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Resoconti stenografici delle audizioni

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
34.
Mercoledì 9 dicembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Vincenzo De Luca, Presidente ... 3

Audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia, Alberto Michele Cisterna.

Vincenzo De Luca, Presidente ... 3 8 9
Russo Paolo ... 8
D'Ambrosio Gerardo ... 8 9
Cisterna Alberto Michele, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia ... 3 8 9

Audizione dei sindaci di Aversa, Casal di Principe, Casaluce, Castel Volturno, Giugliano, Maddaloni, Nola, San Marcellino e Trentola Ducenta.

Pecorella Gaetano, Presidente ... 10 13 14 17 19 20 21 22 23 25 26 27 28 29 30 32
Biancardi Geremia, Sindaco di Nola ... 27 28 29
Carbone Pasquale, Sindaco di San Marcellino ... 29 30
Ciaramella Domenico, Sindaco di Aversa ... 10 13 14
Coronella Gennaro ... 13 21 31
Cristiano Cipriano, Sindaco di Casal di Principe ... 15 16 17
D'Ambrosio Gerardo ... 13
De Angelis Candido ... 22 23
De Luca Vincenzo ... 16
Farina Michele, Sindaco di Maddaloni ... 25 26 27
Graziano Stefano ... 16 23 27 31
Izzo Cosimo ... 22 23 30
Nespoli Vincenzo ... 22 26 27
Nuzzo Francesco ... 20 21 22 23
Pagano Nazzaro, Sindaco di Casaluce ... 17 19 20
Pagano Nicola, Sindaco di Trentola Ducenta ... 30 31 32
Pianese Giovanni, Sindaco di Giugliano ... 24 25
Russo Paolo ... 15 16 19 20 22 27 29

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Seduta del 9/12/2009


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...
Audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia, Alberto Michele Cisterna.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia, dottor Alberto Michele Cisterna.
Questa audizione rientra nell'ambito dell'approfondimento sul fenomeno delle cosiddette «navi a perdere». Ricordo in proposito che la Commissione, nell'ambito di questo approfondimento, ha già svolto le audizioni del dottor Vincenzo Macrì, Procuratore nazionale antimafia aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia, del dottor Bruno Giordano, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Paola, del dottor Francesco Neri, Sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Reggio Calabria, del dottor Silvestro Greco, Assessore all'ambiente della regione Calabria e della dottoressa Felicia Angelica Genovese, Presidente f.f. della X Sezione penale del tribunale di Roma. Inoltre, lo scorso 5 novembre, la Commissione ha ascoltato in audizione Francesco Fonti. Ricordo, infine, che nel corso della prima settimana del mese corrente una delegazione della Commissione si è recata in missione in Calabria, dove ha avuto modo di affrontare la questione in oggetto nel corso di numerose audizioni.
Faccio presente al nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico, e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandolo comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Cedo la parola al dottor Michele Cisterna, che ringrazio per la sua presenza.

ALBERTO MICHELE CISTERNA, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia. Ringrazio la Commissione e spero che ciò di cui sono a conoscenza, rispetto a questa vicenda, possa in qualche modo agevolarne il compito di indagine.
Ho portato con me due atti che, a mio avviso, rappresentano il riepilogo delle investigazioni svolte. Si tratta delle due richieste di archiviazione, entrambe recepite dal GIP con decreti conformi, che hanno determinato la chiusura delle investigazioni, nell'ambito dei procedimenti penali n. 1680/96 e 100/95, entrambi della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ufficio ove ho prestato servizio, in qualità di Sostituto procuratore, dal luglio del 1995 al marzo del 2002. Queste date


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sono un parametro di riferimento per questa vicenda, in quanto sono la data iniziale e finale delle investigazioni.
Se lo ritenete, vorrei esporre brevemente l'argomento. Le indagini, che erano state avviate presso la pretura circondariale di Reggio Calabria, furono seguite dal dottor Francesco Neri, sostituto presso la procura circondariale di Reggio Calabria. Gli atti furono trasmessi, dal 1995 in poi, ma sostanzialmente nel 1995, ipotizzando una competenza della procura superiore, quella presso il tribunale, in relazione ad alcune vicende che riguardavano, da una parte, l'affondamento al largo delle coste calabresi di alcune motonavi sospettate di avere carichi di rifiuti radioattivi e, dall'altra parte, immaginando che ci fosse, parallelamente a questo traffico di rifiuti, un coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese in un traffico d'armi che avrebbe seguito parallelamente le rotte dei traffici dei rifiuti.
Entrambe le ipotesi accusatorie, naturalmente, sono state sviluppate con procedimenti separati. A un certo punto, è stato necessario distinguere le due ipotesi criminose e procedere separatamente: per quanto riguarda i procedimenti DDA, si è proceduto a una verifica del coinvolgimento della criminalità organizzata (procedimento n. 100/95), dall'altra parte a una verifica della reale esistenza di una responsabilità rispetto agli affondamenti di una serie di motonavi.
Gli episodi riguardavano, in realtà, solamente due motonavi: la Rigel e la Jolly Rosso. La seconda, come è noto alla Commissione, non fu affondata, ma solamente spiaggiata, dunque in qualche modo è stata recuperata e ha seguito l'iter noto, ovvero è stata smontata e portata via, quindi non più recuperata per la navigazione.
Devo dire che lo scenario era costituito da fonti probatorie abbastanza eterogenee e non sempre particolarmente affidabili. La Commissione potrà vedere - per fortuna allora scrissi abbondantemente - nella richiesta di archiviazione delle valutazioni su alcune fonti di quel processo. Ad esempio, esiste una fonte costituita da Aldo Anghessa - personaggio plurinoto e pluricoinvolto in tante vicende in questo Paese - il quale, sulla base di alcune sue cognizioni de relato, affermava di sapere alcunché a proposito di questi traffici e di questi affondamenti. Quindi, non tutte le fonti erano affidabili e il contesto era particolarmente difficile da inquadrare.
In questo quadro, la scelta - come tale la rivendico sempre - è stata quella di tentare il recupero della motonave Rigel affondata, rispetto alla quale esisteva un elemento di prova sostanziale costituito da un appunto trovato sull'agenda di Comerio, come la Commissione sa. Infatti, in corrispondenza della data di affondamento, vi è, sul diario dell'ingegner Comerio, un'annotazione di questo genere in lingua inglese. Questa sembrava, dunque, la nave più direttamente collegata a Comerio e, quindi, più direttamente collegata allo scenario investigativo.
L'indagine sostanzialmente mi arriva con questa incompiuta: era necessario recuperare questa motonave. Il procuratore presso la pretura era, al tempo, il dottor Scuderi; ebbi un colloquio con lui e con il dottor Neri, durante il quale chiesi anche le ragioni di questa trasmissione, in quanto si trattava di un fascicolo impegnativo. D'altra parte, la procura distrettuale in quegli anni era impegnata con un centinaio di processi e migliaia di indagati, e dunque arrivava un processo importante.
Sono state date alcune spiegazioni. Innanzitutto, si parlò delle difficoltà incontrate nel reperire i fondi e i finanziamenti necessari al ritrovamento della motonave e sostanzialmente - ricordo con precisione questo dato, sebbene siano passati tanti anni, quasi quattordici - si disse che non ci si sentiva tranquilli nello scaricare a Modello 12 (il capitolo delle spese di giustizia a disposizione di ogni procura) una spesa impegnativa pari ad alcuni miliardi delle vecchie lire. Quindi, questa attività avrebbe comportato una spesa davvero consistente.
Dunque, immaginate un piccolo ufficio, con il peso di un'indagine complessa e con l'impegno di una spesa considerevole, in


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un clima di grande preoccupazione dovuta anche alla morte del comandante De Grazia, che aveva segnato anche psicologicamente i protagonisti di questa vicenda. Lo scenario indubbiamente avvalorava queste preoccupazioni. Ricordo che si temeva di essere in qualche modo sorvegliati o intercettati. Vennero fatte delle bonifiche negli uffici che si trovavano distanti dai nostri proprio per questo motivo. Non eravamo nello stesso plesso giudiziario.
La scelta fu quella di recuperare la nave e mi venne detto che esisteva la possibilità di contattare l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) la quale aveva mostrato, tramite il ministro dell'epoca, una certa disponibilità a effettuare queste ricerche. Contattai l'ANPA a Roma e parlai con il presidente o un direttore generale, comunque una figura apicale, il quale mi disse che avrebbero messo a disposizione fondi consistenti - credo quasi un decimo del budget di cui l'ANPA disponeva, quindi un impegno sostanzioso - purché questa questione venisse approfondita e in qualche modo affrontata.
La speranza era quella di arrivare a un punto definitivo. I soldi, quindi, vennero stanziati, ma si pose il problema di come procedere. Si dovette trovare una soluzione, in quanto diversamente si sarebbe dovuta bandire una gara a livello europeo, vista la consistenza degli importi. Questo, però, era del tutto incompatibile con le esigenze di riservatezza e, naturalmente, di sicurezza nazionale connesse a un problema di questa delicatezza. Non si sapeva, infatti, chi avrebbe condotto la ricerca ed era pendente - riprenderò il discorso - la questione della Smit Tak, ovvero della ditta che si era occupata della motonave spiaggiata Jolly Rosso.
Venne trovata, dunque, una soluzione. Ricordo che il prefetto di Reggio Calabria - se vi è qualche imprecisione è dovuta al fatto che sono passati tanti anni - segretò la gara per ragioni di sicurezza e di riservatezza. Questa gara venne affidata a una società - individuata dopo una ricerca della quale mi occupai anch'io - che in quel momento sembrò essere, sullo scenario, la più affidabile. Si trattava di una società che aveva effettuato il ritrovamento e il recupero di un'imbarcazione speronata dalla nave Sibilla della Marina militare italiana, nelle acque dell'Adriatico. Ricordo che nell'incidente erano morti tutti gli immigrati albanesi a bordo. La nave doveva essere recuperata dalla procura della Repubblica di Brindisi, dal collega Leone De Castris, il quale aveva affidato a una società l'incarico del recupero. Domandai, dunque, se si trattasse di una società affidabile, poiché tra colleghi ci si consiglia riguardo ai consulenti più affidabili o alle ditte più serie. Il collega mi disse che, avendo la ditta curato il ritrovamento di un'imbarcazione in un processo in cui era impegnata la Marina militare, sicuramente doveva considerarsi una ditta super partes.
Ciò nonostante, mi premurai affinché nelle operazioni a bordo vi fosse personale dell'allora NOE, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, quindi l'operazione non fosse svolta direttamente dall'impresa, ma fosse coadiuvata.
Tecnicamente non si trattava di un atto giudiziario, in quanto non avevamo conferito un incarico, non si trattava di una nostra consulenza e non pagavamo noi quell'attività; quindi, non si trattava di un atto a spesa di giustizia. Tuttavia - diversamente da come è accaduto a Cetraro, dove tutto è stato svolto in un rapporto tra assessorato e società che ha eseguito le ricerche - abbiamo richiesto la presenza di personale a bordo.
Ora si poneva il problema di dove cercare la nave. Avevamo un unico dato disponibile, quello dell'affondamento registrato negli atti giudiziari che erano stati fino a quel momento raccolti. Vi erano delle coordinate, le quali sono state consegnate alla ditta; contemporaneamente - questo è un dato che mi ostino a ripetere in questa vicenda, perché a mio avviso è tecnicamente non secondario - un altro problema consisteva nel trovare la prova che questa nave trasportasse sostanze radioattive. Dunque, ci rivolgemmo a una struttura dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che aveva già curato


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un'attività di questo tipo nel Mar Baltico: la ricerca di sommergibili nucleari russi affondati, per conto di vari Governi del Baltico preoccupati da questi affondamenti.
In questo caso, l'ente pubblico internazionale arrivò alla riunione organizzativa nel mio ufficio - tenete presente che stiamo parlando di 13 o 14 anni fa - presentando degli strumenti per la rilevazione di radioattività e di elementi radioattivi a profondità di certo inferiori a quelle del Mar Ionio (il Mar Baltico è notoriamente un mare di scarsa profondità).
A quel punto, dopo aver aperto le carte, svelai il luogo, perché naturalmente fino a quel momento non avevo detto dove si trovasse l'imbarcazione, per evitare problematiche di vario genere. Il clima non era sereno e poteva succedere qualunque cosa. Mostrai dunque le coordinate e i dati rilevati. A quel punto, la società incaricata del ritrovamento, l'Impresub, obiettò che i dati erano sbagliati, nel senso che le coordinate segnalate rispetto alla distanza e all'orientamento dalla costa non corrispondevano.
Naturalmente si creò una situazione di imbarazzo, poiché, quando tutti erano pronti per avviare la ricerca, indubbiamente non era facile spiegare che esisteva un problema di questo genere, ovvero che i dati che provenivano dall'inchiesta e che sembravano certi perché segnalati anche ai Lloyd's di Londra, e comunque recuperati attraverso una consultazione di pubblici registri, non erano veridici.
Ciò nonostante, pensai di risolvere la questione spiegando che con il rilevatore di radioattività avremmo potuto trovare quello che cercavamo. Questa mia idea fece sorridere i miei interlocutori, i quali obiettarono che l'acqua è il luogo più sicuro dove tenere materiale radioattivo, poiché evita dispersione. Dunque, a quella profondità, non si sarebbe potuto rilevare la presenza della nave carica di rifiuti se non arrivando esattamente sopra di essa. Se vi è una perdita di radioattività, infatti, questa si deposita sul fondo distruggendo naturalmente, col passare del tempo, tutta la fauna e la flora circostante, ma non si può disperdere come nell'aria.
Ricordo che mi dissero che non si trattava di una situazione come quella di Chernobyl; non seppi cosa rispondere, in quanto non mi ero posto un problema di questo tipo, ovvero che l'acqua rende molto difficili le ricerche. Si tratta di un problema generale: diversamente, mettendo un rilevatore si potrebbero individuare tracce di radioattività anche a parecchie miglia di profondità, ma nell'acqua questo non accade, soprattutto a quelle profondità.
Incassata la lezione di chimica nucleare, si trattava quindi di decidere se andare da una parte piuttosto che da un'altra. Tracciammo così un quadrilatero entro il quale effettuare le ricerche nella speranza, tra i due punti, cioè tra le coordinate e il punto nave, di tracciare una sorta di zona operativa, che è stata interamente battuta forse per un paio di settimane - con a bordo i carabinieri - ma non è stato trovato assolutamente nulla.
La ricerca fu condotta in maniera molto accurata. Rileggendo il decreto di archiviazione, in vista di questa audizione, ho trovato che a quella profondità, malgrado tutto, era stata trovata persino una bottiglia di birra. Ricordo di averlo riferito per sottolineare l'accuratezza della ricerca.
Mi fecero vedere i risultati, che sono ancora depositati presso la procura della Repubblica: le ricerche furono vane. Questo naturalmente è stato un colpo per l'indagine, perché senza una prova importante - che ancora, a distanza di anni, non si trova - e senza il corpo del reato è molto difficile discutere di dichiarazioni, dunque mancava un riscontro importante.
La vicenda Jolly Rosso, invece, ha avuto uno sviluppo investigativo più importante, nel senso che è stato rintracciato tutto l'equipaggio, elemento per elemento, per scoprire chi avesse disposto l'abbandono della nave e chi avesse decretato quella


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sera che la stessa non era in condizioni di navigare e quindi doveva essere abbandonata.
Tutto l'equipaggio è stato rintracciato, sono stati trovati tutti i marinai. Alla fine, tutto si è concentrato su un paio di persone che quella notte erano di turno. L'abbandono della nave - lo troverà scritto dettagliatamente nella richiesta di archiviazione - è avvenuto per un presunto spostamento di carico che avrebbe presuntivamente alterato la stabilità della nave e la sua navigabilità. Lo spiaggiamento della nave, dunque, risale a molto tempo prima dell'indagine.
Non vi sono state evidenze, se non il fatto, documentato dalle foto e dai filmati, che la nave era intatta e che venne poi smontata da questa società di nome Smit Tak, che cercammo di rintracciare con una rogatoria internazionale fatta alle autorità olandesi, se non sbaglio, che però non ebbe alcun seguito, anche per sapere da loro quanto fosse costata questa operazione di smantellamento che sembrava molto onerosa. Il primo dato evidente, infatti, rivelava che costava molto meno trainarla con un rimorchiatore fuori dalla secca piuttosto che smontarla per intero.
Va detto che in quel processo comparivano tante carte e non erano ben chiare le fonti; questo si collega a quella vicenda su cui ho mantenuto una posizione precisa, ossia quando il servizio segreto militare offrì, nel cambio di titolarità, di proseguire nell'attività di collaborazione.
Ricordo a mente che fosse una prosecuzione, ma comunque vedo in una nota di una dichiarazione alla stampa del collega Neri confermare il dato che il SISMI avesse collaborato nella prima parte.
Questa lettera arrivò in una doppia busta chiusa, cosa per me ignota. Ero stato giudice fino allora e, quindi, avevo poca esperienza di contatti che, per carità, magari sono anche normali. Operativamente anche in quegli anni si è lavorato con i servizi, nella misura in cui offrivano ausilio informativo, fino alla circolare Frattini, che fece divieto di queste forme di contatto. Non era il dato in sé che preoccupava, quanto il fatto che non fosse chiaro in che cosa si dovesse estrinsecare questa collaborazione. D'accordo con il Procuratore, la lettera venne cestinata e messa da parte, decidendo di non rispondere e di andare avanti per conto nostro.
Per quanto riguarda la motonave Jolly Rosso ci sono delle fonti testimoniali non tranquillizzanti e deposizioni importanti che mi sembrano, poi, il cuore della vicenda: ad esempio, il teste Zanello, il marinaio che sbarca e che non vuole proseguire il viaggio, il problema di questo smontaggio della nave non giustificato - a mio avviso non comprensibile, neanche economicamente - e l'esito che ha avuto il carico. In realtà, entrambe le navi erano preoccupanti dal punto di vista investigativo.
La questione della motonave Jolly Rosso si è conclusa per ragioni di competenza inevitabile: non vi era la possibilità di fare altro. Ricordo che, anche con una certa comprensione da parte del GIP, venni autorizzato a fare intercettazioni ogni qualvolta interrogavo i testimoni, giurando che lo avrei fatto solo per 4-5 giorni, il tempo necessario di capire se i testimoni, ossia i marinai contattati, a loro volta chiamassero qualcuno. Dal periodo dalla convocazione, quindi, a subito dopo l'audizione, li intercettavo per vedere se ci fosse qualche contatto. Nessuno ha chiamato nessuno per telefono. Da quel punto di vista, tuttavia, il GIP è stato molto comprensivo a dare i decreti di intercettazione.
Ad ogni modo, l'indagine è stata condotta in maniera abbastanza precisa e puntuale, per vedere di ottenere qualche informazione. Non è emerso niente altro di significativo.
La richiesta di archiviazione non archivia le due vicende. Per quanto riguarda l'affondamento della motonave Rigel, ritenuto doloso per le modalità, il luogo e la mancata richiesta di soccorso, gli atti sono stati trasmessi a La Spezia, ossia alla procura competente. Si trattava, infatti, di acque internazionali e La Spezia era il luogo in cui era immatricolata la nave,


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quindi dove il reato di affondamento doloso si è consumato (mi pare ci sia una sentenza a proposito).
Gli atti relativi alla Jolly Rosso, invece, sono stati mandati a Lamezia Terme. Dico questo giustificando un errore: la competenza, infatti, spettava a Paola, perché il territorio è a cavallo tra le due procure; tuttavia, siccome procedeva la sezione marittima della Guardia di finanza di Lamezia, ricordo di aver mandato a Lamezia, ma so che di qui gli atti sono stati trasmessi a Paola e il consigliere Greco ha svolto la parte successiva delle indagini.
Questo è lo scenario delle due inchieste, salvo i dettagli presenti nelle richieste di archiviazione.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Cisterna per le informazioni che ci ha fornito in questo lungo peregrinare al fine di venire a capo di questa situazione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PAOLO RUSSO. Ricorda se sono state attuate ulteriori iniziative di indagine, per capire se la Smit Tak, per il suo ingegno e anche per il suo background organizzativo, avesse strumenti, conoscenze e know how per effettuare grandi recuperi e se questo, in qualche misura, potesse giustificare il valore in sé della nave da recuperare?

ALBERTO MICHELE CISTERNA, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia. Ho un riferimento proprio a pagina 7 del provvedimento, che mi ha aiutato a ricordare alcune circostanze.
Ho scritto: «La commissione rogatoria espletata in Olanda, al fine di escutere i rappresentanti della Smit Tak, non ha dato alcun esito soddisfacente. In proposito, può essere sufficiente un richiamo al verbale della dichiarazione resa alla polizia di Rotterdam da un tale Bert Martin Kleliwegt, ispettore addetto al recupero della Rosso, il quale ha affermato che la decisione di rottamare la nave venne assunta in accordo con la società armatrice Messina, dopo aver constatato il successivo deteriorarsi dell'imbarcazione per effetto delle mareggiate. Affermazione questa del tutto incongrua, ove si consideri che il compito della Smit Tak era, per l'appunto, quello di recuperare la nave, evitando ogni ulteriore danno, comunque non utilizzandola oltre». Tecnicamente hanno sempre giustificato la scelta della Smit Tak, dicendo che era una società che avrebbe svolto questo compito. Credo che, anche da reperti fotografici, emerga che la nave è stata sezionata, tagliata a pezzi e portata via.
La Guardia costiera, la Guardia di finanza e il NOE, all'epoca, mi hanno riferito che questa operazione è costata una somma considerevole, sebbene la nave in realtà fosse intatta, tranne uno squarcio, e sarebbe stata dunque riparabile.
Ad ogni modo, che per la nave quello fosse l'ultimo viaggio emerge da tutte le testimonianze. Per averlo scritto, significa che ne ero anche intimamente molto convinto, avendo io direttamente escusso i testi su questo punto.
Come scrivo, forse non vi era un carico radioattivo, ma un carico di mine, perché esisterebbe un riferimento a un probabile trasferimento di mine. Tuttavia, è chiaro che la Jolly Rosso affrontava una sorta di ultimo viaggio, nella consapevolezza quanto meno di alcuni dei presenti.
Non credo che fosse già preordinata la scelta della Smit Tak, perché la nave fu abbandonata nella consapevolezza che sarebbe affondata. Essa, però, non affondò, per ragioni che attengono alla sua galleggiabilità, e abbandonata spiaggiò nel luogo in cui è stata ritrovata.

GERARDO D'AMBROSIO. Vorrei soltanto sapere se la questione della nave affondata davanti a Cetraro, quella di cui parla il pentito Fonti, era già emersa o al tempo non se ne parlava proprio?

ALBERTO MICHELE CISTERNA, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia. No, perché Fonti inizia a collaborare con


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la procura distrettuale di Reggio Calabria quando venne applicato il collega Macrì, il quale tra il 1994 e il 1995 svolge una serie di procedimenti. Fonti non parla di queste cose, non ne ha mai parlato, altrimenti la fonte di prova mi sarebbe stata naturalmente comunicata. Peraltro, Macrì è stato mio giudice di affidamento, quindi ci lega un legame particolare, e mi ha sempre detto di essere rimasto colpito, ex post, dal fatto che il pentito non abbia mai parlato con lui di queste cose, nel momento in cui lo trattava da applicato al suo procedimento e alla sua posizione.
Fonti ha cominciato a parlarne solamente nel 2003, ma in quell'anno mi trovavo già fuori dalla procura distrettuale di Reggio Calabria da un anno ed era stata richiesta l'archiviazione dell'indagine due o tre anni prima.

GERARDO D'AMBROSIO. Quando arrivò una sentenza definitiva, della Rigel si occupò La Spezia?

ALBERTO MICHELE CISTERNA, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia. Sì.

GERARDO D'AMBROSIO. Neanche il pentito Di Giovine, di cui si parla adesso...

ALBERTO MICHELE CISTERNA, Sostituto procuratore nazionale antimafia presso la Direzione nazionale antimafia. A questo riguardo esiste una storia particolare. Con Di Giovine ho avuto un incontro. Tenga presente che in quegli anni lavoravamo spessissimo nella procura di Milano, soprattutto nella procura distrettuale antimafia di Milano, e ad occuparsi della questione di Di Giovine era, in particolare, il collega Maurizio Romanelli.
Trovandomi a Milano per indagini riguardanti vari processi, e lì vi era già una collaboratrice di giustizia che credo fosse la sorella di Emilio Di Giovine, Maurizio Romanelli mi raccontò di una perquisizione fatta a carico di un tale Cranendonk di cui si parla nella richiesta di archiviazione. Nel corso di questa perquisizione venne trovata - ricordo che era negli armadi blindati della stanza del collega Romanelli - una vasta documentazione riguardante questo soggetto, che peraltro era il padre della compagna di Emilio Di Giovine (che quindi era legato da un forte vincolo perlomeno con la figlia di costui, di qui la ragione dell'attenzione). Si trattava di un cittadino svizzero, e quella documentazione era inerente a un traffico d'armi e traffico di materiale radioattivo di vario genere, non rifiuti, ma materiale destinato alla fabbricazione di armi. Quindi, era un personaggio di grandissima caratura. Tutta questa documentazione era stata consegnata a Romanelli in seguito a una perquisizione eseguita su sua rogatoria in Svizzera.
Il riferimento a Di Giovine ci portava alle cosche della 'ndrangheta calabrese, ma anche Emilio Di Giovine ha collaborato, sebbene molti anni dopo. Sono certo che abbia collaborato almeno dal 2003-2004, quando ero già in procura nazionale. Di Giovine rappresentava un collaboratore di assoluto rilievo, in quanto era capo della sua famiglia ed era detenuto in Portogallo. Ricordo che per cercare di farlo evadere venne organizzato un commando di calabresi che tentò con un elicottero di farlo scappare da un carcere, ma vennero tutti arrestati. Quindi, sto parlando di un personaggio di grande caratura. Se Emilio Di Giovine, dunque, è a conoscenza di queste storie si tratta di informazioni di livello molto elevato. Si tratta sicuramente di un capomafia ed è considerato un collaboratore assolutamente attendibile - almeno nei miei ricordi - e utilizzato con grande convinzione da parte delle procure.
Quindi, se Di Giovine conosce certe questioni e può ricollegarsi, come è scritto nella richiesta di archiviazione, a Cranendonk e spiegare se ci sono dei collegamenti, sarebbero sicuramente informazioni molto preziose.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il sostituto procuratore Cisterna di questo ulteriore contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

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