Sulla pubblicità dei lavori:
Orlando Leoluca, Presidente ... 3
Audizione del direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli, Andrea Cambieri
Orlando Leoluca, Presidente ... 3 7 8 11 12 13 16 17 19
Abbate Fabrizio, responsabile dell'Ufficio normativo legale e contenzioso del Policlinico universitario Agostino Gemelli ... 12 15
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD) ... 13
Cambieri Andrea, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli ... 4 7 8 12 15 18
De Nichilo Rizzoli Melania (PdL) ... 15
Laganà Fortugno Maria Grazia (PD) ... 8 14 15
Nucara Francesco (Misto-R-A) ... 12 13 17
Scalise Gaetano, legale dell'Ente Universitario Cattolica del Sacro Cuore ... 7 11 13
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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli, dottor Andrea Cambieri, che desidero ringraziare per aver accolto il nostro invito.
Sono anche presenti l'avvocato Fabrizio Abbate, responsabile dell'Ufficio normativa legale e contenzioso del Policlinico Agostino Gemelli, Gaetano Scalise, legale dell'Ente Università Cattolica del Sacro Cuore, e il dottor Gianluca Lucignano, direttore relazioni istituzionali e rapporti esterni dell'Università Cattolica.
L'audizione del dottor Cambieri si colloca nell'ambito del filone di inchiesta relativo alle infezioni ospedaliere e tende ad acquisire informazioni in merito alla positività ai test per la tubercolosi che si è registrata in molteplici casi presso un reparto del citato Policlinico, con particolare riferimento alle cause, alle modalità di applicazione dei protocolli vigenti e alle conseguenti iniziative che sono state assunte.
Aderendo alla richiesta del dottor Cambieri, in vista dell'odierna seduta ho provveduto a trasmettere copia della documentazione libera, a disposizione della Commissione, sull'argomento, ovvero la relazione della Regione Lazio.
Prima di dare la parola al dottor Cambieri, informo la Commissione che il Codacons e l'AIDMA (Associazione italiana per i diritti del malato) hanno chiesto di essere convocati in libera audizione sul medesimo argomento già nella seduta odierna. Poiché la Commissione procede allo scopo di evidenziare le circostanze e i fatti oggetto di inchiesta per delineare l'eventuale fenomeno di malasanità, laddove riscontrato, mentre va doverosamente lasciato all'autorità giudiziaria il compito di accertare eventuali responsabilità individuali, è nostro interesse istituzionale distinguere le audizioni dei singoli soggetti per acquisire il massimo livello di informazioni e preservare la necessaria riservatezza su eventuali possibili dati sensibili.
Pertanto, in questa fase, anche nel rispetto del calendario dei lavori già deliberato, l'audizione delle due associazioni potrà essere successiva, rispetto a quella del dottor Cambieri, il resoconto della quale sarà mia cura trasmettere ai soggetti istanti, ovviamente per la parte che potrà essere esibita a coloro che ne facciano richiesta. In questo senso, ho scritto ai rappresentanti delle associazioni citate.
Siamo una Commissione di inchiesta che si riunisce nel preciso svolgimento di un compito istituzionale che non ha alcuna attinenza rispetto alle dinamiche di governo. Quindi, non abbiamo, in questo caso, la presenza di esponenti dello stesso. La nostra è una funzione parlamentare di
inchiesta che può andare avanti al di là e a prescindere da qualunque altra valutazione che venga fatta con riferimento all'attuale momento politico.
Tra l'altro, quella odierna è un'audizione di soggetti estranei sia al Governo sia al Parlamento, certamente meritevoli di attenzione e di ascolto.
Devo far presente che la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha fatto pervenire prontamente, a seguito della richiesta avanzata da me a nome della Commissione, una relazione che contiene un'illustrazione dei fatti, mentre con riferimento alle eventuali causalità dei fatti stessi si richiama a una commissione di alto livello appositamente istituita. La relazione inviata dalla presidente Polverini riferisce, peraltro, che la Commissione si è insediata il 29 agosto 2011.
In attesa degli esiti dei lavori di tale commissione, riteniamo che sia importante audire il direttore sanitario del Policlinico Gemelli, che ancora una volta ringrazio per la presenza - e ringrazio anche coloro che lo hanno accompagnato - e invito a svolgere la sua relazione alla Commissione.
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Onorevole signor presidente, onorevoli signori componenti la Commissione, innanzitutto desidero ringraziarvi sentitamente per avermi dato la possibilità di illustrare quanto sin qui è accaduto, spero con l'obiettività che deriva dall'intensissimo lavoro svolto in questi mesi e in questa particolare crisi da parte della struttura che mi onoro di rappresentare come direttore sanitario, con dietro, però, tutti i suoi professionisti.
La struttura in questa crisi è stata supportata ed affiancata dalle autorità di governo della Regione Lazio, che hanno guidato il percorso, e dall'autorità di sanità pubblica, segnatamente l'ASL/RM E.
Vi prego di credermi, in ogni momento è prevalso in noi, rispetto ai problemi mediatici o legali, l'interesse precipuo ed esclusivo per la tutela della salute dei neonati, malgrado la pressione esterna incredibile posta in essere da parte di altri interessi evidentemente presenti in gioco.
Il Policlinico ha mantenuto, in questa fase di duro lavoro, un'attitudine di operoso silenzio, mentre scendeva in campo collaborando in maniera assolutamente aperta con le autorità preposte per favorire la celerità delle varie operazioni necessarie. Ricordo che si era nella fase finale dell'estate e bisognava fare presto: c'erano molteplici soggetti da visitare e trattare, prima della riapertura dei nidi e delle scuole, per evitare di interferire con attività sociali importanti per la cittadinanza.
Il Policlinico ha attivato un numero verde e una sezione del proprio sito per fornire ai cittadini tutta l'informazione possibile. Nello stesso spirito di trasparenza, di apertura e di collaborazione, voglio pregare, se è possibile, la Commissione di venire in visita al Gemelli: sarei felice se potesse farlo per rendersi conto dei layout, delle procedure, della nostra realtà e di come essa è articolata.
L'audizione odierna, oltre che essere ovviamente un atto dovuto da parte vostra ai fini dell'inchiesta, per noi rappresenta soprattutto un'occasione preziosa per fornire maggiore chiarezza a voi, nella massima sede istituzionale, nonché alla cittadinanza sulla dinamica degli accadimenti e su una serie di aspetti controversi che possono aver reso molto difficile la comprensione dei fatti da parte degli stessi cittadini.
Ricordo l'evento iniziale: la diagnosi di tubercolosi in un'infermiera della neonatologia del Gemelli. Lo sforzo enorme da parte nostra e di tutte le strutture del Lazio che ci hanno affiancato - cliniche, laboratori e di sanità pubblica - nella gestione del caso è sintetizzato in pochi numeri: in tre settimane sono stati richiamati 1.738 genitori, con una compliance altissima; il 95 per cento della popolazione che avrebbe dovuto essere sentita è stato richiamato. Nessun dato di letteratura, tra quei pochi che ve ne sono, evidenzia una compliance di questo tipo. L'evento che si
è verificato a New York nel 2003-2004 riporta una compliance inferiore al 30 per cento.
Era agosto, quindi un periodo difficile; la maggior parte delle famiglie erano in ferie. Abbiamo un'attrazione dal centro-sud Italia al Gemelli del 20 per cento circa, quindi raggiungere e richiamare queste persone era ancora più impervio. Inoltre, abbiamo una percentuale di parti di soggetti non cittadini italiani, ma residenti o domiciliati in Italia per varie motivazioni, del 20 per cento. Insomma, nonostante siano subentrate una serie di difficoltà, sono stati richiamati tutti.
Il Policlinico è stato investito in una doppia filiera di attività che sono state svolte in parallelo. Nella prima, ossia le attività cliniche sui bambini, siamo stati affiancati in un secondo momento dal San Camillo e dal Bambino Gesù, per fare prima. La seconda attività è consistita in una catena di controlli a cerchi concentrici - come dice la letteratura - su tutti gli operatori che fossero venuti a contatto con il caso indice, contatto stretto o ravvicinato ovvero contatto sporadico e occasionale, per escludere - su questo si incentra l'attenzione dell'opinione pubblica, come è giusto che sia - sia eventuali ulteriori fonti di contagio, sia il rischio per gli operatori stessi.
Come chiarirò meglio in seguito, abbiamo dati consolidati dall'Agenzia di sanità pubblica, dalla ASL, al 7 settembre, data nella quale sono stati riferiti dal presidente Polverini al Ministro Fazio. I dati riferiscono di 122 casi di positività su 1.415 risultati pervenuti e, quindi, una media di 8,6 per cento di bambini positivi al test del Quantiferon. Devo anche dire, però, che nessun caso positivo al Quantiferon è stato confermato positivo né all'intradermoreazione di Mantoux né agli accertamenti clinici e radiologici ai quali i bambini sono stati tutti sottoposti.
Un solo caso di tutta la coorte di bambini dal 1o gennaio del 2011 al 28 luglio del 2011 ha sviluppato la malattia.
Ritengo che non si possa pensare di definire questa un'epidemia, tantomeno nosocomiale. Vorrei, allora, sottolineare alcuni aspetti. Noi abbiamo solo due soggetti interessati: l'infermiera - il caso indice - e un bambino contagiato. Il test del Quantiferon, che è stato utilizzato come filtro (poi spiegherò meglio) per sottoporre il numero minore di soggetti all'eventuale profilassi, è stato sempre smentito dai controlli successivi. Tuttavia, in questa sequenza - una sequenza a treno: Quantiferon, radiografia, tine test - l'allarme immotivato, a mio parere, che è stato diffuso e che è presente nell'opinione pubblica e nella cittadinanza, temo per motivazioni extrasanitarie, è derivato dall'aver focalizzato tutte le comunicazioni e tutta l'attenzione sul primo dato di una catena di controlli che non è stata mai presa in esame nel suo insieme, mentre ci si sarebbe dovuti concentrare sull'intero set di
controlli.
Il primo test, peraltro, ha degli aspetti di fallacia dei bias interni che, sebbene fossero stati utili ai fini di un filtro, possono però porre degli elementi di riflessione che sottoporrò a questa Commissione.
Non esiste agli atti alcuna seconda fonte di contagio. Lo posso affermare con i dati che sono in mio possesso aggiornati a questa mattina. Quindi, se esiste un problema di sanità pubblica, ci si aspetterebbe che i controlli venissero posti in essere anche altrove. Qui si parla di richiamare una popolazione di bambini che è nata anche due anni fa; questi bambini hanno vissuto due giorni al Gemelli e diciotto mesi o due anni, nella collettività. Quali controlli le autorità di sanità pubblica intendono porre in essere, se un'epidemia veramente vi fosse e di così grande dimensione, su così grande scala, da recare tanto allarme e così tanto danno ai cittadini, su tutte le altre collettività, le altre comunità dove l'infezione dovrebbe essersi creata o diffusa?
Manca poi - e il Gemelli lo ha chiesto a gran voce in più occasioni - un campione di controllo. Noi abbiamo utilizzato strumenti di indagine, ad esempio il Quantiferon, che non hanno però un cosiddetto «bianco», come dicono i tecnici, cioè un controllo sulla popolazione di neonati -
questo è il problema, se ne sa pochissimo - in altri Paesi, né nel nostro. Abbiamo chiesto, durante tutte le fasi di coordinamento della crisi, che venissero creati gruppi di controllo proprio per dare supporto alla validazione del test e alle metodologie, ma questo non è stato possibile.
È comprensibile che sia stato ritenuto impossibile, perché testare altre neonatologie e altri bambini in quella fase, con l'attenzione dei media su di noi, avrebbe peggiorato la situazione di allarme della collettività, però questo è un elemento ostativo allo sviluppo dei ragionamenti epidemiologici che devono essere svolti sugli eventi in una fase successiva come questa.
L'evento sfortunato è che attorno a questa vicenda - a mio giudizio limitata da un punto di vista strettamente epidemiologico - esiste un'enorme pressione da parte dei media, quindi la comunicazione del rischio, che sempre attiene alle dinamiche in sanità quando si tratta di errori o di eventi avversi, o comunque di eventi che destano allarme, si è svolta su due piani paralleli non comunicanti. I professionisti, sia del call center, sia gli operatori sanitari che visitavano i bambini e invitavano i genitori invitavano a fare la profilassi o gli accertamenti, hanno sempre dato comunicazioni corrette. A altrettanto hanno fatto tutte le istituzioni in gioco: il Ministero della salute, l'Istituto superiore di sanità, gli organi tecnici, la regione Lazio e l'ASL. Lo stesso Ministro ne ha riferito recentemente alla Camera dei deputati nel question time.
Dall'altro lato, mentre questo contatto, di tipo diretto, poteva dare rassicurazioni ai cittadini, i media trasmettevano contemporaneamente un messaggio che poteva essere previsto diversamente da parte dell'opinione pubblica: confusione tra i positivi al test e i malati, disorientamento, allarme, ansia che hanno portato nel tempo a rivolgere alle istituzioni, e anche alla nostra struttura, domande che avevano dell'irrazionale. Mi riferisco, ad esempio, a persone nate molto tempo fa che chiedevano se fosse veramente necessario sottoporsi al test, al di fuori di qualunque logica epidemiologica.
È a voi nota - quindi do per scontato il dato, peraltro anche ripreso dalla circolare Oleari del 23 agosto - l'epidemiologia della tubercolosi a livello mondiale. Un terzo della popolazione mondiale è positivo al test Mantoux; ogni anno abbiamo 9 milioni di casi, 2 milioni di decessi, 400 mila casi di tubercolosi multiresistente. È noto anche che l'Europa si muove oggi, dal punto di vista epidemiologico, a macchia di leopardo, con un allarme maggiore nei Paesi dell'Est, nelle new entries dell'Unione europea, e una situazione invece di relativa tranquillità nei Paesi fondatori dell'Unione.
Anche in Italia la diffusione dell'infezione è attorno al 7-10 per cento di casi rispetto alla popolazione residente. Nel Lazio la percentuale è un po' più alta e nella città di Roma, come in tutte le aree metropolitane - le quali, per i fenomeni migratori, per le caratteristiche sociali che riguardano le moderne metropoli, concentrano una serie di problematiche in più rispetto alle altre province - il numero è più consistente.
Nella città di Roma abbiamo ogni anno 500 nuovi casi di TBC notificati; nella mia ASL, la RM/E, ne abbiamo 90. Non si è di fronte, nemmeno in questo caso, a un'epidemia. Questo è un rumore di fondo, è il comportamento consolidato nel tempo di una malattia che forse per questo è stata dimenticata dai colleghi medici. Questo è il problema che mi permetto di sottolineare, nella dinamica del riconoscimento. Ritengo che, se errore c'è stato, ha riguardato un pronto riconoscimento immediatamente a ridosso dell'evento da parte degli stessi curanti che avevano in carico l'infermiera. Non si è mai vista, a mio giudizio, un'epidemia che riguarda un solo palazzo.
La letteratura è scarna. Vi sono commissioni autorevoli; una, anche internazionale, è stata istituita dal mio ateneo proprio per approfondire e contribuire a fare chiarezza su questo fatto. Ho trovato alcuni eventi, qualcuno di dimensioni paragonabili
(New York) e altri di dimensioni inferiori (Canada e Giappone). Molte segnalazioni, a mio giudizio, non sono notificate, non vengono comunicate e rimangono relativamente sommerse. Ma quello che appare in tutte le analisi della letteratura che ho potuto scorgere è la paucisintomaticità, fino ad essere sorprendente, del quadro della sorgente, anche nell'immediato ridosso della diagnosi clinica. Anche facendo, come nel caso dell'epidemia di New York, indagini molto strumentali come RX torace, broncoscopia, TAC del torace, non si riusciva a raggiungere una conclusione diagnostica.
Ripercorro brevemente la storia dell'infermiera, che si era vaccinata nel lontano 1992, quando era allieva infermiera (nel Veneto, se ben ricordo).
GAETANO SCALISE, legale dell'Ente Università Cattolica del Sacro Cuore. Presidente, non so se questa parte che riguarda i dati di terze persone e di soggetti che sono interessati al problema in generale debba essere secretata. Diversamente, se la Commissione lo ritiene possiamo andare avanti con un'illustrazione generale per poi scendere nel particolare.
PRESIDENTE. Credo sia preferibile esaurire l'illustrazione di carattere generale.
GAETANO SCALISE, legale dell'Ente Università Cattolica del Sacro Cuore. Forse su questi dati ci soffermeremo in un secondo momento.
PRESIDENTE. Intanto completiamo la relazione di carattere generale su quello che si è fatto in conseguenza dell'evento e quali accertamenti di carattere generale sono stati eseguiti. Questa è una vicenda, sulla quale non esprimo una valutazione, che chiama in causa due temi molto sensibili.
Il primo è quello dell'infezione ospedaliera, un tema di dimensione nazionale, tanto che intendiamo collocare questa audizione nell'ambito di un'indagine complessiva sul funzionamento del sistema della garanzia dei cittadini rispetto a tale problema.
L'altro aspetto sensibile, in questa vicenda, è che sono coinvolti dei neonati, quindi la sensibilità è molto più forte, ed è coinvolto un tipo di infezione che noi ritenevamo superata. Purtroppo, però, dobbiamo abituarci a pensare che sarà sempre più frequente avere infezioni che qualche decennio fa erano considerate un pericolo e che, dopo essere state superate, ora si ripresentano, anche per la mobilità che caratterizza un sistema globale di spostamenti e contatti.
All'interno di questo ragionamento di carattere generale, abbiamo appreso che avete fatto degli accertamenti, la cui dimensione è stata da voi illustrata. La presidente Polverini ha opportunamente disposto la conservazione di tutte le cartelle ambulatoriali e degli esami di laboratorio per i casi oggetto dell'accertamento, per evitare di disperdere questo patrimonio di conoscenza derivante da questo caso che tutti noi avremmo voluto che non si verificasse mai.
Noi aspettiamo di avere i risultati della commissione di altissimo livello istituita dalla Regione. A tale riguardo, nella vostra relazione affermate che non vi risultano da questa indagine altre fonti di infezione. Vorremmo quindi sapere chi è coinvolto in questo caso e perché, nonché come mai non si è evitato che questo accadesse, ritenendo necessario acquisire notizie che riguardano non solo l'operatore sanitario fonte del contagio, ma i motivi di un mancato controllo. Questo è però tema di approfondimento successivo, sul quale per adesso non vorrei soffermarmi.
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Riprendo la sequenza cronologica degli accadimenti. Farò qualche flashback, se mi consentite.
La notifica del caso di TBC arriva alla ASL RM/E il 28 luglio. L'infermiera del Policlinico Gemelli, che lavorava in neonatologia, era stata in servizio da noi fino al 25 luglio 2011.
MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Presidente, considero opportuno questo punto procedere in seduta segreta.
PRESIDENTE. Noi non sappiamo ancora cosa direte; quindi se ritenete che il caso si intrecci con la dinamica di carattere generale, procediamo a secretare.
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Credo che forse sia opportuno, perché i dati sensibili inevitabilmente si intrecciano con il racconto e forse ci sovrapponiamo all'indagine della magistratura ordinaria su questa vicenda. È giusto che voi ne veniate a conoscenza, però magari alcuni passaggi devono rimanere segreti.
PRESIDENTE. Su richiesta del direttore sanitario del Policlinico Gemelli, propongo di proseguire i lavori in seduta segreta.
(I lavori proseguono in seduta segreta). (*)
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. La condizione morbosa dell'infermiera si rappresentava esclusivamente di notte o al risveglio con alcuni colpi di tosse sporadici, che non si evidenziavano mai durante l'attività lavorativa e solo - ricordo - a partire da aprile.
Aveva consultato più volte il medico di famiglia per questo: ad aprile, a giugno e ancora a luglio, in una serie di visite, nel corso delle quali era stata diagnosticata dapprima una patologia gastrica trattata con antiacidi, poi un'ipotensione trattata con i farmaci del caso, e poi
(*) L'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 3 novembre 2011 ha convenuto che la Commissione, ai sensi dell'articolo 10 del Regolamento interno, nonché dell'articolo 3, comma 2, lettera b), della delibera sul regime di divulgazione degli atti e dei documenti, disponga, acquisito il conforme orientamento degli auditi, la desecretazione del resoconto stenografico dell'audizione, ad eccezione di limitatissimi riferimenti a dati sensibili. La Commissione ha approvato nella seduta del 3 novembre 2011.
successivamente, a luglio, una sinusite allergica, in questo caso sfortunatamente trattata con cortisonici, il che non ha favorito sicuramente l'evoluzione naturale della malattia.
Il 29 luglio scatta immediatamente il feedback, cioè la ASL prende contatto con la direzione sanitaria, con noi e con il primario della neonatologia. Era venerdì. Il 1o agosto vengono, si fa la prima riunione da noi, fanno un sopralluogo, l'ASL parla con gli infermieri e con i colleghi, ispeziona il nido, riscontra la presenza dei requisiti funzionali e organizzativi, prende visione del modus operandi della struttura ed esprime su questo un parere positivo.
Dopodiché, mentre ci chiedono di fare il campionamento dello studio di coorte, che si immaginava di fare da aprile fino al 28 luglio (poi spiegherò perché), arriva la notizia alla ASL della bambina affetta da tubercolosi, ricoverata presso l'ospedale Bambin Gesù e nata al Gemelli; questo cambia sostanzialmente il quadro dell'indagine epidemiologica da fare.
A questo punto, in attuazione dei protocolli che la ASL si era data, il Dispensario funzionale per la TBC, la direzione sanitaria aziendale dell'ASL Roma E convoca l'8 agosto un'unità di crisi. A quest'ultima partecipano la ASL con tutte le sue strutture, in particolare il direttore sanitario aziendale, il Gemelli, l'Agenzia di sanità pubblica del Lazio, lo Spallanzani, il Bambin Gesù e l'ospedale Santo Spirito.
In quell'incontro l'ASL deve affrontare e decidere, avvalendosi anche del parere degli esperti, tre tematiche fondamentali, che sono il cardine per la comprensione di questo fatto: come definire la popolazione esposta, cioè chi andare a richiamare; quale test utilizzare per sottoporre a screening gli esposti; chi avviare alla profilassi e come attuarla.
La prima domanda riguarda la scelta della popolazione esposta, cioè come si arriva a circa 1.700 bambini. Non si è potuto usare lo schema più restrittivo proposto dalla letteratura e dall'esperienza, cioè richiamare solo quelli a immediato contatto con l'infermiera nel periodo
sintomatico (luglio), né ci si è potuti fermare ad aprile, periodo di sintomaticità non franca, ma emersa a ritroso dalla cartella clinica dello Spallanzani, quindi riferita; si è dovuto estendere il periodo a tre mesi prima della comparsa dei sintomi, utilizzando cioè il criterio più estensivo e cautelativo possibile.
Sono stati inclusi nello studio di coorte tutti i nati al Gemelli dal 1o gennaio fino al 28 luglio, perché si è andati oltre quarantotto ore rispetto all'uscita di scena dell'infermiera che era stata poi ricoverata; questo per evitare una permanenza del germe nell'ambiente, malgrado tutte le misure, come descritta dalla letteratura.
Sono stati esclusi dallo studio di coorte i bambini che appena nati fossero stati portati in altri reparti, non al nido, ma per esempio in terapia intensiva neonatale, cioè in reparti che non hanno nulla a che fare con quell'infermiera, o nei periodi in cui l'infermiera era in ferie, ma con la cautela di includere comunque i nati quarantotto ore prima e quarantotto ore dopo, restringendo il campo degli esclusi proprio a tutela dei bambini. Questo ha esposto alla chiamata 1.738 bambini.
Questi bambini hanno una probabilità di infezione molto bassa, ma, dato che nei neonati il rischio è quello di una comparsa rapida di una forma anche fatale di meningite tubercolare, lo scopo è stato proprio quello di intervenire in maniera estensiva e molto celere.
Secondo punto: qual è la metodologia dello screening? Per lo screening è stato scelto il Quantiferon, perché è un test basato sul rilascio di gamma interferone. Lo screening cercava di individuare gli esposti, quindi selezionare i bambini da sottoporre poi a profilassi, che ha dei rischi e che quindi si voleva limitare al massimo. L'ASL ha ritenuto di concentrare, quindi, sui soli positivi al Quantiferon la proposta di profilassi, anche per considerazioni logistiche.
Si trattava di controllare una popolazione molto ampia in un lasso di tempo molto breve, per evitare sia la comparsa di eventuali casi, sia la riapertura dei nidi con le mamme che tornavano a lavorare e mandavano i figli in comunità.
Per fare questo, il test della tubercolina poteva comportare dei rischi, prevedendo un secondo controllo, quindi rendendo impervio il percorso. Teniamo presente anche chi veniva da fuori Roma e la popolazione extracomunitaria, nonché il fatto che abbiamo avuto dei casi di bambini nei campi nomadi, che la ASL ha avuto difficoltà a trovare, per cui ha mandato una lettera, ha telefonato, ha inviato telegrammi e poi ha mandato anche i carabinieri. In questo modo ha raccolto un numero elevato di bambini. Se però fosse stato chiesto semplicemente di venire, avremmo perso di compliance e avremmo corso dei rischi, per cui si è cercato di evitarlo.
La ASL ha definito poi, in accordo con il foglietto illustrativo del test, poi il cut-off di validità, di positività, e si è prevista la sequenza che ricordavo: il Quantiferon è il primo di tre test, perché per i positivi si prevede poi, nel protocollo, il torace e la Mantoux. Si riteneva che la Mantoux da sola ab origine potesse essere fuorviante, in quanto nella fase del neonato esiste una relativa immaturità, un periodo silente, che avrebbe potuto far sottostimare i dati.
Il Quantiferon però non è mai stato studiato nella popolazione dei newborn, dei neonati: è un test nuovo, in commercio dal 2006. È studiato negli adulti, ha delle indicazioni, ma non è significativo per poter predire il rischio che chi è positivo possa poi sviluppare la malattia: non è lo stesso nesso che esiste per quanto riguarda la tubercolina.
Non si può quindi affermare che la percentuale di positività riscontrata nei bambini nati al Gemelli sia superiore rispetto alla media fisiologica della collettività, perché questa non è stata mai sondata. Anzi, il Policlinico richiede anche in questa occasione che venga dato impulso a studi per supportare questo tipo di ragionamento. Noi l'abbiamo chiesto molte
volte, sebbene nella consapevolezza che in questo momento sarebbe particolarmente difficile.
Se noi avessimo limitato il test alla tubercolina, dato che al momento nessuno è positivo, i risultati avrebbero indotto a ritenere che i contagi fossero pari a zero, a parte l'unico caso della bambina malata.
Ultimo dei dilemmi dell'ASL e del gruppo di contorno era la profilassi. Si è deciso di utilizzare le linee-guida internazionali, ma per i bambini nati a giugno e luglio, proprio per evitare di sottoporli a profilassi troppo precocemente, dato che anche il Quantiferon poteva avere dei limiti, si è deciso di ripetere il test a distanza di tre mesi e nei positivi iniziare la profilassi con Isoniazide.
Non vi sfugga la complicazione di somministrare una profilassi quando non è in commercio in questo Paese altro se non la compressa, che ha un dosaggio che va bene per l'adulto, mentre qui parliamo di bambini molto piccoli, che hanno una crescita continua nel tempo, per cui il dosaggio richiede ai genitori di polverizzare, frazionare una compressa, ridurla in soluzione e adattare un dosaggio milligrammato alla crescita ponderale del bambino.
Questo è successo fino a che non abbiamo trovato negli Stati Uniti uno sciroppo. Lo abbiamo fatto arrivare, lo abbiamo utilizzato e in quel momento ci siamo anche garantiti che la compliance dei genitori fosse maggiore; quindi siamo andati oltre quelli che erano i canali di normale disponibilità dei farmaci.
Il 16 agosto parte il contatto dell'ASL con le famiglie e due giorni dopo partono le visite, inizialmente al Gemelli, ma ci si rende conto che la dimensione era elevata. Il 18 agosto l'Unità di crisi diventa Unità di coordinamento: cambia pelle, si estende, è coordinata direttamente dal presidente Polverini e da quel momento si riunisce tutte le sere in Regione fino alla conclusione dell'indagine.
Nella riunione del 22 agosto vengono inseriti, su iniziativa dell'Unità di coordinamento, gli altri due ospedali che ci avrebbero dovuto affiancare e che poi in effetti ci hanno affiancato, cioè il San Camillo e il Bambin Gesù, che svolgevano le visite e i controlli in parallelo a noi. Si tratta quindi di tre laboratori, di tre équipes di medici piuttosto ampie e di un afflusso diviso su queste tre strutture. Questo porta al consolidamento del database che è stato presentato il 7 settembre.
È evidente che un consolidamento ulteriore ci sarà, perché punto di vista dell'analisi epidemiologica ci sono ancora altri bambini, quelli che non erano presenti, che erano all'estero, che non erano stati raggiunti o non erano venuti, i piccoli numeri di coloro che si sono presentati al test successivamente.
Esiste anche la possibilità che nei bambini nati a giugno-luglio intercorra una positivizzazione al secondo controllo, così come esiste anche la possibilità di una retroconversione. Esiste in letteratura la pubblicità che il bambino inizialmente positivo diventi negativo in un secondo momento.
Ad oggi, vi riporto dunque questo database, ma è possibile che nei prossimi giorni - penso non manchi molto - l'Agenzia di sanità pubblica del Lazio, che ne è stata incaricata dalla Regione, consolidi i dati.
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sul test. Il test ha mostrato la positività nei bambini in tutti e sette i mesi in cui sono stati campionati. Non ci sono però concentrazioni di casi particolari in nessuno dei mesi specifici, e sulla base dei dati in mio possesso non esiste nessuna indicazione di un'eventuale seconda fonte.
Poiché l'infermiera non può essere stata logicamente bacillifera per tutto questo periodo, questo pone qualche dubbio sull'effettiva tenuta del test isolato e preso da solo, come validità scientifica. Il test in effetti non è nelle linee-guida: è stato adottato perché le linee-guida non si applicano ai neonati, non sono state scritte per una popolazione di neonati, non c'è un'esperienza sui neonati; siamo andati in mare aperto.
Probabilmente al mondo non si è mai verificato un caso così eccezionale per dimensioni e caratteristiche, quindi forse
si stanno scrivendo delle pagine nuove, si sta contribuendo a fare chiarezza, purtroppo su un'esperienza che per noi non è certo positiva.
Nei bambini che contraggono l'infezione tubercolare, a differenza degli adulti, la malattia, se compare, lo fa rapidamente ed è anche grave. È importante notare come in nessuno dei bambini dei sette mesi risultati positivi al test sia comparsa la malattia, fatto che suggerisce una non correlazione tra la positività al Quantiferon e il caso indice.
Noi non conosciamo la specificità del test - questo è il terzo elemento che lascio alla vostra riflessione - sui bambini di questa classe di età. Non sappiamo stimare le probabilità che un bambino che abbia contratto l'infezione risulti positivo. Questa specificità è nota nell'adulto, e oscilla tra il 95 e il 98 per cento, ma nel bambino non è nota e quindi si potrebbe ritenere inferiore.
Se la specificità è inferiore, probabilmente noi abbiamo nella popolazione dei 122 al momento positivi un gran numero di falsi positivi, ma qui si è adottato un occhiale da vicino e un occhiale da lontano. Nel mese di agosto lo scopo era di reclutare tutti, di sottoporli a profilassi nella maniera più appropriata e di evitare la profilassi a quelli che potessero esserne esclusi.
A questo punto, però, deve essere fatta una riflessione più a freddo sulla validità del test nell'esprimere questa presunta epidemia, anche per dare chiarezza alla cittadinanza.
Questo ci porta a un altro aspetto, che è sotto l'attenzione di tutti. Nel corso dell'indagine, in queste ore, è stato proposto di estendere lo screening ai bambini nati nel 2010, sulla base di notizie sporadiche, perché qualcuno si è presentato, qualcuno ha fatto il test privatamente, con positività anche nei bambini nati prima del mese di gennaio.
Questa possibile estensione - a giudizio personale, non auspicabile - è foriera di alcune problematiche rilevanti di natura clinica, psicologica e medico-legale. Se anche si individuasse un caso di infezione in bambini nati nel 2010, che hanno potuto frequentare più la collettività del Policlinico Gemelli, potrebbe essere erroneamente attribuito alla presenza nel Policlinico, mentre invece andrebbe ricondotto alla collettività, dato che la prevalenza dell'infezione è comunque consistente nella collettività.
Ne ricaveremmo allora, in questa ipotesi, la necessità di sottoporre a profilassi una massa di bambini, perché abbiamo 3600 nati l'anno, quindi dovremmo trattarli inutilmente con indagini, allarme e profilassi. Anche se noi, al di là dei possibili contagi, esaminassimo tutta la popolazione nata nel 2010 anche in un altro ospedale, quindi anche al Gemelli, troveremmo comunque alcuni positivi, perché il test, anche prendendo per buona la specificità dell'adulto, ha comunque un tasso di falsi positivi almeno del 2 per cento, presumibilmente molto più alto nei newborn. Per un secondo motivo ancora ci troveremmo quindi ad attribuire un nesso di causa ad effetto senza alcuna concatenazione, e a intervenire su una coorte di bambini, che in realtà non sono esposti a nessun rischio.
Questo espone ad un'accettazione volontaria del rischio di sottoporsi a cure farmacologiche protratte, non assolutamente drammatiche, ma comunque potenzialmente lesive; quindi farsi guidare solo dal test del Quantiferon è a mio giudizio epidemiologicamente sbagliato e anche potenzialmente dannoso. Molti tecnici più validi di me (sono un semplice direttore sanitario) hanno dichiarato che un'operazione di questo tipo può arrecare nocumento piuttosto che beneficio a moltissimi bambini.
Penso di potermi fermare qui.
PRESIDENTE. Quando ho ascoltato il riferimento all'infermiera mi sono premurato di secretare, ma, se voi ritenete di poter stralciare una parte, possiamo rendere pubblica l'altra.
GAETANO SCALISE, legale dell'Ente Università Cattolica del Sacro Cuore. Saremmo d'accordo, presidente, se lei e la
Commissione lo ritenete possibile. Se noi stralciamo la parte in cui il dottor Cambieri fa riferimento ai dati sensibili dell'infermiera coinvolta in questa vicenda, si possono lasciare libere la parte immediatamente precedente e quella immediatamente successiva.
PRESIDENTE. Vorrei fare una sola domanda, che nasce dall'esposizione che lei ha fatto e di cui le siamo grati per la completezza. Lei non l'ha detto, ma ha fatto sorgere in me, che non sono competente, un dubbio: se si facesse un analogo accertamento con riferimento a un pari numero di neonati, potremmo scoprire che ci sono 122 positivi, o di più, o di meno, all'esame del Quantiferon?
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Il mio parere personale è che sia così. Esiste un problema Quantiferon, quindi sicuramente c'è una tara anche significativa, addirittura maggioritaria, del test rispetto alla numerosità dei casi. Questo ha sovrastimato largamente: ritengo che il 60-70 per cento dei bambini sottoposti al test siano assolutamente indenni da qualunque forma di contatto con il bacillo. Questo può essere dimostrato nella potenza statistica dei ragionamenti, e non è qui il caso di entrare in modelli matematici, però è insito nel test.
Proprio perché il Quantiferon non è stato testato sui neonati, avevamo chiesto di estenderlo a un campione. Si sarebbe potuto andare in un altro ospedale, prendere una popolazione di bambini nati tra il 1o gennaio e il 28 luglio, però avremmo generato allarme sociale molto forte, perché alcuni sarebbero risultati positivi, e questo avrebbe generato attenzione su quell'ospedale.
FABRIZIO ABBATE, responsabile dell'Ufficio normativa legale e contenzioso del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Mi sia permesso solo un flash: si poteva creare allarme sociale, ma forse invece si poteva chiarire che non c'era allarme. Abbiamo insistito in tutte le sedi formali, compresi gli organi di giustizia, perché venissero eseguiti questi riscontri.
PRESIDENTE. Ovviamente il tema non riguarda le responsabilità specifiche relative al caso, che verranno accertate nella sede competente, ma in base all'esperienza che voi avete tratto da questo caso, potreste dare alcune indicazioni alla Commissione? Il sistema di controllo su questa infermiera poteva funzionare diversamente?
Inoltre, sono rimasto colpito nell'apprendere che un appartenente al personale sanitario che accusi una patologia o un'infezione si reca in una struttura sanitaria diversa da quella dove opera e non ci sia il collegamento tra le due. Mi è sembrato di capire che all'infermiera la tubercolosi fosse stata diagnosticata allo Spallanzani.
Infine, lei può escludere che altro personale sanitario abbia questa infezione, che non emerge? Avete fatto accertamenti con riferimento a tutto il personale esistente presso la struttura? Mi sembra che sia importante come eseguire il controllo sui bambini, per quanto riguarda la prevenzione di casi futuri.
FRANCESCO NUCARA. Mi scuso per il ritardo con cui sono arrivato in Commissione. Da quel che posso capire mi pare che la relazione che ci è stata illustrata sia molto esauriente. Poiché non sono medico, ma sono uno statistico, devo dire che il fatto non esiste: se c'è un caso solo, è come se non fosse esistito. Il problema secondo me è stato un allarmismo falso e specioso. Forse bisognerebbe capire perché c'è stato un tale allarmismo nei confronti del Policlinico Gemelli e non nei confronti di altre strutture sanitarie.
Ho raccontato qui in Commissione quello che mi è successo in un altro ospedale di Roma, che non voglio continuare a nominare: forse lì bisognerebbe fare un'ispezione della Commissione, perché c'è un solo centro regionale per il trapianto di cuore, che non funziona. Chi ha necessità di subire un trapianto del
cuore nel Lazio deve andare in un'altra regione.
Bisognerebbe capire se qualcuno abbia voluto creare questo allarme sociale ed eventualmente chi sia.
Rispetto al personale che è andato a farsi visitare in un altro ospedale, mi pare chiara la motivazione di quella signora: il problema è non far sì che lo stesso ospedale magari possa nascondere qualcosa.
PRESIDENTE. Dando per scontato che fossero stati i responsabili del Gemelli a mandare l'infermiera per fare l'accertamento, mi son trovato subito a pensare che fosse stato accertato in un'altra struttura ospedaliera.
FRANCESCO NUCARA. A maggior ragione c'è l'oggettività della cosa, perché se l'accertamento fosse stato eseguito nello stesso ospedale in teoria si sarebbe potuto pensare che qualche magagna si potesse nascondere; affidandola a un'altra struttura invece questo non può avvenire.
Ringraziamo anche dell'invito a visitare il Gemelli, che secondo me è un modo per dire che non hanno responsabilità, altrimenti ci avrebbero semplicemente proposto di integrare eventualmente la relazione svolta oggi.
Sono molto soddisfatto dei tre quarti della relazione che ho potuto ascoltare. Il problema della tubercolosi, che mi terrorizzava da bambino nell'immediato dopoguerra in Calabria, non esiste più, però esistono gli immigrati, esistono i miei figli che viaggiano per il mondo come i figli di tutti noi; questo porta a un problema che fino a dieci anni fa ritenevamo morto e sepolto, e a cui invece adesso bisogna fare molta più attenzione, cambiando nel sistema sanitario la profilassi.
Mi ritengo molto soddisfatto e mi auguro che, se il presidente Orlando è d'accordo, si possa fare una visita non solo per approfondire il caso specifico, ma per vedere come funziona questo Policlinico cattolico rispetto a un Policlinico «laico» come l'Umberto I, che ho visitato perché ci lavorano molti professori miei amici e per motivi di salute. Ho visitato anche il Gemelli per altri motivi e, se dovessi dare un suggerimento a chi si dovesse ricoverare, a naso direi che è meglio il Gemelli dell'Umberto I, ma mi interessa vederlo.
GAETANO SCALISE, legale dell'Ente Università Cattolica del Sacro Cuore. Capisco che sia inusuale che l'avvocato dell'audito prenda la parola in Commissione, ma vorrei rispondere a quanto diceva l'onorevole Nucara, perché credo che abbia toccato il nocciolo della questione.
Qui ci siamo trovati di fronte a un problema di infezione che ha colpito un'infermiera e dopo qualche giorno un neonato. C'è stata una campagna di stampa serrata, soprattutto di una delle associazioni che ha chiesto di essere audita oggi insieme con il dottor Cambieri, che ha fornito informazioni non proprio veritiere anche da un punto di vista scientifico, come per esempio il fatto che il marito dell'infermiera avesse contratto una tubercolosi pleurica e che tale forma fosse più infettiva rispetto a quella della moglie, mentre questo scientificamente non è vero, perché la tubercolosi pleurica non è infettiva come la tubercolosi normale.
Questa situazione ha portato ad una particolare attenzione. L'attenzione del Gemelli - non lo dico da difensore, ma per aver vissuto questi ultimi due mesi e mezzo con particolare attenzione e partecipazione - è stata volta alla tutela dei bambini e delle famiglie.
La gestione della crisi e della comunicazione competeva ad altri, non a noi, ecco perché ci siamo trovati di fronte a questa situazione, che stiamo fronteggiando con la serenità di chi è consapevole di aver operato correttamente in tutti questi mesi.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Ringrazio il direttore per l'analitica esposizione e per le questioni che ha qui riportato. Naturalmente avremo modo più avanti di ascoltare altri soggetti.
La Commissione si muove con rigore, ma anche con grande serenità, come in altre occasioni, perché vogliamo dare un
contributo positivo per le nostre comunità, quindi abbiamo il dovere di capire fino in fondo quali processi si siano determinati.
È vero, probabilmente l'allarme è stato eccessivo e ci sono state amplificazioni, forse alcune anche forzate, ma mi permetto di dire che parliamo di un settore particolarmente sensibile quale è la pediatria, quindi è un allarme che ognuno di noi deve giustificare. Tra l'altro, si è navigato in mare aperto, perché non c'erano esperienze e nella bibliografia non ci sono riferimenti specifici.
Credo che l'emergenza sia stata fronteggiata con grande determinazione e impegno in un quadro generale in cui la tubercolosi presenta nuovamente alcuni aspetti preoccupanti. Ricordo che qualche anno fa presentai insieme ad alcuni colleghi un'interrogazione parlamentare al Ministro, perché non si trovava più la tubercolina per poter fare i test. Si trattava di una cosa molto grave, perché alcune industrie farmaceutiche avevano completamente abbandonato il settore.
Qualche mese fa, la Federazione italiana per le malattie polmonari e sociali, di cui è stato presidente nazionale un ex collega, l'onorevole Mangiacavallo, presentò la tubercolosi come una patologia che riemergeva con la presenza di nuovi ceppi resistenti. Dobbiamo quindi inquadrare il problema rispetto a una situazione nuova, ma anche a quello che in medicina si ripropone come un tema di grande attualità.
Per quello che lei ha riferito, direttore, e che ho seguito attentamente, l'impegno dell'istituto per fronteggiare l'emergenza è stato molto scrupoloso. Sentiremo altri, perché è nostro dovere avere questo rapporto dialettico con grande trasparenza.
Avete chiesto la collaborazione di altri soggetti. Come evidenziato dall'onorevole Nucara, quando si ha qualcosa da nascondere ci si chiude, invece voi avete chiesto collaborazione, avete fornito una serie di dati che sono fondamentali. Per fronteggiare il rischio clinico è necessario che ci siano le denunce di quello che accade. Spesso la denuncia non c'è, perché si tenta di evitare conseguenze giudiziarie e professionali, quindi il meccanismo non diventa mai virtuoso. Invece voi avete attivato un numero verde e una serie di percorsi che a me pare siano da considerare interventi seri. Devo quindi sottolineare le iniziative assai positive che sono state portate avanti.
Ci chiediamo cosa fare per il futuro. I medici competenti operano con alcuni protocolli per le visite periodiche degli operatori in alcuni reparti sensibili.
Vista questa esperienza, è il caso di segnalare l'opportunità che tali visite si estendano ad altri reparti. Sappiamo infatti che nel reparto malattie infettive e in pneumologia il medico competente richiede all'ASL che vengano effettuate alcune visite periodiche. È opportuno che tutto ciò si estenda, per esempio, alla rianimazione, dove c'è maggiore preoccupazione rispetto alla diffusione di alcune infezioni, e alla neonatologia, che finora, come sappiamo, non ha ricevuto questa particolare attenzione.
Abbiamo dovuto registrare una crisi preoccupante, speriamo contenuta e ormai avviata verso una risoluzione. I protocolli che sono stati attuati - lo dico con grande prudenza - incoraggiano a ritenere che il problema sia stato circoscritto. Per il futuro, l'esperienza maturata, a mio parere, deve servire per codificare un'attenzione maggiore da parte delle Aziende sanitarie non solo verso i settori che tradizionalmente abbiamo considerato sensibili, ma ampliando la sfera di intervento.
Questo deve avvenire al di là del contenimento delle spese, che a volte vengono additate come problematiche. Credo infatti che questa sia una spesa necessaria in quanto significa prevenire davvero e, quindi, non disperdere risorse.
MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Anch'io voglio ringraziare il direttore sanitario per la sua relazione molto chiara e anche abbastanza esaustiva rispetto a ciò che volevamo conoscere.
All'onorevole Nucara vorrei dire che purtroppo in Calabria c'è, invece, una riacutizzazione della tubercolosi, soprattutto nella zona della Locride.
Vorrei porre due domande. Lei ha parlato di 122 casi positivi su 1.738 testati e ha parlato di probabili falsi negativi. Si tratta, quindi, di casi di malattia conclamata o no?
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Si tratta di falsi positivi, non di falsi negativi.
MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Vorrei anche sapere dov'è ora l'infermiera, se è stata spostata in qualche altro reparto.
Tutto il resto è stato abbastanza esaustivo. Ringraziamo per l'invito rivolto alla Commissione a visitare il Policlinico «Gemelli». Credo che sarebbe un'ottima esperienza: abbiamo visitato molti ospedali, ci farà piacere vedere anche questo.
MELANIA DE NICHILO RIZZOLI. Intervengo per ringraziare il direttore Cambieri e gli avvocati Abbate e Scalise per la dettagliata relazione e soprattutto per la grande chiarezza e le spiegazioni tecniche e scientifiche che l'hanno resa così esaustiva.
Vorrei anche ringraziare il direttore per lo spirito di collaborazione e per la trasparenza con cui è stata svolta questa indagine, che nel mese di agosto vi ha anche impedito di fare un solo giorno di ferie. Mi congratulo soprattutto per la collaborazione che avete instaurato e che continua tuttora con la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini.
Verremo senz'altro al Policlinico Gemelli e continueremo a verificare gli esiti di questa vicenda.
Sono d'accordo con l'onorevole Burtone, che è un medico ed è quindi al corrente di tali problematiche, nel ritenere che queste siano non nuove epidemie, ma epidemie che si ripropongono, visti i movimenti della popolazione dovuti ai flussi migratori.
C'è stato un grandissimo allarme per la particolarità dei pazienti e del reparto in cui si è verificato il caso, ma sappiamo che le infezioni ospedaliere sono molto frequenti e ognuno, nella propria specialità e nella propria professione, fa di tutto per evitare e arginare questi fenomeni.
FABRIZIO ABBATE, responsabile dell'Ufficio normativa legale e contenzioso del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Vorrei ricordare in primo luogo che, se si dovessero stilare nuove linee guida, certamente bisognerà ricordarsi della singolarità di questo caso. Il nido non è un reparto a forte rischio. È anzi un reparto in cui i parenti sono più presenti degli infermieri. Occorrerebbe allora effettuare i controlli anche sulle mamme e sui parenti che stanno lì otto ore al giorno.
Inoltre, desidero osservare, senza riferire dati o notizie sensibili, che una parte di allarme sociale è fisiologica perché sono coinvolti dei bambini, ma un'altra parte è connessa alle richieste risarcitorie di mirabolante entità che vengono preannunziate e che, in alcuni casi, mostrano una stranezza. Noi abbiamo presenti in questo momento due tipologie di richieste: la prima riguarda i bambini risultati positivi al Quantiferon, che come è stato detto non sono malati; il secondo tipo di richieste invece riguarda i bambini risultati negativi, che si sarebbero molto spaventati così come i loro parenti. Non aggiungo altro.
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. Riprendo la sequenza delle domande.
Onorevole presidente, lei ha chiesto se escludiamo altri casi tra il personale. Al momento ho quattrocento persone sotto controllo, tra cui cento lavoratori del nido e della maternità, che sono stati immediatamente individuati come primo cerchio concentrico. Abbiamo poi esteso le verifiche, perché l'infermiera è stata anche al DEA, al pronto soccorso. Non l'abbiamo ricoverata perché non avevamo
posto tra i quaranta letti per le malattie infettive di cui disponiamo, quindi è andata all'ospedale Spallanzani. E chiaro che non volevamo nascondere nulla. Non l'abbiamo trattenuta, ma l'abbiamo trasferita.
I controlli sono ancora in evoluzione. Questo personale andrà seguito nel tempo, come sempre. Abbiamo svolto una coorte di controlli rapidi e adesso trasferiremo le informazioni ai medici competenti affinché seguano il personale nel tempo.
Lei ha chiesto se il sistema di controllo poteva funzionare diversamente. È chiaro che ognuno impara dall'esperienza. Se un'esperienza non facesse cambiare qualche comportamento o qualche prassi, sbaglieremmo. Certamente l'eventualità esiste, ma c'è un fatto che sorprende. Un medico competente può visitare un infermiere una volta l'anno, ogni due anni o anche più spesso, ma non può eseguire una radiografia ogni sei mesi, perché questo sarebbe letale oltre che impensabile. Esiste poi una rete di controlli, al di là dei protocolli, delle forme o delle leggi, che sono quelli tipici, per esempio, di una neonatologia. Nessun collega infermiere, che lavora otto ore insieme agli altri, nessun primario, nessun caporeparto direbbe a una signora che tossisce ripetutamente durante il lavoro di non andare da un medico. Ve ne sono tantissimi nell'ospedale a cui rivolgersi anche informalmente. A maggior ragione, il lavoratore
può sempre chiedere una visita specifica al medico competente. Nessuno glielo impedirebbe, vi sarebbe mandato immediatamente.
In un nido la prassi, che è codificata e ben visibile appesa al muro, prevede che un operatore venga allontanato o che gli venga imposto l'uso della mascherina anche per una lesione erpetica al labbro. La mascherina non è utilizzata di prassi nelle neonatologie perché in un nido non serve a nulla, come dicono i «sacri testi» e la letteratura. La mascherina e i sovracamici vengono fatti indossare ai genitori più che altro per dare loro l'idea che stanno entrando in un ambiente riservato dove bisogna comportarsi bene. Danno un habitus diverso, ma non proteggono realmente.
Tenete presente che in tutto il mondo, e nel Lazio con uno dei decreti delegati del 2010, viene proposto il rooming-in esteso, cioè che i neonati dormano e stiano con la mamma in un ambiente che non è più un nido concentrato, nel quale eventualmente si possono condensare i rischi. Stando vicino alla madre, incontrano la comunità tre giorni prima dell'uscita dall'ospedale, perché arrivano i familiari, i nonni e gli zii, e incontrano anche la prevalenza del bacillo nella popolazione italiana.
Il decreto legislativo n. 81 del 2008 sicuramente protegge i lavoratori, ma non si occupa del paziente. Il nido, da questo punto di vista, è uno degli ambienti più tranquilli. Forse bisognerà cambiare alcune priorità e credo sia questo l'obiettivo della rivisitazione a breve da parte del Ministero di alcune linee guida. Come chiedeva l'onorevole Burtone, credo che, alla luce di queste esperienze, qualcosa sicuramente nei protocolli di sorveglianza sanitaria sarà rivisto.
L'onorevole Laganà Fortugno ha chiesto dove si trovi ora l'infermiera. E ancora a casa. Quando rientrerà in servizio, evidentemente saranno i medici competenti a decidere la destinazione lavorativa più opportuna sulla base delle eventuali controindicazioni e patologie.
PRESIDENTE. Credo che abbiamo il dovere di ringraziarla, direttore.
Il dovere della Commissione è quello di chiedere a lei e alla direzione sanitaria quale policy intendete porre in essere affinché questo non accada più, dal momento che evidentemente quelle attuate non sono sufficienti.
Mi preme sottolinearlo perché ci si attendono risposte che potete darci subito, ma che ci potrete anche fornire in seguito, sulla base della riflessione che sarà svolta.
Lei ha parlato di un 60-70 per cento di falso positivo sulla base del test che è stato utilizzato. Questo significa che probabilmente è stato utilizzato un test che offriva le indicazioni più ampie possibili per compiere
un primo screening e una valutazione più specifica.
Vorrei fare una riflessione ulteriore sulla policy. Qui stiamo parlando di TBC, ma in realtà la TBC è un caso, ne parliamo in relazione a quanto è successo. Quando parliamo di rischio clinico, però, entra in causa l'euristica della disponibilità, cioè quella falsa impostazione che hanno i medici quando fanno una diagnosi e che li porta a diagnosticare più facilmente le malattie che occorrono più spesso. Questo significa che una malattia che non occorre spesso è più difficile da diagnosticare. E sempre più frequente da qualche tempo, per note ragioni, la ricorrenza di malattie ritenute non più attuali.
È ovvio che uno dei problemi di analisi è soprattutto l'attenzione nei confronti dei soggetti che lavorano come operatori della salute e che, quindi, possono spargere facilmente un'infezione. Una struttura come la vostra, come tutte le strutture ospedaliere, ha però un problema più generale di infezione nosocomiale.
Come diceva anche lei, c'è la necessità di rivedere i protocolli e il Ministero sta riflettendo sulle linee guida, così come la direzione della qualità. A livello aziendale può essere necessario rivedere alcune procedure per consentire una rottura dell'euristica della disponibilità e far sì che anche la valutazione dell'occorrenza di malattie più rare sia procedimentalizzata.
Se la stessa situazione fosse stata esposta a un clinico calabrese di sessant'anni fa, probabilmente la sua euristica della disponibilità gli avrebbe detto che era il caso di fare un test di Mantoux.
Il problema, che è certamente di rilievo generale e investe l'intero Sistema sanitario nazionale, è questo e si pone sia per la TBC sia per tutta una serie di malattie che da noi si intendono come debellate, ma che purtroppo, a causa dei motivi di cui abbiamo parlato, sono così diffuse.
FRANCESCO NUCARA. Il professor Pompili, grande docente, per spiegarci in parole semplici il calcolo delle probabilità ci diceva che per operarsi non si deve andare certo da un chirurgo che su dieci operazioni ha avuto dieci decessi, ma nemmeno da un chirurgo a cui sono andate bene cento operazioni su cento, perché prima o poi un decesso gli sarebbe capitato. La cosa migliore sarebbe andare da quel chirurgo dopo il primo decesso seguito alle cento operazioni perché le altre cento sarebbero andate bene.
Non pensiamo di vivere in un Paese surreale dove gli ospedali sono perfetti. Chi entra in un ospedale potrebbe decidere di non curarsi più, specialmente se entra in ospedali che hanno un'anzianità di struttura fisica, dove nello stesso corridoio passano i cibi per gli ammalati, i residui dei farmaci, le lenzuola pulite, i grembiuli di infermieri e medici.
Il problema non riguarda il caso che ci viene descritto, perché, come ho detto prima, un caso e zero sono la stessa cosa. Quando non c'è più la tubercolina è perché non c'è più la tubercolosi. Adesso che la tubercolosi sta tornando, le industrie farmaceutiche hanno interesse a produrre di nuovo la tubercolina e questo test.
Il problema va affrontato con serietà. Credo che la Commissione abbia apprezzato la relazione, ma la perfezione non esiste. Quando si tratta di malattie rare, non si salva nessuno.
Credo che nulla, almeno da quanto emerge dalla relazione - vedremo se ci saranno integrazioni - possa essere imputato alla direzione sanitaria del Policlinico cattolico «Gemelli», ve lo dico io che cattolico non sono.
PRESIDENTE. Siamo in presenza di un caso grave: in una struttura sanitaria non deve verificarsi che un dipendente possa contagiare qualcuno.
Paradossalmente questa vicenda ha assunto una dimensione molto più grande di un caso pur grave, come ribadisco per non essere frainteso, perché è stata associata, nell'immaginario collettivo, a una situazione nella quale - e probabilmente il Gemelli non si trova nelle peggiori condizioni, per usare un'espressione molto sfumata - le condizioni di igiene personale e ambientale del personale sanitario
sono drammatiche e producono molto più di un pur grave caso di tubercolosi.
Questo allarme sociale si è concentrato su questo caso, che alla fine è diventato il parafulmine per la categoria intesa nel suo complesso. Di fronte a questo caso milioni di italiani, informati dai mezzi di comunicazione, hanno ripensato a quando nell'ospedale di Milano o di Palermo hanno visto un'infermiera che non si lavava le mani prima di entrare in sala operatoria, un medico che entrava con le scarpe con le quali era appena arrivato guidando l'automobile, per non parlare delle condizioni di mancanza di igiene ambientale a cui accennava l'onorevole Nucara.
È una svogliatezza complessiva che caratterizza in modo drammatico la sanità del nostro Paese. È come se chi opera in una struttura sanitaria non avesse consapevolezza che chi entra ha il diritto di essere curato per la malattia per la quale è stato ricoverato e ha il diritto di non morire per malattie diverse da quella per cui è stato ricoverato, che è il dramma delle infezioni ospedaliere.
Questa vicenda ha assunto una funzione di parafulmine perché vi si è riversata una problematica molto più vasta di quanto non sia il caso di una infermiera malata di tubercolosi che contagia un paziente. Certamente, il caso non doveva capitare e bisognerà capire perché è accaduto e accertare se vi siano responsabilità che vanno al di là dell'omissione da parte dell'infermiera.
Per completare e per dare un senso anche allo straordinario lavoro successivo che avete compiuto rispetto a questa vicenda, le pongo un'altra domanda. Se, come ha detto, il personale è stato tutto controllato, è prevista nella policy da ora in poi una forma di controllo periodico del personale in modo da trasformare questo in un evento sentinella, in una buona pratica rispetto a quanto è accaduto? Potrebbe diventare un segnale.
Il Policlinico Gemelli deve sapere che a chi molto è dato molto viene chiesto. Siccome al Gemelli è stata data molta fiducia, peraltro meritata, molto gli viene chiesto.
ANDREA CAMBIERI, direttore sanitario del Policlinico universitario Agostino Gemelli. È vero, l'evento sentinella è un evento che cambia i comportamenti individuali e collettivi: così deve essere per chi lavora sul risk management. Altrimenti, saremmo degli ignavi.
Abbiamo tenuto riunioni con i medici competenti e ho riunito immediatamente il comitato per le infezioni ospedaliere. Abbiamo una buona tradizione di lotta alle infezioni ospedaliere, il nostro ospedale da questo punto di vista è ben organizzato.
L'evento non rientra esattamente nella canonica eventualità dell'infezione ospedaliera a cui siamo abituati. Abbiamo due nurse che girano nei reparti, una sorveglianza attiva e una sorveglianza passiva. Leggiamo i dati della microbiologia e mandiamo in isolamento tutti i pazienti con patologie multiresistenti agli antibiotici. Esiste una serie di linee guida. Ne scrissi una anch'io sulla tubercolosi anni fa, quando uscirono le linee guida, che vengono attuate costantemente a protezione dei pazienti e del personale nei contatti con la TBC. Sono, quindi, le linee guida ministeriali calate sul Gemelli.
Ogni anno nel nostro Policlinico abbiamo tra 50 e 70 casi di ricoverati per tubercolosi, con notifica fatta dal Gemelli stesso. Il numero varia di anno in anno. La maggior parte dei ricoveri avviene direttamente nel reparto di malattie infettive o nel reparto di isolamento pediatrico. Lì abbiamo la pressione negativa, abbiamo tutti i dispositivi di protezione individuale, il personale è addestrato e ipercontrollato e ci sono camere singole e filtrate. Non sono questi i casi che ci preoccupano.
Ci preoccupano di più i casi che avvengono, ad esempio, al pronto soccorso o in un reparto dove la circostanza che il paziente poteva essere portatore viene scoperta successivamente. Una lettera dalla Romania qualche giorno fa ci ha comunicato che un paziente che era stato da noi
a marzo era poi risultato positivo. Questo non è neanche un caso notificato, perché dalla Romania non si fa la denuncia alla ASL. A questo punto, partono indagini di coorte che raggruppano il personale, lo analizzano e poi lo passano al medico competente affinché nel tempo venga sorvegliato.
Dopo la recente esperienza, cercheremo di integrare anche informaticamente queste informazioni in maniera tale che non ci siano compartimenti stagni tra il laboratorio, le denunce, il sistema e le schede di dimissione, i DRG. Tutto quello che potrà fornire una notizia in più e arricchire un database sulla tubercolosi noi lo attiveremo. Impareremo da questa esperienza.
Penso che impareranno anche gli studenti, perché si tratta di una malattia che non viene insegnata come una volta e che, quindi, non viene più riconosciuta. È il problema di questo caso: il medico di famiglia aveva visto la signora pochi giorni prima che arrivasse al pronto soccorso, ma le aveva diagnosticato tutt'altro. Un medico del lavoro, con una visita una volta l'anno, non se ne sarebbe mai potuto accorgere.
PRESIDENTE. Possiamo proseguire i lavori in seduta pubblica.
(I lavori riprendono in seduta pubblica) (*).
Ringrazio gli intervenuti a questa audizione e dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 16,20.
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