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Resoconti stenografici delle audizioni

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
54.
Mercoledì 19 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3

Audizione del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Maria Cristina Ribera:

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3 7 9 11 12 13 14
Bratti Alessandro (PD) ... 6 11 12
De Angelis Candido (PdL) ... 6 12
De Toni Gianpiero (IdV) ... 13
Ribera Maria Cristina, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ... 3 6 7 9 11 12 13 14

ALLEGATO ... 15

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Seduta del 19/5/2010


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...
Audizione del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Maria Cristina Ribera.

PRESIDENTE. L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta svolgendo sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti per la regione Campania e ci auguriamo anche per quanto riguarda la Cina rispetto alla nostra futura missione in quel Paese.
Avverto la nostra ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandola comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Do quindi la parola a Maria Cristina Ribera, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Ho scelto di fare questa presentazione in Powerpoint, esportando un facsimile di lezioni effettuate sia in occasione delle elezioni all'ordine degli avvocati, sia in formazione decentrata ai miei colleghi di altri distretti. La vostra Commissione si occupa specificamente del circuito lecito e illecito dei rifiuti, tematica che, per quanto molto discussa in maniera sistematica dagli organi di informazione, purtroppo continua a non essere molto investigata dagli operatori.
Mi occupo di questa tematica da quasi una decina di anni e ho potuto esportare le conoscenze tecniche acquisite durante la mia preparazione come magistrato delle sezioni ordinarie ambiente e pubblica amministrazione allorquando, un paio di anni fa, sono stata assegnata alla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli. Non è casuale che da quel momento la Procura di Napoli sia riuscita a ottenere dei risultati, non per mio merito, ma semplicemente perché ero in possesso di un bagaglio tecnico specifico, in grado finalmente di poter collocare l'agire illecito di alcuni gruppi al funzionamento dei gruppi camorristici, in questo caso specifico al clan Belforte operante in Marcianise, nel casertano, e di verificare le modalità con cui i camorristi, attraverso lo sfruttamento delle imprese operanti nel settore dei rifiuti, effettuano attività di reimpiego di fondi illeciti.
Mi scuserete quindi se l'inizio della mia relazione si rivelerà inadeguato o banale, ma, non sapendo fino a che punto le vostre conoscenze siano approfondite, mi è sembrato opportuno partire dai primordi.
Le categorie dei rifiuti costituiscono un aspetto molto importante per capire le modalità con cui si effettua il loro traffico, perché la divisione dei rifiuti è data dall'origine


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e dalla caratteristica di pericolosità. Ogni tipo di rifiuto, sia speciale che urbano, comprende categorie di rifiuti pericolosi e non pericolosi. Questo è molto importante perché ci darà modo di capire come sia aggirata la normativa di settore e di svelare attività delittuose, quindi non contravvenzionali, quali sono configurabili nell'attuale attivamente come traffico organizzato di rifiuti e disastro ambientale.
A prescindere dai successivi spunti di riflessione, per quanto ho potuto verificare il disastro ambientale innominato, la fattispecie di cui all'articolo 434 del codice penale, ci dà la possibilità di attuare un contrasto piuttosto efficace. Tutti i lavori di preparazione, di modifica e di risistemazione di questa normativa presentano caratteristiche francamente negative rispetto all'attuale panorama. Il disastro ambientale attualmente è un delitto di pericolo presunto, mentre ho verificato che tutti i progetti cercavano di agganciare questo tipo di reato sempre al verificarsi di un pericolo, quindi di un pericolo concreto, con tutto ciò che ne deriva.
Dalla natura del rifiuto e dalla sua origine discende l'attribuzione della carta di identità del rifiuto, il CER, che dovrebbe essere riprodotto nel documento di trasporto, che è il formulario di identificazione rifiuti (FIR). Nella pratica investigativa, abbiamo constatato come il traffico organizzato dei rifiuti funzioni sistematicamente mediante la declassificazione del rifiuto con la cosiddetta tecnica del «giro bolla». Al rifiuto viene infatti modificato il CER riprodotto nel FIR, in modo da classificarlo formalmente affinché possa essere gestito, trasportato e alla fine smaltito in maniera illecita, perché fittiziamente declassificato da pericoloso a non pericoloso.
Ho voluto qui riprodurre, nella diapositiva numero 6, un caso palese di giro bolla. Si tratta di un'immagine in cui chi è campano riconoscerà le campagne di Cancello e Arnone, dove i trasportatori di rifiuti si incontravano con coloro che portavano i documenti e ricevevano i formulari FIR, ovvero la nuova documentazione attestante che i rifiuti trasportati da questi camion hanno subìto un trattamento in un impianto, mentre invece il cambio avviene esclusivamente in maniera documentale.
Questi, riprodotti a pagina 7, sono alcuni dei formulari che ho esibito in un dibattimento, attualmente in corso dinanzi al tribunale di Napoli. Le persone coinvolte nel processo, Pellini, Buttone e altri - di cui ho spesso riferito anche in Commissione -, sono riusciti ad agire per lungo tempo indisturbati anche grazie a pesanti coperture garantite loro sia dalle istituzioni pubbliche addette al controllo, sia dalle forze dell'ordine.
Uno dei principali imputati era un maresciallo dei Carabinieri, che gestiva in proprio rifiuti con la società Pellini Srl. La particolarità di questo processo è che in dibattimento abbiamo contestato l'aggravante dell'agevolazione camorristica a favore del clan Belforte, di cui Buttone Giuseppe è uno dei componenti apicali. Buttone Giuseppe in questo procedimento è uno degli intermediatori ed è destinatario di un'altra misura cautelare, misura a giudizio finale di cui ho portato il supporto alla Commissione, perché è importante che per la prima volta venga giudizialmente riconosciuta la qualità di organizzatore e capo del clan Belforte a un soggetto che viene definito come braccio imprenditoriale del clan inserito nella gestione dei rifiuti. Credo quindi che per gli investigatori sia stato un traguardo molto importante.
Ho voluto identificare i vari passaggi del giro bolla, per mostrare come, con la sostituzione dei documenti, il rifiuto che aveva come causale smaltimento D15, quindi finale in discarica, viene avviato a recupero R13 e riutilizzo. Tra l'altro il codice R13 indica semplicemente il deposito in vista delle lavorazioni successive.
Si capisce che si tratta di un giro bolla constatando che la quantità è identica, 35.800 chili nei due formulari, la data e l'ora sono pressoché identiche, il trasporto inizia alle ore 13 e qui finiva ore 12. Questi rifiuti certamente non possono essere stati scaricati, lavorati, ricaricati. Ci sono numerosi casi del genere. Questo artifizio, che può sembrare anche grossolano,


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purtroppo viene realizzato in maniera sistematica, perché per mettere insieme i due formulari stabilendone il nesso è necessario, paradossalmente, molto tempo.
Seguire il rifiuto dall'origine fino alla fine, mettere insieme tutte le varie tappe e confrontarle è un'operazione che riesce con molta difficoltà, occorre molto impegno per ottenere un piccolo risultato.
Per considerarlo traffico organizzato di rifiuti, dovremmo affermare che non solo questo carico sia stato lavorato e gestito in maniera illecita, ma che questa attività sia effettuata in maniera sistematica, con la consapevolezza di tutti i partecipi all'operazione. Perché questo delitto abbia possibilità di essere efficacemente perseguito con il collegamento alla criminalità organizzata, sarà necessarie investigazioni ancora più difficoltose e pregnanti.
Vorrei ricordare alcune sentenze della Corte di cassazione, che hanno dato forza a questa figura giurisprudenziale. Mi piace sottolineare che molte di queste sentenze sono state sollecitate in forza di provvedimenti e indagini da me istruiti, come nel caso delle sentenze Buttone e Pellini, il sequestro dei beni: Mezzi e Azienda o i rapporti con l'articolo 416 e 416 bis del codice penale. Per chi come me opera come studioso del diritto è stata una grande soddisfazione.
Questa, riprodotta a pagina 9 dell'allegato, è una foto collegata a quella precedente, utilizzata per descrivere il giro bolla. Questo è l'impianto Biofert di Cancello e Arnone, di cui ho parlato in altre audizioni. Dovrebbe essere un impianto di compostaggio, ma vediamo chiaramente che fine facessero i rifiuti e di che tipo fossero. Non era certo compost, per cui, come ho scritto nella didascalia, si è passati dal traffico illecito al disastro ambientale, perché l'inconsulto sversamento dei rifiuti nelle campagne provoca l'assoluta degenerazione delle matrici suolo e acque.
Per quanto riguarda il famoso triangolo della morte della zona nolana tra Acerra, Nola e Marigliano, gli imputati, i Pellini, avevano due impianti proprio nell'acerrano, ma non è stato possibile individuare tutti luoghi di sversamento dei rifiuti anche per un assoluto clima di omertà che circonda questo tipo di illeciti. Questi sversavano anche direttamente nei Regi lagni i rifiuti che sarebbero stati destinati alla lavorazione.
Questa, riprodotta a pagina 11, è una delle cave. Nella mia esperienza ho verificato una differenza di tipologie di smaltimento. Mentre nel triangolo della morte gli smaltimenti illeciti avvengono prevalentemente in terreni e canali, la zona del giuglianese, storicamente occupata da cave, molte delle quali in disuso, è interessata da smaltimenti illeciti in cave. Tale tematica è stata oggetto del processo «Mazzettus» per l'attribuzione di provvedimenti di autorizzazione per lo sfruttamento di queste cave, che ha portato alla condanna di tutti gli imputati almeno in primo grado. Questo tipo di smaltimento illecito comporta conseguenze devastanti, forse persino più terribili degli sversamenti puri sul terreno, perché queste cave hanno una capienza enorme, come come si evince dalla fotografia in cui gli alberi di alto fusto appaiono piccoli rispetto all'invaso. Considerando che nei dieci anni in cui mi sono occupata di questa materia nessun terreno, cava o sito sequestrato è stato oggetto di bonifica, ci rendiamo conto della gravità e dell'entità del problema.
Questi sono alcuni elementi chimici notoriamente cancerogeni, che sono stati rinvenuti nelle matrici di rifiuti sversati in questi siti.
Per quanto riguarda le esigenze di bonifica, mi preme sottolineare che abbiamo un ottimo costrutto normativo, ma come operatore pratico devo segnalare che purtroppo è rimasto sulla carta tranne che per alcuni siti di interesse nazionale. Mi sono occupata di alcune parti delle bonifiche di Bagnoli e di Napoli orientale, dove, essendoci l'intervento statale, paradossalmente l'interesse economico degli operatori è l'opposto di quello che solitamente muove i privati. Dove si devono muovere i privati non vi è mai volontà di bonifica, perché bonificare costa molto,


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mentre con l'impulso, l'interesse, la sovrintendenza del pubblico vi è anche un interesse a classificare tutto come pericoloso, al contrario di quello che normalmente accade. Laddove è presente una piccola dismissione di amianto verificheremo che si è molto premurosi nel classificare tutto come pericoloso, perché i costi non ricadono esclusivamente su chi deve fare l'opera e quindi vi è l'interesse contrario a quello che muove ordinariamente l'impresa, che è quello di ridurre i costi e aumentare giustamente i profitti.

ALESSANDRO BRATTI. Lei fa ovviamente riferimento ai siti di interesse nazionale per i quali esiste un finanziamento pubblico...

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Certo, perché altrimenti avviene il contrario. Dove emergono problemi tecnici seri quali il rinvenimento di rifiuti difficilmente smaltibili come morchie di verniciatura, residui di idrocarburi, polveri di abbattimento fumi pericolosi, rifiuti che non hanno un mercato appetibile, ma richiedono costi di gestione molto forti e provocano una difficoltà nella gestione dello smaltimento e della bonifica, accade sempre la stessa cosa: declassificazione del rifiuto e sviluppo del traffico illecito in maniera ordinaria.
Il sistema individuato dal legislatore prevedeva uno stringente obbligo di bonifica; l'attivazione di intervento pubblico in supplenza, purtroppo, non mi sembra stia funzionando.
Vorrei ricordare un caso in apparenza piccolo, ma esemplificativo. Molti anni addietro, è stata sequestrata una serie di luoghi di custodia delle auto perché erano diventate discariche. Chi conosce Napoli ha presente anche il sito che, provenendo dall'autostrada Roma-Napoli ed entrando a Napoli, si trova sotto i pali dall'autostrada. Tale distesa di macchine alla rinfusa rappresenta uno dei siti sequestrati. Il gestore è stato condannato in primo grado, con sentenza esecutiva, ma era stata disposta la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata alla bonifica del sito.
Un giorno, passando casualmente dietro alle aule di udienza notai un avvocato che stava discutendo della bonifica. Dopo qualche minuto, una cancelliera mi chiamò perché era in corso un incidente di esecuzione di natura specialistica ed era stato chiesto un PM della sezione ambiente. Nel verificare, mi resi conto che si trattava di questo famoso Burrelli, che affermava di non poter bonificare, nonostante gli sforzi.
In quel caso sono intervenuta e ho potuto contrastare la tesi difensiva, perché la norma è chiara, non lascia spazio: la bonifica non si fa alla rinfusa, c'è bisogno di seguire una procedura molto ben delineata. Anche in quel caso, però, ho verificato che dopo un processo e una condanna ancora oggi è difficile che l'intervento giudiziario sia veramente cogente, perché, fino a che non si obbliga chi contravviene a elidere le devastanti conseguenze del suo operato, non si otterrà nulla. È troppo comodo subire una piccola condanna, priva di esiti negativi quanto all'esercizio delle professioni, e lasciare poi sempre al pubblico, sempre allo Stato, l'onere di provvedere.
Vorrei andare oltre, per non concentrarmi esclusivamente sul disastro ambientale.

CANDIDO DE ANGELIS. Vorrei sapere se i Belforte fossero direttamente implicati con una loro ditta.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Certo, con varie ditte come Ecomediterranea.

CANDIDO DE ANGELIS. Riconducibili personalmente o attraverso scatole cinesi?

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. No, Buttone Giuseppe è il diretto gestore di questa società.
A mio avviso, lo strumento del disastro ambientale come disastro innominato mi


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soddisfa, perché lascia una possibilità di manovra dal punto di vista tecnico-giuridico, che manca in tutte le altre sperimentazioni. Preferisco un delitto a pericolo presunto che un delitto colposo, ma agganciato a una individuazione di un pericolo concreto. Può sembrare una contraddizione, ma non è così perché, laddove il traffico di rifiuti organizzato, a cui si accompagnano sempre altri delitti, come falsi formulari, fatture per operazioni inesistenti, si riesce ad agganciare all'operatività di un gruppo camorristico, ne deriva quasi automaticamente la possibilità di costruire il disastro ambientale. È infatti sufficiente il dolo, giacché è difficile sostenere che chi in maniera sistematica sversa negli alvei e nei terreni non abbia accettato il rischio di degradare in maniera irreversibile quelle matrici ambientali.
Dall'attività investigativa è però risultato molto più difficile individuare i singoli siti di smaltimento finale. Mentre quindi nelle intercettazioni si rileva una frenetica attività di sversamento in tanti terreni, è sempre molto difficile individuare più di 4-6 terreni o luoghi di smaltimento finale dei rifiuti. Mentre inoltre lo sversamento del rifiuto sul terreno produce una irreversibile e sempre individuabile degenerazione della matrice ambientale, non è così per il rifiuto liquido, perché, se anche sistematicamente si sversano rifiuti negli alvei, finché la matrice non può dirsi degradata da quella attività di sversamento, francamente diventa molto difficile provarlo.
Si potrà quindi constatare il pessimo stato del mare, ma non sostenere che quello sversamento di rifiuti colposo o doloso abbia provocato quella degenerazione. Talvolta, quindi, invece di semplificare e rendere più agevole la prova ipotizzando il reato come colposo, si fa un danno. Sono quindi soddisfatta dall'articolo 434, disastro innominato, con l'aggravante del secondo comma, se si riesce a verificare che il pericolo si è prodotto, come nel caso di specie. Queste contestazioni sono state elevate in alcuni processi. Attualmente, ne ho due, Pellini e un altro, che era oggetto dell'operazione Re Mida, di cui ho parlato in Commissione, altro processo in cui ho contestato al dibattimento l'aggravante dell'articolo 7 della legge 203 del 1991 per alcuni degli imputati, gli organizzatori del traffico, per essere l'attività connessa all'operatività del clan Bidognetti, operante nel gruppo del clan dei Casalesi.
Queste a pagina 14 sono alcune pronunzie che si sono occupate dell'articolo 434 individuandone la legittimità costituzionale e da ultimo la sentenza 327 del 2008 della Corte costituzionale, che ha riconosciuto definitivamente la piena costituzionalità di questa norma.

PRESIDENTE. Mi domandavo se anche rispetto al pericolo presunto.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Per quanto mi ricordi non hanno investigato questo punto. Questo fu un aspetto che trattai perché sempre nella famosa misura Pellini e altri, l'operazione Ultimo atto carosello, il GIP, concedendo le misure cautelari per una serie di reati, aveva qualificato il delitto come la fattispecie colposa dell'articolo 452 del codice penale.
Non ho condiviso la ricostruzione giuridica di questa fattispecie, che ho impugnato dinanzi al Tribunale del riesame, che ha accolto la mia impugnazione, perché la colpa emerge per negligenza, imprudenza, imperizia o per una violazione colposa, quindi non volontaria nel senso intenzionale di provocare un disastro. Queste persone sversavano sistematicamente in maniera consapevolmente illecita sui terreni e negli alvei, per cui la ricostruzione dell'elemento psicologico a me sembrava nettamente dolosa e non colposa. Ho quindi impugnato, agganciando la ricostruzione anche al fatto del pericolo presunto, perché c'è il problema della carenza del riscontro. Tra l'altro, nel caso concreto il pericolo si era verificato, per cui è contestato il comma 2.
Su impugnazione delle difese, questa questione è stata portata alla Corte di


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cassazione ed è una delle sentenze prima citate, la sentenza Pellini, perché la Corte di cassazione ha riconosciuto che ove vi siano lo sversamento sistematico e la degenerazione delle matrici ambientali si possa parlare di disastro ambientale. Abbiamo quindi indirettamente sollecitato la Corte di cassazione anche su questo aspetto. Il fatto del pericolo presunto non è stato specificamente impugnato, lo trattai solo in sede di impugnazione nella ricostruzione del delitto.
Fino alle prime ordinanze nel 2005, ci eravamo fermati a ricostruire il traffico dei rifiuti sviluppando solo il traffico illecito. Per rendere presenti le esigenze cautelari in questo famigerato procedimento Pellini, perché il GIP non rispondeva e avevo paura che potesse arrivare un diniego per mancate esigenze cautelari, decisi di attivare le indagini della Guardia di finanza per verificare come avessero gestito dal punto di vista fiscale l'enorme reddito prodotto dal traffico dei rifiuti.
Grazie a quella intuizione iniziale, ho potuto verificare che il traffico di rifiuti si accompagna sempre a reati di natura fiscale. In più occasioni ho sollecitato le forze dell'ordine a coordinarsi, ma sarebbe opportuno un raccordo a livello centrale, perché è ormai acclarato che dove esiste un traffico organizzato di rifiuti c'è sempre un reato di natura fiscale.
Poiché il traffico di rifiuti comporta utili enormi, è infatti indispensabile per l'imprenditore che opera illecitamente abbassare il reddito imponibile e crearsi costi fittizi attraverso fatture per operazioni inesistenti, organizzate in maniera più rozza e semplice con una società cartiera laddove il traffico è piccolo, ed in maniera molto più ampia con un carosello di società (l'operazione si chiamava infatti «Carosello») tutte collegate tra di loro da rapporti di dare e avere falsi, volti proprio a creare l'immagine di costi che non avevano ragione di essere.
L'altro reato corollario del traffico organizzato dei rifiuti è quello dei falsi nei provvedimenti autorizzatori. Ormai è alle ultime battute il processo a carico del capo clan Marano Giorgio e altri soggetti pure collegati al clan dei Casalesi. La requisitoria del PM è slittata per un'astensione degli avvocati, altrimenti il processo sarebbe già definito, ed è prevista per l'11 giugno. Si è constatato come l'operatore che vuole lavorare illecitamente si faccia rilasciare dei provvedimenti sulla base di false certificazioni ad esempio quanto alla destinazione urbanistica del sito o nelle procedure semplificate, laddove dichiari di voler effettuare una determinata attività di recupero dei rifiuti, quindi determinate quantità, determinate lavorazioni, determinati cicli di lavorazioni, dichiari il falso perché non esegue quelle lavorazioni.
Questo è utile perché consente di contestare non solo il falso in atto pubblico, ovviamente falso per induzione, ma anche la truffa ambientale ai danni degli enti pubblici, tanto che in questi processi abbiamo la costituzione di parte civile non solo dell'Avvocatura dello Stato, ma anche di Regione, Provincia o singoli Comuni.
I falsi nei provvedimenti autorizzatori sono spesso connessi ad attività corruttive. Questa è la citata «Operazione Mazzettus» che prende il nome da una mazzettina da 750 euro, per evidenziare come in questi uffici basti poco per falsificare un provvedimento che però avrà conseguenze devastanti. Per 750 euro stavano attivando una cava, in cui sarebbero stati illecitamente allocati milioni di tonnellate di rifiuti. In questo caso, che è stato filmato, è andata così: uno dei due conta parte del denaro, lo sistema e poi si stringono la mano, per cui sono stati condannati.
Ricordo lo sconcerto paradossalmente causato non tanto da questo segmento del filmato, quanto dalla constatazione di come in questo ufficio non si facesse niente, se non queste piccole pratiche illecite: o dormivano o guardavano immagini pornografiche nel computer. Nelle intercettazioni si sentivano proprio russare. Questo fu eclatante: un ufficio piccolo che lavora completamente l'illecito.
Sappiamo tutti cos'è una FOI, la fattura per operazione inesistente. C'è il traffico dei rifiuti, c'è questo carosello societario, si sviluppano tutti i dati del traffico di rifiuti rispetto alle risultanze delle investigazioni


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fiscali. Non a caso ho sempre condotto queste indagini con gruppi interforze, ovvero polizia specializzata nel contrasto ai delitti di natura ambientale, alcuni bravissimi marescialli dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, e Guardia di finanza. In questo modo si riesce a ricostruire il gruppo di società riferibili a uno stesso ristretto gruppo di soggetti fisici.
Una volta individuato il gruppo societario si riesce a ricostruire il patrimonio dei singoli soggetti che fanno parte del gruppo e le vicende delle società, per cui emerge - è questo il dato importantissimo - la sproporzione reddituale. Spesso, soggetti che non sono nulla in quanto prestanome hanno partecipazioni a numerose società che produrrebbero un alto reddito o hanno intestati tantissimi beni.
Studiando i flussi economici, si vede che tutte le società del gruppo hanno rapporti strettissimi tra di loro, e si individuano i collegamenti tra le varie società. Questo valore della sproporzione è un valore sintomatico rispetto a condotte illecite, che possono essere anche ulteriori e diverse rispetto a quelle del semplice traffico di rifiuti e della semplice violazione fiscale e finanziaria. È quindi necessario studiare il contesto in cui questi soggetti si muovono: il profilo oggettivo e soggettivo, la personalità degli indagati e infine l'incrocio di queste risultanze con le propalazioni dei collaboratori di giustizia.
È inutile negarlo: è stato possibile contestare l'aggravante dell'articolo 7 della legge 203 del 1991 solo al momento in cui i collaboratori di giustizia hanno cominciato a rilasciare dichiarazioni, altrimenti saremmo rimasti indietro; l'investigatore era riuscito a ricostruire un gruppo, il traffico dei rifiuti, violazioni fiscali e ad evidenziare enormi sproporzioni di reddito, di flussi di denaro senza spiegazione, che però si sono colorati della matrice camorristica solo grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Senza un collaboratore che testimoni che un soggetto faceva il traffico dei rifiuti perché era il braccio economico del clan al quale pagava una percentuale dei profitti, l'aggravante dell'articolo 7 non è contestabile per quanto riguarda il traffico organizzato dei rifiuti, le fatture per operazioni inesistenti, il disastro ambientale, e ancor più non sarebbe possibile ricostruire il 416-bis per questi bracci economici operanti nel settore dei rifiuti oppure in altri contesti imprenditoriali. Nelle ultime investigazioni di cui mi sono occupata, il braccio economico del clan Mallardo è stato individuato in due fratelli latitanti Dell'Aquila solo grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che hanno consentito, come nel caso di Buttone e di Giovanti per il clan Belforte o di Marano Giorgio e di Cardiello per il clan Bidognetti, di colorare l'illiceità agganciandola alla mafia.

PRESIDENTE. Mi scusi, poiché lei ha questa conoscenza così estesa e quasi sistematica della criminalità in Campania e che si è occupata di rifiuti, vorrei chiederle quali gruppi criminali in Campania si siano occupati del traffico. Lei ha citato Belforte, Mallardo e via elencando...

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Purtroppo, come investigatore con un'esperienza limitata, credo che come per numerosi altri ambiti paghiamo anche una grande sproporzione di collaboratori per alcune aree rispetto ad altre.
Per quanto riguarda il casertano, per una serie di motivazioni abbiamo avuto la fortuna di avere una stagione di collaboratori molto intensa. Anche se il casertano è uno dei territori più bistrattati sotto il profilo ambientale, interessato da numerosi fenomeni di sversamenti illeciti, per altri clan come quello dei Mallardo abbiamo quasi un'assenza di collaboratori, ancora di più nel nolano. In base alle attuali conoscenze, sappiamo quali sono stati gli interessi dei Casalesi in questo settore. Nella stagione precedente, quella dei primi collaboratori, Galasso e Alfieri hanno dato un panorama di tutta la criminalità organizzata campana, ma parliamo degli anni Ottanta.
Dalla metà degli anni Novanta, paghiamo un grande dislivello nel numero


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dei collaboratori. Mentre per quanto riguarda il casertano ci sono tantissimi collaboratori e fortunatamente anche alcuni di ottimo livello per quanto riguarda la gestione illecita dei rifiuti, non è così per altre realtà, specificamente tutto il giulianese, il maranese, che sono territori molto interessati all'attività di gestione illecita dei rifiuti. È impensabile che il gruppo egemone di questi clan che - mi permetto di dirlo - sono di una organizzazione eccezionale (a Giugliano, ogni cinquanta metri c'è una vedetta, per non parlare di Villaricca o di Marano, dove ci sono stati investimenti corposi, leciti e illeciti, in questo settore) non abbia avuto un controllo, diretto o indiretto, o comunque una conoscenza approfondita.
L'interesse di un gruppo camorristico può svilupparsi in tanti modi, dalla semplice imposizione di una grossa tangente estorsiva a una interessenza diretta, a una gestione indiretta. È troppo azzardato ipotizzare come. Il nolano per me è un mondo sconosciuto, ma anche lì, nel Triangolo della morte, non si può pensare che non ci siano interessi della criminalità nel settore. Da cittadino si dice che è possibile, ma come operatore si può solamente ammettere che non sappiamo niente.
Vorrei tracciare due punti di analisi. Da questa ricostruzione si è evinto che ordinariamente la società collegata al gruppo camorristico s'inserisce in due settori specifici della gestione del rifiuto: non è quella che produce, ma ordinariamente effettua intermediazione o smaltimento. Credo che questo dato non sia casuale.
Le società di Pino Buttone, di Ecomediterranea, come pure Cardiello per Bidognetti hanno sempre questo ruolo, perché si tratta di una prestazione di intermediazione: non fanno niente se non mettere in contatto due soggetti. È il tipico caso in cui si può chiedere una somma di danaro formalmente in maniera lecita, ma in realtà rivolgendomi a qualcuno per smaltire in determinati luoghi, tutti collegati tra loro, perché altrimenti nessuno intermedierà il rifiuto che deve essere smaltito in quella zona della Campania, perché gli altri non si mettono in concorrenza con l'intermediatore, che ha quasi il monopolio di quel determinato circuito.
Con lo smaltimento purtroppo illecito sui terreni abbiamo l'altra faccia del controllo camorristico: non solo controllo del mercato, come nell'intermediazione, ma controllo del territorio in senso tecnico. Questa gente poteva smaltire perché aveva il controllo di tutti gli agricoltori della zona, come nel caso del processo Marano Giorgio. Abbiamo interessanti intercettazioni in cui si dichiara: «Questa è zona nostra, quindi stiamo a posto», perché esiste il controllo di tutto quel luogo. D'altra parte, in questa sede raccontai un altro elemento emerso dall'Operazione Re Mida. Da alcune telefonate di Diana Raffaele collegato a Cardiello e a Roma Elio, a loro volta collegati ai Casalesi e agli Schiavone, si è appreso che per smaltire avevano apprestato una rete di pastori (si sentivano i campanacci nelle telefonate), che li avvisavano di eventuali controlli delle forze dell'ordine sul territorio, affinché non scaricassero se c'era la pattuglia della Forestale o della Guardia di finanza in giro.
Si riesce a ottenere questa efficienza esclusivamente attraverso un controllo assoluto del territorio. La sintesi dell'analisi investigativa si articola quindi in traffico dei rifiuti, indicazione del gruppo societario, individuazione del rapporto con il clan. Dallo studio dei flussi si vede che gli enormi ricavi del traffico di rifiuti sono il reimpiego di provviste illecite, perché in questa ultima misura a giudizio finale si rileva che parte dei proventi illeciti delle estorsioni, del traffico di droga convergeva nelle società che gestivano illecitamente i rifiuti, con un percorso che va dal traffico di rifiuti alle imprese controllate dal clan, in totale sinergia.
Anni fa, altre Commissioni parlamentari riferivano del camorrista imprenditore, il famoso Perrella Nunzio di cui parlava l'ex Procuratore aggiunto Franco Roberti, mentre ora siamo passati alla figura dell'imprenditore camorrista. Mentre prima soggetti notoriamente conosciuti come camorristi avevano imprese che gestivano


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i rifiuti, ora alcuni imprenditori hanno un controllo quasi monopolistico di alcuni ambiti di questo settore, che però sono il braccio economico del clan, quindi dal camorrista imprenditore all'imprenditore camorrista. Questa è l'idea che sono riuscita a maturare durante questa mia esperienza pratica.

PRESIDENTE. Grazie. Ci ha consentito anche di collocare tutti i tasselli delle inchieste fatte sinora in un quadro razionale e completo.
Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei chiederle qualche elemento ulteriore su questa passaggio tra camorrista imprenditore e imprenditore camorrista. Se ho capito bene, il camorrista imprenditore svolgeva anche attività di impresa, ad esempio nello smaltimento di rifiuti. Vorrei sapere invece quale sia l'imprenditore camorrista, anche per individuarlo.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Infatti è molto difficile individuarlo. Credo che sia questa la nuova frontiera della lotta alla criminalità organizzata, ai patrimoni illeciti, non solo nel settore dei rifiuti. Non a caso ho citato l'esperienza con i Mallardo. Non conosco molto bene altre realtà, come quella degli Scissionisti, che pure sono un grande clan, quindi mi soffermo sulle realtà che ho potuto investigare e conoscere da vicino.
Fino a un anno fa, Pino Buttone, fratello di Buttone Maria, moglie del capo clan Belforte Domenico, aveva tante partecipazioni nelle imprese dei rifiuti, era un grosso imprenditore operante nel settore dei rifiuti per quanto riguarda l'intermediazione, ho citato le società Cepi Ambiente S.a.s., Sem ed Ecomediterranea al centro di faticose indagini.
Solamente dopo questo sforzo investigativo molto forte e pervicace, alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di tutti i riscontri operati, è emerso che Buttone Giuseppe non è un operatore economico che agisce più o meno legalmente, ma è veramente la persona di riferimento per il clan Belforte che gestisce il settore dei rifiuti insieme a Di Giovanni Pasquale, che era il suo alter ego. Si vanta infatti di lavorare da vent'anni in questo settore, offendendosi di essere considerato un camorrista. Questo è l'imprenditore camorrista.
Così come siamo riusciti a individuare Buttone Giuseppe per il clan Belforte, stiamo facendo per altri clan. Il clan Mallardo ha un tipo diverso di investimenti, soprattutto nell'edilizia e nelle concessionarie auto. Capire se e perché i fratelli del capo clan Dell'Aquila Giuseppe siano non dei semplici imprenditori, ma bracci economici del clan, deputati a uno specifico settore, è l'investigazione che consente di individuare un imprenditore camorrista.
Arrivare al camorrista imprenditore è facile, perché il capo clan con sentenze passate in giudicato, al centro di indagini per omicidio, estorsioni, droga, usura, aveva cointeressenze e appalti diretti, perché prima erano più rozzi. Probabilmente, quello che siamo riusciti a trovare per il clan Belforte o per il clan Mallardo tra quattro o cinque anni non potrà più essere trovato, perché finora questi soggetti erano «sprovveduti», erano abituati a lavorare senza incorrere in indagini invasive, consistenti ed efficaci. Se hanno intelligenza e furbizia, i nuovi imprenditori camorristi appresteranno altre cautele. Probabilmente, avranno rapporti meno diretti con bancari, cambieranno in maniera non sistematica nello stesso giorno tanti assegni da 12.000 euro fino ad arrivare a quote folli, non faranno fatture da 1 milione di euro al giorno, tutti possibili indizi.
Questa è la chiave investigativa.

PRESIDENTE. È sempre il vecchio rapporto tra chiave e cassaforte. Prima di lasciare la parola ai colleghi, le vorrei chiedere qualche notizia anche su indagini riguardanti i traffici in Cina. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALESSANDRO BRATTI. Vorrei brevemente porre due questioni, una delle quali sulle intercettazioni. Poiché è stato più


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volte segnalato e forse faremo questa discussione a livello parlamentare, vorrei infatti capire l'importanza di questi strumenti investigativi...

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. È indispensabile.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare all'onorevole Bratti che il presidente di questa Commissione presentò un emendamento in questo senso.

ALESSANDRO BRATTI. Il presidente su questo aspetto è sempre stato molto chiaro. Vorrei capire inoltre se nel corso delle sue indagini, al di là del tema del triangolo della morte, abbia avuto notizie di un'espansione di questi clan nelle regioni limitrofe, ad esempio nel basso Lazio piuttosto che in Basilicata.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Sì, ma sono coperte dal segreto.

PRESIDENTE. Magari ritorneremo su questo appena possibile, nel senso che questa Commissione è tenuta al segreto, salvo che non ci siano indagini in questo momento particolarmente calde, per le quali naturalmente rispettiamo il segreto. Non siamo raccoglitori di memorie storiche, siamo delle Commissioni d'inchiesta.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Mi sono permessa di dichiararlo, perché avevate segnalato l'opportunità di riservare alla fine qualunque informazione riservata.

PRESIDENTE. Con tutto il rispetto del segreto investigativo, se è un momento nel quale ci sono emissioni di provvedimenti restrittivi, noi stessi preferiamo non sapere niente. Se, viceversa, sono indagini che sono comunicabili...

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. In linea di massima le posso riferire, se segretate.

PRESIDENTE. Magari concludiamo le domande e poi eventualmente segretiamo l'ultima parte.

CANDIDO DE ANGELIS. In riferimento alla domanda che ho fatto prima, vorrei sapere come queste aziende, che comunque sono riferibili alla criminalità organizzata e continuano a lavorare, ottengano il certificato antimafia.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Il certificato antimafia serve per svolgere esclusivamente determinati tipi di lavorazioni. Tutte queste società non facevano appalti pubblici, svolgevano attività come se fosse tra privati.

CANDIDO DE ANGELIS. Lei ritiene necessario che chiunque lavori nel campo dei rifiuti o dei trasporti abbia comunque bisogno di un certificato antimafia?

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. La tematica della certificazione antimafia è scivolosa per un semplice motivo. Dobbiamo pensare a come queste persone lavorano illecitamente. Solo ora, dopo tutte queste indagini, sappiamo che Buttone Giuseppe è camorrista. Faccio riferimento a lui perché è il caso più eclatante, abbiamo due processi in corso. Nel 99 per cento dei casi, però, è molto difficile che le società siano direttamente intestate a colui che è legato al clan e gestisce l'attività. Avviene infatti come nelle imprese edilizie, in cui si trovano tante signore che formalmente svolgono attività di imprenditrice, ma in realtà molto spesso sono prestanome.
Non so quindi se l'obbligo della certificazione antimafia, con tutti i limiti che questa comporta, possa rischiare di rendere farraginosa la procedura, senza garantire un controllo efficiente. Il problema


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è diverso e dipende dal contesto in cui si sviluppano questa realtà economiche. In Campania, l'80 per cento delle denunce di inizio attività sono false e anche le autocertificazioni che danno la possibilità di iscriversi nell'albo delle procedure semplificate sono spesso false.
Il cuore del problema è dunque il controllo non sulla personalità, ma sull'illiceità dei provvedimenti autorizzativi fondati su autocertificazione. È un cane che si morde la coda, perché è necessario semplificare, per cui giustamente lo Stato delega e attribuisce una responsabilità a chi certifica, ma esistono contesti come quello campano in cui buona parte delle certificazioni poste alla base di opere edili è falsa. Questo accade anche nel settore rifiuti. Gli impianti di compostaggio dovrebbero stare per 15 giorni a 50 gradi, quindi necessariamente in luoghi chiusi, ma sono tutte vasche aperte, quindi l'autocertificazione è finta.
Il cuore del problema è questo e non un controllo che purtroppo nel tempo ha anche mostrato i suoi limiti. Questo è quello che verifico come operatore diretto, ma può darsi che chi ha una percezione da un angolo prospettico diverso arrivi a risultati differenti.

GIANPIERO DE TONI. Ho ascoltato con grande interesse e grande soddisfazione la sua relazione. Sono orgoglioso di sapere che questo Paese ha persone come lei che lavorano in modo egregio. Vorrei quindi sapere se dalla sua posizione consideri sufficiente la legislazione attuale, se possa dare suggerimenti rispetto a una migliore capacità investigativa, se sotto il profilo fiscale l'attività e l'impegno dell'ufficio delle entrate siano sufficienti.

PRESIDENTE. Certo, che con il federalismo fiscale ...

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Credo che ci possano essere molti spunti. In primo luogo, il decreto Ronchi con le varie normative specifiche, poi riportato nel Testo Unico ambientale, rappresenta a mio avviso il tipo classico di legislazione all'italiana, nel senso che siamo grandi sognatori e immaginiamo un sistema splendido. Il decreto Ronchi fornisce un binario da cui sembra impossibile uscire: bisogna controllare dall'inizio, catalogare, descrivere il rifiuto, darlo solo alle società che lo possono servire, indicare nei formulari cosa si vuole fare.
Era il principio «dalla culla alla tomba», che è stato riproposto nelle normative e che definisco «il sogno del legislatore italiano» anche in altri settori di cui mi sono occupata, quali il diritto penale del lavoro, che insegue il cantiere perfetto. In Italia, è talmente sicuro sulla carta, talmente impositivo per l'imprenditore che ovviamente non verrà mai rispettato, perché è impossibile rispettare tutto, come con le tasse, in cui si chiede tanto e alla fine si ottiene poco. Smaltire correttamente il rifiuto seguendo ogni disposizione diventa un costo inverosimile per un'azienda.
Abbiamo un doppio binario: formalmente è tutto talmente perfetto che è impossibile nell'attuazione pratica. Questo comporta una conseguenza devastante, perché, come diciamo alla napoletana, «rotto per rotto, rotto al quadrato», per cui, se si decide di violare la norma, non si rispetta nulla, si guadagna tutto. Forse, contemperare le varie esigenze potrebbe essere più pragmatico, verificando quali siano i valori da tutelare ad ogni costo e perseguendoli in maniera specifica.
Per venire alle proposte concrete, non a caso ho parlato dei provvedimenti autorizzatori, della fattibilità economica, perché spesso ho sottolineato la impossibilità economica di alcune lavorazioni del circuito dei rottami metallici e degli impianti di compostaggio. Questi tipi di imprese, se non collocati in un ambito differente da quello della libera impresa, non possono funzionare lecitamente perché hanno costi superiori ai ricavi.
Numerosi strumenti potrebbero essere attivati. Lei faceva riferimento all'Agenzia delle entrate. Si parlava ad esempio di questo sistema, che ancora deve entrare in


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vigore e che invece normativamente era previsto, della collocazione dei GPS sui camion che trasportano rifiuti. Questo sta provocando proteste eclatanti, perché ovviamente porterebbe a un controllo effettivo.
Anche creare una sinergia tra le banche dati, l'Agenzie delle entrate, e il registro Ecomud per i rifiuti (per un periodo si volevano svincolare alcuni tipi di lavorazioni dall'obbligo della denuncia Ecomud) agevolerebbe il contrasto al traffico organizzato di rifiuti. Il registro Ecomud sarebbe l'Agenzia delle entrate dei rifiuti, quindi sarebbe opportuno creare sinergie tra Agenzia delle entrate, registri Ecomud, enti deputati al controllo nei quali sarebbe necessario un riordino, perché esiste una sovrapposizione di controlli che spesso purtroppo si traduce in un'assenza di controllo, come sempre accade.
È necessaria una adeguata implementazione delle forze dell'ordine, perché è la normativa del settore è molto specifica e la formazione del personale è ancora indietro.
Un altro tema importante è quello della responsabilità delle società applicata anche al traffico organizzato di rifiuti, tema vecchio...

PRESIDENTE. La 231.

MARIA CRISTINA RIBERA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Esattamente. Credo che sarebbe un efficace deterrente, per il semplice motivo che l'impresa che ha la volontà e la capacità di agire lecitamente in questo avrebbe un forte deterrente. Qui porto la mia esperienza dell'altra filiera, quella dei rottami metallici. Il rottame metallico sporco viene spesso prodotto da imprese del Meridione, dove non esiste la necessità di mantenere l'immagine della società come impresa pulita.
Gli interlocutori di queste società, quali grandi acciaierie, imprese che hanno un background economico e imprenditoriale di livello, potrebbero avere un interesse a mantenersi pulite. Prevedere quindi una responsabilità per queste imprese che hanno la possibilità di scegliere di lavorare illecitamente o lecitamente avrebbe un'efficacia deterrente efficiente.
Per l'impresa del rottamatore che fallisce, viene cancellata, è responsabile, un intervento del genere non ha ragione d'essere, perché tanto non è un imprenditore con una propria collocazione nel mercato, per cui fallisce e continua a lavorare illecitamente attraverso il genero o il nipote titolare di una nuova azienda. Credo che una responsabilità di questo genere salvaguarderebbe le imprese che hanno la possibilità e la volontà di lavorare lecitamente.

PRESIDENTE. Vorrei fare una proposta. Abbiamo invitato la dottoressa Ribera, che peraltro ancora ringraziamo, anche per approfondire il profilo delle inchieste relative al traffico di rifiuti verso la Cina. Anche se ci ha riferito che non ha forse dati più recenti propongo di richiamarla, chiedendo ancora la sua disponibilità, per chiudere l'audizione.
La ringrazio per averci fornito spunti interessanti sotto il profilo del lavoro parlamentare, oltre che del lavoro della Commissione di inchiesta e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,45.

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