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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione I
5.
Giovedì 31 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bruno Donato, Presidente ... 2 15 20
Amici Sesa (PD) ... 2 14
Bianconi Maurizio (PdL) ... 9
Costantini Carlo (IdV) ... 12
Dal Lago Manuela (LNP) ... 6
Distaso Antonio (PdL) ... 13
Dussin Luciano (LNP) ... 4 10
Fontanelli Paolo (PD) ... 9
Giovanelli Oriano (PD) ... 7
Lanzillotta Linda (PD) ... 3
Maroni Roberto, Ministro dell'interno ... 15
Sbai Souad (PdL) ... 11
Tassone Mario (UDC) ... 2 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 31 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ringrazio il Ministro Maroni per aver voluto continuare la discussione iniziata il 25 giugno scorso con la nostra Commissione. Poiché hanno chiesto di intervenire venti colleghi, dobbiamo regolare i nostri lavori in modo di consentire tutti gli interventi e la replica del ministro, considerando anche che alle 10 dobbiamo essere in Aula. Affinché tutto quadri e lasciare un tempo congruo per la replica, credo che si debbano contenere gli interventi entro i 3-4 minuti.

MARIO TASSONE. Non voglio assolutamente prendere ulteriore tempo ai nostri lavori, presidente, ma allora facciamo questo confronto con il ministro come un question time.

PRESIDENTE. Vorrei evitare il question-time. Credo che ognuno debba regolare la durata del suo intervento.

MARIO TASSONE. Mi consenta, presidente. Affido questo mio contributo alla sua cortesia e alla sua sensibilità.
Il ministro ha presentato una relazione, di avvio di legislatura, o di governo, consideriamola come vogliamo.
Viste le ristrettezze dei tempi, ritengo che potremmo organizzarci nel senso di avviare oggi il confronto con il ministro ponendo ciascuno le proprie domande e prevedere poi tempi e modalità per un dibattito serio ed approfondito con il ministro alla ripresa.
Occorre prevedere, credo, un tempo molto più ampio per la discussione, dal momento che vi sono questioni estremamente delicate da affrontare, rispetto alle quali non basta avere una risposta, ma occorre sviluppare un confronto serio, in merito alle linee che devono essere sviluppate.

PRESIDENTE. Vedremo, onorevole Tassone.

SESA AMICI. Presidente, le chiederei cortesemente di conoscere i nomi dei colleghi che hanno richiesto di intervenire, perché credo che sia giusto dare più tempo alla replica del Ministro Maroni.

PRESIDENTE. I colleghi che hanno chiesto di intervenire sono: Pepe, Lanzillotta, Dussin, Zaccaria, Santelli, Bressa, Bernini, Tassone, Dal Lago, Giovanelli,


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Bianconi, Bordo, Sbai, D'Antona, Lo Presti, Amici, Orsini, Turco, Lo Moro, Mannino.
Non vedo molti di loro, ma è possibile che arrivino. In ogni caso, seguirò l'ordine dei presenti e non farò decadere nessuno.
Pertanto, ringraziando ancora il ministro, e rimanendo ferma questa intesa, che rimetto alla sensibilità di ognuno di noi, iniziamo gli interventi.

LINDA LANZILLOTTA. Cercherò di essere sintetica.
Dando atto al ministro di aver posto al centro della sua azione di Governo la questione del ruolo delle autonomie locali, ritengo tuttavia che, fino ad adesso, egli si sia soprattutto dedicato ai temi della sicurezza e che, quindi, non abbia avuto modo, forse, di esplicare pienamente la sua attenzione al tema.
Segnalo in proposito che il ministro non è sembrato avere un ruolo di particolare coinvolgimento rispetto a molte decisioni del Governo che sono andate, invece, in una direzione diversa, quella di un depotenziamento del ruolo delle autonomie locali.
Su altri temi che sono al centro del dibattito politico, ho la sensazione che il ruolo delle autonomie locali non venga abbastanza posto come questione dirimente.
Voglio richiamare le decisioni che il Governo ha preso e che, a mio avviso, hanno rappresentato un elemento pregiudizievole per il ruolo complessivo di autonomia politica e finanziaria delle autonomie.
Ricordo, prima di tutto, l'eliminazione totale dell'ICI, che viene sostanzialmente finanziata con la manovra del patto di stabilità.
Infatti, essendo il saldo praticamente neutro, questo comporterà una riduzione complessiva di autonomia e di disponibilità finanziaria in una fase in cui, come ha sottolineato il Ministro nella sua relazione, a mio avviso giustamente, si tende a devolvere ulteriori funzioni dello Stato in materie che, fino ad adesso, non sono mai state abbastanza attribuite alle autonomie locali.
Non mi riferisco solo a materie relative alla sicurezza, rispetto alle quali il decreto valorizza opportunamente il ruolo dei sindaci, ma anche, come ricordava il Ministro nella sua relazione, a tutte le attività amministrative connesse, ad esempio, al rilascio dei passaporti. Questo richiede, ovviamente, un adeguato potenziamento delle strutture.
Vorrei ricordare altre questioni grandi e piccole. Tra queste, vi è l'azzeramento dei vertici della SOGEI. Ministro, lei, forse, sottovaluta il ruolo che, nel sistema di fiscalità locale, svolge questa agenzia statale, da cui sono stati eliminati i rappresentati del sistema delle autonomie, depotenziando così questo come strumento di fiscalità federale.
Un ulteriore punto che vorrei sollevare riguarda le norme sul Ddl in materia di sviluppo, di cui abbiamo cominciato a discutere ieri. Queste ultime, senza che in quel disegno di legge vi sia il concerto del Ministro dell'interno - l'ho verificato, perché mi è sorto questo dubbio - anticipano, e direi spezzettano, una serie di decisioni che, invece, dovrebbero essere rimesse alla Carta delle autonomie, come operazione di riallocazione e razionalizzazione delle funzioni.
Vengo a formulare alcune domande, su cui vorrei delle anticipazioni, se possibile. La prima riguarda gli strumenti di incentivazione dell'aggregazione dei comuni. Questo è uno dei temi che viene anticipato nel disegno di legge in materia di sviluppo economico. Allora, siccome l'esame è già cominciato, chiedo che su questa materia, dirimente per la razionalizzazione del sistema delle autonomie, il ministro sia direttamente coinvolto. La mia paura, infatti, è che, procedendo a tentoni, alla fine, il disegno non sia chiaro.
Ho apprezzato - ne do atto al ministro - il riconoscimento del lavoro svolto nella scorsa legislatura e la sua dichiarazione che sarà preso come punto di riferimento


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il disegno di legge sulla Carta delle autonomie, presentato insieme al Ministro Amato nella scorsa legislatura.
Sottolineo - e vorrei su questo una conferma del Ministro Maroni - che da quel punto di vista vi è una radicale e profonda rivoluzione, in materia di redistribuzione delle funzioni, che vede una ridefinizione delle missioni sia delle province che dei comuni.
In tema di province, so che in molte sedi il Ministro Maroni ha anticipato la questione della valorizzazione del ruolo delle province, laddove si è in presenza di capoluoghi di medie o piccole dimensioni, e della eliminazione delle stesse, laddove si istituiscono delle città metropolitane.
A questo proposito, vorrei chiedere se, in materia di città metropolitane, si intende lasciare la flessibilità di modello presente nella Carta delle autonomie che, sostanzialmente, rimette al territorio lo schema organizzativo della città metropolitana o se, invece, il ministro ha in mente un modello rigido.
Inoltre, vorrei sapere se, come ha anticipato in alcune occasioni, forse in qualche intervista, ritiene che l'introduzione della città metropolitana, con la Carta delle autonomie, inciderà sul prossimo ciclo elettorale di alcune province e di alcuni comuni.
Infine, vengo al federalismo fiscale. Raccomanderei al ministro di essere protagonista di questa partita, perché le linee guida che ha anticipato il Ministro Calderoli, a mio avviso, vedono un ruolo ancora troppo marginale dei comuni e delle province e centrano tutto il sistema sulla regione, anche per quanto concerne la perequazione.
Come lei sa, è una questione molto delicata, ovvero se il federalismo fiscale tende a introdurre un sistema di gerarchia tra regioni ed enti locali, in qualche modo, in contrasto, a mio avviso, sia con l'articolo 114 che con l'articolo 119 della Costituzione. Diversamente, chiedo quale debba essere, a suo avviso, il punto di equilibrio nel sistema perequativo e a quale livello possa essere gestita la perequazione.
Infine, vorrei sapere dal Ministro se è stato avviato, in quali sedi e con quali strumenti, un lavoro sulla definizione dei costi standard.
Come il ministro sicuramente saprà, sono circa quindici anni che, non solo per quanto riguarda le regioni, dove qualche cosa si è fatto in materia di sanità, ma anche per quanto concerne i comuni, questo è stato l'ostacolo che ha impedito qualsiasi operazione perequativa, a partire dagli anni '90.
Domando, dunque, se, in quale sede e con quale metodologia si sta lavorando alla definizione dei costi standard, e quindi alla costruzione della base, su cui poi si potrà effettuare la perequazione.

LUCIANO DUSSIN. Signor presidente, vorrei svolgere due considerazioni molto velocemente.
Per quanto riguarda la sicurezza e la richiesta di sicurezza del Paese, penso che si sia riusciti ad approvare in tempi record un pacchetto sicurezza che contiene e risolve tante delle esigenze che dai cittadini emergevano, non solo nell'ultima campagna elettorale, ma da diverso tempo.
Alcune norme sono di un'importanza quasi strategica per risolvere queste esigenze. Penso al reato di clandestinità con l'aggravio della pena, ma anche a interventi più cogenti e immediati, per quanto riguarda la possibilità di attuare delle espulsioni. Non ultima la risposta alla richiesta, che - tra altre - arrivava anche dagli operatori di sicurezza, di poter innalzare le pene per chi dava e - ahimè - continua a fornire generalità false, per evitare le conseguenze dei propri atti.
La trasformazione dei CPT in Centri di identificazione ed espulsione, con conseguente aumento dei tempi entro i quali è possibile trattenere gli interessati ai provvedimenti, era cosa necessaria e giusta, ed è stata fatta. Anche le azioni relative agli affitti e ai conseguenti inasprimenti delle pene, fino alla confisca dell'abitazione, sono state attuate.
Quindi, sono state poste in essere una serie di attività importantissime, ma probabilmente sono state poco pubblicizzate.


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A tal proposito, consiglierei al Ministro di insistere in tal senso, nei prossimi disegni di legge che saranno presentati probabilmente in autunno, e che andranno ad integrare ciò che è già stato fatto col pacchetto sicurezza. Così come con i decreti legislativi che interverranno su temi, quali i ricongiungimenti familiari o lo status di rifugiato.
Molto spesso, infatti, gli interventi giusti realizzati dal Parlamento trovano poco seguito nella loro diffusione presso i cittadini e l'opinione pubblica.
Vorrei infine rivolgere una domanda al Ministro. So che si sta lavorando per presentare un nuovo disegno di legge per integrare, e quindi potenziare, quello già approvato. Le chiedo dunque, ministro, se sa indicarci i tempi e alcuni aspetti rilevanti di quanto verrà proposto al Parlamento per essere trasformato in legge.

MARIO TASSONE. Proprio per rispettare il limite di tempo di due o tre minuti ad intervento, porrò brevemente alcune questioni all'attenzione del ministro, ripromettendomi poi di recuperare più avanti.
Per altro, determinate questioni sono state, per gran parte, non dico superate, perché si tratta di temi e problemi che sono sempre in evidenza e all'attenzione della politica e di tutta l'opinione pubblica, ma quanto meno affrontate, scandagliate e valutate in sede di confronto sui decreti legislativi già approvati.
Signor ministro, permangono dei problemi su cui richiamo la sua attenzione. Quando lei parla di lotta alla criminalità organizzata, ovviamente fa riferimento all'inasprimento delle pene previste nei provvedimenti legislativi che abbiamo approvato; si richiama alla necessità di colpire la ricchezza illecita, e quindi la riutilizzazione delle risorse della criminalità organizzata ed il riferimento alla agenzia è finalizzato proprio ad accelerare questo processo, attraverso il sequestro, la confisca e l'utilizzazione sul piano sociale.
Tutte queste azioni sono opportune, ma per quanto riguarda l'agenzia, che è stata un'indicazione della Commissione antimafia della precedente legislatura, vorrei sapere se vi sono già degli interventi, se vi è una proposta o un disegno di legge organico da parte del Governo.
Per quanto riguarda la lotta alla criminalità, a mio avviso, non è sufficiente inasprire le pene, azione certamente importante e fondamentale; occorre dotarsi degli strumenti per portare avanti un'efficace lotta alla criminalità organizzata.
Ho sempre ritenuto che occorra riformare la legge n. 121 del 1981. Abbiamo parlato più volte di coordinamento delle polizie. In proposito, signor Ministro, lei sa che non si tratta solo di un problema di quantità, ma anche di qualità, di qualificare cioè la capacità operativa di contrasto e contro-bilanciamento alla criminalità organizzata.
La legge n. 121 non ipotizzava soltanto la smilitarizzazione dalla Polizia di Stato, ma anche la creazione di una fascia di investigatori, attraverso strumenti, articolazioni e formazione di una realtà che doveva essere preposta all'investigazione.
Manca il coordinamento reale tra le forze di polizia e tra queste e i reparti specializzati nel contrasto alla criminalità organizzata. Le pongo tale questione che senza dubbio ha un suo peso. Infatti, non esiste collegamento con il GICO, lo SCO e il ROS. Per la lotta alla criminalità organizzata, abbiamo riempito di sigle mezzo mondo, ma non credo che vi sia un momento di forte sintesi.
Vorrei poi affrontare il discorso relativo ai sindacati all'interno delle forze di polizia e quello del ruolo dei prefetti e dei questori, che devono spesso contrattare il servizio anche con i sindacati. Questo è un tema che voglio introdurre in questo particolare momento.
Inoltre, vorrei chiedere perché è sconsigliato l'impiego delle donne della Polizia di Stato per l'ordine pubblico. Sono dati e aspetti che pongo alla sua attenzione.
La sicurezza stradale deve comportare certamente un inasprimento delle sanzioni, delle pene e quant'altro, ma è anche un problema di controllo del territorio.
Anche per quanto riguarda le discoteche e temi simili, avevamo previsto, a suo


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tempo, un controllo del territorio all'uscita dai locali e altri tipi di soluzione, ma non credo che oggi tutto possa essere lasciato all'aumento delle sanzioni e delle pene.
Questo non è un contrasto forte, non ha alcuna efficacia (abbiamo visto che anche l'effetto del provvedimento della patente a punti, dopo un primo impatto, è andato affievolendosi).
Pertanto, possiamo prevedere tutte le sanzioni che vogliamo, ma se non c'è un controllo reale sul territorio, ritengo che tutto questo finisca in soffitta.
Per quanto riguarda il consiglio comunale, signor ministro, vorrei capire l'orientamento da parte del Governo.
Quella che prevede lo scioglimento dei consigli comunali per mafia fu una legge sbagliata. Molti anni fa, quando fu approvata, io votai contro, in dissenso anche dal mio gruppo, perché la consideravo una legge ingiusta e sbagliata. Non è possibile sciogliere tutti i consigli comunali e lasciare aperta la possibilità che quelle persone individuate come conniventi e compromesse con l'organizzazione criminale possano essere ricandidate e abbiano un elettorato attivo e passivo (attivo lo capisco, passivo lo capisco meno). Non è possibile che non ci sia uno straccio di azione giudiziaria che individui una responsabilità; si colpisce nel mucchio e tutto il consiglio comunale viene sciolto, mentre i responsabili si «acquattano» all'interno e non viene evidenziata nessuna responsabilità.
Sono state presentate proposte di legge nella passata e nell'attuale legislatura. Signor ministro, vorrei avere anche il conforto del suo pensiero. Credo che si tratti di un principio di giustizia: colpire veramente i criminali e non confonderli nel mucchio. A mio parere, questo è un aspetto che riguarda la civiltà e il mondo giuridico, ma anche l'efficacia dell'intervento legislativo.

MANUELA DAL LAGO. Signor presidente, sarò brevissima.
Signor ministro, innanzitutto vorrei ringraziarla perché in pochi mesi lei è riuscito a fare quello su cui molti, in tanti anni, hanno solo chiacchierato. Ricordo sempre che questo Governo è in carica da soli tre mesi e per questo tengo a ringraziarla.
Arrivo subito alle domande, una relativa alla sicurezza e l'altra, come lei potrà ben immaginare, alle autonomie locali.
Per quanto riguarda la sicurezza, a fronte dei tagli che negli anni si sono negativamente consolidati nei riguardi delle forze dell'ordine, e a fronte del fatto che lei comunque - gliene diamo atto - è riuscito a recuperare buona parte degli ultimi tagli, vorrei chiederle, se può dircelo, come intende utilizzare questi fondi all'interno del suo Ministero per dare maggiori garanzie alle forze di polizia, quindi permettere loro di svolgere in maniera più corretta e più moderna la loro attività nel territorio.
La seconda domanda riguarda la Carta delle autonomie, che lei sta predisponendo. Come lei ben sa, io sono una forte fautrice della valenza delle province come grande elemento di collegamento tra le regioni, che dovranno sempre più legiferare, ed i comuni, che dovranno gestire; in questo quadro le vorrei chiedere quale sia la sua previsione nella Carta delle autonomie su quali e quante potrebbero essere le città metropolitane. Dico subito che sono convinta che possono essere molto poche, perché poche hanno il significato vero di città metropolitana.
Inoltre, ritiene che all'interno della Carta delle autonomie si possa anche prevedere una semplificazione rispetto a una serie di enti inutili presenti nel territorio? Mi riferisco, ad esempio, ai consorzi di bonifica, agli ATO e ad altri enti che sono semplicemente sovrapposizioni, in quanto le attività che essi svolgono potrebbero essere assorbite dalle province o dai comuni, eventualmente consorziati. Peraltro, questi enti potrebbero svolgere tali attività con migliori risultati, dal momento che hanno il personale tecnico all'interno delle loro sedi amministrative, e questo significherebbe anche un minor numero di consigli di amministrazione.
Infine, a fronte di quanto fatto dai Governi precedenti, che hanno eliminato,


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in alcuni casi a mio parere con elementi di incostituzionalità, molte possibilità di libertà di autonomia degli enti locali - penso, ad esempio, alla possibilità degli enti locali di costituire società per gestione di servizi - lei ritiene, come Ministro dell'interno e in rapporto con gli altri ministri, di poter dare una mano per recuperare queste «libertà» delle autonomie locali nell'ambito dell'impianto e della gestione dei servizi ai cittadini?
Quanto al federalismo fiscale, sapendo che il provvedimento relativo dovrebbe essere presentato verso ottobre, le chiedo se sia possibile accelerare i tempi. Penso al fatto che oggi, a fronte dell'eliminazione dell'ICI, fatto positivo e apprezzato da tutti i cittadini, non si è potuto assegnare una quota di IRPEF, metodologia che forse sarebbe stata più corretta. Inoltre, nel DPEF che abbiamo appena approvato è stata eliminata, tra le altre cose, la possibilità degli enti locali di pagare il 2 per cento in più ai loro dipendenti che fanno progetti all'interno, anziché assegnare i progetti stessi all'esterno. Ovviamente l'assegnazione all'esterno comporta maggiori spese per gli enti locali.
Probabilmente, accelerando il percorso del federalismo fiscale, i comuni potrebbero avere una libertà di operatività anche in questi settori, il che potrebbe contribuire a ridurre le spese.
Mi permetto un ultimo suggerimento. Credo che si possa risparmiare diminuendo notevolmente il numero degli assessori negli enti locali perché - lo dico per esperienza - sono troppi e molti di essi sono inutili. Si potrebbe provare a copiare il modello tedesco, con un sindaco e due assessori, e si potrebbe diminuire il numero dei consiglieri comunali (la diminuzione, in verità, dovremmo prevederla anche per il Parlamento). Infine, i dirigenti e gli assessori - ecco il suggerimento finale - dovrebbero essere assunti per spoil system, il che darebbe più forza di gestione ai comuni. Grazie.

ORIANO GIOVANELLI. Come non le sarà sfuggito, signor Ministro, ieri è stata riferita la notizia, contenuta nella relazione della Corte dei conti, relativamente al contributo dato dalle autonomie locali al rispetto del patto di stabilità. È emerso un quadro nel quale il contributo di comuni e province è andato ben al di là delle aspettative, testimoniando ancora una volta il rigore e la serietà di questi enti nel rispetto degli equilibri di bilancio. Tra l'altro, sono molto pochi i comuni che hanno sforato e molti sono di piccole dimensioni.
Questo mi fa dire, signor Ministro, che mentre lei ha svolto un ruolo, per quanto criticabile da alcuni punti di vista, sicuramente molto intenso relativamente alla sicurezza, mi pare che si sia avvertito tantissimo un vuoto nella tutela delle prerogative delle autonomie locali, da parte di un Ministero che ha tra le sue deleghe anche quella del rapporto con tali autonomie.
Abbiamo visto nel decreto n. 112 una serie di atteggiamenti a dir poco punitivi nei confronti delle autonomie e una ricentralizzazione di funzioni che contrastano con questo dato. La cosa, secondo il mio punto di vista, è alquanto in contraddizione con la sbandierata e ripetuta affermazione di voler andare soprattutto verso un approccio federalista di tipo fiscale, che ormai è diventato, anche nell'intervento dei colleghi, una specie di altare su cui sacrificare qualsiasi cosa. Sento, anche negli interventi dei colleghi della Lega, che stanno ingoiando dei rospi, sostanzialmente. Penso, ad esempio, al dibattito sull'ICI, come è emerso dalle dichiarazioni del Ministro Calderoli, e al dibattito nella maggioranza, un po' a ruota libera, sulla questione delle province. Tutto viene rimandato a questa attesa messianica del federalismo fiscale. Sappiamo tutti bene che arriveremo a un federalismo fiscale serio se, nel frattempo, non faremo atti in contraddizione con un approccio federalista e, appunto, di federalismo fiscale. Noi stiamo andando, però, esattamente nella direzione opposta. Diciamo di volere andare a nord e invece andiamo a sud. Andremo al nord, ma intanto andiamo al sud.


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Questo è l'elemento che emerge in tutta evidenza, da questi primi mesi di governo, sui temi delle autonomie. Personalmente esprimo tutte le mie preoccupazioni, in questo senso, anche in funzione della predisposizione della Carta delle autonomie: temo che sarà un dibattito che non ci consentirà di varare, in tempi rapidi, una riforma adeguata rispetto al vecchio testo unico degli enti locali dopo la modifica del Titolo V della Costituzione.
La mia sensazione è che il dibattito su questo tema langua; non c'è un disegno, o almeno non lo vedo, e in particolare non vedo una relazione forte tra riforma dello Stato centrale - non uno Stato minimo, ma uno Stato diverso - e le funzioni che dovranno essere attribuite alle autonomie.
Qui c'è, credo, un punto che la chiama in causa, signor Ministro, che ha una forte relazione con il Titolo V e che riguarda gli uffici territoriali del Governo. Lei sa meglio di me, signor Ministro, che continuiamo a moltiplicare, nel nostro Paese, le spese per la presenza di uffici dei Ministeri dello Stato centrale sul territorio, senza che questo, dopo l'introduzione del Titolo V, abbia dato luogo ad alcun tipo di riconsiderazione strategica. L'intuizione di creare gli uffici territoriali del Governo c'era stata, ma sostanzialmente sono rimasti, invece, i prefetti e le prefetture nel loro modo tradizionale di operare sul territorio e la riorganizzazione di tutto quello che riguarda gli uffici dei Ministeri è stata rimandata. Penso alla pubblica istruzione e a tanti altri dicasteri, che hanno sedi nel territorio e spendono quattrini. Nella logica del Titolo V, alcune di queste materie gradualmente dovrebbero passare alle regioni e le altre, quelle che non passeranno alle regioni, dovrebbero essere almeno riorganizzate in un momento unico, l'ufficio territoriale del Governo.
Di questo non c'è cenno, ma magari vi accanite sui 30 milioni di euro per le comunità montane, sul 30 per cento dell'indennità degli amministratori locali, insomma vi accanite sul sistema locale per far tornare i conti. Il moloch, invece, rimane assolutamente inalterato.
Infine, lei sa che, sulla base di un'interpretazione della Corte costituzionale, l'articolo 132 della Costituzione ha dato luogo a una serie di referendum in giro per l'Italia, attraverso i quali alcuni comuni hanno chiesto di passare ad altre regioni, quindi sostanzialmente hanno chiesto il cambiamento dei confini regionali. È un fenomeno che ha riguardato le regioni a statuto speciale, ma non solo.
Ci si è resi conto che quella interpretazione della Corte Costituzionale stava creando un meccanismo infernale in base al quale nel 2008 i problemi li risolviamo cambiando i confini, invece di parlare dei problemi stessi; dopodiché passa un umore nell'opinione pubblica e, invece di discutere di come risolvere quell'umore e il problema che lo crea, ci si infervora per organizzare referendum e cambiare i confini. È inconcepibile che, nel momento in cui parliamo di integrazione, di globalizzazione, si pensi di cambiare i confini. Sono cose incredibili, che però possono capitare quando manca la politica e un disegno istituzionale.
Questa sentenza della Corte costituzionale - e l'interpretazione che ne è stata data - ha provocato, da parte del Governo precedente, l'assunzione di responsabilità di modificare l'articolo 132 della Costituzione, cioè di dare certezza circa il fatto che si cambia confine di regione se è d'accordo chi riceve e chi dà.
Voglio capire se lei intende affrontare tale questione. So che la collega Lanzillotta ha ripresentato un disegno di legge sulla modifica dell'articolo 132, - e credo che sia urgente andare avanti su questa approvazione - e analogamente è stato fatto dal Vicepresidente del Senato, senatore Chiti. Vorrei conoscere il suo parere al riguardo. Inoltre, vorrei sapere se lei, nel frattempo, intende mettere in stand by le leggi che sono scaturite da iniziative referendarie svolte quando era vigente quella interpretazione.
Da ultimo, nel Codice delle autonomie probabilmente è opportuno introdurre, per queste aree di confine, un ragionamento specifico per capire - senza andare a ragionare su modifiche di confini regionali -


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quali possono essere i problemi di queste aree e trovare, nell'ambito del Codice una loro definizione più puntuale.

MAURIZIO BIANCONI. Signor ministro, lei ha dato il via a una sorta di rivoluzione culturale, che io condivido profondamente, nell'approccio al problema sicurezza. Una rivoluzione sulla quale le differenze con l'opposizione sono emerse in modo eclatante. Tuttavia, dalla teoria bisognerebbe passare alla pratica.
Una volta creato il presidio normativo, che sicuramente risponde a certe domande dalle quali ritengo che la maggioranza che oggi governa questo Paese abbia tratto molti vantaggi - perlomeno dalla promessa di questo approccio culturale - si tratta, poi, di applicare queste norme. La domanda è molto poco da I Commissione, ma mi sembra molto concreta.
In primo luogo, c'è la consapevolezza che il concetto di allarme sociale non va statisticamente misurato sull'intensità e il numero dei reati ma sull'intensità e il numero dei reati in relazione al contesto sociale in cui essi si svolgono? La domanda di sicurezza deriva dalla percezione di insicurezza, e questa è proporzionale alla rete sociale nella quale i cittadini si muovono. Ciò che non fa impressione a Milano fa molta più impressione in un paese montano dell'Abruzzo, ad esempio. Dunque, se una caserma dei carabinieri in quel paesino diventa essenziale per evitare dieci furti in appartamento, lo stesso numero di furti in una strada di Milano, purtroppo, è una regola quasi quotidiana.
Il secondo problema che pongo riguarda il rapporto con le prefetture, le questure e con tutti gli operatori della sicurezza. Non ritiene, signor ministro, che questi operatori, anche per patriottismo di funzione, tendano talvolta a diminuire l'intensità del pericolo nelle relazioni che offrono e nella richiesta di soluzioni che, spesso, i cittadini fanno?
Quando si fanno i comitati per la sicurezza o quando i sindaci si rivolgono alla prefettura, si sente spesso ripetere che tutto va molto meglio di come la gente percepisca. La gente percepisce, però, che le cose non vanno bene. Vorrei capire, dunque, se c'è un approccio culturale a questo.
In terzo luogo, siamo sicuramente in presenza di una contrazione delle risorse o, comunque, di una non cospicua quantità di risorse destinate all'applicazione delle norme che abbiamo approvato - molto volentieri, da parte nostra - e che approveremo: vorrei sapere se esista un piano operativo, ossia se ci sia la consapevolezza che tutto quello che è stato promesso sotto il profilo normativo deve poi avere una rispondenza pratica; e se, in questo contesto di scarse risorse, ci sia un piano operativo per rendere efficaci le norme che, secondo le nostre promesse elettorali, abbiamo varato. Grazie.

PAOLO FONTANELLI. Signor presidente, ringrazio il ministro che ci consente, in questa prosecuzione dell'audizione, di interloquire su problemi che sono certamente di grande importanza.
In modo particolare, vorrei riferirmi al ruolo e all'impegno del ministro in tema di autonomie locali ed enti locali, che fanno parte della sua delega. Avendo smesso di fare il sindaco da pochi mesi, dopo dieci anni, seguo infatti con molto interesse questo argomento e sento queste tematiche abbastanza vicine.
Vorrei fare alcune osservazioni e porre delle domande.
Anzitutto, credo che sulla questione della sicurezza - ma senza voler riprendere e replicare il dibattito già svoltosi in Commissione e in Aula, con le diverse posizioni espresse sul decreto: non possiamo ricominciare il dibattito ogni volta da capo - siamo oggi in una fase di attuazione. A tal proposito, ho colto alcuni seri spunti di riflessione nel ragionamento che il collega Bianconi ha svolto poco fa.
Il problema esiste, soprattutto, in termini di strumenti e di risorse, perché è evidente che abbiamo scelto dei provvedimenti - al di là di come la si pensi sui singoli aspetti degli stessi - che, per diventare un'efficace e reale risposta ai problemi, hanno bisogno di essere fortemente


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sostenuti, mentre invece sono stati adottati in un contesto nel quale le risorse sono diminuite. Ne è testimonianza anche lo stato di malessere manifestato dalle organizzazioni sindacali della polizia, come vediamo chiaramente in questi giorni.
Credo che a questo debba essere data grande attenzione, perché c'è l'esigenza di riequilibrare i toni della discussione e di acquisire maggiore consapevolezza della complessità di una problematica come quella della sicurezza e dell'intreccio esistente tra essa - che pure è legata anche ad altri fattori - e la questione dell'immigrazione. Penso che sia necessario, su questo piano, riconoscere la necessità di maggiori risorse.
Vede, signor ministro, al di là del fatto che si è previsto un fondo, la cui entità dovrebbe essere molto sostanziosa, per aiutare i sindaci, dei cui poteri molto si è parlato, abbiamo bisogno di molte risorse anche per gli interventi più generali.
Avendo fatto il sindaco in un comune non grande, il cui bilancio ammonta a circa 100 milioni, penso, ad esempio, alle risorse strutturali e a quelle per il personale. Per installare nella mia città le telecamere concordate con la questura, per esempio, abbiamo dovuto fare un progetto costato 750.000 euro al solo bilancio del comune. Non sono cifre di poco conto, se dovremo insistere in questa direzione.

LUCIANO DUSSIN. Il progetto ha avuto questo costo?

PAOLO FONTANELLI. Non il progetto, ma l'installazione delle telecamere, che sono state collocate nella zona della stazione e nelle altre zone della città dove, come sapete, ci sono situazioni di spaccio di droga eccetera.
Potrei parlare della difficoltà di un comune come il mio - quello di Pisa - nel prevedere, ad esempio, l'incremento di personale dei vigili urbani, soprattutto per i turni notturni, a causa delle risorse insufficienti. Per dare seguito a certi indirizzi occorre stanziare le risorse necessarie.
Credo che dovremo investire maggiori risorse anche nelle politiche di integrazione, senza le quali non ritengo che la battaglia all'immigrazione clandestina possa funzionare in modo efficace.
Avendo fatto parte anche del comitato delle regioni, ho avuto la fortuna di fare una visita molto accurata, durata più giorni, alle Canarie, dove c'è un problema non molto diverso dal nostro, anzi forse peggiore del nostro. Essendo circondate dall'Atlantico, su quelle isole arrivano continuamente naufraghi, con le barche, e anche tanti cadaveri. Questo accade anche da noi, ma certamente in misura inferiore, perché la spinta dell'immigrazione dall'Africa più meridionale passa da lì.
Abbiamo avuto modo di vedere con quanto rigore la Spagna affronti tali questioni: non c'è paragone rispetto ai nostri investimenti. Diversi ragazzi, dai 14 ai 16 anni, che giungono in quell'area vengono messi in centri di formazione professionale, seppur anche molto rozzi, dove imparano a fare la calcina, per fare i muratori, o a piallare il legno, per fare i falegnami e così via. Inoltre, vengono insegnati loro i rudimenti della lingua, le regole della convivenza, nonché i loro diritti e doveri. Noi non abbiamo questi interventi.
Se vogliamo fare una reale ed efficace politica di lotta all'immigrazione clandestina, dobbiamo dare delle risposte anche su questo piano, ma con le risorse oggi disponibili, tutto questo rischia di venire meno. Le rivolgo una sollecitazione su questo tema, anche perché, ad esempio, nella stessa carta di Parma, i sindaci sollecitano giustamente finanziamenti e interventi anche su questi capitoli.
La seconda questione che vorrei rapidissimamente porre è invece legata alle autonomie locali. Senza ripetere gli spunti condivisibili già sollevati dai colleghi Lanzillotta e Giovanelli, su questo le porrei due domande più stringenti, inerenti i problemi che dovremo affrontare nei prossimi mesi.
Anzitutto, noi abbiamo audito qui il Ministro Fitto ed abbiamo letto la sua intervista, nella quale ha affermato che


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per porre in essere il federalismo ci vorranno tempi lunghi e che sicuramente questo non accadrà nel 2009, come è evidente. Mi chiedo se sia giusto camminare su una strada di riforme così importanti in modo disgiunto, senza trovare un punto di incontro tra il federalismo e tutta la questione riguardante gli affari regionali e la tematica delle autonomie.
Lei ha detto che intende avviare un confronto su questi temi - io condivido questa impostazione e mi ha fatto piacere sentirglielo dire - e affrontare il lavoro di riordino e semplificazione del sistema delle autonomie a partire dalla bozza Amato-Lanzillotta. Credo, però, che sia un rischio sviluppare il confronto su questo processo di riforma senza legarlo alla questione del federalismo.
Ribadisco il tema posto in precedenza dalla collega Lanzillotta, che sottolineava un eccesso di caratterizzazione regionalistica, certamente non coerente con l'indirizzo previsto dalla Carta delle autonomie e con la valorizzazione delle funzioni e dei ruoli definita dal Titolo V della Costituzione.
Vorrei dunque sapere, in primo luogo, come si possa trovare, nel confronto parlamentare - non so dire rispetto al Governo - il modo per tracciare un disegno complessivo di riforma e discutere i necessari collegamenti tra i suoi vari aspetti.
In secondo luogo, dal momento che lei ha la delega sulle autonomie locali, vorrei chiederle qualcosa relativamente al decreto che ha eliminato l'ICI, il quale ha previsto anche il congelamento di tutte le leve tributarie dei comuni. Ad oggi, nei comuni, nelle province e nelle regioni, la politica delle entrate è completamente congelata. Siamo ormai ad agosto e, di solito, nei mesi di settembre e ottobre, si inizia a pensare con quali risorse strutturare i bilanci di previsione.
Io mi auguro che con la manovra finanziaria vengano trovati quei 900 milioni o quel miliardo mancanti per la copertura del taglio sull'ICI, come è emerso in maniera evidente dalla relazione al Senato.
Ad oggi quella copertura non c'è ma, siccome il Ministro Tremonti ha assicurato che ci sarà, immagino che sarà prevista dalla manovra finanziaria, altrimenti ci troveremo con un buco di bilancio già nel 2008.
Il problema non è tanto questo, quanto quello che potrebbe accadere nel 2009. Le pongo tale questione, perché occorre iniziare a pensare ai bilanci, dato che a gennaio 2009 il federalismo non ci sarà e non ci saranno le leve previste. Molti sindaci che conosco, con i quali ho lavorato per molti anni, oggi si pongono la questione.
Vorrei, quindi, rivolgere al Governo la richiesta di affrontare questo problema e di dare una risposta in grado di assicurare un'esigenza fondamentale per i comuni, per il prossimo anno, anche perché, come ricordava Giovanelli, secondo quanto pubblicato da Il sole 24 ore la scorsa domenica, tra i comparti della pubblica amministrazione, quello delle autonomie locali e dei comuni è il solo ad aver davvero rispettato il patto di stabilità, al contrario di tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione italiana. Grazie.

SOUAD SBAI. Signor presidente, vorrei rispondere subito all'onorevole Fontanelli: in Italia ci sono centri di accoglienza per ragazzi e bambini non accompagnati. C'è il centro Città dei ragazzi e ci sono tante altre associazioni che si occupano dei quasi 3.000 bambini non accompagnati presenti nel Paese.
Il problema di questi ragazzi è che a 18 anni si ritrovano clandestini: arrivano in Italia a 8 o 9 anni, vivono qui da cittadini, imparano la lingua, vanno a scuola, imparano anche un mestiere, ma a 18 anni sono stranieri, sono clandestini. Secondo me, questo è il vero problema dei bambini non accompagnati.
Abbiamo sentito parlare, qualche giorno fa, di dare la cittadinanza a qualche bambino Rom (anche questi bambini non accompagnati). Prima di passare per la cittadinanza, c'è però un altro possibile passaggio, che non valorizziamo mai, ossia quello della carta di soggiorno, che ha una durata di cinque anni.


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Secondo me questi ragazzi dovrebbero seguire questo iter: cinque anni di scuola elementare, altri anni di scuola media, il liceo fino a 18 anni e, in seguito, la cittadinanza. Dar loro la cittadinanza da subito diventa un cavallo di Troia, perché poi tanti altri loro parenti, fino alla quarta generazione, possono entrare in Italia mediante le coesioni familiari.
In secondo luogo, vorrei chiederle che cosa facciamo dei 450.000 immigrati - gente normalissima - che da ormai due anni vivono in Italia con un regolare permesso di soggiorno, che non hanno mai avuto problemi con la giustizia, che hanno ormai imparato anche la lingua, che hanno un lavoro e che vivono in Italia come cittadini normali, seppure, purtroppo, da clandestini, pur essendo persone che, generalmente, non sono coinvolte in problemi di sicurezza.
Vorrei poi ricordare che quattro giorni fa è stata aperta a Roma una moschea-centro culturale, che si chiama La spada dell'Islam, gestita dai fratelli musulmani e dai salafiti, sebbene in Italia ci sia già la più grande moschea d'Europa, che tutti i venerdì viene frequentata da neanche 350 persone. Non capisco perché sia stata aperta questa nuova moschea, all'insaputa della Consulta - chiamiamola federazione - dell'Islam italiano, della quale non fa più parte l'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), uscita perché non aveva firmato la carta dei valori.
Perché non si organizza un incontro con la Consulta islamica per chiarire la questione delle moschee? Non si può continuare in modo selvaggio a costruire moschee che non hanno niente a che fare con i centri di culto - come sappiamo e come, per fortuna, sa anche la comunità islamica - ma che sono invece centri di un islam radicale che persegue altri obiettivi.
Mi interessa capire, dunque, come regolamentare la questione delle moschee ed anche quella degli imam; se ci sarà un censimento delle moschee; se si prevede una scuola per questi cosiddetti imam o se continueremo a lasciar spazio agli imam fai da te.
Considerando il malessere vissuto nel mondo dell'immigrazione e le porte aperte dall'estremismo, non vorremmo che anche in Italia succedesse quello che oggi già accade a Londra o in altri luoghi. Grazie.

CARLO COSTANTINI. Sarò breve, signor presidente. Vorrei ringraziare il ministro e sottolineare che noi condividiamo gli obiettivi e le proposte dell'azione di governo del Ministero, sebbene, purtroppo, molto spesso consideriamo insufficienti gli strumenti prescelti per raggiungere tali obiettivi.
Non voglio ripetermi, ma non posso non condividere le considerazioni di chi mi ha preceduto, relativamente all'inasprimento delle sanzioni e delle pene che è stato privilegiato rispetto all'introduzione di misure di prevenzione, le quali, evidentemente, richiedono un incremento delle risorse economiche. Il decreto sicurezza prevede un massiccio ricorso all'inasprimento delle pene e delle sanzioni, ma noi crediamo che, da solo, questo tipo di intervento non sia assolutamente sufficiente. C'è bisogno di risorse. Gli obiettivi sono condivisi, però è necessario fare qualcosa in più.
Vorrei fare qualche considerazione anche sulle province, per cercare di sgomberare il campo da questioni che, molto spesso, investono aspetti affettivi. Intendo dire che, per chi ha fatto il presidente o l'assessore ed ha vissuto la realtà provinciale, rinunciare a questa istituzione, in qualche modo equivale a dover rinunciare a una parte della propria esperienza politica.
Non credo che il problema debba essere legato ai titoli o alle caratteristiche formali delle singole istituzioni, considerato che, a mio parere, in Italia esiste un altro problema fondamentale. Con la riforma del Titolo V abbiamo assistito, sul piano della produzione legislativa, ad un incremento enorme della conflittualità tra regioni e Stato, mentre sul piano dell'esercizio delle funzioni amministrative abbiamo assistito ad un vero e proprio disastro.
Il vero problema è cioè quello dell'esercizio della funzione amministrativa. Dico


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questo anche per invitarla ad una riflessione sulla riforma delle autonomie e sulla proposta che presenterete al Parlamento. Ci sono alcune realtà, soprattutto nel centro-sud, all'interno delle quali, la stessa funzione amministrativa viene gestita da dieci soggetti. Pensiamo, per esempio, all'attività di promozione turistica, che viene svolta, sul piano amministrativo, dallo Stato, dalle regioni (che hanno competenze esclusive), dalle comunità montane, dalle province, dai comuni, dalle circoscrizioni dei comuni, dalle pro loco (che sono finanziate con soldi pubblici) e dai sistemi turistici locali.
Il problema è che, se ad una singola funzione non corrisponde un unico livello di responsabilità, noi non riusciremo mai a trovare la soluzione del problema. Il punto di partenza dovrebbe essere, quindi, proprio l'affermare il seguente principio, da cui far poi discendere l'attività di riforma: «una funzione, un livello di responsabilità». Questo è l'unico modo per verificare e pesare l'efficacia e l'efficienza della spesa e per consentire ai cittadini di esercitare un controllo democratico, perché è evidente che, nel momento in cui un'azione politica di promozione fallisce, assistiamo, sul territorio, ad un rimbalzo di responsabilità tra i diversi enti, che si imputano vicendevolmente di non aver operato correttamente. Credo, quindi, che vada affermato il principio della necessaria corrispondenza di un solo livello di responsabilità all'esercizio di ciascuna funzione.
In questo contesto, io faccio francamente fatica ad individuare un ruolo strategico delle province, in prospettiva; e credo che anche per i piccoli comuni, nella riforma dell'autonomia, potrebbe essere valutata la possibilità di rendere obbligatorio e vincolante l'esercizio di una funzione amministrativa in forma associata.
Oggi l'esercizio di alcune funzioni in forma associata è una facoltà prevista dalla legge, ma potrebbe forse diventare un vincolo, almeno per i piccoli o i piccolissimi comuni; ciò consentirebbe risparmi ed assicurerebbe maggiori risorse ai cittadini. Mi riferisco, evidentemente, a comuni molto piccoli.
Vorrei poi parlare di un aspetto che mi ha interessato l'anno scorso, per sapere cosa ne pensi il ministro. Lei ha fatto alcuni cenni alla problematica molto importante, soprattutto in questo periodo, della prevenzione degli incendi boschivi. L'anno scorso io ho presentato un disegno di legge che fa specifico riferimento ad alcuni studi secondo cui, in molte parti del mondo, l'utilizzo diffuso degli strumenti di rilevazione satellitare dei focolai d'incendio ha, di fatto, consentito di superare il problema. La rilevazione satellitare consente, infatti, di individuare con un anticipo enorme anche un focolaio di incendio di circa un metro quadrato e di dare l'allarme ai vigili del fuoco e alle unità della protezione civile, permettendo così di intervenire con molta più efficacia.
L'università di Potenza - o di Matera, comunque di una città della Basilicata - ha affermato in maniera inequivoca che il gravissimo incendio di Peschici di due anni fa, se ci fosse stato un sistema di rilevazione satellitare, sarebbe rimasto poca cosa, mentre invece si è determinato il disastro che conosciamo.
Noi abbiamo una legge quadro nazionale sul fenomeno della prevenzione degli incendi boschivi, che consente alle regioni l'utilizzo del sistema satellitare, tra gli altri strumenti di prevenzione. Sappiamo, però, che quasi tutte le regioni, per mancanza di risorse o per mancanza di competenze specifiche, non hanno adottato questo strumento. Considerato che la tutela dell'ambiente rappresenta comunque una competenza esclusiva dello Stato e che la conservazione del patrimonio boschivo è una questione direttamente collegata alla tutela dell'ambiente, lei non ritiene possibile intervenire a livello legislativo per costringere le regioni a dotarsi di un sistema di rilevazione satellitare per la prevenzione degli incendi boschivi, oppure che sia direttamente lo Stato a dotarsene?

ANTONIO DISTASO. Signor presidente, chiedo scusa per non essermi previamente


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iscritto a parlare. Anche per questo sarò rapidissimo: vorrei svolgere delle brevi considerazioni sul tema delle autonomie locali, ringraziando il ministro e dandogli atto di aver avuto un approccio organico alla materia, cosa per la quale gli esprimo il mio apprezzamento.
In data 25 giugno, in premessa alla sua audizione, lei ha parlato non solo di federalismo fiscale, ma, appunto, di riforma federale dello Stato e del Codice delle autonomie locali. Questa è la prima osservazione che volevo fare.
Per quello che sappiamo, credo che sia il disegno di legge sul federalismo fiscale, sia il codice delle autonomie locali saranno collegati alla legge finanziaria; e che il Governo arriverà ad approvarli dopo un dibattito che potrà farci riflettere anche sull'idea più ampia di riforma federale dello Stato.
Da questo punto di vista, avrei altre due osservazioni. Si è parlato di enti inutili e lei, nella sua relazione, ha fatto riferimento agli ambiti territoriali ottimali (ATO), ai consorzi di bonifica eccetera. Io non liquiderei troppo frettolosamente la questione, perché penso che sia più opportuno - come è previsto, tra l'altro, nella legislazione vigente - demandarla alla competenze legislativa delle regioni.
Io sono tra coloro secondo cui - se ne discute da oltre venticinque anni - le regioni fanno troppa gestione e troppo poca legislazione. Questo è uno dei casi in questione, considerato che è già previsto, per esempio, in tema di ATO idrici e di ATO rifiuti, che le regioni razionalizzino la presenza di questi enti sul territorio. Stando all'ultima stesura del Codice ambientale, tra l'altro, tali enti devono essere obbligatoriamente consorziati con degli enti locali, quindi la forma associata è già prevista.
In Puglia, per esempio, c'è solo un ATO idrico. In gran parte questa è stata una scelta obbligata, perché in quella regione, da un secolo a questa parte, c'è un unico soggetto gestore - l'acquedotto pugliese - ed era quindi obbligatorio avere un ente di controllo unico. La riflessione che volevo fare, comunque, è che queste decisioni devono essere demandate anche all'organo legislativo più vicino al territorio, in questo caso alle regioni.
L'altra mia riflessione concerne il ruolo delle province. Penso che, anche su questo, noi dovremmo chiederci organicamente - lo diceva anche il collega che mi ha preceduto - se vogliamo conservare tutti i livelli istituzionali attuali. Io non ho una preferenza in merito; ne abbiamo discusso in campagna elettorale e penso che, prima di assumere una decisione definitiva, si debba fare una riflessione seria.
Nella sua relazione, lei ha detto giustamente che le province rivestono un ruolo essenziale, soprattutto a favore dei comuni medi e piccoli, per cui, naturalmente, essi hanno un'importanza vitale quali centri di coordinamento e di riferimento. Sono, però, d'accordo sul fatto che l'unione di comuni in forma associata, mediante consorzio o altra forma, potrebbe essere una valida alternativa; anche su questo dovremmo svolgere una riflessione.
Da ultimo, le rivolgo un piccolo rimprovero, signor ministro: lei ha dimenticato Bari tra le città metropolitane citate nella sua relazione! Sarà stata sicuramente una svista e glielo dico solo per fare una battuta.
Termino con una riflessione. Lei ha rimandato a settembre, credo, la valutazione circa la possibilità di conservare o meno l'ente provincia laddove si costituiranno le città metropolitane. Considerato che il processo di costituzione delle città metropolitane richiederà un po' di tempo e, tra l'altro, anche una concertazione dal basso tra i comuni di riferimento, io mi chiedo se ci sarà poi il tempo tecnico indispensabile per poter realizzare questo obiettivo. Grazie.

SESA AMICI. Limiterò il mio intervento a poche battute, signor presidente.
Ringrazio il ministro, anche se è passato molto tempo e ci sarebbe molto da dire per attualizzare le discussioni che sono nel frattempo intervenute. Molti colleghi hanno già espresso la nostra posizione politica su tutto il pacchetto sicurezza e sui decreti correttivi di accompagnamento,


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che pertanto non ripeteremo in questa sede. Certamente, però, il fatto di non ribadire la nostra posizione non significa che abbasseremo la guardia su alcuni punti di quei decreti, rispetto ai quali c'è il nostro profondo dissenso.
Vorrei chiedere al ministro due cose, in particolare.
Lei è Ministro dell'interno e, tra gli ambiti di competenza della sua delega, io credo ci sia un problema che riguarda - questo, sì, veramente - sia la maggioranza, sia l'opposizione: quale modello di sicurezza intende rimettere in essere, rispetto alle odierne cinque forze dell'ordine nazionali (polizia, carabinieri eccetera)?
Non c'è dubbio, infatti, che ormai quel modello abbia fatto il suo tempo, soprattutto rispetto alla dislocazione dei presidi nei territori, che mostra tutti i suoi limiti. A volte ci sono interi chilometri privi di presidi territoriali, mentre altre volte quei presidi, per mancanza di organici - e, quindi, ancora una volta, il tema è quello delle risorse - hanno orari da uffici pubblici. Intere caserme che, alle ore venti, rispondono a malapena al centralino.
Credo che questo tema attenga all'organizzazione, ma anche al diverso ruolo oggi ricoperto dalla polizia nei confronti dei cittadini: a volte la sola presenza delle forze dell'ordine costituisce un elemento deterrente rispetto al reato in sé e per sé. Questo richiederebbe anche una diversa formazione delle forze di polizia e quindi, forse, un confronto di merito su tali questioni.
Vengo ora alla seconda domanda. Lei ha molto enfatizzato la questione della sicurezza urbana e di una nuova idea di sicurezza urbana; ed è riuscito, in mezzo ad un'esplosione di proteste - ancora oggi ci sono state alcune proteste sui tagli - a far ristabilire un fondo di 100 milioni di euro sulla sicurezza urbana. Ecco, io le chiedo: come verrà gestito questo fondo?
Questo tema non riguarda solo il bilancio, ma anche la qualità di chi si mette insieme, la rete fra sindaci; i poteri dei sindaci devono diventare elemento di co-gestione nella costruzione dell'idea che la sicurezza urbana non è limitata al solo arredo, ma anche politiche inclusive di riqualificazione dei centri e delle periferie.
Le pongo un'ultimissima questione, signor ministro. Il nostro Paese è oggi molto osservato dall'Europa. Noi abbiamo posizioni diverse: lei ha anche risposto con grande nettezza ad un'interpellanza da me sottoscritta; ma io le chiedo se, di fronte ad un tema come quello dell'immigrazione - rispetto al quale non bastano le normative degli Stati nazionali, ma bisogna costruire anche una politica europea e rafforzare le intese e alcune politiche di controllo - non sia il caso di smettere di compiere errori, anche di ordine costituzionale, fra norme restrittive e la difesa imprescindibile dei diritti umani.
Forse questo è un tema che, inserito in una riflessione più generale, riapre con l'Europa, non con in cappello in mano ma con grande autorevolezza e garantendo le libertà degli individui.

PRESIDENTE. Do la parola, per la replica, al Ministro Maroni.

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Grazie. Vorrei ringraziare tutti quelli che sono intervenuti e che hanno fornito spunti, commenti e critiche molto puntuali e interessanti. Ho preso nota di tutti questi suggerimenti ed alcuni di essi saranno oggetto di approfondimento.
Mi riferisco, in particolare, alla proposta fatta dall'onorevole Costantini sugli incendi boschivi. È vero che le competenze in materia sono delle regioni, ma se le regioni non si attivano per la rilevazione satellitare e per l'utilizzo di questi strumenti, sarà utile valutare se non sia il caso di prevedere un intervento diverso.
Mi pare che le questioni poste riguardino principalmente due categorie di interventi del Ministero: quelli inerenti la sicurezza e quelli riguardanti le autonomie locali. Vorrei, quindi, suddividere le mie risposte in questi due grandi settori, cominciando dalla sicurezza e prendendo spunto dall'ultimo intervento dell'onorevole Amici.
Lei, come altri colleghi, ha sollevato la questione, della necessità - che io condivido -


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di una riflessione sul modello di sicurezza. Oggi abbiamo cinque forze di polizia, a cui, dopo il decreto-sicurezza, si può aggiungere anche, in qualche modo, la polizia locale, che avrà d'ora in poi compiti più importanti e significativi nel controllo del territorio e, quindi, nella prevenzione dei reati.
Il decreto dà maggiori poteri ai sindaci, mette la polizia locale nelle condizioni di accedere ad alcune banche dati del Ministero dell'interno e le conferisce un ruolo più importante in tema di integrazione.
Noi stiamo facendo e intendiamo fare esattamente questo: una riflessione complessiva sul modello di sicurezza, sul rapporto tra le forze armate, ma anche sull'organizzazione stessa del Ministero dell'interno, a livello sia centrale, sia periferico, per quanto riguarda le forze di polizia, ma anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Per tutta la provincia di Milano, per esempio, ci sono 1004 vigili del fuoco; per la provincia di Roma, che ha più o meno le stesse dimensioni e gli stessi problemi, ce ne sono invece 1760, cioè il 75 per cento in più. Questa diversa organizzazione è fondata, cioè risponde ad esigenze e a motivi di organizzazione e di efficienza, oppure ad altri motivi?
Questa riflessione riguarda anche, come è stato sottolineato, i presìdi sul territorio. È verissimo, sul territorio ci sono delle presenze - caserme dei carabinieri, commissariati eccetera - che, in tutti questi anni, per lo più, si sono insediate sulla base della migliore organizzazione sul territorio, ma qualche volta anche per motivi diversi, per cui ci sono caserme di carabinieri che, alle otto di sera, chiudono e staccano il telefono perché non hanno personale.
Bisogna pensare ad una diversa e migliore organizzazione, tenendo presente che il principio da seguire deve essere proprio quello del presidio del territorio.
In Italia abbiamo un esponente delle forze dell'ordine ogni 140 abitanti circa: non sono pochi. Io continuo a ritenere che quello della sicurezza non sia tanto un problema di risorse, che cioè non servano sempre più risorse, quanto che occorra spendere meglio quelle disponibili. Le risorse ci sono: per il Programma operativo nazionale (PON) sulla sicurezza nel Mezzogiorno, che riguarda quattro regioni, per esempio, abbiamo complessivamente stanziato - Europa e Italia - un miliardo e 200 milioni di euro per i prossimi quattro anni. Sono tanti soldi che, se saranno spesi bene, serviranno a garantire una riduzione della criminalità in quelle regioni; se invece saranno spesi male, non risolveranno il problema.
Io sono convinto che nella legge finanziaria le risorse necessarie ci siano: ai 400 milioni che abbiamo rimesso e ai 100 milioni per il Fondo per la sicurezza urbana si aggiungeranno le risorse, che abbiamo già cominciato ad individuare, che confluiranno nel Fondo straordinario: le recupereremo attraverso i beni mobili e, soprattutto, le risorse finanziarie confiscati alla mafia.
L'ultima stima che abbiamo fatto supera di molto il miliardo di euro che avevamo ipotizzato. Se riusciremo a recuperare queste risorse entro la fine dell'anno - e sono sicuro che sarà così - per il 2009, in aggiunta ai 400 milioni di cui ho parlato, avremo oltre un miliardo di euro da mettere a disposizione del comparto sicurezza.
Mi è stato chiesto come verrà utilizzato il Fondo per la sicurezza urbana. La legge dice che questi soldi sono destinati ai sindaci e ai comuni per realizzare programmi di sicurezza urbana. Io sono già nelle condizioni di firmare il provvedimento - lo farò nei prossimi giorni - che, a seguito dell'entrata in vigore di pochi giorni fa del decreto-sicurezza, definisce cosa si intenda per sicurezza urbana.
Questo consentirà ai sindaci di emanare fin da subito i provvedimenti previsti dalla nuova normativa. Fino ad oggi erano solo provvedimenti contingibili e urgenti in materia di incolumità pubblica, mentre da domani, anzi già da oggi, potranno essere anche provvedimenti non contingibili e urgenti in materia di sicurezza urbana. Ai sindaci diamo, quindi, subito il quadro normativo.


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Quanto al Fondo per la sicurezza urbana, per evitare corse e rincorse a chi arriva primo per prendere i soldi, penso che la cosa migliore sia fare un protocollo di intesa con l'ANCI, per definire i criteri in base ai quali i sindaci possono accedere a questo Fondo. Ho già parlato con il presidente dell'ANCI e penso che realizzeremo tale protocollo a settembre. Voglio così evitare rincorse ai fondi, favoritismi e cose di questo genere, o anche solo l'impressione che si diano i soldi a un sindaco piuttosto che all'altro, sulla base di qualche criterio che non sia quello del rigore nella definizione dei programmi di intervento di sicurezza urbana.
So che molti sindaci hanno già avanzato richieste relative alla sicurezza urbana, soprattutto in materia di impianti di videosorveglianza, di cui si è parlato. La maggior parte delle risorse destinate, per ora, dal PON sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, sono destinate proprio agli impianti di videosorveglianza. Io sono d'accordo con questa impostazione, perché la sorveglianza del territorio, attraverso questi strumenti, aumenta la percezione di sicurezza e il controllo stesso del territorio.
Abbiamo affrontato, e stiamo risolvendo, anche tutte le questioni legate alla privacy, perché vogliamo fare un protocollo di intesa con l'ANCI che dia tutte le garanzie ai cittadini, anche da questo punto di vista. Sono ottimista sul fatto che riusciremo a farlo in tempi brevi.
Per quanto riguarda sempre il tema della sicurezza e le altre questioni poste dai colleghi che hanno preceduto l'onorevole Volontè, ha certamente ragione chi sottolinea la necessità di recuperare il personale di polizia da compiti che non sono gli sono propri (penso alle scorte, ai Ministeri e, in genere a chi svolge compiti non di pubblica sicurezza, ma di pura amministrazione). Tutto questo rientra nella revisione dell'organizzazione del Ministero, che abbiamo già iniziato a fare e che penso di concludere entro pochi mesi, valutando da ogni punto di vista come siano impiegate le risorse umane, nel rapporto tra centro e periferia, tra periferia e periferia, nei territori, all'interno e all'esterno delle questure, delle prefetture eccetera.
Venendo al suggerimento, avanzato anche dall'onorevole Minniti, di rafforzare il coordinamento delle forze di polizia, questo è un altro dei temi su cui naturalmente ci stiamo esercitando, partendo dal presupposto, di cui sono veramente convinto, che più che continuare a chiedere nuove risorse finanziare, è opportuno valutare bene come sono spese le risorse disponibili, in una fase in cui si devono fare i conti con i tagli e con la necessità di ridurre la spesa pubblica.
L'onorevole Tassone ha sollecitato la riforma della legge 121, inerente l'organizzazione della polizia. Sono d'accordo e, nelle settimane passate, ho avuto una serie di incontri con tutti i sindacati del Ministero dell'interno: delle forze di polizia, dei vigili del fuoco, dei prefetti, del personale impiegatizio. Non si faceva da anni, ed è stato molto utile, perché non è emersa una posizione meramente rivendicativa, dal punto di vista sindacale o salariale: c'è stata anzi la richiesta di partecipazione alla revisione del modello di organizzazione della sicurezza, compresa la richiesta di revisione della legge 121 del 1981, che ha ormai quasi trent'anni di vita. Ci accingiamo a fare anche questo, nei mesi tra settembre e la fine dell'anno.
Il collega Bianconi ha sostenuto la necessità di passare dalla teoria alla pratica, per applicare le norme. Lo abbiamo fatto e lo stiamo già facendo. Come ho detto prima, il decreto legge in materia di sicurezza è entrato in vigore pochi giorni fa e gli abbiamo già dato attuazione, con le firme mia e del collega La Russa; ciò consentirà, già da lunedì prossimo, l'utilizzo di 3.000 militari nelle città: 1.000 per presidiare i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ossia gli ex Centri di permanenza temporanea (CPT); 1.000 per presidiare i siti sensibili come, per esempio, le ambasciate, soprattutto a Roma; 1.000 per il pattugliamento.
In più, l'utilizzo di questi militari consentirà di mettere a disposizione quelle forze di polizia che finora sono state


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sottratte dai compiti di controllo e tutela dei siti sensibili, come le ambasciate, e di utilizzarle per quello che sanno fare meglio, cioè il controllo del territorio.
Il secondo provvedimento che attuerò, a seguito dell'entrata in vigore del decreto, è quello sulla sicurezza urbana: nei prossimi giorni firmerò il decreto attuativo.
Proprio oggi, a mezzogiorno, si terrà la riunione della conferenza Stato-città. Si tratta di un passaggio non obbligatoriamente previsto dalla legge, ma che io voglio fare, per condividere con i rappresentanti di questa conferenza il contenuto del decreto sulla sicurezza urbana; dal momento che esso è uno strumento a disposizione dei sindaci, voglio che esso sia condiviso con loro prima che io firmi il decreto, il che avverrà domani o, al massimo, lunedì.
Questo provvedimento assegna un ruolo ai sindaci, proprio perché ritengo che il coinvolgimento di chi governa i territori rappresenti la nuova frontiera della sicurezza. Attraverso un'azione più intensa e incisiva sul territorio si potrà migliorare la percezione di sicurezza. Non intendiamo limitarci a fare uno spot, dicendo che il problema della sicurezza non c'è più.
L'onorevole Fontanelli poneva il problema della diminuzione delle risorse, su cui ho già risposto. Bisogna prima vedere come sia meglio organizzarle, perché tante risorse si possono recuperare da una migliore organizzazione.
Condivido tutte le cose dette dall'onorevole Sbai. Per quanto riguarda la questione da lei posta, inerente i 450.000 - o 600.000, secondo noi - immigrati che lavorano onestamente in Italia senza un regolare permesso di soggiorno, così come sul tema dell'immigrazione in generale, noi seguiamo le linee guida contenute nel Patto per l'immigrazione e l'asilo presentato dalla Francia, in qualità di Presidente di turno dell'Unione europea per questo semestre. È un documento molto dettagliato, che invita gli Stati membri a seguire una politica comune in materia di immigrazione.
La competenza è oggi dei singoli Stati membri, la cui incapacità di mettere in atto misure di grande efficacia - proprio perché tali misure sono tra loro scollegate - tutti noi possiamo verificare quotidianamente. Anche la Spagna, per esempio, che in materia di immigrazione ha fatto delle cose egregie, ha gli stessi nostri problemi.
La scelta, da parte degli emigranti, di un Paese di destinazione piuttosto che di un altro, deriva spesso, non tanto dalla vicinanza geografica, quanto da ciò che essi si aspettano che possa succedergli nel Paese in questione, ed è quindi legato a fattori come le politiche del lavoro e di integrazione o come il grado di certezza della pena.
Se l'Europa continua ad avere un approccio di questo tipo, riusciremo a tamponare il problema dell'immigrazione, ma non ad affrontarlo in modo serio.
Mi pare che la Presidenza francese abbia posto le basi, per la prima volta, per una politica comune europea. Nel patto per l'immigrazione e l'asilo si chiede agli Stati membri di non procedere con sanatorie generalizzate e nemmeno con sanatorie per compartimenti o categorie, ma di muoversi solo caso per caso, a seconda della esigenza della singola persona immigrata. Sulla questione degli immigrati clandestini, sia io, sia il Governo italiano condividiamo questa posizione.
Per concludere sul tema della sicurezza, vi comunico che, così come ci siamo impegnati a fare, domani porterò in Consiglio dei ministri, per l'approvazione, i tre decreti legislativi in materia di ricongiungimenti, di cittadini comunitari e di asilo, che hanno avuto tutti il parere favorevole delle Commissioni.
Con ciò avremo approvato quattro provvedimenti su cinque - il decreto legge e tre decreti legislativi - il che mi pare un ottimo risultato. Rimane il disegno di legge, che sarà affrontato alla ripresa dei lavori, nel quale confluiranno tutte le questioni che, nel frattempo, sono entrate nel dibattito.
Non è previsto un ulteriore disegno di legge, rispetto a quello sulla sicurezza, che è all'attenzione del Senato: tutti i temi che, come quello della prostituzione, sono giustamente


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emersi dal dibattito, confluiranno nel disegno di legge sulla sicurezza, completando così il pacchetto.
Credo che il tempo trascorso dall'emanazione del decreto legge, alla fine, sia stato utile anche per poter inserire nel disegno di legge tutto ciò che, in queste settimane, è emerso da un dibattito molto utile e interessante, al di là delle asprezze e dei toni che, talvolta, ci sono stati, con polemiche molto spesso, io credo, basate su falsità.
Vengo ora al rapporto con l'Unione europea. Il nostro rapporto con la Commissione europea sui temi della sicurezza è di grande collaborazione. Nei prossimi giorni, come promesso, manderò al Commissario Barrot il primo report sull'iniziativa che abbiamo preso per il censimento nei campi nomadi.
A parte ciò, con la Commissione c'è un costante e continuo colloquio, il che ha determinato, da parte della Commissione nei confronti delle nostre iniziative, un atteggiamento di assoluto rispetto dell'autonomia del Governo italiano. È stato inoltre riconosciuto il fatto che tutte le iniziative che abbiamo preso - ripeto: tutte le iniziative che abbiamo preso - e tutte le proposte che abbiamo fatto, attuano pienamente le norme di legge italiane, le convenzioni europee e le convenzioni internazionali, nessuna esclusa.
Alle critiche che sono venute ho già avuto modo di rispondere e non intendo replicare, ma confermo che con la Commissione - che è l'organo dotato del vero potere di verifica sull'azione dei Governi - i rapporti sono eccellenti e che, quindi, continueremo in questa direzione, senza tentennamenti.
Sul tema delle autonomie sono state sollevate molte questioni e molte critiche, inerenti l'eliminazione dell'ICI, l'azzeramento dei vertici della SOGEI, società di Information e Communication Technology del Ministero dell'economia e delle finanze e le misure previste nel decreto-sviluppo. Qualcuno ha lamentato che il Ministero dell'interno non ha esercitato una sufficiente attenzione in merito, ma io ritengo che non sia così.
Ricordo che nella legge finanziaria erano originariamente previsti interventi molto duri e radicali come l'eliminazione delle province e delle comunità montane e l'obbligo di fusione tra i comuni. Io ho fatto togliere queste previsioni dalla finanziaria per inserirle poi nel codice delle autonomie, la cui approvazione rappresenterà il momento principale della riforma, mentre ora si sta procedendo ai tagli, com'è inevitabile.
Il quadro strategico sul rapporto tra centro e periferia, in attuazione della Costituzione, è rappresentato dal codice - o Carta - delle autonomie, che si basa sul documento predisposto dagli ex Ministri Amato e Lanzillotta, sul quale ci stiamo confrontando con il mondo delle autonomie.
Come ho già detto, oggi si terrà una riunione della Conferenza Stato-città; continueremo questo confronto con tutti i soggetti istituzionali, per arrivare, da settembre, a definire questo codice, con l'intenzione di farlo approvare definitivamente entro la fine dell'anno, parallelamente al provvedimento sul federalismo fiscale. Entrambi sono contenuti nel DPEF come collegati alla legge finanziaria.
La visione strategica non manca: c'è, e come! Collegati alla legge finanziaria saranno il federalismo fiscale e la riforma delle autonomie (il Codice delle autonomie), che necessariamente devono essere varati insieme. Certo, sarà complicato e difficile, proprio perché si tratta di una riforma vera, ma la nostra ambizione è quella di realizzarla nei tempi stabiliti e, a partire da settembre, quello sarà per il Governo il centro del confronto.
Bari è città metropolitana, certamente: non ci sono dubbi su questo e mi scuso se l'ho omessa dal mio elenco.
Sul federalismo fiscale, come ho detto, il confronto continua, è molto intenso e io sono ottimista che si riesca ad arrivare fino in fondo. Sono altresì ottimista sul fatto che si riesca a creare le previste città e aree metropolitane. La mia intenzione è di non procedere al rinnovo dei consigli provinciali delle province interessate, per i quali bisognerebbe votare


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l'anno prossimo: nelle città e aree metropolitane le province spariranno, come, per esempio, a Milano o a Torino.
L'intenzione è di creare da subito le città e le province metropolitane, senza rinnovare le province, visto che dovranno sparire. Le altre, invece, devono rimanere, ne sono assolutamente convinto, ma nelle future città metropolitane ciò non ha più senso.
Bisogna correre, fare in fretta e, soprattutto, fare bene. Ci sono vari modelli di governance delle città e delle aree metropolitane. Uno di essi è previsto dal Codice delle autonomie, ma ce ne sono altri che stiamo valutando e discutendo. Lo faremo durante il mese d'agosto, quando approfondiremo questi temi per arrivare, a settembre, a fare una proposta, che verrà naturalmente portata all'attenzione del Parlamento, previa discussione, appunto, col mondo delle autonomie, ma sono ottimista sul rispetto dei tempi.
Da ultimo, veniamo agli Uffici territoriali del Governo. Sono assolutamente d'accordo. Io sono stato un sostenitore dell'UTG quand'ero Ministro del lavoro e sono stato l'unico ministro disponibile a far confluire nell'UTG le direzioni provinciali del lavoro.
È un progetto assolutamente coerente con la riforma federale, perché se si danno più poteri ai territori, tutte le articolazioni territoriali del Governo si devono concentrare in un unico front office. È un modello, un disegno, un progetto che ideò Bassanini nel '99 e che, però, da allora - sono trascorsi quasi dieci anni - è rimasto sulla carta.
Da allora sono stati in carica quattro Governi e non se ne è fatto granché, se non cambiare la carta intestata delle prefetture, dove ora è scritto: «Prefettura - Ufficio territoriale del Governo». È chiaro che, se nei prossimi mesi mi renderò conto che questo progetto non si può realizzare, bisognerà naturalmente trovare un'altra soluzione, ma questo è un progetto che ha in sé tutte le caratteristiche necessarie ed è coerente, soprattutto, col sistema federale.
Io mi impegno, su questo punto, a fare tutte le verifiche necessarie entro il mese di settembre, per trovare una soluzione alternativa, se sarà il caso, da far combaciare temporalmente con il Codice delle autonomie.

PRESIDENTE. Bene colleghi, il dibattito ha rispettato i tempi, anche per i lavori dell'Assemblea che - mi dicono - sono appena iniziati.
Ringrazio nuovamente il Ministro Maroni. La collaborazione con la Commissione continuerà ed avremo sicuramente modo di approfondire ulteriormente gli interessanti argomenti che oggi sono stati esaminati
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,10.

I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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