Sulla pubblicità dei lavori:
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3
Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del suo Dicastero in materia di politiche sociali (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 8 12 22 26
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD) ... 18
D'Anna Vincenzo (PT) ... 20
D'Incecco Vittoria (PD) ... 3
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 21
Fabi Sabina (LNP) ... 12
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 8
Fornero Elsa, Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 22 26
Grassi Gero (PD) ... 17
Guerra Cecilia, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali ... 24
Lenzi Donata (PD) ... 18
Martini Francesca (LNP) ... 14 21
Mosella Donato Renato (Misto-ApI) ... 6
Murer Delia (PD) ... 9
Palagiano Antonio (IdV) ... 19
Patarino Carmine Santo (FLpTP) ... 11
Pedoto Luciana (PD) ... 5
Rondini Marco (LNP) ... 19
Sarubbi Andrea (PD) ... 16
Sbrollini Daniela (PD) ... 13
Turco Livia (PD) ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP;
Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 13,05.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del suo Dicastero in materia di politiche sociali.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
VITTORIA D'INCECCO. Grazie, presidente. Signor Ministro, a me non piace stravolgere la grammatica italiana, ragion per cui mi rivolgo a lei in questi termini, sebbene sia una donna. Ancor di più mi piacerebbe chiamarla professoressa, perché vedo, e per ciò la ringrazio, che si pone a noi con garbo, semplicità e, soprattutto, attenzione.
Professoressa, io sono un medico di base e un aspetto che mi fa soffrire da un po' di tempo, anzi forse da troppo tempo, è la continua mortificazione rivolta alla buona fede e alla professionalità della classe medica e la scarsa considerazione che da un po' di tempo si dimostra verso l'imprescindibile diritto alla salute di tutti i cittadini, in particolare di quelli più deboli.
Con lei, però, oggi non voglio parlare di sanità, ma di politiche sociali. I tagli che il Governo ha apportato in questo settore negli ultimi quattro anni, come avrà visto, sono drammatici e comprendono l'azzeramento del Fondo per la non autosufficienza intervenuto con l'ultima legge di stabilità, la riduzione a 69 milioni di euro per il 2012 e a 44 milioni di euro per il 2013 del Fondo nazionale per le politiche sociali, che nel 2008 era pari a 929 milioni di euro, la riduzione o l'azzeramento di tutti i fondi e i trasferimenti per le politiche per la famiglia, per la casa e per il servizio civile.
Si aggiungono il progressivo impoverimento delle famiglie italiane, testimoniato dai più recenti studi dell'ISTAT, e un graduale appesantimento del carico sulle famiglie, e sulle donne in particolare, con riferimento ai compiti assistenziali per i figli ed alle condizioni di non autosufficienza.
Lei non pensa che questa politica di tagli al sociale abbia contribuito paradossalmente ad acuire la crisi piuttosto che a fronteggiarla? Converrà con me che, quando il Governo centrale azzera o riduce drasticamente i fondi per il sociale in tutte le sue articolazioni, le regioni e i
comuni hanno solo due strade davanti: o tagliano i servizi oppure tirano fuori direttamente dalle loro casse i soldi necessari. Purtroppo, considerando che contemporaneamente il Governo ha tagliato anche le risorse agli enti locali, le regioni e i comuni non hanno alternativa e, quindi, a minori trasferimenti corrisponderanno minori servizi, il tutto nel contesto di una crisi spaventosa. Che cosa pensa di fare il Governo in questo senso?
Le colleghe che mi hanno preceduta hanno già parlato di disabilità. Un punto dolente per il welfare italiano negli ultimi anni è quello che riguarda i ragazzi disabili a scuola. L'Italia è stata tra i primi Paesi in Europa a promuovere la cultura dell'integrazione, abolendo le classi speciali e inserendo gli studenti disabili in quelle ordinarie con l'ausilio degli insegnanti di sostegno. Il problema è che questo strumento, così innovativo, importante e di progresso, rischia oggi di essere vanificato dai tagli effettuati dal Governo precedente.
La normativa prevede, tra l'altro, che in presenza di disabili, specialmente gravi, la classe non possa superare il numero di venti alunni. Va da sé che in una classe non bisognerebbe inserire più di un disabile. La realtà, però, è un'altra, perché quest'anno le classi con oltre due alunni disabili, da tre in su, sono migliaia e in alcuni casi si arriva anche a quattro. A loro sono destinati pochi insegnanti di sostegno, che a volte non ci sono neanche. Ad oggi agli alunni con disabilità non sono, dunque, garantite le misure di integrazione e di sostegno idonee a garantire loro la proficua frequenza degli istituti di istruzione. Le chiedo se il Governo ha intenzione di intervenire su questo tema.
Che cosa intende fare poi il Ministro per fronteggiare la richiesta unanime, proveniente dalle regioni, di maggiori stanziamenti sui temi della non autosufficienza, alla luce del bisogno crescente di servizi e di sostegni per le famiglie in condizioni di disagio? Che cosa succederà per i già non sufficienti assegni di accompagnamento? Si parla di rivedere i parametri dell'ISEE. Io chiedo di prestare attenzione ai temi della non autosufficienza e dell'estrema povertà.
Sono d'accordo con la richiesta dell'onorevole Miotto di ripristinare i fondi per i LEA, i servizi previsti dalla legge n. 328 del 2000, e sono d'accordo con lei anche in merito alla preoccupazione che riguarda l'INPS.
Avrei altre domande da porre, anche se mi dispiace dilungarmi tanto. Come lei sa, le politiche sociali interessano anche ulteriori branche. Non ritiene importante dedicare attenzione, per esempio, al problema mai risolto per le donne della conciliazione fra lavoro e cura della famiglia? Non pensa che bisognerebbe rieducare i giovani alla cultura di un modello di famiglia ormai perduto? Molti problemi attuali derivano dal fatto che non esiste più la famiglia di una volta. Non crede che una buona integrazione sociosanitaria potrebbe far evitare gli sprechi utilizzando le risorse che già ci sono, distribuendole equamente sui versanti sociale e sul sanitario? Ho sentito di recente la dottoressa Guerra e l'ho molto apprezzata per questa considerazione.
Un ultimo punto riguarda le pensioni. Io penso che chi ha già raggiunto l'età pensionabile e vuole andare in pensione dovrebbe poterlo fare, perché chi ha maturato l'idea di andarci ormai è stanco e demotivato e, secondo me, potrebbe diventare un peso per l'ente o per l'impresa per cui lavora. Per queste ragioni, sarebbe ancora peggio se a questa persona venisse imposto, di andare in pensione tra un anno o, peggio, tra cinque.
Occorrerebbe altresì promuovere l'occupazione dei giovani, anche a costo di erogare loro stipendi più bassi, purché vengano avviati ad un'attività lavorativa..
Sempre per quanto riguarda i giovani, forse piuttosto che chiedere loro di aprire la partita IVA, che spesso si rivela fonte di problemi, sarebbe opportuno pensare all'abolizione dell'IRAP. Non so esattamente se e come si possa fare perché non sono un tecnico, però forse anche le imprese e gli enti locali dovrebbero favorire l'occupazione giovanile.
LUCIANA PEDOTO. Sarò molto breve. Vorrei fare una riflessione su un punto e porre un quesito su un altro punto.
In primo luogo, ringrazio il Ministro per la relazione svolta, che ho ascoltato attentamente, per l'attenzione che ha voluto dedicare al genere femminile e faccio riferimento, in special modo, al profilo dell'incidenza, nella valutazione del rischio del lavoro, del caso di lavoratrici affette da patologie oncologiche. È un tema che mi sta particolarmente a cuore. Pertanto, ritengo opportuno che venga messo in evidenza, ove possibile, il tema della salute e della medicina di genere nella programmazione delle politiche sanitarie, nella ricerca farmacologica, anche oltre che nei percorsi formativi.
Per quanto riguarda, invece, il quesito, vorrei chiedere al Ministro se, a suo avviso, quello della solidarietà tra le generazioni sia o meno un tema che potrebbe essere ricompreso nel dibattito tra le parti sociali. Mi spiego meglio. Io penso alle prime due cause di impoverimento delle famiglie italiane, che ormai sono arcinote, purtroppo. La prima è la non autosufficienza, che riguarda sia il caso del figlio disabile, sia il caso, sempre più frequente, del nonno allettato, per intenderci. La seconda causa di impoverimento è la perdita del lavoro o l'assenza di lavoro. La perdita del lavoro riguarda il caso tipico del padre di famiglia cinquantenne, mentre l'assenza di lavoro riguarda il caso del figlio ventisettenne che non trova occupazione.
Con riferimento a queste due principali cause di impoverimento delle famiglie italiane, il quesito è semplicemente se, nell'ambito degli ammortizzatori sociali, ritiene possibile immaginare strumenti che possano fronteggiare queste due emergenze.
LIVIA TURCO. Sono molto contenta di poter rivolgere gli auguri in questa sede al Ministro Fornero. Io uso, invece, l'espressione «ministra» per lei e di «sottosegretaria» per Cecilia Guerra. Voglio anche ringraziare la ministra per il lavoro che ha svolto finora e, in particolare, per aver contribuito, insieme al suo Governo, a disinnescare il provvedimento micidiale che era rappresentato dalla legge delega per la riforma fiscale e assistenziale.
L'onorevole Miotto ha già argomentato molto bene le ragioni per cui noi ci eravamo opposti con tutte le nostre forze a questo provvedimento. Allora eravamo all'opposizione, ma abbiamo trovato anche da parte di alcuni parlamentari di questa Commissione, al di là degli schieramenti, la condivisione della nostra preoccupazione. Il fatto che questa delega non ci sia più è importantissimo e io credo che sia doveroso sottolinearlo.
Vorrei soffermarmi soltanto su quattro questioni molto concrete, premettendo a ciò la peculiarità rappresentata da questo luogo, la Commissione affari sociali. Con il Presidente Palumbo ne siamo veterani e posso assicurarle che è una Commissione molto particolare, intanto perché si occupa di problemi che in genere non interessano la politica, mentre interessano molto le persone. Inoltre, è una Commissione in cui ci si scontra molto, ma poi alla fine si cerca di realizzare interventi ampiamente condivisi.
È stato importante, per esempio, in questa legislatura, approvare una legge condivisa sulle cure palliative e sulle terapie antidolore e mi auguro che sia possibile, entro la fine della legislatura, approvare altri provvedimenti che siano altrettanto condivisi.
Vengo alle questioni che volevo sottolineare. La prima di esse, egregiamente trattata dalle mie colleghe, riguarda i comuni. Se lei parla con l'assessore alle politiche sociali del comune di Torino, le comunicherà lo strazio che sta vivendo perché si trova di fronte al dilemma di dover chiudere alcuni servizi sociali. Il «sentiero virtuoso sulle politiche sociali», per usare una sua espressione, era stato tracciato ben dieci anni fa con la legge quadro n. 328 del 2000, una legge che era stata ampiamente condivisa. Non basta segnare percorsi virtuosi, però, bisogna anche applicarli e, purtroppo, a questa legge non è stata data applicazione in modo adeguato.
Comprendo il vincolo rappresentato dalla limitatezza delle risorse, però su questo aspetto dei servizi sociali e del Fondo per le politiche sociali è importante un'inversione di tendenza culturale, come è emerso dalle vostre parole, che apprezziamo molto, ma è anche necessaria un'inversione dal punto di vista dello stanziamento delle risorse. Si tratta di una grande emergenza e anche di una grande politica di sviluppo, perché i servizi sociali fanno parte di un welfare attivo e sono politiche di sviluppo.
Inoltre, la caratteristica delle risorse per il sociale è che sono un moltiplicatore di opportunità. Basta un piccolo stanziamento per generare fiducia e nuove opportunità. Pur sapendo che è difficile, ritengo che una piccola inversione di tendenza sia importantissima.
Il secondo punto che vorrei trattare è quello della lotta alla povertà. Apprezziamo il modo con cui è stata riformulata la sperimentazione della social card, ma io avevo anche molto apprezzato le sue dichiarazioni rispetto all'esigenza di ammodernare davvero il welfare italiano, il che significa non solo rivedere gli strumenti degli ammortizzatori sociali, ma anche avere finalmente nel nostro Paese una misura di lotta alla povertà.
Anche questo è un tema di cui si sente poco parlare - lo affermo con molta franchezza e anche con molta amarezza - sia dai sindacati, sia dalle forze politiche, ma è un tema cruciale. Una misura universale di lotta alla povertà è un tema cruciale. Mi auguro, quindi, che sul tavolo che deve affrontare il nuovo welfare e che parla di riforma degli ammortizzatori sociali ci sia l'avvio anche di questa misura.
Noi siamo un Paese che ha tanti pregi e alcuni difetti. Io sono sempre molto colpita quando vedo e riscontro che abbiamo leggi che non sono conosciute e che non vengono applicate. Resto colpita quando sento affermare dalle donne che nel nostro Paese non esiste il congedo di paternità. Il congedo di paternità esiste ed è previsto dalla legge n. 53 del 2000. Purtroppo è poco applicato per un dato culturale, ma anche di conoscenza. Un elemento che volevo sottolineare è proprio questo: è importante in una buona azione di governo anche far conoscere le leggi che ci sono e ricordare a chi spesso si lamenta che magari bisognerebbe conoscerle e applicarle.
Passo all'ultimissimo punto. Il presidente Palumbo, all'inizio della seduta precedente, con riferimento al lavoro di questa Commissione, ha ricordato che è in corso l'esame di un testo unificato, che mi permetto di sottoporre alla sua attenzione, all'elaborazione del quale hanno partecipato attivamente tutti i gruppi, sia di maggioranza, sia di opposizione, che affronta un tema rilevantissimo, pur nella sua parzialità: è il cosiddetto Dopo di noi. Si tratta del dramma di quelle famiglie che hanno visto allungarsi la vita dei loro figli con disabilità grave e gravissima, vita che si è allungata per tante ragioni, ma anche per l'amore e la dedizione dei genitori, i quali adesso vivono il dramma di cosa sarà dei propri figli, quando loro non ci saranno più.
Queste famiglie hanno inventato il servizio del Dopo di noi, ma da sole non ce la fanno proprio. Sarebbe molto importante che ci fosse un sostegno legislativo nell'ottica della sussidiarietà. Noi abbiamo quantificato gli oneri di questo intervento. Non è un intervento dal costo elevato e sarebbe davvero una bella conclusione per questa legislatura se potesse essere approvato questo piccolo provvedimento. È un provvedimento piccolo, ma che contiene tanta umanità e soprattutto che risponde a un dramma sociale di coloro che non faranno mai notizia, ma che hanno drammi veri.
DONATO RENATO MOSELLA. Ringrazio il Ministro e il sottosegretario Guerra per la loro relazione. Io credo che l'opportunità che abbiamo avuto sia importante, perché ristabilisce un contatto diretto di ascolto reciproco tra il Parlamento e il Governo sui temi sociali. Mi pare che ciò stia avvenendo con grande interesse e con grande merito da entrambe le parti.
Io voglio inserirmi con molta discrezione sul tema che ha appena toccato la
collega Livia Turco, ma che il sottosegretario aveva, non a caso, posto all'inizio del suo intervento. Esso riguarda i dati, ormai tristemente noti, sulle povertà e sull'esclusione sociale in Italia.
All'interno di questa crisi, almeno dal nostro osservatorio, stiamo vedendo crescere a dismisura, proprio i dati che riguardano la povertà. Si tratta di un fenomeno che continua a crescere, ma che, con il passare degli anni e anche con il protrarsi di questa crisi economica, sta assumendo connotazioni e sfumature veramente preoccupanti. Basti vedere ciò che sta accadendo fra le famiglie di lavoratori che si trovano a perdere il lavoro dalla sera alla mattina, anche con riferimento a persone che vivono la normalità e che non erano allenate o abituate a vivere lo stato di disagio e di povertà.
Ho visto che il sottosegretario nella sua relazione ha indicato pochi dati, che però ha voluto sottolineare, a dimostrazione che probabilmente sente come noi il peso di questo fenomeno, che dilaga a macchia d'olio. Sono 8,3 milioni i cittadini che vivono in povertà, il 13,8 per cento della popolazione, tra cui famiglie numerose, monogenitoriali e del Sud, dove i dati si amplificano in maniera rilevante.
Non possiamo dimenticare che, secondo la Caritas, il 20 per cento delle persone che si rivolgono ai centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni. In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero dei giovani è aumentato del 59,6 per cento.
Per farla breve, in un momento tanto delicato e complicato, lei, signor Ministro, ha giustamente affermato nella sua introduzione che ci sono vincoli di risorse che sono drammatici. Già questo fatto ci pone in una condizione in cui è chiaro che dobbiamo fare poca demagogia e poche chiacchiere.
Abbiamo visto i dati che lei ci ha riportato, concernenti progetti settoriali di grandissimo merito, che, però, ci lasciano la sensazione che manchi il grande respiro, perché mancano i soldi, nonché il tempo. Ci rendiamo anche conto che questo Governo non ha a propria disposizione un tempo medio-lungo, in cui si possano immaginare disegni particolarmente ambiziosi, però noi vorremmo veramente che sulle politiche di contrasto alla povertà lei accendesse le Sue sensibilità, insieme ai riflettori dello staff e della struttura.
Probabilmente ci sono piccole iniziative che si possono realizzare e che potrebbero alleviare o quantomeno dare alcuni segni di speranza concreta a fasce molto larghe di popolazione, in modo particolare nel Sud del Paese, anche se ormai c'è un Sud anche al Nord, in alcune aree geografiche ben definite, le quali francamente fanno intravedere che la dicotomia Nord-Sud è quasi inesistente su questo tema.
Le voglio altresì segnalare che presso la Camera dei deputati, ma anche al Senato, ci sono alcuni progetti di legge che riguardano il microcredito. Occorrerebbe studiarli con attenzione, perché sono questioni, come ricordava prima la collega Turco, che implicano costi contenuti e che potrebbero, in un contesto difficile come quello attuale, dare un segnale che servirebbe al Paese e soprattutto ai giovani, ma anche a chi in queste ore non vede speranze davanti a sé e non sa come proseguire. Ci sono famiglie con figli, ci sono persone, come accennavo prima, poco abituate a vivere la povertà, che in un Paese come il nostro rischiano di diventare «il problema».
Un altro tema, che tocco in maniera veramente telegrafica, riguarda le famiglie e gli asili nido. In questo campo avremmo dovuto raggiungere obiettivi che non siamo stati in grado di raggiungere. Nella crisi attuale si sta acuendo ancora di più il disagio delle famiglie, soprattutto di quelle che hanno più figli e che non hanno la possibilità di esercitare l'impegno lavorativo, il quale sta diventando, anche per orari e cambiamenti, gravoso, senza avere la garanzia di poter tenere in luoghi educativamente adeguati i propri figli.
Non cito i dati, ho solo voluto sottolineare il tema, che ritengo molto concreto, che tocca la vita di milioni di persone e che potrebbe e dovrebbe trovare un'attenzione forte in queste ore.
In conclusione, ho seguito la vicenda dell'agenzia per il terzo settore. Signor Ministro, prima della vita politica io ho vissuto l'esperienza del mondo associativo e soprattutto del terzo settore, partecipando anni addietro al cammino di crescita di questo movimento, e ritengo che si sia arrivati all'agenzia per motivi ben precisi.
Certamente il rapporto con i comuni e con le regioni va privilegiato, però, se esso fosse stato funzionale, probabilmente l'agenzia non sarebbe mai nata. Capisco che rappresenta dei costi, però la invito anche in questo senso, mentre si va a chiudere l'agenzia - il processo mi sembra irreversibile - e si va a ristabilire il rapporto con i comuni e con le regioni, a valutare con attenzione quanto era stato compiuto nella fase iniziale. In ciò stanno i nodi problematici che ne hanno impedito il buon funzionamento e hanno creato una grande confusione nel mondo del volontariato, oltre a sacrificare energie volontarie di grande qualità e a privilegiare a volte strutture improvvisate all'ultimo momento, che con il volontariato non avevano nulla a che spartire.
Prima di immaginare il rapporto privilegiato, che è giusto, con i comuni e con le regioni, si dovrebbe vedere perché si è arrivati all'agenzia e valutare i due o tre nodi strategicamente importanti per il nostro Paese affinché un patrimonio straordinario in termini di volontariato, di carismi e di competenze non venga mortificato. In un momento di crisi come questo sarebbe la mazzata finale per lo Stato sociale e, francamente, non credo che ciò sia nelle sue intenzioni.
PRESIDENTE. Avverto che il sottosegretario Guerra si è dovuta allontanare per rispondere ad alcune interrogazioni presso la Commissione lavoro. Ritornerà fra breve.
MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Io mi rivolgo a lei, signora Ministro, quale garante dei diritti costituzionali del lavoro e delle politiche sociali, prima ancora che come professoressa. Mi soffermerò su una questione che mi sta particolarmente a cuore, quella relativa alla tutela dell'accesso al lavoro delle persone disabili, che lei conosce bene.
Si tratta di una questione disciplinata dalla legge n. 68 del 1999, che contiene le norme per il diritto al lavoro dei disabili, norme quadro sul collocamento mirato, che determinano i princìpi generali in materia di tutela del lavoro delle persone con disabilità.
La legge, come lei ben sa, ha il dichiarato scopo di promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa delle persone con disabilità attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato, da intendersi come strumenti tecnici e di supporto in grado di permettere un'adeguata valutazione delle capacità lavorative delle persone con disabilità, al fine di inserirle nel posto lavorativo più adatto.
L'ultimo rapporto ISTAT, quello che risale al 2004-2005, fa riferimento alla questione della disabilità ed evidenzia come il tasso di occupazione dei disabili ammonti al 18 per cento, contro il 54 per cento degli abili, mentre il tasso di occupazione in ambito europeo risulta, dalle linee definite dalla Commissione europea nella Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, pari al 50 per cento.
Emerge da diverse parti che le aziende tenute alle assunzioni obbligatorie non solo non rispettano l'obbligo, ma non adempiono nemmeno al pagamento delle relative sanzioni, grazie al ricorso allo strumento della convenzione tra l'ente provinciale e i datori di lavoro. Tale convenzione è prevista agli articoli 11 e 12 come possibilità di stipulare con i datori di lavoro convenzioni aventi a oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali, in cui sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna a effettuare, mentre le province, tenute al rigoroso controllo e alla somministrazione di sanzioni, sono di fatto assenti.
L'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 stabilisce che «i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro
dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette, con quote di riserve proporzionali al numero di dipendenti complessivo» e l'articolo 15 prevede che le province sanzionino a livello sia amministrativo sia penale le aziende che non adempiono a tali obblighi.
Come già espresso, emerge la quasi totale assenza di sanzioni e, quindi, il ricorso massiccio allo strumento delle convenzioni stipulate tra l'ente provinciale e i datori di lavoro spesso si rivela come modo di elusione degli obblighi datoriali. Possiamo affermare con certezza che la legge sul collocamento mirato dei disabili perde, nel mancato rispetto da parte delle aziende private e degli enti pubblici e nell'assenza di controllo e di sanzioni da parte delle province, il proprio fondamento di tutela e di inserimento lavorativo dei disabili.
Con queste premesse, a me preme sapere che cosa il suo ministero intenda fare relativamente a un'ipotesi di modifica del sistema dei controlli, in modo che i dati che sono forniti da più parti, recuperati tramite Internet e attraverso gli accessi agli atti amministrativi, siano, invece, raccolti con criteri omogenei, in modo da poterne centralizzare la rilevazione e il controllo, anche ai fini di una corretta ed efficace irrogazione delle sanzioni.
Da questo punto di vista - non so se lei abbia avuto modo di riscontrare quanto sto per sottolineare - le faccio notare che gli ultimi dati resi pubblici sul rispetto del collocamento mirato e pubblicati sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali risalgono al 2006.
La seconda domanda è se il ministero intende estendere il calcolo della quota di riserva a tutte le forme di lavoro subordinato, evidenziando come l'unificazione del mercato del lavoro incrementerebbe notevolmente e a costo zero il numero dei disabili che hanno diritto al collocamento obbligatorio.
DELIA MURER. Signora Ministra, io sono molto contenta della possibilità di avviare un confronto e una discussione sui temi del sociale, perché, se noi abbiamo sofferto un fatto in questi tre anni, è proprio la trascuratezza che c'è stata da parte del Governo precedente, una trascuratezza e una non considerazione unite anche a profondi tagli, come hanno già ricordato le mie colleghe. Credo che sarebbe importante, pur nelle difficoltà economiche dell'attuale situazione, cercare di invertire tale tendenza.
Anch'io mi unisco alle considerazioni favorevoli al fatto di aver evitato di rendere applicativa la legge delega sul fisco e sull'assistenza, avendo recuperato risorse da parte del Governo. Però, dopo l'intervento che lei e la sottosegretaria avete svolto, sono preoccupata in merito a un dato.
Noi abbiamo una montagna di tagli che riguardano il sociale, dal Fondo per le politiche sociali a tutti i fondi settoriali, eccetto quello per i minori, e sappiamo che il welfare è stato organizzato soprattutto nei territori usando il modello della legge n. 328 del 2000 e con una determinata carenza di impulso a livello nazionale, anche perché non si sono definiti i livelli essenziali delle prestazioni che avrebbero dovuto essere garantite su tutto il territorio.
Io penso che questa definizione sia urgente, ma tuttavia rischierebbe di diventare un esercizio astratto, se noi non riusciamo a capire l'ammontare delle risorse che siamo davvero in grado di destinare, ma anche quale modello abbiamo in mente di realizzare. Sarei preoccupata se pensassimo a un modello di welfare che accetta come situazione data i tagli presenti e non pensa più ad investire.
Già l'onorevole Turco poc'anzi ricordava il dato dell'estrema difficoltà in cui si trovano gli enti locali, in particolare i comuni. Il CENSIS parla di comuni sull'orlo del default sociale. Ognuno di noi che abbia avuto esperienze in questo campo sa quanto sia grave la situazione. Oggi sono i comuni a intervenire anche con mini esperienze di minimo vitale, oltre che di organizzazione dei servizi nei territori. Se noi non attuiamo alcune scelte a livello nazionale, rischiamo di esporli a
una situazione che sarà ancora più esplosiva dell'anno scorso e di due anni fa.
Vorrei capire meglio quali sono le linee che si intendono tenere complessivamente nei confronti delle politiche di welfare proprio come finanziamento di un modello che era quello organizzato attorno alla legge n. 328 del 2000. Intendiamo proseguire su questa strada o che altro pensiamo di realizzare?
Volevo poi sottolineare anche alcuni altri aspetti specifici. Anch'io condivido una proposta che le sottoponeva l'onorevole Turco, quella di riuscire in questa legislatura a varare ancora una legge condivisa da tutto il Parlamento, la legge sul Dopo di noi è pronta, ma mancano le coperture necessarie.
Voglio sottoporle anche alcuni ulteriori elementi che mi preoccupano. Uno è il tema dell'ISEE, in merito al quale io credo che occorra chiarire bene le modalità; nel provvedimento che abbiamo approvato a dicembre ne abbiamo fornite alcune. La mia preoccupazione è che, quando si andrà a ridefinire il patrimonio, si dovrà capire come alcuni elementi, tra cui l'assegno di accompagnamento, non possano essere considerati patrimonio della famiglia. Io concepisco questa risorsa nei confronti della disabilità come una risorsa che va a garantire un percorso di autonomia della persona. Credo che questa sia una questione da valutare.
Credo poi che vada affrontato un altro tema, che necessita di riflessioni probabilmente ancora più approfondite degli accenni che sono stati fatti: mi riferisco al tema della non autosufficienza per quanto riguarda le persone anziane. Non possiamo trattare allo stesso modo la non autosufficienza delle persone disabili e quella degli anziani. Dovremmo cominciare a differenziare e, rispetto a questo punto, capire quali politiche vogliamo porre in essere.
Le vorrei sottoporre ancora due questioni.
Io sono molto preoccupata dell'intervento del presidente dell'INPS, Mastrapasqua, pubblicato l'altro giorno sul Corriere della sera, perché ha citato dati che non corrispondono affatto a quelli che noi avevamo a disposizione, ossia i dati di tutte le associazioni di categoria. Il presidente parla di pensioni revocate, dopo i processi di verifica, per un 30 per cento, mentre i dati che ci propone Cittadinanzattiva parlano di una su dieci. Altri dati evidenziano come nel 57 per cento dei ricorsi presentati dai cittadini l'INPS esca perdente.
Noi abbiamo sottolineato alcuni abusi che sono stati perpetrati nel tempo, abusi che si riferivano non solo a chiamate a visita di persone che avevano menomazioni irreversibili, ma proprio alla definizione della quantità di invalidità delle persone attuata mediante una circolare del presidente dell'INPS.
La pregherei vivamente di riprendere la mozione che il Parlamento aveva votato e approvato sul tema, ma soprattutto di svolgere un'azione di verifica, perché credo che questa sia una situazione esplosiva e che anche l'INPS debba rispondere al Governo e al Parlamento e non agire con un'autonomia che mi sembra francamente eccessiva.
Trovo anche discutibile il fatto che, in merito al grado di invalidità il livello di gravità sia stabilito con delega all'INPS e non da parte delle regioni. Credo che ciò non sia assolutamente appropriato.
Sempre dal punto di vista delle persone che hanno più difficoltà, le vorrei sottolineare alcuni aspetti che, secondo me, sarebbe importante cercare di correggere nell'ambito di provvedimenti futuri che riguardano le pensioni. Non intendo parlare di materie che toccano la Commissione lavoro, però oggi ci sono congedi facoltativi di maternità che non vengono conteggiati ai fini della riduzione dei tempi per il collocamento a risposo; ci sono situazioni di genitori disabili che non hanno alcun tipo di sgravio sui tempi del pensionamento; ci sono situazioni di persone disabili, per esempio i ciechi, che proprio oggi stanno dimostrando davanti alla Camera dei deputati, che non hanno avuto condizioni di miglior favore. Credo
che questi aspetti vadano valutati in possibili provvedimenti futuri e che vadano tenuti in conto.
Anche a me sono stati presentati molti casi di soggetti che assistono persone invalide e che molto spesso hanno dovuto porsi in condizioni diverse e non ottimali all'interno del mondo del lavoro per garantire tale accudimento, soggetti che pensavano magari, di poter andare in pensione entro pochi anni. Ciò non è stato possibile e il riconoscimento di questo loro lavoro di cura particolare non è stato assolutamente riconosciuto. Credo che bisognerebbe pensarci. Grazie.
CARMINE SANTO PATARINO. Signor Ministro, la ringrazio per la relazione puntuale e dettagliata, che sicuramente mette in evidenza in maniera realistica e impietosa il quadro della situazione. Quello che lei ha tratteggiato è un quadro a tinte fosche: si parla di povertà in continuo e spaventoso aumento, di gravi difficoltà economiche, di mancanza di risorse e di sacrifici e di rinunce cui il popolo italiano deve essere sottoposto, non sappiamo per quanto tempo ancora.
Si parla, ed è giusto che sia così, di abbattimento di privilegi. Questi abbattimenti dovrebbero essere effettuati erga omnes. Dovremmo preoccuparci perché, almeno dove interviene la pubblica amministrazione, cioè il denaro della collettività, vengano abbattuti tali privilegi.
Si parla di tagli per colmare l'enorme voragine che oggi, purtroppo, spaventa non soltanto la nostra gente, ma anche l'Europa e i mercati, con tutte le conseguenze che conosciamo.
Questo Governo, come lei ha ricordato, è stato chiamato per colmare tale voragine e per ripianarla, ma non credo, signora Ministro, che il compito del Governo si esaurisca con questo. Non credo, infatti, che il Governo abbia soltanto il compito di ripianare e di colmare e non, invece, un altro più importante, che dovrebbe essere quello di avviare la ripresa. Diversamente, sarebbe stato sufficiente chiamare un commissario liquidatore e poi chiudere i battenti.
Noi riteniamo che l'Italia abbia tutte le condizioni perché si possa cominciare a parlare di ripresa e, quindi, anche di sviluppo. Più volte si sente affermare - lo abbiamo sentito da lei, come dal Presidente del Consiglio dei ministri - che non dobbiamo farci più illusioni, perché il posto fisso non c'è.
Possiamo essere d'accordo sul fatto che non ci si può più illudere, specialmente i giovani, di entrare in un ufficio e di non uscirne più, che nessuno può illudersi, che arrivi qualcuno ad assegnargli un posto di lavoro. Al tempo stesso, però, debbono essere create le condizioni affinché si creino soluzioni alternative al posto fisso, in modo tale da creare delle opportunità per i giovani. Io vorrei sapere quali sono le condizioni e le iniziative grazie alle quali il giovane, distogliendosi dal posto fisso, cominci a pensare diversamente. O dobbiamo immaginare che il giovane non debba più pensare al lavoro?
Un tempo studiare aveva un senso, perché si trattava di un vero e proprio investimento da parte delle famiglie, che compivano sacrifici e mandavano il figlio a studiare, perché poi ci sarebbe stato un grande ritorno non soltanto per quanto riguardava la vita stessa del giovane che intraprendeva gli studi, ma anche per l'intera famiglia. Adesso studiare serve a ben poco e magari andare all'università ha più la funzione di ammortizzatore sociale, un ammortizzatore sociale che non paga lo Stato, ma che paga la famiglia, che paga il genitore e che a volte paga anche il nonno, il quale un tempo veniva mantenuto anche con il concorso dei nipoti, mentre adesso è lui a mantenere i nipoti e anche i figli.
Se dobbiamo pensare a una ripresa e alla possibilità che l'Italia esca da una situazione di crisi, dobbiamo anche vedere che cosa è possibile fare. Io leggo bollettini allarmanti. Vedo persone che vivono non nell'estremo Sud, ma al Nord, e che chiudono bottega. Alcuni si tolgono addirittura la vita per il fallimento.
Esiste oggi un nuovo modo per dichiarare il fallimento. Un tempo il fallimento delle imprese avveniva per debiti, mentre
oggi accade prevalentemente per i crediti. Si contano circa 70 miliardi di euro complessivi di debito che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle aziende private. Le banche, quando vedono i crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione, non ne tengono conto e chiudono i rubinetti. A volte addirittura chiedono il rientro, mettendo in gravissime difficoltà non soltanto gli imprenditori, ma anche l'intera economia.
Ho voluto segnalarle, in maniera anche confusa, alcune situazioni che si stanno registrando in Italia, nella speranza che vi si metta riparo, anche alla luce di una nuova piaga che dobbiamo fronteggiare, quella dell'emigrazione.
Essa sembrava essersi conclusa nel secolo scorso, mentre adesso si sta presentando con una maggiore virulenza. Anzi, mentre prima l'emigrazione riguardava alcuni giovani senza titolo di studio, «senza arte né parte», che spesso erano costretti ad abbandonare le estreme regioni del Sud per andare lontano e trovare di che vivere, sottoponendosi a sacrifici enormi, adesso la nuova piaga dell'emigrazione è rappresentata da giovani che hanno un titolo di studio, un diploma di laurea, che parlano bene l'italiano e si esprimono anche nelle lingue straniere, che navigano su Internet e si destreggiano bene, ma che non trovano un posto di lavoro malgrado i sacrifici dei genitori. Anche per questi soggetti dobbiamo tentare di trovare un rimedio.
Non ho visto e non ho sentito parlare di investimenti per quanto riguarda la ricerca, l'università e un nuovo modello di scuola che prepari i giovani affinché si inseriscano, come essi riterranno più opportuno, nel mondo del lavoro, senza pensare al posto fisso, ma pensando in ogni caso a una propria attività, a un proprio impiego.
Non ho sentito, per esempio, parlare di investimenti per una sanità di eccellenza: la sanità, che oggi viene vista come un problema, può diventare, invece, una grande risorsa, se lo Stato pone l'attenzione dovuta a un settore che, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, da problema può diventare risorsa.
Per finire c'è il vasto mondo - ne hanno parlato anche altri e ne faccio cenno anch'io - del volontariato. È un mondo meraviglioso, un mondo a cui l'Italia deve tanto e che pure non trova nella pubblica amministrazione, nelle istituzioni e neanche nello Stato l'attenzione che meriterebbe. Credo che dedicarne un po' adesso sarebbe una parte del nostro dovere. Grazie.
PRESIDENTE. Pregherei i colleghi di cercare di contenere gli interventi, perché il Ministro deve lasciarci alle 14,30-14,45 al massimo. Cerchiamo quindi di sintetizzare, se vogliamo che si svolga un po' di replica, dal momento che molti temi sono stati già sollevati.
SABINA FABI. Io volevo partire dal discorso dell'invalidità. Sono convinta che sia necessario svolgere i controlli, perché vediamo ogni giorno, nei servizi di cronaca, il cieco che guida e chi doveva essere paralizzato che corre. I controlli vanno svolti.
Le chiedo, però, signor Ministro, che cosa succede, dopo che si è individuato il falso invalido, al quale naturalmente viene tolto il sussidio, alla commissione che ha rilevato l'invalidità. Io non ho mai sentito che la commissione che aveva dichiarato invalida una determinata persona sia stata messa sotto processo. Credo che ciò sia fondamentale, ragion per cui le chiedo di intervenire su questo argomento. Il falso invalido può fare il falso invalido perché qualcuno l'ha certificato, ma di questo aspetto non si parla mai.
La seconda riflessione riguarda la povertà. Abbiamo visto i dati, ce li avete forniti anche voi, dai quali risulta che la maggior povertà è nel Sud e che una grande povertà riguarda anche gli immigrati. In particolare, stiamo parlando degli immigrati provenienti dall'Ucraina, dalla Moldavia e dal Marocco.
Al di là del fatto che io sono convinta che le popolazioni vadano aiutate a casa loro, mi pongo una domanda. Non sono sicura che gli immigrati debbano venire in Italia perché gli italiani non vogliono più
svolgere determinati lavori. Io penso che gli italiani non vogliano essere sfruttati nello svolgere alcuni lavori.
Le porto un esempio: la raccolta dei pomodori e delle arance non dura tutto l'anno, ma un determinato periodo. Come vivono poi questi immigrati, dei quali abbiamo tanto bisogno, che cosa fanno per il resto dell'anno? Noi li abbiamo visti in televisione trattati peggio degli animali, messi a dormire in stalle che non hanno acqua né materassi né nulla.
Perché non aiutiamo prima i nostri giovani a trovare lavoro? Io sono convinta che, se venissero pagati - chiamo in causa anche i sindacati, che non ho visto muoversi molto bene su questo argomento - tutti coloro che hanno perso il lavoro, che sono in cassa integrazione, che hanno visto le fabbriche chiudersi, svolgerebbero questi lavori. Dovrebbero essere, però, pagati adeguatamente e trattati in maniera equa.
Mi fermo per dare spazio agli altri.
DANIELA SBROLLINI. Ringrazio la signora Ministro e la signora sottosegretaria per la loro disponibilità a essere con noi ad ascoltare i nostri interventi anche questa mattina. Anch'io cercherò di non ripetere le tante questioni che mi trovano ovviamente d'accordo e che hanno già trattato i miei colleghi negli interventi precedenti.
Cercherò, invece, di soffermarmi su una questione che mi sta molto a cuore e che è attinente a questa Commissione, ma anche all'altra di cui faccio parte, la Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, per le deleghe di cui siete titolari.
Voglio soffermarmi in modo particolare sulla questione dell'infanzia nelle sue contraddizioni. Da una parte, come ci spiegavate bene nella relazione iniziale, vi è un aumento di povertà e, quindi, un aumento di povertà minorile. Se si impoveriscono le famiglie, si pone anche un problema che riguarda i minori in modo particolare. Dall'altra parte, il Libro bianco pubblicato alcuni giorni fa da Famiglia cristiana mette in evidenza come si ponga un problema di benessere e di salute del minore, con tutti i problemi legati all'obesità.
Sono le due facce della stessa medaglia: da una parte vi è una povertà crescente e dall'altra una mancanza di educazione alimentare e di conoscenza, che riguarda alcuni ambiti familiari. In questo momento di crisi economica questi due aspetti entrano davvero in contrasto.
Io, però, mi vorrei soffermare di più sulle problematiche che riguardano la povertà. Nell'ambito di una riforma del welfare cui lei, Ministro, è molto attenta e che ha più volte sottolineato anche in queste settimane, io penso che bisognerà davvero dare priorità a come vogliamo definire, per esempio, i livelli essenziali di assistenza anche per i minori. Parliamo sempre di LEA come se riguardassero solo ed esclusivamente la fascia degli adulti, ma dobbiamo rivolgere un'attenzione particolare ai minori.
Alcuni fondi sono stati cancellati dal Governo precedente e abbiamo già visto ciò ricadere in maniera negativa sugli enti locali e sui territori. Penso al Fondo per l'infanzia e l'adolescenza e alla legge n. 285 del 1992, una legge importante che aveva aiutato anche i comuni a lavorare e a progettare interventi su questo tema.
Penso alla questione dei nidi, che veniva anche ripresa dai miei colleghi. Il nostro Paese è lontanissimo dai dati e dai livelli che ci chiede il Trattato di Lisbona. Avremmo dovuto raggiungere il 33 per cento di copertura dei nidi, mentre oggi siamo al 10 per cento, certamente con differenze enormi tra Nord e Sud.
Questo aspetto si intreccia con i due interventi su cui voi state operando. Da una parte ci sono pochi luoghi, non riconosciuti ancora come luoghi educativi, perché purtroppo si parla sempre della fascia 3-6 anni, ma si dà poca attenzione alla fascia 0-3 anni.
Dall'altra, riconoscere - c'è anche una nostra proposta di legge in questo senso, già depositata con una raccolta firme - il nido come luogo educativo significherebbe non solo dare più certezza ai genitori e, quindi, mettere le mamme nelle condizioni
di tornare subito al lavoro, con oneri più bassi per quanto riguarda il costo del lavoro, ma anche avere un effetto molto positivo sui territori, perché un maggior numero di nidi porterebbe anche a un abbassamento delle rette e a una messa disposizione di un luogo di accoglienza per tutti i bambini.
Fino ad alcuni anni fa avevamo il problema delle liste d'attesa. Oggi, con la crisi economica che conosciamo, si pone il problema inverso: la mamma che rimane spesso a casa, perché ha perso il posto di lavoro o perché ha uno stipendio basso, decide di non tornare a lavorare e di non portare il figlio al nido, con le conseguenze che conosciamo a livello di impatto sociale e di quello che dovrebbe essere un welfare propositivo e moderno, in cui sia permesso davvero alle donne di lavorare fino in fondo.
Come vede, il mio intervento tocca diversi ambiti, dalle politiche sociali alle politiche del lavoro, alle pari opportunità, alla parità di accesso. So che il Governo e il Ministro saranno molto attenti e io credo che ci sia la necessità di intervenire bene e di scegliere tali temi come priorità.
Abbiamo anche approvato all'unanimità, alcuni mesi fa, una legge con cui è stata istituita la figura del Garante per l'infanzia. Tale figura non è ancora operativa, però mi auguro che, visto che è stata già nominata una persona, che ha un nome e un cognome, che questa persona possa, a sua volta, lavorare ed essere un sostegno ulteriore al vostro lavoro, non solo di concerto con i ministeri preposti, ma anche con i territori e con le regioni.
Si tratta di una figura che dovrebbe monitorare e controllare - chiudo poi sull'ultimo tema - la violenza sui minori. Da una parte, dunque, ci sono la povertà e la violenza sui minori, nonché la pedofilia, ma, dall'altra, anche l'attenzione al rapporto tra media e bambini, un altro problema che oggi è all'attenzione del Parlamento e di alcune Commissioni competenti su questo tema.
Ci vorrebbe davvero una maggiore concertazione, senza neanche inventarci tantissimi altri strumenti, perché ne abbiamo alcuni che non sono operativi fino in fondo, nonché figure che ancora non sono in grado di operare.
Ovviamente, quando si parla di bambini, si parla anche di bambini disabili. Il tema è stato già toccato dalle colleghe ed è un problema molto sentito dalle famiglie. Non è possibile nel 2012 trovare ancora, come in questo momento, la famiglia come unico ammortizzatore sociale. Se il soggetto disabile non ha una rete familiare di sostegno, spesso resta fuori dal mercato del lavoro e da politiche sociali concrete di aiuto.
Vi chiederei su questo punto un'attenzione forte e un impegno importante, perché, quando parliamo delle nuove generazioni e di costruire, come voi avete affermato nei giorni scorsi, politiche a sostegno delle nuove generazioni, bisogna proprio partire dai bambini e accompagnarli in questo percorso non facile di vita. Vi ringrazio.
FRANCESCA MARTINI. Signor Ministro, buongiorno. È veramente un piacere poter oggi trattare ed evidenziare con lei le questioni inerenti i servizi sociali e l'erogazione di tutte le prestazioni da parte delle regioni in collaborazione con i comuni, prestazioni che oggi possono farci affermare che il nostro è un Paese civile, o vuole essere un Paese civile, rispetto ad altre situazioni di altre realtà nel mondo.
L'erogazione delle prestazioni sociali pone un problema grosso, che è quello dell'organizzazione. Inoltre, è un settore molto peculiare, perché la misurazione del rapporto costi/benefici ha come cartina di tornasole il benessere psicofisico della persona. Non sono settori che si misurano come si possono misurare l'economia e la stessa produttività nell'ambito del lavoro, in cui magari i fatturati e il tasso di occupazione sono molto più facili da evidenziare.
La terza questione è il rapporto tra Stato e regioni. Noi sappiamo che la modifica della Costituzione del 2001 ha praticamente dato titolarità di governo alle regioni e, quindi, è chiaro che lo Stato ha un potere di indirizzo e di valutazione
dell'effettiva erogazione e della qualità di tale erogazione dei servizi sul territorio.
Dobbiamo anche affrontare un altro problema, cioè sapere che l'ondata migratoria di questi ultimi vent'anni ha scaricato sui comuni situazioni che, grazie a ricongiungimenti familiari o a un'assenza di controllo della fertilità, sono in continua evoluzione e sotto costante pressione. Occorre anche affrontare il problema di quali sono le priorità su cui lavorare attraverso le linee di indirizzo che, se ho ben compreso, voi volete evidenziare e costruire proprio in collaborazioni con le regioni, come è giusto che sia.
Anch'io tendo a evidenziare un problema specifico, perché è chiaro che non possiamo trattarli tutti. Sono stata sottosegretario di Stato alla salute nello scorso Governo e assessore alla sanità della regione Veneto. In tutti questi anni un fenomeno che è emerso in maniera molto chiara e contro cui ho lottato è che oggi noi in Italia non abbiamo una fotografia reale della non autosufficienza, a meno che non vogliamo far coincidere la non autosufficienza con i dati sull'erogazione da parte dell'INPS dell'indennità di accompagnamento.
All'interno dell'erogazione dell'indennità di accompagnamento, che si attesta su circa 800 mila soggetti, esiste, però, una variabilità che va dalla persona allettata alla persona che lavora. Io chiedo che si approfondisca questo tema attraverso la collaborazione tra Ministero della salute e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché noi riusciamo davvero a indirizzare i nostri sforzi verso la fragilità per eccellenza. Credo che non ci sia nulla di più difficile da affrontare della non autosufficienza come condizione sociale, ma anche sanitaria, psicologica, emotiva e relazionale, che non coinvolge soltanto la persona - non voglio chiamarla il paziente o l'assistito - ma anche l'intero nucleo familiare e le relazioni parentali.
Ho apprezzato l'accenno al progetto individualizzato di vita e credo che sia fondamentale anche discernere, all'interno delle indennità di accompagnamento, chi acquisisce una disabilità progressiva per processi di invecchiamento, che deve affrontare cinque o dieci anni, a seconda del momento in cui acquisisce la patologia che determina l'invalidità, da chi invece nasce con una menomazione e deve quindi affrontare, insieme con la sua famiglia, l'intera vita in condizioni di non autosufficienza.
Pur col dovuto rispetto, ritengo che dobbiamo sviluppare un filone anche di pensiero, di programmazione e di progettazione che investa in maniera differenziata sui giovani, perché questi giovani, questi bambini, dovranno poi affrontare un progetto per un'esistenza che si possa chiamare degna, sostenendo fortemente tutte le loro famiglie.
Poi si pone il discorso dei falsi invalidi. Restiamo sempre allucinati quando vediamo i servizi che vengono portati alla nostra attenzione dalla stampa. È chiaro che dietro una falsa invalidità c'è una commissione medica connivente e, aggiungerò di più, forse anche un politico che ha interceduto rispetto a tale Commissione. Credo che questo sia un tema su cui dobbiamo sviluppare una convergenza, partendo dal presupposto per cui le politiche di welfare sono un patrimonio del territorio.
Infine, pongo un'altra questione velocissima. Più volte, anche attraverso la presentazione di proposte di legge, nella mia attività parlamentare ho chiesto formalmente la neutralità fiscale dello Stato nei confronti delle spese che la famiglia sostiene per assumere una badante. Se si spendono circa 20-25 mila euro l'anno, compresi i contributi, per uno stipendio - questo è il costo per l'assunzione in regola di una badante - è possibile che quei 20-25 mila euro siano tassati come per una persona che va con altre quattro a fare un viaggio alle Maldive a Natale?
Oggi è così: la tassazione su ciò che si spende per sostenere una persona gravemente disabile all'interno del proprio nucleo familiare è uguale a quella che ho citato. Noi avevamo approvato un ordine del giorno e avevamo tentato anche una sperimentazione durante l'esame di una legge finanziaria, intorno al 2004-2005.
Dobbiamo guardare al sostegno alla famiglia, che non deve consistere necessariamente nell'erogazione di denaro bensì anche nel metterla nelle condizioni di andare avanti nel sostenere una persona disabile o non autosufficiente all'interno del proprio nucleo familiare senza impoverirsi. Si tratta di una questione di prevenzione della povertà delle famiglie che hanno al loro interno disabili gravi non autosufficienti.
Le sottopongo anche un'altra preoccupazione, su cui avevo già preparato una nota per la stampa. Tra le voci che l'Agenzia delle entrate intende considerare per valutare la potenzialità di reddito c'è anche la colf. Occorre però prestare attenzione perché non esiste un contratto specifico in merito. Su questo punto le rivolgo un appello specifico come Ministro del lavoro. Poiché si tratta di contratti equiparati per colf e badante, non vorrei che l'Agenzia delle entrate stabilisse che una famiglia ha una colf, quando invece ha una badante e magari si svena per il proprio familiare, il proprio figlio, il proprio genitore o il proprio fratello, con ulteriori oneri per lo Stato sul piano sia sociale, sia sanitario. La famiglia che compie questo sforzo va aiutata. Dobbiamo sostenere le famiglie che mantengono al loro interno le persone disabili gravemente non autosufficienti in base all'articolo 3 della legge n. 104 del 1992.
Su questo tema rivolgo un appello anche alla condivisione delle politiche dei diversi ministeri, in quanto. non si possono attuare politiche sociali senza politiche fiscali. Il mio è un appello affinché voi possiate avere una comunicazione, evidenziare alcuni problemi e far sì che ci sia la possibilità di vedere una politica armonizzata sul piano sociale e fiscale rispetto alle vere criticità delle famiglie. Grazie.
ANDREA SARUBBI. Ringrazio il Ministro per la sua presenza. Come avrà visto, signora Ministro, la nostra è una Commissione di donne e di uomini di buona volontà, però rilevo che, per parafrasare Giorgio La Pira, se non prendiamo in mano le leve economiche, ci resta soltanto la libertà di fare vacue discussioni sul valore della vita umana. Io ho cinque domande, di cui quattro riguardano il portafoglio.
La prima concerne le sorti del Fondo per l'inclusione sociale. Abbiamo già visto, purtroppo, che fine abbia fatto, nel senso che è stato azzerato negli ultimi anni, il che ha rappresentato un problema grosso anche sul fronte dell'integrazione. È un aspetto che non le compete direttamente, ma che riguarda noi piuttosto da vicino. Esiste un Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, il Ministro Riccardi, ma in un certo senso il tema riguarda anche voi. Signora Ministro, le scuole di lingua delle parrocchie non hanno più un centesimo per comprare un computer, da quando questo Fondo per l'inclusione sociale è stato azzerato.
Continuo col secondo tema, concernente il reddito minimo garantito. Io ho cercato in rete alcune sue dichiarazioni e ne ho trovata una del dicembre 2011, a margine del Consiglio affari sociali dell'Unione europea. Lei affermò di essere favorevole. Mi chiedo se ha cambiato idea nel frattempo e, se non l'ha cambiata, che cosa intenda concretamente fare.
Il terzo punto riguarda il sostegno alle maternità difficili. Fermo restando l'equilibrio raggiunto dalla legge n. 194, noi abbiamo un problema, ancora attuale oggi in Italia, di donne che sono costrette ad abortire per motivi economici. Spesso se ne occupano il Movimento per la vita, il Progetto Gemma e tutte le associazioni che raccolgono soldi all'offertorio in parrocchia, o giù di lì, ed erogano piccoli finanziamenti alle donne per assisterle in un momento difficile, affinché il motivo della scelta non sia quello economico. Noi approvammo alcune mozioni in Aula, il 15 luglio del 2009. Lei, signor Ministro, svolgeva un altro mestiere, ma noi ci eravamo posti il problema. Queste mozioni, anche da punti di vista diversi, alla fine arrivavano allo stesso risultato, sostenendo che avremmo dovuto intervenire. Purtroppo, però, nulla è stato fatto. Si tratta di un
tema che magari finora non era stato posto e che volevo portare alla sua attenzione.
Il quarto punto, l'ultimo tra quelli riguardanti il portafoglio, concerne specificamente il 5 per mille. In particolare, mi rivolgo al sottosegretario Guerra perché proprio recentemente ha denunciato alcuni difetti del 5 per mille, che in un certo senso sono comprensibilissimi, quali lo sbilanciamento a favore dei grandi e le risorse economiche che si investono nel farsi pubblicità per poi avere il 5 per mille. Testualmente il Sottosegretario affermò che bisognerebbe pensare un po' meglio ai canali di finanziamento. Chiedo se può illustrare a questa Commissione che cosa intenda concretamente.
Il quinto punto, che è quello fuori portafoglio, ma neanche tanto, è al confine tra il mercato del lavoro e il terzo settore e riguarda l'impatto sul terzo settore della riforma del mercato del lavoro.
Come impostazione di fondo è chiaramente apprezzabile il fatto di rendere il lavoro più stabile, però, per esempio, guardando al terzo settore, si vede che molti interventi assistenziali sono realizzati su input degli enti locali, richiedono un forte cofinanziamento e, come spesso accade, per le ristrettezze di bilancio sono progetti a respiro corto, che durano pochi mesi o a volte un anno. In questo contesto, se rendiamo il lavoro ancora più costoso e richiediamo contratti a tempo indeterminato, non so come se ne possa uscire, dal momento che sono tutti piccoli progetti in cofinanziamento.
Un ulteriore punto attiene all'immigrazione, tema che io seguo piuttosto da vicino. I principali fondi europei, quello per l'integrazione e quello per i rifugiati, hanno programmazioni annuali. Normalmente in questi casi il Centro Astalli e altre associazioni utilizzano Cocopro, ossia contratti a progetto. Renderli più onerosi significherebbe probabilmente rendere gli interventi impraticabili.
Per riassumere, quando ci sono di mezzo associazioni di volontariato ed enti morali, già oggi è difficile trovare i finanziamenti necessari. Se la riforma del lavoro pretende anche per chi opera nel sociale senza scopo di lucro oneri aggiuntivi agli attuali, tutto diventerà molto più costoso e, quindi, di fatto irrealizzabile: da un lato si perdono posti di lavoro, il che è già un guaio; dall'altro, soprattutto, non si riesce più ad aiutare le persone in difficoltà.
GERO GRASSI. Il presidente mi invita alla sintesi. Capisco che lei debba andare via, signor Ministro. La ringrazio per il suo intervento e sarò sintetico.
Mi consenta di farle notare che il suo intervento, condivisibile in toto, presenta, però, una carenza, di cui io intuisco anche le motivazioni: che cosa facciamo con i non soldi che ci sono? Questa è la domanda.
In questa Commissione, ma nel Parlamento in generale, noi ci siamo trovati spesso con il Governo precedente ad approvare, anche con sforzi unitari, provvedimenti che poi sono stati di fatto taglieggiati - è il termine giuridico - dalla Commissione bilancio. Quando si arriva a coloro che non hanno voce e che, in alcuni casi, non hanno nemmeno volto, non ci sono soldi.
Io sono tra quelli che in Aula, anche con il vostro Governo, continuano a votare contro il rifinanziamento delle missioni all'estero e l'acquisto di armi. Nella Commissione difesa il problema della carenza economica non si avverte mai, mentre nella nostra è pesantissimo.
Le chiedo, se possibile, che lei, trasformando la dotta relazione - non lo intendo ironicamente, ma con apprezzamento - che ha svolto, ci riferisca in due battute con quali soldi intende attuare un'iniziativa. Ne saremmo contenti.
Chiudo non prima di aver recepito un'istanza del collega Burtone, il quale, come a scuola, ha passato a me le domande difficili in calcio d'angolo, a proposito della notizia che abbiamo letto sui giornali, e che speriamo non sia vera, circa l'eliminazione, riduzione o abrogazione dell'indennità di accompagnamento per i non vedenti. È una notizia che si è diffusa è che sarebbe un dramma, ove fosse vera.
Dai vostri volti deduco che è completamente priva di fondamento. Ovviamente io parlo per i non vedenti veri, non per quelli falsi. La vostra espressione già mi tranquillizza. Grazie.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Avevo passato la domanda al collega Grassi perché sono arrivato in ritardo e non volevo prendere tempo. Il collega Grassi è stato gentile e l'ha posta.
In verità, le notizie emerse dalla stampa affermano, anche recentemente, la possibilità che l'indennità di accompagnamento venga legata al reddito o al lavoro. Parliamo di ciechi, signor Ministro, di ciechi veri, di una menomazione gravissima e di un risarcimento che lo Stato eroga perché non ha svolto prevenzione. Questi discorsi, se ci sono stati, per quanto ci riguarda, sono inaccettabili.
DONATA LENZI. La nostra Commissione si chiama affari sociali, ma io sostengo da tempo che dovremmo chiamarla salute e affari sociali, in quanto ci occupiamo per la maggioranza del tempo di sanità. Il tema delle politiche sociali e dell'assistenza nel nostro Paese è sempre rimasto schiacciato dai due grandi piloni del welfare, da un lato l'aspetto lavoristico e tutto il sistema di ammortizzatori sociali e, dall'altro, la sanità.
Noi siamo la Commissione che si occupa di tutta la rete dei servizi che viene incontro ad alcune esigenze fondamentali e cerca anche di sviluppare un settore importante come quello dei servizi di cura alla persona, ma sentiamo la sofferenza di essere un po' la Cenerentola in mezzo alle altre Commissioni.
Vorrei porre alcune questioni molto specifiche, perché per diversi motivi mi occupo anche trasversalmente del sistema del welfare.
Come prima questione, quando parliamo di reddito minimo - l'hanno fatto ottimamente prima di me, sollevando il tema, Livia Turco e Andrea Sarubbi - noi non ci riferiamo solo alla questione dell'assegno per la disoccupazione. Nel tema delle politiche sociali noi stiamo ragionando, e le nostre proposte erano andate in quella direzione, su un intervento che si inquadri nella questione della lotta alla povertà, la quale richiede non solo la presa in carico di una persona che ha perso il lavoro, ma significa anche affrontare situazioni di gravi difficoltà e di povertà, non solo economica, che spesso richiedono un intervento più complesso per uscirne.
Nelle discussioni che si sono sviluppate nelle occasioni in cui abbiamo parlato di povertà in questa Commissione è emersa una divergenza su dove collocare il livello dell'intervento. Tendenzialmente potremmo anche compiere una distinzione quasi geografica, però c'è chi ritiene che esso debba collocarsi al livello di comuni o forse di regioni o comunque che la responsabilità sia a quel livello, perché l'intervento per essere efficace deve essere vicino, e chi, invece, pensa a un sistema affidato all'INPS, che si traduca nell'ennesimo trasferimento monetario, con i rischi ad esso connessi, una tendenza che l'INPS, per i contatti che abbiamo avuto quando abbiamo audito il presidente, sarebbe portato a sostenere.
Nel momento in cui noi ragioniamo di questo tema viene fuori anche il problema dell'assenza dei dati e, quindi, abbiamo apprezzato che si sia evidenziato il proposito di fare, invece, dell'INPS il punto di raccolta dei dati. In questo ambito il sistema dell'assistenza sanitaria ha bisogno di dati più precisi.
Mi permetto, per storie ed esperienze personali, di aggiungere una considerazione, partita dall'intervento di Antonietta Farina Coscioni sulla questione della legge n. 68 del 1999, ma che si applica anche al lavoro.
Mi riferisco all'epoca del passaggio dei vecchi uffici di collocamento alle province. Essendo stata uno degli assessori che lo gestì, riferisco che trovai uffici che non avevano neanche l'allacciamento al telefono. Vorrei che ci ricordassimo com'era allora la gestione dello Stato, prima di denigrare gli enti locali che hanno dovuto prendere in carico tali uffici. Non ho mai capito come chiamassero i disoccupati al
lavoro, però in quella questione è sempre rimasto il nodo del sistema informativo, che allora si chiamava SIL. Adesso nei diversi trasferimenti ho perso di vista il nome.
Noi non riusciamo ad attuare politiche efficaci del lavoro anche perché ci manca una parte di dati che attiene alla condizione lavorativa, un problema che ora, con l'invio automatico della comunicazione di assunzione, si dovrebbe risolvere, ma che ha bisogno di sicuro di una dimensione di integrazione e di gestione nazionale.
L'ultimo punto che volevo toccare riguarda la questione dell'Agenzia per il terzo settore. Essa è nata da una legge fortemente voluta dal mondo del volontariato e del terzo settore, avrebbe dovuto essere uno strumento in parte anche di autogoverno e fare ciò che, in realtà, ha fatto, cioè fornire elementi che permettessero all'Agenzia per le entrate di determinare, nel rapporto con le ONLUS, chi avesse diritto o meno a essere considerato a tutti gli affetti una Onlus.
L'agenzia ha sede in uffici del comune di Milano e ha personale distaccato che, in base alla normativa del Governo precedente, non può prendere gettoni. Procedere a uno scioglimento, com'era stato annunciato, a mio giudizio rischia di creare un vuoto in un settore che ha bisogno forse di regole nuove, ma non di stare senza regole e senza riferimenti. La domanda, signor Ministro, è quali sono le Sue intenzioni su questo punto.
MARCO RONDINI. Intervengo molto brevemente, perché sulla questione sono già intervenuti i miei colleghi della Lega Nord.
Nel vostro intervento ci avete riferito che ciascuno deve acquisire piena consapevolezza del fatto che ogni euro destinato a una spesa è sottratto a un'altra. Noi stentiamo a capire come si possa conciliare questa affermazione, ossia il tentativo che vi proponete di disegnare strumenti buoni in grado di rappresentare un sentiero virtuoso, con un'altra affermazione, che rintracciamo sempre nel vostro intervento, nella quale ci comunicate che «un altro esempio riguarda l'attenzione all'inserimento lavorativo degli immigrati residenti attraverso un ripensamento delle politiche sui flussi migratori. Stiamo compiendo un lavoro molto preciso per realizzare un migliore incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro. Invece di fare arrivare nuovi immigrati in una situazione di elevata disoccupazione sia tra la popolazione locale che tra gli immigrati, riteniamo che sia meglio indirizzarsi al bacino degli immigrati presenti, avendo in mente i processi di regolarizzazione
della manodopera esistente per evitare la piaga della clandestinità».
La contraddizione fra queste due affermazioni è evidente. Ci chiediamo, quindi, a quali capitoli di spesa verranno sottratti i fondi per realizzare il sostegno e il reinserimento nel mondo del lavoro per l'immigrato presente sul territorio che si trova nello stato di disoccupazione.
ANTONIO PALAGIANO. Cancello tutto ciò che pensavo di domandare al Ministro, in quanto sono stato abbondantemente anticipato dai colleghi del Partito Democratico, ma anche dalla collega della Lega. L'intervento di quest'ultima mi trova molto d'accordo nella parte in cui ha proposto una diversa tassazione fra le badanti e le colf e meno quando, invece, ha parlato - è il chiodo fisso della Lega e del suo elettorato - di immigrazione, di ricongiungimenti e di assenza di controllo della fertilità, che ho trovato un po' inquietante. Probabilmente si riferiva a una promozione della contraccezione, che sarebbe stato, secondo me, un modo di esprimersi più carino.
Mi riferisco anche all'ambiente ovattato che ho notato in questa Commissione e che trovo particolarmente speciale, non solo per le persone che la compongono, che credo abbiano una competenza e una qualità umana al di fuori dell'ambito politico per antonomasia, ma anche perché effettivamente si tratta di persone che sono esperte della materia e che, quindi, cercano di avere un approccio piuttosto tecnico e poco ideologico, tranne in alcune questioni che si possono immaginare e che
coinvolgono la sfera etica e la sfera personale, su cui non voglio entrare.
Ho anche ascoltato, però, quando il Ministro, parlando della sua delega alle pari opportunità, ha svolto una considerazione molto onesta intellettualmente, cioè che i vincoli di risorse sono drammatici e che ogni euro destinato a una spesa è sottratto a un'altra. È una dichiarazione sicuramente molto onesta, da cui ricavo l'impressione che oggi abbiamo vissuto il libro dei sogni.
Ci mancherebbe altro che non bisognasse riaccendere i Fondi per la non autosufficienza, è una situazione davvero scandalosa, è ovvio che bisogna pensare alle politiche dei disabili ed è ovvio che ci sono altri interventi urgenti. L'ex Ministro Turco ha parlato della legge in corso di esame presso questa Commissione, sul Dopo di noi, che credo sia un altro tema importante. Lei, però, nella premessa afferma giustamente che non c'è un euro.
Voi siete stati nominati, come noi, al Governo in quanto tecnici. Vorremmo conoscere le strategie e le priorità davanti a tutte queste urgenze ed emergenze, pur dubitando io che si potranno affrontare tutte quante. Mi auguro che lei sarà tanto brava da riuscirci, perché ha una sensibilità che le proviene dall'essere donna ma anche, secondo me, dovuta alla sua persona. Immagino e sono convinto che lei senta addosso questi problemi e che vorrebbe risolverli, ma che di fatto ci sono questioni di cui non può parlare.
Io vivo in un Paese molto strano. Ho letto fiumi di inchiostro sul tatuaggio di Belen, ma da parte del dirigente della RAI non ho sentito nulla sulle lavoratrici precarie della RAI che, in caso di malattia o di maternità, perderebbero qualsiasi diritto. Ho notato anche il suo silenzio, forse imbarazzato, su questo tema, che avrei voluto sentir trattare, proprio perché lei ha parlato di pari opportunità.
Può darsi che io non abbia letto attentamente le cronache, ma avrei immaginato e desiderato un suo intervento roboante in difesa delle donne che hanno il problema del contratto in bianco, per intenderci. Ci sono questioni di principio che, al di là di quelli che sono i compiti istituzionali o delle ideologie, vanno dichiarate, secondo me, a voce alta e inequivocabile e che avrebbero richiesto da parte sua, a mio modesto avviso, un intervento un po' più deciso.
Credo che il compito che le è stato affidato sia difficile per quanto riguarda proprio i molteplici aspetti che coinvolge. Ho anch'io alcuni princìpi e priorità. Mi riferisco ai malati e alle fasce sociali più deboli. Oggi si parla di welfare e di Stato sociale. Mi rendo conto, signor Ministro, che lo Stato sociale è nato alla fine dell'Ottocento, ma, osservo, soltanto in alcuni Stati illuminati d'Europa. In Italia è iniziato con la fine dalla seconda guerra mondiale.
Concludo - non voglio rubare tempo alla replica del Ministro - affermando che comprendo che non sia possibile dare tutto a tutti, ma aggiungo che lei si troverà davanti a un problema che va al di là della crisi che stiamo affrontando, quello per cui l'età media della popolazione comporterà un aumento di richieste e di tecnologia.
Il nostro è il primo Paese in Europa a fare ricorso alla TAC e alla risonanza magnetica per la medicina difensiva. Bisogna intervenire, è un momento di vacche magrissime, ma c'è anche in previsione un aumento della spesa. Le ricordo che sulle politiche sociali si è avuto un picco nel 1990, seguito da una stabilizzazione, poi un picco nel 1999 e che il futuro prevede un momento di crescita della spesa. Vorrei sapere, Ministro, quali saranno le sue priorità e come opererà in questo settore.
VINCENZO D'ANNA. Signor Ministro, sarò telegrafico. L'onorevole Palagiano si meravigliava dell'afflato unitario. Io ho sentito molti colleghi che, con grande pacatezza e magnanimità, le hanno chiesto nei diversi campi di intervento una particolare attenzione e ovviamente un particolare impiego di risorse che, a quanto pare, non ci sono.
Ricordo a me stesso un eufemismo, ossia che in genere sono altruisti coloro che intendono fare il bene con i soldi degli
altri. Noi apparteniamo a una categoria, quella dei «politici», i quali da tempo immemore usano la leva della spesa pubblica per immaginare la società perfetta.
Bisognerebbe, però, ricordare a me stesso e ai miei autorevolissimi colleghi che ogni spesa deve presupporre un'entrata, ragion per cui, in una condizione di scarsità di risorse, che credo sia ormai nota anche alle pietre della strada, bisognerebbe preoccuparsi, più che di integrare alcune voci, di operare alcuni risparmi, introducendo parametrazioni di efficienza e di efficacia nell'ambito sia previdenziale sia sanitario. Le prime risorse dovrebbero venire dal controllo delle inappropriatezze e delle ridondanze e dal grado di efficienza degli apparati statali, che sprecano buona parte delle risorse in campo sanitario e in quello previdenziale.
L'onorevole Sarubbi ci chiedeva una particolare attenzione nei casi di interruzione della gravidanza. Io sono d'accordo con lui, ma mi è venuto in mente di domandarmi che fine avranno fatto le équipe socio-psico-pedagogiche dei consultori. Mi ricordo che in gioventù - la mia gioventù, certamente non la sua, essendo ancora giovane - questo fu uno dei cavalli di battaglia di coloro che erano propensi all'interruzione della maternità.
Noi siamo partiti agli inizi degli anni Ottanta, con la legge n. 833 del 1978, con una spesa che era di circa 30 mila miliardi di lire, 15 miliardi di euro, per arrivare alla data odierna con 106 miliardi e arriveremo anche a 112-113 miliardi di euro per i disavanzi che le solite regioni effettueranno in campo sanitario.
Signor Ministro, lei ha previsto la possibilità, di concerto con il Ministro della salute, essendo entrambi sotto l'egida sovrana del Ministero dell'economia, perché di questo si tratta, di introdurre e di attivare procedure di mutualità integrativa, atteso che lo Stato non è più in grado non solo di promettere altri sussidi e attenzione, ma nemmeno di riservare il massimo della cura e dell'attenzione a coloro che non possono, a qualunque categoria appartengano, togliendo buona parte di ciò che si dà a coloro che non vogliono, i quali appartengono a un'altra categoria di cittadini?
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Ministro, io ho ascoltato la sua introduzione, così come quella del sottosegretario, con molta attenzione. Per motivi di tempo mi soffermo su un argomento soltanto, già affrontato da questa Commissione, il problema della non autosufficienza.
Non ci sono soldi e lo sappiamo benissimo, allora non illudiamo e non prendiamo in giro i cittadini. Si tratta di una fotografia reale del problema della non autosufficienza: noi siamo il secondo Paese al mondo come longevità e siamo anche quello con la più bassa natalità. Sono d'accordissimo, però abbiamo moltissime famiglie e moltissimi soggetti che vivono da soli, che sono sulla soglia della povertà.
Se ciò è vero, ed è vero perché i dati statistici sono questi, il Governo, qualsiasi Governo, non mi interessa se di centrodestra o di centrosinistra, dovrebbe intervenire. Io sono in Parlamento dal 2001, da quasi undici anni. Insieme ad altri colleghi abbiamo presentato provvedimenti sulla non autosufficienza e abbiamo avuto sempre l'illusione che il tema venisse affrontato, mentre ci limitiamo a versare una goccia di acqua nel deserto.
Signor Ministro, comunichiamo chiaramente ai cittadini che si trovano in questo stato che le condizioni economiche del Paese non permetterebbero di intervenire, a meno che non si compiano scelte ben precise. La scelta della non autosufficienza è una priorità che non va assolutamente disattesa.
FRANCESCA MARTINI. A integrazione di quanto avevo comunicato prima, volevo ricordare al Ministro Fornero che, durante una delle prime sedute in cui si discutevano le questioni finanziarie, il Governo Monti fu battuto, per la prima volta, su di un ordine del giorno che modestamente era stato presentato da me ma che è stato votato da tutto il Parlamento. Esso chiedeva che l'IMU fosse diminuita del 50 per cento per i nuclei familiari che hanno al
loro interno una persona non autosufficiente.
Si tratta di un'altra proposta che non viene dall'onorevole Martini, ma che è stata sottoscritta da tutta l'Aula. Vorrei ricordare al Governo questo impegno, che il Parlamento intero gli chiede.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per la pazienza dimostrata nell'averci ascoltati tutti. Volevo solo ricordare che il disegno di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale è attualmente inserito nel programma dell'Assemblea della Camera per il mese di marzo, su richiesta espressa del Governo. Poiché la prossima settimana la Conferenza dei Capigruppo predisporrà il calendario effettivo per il mese di marzo, chiedo al Ministro se il Governo ritirerà o meno la richiesta di calendarizzazione della delega. Vorrei che fosse chiarito questo punto.
Do la parola al Ministro Fornero e quindi al sottosegretario Guerra per la replica.
ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie a tutti per le tantissime domande. Costituiscono quasi un librettino, senza contare quelle per il sottosegretario Guerra. Innanzitutto grazie della vostra collaborazione. Purtroppo avevo comunicato che avevo le 14.20 come tempo massimo e, quindi, vi risponderò sicuramente in maniera per voi molto deludente, tratteggiando soltanto alcune questioni che stanno all'interno di quel dovere di trasparenza e di verità cui siamo stati richiamati e che comunque è uno dei tratti caratteristici di questo Governo.
Noi siamo stati impegnati in un riforma delle pensioni e siamo attualmente impegnati in una riforma del mercato del lavoro come meccanismi atti a scardinare, a nostro avviso, alcuni lacci e lacciuoli fortemente pesanti rispetto alla capacità del Paese di crescere un pochino.
La crescita è l'unica vera chiave che può restituire risorse al Paese. Senza crescita possiamo solo discutere - la discussione civile sarebbe già un buon risultato, ma in genere, quando non c'è crescita, anche la discussione civile viene a essere intaccata - di redistribuzione, cioè di prendere da una parte e mettere dall'altra. Il senso di questa operazione era di cercare di fare leva su un elemento che può costituire e che, a nostro avviso, costituisce un impedimento o un freno alla crescita.
Voi avete in molti vostri interventi affermato, e io in una certa misura ci credo, che anche l'assistenza è da considerarsi in senso lato come un fattore di crescita. Lo è in senso lato, nel senso che ci sono persone che hanno problemi nella primissima infanzia, nell'adolescenza, ci sono persone che compiono un percorso di formazione nelle scuole, con gli abbandoni e con tutti i fenomeni che denotano l'insufficienza delle strutture e la loro incapacità di rispondere in modo serio e costruttivo a un percorso di formazione, ci sono persone che hanno problemi più tardi, nel periodo attivo, quello del mercato del lavoro, sia, ancora più tardi, nel periodo post-lavorativo, quello del pensionamento. Aiutare tali persone a essere veramente persone è un fatto di civiltà, ma anche un fatto di crescita.
Tutto questo è un principio molto bello, ma dobbiamo declinare alcune questioni. Come sapete, oggi stiamo pagando un bilancio assistenziale che sconta le inefficienze e gli eccessi - chiamiamoli così - di spesa previdenziale. È un dato di fatto. Il bilancio sconta quegli eccessi e il fatto che non si è per molto tempo venuti a patto con la triste verità, ossia che, se si creano debiti, e nella previdenza c'erano troppi debiti sotto forma di promesse, si crea anche un onere, perché quel debito comunque è percepito e c'è un onere di cui prima o poi si chiede conto. Ora noi siamo in fase di restituzione.
Quanto al mercato del lavoro, voi mi parlate di politiche contro la povertà. È verissimo, ma io vorrei che la prima politica contro la povertà fosse quella di dare a tutti occupabilità. La questione tragica di cui mi rendo conto è che oggi il lavoro da noi è un bene scarso, mentre è su quello che noi dobbiamo fare leva.
Poi ci sono le politiche di redistribuzione realizzate attraverso la tassazione,
magari attraverso il recupero dell'evasione fiscale, che significa prendere soldi e darli a chi ne ha veramente bisogno perché ha condizioni di disagio particolare, condizioni di sofferenza e di disabilità, bisogni maggiori rispetto a quelli di soggetti che non hanno tali disabilità. Non lo possiamo fare, però, scardinando le leve che dovrebbero promuovere la crescita.
Io vi ho comunicato che abbiamo due grosse riforme in corso e voi mi domanderete se non includano anche quella sull'assistenza. Nel nostro compito non c'è quello di varare anche una grande riforma dell'assistenza, perché non abbiamo le risorse. Il nostro compito, più modestamente, è esattamente quello che vi abbiamo anticipato, ossia di fare in modo che non ci siano sprechi e che ci sia un elenco di priorità piuttosto condivisibile e magari condiviso, in modo che si veda, sempre in misura e in modo trasparente, dove sono posti i soldi.
Io ho parlato con gli assessori alle politiche sociali insieme con il sottosegretario Guerra e conosco la situazione quasi drammatica di alcuni comuni che sono nella condizione di dover chiudere alcuni servizi. Credeteci, è veramente una situazione molto difficile. In queste condizioni non possiamo affermare che vi trasferiremo soldi, perché non siamo nelle condizioni per farlo. Ciò che dobbiamo fare nel campo assistenziale è curare un'oculatissima gestione.
Come vi ho riferito nella scorsa occasione, abbiamo evitato di effettuare tagli. Voi obietterete che è il minimo. Probabilmente sì, però credo che già il fatto di aver evitato tagli, date le condizioni finanziarie di partenza, sia un indice di sensibilità del Governo rispetto ai problemi sociali e comunque di impegno a fare in modo che nella misura maggiore possibile le persone più a rischio non siano abbandonate.
Possiamo fare qualcosa di più? No, non possiamo dare l'illusione sui programmi di non autosufficienza. A volte ci viene rimproverato di parlare un linguaggio troppo duro e che forse se ogni tanto dessimo un pochino di più l'impressione che le questioni si possono aprire, non sarebbe male dal punto di vista politico, però è un atteggiamento che non ci è naturale. Noi sicuramente non vendiamo illusioni e meno che mai abbiamo parlato di un programma di assicurazione per l'autosufficienza o di un programma diffuso per il sostegno ai non autosufficienti.
Abbiamo parlato, invece, della possibilità di compiere alcune sperimentazioni in questo ambito e abbiamo anche cominciato un percorso con i colleghi ministri della salute e della coesione con le regioni, Balduzzi e Barca. Abbiamo cominciato un percorso. Il Ministro Balduzzi era molto interessato a quest'idea e anche il Ministro Barca era molto entusiasta. Abbiamo messo in piedi un percorso che spero ci porterà a un risultato. Non è nulla di eclatante, però.
L'onorevole Turco ci parlava di elementi qualificanti e ha menzionato il tema del Dopo di noi. Credo che sia effettivamente un tema molto sentito dalle famiglie che lo vivono in prima persona. Svolgeremo una valutazione molto attenta delle risorse che sono richieste e, se alcune si libereranno, vedremo di poterle utilizzare.
Abbiamo sempre anche affermato, e credo che ciò sia importante, in mancanza di risorse, che quelle che si riescono ad acquisire, per esempio, attraverso una seria lotta all'evasione finiscono per essere disponibili. È chiaro, però, che molti vorrebbero ipotecare risorse che oggi non ci sono ancora, ma io penso che in termini di assistenza questa sia veramente una domanda legittima, che potrebbe trovare soddisfazione. Non è una promessa, non è la costruzione di una facile illusione, credo che nessuno possa equivocare, ma potrebbe essere l'indicatore di un impegno preciso, almeno da parte mia.
Questo è quanto volevo comunicarvi. Vorrei chiedere poi al sottosegretario se ha risposte più specifiche da fornire.
Prima, però, vorrei spendere un'ultimissima parola sull'Agenzia del terzo settore. Nessuno vuole cancellare le buone iniziative, vogliamo soltanto valorizzarle all'interno di strutture esistenti per dare ciò che tutti voi avete indicato, ossia alcune linee guida al terzo settore, compresa
la possibilità di certificazione dei loro bilanci, un sostegno e un'occasione di incontro.
Noi pensiamo che lo si possa fare utilizzando le strutture ministeriali. Se avessimo le risorse per costituire una bella Agenzia del terzo settore, ben dotata di risorse, sarebbe probabilmente meglio, però non lo possiamo fare adesso. Tenere in piedi questa agenzia in queste condizioni ci sembra non rispondente ai princìpi ai quali io mi sono richiamata prima, quando ho sostenuto che dobbiamo prestare attenzione affinché tutto venga speso nell'interesse finale degli utenti per i programmi che riguardano l'assistenza sociale e non per strutture. Questa è un'informazione che ci tenevo ancora a fornirvi.
La decisione comunque sarà presa dal Consiglio dei ministri. La mia è una proposta, che discuto con molta apertura e con grande trasparenza. Non intendo condurre, però, una crociata.
CECILIA GUERRA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Avete posto moltissime domande. Io vorrei portare una nota positiva, dopo il quadro dovuto che ha tracciato il Ministro. Cercherò di essere velocissima.
Volevo anche comunicarvi che il testo dell'audizione, anche un po' ampliato rispetto a quello che abbiamo potuto presentare ora, è in via di completamento. Non avendo avuto la possibilità di presentarlo in grande dettaglio, ve lo metteremo a disposizione la prossima settimana. Anche in ragione di questo aspetto posso procedere molto velocemente.
Vorrei portare una nota positiva nel senso che, pur in questo quadro, che vi è notissimo, di grandissimo vincolo sulle risorse, noi siamo molto operativi sul piano delle politiche sociali in una prospettiva di medio periodo. Non è una banalità. Se cinque, sei, dieci o venti anni fa si fosse cominciato a essere operativi nel medio periodo, oggi saremmo più avanti di dove siamo.
Quando abbiamo ricordato entrambe nella scorsa occasione che stiamo anche pensando ad alcuni percorsi, lo abbiamo fatto in modo molto serio e non con chiacchiere campate in aria.
Riferisco alcune questioni che rispondono alle considerazioni emerse in maniera più ricorrente, non certo con la pretesa di rispondere a tutti, e vi preciso il lavoro che stiamo svolgendo.
Noi stiamo compiendo la riforma dell'ISEE e della prova dei mezzi. Non è un elemento da poco, perché è un problema proprio nevralgico. Come veniva ricordato, specialmente in un Paese in cui esiste anche un tema di evasione, il fatto che la prova dei mezzi si porti dietro gli stessi difetti che abbiamo dal punto di vista delle entrate è un problema molto serio.
Un aspetto molto particolare, su cui si sono creati fraintendimenti, attese e preoccupazioni, riguarda la definizione del nucleo familiare. Nel decreto che verrà emanato ci avvarremo dell'ipotesi prevista nella legge all'articolo 5, ossia la possibilità di utilizzare in modo flessibile, a seconda delle prestazioni, la definizione del nucleo familiare.
Come voi sapete, esistono problemi molto diversi. Se guardiamo le indennità di accompagnamento per quanto riguarda, in particolare, i soggetti con disabilità o se andiamo a guardare le prestazioni per anziani non autosufficienti, vediamo che la definizione del nucleo di riferimento può essere articolata in modo diverso. È molto importante capire quale definizione di reddito e di patrimonio si utilizza.
Noi abbiamo l'ambizione di compiere una riforma tecnica, che ridia allo strumento dell'Indicatore sulla situazione economica equivalente la funzione che esso deve avere, ossia una funzione di misurazione il più possibile oggettiva, lasciando poi alle politiche centrali e decentrate il compito di utilizzarlo con una politica di tariffazione adeguata rispetto agli obiettivi che ciascun livello di Governo può porsi.
L'attesa che dalla riforma dell'ISEE venga fuori un taglio alle indennità civili non è giustificata. Non è in alcun modo prevista dall'articolo 5.
Il secondo aspetto su cui stiamo lavorando è il sistema informativo. È un aspetto molto importante, che ci veniva
ricordato. Molto spesso non riusciamo, né a livello centrale, né a livello decentrato, a impostare politiche possibilmente coordinate, perché abbiamo un livello di non conoscenza non solo dell'articolazione, del quantum, ma anche della qualità delle politiche sociali nel nostro Paese. Sulla qualità il discorso è più complicato, ma sicuramente conoscere almeno l'insieme delle prestazioni che arrivano dai diversi livelli di governo a ciascun individuo è un elemento prioritario per poter impostare sia politiche coordinate sia meccanismi di controllo.
Passo molto velocemente al terzo aspetto, che riguarda la sperimentazione della social card. È stato evocato giustamente come uno dei problemi che riguardano il nostro Paese sia quello dell'assenza di una misura a sostegno della povertà assoluta. La sperimentazione della social card è un elemento importante, perché è proprio una sperimentazione che può gettare le basi conoscitive su come può essere impostato uno strumento di contrasto a più ampio raggio rispetto alla social card già esistente, uno strumento di contrasto alla povertà, di cui occorre valutare le modalità applicative, i limiti e gli effetti.
Non è poco da consegnare al Governo che verrà. Noi abbiamo davanti, ricordiamocelo, un periodo di tempo limitato e non possiamo mettere in cantiere chissà quali progetti, che poi non riusciamo a gestire. Possiamo, invece, consegnare al prossimo Governo uno strumento già sperimentato, sulla base del quale assumere le proprie determinazioni.
Quelli dei costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni sono discorsi che si tengono insieme. Noi abbiamo ereditato l'attuazione di un federalismo fiscale in cui esiste questo tema, così come esiste un'ipotesi di accompagnare l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni con passaggi definiti anno per anno con la legge finanziaria.
Questo discorso è stato evocato nei decreti attuativi, ma non ha ancora i piedi su cui camminare. Noi abbiamo instaurato con le regioni, con cui ci troveremo - abbiamo già fissato una prossima data - un tavolo permanente di confronto su questi temi per porre le basi di un percorso, che deve essere declinato in modo molto preciso. Uno dei modi attraverso cui operare è il riferimento è agli obiettivi di servizio che riguardano tutti i campi della legge n. 328 del 2000, i minori, le famiglie, gli anziani. Questo è un percorso tangibile.
Aggiungo solo due ulteriori considerazioni, una sulla non autosufficienza e una sugli immigrati.
Per quanto riguarda la non autosufficienza, come ricordava il Ministro, abbiamo cominciato a lavorare in maniera coordinata con il Ministro Balduzzi e con il Ministro Barca. Il Ministro Barca e il Ministro Fornero si sono già incontrati per una rifinalizzazione dei fondi sociali europei destinati non a obiettivi vaghi, ma a obiettivi di servizio ben definiti, che si inquadrino in un processo di riforma, che avrà le gambe che avrà, ma che stiamo comunque disegnando.
Quando parliamo di integrazione sociosanitaria, noi vogliamo che questa non sia più un'evocazione generica, ma vogliamo cominciare a lavorare insieme per definire come si possa articolare una verifica del caso individuale che risponda a entrambi i criteri, sociali e sanitari. In questo caso, intendiamo anche partire da una ricognizione esatta di quanto si spende nel sociale e nel sanitario sulla non autosufficienza, ricognizione che al momento non esiste.
Sulla base di questi elementi, anche se io avessi tutti i soldi che ho e avessi dieci anni di tempo, dovrei partire per forza da questo punto. Mi sembra già un passo, che noi compiamo con grande convinzione. È proprio un impegno che possiamo assumerci, non quello di elaborare un piano della non autosufficienza nell'arco di questi otto mesi, ma quello di creare i piedi su cui un programma possa camminare.
L'altra questione è legata a questa. Abbiamo riaperto, e lo riconvocheremo con la collaborazione anche dell'INPS, il tavolo tecnico che era stato attivato, e che sta esaminando ciò che non funziona nella valutazione dei casi, soprattutto per soggetti con disabilità, per fare finalmente
chiarezza sul motivo per cui per avere un'indennità di accompagnamento in alcune regioni si aspettano 120 giorni e in altre 400.
È un problema. Intendiamo capire da dove nasce il problema per cui gli invalidi veri vengono chiamati tre volte a visita, quando non è necessario; attribuire i numeri giusti alla questione dei falsi invalidi, su cui ci sono state, però, anche alcune enfasi comunicative che hanno sicuramente danneggiato l'immagine delle persone che hanno una disabilità vera e, sicuramente, continuare con i controlli che sono stati comunque messi a punto per quanto riguarda il contrasto alle invalidità false, le quali danneggiano prima di tutto gli invalidi veri. Ci proponiamo di andare a vedere chi ne è responsabile, al di là del soggetto che ne beneficia.
Per quanto riguarda l'immigrazione, la nostra impostazione parte da una banale considerazione, ossia che gli immigrati presenti nel nostro Paese non sono dieci, ma sono 4,5 milioni, il 7,5 per cento dalla popolazione presente sul territorio e che, secondo le ultime proiezioni dell'INPS, nel giro di 40-50 anni saranno un quarto della popolazione italiana.
In ogni caso, le politiche che noi impostiamo, politiche sociali e del mercato del lavoro, non sono specificamente dirette a questi soggetti, ma lo sono nella misura in cui sono politiche di tipo generale, di buon funzionamento dei mercati, da un lato, e di inclusione sociale, più che di integrazione, dall'altro, in quanto è a soggetti con disagio sociale che ci si rivolge, in qualunque situazione essi siano.
Sul mercato del lavoro, in particolare per quanto riguarda gli immigrati, il problema non è avere dei costi, ma trovare un miglior incontro fra domanda e offerta, il che può implicare di non avere, come ho già accennato, flussi in entrata di nuove persone, anche se noi stiamo lavorando su eventuali flussi di persone qualificate che vengono formate nei Paesi d'origine attraverso rapporti bilaterali che stiamo instaurando con molti Paesi. Non si tratta di flussi nuovi, ma di una migliore possibilità di incontro e di allocazione delle persone, un'operazione che si compie, peraltro, anche sul mercato di lavoro per tutti.
Per quanto riguarda, in particolare, i lavoratori stagionali, l'idea che già ricordavo è di sfruttare al meglio il permesso. Tale idea è contenuta in uno dei decreti che dovrete esaminare e riguarda il permesso stagionale pluriennale, in modo tale che, laddove c'è un'esigenza che richiede quel tipo di manodopera, ci sia un ingresso temporaneo limitato, ma fruibile per più datori di lavoro. Poi il lavoratore stagionale torna nel Paese d'origine e ritorna per svolgere quel mestiere, senza dover ogni volta riprogettare e riprogrammare il tutto, con problemi anche linguistici e di integrazione più complicati.
ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Sulla delega decideremo in Consiglio dei ministri, ma l'orientamento è di lasciarla cadere sulla parte assistenziale e di utilizzare magari parte della delega fiscale.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro, il sottosegretario e tutti i colleghi che sono intervenuti. Grazie a tutti e buon pomeriggio.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,10.