dal Ministro Sacconi. È un auspicio al quale le persone di buon senso non possono che associarsi.
Perché ciò avvenga, è importante - ed è proprio l'obiettivo delle linee programmatiche da lei esposte - guardare alle giovani generazioni e tutelare le giovani coppie. Investire sui giovani e sulla famiglia vuol dire tornare ad essere una comunità proiettata verso il futuro, padrona del proprio destino e capace di superare l'astenia riproduttiva di cui oggi, purtroppo, soffriamo.
Altra questione importante, da lei affrontata, è la soluzione rispetto alle devianze e all'egoismo individualistico. Si tratta delle due facce di un unico problema, cioè la perdita di valori condivisi su cui si fondano, o si dovrebbero fondare, le comunità.
Credo che per rianimare quella comunità di destino alla quale lei, signora Ministro, faceva riferimento, sia importante utilizzare anche la televisione, oltre che naturalmente la scuola, ma alla famiglia, innanzitutto, va restituito il ruolo di cellula fondamentale delle nostre comunità.
Affinché la libertà individuale non degeneri in egoismo individualistico, è forse utile, anzi fondamentale, assecondare quelle energie che spingono le giovani generazioni a reinventare, attualizzandola, la propria tavola dei valori, nella coscienza, però, che tali generazioni costituiscono un anello di congiunzione fra chi ci ha preceduto e chi ci seguirà.
Infine, riprendendo le osservazioni dell'onorevole Grimoldi, varrebbe la pena che presso i giovani si esaltassero le innegabili differenze che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora la storia e la cultura delle regioni che compongono l'Italia (il che non significa volerli armare gli uni contro gli altri).
Ecco allora che l'identificazione dei giovani con la storia e la cultura locale aiuta e sostiene a riconoscersi non solo come individui, ma anche come parte di una comunità che, proprio in quanto locale, è avvertita giustamente come più vicina.
Questa azione va perseguita superando il luogo comune che vuole relegato ad un valore inferiore e provinciale tutto ciò che è riconducibile alla dimensione locale.
Concludo ringraziandola, Ministro, e sottolineando ancora che ci riconosciamo con le linee programmatiche da lei esposte.
NUNZIO FRANCESCO TESTA. Signora Ministro, avendola ascoltata attentamente durante la seduta scorsa, desidero innanzitutto complimentarmi con lei. Mi è piaciuto molto il passaggio sui giovani e sulle generazioni che, nonostante i cattivi esempi che abbondano, sono molto più vive, intelligenti e fattive, a mio avviso, di quanto normalmente immaginiamo.
Una delle prime frustrazioni di questi ragazzi è quella di trovarsi, a diciotto anni, a dover fare concorsi per accedere alle facoltà universitarie che adottano il numero chiuso. Ritengo che il numero chiuso, molte volte, non permetta di tenere conto dell'effettiva preparazione dei ragazzi: i quiz non sono idonei allo scopo. Si incontrano, così, giovani con attitudine verso un tipo di facoltà che non riescono ad entrare e sono costretti a scegliere diversamente. Volevo sapere da lei se e come sia possibile intervenire al riguardo. È chiaro che si dovrà essere severi in seguito, durante la fase dello studio, ma nella fase iniziale non credo che si riesca a capire quale sia la reale preparazione dei ragazzi.
DANIELA SBROLLINI. Signora Ministro, lei ha illustrato, nella sua relazione, molte questioni attinenti al mondo giovanile: dal tema della casa, a quello dei precari, della scuola, del volontariato (a cui spesso i giovani si dedicano), delle giovani coppie, richiamando i tanti valori positivi di cui i nostri giovani sono portatori. Ovviamente condivido - come tutti, credo - un tale approccio positivo, poiché sono convinta che questa generazione sia prevalentemente sana, anche se in difficoltà in quanto non gode delle stesse opportunità delle generazioni precedenti. Mi riferisco, soprattutto, al mondo del lavoro.
Ecco perché, a volte, i nostri giovani appaiono fragili e anche impotenti, rispetto a un mondo che crolla loro addosso.
Sono quindi convinta che lavorare - magari insieme - su questi temi rappresenti sicuramente un fatto importante, così come considero positivo l'auspicio e l'annuncio, contenuto nella sua relazione, dell'avvio di una fitta collaborazione tra il suo e gli altri ministeri.
Credo che tutti questi intenti siano assolutamente condivisibili. La mia preoccupazione, però, da cui scaturisce anche la domanda che le pongo, è su come lei potrà reperire le risorse economiche sufficienti per dare concretamente seguito a questa sua importante relazione.
La politica del Governo, del resto, mi pare invece improntata su tagli netti, soprattutto per quanto riguarda le politiche sociali. In particolare, sono previsti forti tagli nei prossimi mesi a carico degli enti locali, cioè proprio degli enti competenti ad avviare (e che spesso hanno già avviato) progetti importanti per il mondo dei giovani, nei comuni e nei diversi territori.
Mi permetto, allora, di sottoporle brevemente due ulteriori richieste. La prima riguarda la promozione di un incontro con tutti i parlamentari under 40, che in questa legislatura sono numerosi. Penso a un incontro con lei come a un modo per raccogliere esperienze, idee e progettualità che potrebbero essere utili da portare, poi, all'esterno. Il confronto potrebbe, magari, essere focalizzato su alcune tematiche precise.
La seconda richiesta riguarda l'opportunità di fissare le priorità, poiché alcune fra le questioni che lei ha già elencato non sono più rinviabili; penso, in modo particolare, al mondo del lavoro. Sicuramente quello è l'ambito su cui bisognerà incidere
di più, poiché senza indipendenza economica un giovane non si sente realizzato e non può intraprendere determinate scelte di vita. Quindi, a mio avviso, quello è il primo tema da cui partire e su cui, ovviamente, troverà anche la massima collaborazione da parte della minoranza.
Non ho invece capito - mi permetto con questa ulteriore domanda di rivolgerle una critica - il motivo per cui si è voluto cambiare nome al Ministero. Penso che questa modifica dia più l'idea di un cambio ideologico, laddove la dizione «politiche giovanili» - il Ministero si è sempre chiamato così, in questi ultimi anni - secondo me rendeva l'idea della volontà di affrontare in maniera più organica il mondo dei giovani, per pensare in maniera concreta al futuro delle nuove generazioni e a una società che, invece, invecchia sempre di più. Credo che sarebbe opportuno se, anche da noi, partisse un linguaggio maggiormente rivolto al futuro e più vicino alla realtà che oggi viviamo.
LIVIA TURCO. Sono state svolte molte considerazioni da parte dei rappresentanti parlamentari e colleghi del mio gruppo. L'onorevole Sbrollini, ad esempio, ha testé avanzato proposte che ritengo molto belle.
Prendo la parola, in primo luogo, per rivolgerle, con molta simpatia, i miei auguri di buon lavoro. A una donna come me, dalla lunga militanza politica, fa piacere rivolgere i migliori auguri a una giovane donna che dimostra di avere una sua storia politica - per quanto diversa dalla mia - in un momento in cui prevale un simbolico femminile secondo il quale non sempre sono i propri meriti a contare.
In secondo luogo, devo premettere che è effettivamente complicato occuparsi di politiche giovanili, così come di politiche per le pari opportunità. Occorrerebbe detenere le leve del comando, avere la possibilità di compiere scelte politiche vere, mentre invece si rischia, alle volte, di risultare ininfluenti. Per questo motivo, mi sento di condividere molto quanto già affermato da varie colleghe e cioè che sarebbe auspicabile che un Ministero come il suo esercitasse una voce critica, intransigente e che non facesse finta di non vedere.
È stato appena ribadito quanto strettamente le politiche giovanili siano legate alle possibilità, da parte degli enti locali, di promuovere politiche sociali; sappiamo inoltre quanto le politiche giovanili siano legate al buon funzionamento della scuola. Ebbene, ci piacerebbe che lei esercitasse un'azione di sollecito alla coerenza.
Nell'ambito della sua illustrazione, lei riporta molte cose condivisibili, soprattutto per ciò che riguarda la volontà di tirar fuori la normalità bella, non patologica, dei nostri giovani. Le volevo, allora, raccomandare il lavoro - da svolgere d'intesa con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali - sui disturbi relativi al comportamento alimentare. Occupandomene, mi sono resa conto di quanta sofferenza si celi dietro questo problema; quanto lavoro debba essere compiuto; quanto sia fondamentale un raccordo tra le famiglie, la scuola, i servizi sociali e sanitari e quanto sia importante proseguire alcune azioni che, ad esempio, il Ministro Melandri aveva intrapreso, coinvolgendo anche la dimensione simbolica, sollecitando il mondo della moda a diffondere un messaggio positivo sulla femminilità.
L'ultimo tema che intendo sollevare è quello del rapporto dei giovani con la politica. Si tratta di un tema molto complicato, che ci trasciniamo dietro da anni. Chiunque ha fatto politica, sa quanto sia complicato il rapporto dei giovani con quest'ultima. È un tema che riguarda le forze politiche e tutti i cittadini, al quale, però, penso si possa affiancare un'azione pubblica, portata avanti dal Governo.
Lei ha già avanzato proposte che trovo interessanti e mi permetto di sollecitarla a riflettere sull'esperienza che si rileva, almeno in una certa misura, in tutti i Paesi europei. Come Ministro degli affari sociali, a suo tempo, mi era stata affidata anche la delega alle politiche giovanili e avevo potuto constatare, con un certo rammarico, come l'Italia detenesse un primato: eravamo gli unici - lo siamo rimasti, in
Europa - a non possedere strumenti definiti di partecipazione politica dei giovani a livello istituzionale.
In tutti gli altri Parlamenti esistono consigli nazionali dei giovani. Mi rendo conto della delicatezza dell'argomento, poiché istituendo un consiglio nazionale dei giovani si può rischiare di costruire una struttura paludata, che non riflette abbastanza la partecipazione dei giovani così come essa avviene nelle associazioni e nei gruppi. Tuttavia, ritengo che sarebbe utile espletare un tentativo, giacché, oltre al coinvolgimento e alla valorizzazione dei giovani in Parlamento, risulterebbe quanto mai utile sul piano simbolico, ma anche pratico, avere uno strumento istituzionale, il Consiglio nazionale dei giovani, in grado di fare riferimento al Governo e al Parlamento, eletto in modo democratico, tale da esemplificare ai giovani che davvero si può contare sulla politica e che si è ascoltati. Inoltre, esso può costituire anche una palestra di educazione alla partecipazione politica e all'azione di governo.
Penso inoltre che uno strumento del genere debba essere suggerito caldamente a livello locale. Ho visto - molti colleghi possono aver vissuto la stessa esperienza - quanto sia importante sollecitare addirittura i comuni (più ancora dei consigli regionali) a istituire forum per la partecipazione dei giovani a livello locale. Il forum locale può davvero coinvolgere le tante forme di associazionismo giovanile.
In definitiva, penso che sia importante dimostrare che le istituzioni vogliono che i giovani abbiano un peso e che dimostrino una loro disponibilità e capacità di attenzione.
LAURA MOLTENI. Signor presidente, sarò breve anche perché si sono già espressi i colleghi Grimoldi e Rondini. Mi piace l'entusiasmo con il quale il ministro si è messo all'opera in questi cinquanta giorni per tracciare le linee del proprio dicastero, nonché affrontare gli interventi da porre in essere, riferiti appunto alle politiche giovanili.
Volevo solo evidenziare un punto: il contesto di riferimento nel quale i giovani crescono, si sviluppano, si formano, si inseriscono e che è costituito da diversi fattori.
In primo luogo la famiglia, quale pilastro fondante della nostra società; poi la società immediatamente circostante, cioè il contesto di contorno dato dalla scuola ed anche dalle realtà associative presenti sul territorio e dai gruppi giovanili con il contesto del lavoro.
Penso che si tratti di riferimenti importanti per i giovani di oggi, in base ai quali debba svilupparsi un principio di federalismo non solo verticale, ma anche orizzontale. Il privato sociale, cioè, deve entrare in un'ottica di collaborazione e di partecipazione attiva con quelle che sono le istituzioni a livello locale (regionale, comunale). Mi riferisco a un privato sociale qualificato, partendo proprio dalle associazioni familiari e tenendo ben presenti tutti i contesti di riferimento nel rispetto delle singole realtà locali, poiché ognuno vive poi nella propria regione e città, con situazioni territoriali e culturali molto diversificate.
È importante riuscire a individuare strumenti in grado di trasmettere stili di vita positivi.
In un'audizione precedente, il sottosegretario Giovanardi ha evidenziato alcune situazioni legate al problema delle tossicodipendenze. Esistono linee di pensiero, alle quali siamo fortemente contrari, che portano alla «stanza del buco». Credo quindi che sia importante che, anche sul piano della comunicazione riguardante le politiche giovanili, siano trasmessi stili di vita positivi, che si richiamino ai valori tradizionali della famiglia italiana.
Occorre riportare al centro i valori della famiglia; i valori delle tradizioni legate alla cultura locale nella quale i giovani si vanno a inserire; il valore del lavoro, rispetto al quale in tante regioni sussistono grandi problemi. Servono politiche che mettano in grado i giovani di creare impresa e di essere gli attori positivi dell'economia di domani, del futuro comparto produttivo.
Questo suggerimento vuole aggiungersi a quanto già da lei ampiamente esposto, signora ministro, nel corso dell'audizione precedente.
CARMINE SANTO PATARINO. Anch'io, signora ministro, come hanno fatto quasi tutti i colleghi che mi hanno preceduto, esprimo il più vivo apprezzamento per la sua relazione.
Mi sarebbe piaciuto parlare subito dopo, nella stessa giornata, poiché diventa meno agevole parlare a distanza di qualche giorno, affidandosi agli appunti invece che alla linea diretta che, proprio durante l'audizione, dà la possibilità di rifarsi ad argomenti importanti quali quelli trattati ieri.
La sua relazione è risultata non solo ricca di argomenti, ma anche scientificamente appropriata nell'analisi e - aspetto ancora più importante - originale e moderna per quanto riguarda la proposta.
Di solito, parlando di giovani, da più parti ci si lamenta e ci si preoccupa - almeno, molti dichiarano di preoccuparsi - mentre pochi, poi, se ne occupano.
Finalmente, ascoltando la sua relazione, abbiamo visto che si parte dal giovane, si pensa al giovane, a quelle che sono le sue preoccupazioni, ai suoi problemi, alle sue necessità e ai suoi bisogni; si parla del giovane come il centro dell'attenzione in una società moderna e seria.
Non può essere diversamente. In una società che ha bisogno di svilupparsi, di progredire, di cambiare per davvero e di rinnovarsi non si può guardare al giovane ancora come al problema da affrontare e non come alla risorsa di cui tener conto per realizzare lo sviluppo stesso e per rendere possibile la crescita della Nazione. È sul giovane che dobbiamo puntare, o scommettere.
Quando parliamo dei problemi (pensiamo alla scuola, all'università, al lavoro, alla carriera), non possiamo non pensare anche al tempo libero del giovane. Il giovane è titolare di diritti, tra i quali il diritto a vivere. La sua esistenza è fatta in parte di studio e di lavoro, ma in parte anche di tempo libero e di divertimento. Dobbiamo fare in modo che questo divertimento e questo tempo libero siano spesi in maniera sana, controllare affinché tutto quello che sta intorno al giovane non diventi fonte di problemi rappresentati, ad esempio, dalle insidie che oggi sono molto più numerose che in passato. Ci preoccupiamo, quando i nostri giovani escono la sera. Secondo la moda e l'abitudine attuale, i giovani devono uscire tardi e rientrare tardi. I genitori non possono sempre dire di no ai propri figli quando chiedono di potersi recare in discoteca, ma dobbiamo preoccuparci affinché in quella discoteca, o fuori da quella discoteca,
non gravi - come, ahimè, spesso accade - un'insidia mortale alle spalle del giovane.
Si tratta di preoccupazioni che ho visto nella sua relazione, signora Ministro, che trovo veramente di grande spessore. Lei ha parlato di lavoro e di precariato - questa è la novità - non come sistema, bensì come porta d'ingresso. La flessibilità non deve essere vista - lei ha detto - come un sistema al quale dobbiamo abituarci e con il quale dobbiamo convivere, bensì come una porta di ingresso per trovare poi la sistemazione definitiva, quella che possa dare al giovane le garanzie sufficienti a mettere su una famiglia e inserirsi nel novero di quegli eroici nuclei familiari - come lei li ha definiti - che decidono di mettere al mondo dei figli. Si tratta di fare in modo che l'Italia non viva questa situazione di decremento demografico che la sta portando agli ultimi posti nella crescita. Il nostro è un Paese di vecchi, ormai, e, se ci sono nuovi nati, questi appartengono soltanto agli extracomunitari, a coloro che migrano in
Italia. Questi ultimi sono certamente anche utili, poiché, grazie a loro, stiamo vedendo un'Italia che si rinnova; tuttavia, dobbiamo pensare anche alla nostra storia, alla nostra tradizione e alla nostra cultura.
Lei ha parlato di un'altra cosa molto importante, cioè del merito e dell'investimento sui talenti. Il collega in precedenza evocava l'Università a numero chiuso, nella quale bisogna entrare attraverso una prova di ingresso a quiz che non sempre
misurano il grado di formazione e di cultura del giovane. Viceversa, dovremmo dare a tutti - come lei stessa, signora Ministro, ha affermato - la possibilità di accedere. Chiaramente poi è giusto che vadano avanti coloro che hanno maggiori possibilità e meriti dal punto di vista culturale. Dobbiamo puntare sui talenti in tutti i campi: questa è una grande novità che non dobbiamo assolutamente ignorare e trascurare. Lei ha parlato di talenti nel campo dell'arte e della musica, ma dobbiamo pure considerare che l'Italia è uno dei Paesi con i maggiori giacimenti culturali, tali da sopravanzare in ciò gran parte dell'Europa e del mondo. L'Italia è il Paese che ha dato i natali a grandissimi musicisti, ed è la patria del melodramma.
Ebbene, lei ha parlato della necessità di confronto, di rapporti e di collaborazione, ma io oserei aggiungere che qualche volta si deve arrivare al confronto serrato e, se è il caso, anche allo scontro. Lei, signora Ministro, ha dichiarato di sentire come «sua» questa Commissione - lo ha ripetuto anche, se non ho capito male, l'onorevole Turco - e dunque se andrà oltre, se vorrà contestare qualche posizione assunta da ministeri che non vogliono sentir parlare di questi elementi di novità, se dovremo condurre delle «battaglie», questa Commissione sarà al suo fianco. Noi non possiamo immaginare una scuola in cui, a partire dalle elementari, non si insegni la musica. In altri Paesi del mondo, dove non esiste una tradizione pari alla nostra, lo si fa, mentre in Italia non si insegnano né la musica, né la storia dell'arte!
Uno dei compiti che le affidiamo, signora Ministro, è di battersi - magari anche con il Ministro per i beni e le attività culturali - affinché si forniscano ai giovani gli strumenti di cui essi hanno bisogno per affrontare una nuova vita, difficile ma al tempo stesso piena di attenzione e di tensione. Non possiamo assolutamente lasciarli soli!
Le auguro buon lavoro, confermando di essere a sua disposizione anche - e soprattutto - perché lei ha dichiarato di sentire questa come la «sua» Commissione. Ebbene, noi sentiamo lei come il «nostro» ministro.
MARCO CALGARO. Mi scuso con la signora Ministro, augurandole buon lavoro, poiché non ho sentito la sua relazione e quindi forse la solleciterò su argomenti di cui ha già parlato.
Mi piacerebbe innanzitutto capire l'età su cui tarare gli interventi delle politiche giovanili, che, negli anni, si sono sempre più dilatate. Oggi, quando si parla di politiche giovanili, in molti Stati europei si parla di politiche che agiscono fino ai quaranta anni di età. È chiaro che si parla di politiche molto diversificate, a seconda della fascia di età cui ci si riferisce.
Mi sono occupato di politiche giovanili a Torino e avrei qualche riflessione da proporre, proprio in quest'ottica.
Se si vogliono, ad esempio, riavvicinare i giovani alla politica in senso lato - fatto che riterrei molto positivo - occorre partire da un dato di fatto: i percorsi comunicativi che oggi maggiormente arrivano ai giovani, molto probabilmente, non sono quelli che per noi sono più consueti e neppure il solo Internet. Quando giravo per le scuole superiori di Torino, chiedevo ai ragazzi chi di loro leggeva un quotidiano e le risposte erano disarmanti: nei licei classici e scientifici solo tre o quattro studenti per classe leggevano i quotidiani.
Il primo problema da porsi, dunque, è in quale modo possiamo oggi arrivare a comunicare con i giovani.
In secondo luogo, a Torino abbiamo messo in piedi un programma che si chiama Giovani idee, copiato in seguito da varie realtà italiane, nato sostanzialmente per verificare l'accompagnamento del percorso di un giovane da quando, nella fase di ricerca di una professionalità, esprime una sua idea a quando arriva alla sua attuazione, evidenziando le varie difficoltà riscontrate nell'attuazione del suo progetto di vita.
Abbiamo evidenziato alcuni fenomeni principali, il primo dei quali è che esiste tutta una fascia di giovani (quella a più bassa scolarizzazione e di più basso livello
culturale), cui è difficile arrivare con la comunicazione istituzionale e che non si riesce neppure a informare sulle possibilità che la comunità mette loro a disposizione, su determinate tematiche.
Un Ministro della gioventù a livello nazionale, inoltre, dovrebbe anche poter mettere in gioco qualche rapporto con il sistema bancario, poiché, quando un giovane ha un'ottima idea o sviluppa un ottimo progetto (lo abbiamo verificato collaborando con Intesa San Paolo a Torino), ma non ha alle spalle una famiglia facoltosa o beni da mettere in garanzia, in Italia gli è praticamente impossibile giungere all'attuazione del progetto stesso, non trovando chi glielo finanzi. Ebbene, tra le linee che il Ministro della gioventù dovrebbe percorrere, ritengo ci sia anche quella dell'individuazione di linee di credito opportune, magari in qualche modo garantite dallo Stato, per le idee o i progetti innovativi dei giovani, molti dei quali sono effettivamente ricchi di idee positive.
Credo anche che il percorso di autonomia dei giovani universitari e post-universitari, anche e soprattutto dal punto di vista abitativo, abbia bisogno di un sostegno da parte delle istituzioni, oggi, in Italia. Occorre prestare una particolare attenzione proprio alla fase in cui ci si vuole rendere autonomi, cercando una casa in funzione di un proprio progetto di vita.
Sarebbe inoltre interessante, proprio perché l'età giovanile si è andata sempre più ampliando, in Italia e in Europa, conoscere eventuali progetti e idee riguardanti la possibile interazione tra Ministro della gioventù e politiche del lavoro.
Riguardo a queste ultime, oggi ritengo sia possibile attuare linee di intervento specifiche per i giovani e credo che un ministero come il suo (che, giustamente, dovrà più che altro interagire con altri ministeri) dovrà necessariamente porsi il problema, se vuole impostare un lavoro produttivo.
Un'altra delle cose che mi ha sempre colpito e che mi succedeva frequentemente, girando per le scuole, era l'accorgermi che in nessuna città italiana, in questo periodo di globalizzazione, nelle scuole superiori un giovane viene a conoscenza della storia, della cultura, delle problematiche sociali e di sviluppo della propria città e della realtà in cui vive. Ebbene, un buon progetto di collaborazione con la scuola potrebbe consistere nella formalizzazione a livello nazionale, cioè di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della trattazione di questo interessante tema, che ritengo necessario inscrivere nel normale percorso scolastico di un giovane.
Ad esempio, Torino ha vissuto un enorme problema di immigrazione, come tutti sappiamo, ma nelle scuole superiori della mia città pochissimi giovani conoscono la storia sociale di Torino, sul tema immigrazione, degli ultimi cinquant'anni. Credo che la stessa cosa avvenga nella maggior parte delle città italiane, ciascuna con la propria peculiarità, e penso che la scuola debba mettere a punto progetti per far interagire maggiormente i giovani con la propria realtà locale.
Per quanto riguarda le politiche volte a incentivare una partecipazione più diretta dei giovani alla vita politica, concordo anch'io con quanto ha già detto la collega Turco. Ritengo che il luogo in cui i giovani devono entrare in contatto con questo tipo di realtà sia soprattutto l'ente locale, cioè il comune. Credo che su questo punto si possa svolgere un buon lavoro e che la difficoltà sia quella di evitare di andare a creare piccole istituzioni sostanzialmente gestite dai partiti. Diversamente, la finalità, a quel livello, è di riuscire a prendere contatto con l'associazionismo vasto e diffuso che ha più difficoltà, forse, a rendersi conto di quanto sia importante, oggi, far partecipare un giovane alla vita politica in senso lato. Un buon lavoro in questo senso potrebbe anche aiutare quegli enti locali (di minore grandezza, importanza e con minori fondi a disposizione) che hanno più
difficoltà a approntare progetti specifici di questo tipo.
CARMELO PORCU. Non ho assistito alla relazione della scorsa settimana, perché
sono andato in viaggio a Lourdes. È il mio diciottesimo viaggio e, considerato che non sono vecchissimo, ciò significa che mi reco là quasi ogni anno, ormai da diversi anni. Devo dire che ho visto, ancora una volta, la parte forse migliore della gioventù europea. Si tratta di uno straordinario campionario umano di sensibilità sociale e di partecipazione al dolore altrui, che poi misteriosamente diventa serietà collettiva.
Anche l'aspetto cromatico di questi giovani è interessante: gli scout francesi con la divisa rossa, gli scozzesi con il kilt, gli spagnoli le cui magliette abbondano di giallo e di rosso, gli italiani con il loro naturale disordine, e così via, rappresentano una realtà giovanile europea meravigliosa. Parlando con questi ragazzi, ho scoperto una gioventù veramente interessante, senza per questo voler essere agiografico.
Quando poi sono tornato in Italia, ho visto la realtà diversa trasmessa dai telegiornali: quella di un luogo vicino a Barcellona, dove una ragazza italiana di vent'anni ha trovato la fine più orribile che si possa immaginare. Ho vissuto in pochi giorni - o in pochi attimi - la contraddizione allucinante, estrema, drammatica, della condizione giovanile di oggi: da un lato un servizio portato fino alle estreme sensibilità di cuore e di partecipazione verso la gente sofferente e dall'altro una realtà che sembra più infernale che umana. Ebbene, dobbiamo farci carico di entrambe le condizioni, cercando tuttavia - il Ministro sostiene ciò, nella relazione che ho letto - di allargare la condizione di umanità.
Appartengo a una generazione che ha tratto estremo giovamento, anche dal punto di vista della sicurezza personale dei suoi singoli appartenenti, dal fatto di essere vissuti nell'ambito della cosiddetta «rivoluzione giovanile».
Quando eravamo giovani - pochi anni fa, onorevoli colleghi - la vita era fatta per la gioventù e tutto era orientato in funzione dei giovani.
Noi giovani eravamo i protagonisti sociali della politica e dei costumi, abbiamo imposto il costume dominante (dai comportamenti sessuali all'abbigliamento) e, con le nostre rivoluzioni, abbiamo cambiato il mondo. Abbiamo assunto quella sicurezza che ci ha reso protagonisti anche negli anni successivi, poiché eravamo convenienti a quel tipo di rivoluzione. Non esistevano distinzioni di destra o sinistra: erano i giovani che volevano cambiare il mondo.
La differenziazione politica è arrivata dopo, si trattava di un'impostazione che univa tutti i giovani, indipendentemente da come la pensassero. Ciò, in seguito, ci ha giovato: siamo sicuri perché abbiamo vissuto con affetto e con estremo guadagno, dal punto di vista psicologico, quel tipo di realtà.
La generazione che attualmente governa il Paese ha tratto beneficio dal fatto di essere stata educata a essere protagonista, vincente, titolare di diritti, responsabile e comunque protagonista di una certa battaglia.
Quello che mi preoccupa - non voglio dire che mi fa paura - e mi fa avere un atteggiamento di tenerezza, di sensibile partecipazione ai problemi della società giovanile attuale, è che questi giovani purtroppo non sono più i protagonisti sociali del nostro tempo. La generazione dei giovani di adesso deve rincorrere la società, i costumi e quant'altro. Non sono più i giovani a dettare la linea e la loro è una posizione di difesa e di difficoltà. Una società che dovrebbe essere fatta a loro immagine e somiglianza vede i giovani non più protagonisti, bensì relegati in una sorta di ruolo secondario rispetto ad altre generazioni.
Signora Ministro, il compito a cui ella si appresta fa tremare le vene ai polsi, poiché dovrà farsi carico della realtà attuale per poi costruire la realtà di domani. Non ci consola il fatto di vivere in una società globalizzata, in cui non bisogna limitarsi a parlare del nostro piccolo recinto nazionale italiano poiché abbiamo Internet, il mondo dei blog e ogni altra odierna facilità di comunicazione. Dico che - pur senza negare l'utilità di queste forme di comunicazione di massa e anzi utilizzandole - si arriverebbe forse a
un'educazione giovanile ritrovando prima di tutto la capacità comunicativa che esiste dentro i giovani stessi, nelle loro famiglie e nella scuola, senza affidarsi a filtri obiettivamente lontani dal loro cuore e dalla loro mente. Ciò risulterebbe forse utile per trovare quel grandissimo tesoro che, poi, si scopre sempre in luoghi simili a quello cui ho accennato all'inizio di questo mio intervento. Le auguro buon lavoro.
GIANNI MANCUSO. Sono anch'io dispiaciuto di non aver potuto seguire direttamente la relazione dalla viva voce del Ministro, a causa della concomitanza di un altro impegno. Ho potuto comunque leggerla e devo dire che l'ho trovata una relazione molto importante, che ha focalizzato alcuni obiettivi. Mi è sembrata, pur nella lunghezza necessaria, poco «parolaia» e abbastanza carica di significati.
Il problema è epocale, viste le dinamiche demografiche in cui ci dibattiamo. Rappresentiamo una società tra le più anziane in Europa e nel mondo, per cui, inevitabilmente, in questi ultimi decenni l'attenzione della società, quindi anche del Parlamento, è stata un po' troppo focalizzata sulle necessità degli anziani. Tutto sommato, il nostro sistema sociale presenta effettivamente strumenti discreti nell'assistenza agli anziani e, sicuramente, a livello mondiale abbiamo poco da imparare dagli altri.
Diversamente, sulle politiche giovanili siamo rimasti molto indietro, quindi c'è tanto da fare e abbiamo trovato spunti molto importanti in questa relazione.
Occorre dire che è importante avere alle politiche giovanili un Ministro giovane come lei che, nel suo curriculum, può vantare di avere concretamente agito, sempre a livello nazionale, incentrando la propria attività sui problemi dei suoi coetanei.
Riguardo alla denominazione del Ministero, anche a me pare interessante il fatto di aver eliminato la vecchia denominazione per arrivare alla denominazione attuale, che sottolinea maggiormente l'importanza dell'attenzione a questo segmento fondamentale della nostra società rappresentato dai giovani.
Mi è piaciuta molto, signora Ministro, nelle prime pagine della sua relazione, la parte riguardante la sfida fondamentalmente rappresentata dall'immaginare di fornire risposte ai giovani valide anche per tutta la società. Certamente sarebbe molto bello e importante che ciò avvenisse.
Lei parla anche della necessità del dialogo, a trecentosessanta gradi, con tutte le realtà che rappresentano la nostra società. Molto opportuno è il richiamo agli istituti di credito e alle imprese, poiché con i primi bisognerà elaborare ricette che vadano proprio nel senso di dimostrare concretamente che si crede nei giovani, mentre con le imprese, ovviamente, si dovranno meglio puntualizzare le varie opportunità che la flessibilità del lavoro - benedetta, o maledetta, a seconda dei punti di vista - oggi consente.
Naturalmente, la sua analisi non poteva non cominciare dal lavoro, che rappresenta il problema dei problemi. Del resto, se un giovane vuol cominciare a mettere in campo un progetto di famiglia, quindi anche di paternità o maternità, non può prescindere dal disporre di un lavoro. In questi anni, comunque, di strumenti intesi a favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro ne sono stati messi a punto molti. Non tutte le soluzioni sono state ancora individuate, ma la famosa legge Biagi (per chiamarla con un nome e non con un numero) ha individuato opportunità molto interessanti, che non sempre sono ben applicate. Alcuni settori dell'imprenditoria - forse un po' furbescamente - utilizzano maggiormente gli aspetti che possono portare vantaggi al portafoglio piuttosto che quelli dedicati a supporto del lavoratore.
Per quanto riguarda il piano casa e la sua affermazione, signora Ministro, della necessità di individuare mutui bancari adeguati per l'acquisto della prima casa, bisogna dire che le banche non hanno mai scommesso sui giovani, così come non hanno mai scommesso neppure sulle idee dei giovani, sui brevetti, sulle idee brillanti in generale. Anche nel dibattito di oggi è
emersa la necessità che questo tipo di scommesse venga fatto, mentre le banche non sono disponibili su questo terreno e nemmeno sul terreno dei problemi legati alla sussistenza quotidiana. Così, le famiglie tardano a formarsi e lei, giustamente, ha definito «eroi quotidiani» quei giovani che, nonostante la precarietà del lavoro e nonostante il fatto di non aver risolto i problemi del tetto sulla testa, decidono magari di mettere al mondo un figlio, di provarci e di partire comunque.
La nostra società è un malato grave e, se non forniamo riposta alle esigenze fondamentali dei giovani, rischiamo di finire male molto prima di quanto possiamo immaginare.
Sulla questione della maternità, della fecondità e della carenza di bambini nel nostro Paese, credo che per certi aspetti si possa prendere esempio dalla vicina Francia. Forse si tratta dell'unico Paese al mondo che, sul fronte del sistema sociale, delle sicurezze, delle assicurazioni della persona e della famiglia, ha qualche cosa da insegnare a noi che, tutto sommato, pur cambiando i governi, dal dopoguerra a oggi abbiamo sempre considerato come patrimonio comune quello Stato sociale che è stato faticosamente dapprima elaborato e impiantato, poi difeso nei riguardi di una società che lo mette quotidianamente a rischio. Non sono esterofilo, eppure mi sembra che ricette in cui si presta attenzione alla famiglia, alla donna in gravidanza (quindi, alla sua uscita temporanea dal circuito del lavoro) e ai giovani nella vicina Francia non manchino.
Lei, signora Ministro, ha parlato anche del prestito d'onore. Io vengo dal Piemonte e ho conoscenza di esperienze, anche in questo caso un po' estemporanee, condotte da alcuni enti locali. Esistono esempi interessanti, sebbene diffusi un po' troppo «a macchia di leopardo» e non realizzati in maniera più organica, come invece sarebbe necessario.
Un'ulteriore esigenza è la necessità di aiutare i giovani che non sono occupati, o che si trovano all'inizio del proprio percorso di lavoro e che quindi hanno difficoltà ad accantonare risorse ai fini della previdenza. Sarebbe opportuno trovare un modo per diminuire al massimo le tasse, o, addirittura, come viene detto, per non applicarle affatto. Nel mio ruolo di presidente di un ente di previdenza di professionisti mi occupo anche di questioni legate alle dinamiche. Esiste un problema tra i giovani professionisti, che impiegano alcuni anni a «ingranare». Abbiamo allora elaborato, per esempio, alcune formule che tendono a applicare contributi molto bassi per i primi anni, giacché i giovani - magari presi dagli affanni - non capiscono che è necessario cominciare ad accantonare delle somme anche per la previdenza e pensano soprattutto, naturalmente, alla sussistenza quotidiana.
È comunque importante far capire che bisogna cominciare ad accantonare, magari poco, in un percorso di lavoro che sarà di non più di 30-35 anni com'era in passato, bensì di 40 o forse più anni, in quanto la vita si allunga. Queste saranno le dinamiche: cominciare ad accantonare per poi, eventualmente, incrementare negli anni della maturità lavorativa, quando si aprono maggiori possibilità.
In riferimento al cenno da lei fatto sugli ordini professionali - sono un professionista, come molti qui - devo dire che non vedo particolari difficoltà per un giovane ad accedere (se si escludono un paio di professioni e sappiamo bene quali, anche senza nominarle). In generale, dunque, il mondo delle professioni non è chiuso ai giovani. È logico che i giovani hanno tutto da imparare e si rileva, come in altri ambienti, la tendenza a «non regalare niente a nessuno», per cui bisogna rimboccarsi le maniche. Detto ciò, i giovani capaci non vivono particolari difficoltà e, nell'ambito delle professioni italiane, essi riescono a raggiungere posizioni interessanti. Su questo argomento credo sussista qualche luogo comune di troppo: andando a verificare bene le situazioni ci si rende conto che (come nel mio caso, ma credo per la maggioranza dei professionisti italiani) non siamo figli di professionisti, bensì di lavoratori di
tutt'altro campo.
Forse c'è ancora qualcosa da fare, ma giusto nei confronti di un paio di professioni.
Non posso esimermi dal fare un accenno a quel suo passaggio relativo a «la meglio gioventù». Quest'icona mi è piaciuta molto. Immagino che lei volesse parlare di quei giovani - che, per fortuna, sono ancora tanti - indifferenti alla sottocultura dello sballo, o dell'eccesso a tutti i costi, e che invece sono alla ricerca dei valori e, in questo deserto, dell'oasi da cui attingere l'acqua per dissetarsi. Mi piace dire che lei stessa è un bell'esempio di questa «meglio gioventù», giacché sul fronte del volontariato, che pure viene trattato nella sua relazione, non si è mai tirata indietro.
Prima da giovanissima vicepresidente della Camera e poi da attuale Ministro del Governo, lei ha aderito entusiasticamente all'iniziativa dell'intergruppo parlamentare dei donatori di sangue ed è stata subito in prima linea a dare l'esempio ai giovani suoi coetanei. Purtroppo, per quanto riguarda la donazione di sangue, il nostro Paese non ha ancora raggiunto l'autosufficienza. Esiste pertanto la necessità di esempi che facciano scattare il meccanismo dell'emulazione e muovano alla donazione sempre nuove persone in generale e soprattutto nuovi giovani che hanno davanti a sé una carriera da donatori un po' più lunga.
Complessivamente, giudico la relazione come un buon lavoro, che non ha mancato di sottolineare anche la necessità di fornire modelli positivi. Si tratta, in questo caso, di un lavoro molto complesso, sul quale, nella nostra società, non si parte certamente da zero. Tuttavia, non sarà semplice continuare a proporre modelli positivi, che rappresentino un antidoto alle deviazioni. Tra questi, naturalmente, lo sport riveste una posizione molto importante. Sussiste la necessità di proporre lo sport ai giovani non solo come mezzo per primeggiare, quindi per far scattare una voglia di competizione, ma anche solo per mettersi alla prova, per andare a cercare la parte migliore di sé. Tutto sommato, la competizione si fa con se stessi, magari mentre si sta gareggiando con gli altri.
Occorre rivolgere quindi l'attenzione a questi modelli che devono fungere da antidoto alle deviazioni che sono sotto gli occhi di tutti e che, per brevità, non richiamo.
Ringrazio davvero la signora Ministro e, conoscendola, sono sicuro che si impegnerà al massimo, magari anche battendo il pugno sul tavolo, all'interno del Governo per ottenere attenzione e risorse economiche, senza le quali molte questioni non si possono risolvere.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Meloni per la replica.
GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Voglio partire con un ringraziamento alla Commissione che travalica il dovere istituzionale che si richiede in queste occasioni. Mi è parso infatti che si sia mantenuto, da parte di tutti i componenti della Commissione, un approccio indirizzato all'approfondimento della materia e poco strutturato su schemi propri della politica in questi ambienti (dialettica maggioranza-opposizione, il bisogno di difendere il proprio campo e quant'altro). Trovo che ciò rappresenti un segnale molto bello e importante poiché, come dicevo nella relazione della scorsa settimana, ritengo che la politica suggerisca troppo spesso l'idea di volersi occupare solo di ciò che ha un ritorno immediato in termini di consenso e per questa ragione essa ha perso la capacità - che gli sarebbe propria - di delineare scenari futuri e di provare a seminare
qualcosa, anche quando non dovessimo essere noi a raccogliere i frutti di quello che stiamo seminando.
Questa è forse la lettura più bella che possiamo dare, come classe politica, indipendentemente dai partiti, dagli schemi, da tutto quello che è proprio della dimensione conflittuale della politica (una dimensione che, pure, amo e condivido).
Penso che la grande sfida che la classe politica ha di fronte, nel rapporto con gli italiani e con una certa sfiducia che questi
ultimi sembrano nutrire nei confronti della politica, sia proprio quella di provare a instillare l'idea che consideriamo la politica uno strumento e non un obiettivo. Più precisamente, uno strumento per costruire qualcosa, ferme restando le nostre visioni del mondo, e non un obiettivo di acquisizione del potere.
Probabilmente quello delle politiche giovanili, del rapporto con le giovani generazioni e degli investimenti che su queste ultime si fanno, è il terreno principe sul quale provare a misurare questo approccio con la politica. Non è un caso che i giovani siano sempre stati il fanalino di coda delle politiche, trasversalmente alle varie forze politiche, anche se esistono realtà che vantano grandi tradizioni giovanili.
Del resto, il ritorno di cui la politica gode, su iniziative che riguardano soprattutto i più giovani tra le giovani generazioni, è minimo. Quindi, spesso, conviene occuparsi di altro.
Il segnale, dunque, mi pare molto bello e spero di esserne all'altezza, visto che è indice, nei confronti della realtà del Ministero della gioventù, di un'attenzione di cui c'è sicuramente bisogno.
Mi rendo perfettamente conto di quanto questo incarico sia complesso, soprattutto se pensiamo di costruire qualcosa che vada al di là della demagogia che, molto spesso, la politica esprime nei confronti delle giovani generazioni accorgendosi di loro in campagna elettorale, usandoli talvolta come figuranti quando si tratta di reclamare giustizia, ma poi dimenticandosi delle proprie responsabilità nella quotidianità. Spero di essere all'altezza.
Ovviamente, non ho la presunzione di rispondere a tutto quello che è stato detto, anche perché la maggior parte degli interventi si è sviluppata nella giornata di oggi, quindi fornirò alcune risposte, lavorando un po' per spot. Mi dispiace se questo farà perdere un po' il senso complessivo, però voglio ribadire di essere a completa disposizione, ogni qual volta questa Commissione - che io ho trattato come la Commissione competente e che per me è tale - avrà voglia e volontà di confrontarsi con il Ministro della gioventù.
Parto dall'intervento dell'onorevole Bossa, poi ripreso anche all'onorevole Sbrollini, sul tema del cambio di denominazione. Per la verità, avevo tentato di spiegare i motivi in apertura della relazione, probabilmente però - visto che ci sono state richieste da più di una persona - non sono stata abbastanza chiara. Ebbene, ho cambiato il nome del ministero per due ordini di motivi. Il primo è che esso, sul piano strutturale, non è più lo stesso ministero che esisteva nella scorsa legislatura. Allora esisteva il POGAS, cioè il Ministero delle politiche giovanili e attività sportive, mentre io non ho la competenza su queste ultime, bensì una competenza che attiene a tutto l'universo giovanile.
Ho cambiato il nome da «politiche giovanili» a Ministero della gioventù, perché la dicitura «politiche giovanili» è, come ho tentato di spiegare la scorsa settimana, propria di una cultura che non condivido. Non credo nelle politiche di genere, cioè nelle politiche giovanili, o femminili. Sono assolutamente convinta che le azioni di Governo debbano essere rivolte alla comunità nazionale nella sua totalità e che qualunque nostra iniziativa debba perseguire questo obiettivo.
Quando parliamo - facevo già alcuni esempi - di casa, di autosufficienza energetica, di infrastrutture, stiamo parlando anche (forse soprattutto) di giovani generazioni. Specularmente, quando rivolgiamo iniziative specifiche alle giovani generazioni, di fatto stiamo dando una risposta alla società nel suo complesso. Quindi, il tentativo è quello di non utilizzare la dicitura «politiche giovanili», che a me pare troppo settoriale e, se vogliamo, un po' assistenziale. Mi piaceva l'idea di dare una lettura di carattere diverso.
Ho scelto il termine «gioventù» perché è quello più comunemente utilizzato in Europa. Se date uno sguardo a tutte le diciture europee, dai ministeri delle altre Nazioni fino a arrivare al programma Gioventù in azione, al Commissario europeo della gioventù, ai Giochi della gioventù,
scoprirete che questo è il termine più comunemente utilizzato per raccontare le istituzioni e le iniziative che si rivolgono alle giovani generazioni.
A me è dispiaciuto un po' che sia stata data una lettura ideologica di questa scelta, intanto perché non considero assolutamente che il termine gioventù sia ideologicamente connotato. In Italia abbiamo visto utilizzare il termine gioventù nelle situazioni più disparate: si potrebbero citare sia il Fronte della gioventù, sia la Gioventù comunista. Ancora oggi, esso viene utilizzato nelle sedi più disparate per cui, insisto, a mio avviso non si tratta di un termine associabile ad alcun tipo di connotazione ideologica. Se mi concedete una battuta, sarebbe stato divertente sapere che cosa si sarebbe detto se avessi tradotto in italiano la dicitura del ministero francese che si chiama «de la jeunesse».
Insomma, al di là della battuta, non credo che la parola gioventù sia connotata ideologicamente e mi pare che possa meglio disegnare l'idea che personalmente ho di un ministero che si occupa di politiche giovanili. Aggiungo un altro elemento che, per la verità, non dovrebbe far parte di linee guida e che attiene al ruolo del ministero in rapporto alla politica.
Si è detto in più di un'occasione - ringrazio chi l'ha fatto, anche per la stima che dimostra così facendo - che il ruolo del Ministro della gioventù dovrebbe essere quello di fare un po' la «spina nel fianco» del Governo, di dire quando le cose non vanno, di cercare di richiamare l'attenzione. Siccome sono consapevole che la tematica della quale mi occupo è di tale e tanta portata da non poterla esaurire né con gli strumenti, né con i fondi a mia disposizione, sapendo inoltre che essa interagisce con la quasi totalità degli altri ministeri e che quindi mi troverò a lavorare continuamente con quasi tutta la squadra di governo, mi piace immaginare che, attraverso l'interazione con il Ministero della gioventù, gli altri ministri del Governo possano vedere i risultati della propria azione proiettati da qui a qualche decennio.
La proiezione del proprio lavoro nel futuro rappresenta, ovviamente, un obiettivo di grande lungimiranza che dipende anche dalla capacità che avremo di interpretare il ruolo della gioventù al livello massimo della politica.
In tale contesto inserisco il dato della libertà, seppure nella lealtà a una maggioranza di Governo nonché, prima ancora, a una visione del mondo con la quale ho la presunzione di avere compiuto un lungo percorso politico.
Ritengo che questo sia l'approccio giusto, perché io non rappresento me stessa e vorrei provare a rappresentare, invece, questa generazione e tutte le sue mille sfumature. Penso che sia giusto giocare, all'interno del Governo, un ruolo difficile come quello di ricordare che abbiamo una grande responsabilità rispetto al nostro percorso come popolo, cioè al nostro futuro.
Queste sono le tante motivazioni di merito che mi hanno spinto a cambiare la denominazione del ministero, senza alcuna velleità di carattere ideologico, che sarebbero state controproducenti rispetto a quello che voglio provare a fare.
Proseguendo per spot con gli interventi della scorsa settimana, l'onorevole Scapagnini mi offre la possibilità di replicare a un passaggio del suo intervento sulle comunità giovanili. Ho presentato la scorsa settimana quello che vorrei fosse il primo disegno di legge portato dal Ministero della gioventù e licenziato dal Consiglio dei ministri prima della pausa estiva. Esso riguarda spazi di aggregazione reali, all'interno dei quali si possono portare avanti, come già spiegavo, iniziative legate alla musica, alla riscoperta di valori tradizionali, al teatro, al cinema, allo sport, in modo da potersi divertire attraverso strumenti di educazione sana.
L'onorevole Scapagnini individuava questi luoghi come sostitutivi dei centri sociali. Si tratta di un approccio che mi è stato formulato in più di un'occasione. Credo, peraltro, che le comunità giovanili vadano semplicemente a coprire una lacuna presente in Italia, dove non esistono spazi di aggregazione giovanili di offerta
pubblica, che abbiano cioè quelle determinate caratteristiche per le quali, a mio avviso, una realtà si possa considerare effettivamente pubblica. Mi riferisco ovviamente ai criteri legati alla democraticità, alla possibilità per tutti di accedervi nonché alle iniziative che si svolgono all'interno di questi spazi.
Le comunità giovanili sono, per legge, spazi necessariamente trasparenti, democratici, pluralisti, rispettosi dell'ordine e di tutti quelli che vi partecipano. A me pare che, finora, ai centri sociali questi requisiti non siano stati richiesti, anche allorquando i centri sociali sono stati, in qualche maniera, sovvenzionati con fondi di pubblica proprietà.
Al di là di questo, non ho mai considerato che i centri sociali fossero in grado di sopperire alla sunnominata carenza, quindi non sussiste alcun tipo di equiparazione. Le due realtà non si trovano sullo stesso piano, bensì viaggiano su binari completamente diversi e da questo punto di vista le comunità giovanili rappresentano qualcosa di assolutamente innovativo, rispetto al tema dell'aggregazione.
Ho molto apprezzato l'intervento dell'onorevole Binetti, che offre numerosi spunti importanti, come ad esempio il tema della dispersione post scolastica, sicuramente centrale e sul quale, soprattutto in rapporto con gli altri ministeri competenti (il Ministro Gelmini e il Ministro Sacconi), occorre immaginare strumenti volti a limitarne la portata.
Il richiamo all'associazionismo, anche in rapporto alle comunità giovanili, è stato da me fatto in apertura. Credo che, nella situazione della nostra generazione, una certa capacità dell'associazionismo - a tutti i livelli - di imporsi tra le nuove generazioni sia stato uno degli strumenti più utili ad aiutare tanti ragazzi ad evitare più facilmente quella noia o desolazione che è preludio a tante forme di degenerazione. In questo, l'associazionismo ha certamente giocato e gioca ancora un ruolo assolutamente centrale.
Il richiamo al tema delle stragi del sabato sera, sollevato dall'onorevole Binetti e richiamato anche dall'onorevole Patarino, è legato al tema delle dipendenze, che abbiamo già affrontato. Si tratta sicuramente di una questione molto spinosa, sulla quale mi pare che, talvolta, si siano individuate soluzioni insufficienti. L'approccio che spesso abbiamo avuto sul tema dei locali notturni (divieto di somministrazione, o chiusura anticipata), temo che non risolva da solo la questione. Esistono altre sfide che ci riguardano, innanzitutto di carattere culturale. Penso ad esempio, ne parlavo stamattina con il sottosegretario Giovanardi, che in rapporto alla questione delle «stragi del sabato sera» e dei locali notturni, ci si dovrebbe occupare non solo dall'orario limite, oltre il quale si vieta la somministrazione degli alcolici, ma anche di cosa accade all'interno di questi locali.
Probabilmente, se prendessimo quelli che comunemente vengono definiti «buttafuori», che oggi rappresentano una figura professionale non riconosciuta, e se provassimo a formarli come operatori (in grado, cioè, non solo di buttarti fuori dal locale quando sei troppo ubriaco per rimanere dentro, ma anche di trovare un modo per farti arrivare a casa), compiremmo un'azione sicuramente importante.
Queste iniziative sono ovviamente al vaglio del ministero, in rapporto anche con altri ministri competenti e con il sottosegretario Giovanardi in particolar modo. Stanti, quali continuano ad essere, i dati sulla mortalità per incidenti tra i giovani, non si tratta di una questione che possiamo permetterci di rimandare.
Ringrazio l'onorevole Mosella, che tornava sulla ricomposizione della frattura generazionale, cioè su quella che abbiamo individuato come iniziativa capace di ricostruire la nostra memoria e la nostra identità in rapporto al divenire delle generazioni, portando anche gli anziani nelle scuole per raccontare, attraverso l'esperienza diretta, storie di esempi di una società che cambia e cercando di ricucire questo passaggio generazionale.
Mi pareva questo, insieme al tema dell'educazione alla cittadinanza, una delle tante piccole iniziative che possiamo intraprendere
anche per raggiungere un altro obiettivo, cioè quello di restituire alla scuola il suo ruolo educativo.
Ho seguito in questi giorni la proposta del Ministro Gelmini circa il tema del voto di condotta. È sicuramente questione annosa, poiché abbiamo un problema, all'interno delle nostre scuole, legato al tema dell'autorità, o dell'autorevolezza. Sicuramente c'è bisogno di immaginare che la scuola possa, su un piano anche educativo, quindi non solo nozionistico, recuperare da questo punto di vista un proprio ruolo. Occorre farlo a trecentosessanta gradi.
Se oggi reintroduciamo il voto di condotta, nella condizione in cui le nostre scuole versano, di fatto rischiamo di introdurre una valutazione rispetto a un qualcosa che la scuola non sempre riesce di insegnare.
Mi piace immaginare che la valutazione del voto di condotta e il suo maggiore peso possano far parte di un quadro complessivo, nel quale la scuola recupera un ruolo educativo. Diversamente, si rischia di svolgere solamente una parte del lavoro necessario.
Raccolgo la proposta di collaborazione dell'onorevole Mussolini con la Commissione bicamerale sull'infanzia, in particolare per quello che è il rapporto con l'adolescenza.
Relativamente al contenuto dell'intervento dell'onorevole Grimoldi, ripreso in seguito anche da altri colleghi nella giornata odierna, raccolgo con grande interesse il ragionamento relativo al rafforzamento dell'identità anche come antidoto all'individualismo. È questione che mi porto dietro da lungo tempo. Credo che nessuno, senza la consapevolezza della propria storia e della propria identità, possa in qualche maniera comprendere il ruolo che svolge, anche in rapporto alla propria comunità. L'osservazione dell'onorevole Grimoldi, che qui veniva ripresa, rappresenta una lettura che condivido, anche in rapporto alle identità territoriali. Non credo che ciò significhi contrapporsi all'identità nazionale, bensì un arricchimento e mi piace immaginare che si rafforzi la propria appartenenza nazionale anche con la consapevolezza dell'appartenenza alla propria comunità regionale e comunale. Credo
nell'identità per cerchi concentrici, quindi sono assolutamente d'accordo con la proposta fatta.
Più problematico, sempre rispetto all'intervento dell'onorevole Grimoldi, è a mio avviso il tema dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. È sicuramente questo un tema interessante e complesso, però ha alcune lacune che mi preoccupano, sia su un piano professionale, che su un piano di discriminazione sociale.
Se avessimo in Italia un livello accettabile di diritto allo studio, l'iniziativa sarebbe sicuramente apprezzabile. Il problema è che questo non sempre si riscontra.
Se domani uno studente del sud volesse andare a studiare alla Bocconi, perché per qualità di insegnamento il valore del titolo di studio lì conseguito ha maggior valore, ovviamente si scontrerebbe con una serie di problemi e limiti: i soldi che ci vogliono per trasferirsi in un'altra città, abbinati alla mancanza totale di strumenti di cui, ancora oggi, noni possiamo disporre, quali borse di studio, accesso al credito e così via. La questione è stata lungamente trattata nella scorsa audizione e mi pare che, quantunque essa vada certamente affrontata e dibattuta, a mio avviso oggi si scontra con alcune problematicità, con le quali occorre confrontarsi.
Condivido perfettamente l'obiettivo di sviluppare la concorrenza tra università favorendo una piccola evoluzione in senso meritocratico; tuttavia, l'abolizione del valore legale del titolo di studio, stanti le attuali problematicità, forse non è l'unica strada per raggiungere l'obiettivo. Esistono tante altre piccole strade che vale la pena di esplorare e, forse, quella da cui dobbiamo partire è proprio la possibilità di garantire a trecentosessanta gradi il diritto allo studio, attraverso vari strumenti. Nella precedente audizione citavamo, un esempio per tutti, il prestito d'onore e facevamo l'esempio di come questo strumento, in Italia, sia stato assolutamente dimenticato (250 i finanziamenti, tra enti regionali e
università). Ciò, ovviamente, racconta di una difficoltà nel sistema. Probabilmente dobbiamo ripartire dalla capacità di garantire a tutti pari opportunità. Citavamo tale garanzia come base della rivoluzione del merito. Quando avremo costruito questo tipo di eguaglianza, che non è uguaglianza nel punto di arrivo, bensì nel punto di partenza (cioè la possibilità per tutti di misurarsi indipendentemente dalle condizioni di partenza, perché esiste un'attenzione e una capacità dello Stato di sopperire alle carenze delle famiglie), allora sarà più facile anche affrontare tematiche come quella sollevata.
Mi ricollego qui al tema citato dall'onorevole Testa, circa il numero chiuso, sicuramente una misura drastica che si scontra con il diritto allo studio e che, tuttavia, a volte si rende necessaria. Personalmente non ho avuto modo di confrontarmi su questo tema col Ministro Gelmini. Considererei migliore un percorso più selettivo man mano che si procede verso la laurea, anziché precludere ab origine la frequentazione del corso. Credo anche che occorra affrontare il tema del test di ingresso, che spesso rappresenta un vero e proprio terno al lotto. Su queste questioni mi riservo di confrontarmi con il Ministro Gelmini.
L'onorevole Sbrollini mi chiedeva come penso di reperire risorse economiche per raggiungere tutti questi obiettivi. Mi rendo conto che gli obiettivi che abbiamo individuato sono importanti. Ho detto in apertura che non penso di esaurirli (sarebbe fuori da ogni logica di serietà), con le risorse messe a disposizione dal Ministero della gioventù, che è un ministero senza portafoglio. Ebbene, forse è proprio questo l'elemento nei cui confronti occorrerà che il ministro rappresenti l'anima critica del Governo.
A me è stato assegnato il compito di fare il Ministro della gioventù, il ministro dei giovani, quindi ritengo di svolgere bene il mio lavoro se riesco a ricordare, in ogni sede e in ogni occasione, che ci siamo dati la priorità delle giovani generazioni. Devo dire che, finora, ho ravvisato un certo grado di attenzione da parte del Governo.
Cito l'ultimo elemento, un importante traguardo che mi piace condividere con la mia Commissione competente, cioè l'approvazione avvenuta stanotte, nelle Commissioni riunite bilancio e finanza della Camera, di un emendamento che istituisce - come avevamo raccontato nella relazione della scorsa settimana, ma non pensavo di riuscire a portarlo a casa così presto - il fondo di garanzia sull'accesso al mutuo per l'acquisto della prima casa, in particolare per le giovani coppie e, ovviamente, per i lavoratori a tempo determinato. Si tratta di uno stanziamento di 24 milioni di euro, in tre anni.
Mi pare un segnale importante attraverso il quale lo Stato si impegna a dare garanzie per quei tanti che vorrebbero poter comprare una casa e che non possono accedere a un mutuo perché non hanno garanzie sufficienti da offrire.
Mi pare questa un'iniziativa che completa il tema del piano casa già inserito, quindi sono contenta che, in un momento in cui si operano tagli ovunque e scompaiono risorse appena ci si distrae un attimo, sia stata concretizzata invece la volontà di immaginare uno strumento di questo tipo.
Ovviamente voglio ringraziare gli onorevoli Zorzato, Marsilio e Corsaro, che in Commissione si sono più degli altri battuti affinché questa misura potesse essere approvata.
Ovviamente, il tema delle risorse è assai complesso. Voglio dire all'onorevole Sbrollini che, oltre ai fondi già in capo alle politiche giovanili, abbiamo, in sede di definizione delle deleghe, acquisito ulteriori fondi che nella scorsa legislatura erano in capo ai Ministeri della solidarietà sociale e del lavoro. Mi riferisco al fondo sulle comunità giovanili nonché ad alcuni fondi previsti da alcuni commi (non li ricordo a memoria) del cosiddetto protocollo sul welfare e destinati ai giovani durante i periodi di inattività, a sostegno delle nuove imprese, che sono passati alla competenza del Ministero della gioventù. Anche qui si rivela l'attenzione dimostrata in questa prima fase.
Ognuno farà il proprio lavoro e io sono consapevole di dover bussare a tutte le porte: lo farò con umiltà e con determinazione, in rappresentanza di quei giovani dei quali mi è stato chiesto di occuparmi.
Sono d'accordo, onorevole Sbrollini, con la proposta di incontrare tutti i parlamentari under 40. Faccio una riflessione con lei che non è affatto polemica: dovremmo interrogarci sul fatto che, nel momento in cui decidiamo di confrontarci con i parlamentari giovani, lo facciamo con gli under 40 probabilmente perché, se lo facessimo con gli under 30, ci ritroveremmo in tre e, al massimo, potremmo prenderci un caffè.
Ciò è indice di un problema che conosciamo trasversalmente, che è anche quello che citavamo all'interno della proposta di creare corrispondenza tra elettorato attivo e passivo. Insomma un problema esiste davvero, anche se in questa legislatura il limite di età si è un po' abbassato.
Voglio rispondere all'onorevole Calgaro su una sua domanda interessante e cioè quale sia l'età di riferimento del Ministero della gioventù. Purtroppo, in Italia viviamo una grande contraddizione: più o meno dal 1968 in poi abbiamo finito per considerare la gioventù una categoria non più anagrafica, bensì sociologica. A ciò si è aggiunto il fenomeno di una formazione sempre più lunga e quindi, ormai, si è giovani ad libitum, anche fino a 45 anni.
LUISA BOSSA. Se non si trova lavoro, il dramma è questo!
GIORGIA MELONI. Ministro della gioventù. Esattamente! Con una formazione che va sempre più in là, si esce di famiglia quando si hanno 37 anni, e così via. Così, mentre personalmente considero che ci si possa definire giovani al massimo fino a 30 anni, mi rendo anche conto di come nella nostra società, essendo tutto spostato, emergenzialmente dobbiamo considerare giovani anche gli ultratrentenni, nonché tutti coloro che sono in qualche maniera oggetto delle sperequazioni sociali cui quotidianamente assistiamo.
Ringrazio l'onorevole Turco per l'intervento a trecentosessanta gradi, che ho molto apprezzato, e anche per le belle parole che ha speso. Condivido la grande centralità della questione dei disturbi sul comportamento alimentare nonché l'approccio del Ministro Melandri, nella scorsa legislatura, in rapporto soprattutto al dato culturale, cioè all'immagine che tendiamo a dare. Ho quindi assolutamente condiviso tutta la battaglia sull'abolizione della taglia 36 e sono pronta a continuare a portarla avanti in tutte le sedi, poiché mi rendo conto di come la questione sia molto più ampia di quanto non paia a noi stessi.
Il rapporto tra i giovani e la politica è un tema, comprensibilmente, che mi appassiona. Ho detto nella relazione che mi piacerebbe restituire anche un ruolo centrale ai movimenti giovanili di partito, che sono stati molto vituperati nel corso degli anni. Chi, come me, ha alle spalle un percorso che proviene dalla militanza giovanile sa quanto di bello ci sia in migliaia e migliaia di ragazzi che scelgono di dedicare parte della propria giovane età, piuttosto che semplicemente a un dato di individualismo, alla propria comunità, alla propria visione del mondo, alle proprie idee. Chi conosce quella realtà sa che la stragrande maggioranza di quei ragazzi non comincia pensando di fare carriera politica. Non si aspetta di avere niente in cambio e semplicemente fa politica come forma di impegno civile.
Chi conosce quelle storie sa quanta capacità di elaborazione vi sia nei movimenti giovanili di partito, quindi - senza nulla togliere a tutte le altre forme di partecipazione, che ovviamente intendo valorizzare - mi piacerebbe intrattenere un rapporto privilegiato con i movimenti giovanili di partito.
Ciò premesso, il tema del rapporto tra i giovani e la politica resta una questione di grande complessità. Credo che, a monte, dobbiamo riconoscere che non è vero che la quasi totalità dei giovani italiani non sia portata all'impegno. Piuttosto, ci dobbiamo preoccupare del fatto che la quasi totalità dei giovani che scelgono di impegnarsi non sceglie la strada della politica.
Ci si impegna nel volontariato, nell'associazionismo, mentre l'aggregazione politica è oggi assolutamente minimale rispetto al passato. Questo, a mio avviso, è anche il risultato della maniera in cui la politica si rappresenta.
Credo che questo fenomeno si combatta prima di tutto con l'esempio, cioè con la possibilità di comunicare un'altra idea della politica. Penso che anche rispetto a ciò i movimenti giovanili possano fare la differenza, grazie anche all'esistenza di tante storie di libertà rispetto ai propri partiti di riferimento, di intransigenza, di rabbia e di amore che, secondo me, possono insegnare tanto. Dobbiamo, tuttavia, favorire anche tutte le altre forme di partecipazione, che non dovrebbero rappresentare, come spesso è accaduto, solamente dei grimaldelli per giustificare l'affermazione che ci stiamo confrontando con i giovani, bensì reali spazi di rappresentanza, nei quali si possa pesare anche in ragione di quello che si rappresenta, secondo le migliori regole della democrazia.
Ho citato il tema del consiglio nazionale dei giovani perché non nascondo che mi piacerebbe poter lasciare, come traccia del mio operato, uno spazio reale di rappresentanza delle nuove generazioni, purché questo organismo possa avere un vero potere contrattuale e di rappresentanza.
Mi è capitato di confrontarmi con strumenti di questo tipo che, in realtà, erano rappresentativi di poco o niente, nei quali si replicavano le forme più degenerative della politica (a un'età nella quale tali forme non dovrebbero proprio esistere), per cui, alcune volte, queste forme di aggregazione mi hanno spaventata.
Ho scritto nella relazione che intendo partire dal Forum delle associazioni giovanili, che rappresenta già una realtà che racchiude molte forme di partecipazione giovanile, per provare a valutare quali possono essere le strade, gli strumenti e le regole, per provare a costruire uno strumento di partecipazione e rappresentanza adeguatamente organizzato, riconosciuto dal Parlamento, dal Governo, dagli organismi che operano nel mondo delle realtà sociali ed economiche della nostra nazione.
Per tante questioni che si aprono nella discussione politica in questo tempo (penso alla questione del precariato, alle tante forme di lavoro atipico) diventa difficile rappresentare queste persone nei tavoli della concertazione, in assenza di un organismo in grado di provare a racchiudere tutte queste esperienze.
Intendo lavorare su tutto ciò, purché l'obiettivo non sia quello di creare il «parlamentino dei piccoli», che rappresenterebbe per noi una grande sconfitta.
Stesso tema riguarda il livello locale, in cui esistono tante forme di aggregazione, talora anche molto disomogenee. Cercheremo allora di provare a capire quali sono queste mille forme di aggregazione, anche per immaginare modalità di interfaccia e di confronto. Abbiamo i consigli comunali dei giovani, le consulte dei giovani, tante altre strutture.
La settimana scorsa ho partecipato a un confronto con la Commissione nazionale politiche giovanili dell'ANCI, altra bella realtà con la quale il ministero retto dall'onorevole Melandri aveva già avviato molte iniziative che, in qualche maniera, porteremo avanti.
Il tentativo deve essere principalmente quello dell'armonizzazione, cercando così di conferire maggiore credibilità a queste realtà, anche se la competenza non è ovviamente direttamente in capo al mio ministero.
Esiste dunque un tentativo di affrontare seriamente il dato della partecipazione giovanile, del rapporto tra un protagonismo giovanile e gli enti, le amministrazioni e le istituzioni. Tale tentativo si deve esperire con gli elementi propri della politica giovanile, che dovrebbero essere molto distanti da quelle forme che, purtroppo, si incontrano più avanti.
Ringrazio l'onorevole Molteni per aver ripreso alcune questioni delle quali abbiamo parlato, riguardanti il tentativo di trasmettere valori positivi. I giovani hanno più bisogno di esempi che di critiche e forse proprio questo a noi sfugge; probabilmente
con questa realtà dobbiamo fare i conti, a partire forse proprio dai media, della televisione, da Internet, dalla politica. Questo è un lavoro che si fa a trecentosessanta gradi e rappresenta, probabilmente, il compito più difficile da svolgere oggi, ma penso che si possa comunque dare qualche segnale in proposito.
Stiamo lavorando su alcuni degli strumenti che ho già citato e su cui non torno, perché rischio di dilungarmi troppo, ma la trasmissione di valori positivi è davvero importante.
La ringrazio anche per il richiamo al sostegno della cultura di impresa, uno degli elementi che abbiamo ricompreso all'interno del tema della rivoluzione del merito, così come ringrazio l'onorevole Patarino per il suo intervento. Il tempo libero, la formazione delle arti: sono questioni oggetto di dibattito nelle scorse settimane. Mi piacerebbe, quando saremo andati a regime, confrontarmi con il Ministro Gelmini sulla possibilità di avere in Italia una scuola popolare delle arti, che possa dare formazione anche sul mondo dello spettacolo, al di là della formazione professionale attualmente svolta dalle accademie di arte drammatica e di danza. In un'intervista quest'idea è stata ripresa come una rivisitazione della scuola di Amici di Maria De Filippi! In realtà si tratta di qualcosa di un po' diverso, in quanto sicuramente a noi manca una formazione del mondo dello spettacolo a tutto tondo, che potrebbe rappresentare, in termini di
rivoluzione del merito, uno strumento innovativo.
Ringrazio l'onorevole Calgaro per il tema dei rapporti con le banche. Mi pare - per questo l'ho citata - una questione centrale e credo che, rispetto anche ad alcune scelte fatte nella scorsa legislatura, dobbiamo provare a interagire con gli istituti di credito e utilizzare risorse pubbliche unicamente laddove gli istituti di credito decidano di rischiare qualcosa, cioè di investire sulle giovani generazioni. Dico apertamente che non amo il sostegno al microcredito, ma ribadisco che è mia intenzione valutare la possibilità di rinegoziare con l'ABI l'accordo che fu stipulato con il POGAS, perché credo che l'importo di 6 mila euro di questi prestiti sia inadeguato, se si vuole davvero aiutare un giovane a terminare gli studi, ovvero a avviare un'impresa. Penso che le banche non abbiano bisogno di essere sostenute nell'erogazione di importi così bassi: la platea è talmente ampia e l'importo è così ridotto da ridurre a
zero il margine di rischio. Mi piace immaginare che, invece, si possano portare avanti iniziative comuni laddove esiste la voglia e la volontà di rischiare su una giovane di talento che presenti una proposta valida. Questo può fare la differenza nella nostra economia.
Chiudo ringraziando l'onorevole Porcu per tutto il suo intervento. Mi è parsa una lettura bella, molto affine a quella che sto tentando di dare di questa generazione. Lo ringrazio inoltre per l'importante riflessione contenuta nella sua affermazione che oggi i giovani non sono più protagonisti in termini di mutamento sociale, di capacità di essere rivoluzionari, come lo sono stati in altre stagioni. Tutto ciò è vero e, in parte, ci aiuta forse a capire anche un aspetto di questa generazione. Penso a quanto fosse più facile nel 1968 - onorevole Porcu - spendersi nella politica e voler far parte di quella rivolta generazionale, giacché dal punto di vista della condizione economica il futuro offriva un dato di certezza maggiore rispetto a quello percepito dai ragazzi di oggi. Per questo penso anche a quanto sia più coraggioso oggi...
LUISA BOSSA. Perciò l'ha chiamata «la meglio gioventù»?
GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Sì, per questo! Penso che dobbiamo tentare di riflettere su quanto sia più coraggioso, oggi, decidere di spendere un po' del proprio tempo per fare volontariato, per fare politica, quando ci si misura con l'incertezza che si para dinanzi a questa generazione. La ringrazio, perché il suo intervento mi ha dato l'opportunità di chiudere con questa sottolineatura.
Mi scuso con quelli ai quali non dovessi aver risposto, ma ripeto che sono a vostra
completa disposizione. Non credo che la politica sia mai qualcosa che si possa fare da soli. Non credo di poter concludere molto, in solitudine. Penso invece di poter fare molto se riusciremo, al di là degli schemi, anche trasversalmente, a trasmettere un'idea diversa della politica. Non è una sfida - insisto - che voglio provare ad affrontare da sola, poiché l'individualismo non mi è mai piaciuto, men che meno nella politica.
Dal taglio degli interventi di tutti i componenti della Commissione mi pare che vi sia stata grande serietà e disponibilità. Spero che, a partire da chi vi parla, tutti possiamo andare avanti con questo criterio (Applausi).
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro. Questo applauso è inusuale ed è la prima volta che accade, dopo tanti anni che faccio il presidente! Prendiamolo come un applauso della «meglio gioventù» di cui oggi tutti ci sentiamo parte, in quanto le parole del ministro ci hanno fatto ringiovanire.
La ringraziamo per la sua audizione e per quello che - ne siamo sicuri - concretamente farà.
Questa Commissione avrà sicuramente in futuro molti argomenti sui quali il suo Ministero sarà coinvolto direttamente.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,10.