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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione I
15.
Mercoledì 3 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione, Filippo Patroni Griffi, sul riordino delle province e sull'attuazione delle disposizioni di legge, recentemente approvate, recanti misure di semplificazione amministrativa (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bruno Donato, Presidente ... 3 15 20
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 3
Ceroni Remigio (PdL) ... 15
Fontanelli Paolo (PD) ... 3
Giovanelli Oriano (PD) ... 15
Lanzillotta Linda (Misto) ... 6 19
Libè Mauro (UdCpTP) ... 7
Lorenzin Beatrice (PdL) ... 11
Meroni Fabio (LNP) ... 8
Patroni Griffi Filippo, Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione ... 15 19
Tassone Mario (UdCpTP) ... 9
Vanalli Pierguido (LNP) ... 11
Volpi Raffaele (LNP) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 3 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi, sul riordino delle province e sull'attuazione delle disposizioni di legge, recentemente approvate, recanti misure di semplificazione amministrativa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Filippo Patroni Griffi, sul riordino delle province e sull'attuazione delle disposizioni di legge, recentemente approvate, recanti misure di semplificazione amministrativa.
Ricordo che nella seduta del 26 settembre si è esaurita la trattazione della parte dell'audizione riguardante l'attuazione delle disposizioni di legge recentemente approvate recanti misure di semplificazione amministrativa.
Nella medesima seduta del 26 settembre il Ministro Patroni Griffi ha svolto la sua relazione sul tema del riordino delle province. Sono poi intervenuti alcuni colleghi e il Ministro ha svolto una prima replica.
Ricordo che sono iscritti a parlare i colleghi Amici, Calderisi, Favia, Fontanelli, Lanzillotta, Libè, Meroni e Tassone, a cui si stanno aggiungendo altri deputati.
Do loro la parola, ringraziando a nome della Commissione il Ministro per la sua presenza e la sua disponibilità.

GIUSEPPE CALDERISI. Vorrei rivolgere al Ministro una semplice domanda in relazione al disegno di legge che il Governo ha presentato (C. 5210) sulle modalità di elezione del Consiglio provinciale e del presidente della provincia.
Alla luce sia delle diverse funzioni che il Governo ha convenuto di attribuire alle province e sia delle relazioni svolte in qualità di relatori sul citato disegno di legge non solo dal sottoscritto, ma anche dal collega Bressa, che hanno rilevato alcune criticità sull'applicazione di questo sistema, volevo chiedere quali fossero gli intendimenti, ossia se il Governo tenda a confermare tale impostazione o se ci sia stato un ripensamento e se si sia pensato a come modificare il testo presentato nel maggio scorso.

PAOLO FONTANELLI. Svolgo una considerazione generale anche alla luce del fatto che nell'ultima settimana alcuni elementi di maggiore riflessione sono emersi, in particolare in relazione alla vicenda delle regioni. Ho visto anche dichiarazioni del Ministro sulla necessità di ragionare in merito all'esigenza di mettere mano anche al Titolo V, un'esigenza più che legittima.
Io credo che forse sarebbe stato meglio se il ragionamento di affrontare in termini


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di riordino complessivo il sistema fosse stato svolto all'inizio, perché oggi ci troviamo a gestire un provvedimento sulle province, che, a parer mio, sta generando notevoli elementi di confusione e di difficoltà e ha acceso anche alcuni localismi di cui proprio non sentivamo il bisogno.
L'articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto Salva Italia, in realtà, poneva il tema delle province su un piano molto più forte in termini di semplificazione. Si stabiliva, infatti, che tutte le funzioni fossero trasferite a regioni e comuni, assumendo l'idea che bisognasse semplificare in maniera più adeguata il sistema.
Conosciamo l'evoluzione della discussione. Quello che è venuto fuori e su cui oggi si sta lavorando è un disegno di riordino molto meno significativo in termini di semplificazione e anche un po' distorsivo, anche perché quello che avrebbe dovuto essere il primo punto del ragionamento riguardava le funzioni. A partire dalle funzioni si sarebbe dovuto stabilire quale livello di riorganizzazione e di riordino istituzionale fosse necessario nel sostituire e riordinare le province. In realtà, invece, siamo arrivati a un ragionamento rovesciato.
Oggi noi stiamo ragionando su quante province possono continuare a esistere in base ad alcuni requisiti, mentre la questione delle funzioni è stata posticipata a un momento successivo. Non si ragiona per capire a che cosa debbano servire, che cosa debbano fare e come debbano farlo nel miglior modo possibile, anche nel dialogo e nel confronto con gli altri livelli istituzionali, a partire da quelli regionali.
Io vedo una situazione che non è quella che ci aspettavamo. Non è la situazione ottimale di cui avremmo bisogno. Probabilmente anche la rigidità con cui sono stati posti nel provvedimento alcuni criteri ha di fatto spostato l'asse dal ragionamento sulle funzioni. Oggi la rincorsa è a cercare di mantenere quante più province possibile, anziché a ragionare in termini prima di funzioni e di stabilirne il numero minore possibile.
Lo spirito avrebbe dovuto essere questo. Lo spirito del riordino e dell'accorpamento avrebbe dovuto cercare di contenere le funzioni, mentre noi siamo oggi a una campagna e a una discussione che tendono a spostare più in alto la discussione sulla questione delle possibili deroghe.
Vorrei osservare - è questa la domanda, cui in parte il Ministro ha risposto, anche perché una sollecitazione era già arrivata la volta scorsa - che sulla questione delle deroghe sarebbe bene che venisse una parola più chiara: o si stabilisce che non ci sono deroghe in assoluto, il che è un criterio, oppure, se si ammette l'idea che ci debbano essere deroghe possibili, perché magari alcune regioni le propongono, ci deve essere un criterio. Io giudico eccessiva la rigidità dei requisiti posti, non tanto quello di abitanti e territorio, che ci può stare o non ci può stare e mi interessa meno, quanto quello sulle città metropolitane, che complica molto la questione e rende anche più complicato il ragionamento sulle funzioni.
Se ci deve essere un ragionamento in cui si può considerare anche lontanamente ammissibile una possibilità di deroga, io credo che ciò non possa avvenire senza un minimo di criterio, che non può essere quello dell'accontentare il maggior numero di richiedenti possibile. A mio avviso, se un criterio ci deve essere, deve cercare quantomeno di fornire un significato logico alla parola area vasta, che si è introdotta nel provvedimento e attaccata alle province.
Le aree vaste non sono le province, per come sono oggi in Italia. Sono realtà più complesse per le interazioni di mobilità, di economia e via elencando. Dovremmo cercare di indirizzare, se esiste questa possibilità, il fatto che non ci può essere una deroga nel senso della moltiplicazione, ma eventualmente in coerenza con ragionamenti efficaci dal punto di vista delle funzioni dell'area vasta.
Questo è un interrogativo che ripropongo al Ministro, perché è un tema di cui si sente parlare. Da quanto si legge sui giornali, ad esempio nella mia regione,


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sussiste una situazione di grande confusione: ho appreso che il Consiglio delle autonomie locali ieri non è riuscito a formulare una sola proposta e che, quindi, sono state formulate due ipotesi, una che prevede cinque province e una quattro.
Mi risulta che ciò non riguardi solo la Toscana, ma che ci siano regioni che ripropongono esattamente tutte le province come sono ora. Mi pare che ci sia una realtà molto variegata e che sia necessario mettere un punto di chiarezza.
Voglio essere chiaro su questo fronte. Il ragionamento che ho svolto all'inizio lascia capire che cosa intendo. Io penso che questo sia un provvedimento che sarebbe stato meglio non presentare e che sarebbe stato meglio vararne uno di carattere costituzionale che affrontasse la questione delle regioni, quella delle province, o comunque degli enti intermedi, e quella dei comuni tutte insieme. Forse sarebbe stato necessario e sarebbe stato un modo serio per affrontare il tema, il che non è avvenuto.
Non voglio affermare che oggi ci si debba - secondo me, sarebbe un segnale negativo - fermare e ritornare indietro. Ne verrebbe fuori l'idea che nessuna semplificazione sia possibile anche a livello istituzionale, il che non sarebbe un bel messaggio.
Penso che, però, bisogna lavorare per rendere il provvedimento maggiormente in grado di recuperare lo spirito iniziale positivo sulle funzioni di area vasta. In questo senso, credo che sulla questione delle città metropolitane dovremo riflettere. È troppo rigida e meccanica la definizione per cui la città metropolitana è la provincia della città capoluogo di regione individuata. A parer mio, si tratta di un errore.
Ritengo giusto quando il sindaco di Torino domanda che cosa c'entri un comune della montagna lontano decine di chilometri da Torino con la città metropolitana di Torino. Pone una questione giusta. Bisognerebbe ragionarci e vedere se si trova un elemento di maggiore flessibilità, eventualmente sul piano interpretativo, tramite alcune correzioni.
Credo che dovremmo provare a immaginare anche la possibilità di inserire una forma di monitoraggio e di verifica sulle città metropolitane, tale da consentire poi di fare il punto, almeno a un anno dal provvedimento, per vedere che cosa accade e come gestirlo al meglio, sempre che da oggi a un anno la revisione del Titolo V non ci porti a mettere mano radicalmente a questa materia.
Chiudo con un'ultima questione, che riguarda due punti. È una domanda anche che rivolgo al Ministro per sapere se su questo tema si è riflettuto. Esso riguarda, in particolare, i capoluoghi, o ex capoluoghi, a seconda della normativa. Si tratta di due punti che stanno generando molti problemi, ma in questa sede a me non interessa discutere il modo con cui tale elemento sia individuato nel provvedimento. Si individua tra i capoluoghi che si accorpano quello più numeroso come popolazione, salvo intese.
L'espressione «salvo intese» avrebbe avuto bisogno di altro per incentivare ad attribuirle un senso. Si sarebbe dovuto evitare che la questione si trasformasse in guerre fra chi aveva la bandierina del capoluogo e chi no, ma oggi è questa la situazione.
C'è un elemento che sta producendo molte tensioni. Mi riferisco alla distonia fra il problema dell'individuazione del nuovo capoluogo, quando i capoluoghi si accorpano, e il problema di dove si allocano e come si sviluppano gli organi decentrati dello Stato. Questo punto sta creando molti problemi. Ci sono tempi diversi e situazioni diverse.
Il secondo elemento riguarda quelli che possiamo definire gli ex capoluoghi. Non so ci si è pensato. Poiché già in normative precedenti era stata stabilita una riduzione del numero dei consiglieri comunali secondo una logica proporzionale, che andava in attuazione con le nuove elezioni amministrative, con questo nuovo provvedimento possiamo avere ex capoluoghi che non solo hanno subìto tale riduzione, ma che ne subiranno anche un'altra e andranno a finire al livello del secondo comune della provincia.


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Porto l'esempio di Pisa, che aveva 40 consiglieri e che con la nuova normativa va a 32. Se non è più capoluogo e si applica rigidamente la norma per cui il capoluogo ha un tot di consiglieri, passerebbe a 24, come il comune di Cascina, che ha 40.000 abitanti.
Questo è un altro problema. Non so se in merito si sia riflettuto e se sia visto in che modo affrontare e fornire risposte a quesiti come questi, che stanno alimentando molte tensioni nel territorio.

LINDA LANZILLOTTA. Il processo in atto è sicuramente molto complesso e impegnativo, perché per la prima volta dopo tanti anni si mette mano all'assetto dell'organizzazione degli enti locali, che pure necessitava di un intervento da moltissimo tempo.
Io mi permetto di dissentire dal collega Fontanelli rispetto a un approccio teoricamente corretto, che è quello che lui sottolineava, ossia quello di partire dalle funzioni per arrivare al riordino. Questo è il percorso che abbiamo provato a seguire da quindici anni col Codice delle autonomie e il cui risultato è sotto gli occhi di tutti. Era giusto cominciare ad aggredire il problema, perché probabilmente solo ridefinendo gli ambiti e la configurazione degli enti si potrà poi essere più razionali nell'allocazione delle funzioni. A quel punto ci sarà quasi un vincolo esterno a procedere alla riorganizzazione.
Si è partiti, dunque, il che è un bene. Non lo si era fatto per tanti decenni e adesso naturalmente sta al Governo resistere alle pressioni, che sono, come noi sappiamo, molto forti, per avere deroghe e rinvii. Io raccomando di non concedere deroghe, perché si aprirebbe un vaso di Pandora: concessa una, concessa tutte.
Qui si parrà la nobilitate del Governo, perché se non lo fa il Governo tecnico, non lo farà mai più nessuno. Abbiamo una finestra di opportunità per arrivare alla razionalizzazione del sistema, il che consentirà anche ai partiti di scaricarsi da alcune responsabilità che evidentemente in prima persona in tutti questi anni non sono stati capaci di esercitare in altra maniera più razionale e organica.
Sul punto delle funzioni io credo che, in effetti, la definizione delle funzioni di area vasta, così come sono state elaborate un po' sommariamente nell'articolo 18 del decreto legge n. 95 del 2012, richiederà un'ulteriore riflessione, perché si tratta di funzioni parziali, che non assorbono il complesso delle funzioni di organizzazione di un territorio di quelle dimensioni.
Voglio essere ovviamente breve, perché ci sono tanti colleghi iscritti a parlare, ma vorrei offrire uno spunto di riflessione al Governo e al Ministro Patroni Griffi. Questo processo si salderà, almeno logicamente e in termini prospettici, con il lavoro che ormai, per fortuna, anche se per ragioni certo non commendevoli, è arrivato all'ordine del giorno, ossia il riordino del sistema regionale. Si è capito che c'è un'insostenibilità di un'organizzazione di governance multilivello che ha 24 regioni, 108 province, 8.000 comuni, oltre a comunità, consorzi, ATO e società e che, quindi, bisogna affrontare anche il problema della semplificazione dell'organizzazione per regioni.
Le due questioni si porranno, perché è chiaro che, se si avranno - avanzo un'ipotesi, ma alcune altre sono già circolate - una decina di regioni, le province nuove di area vasta con le città metropolitane dovranno essere sostanziosamente irrobustite quanto a gestione delle funzioni, perché a quel punto le regioni dovrebbero ancora di più diventare enti di programmazione e legislazione.
In quest'ottica, mi permetto di raccomandare al Governo due riflessioni. La prima attiene alla sanità. Io penso che noi stiamo da anni in una situazione di palese incostituzionalità, perché le regioni gestiscono, contra Constitutionem, funzioni amministrative in materia di sanità. Questa è anche una delle ragioni dei casi di corruzione verificatisi nelle regioni.
Io credo che l'aggregazione delle regioni e la contestuale istituzione delle nuove province/città metropolitane potrebbe essere l'occasione per riportare le


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regioni alla loro missione costituzionale e articolare e, quindi, rompere i grandi bacini economico-finanziari, talvolta fonte di degenerazione, che sono i bilanci regionali in materia di sanità. Si tratta di un'operazione ancor più necessaria se si pensa a regioni più grandi, perché a quel punto diventerebbero budget da gestire direttamente, incompatibili con regole di trasparenza e soprattutto di funzionalità delle regioni.
Infine, mi permetto di prospettare una riflessione più di attualità, collegata, però, al ragionamento che stiamo svolgendo. Tutta l'accelerazione del ridisegno del Titolo V nasce dagli eventi accaduti nella Regione Lazio. In effetti, tutti noi pensavamo che ci fosse una degenerazione del sistema regionale, ma come questa era difficile immaginarne.
Io credo, però, che, pur nel male, ci stiamo trovando davanti a un'eccezionale opportunità, perché nello stesso momento si dovrebbero svolgere le nuove elezioni della Regione Lazio e le elezioni della nuova città metropolitana di Roma.
Come il Ministro sa, se si crea un perimetro intorno alla costituenda città metropolitana, la Regione Lazio rimane una grande ciambella con un buco in mezzo. Se alla città metropolitana si attribuiranno via via poteri più consistenti, non si capisce a che cosa servirà più la Regione Lazio.
Io penso che sarebbe una grande opportunità ragionare sull'ipotesi di anticipare la semplificazione del sistema regionale e, invece di andare precipitosamente alle nuove elezioni della Regione Lazio, ipotizzare una soppressione della Regione Lazio e un irrobustimento dei poteri della nuova città metropolitana di Roma, la quale avrebbe una configurazione organizzativa molto più simile a quelle che le capitali hanno nei grandi Paesi europei (pensiamo a Parigi, a Londra, in parte a Madrid, ma forse di più a Barcellona).
Si tratterebbe, dunque, di una modernizzazione della gestione delle funzioni della capitale e di uno sgretolamento di una Regione Lazio che ha davvero poca ragione di esistere, se non per la gestione della sanità. In merito si potrebbe anticipare una riflessione su un nuovo modello di gestione della sanità.
Signor Ministro, a me sembra che ci sia una certa inerzia e una scarsa attitudine non dico alla fantasia istituzionale, ma a una riflessione critica sull'assetto istituzionale del Lazio e di Roma, in una fase che, invece, data la concomitanza del rinnovo dei diversi organi, consentirebbe di introdurre profonde e radicali innovazioni, nonché di conferire una decisa discontinuità a un assetto della classe politica e dirigente di questo territorio che non ha mostrato di essere all'altezza della situazione.
Chiedo, infine, un aggiornamento sullo stato di avanzamento dell'attuazione della città metropolitana, che è un altro degli adempimenti che si attendono per i prossimi mesi.

MAURO LIBÈ. La prima questione che desidero porre verte sul Titolo V. Mi ha fatto piacere che il Ministro nella sua relazione ne avesse parlato. Io credo che sia un problema, che non nasce dalla questione del Lazio. Chi si è occupato di grandi temi in questo Paese l'ha affermato in questo Parlamento, quando abbiamo parlato di nucleare, di energia e di infrastrutture. Anche un bambino al giorno d'oggi ha capito che, senza la riforma del Titolo V, le grandi opere che servono allo sviluppo di questo Paese non possono essere compiute.
La vicenda Alcoa ha messo in evidenza, ancora prima che la questione Lazio, un tema importante, il tema dell'energia. L'energia viene infatti pagata il 30 per cento in più, quando va bene, oltre al problema di aziende energivore che se ne vanno, che non riescono più a competere stando in Italia e di un Governo, un Paese, che si trova nella scelta di chiudere aziende e perdere posti di lavoro o contribuire alla fornitura di energia a costi più bassi, facendola pagare a tutti gli altri cittadini che magari o si sono accollati infrastrutture, ma sono pochi, o altrimenti con questa cattiva scelta non c'entrano nulla.


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Sulla questione della riforma del Titolo V vorrei solo osservare che è depositata una mia proposta di legge di riforma costituzionale, la quale parla solo dell'energia. Io ritengo che in un Parlamento, in un Paese in cui lo scontro avviene sulle questioni più piccole, dobbiamo compiere pochi passi alla volta. Mi accontenterei che anche in questo scorcio di legislatura, visto che le convergenze sono tante e sono aumentate, si potesse trovare la possibilità di varare l'unica riforma costituzionale forse possibile, quella di riportare l'energia in capo allo Stato. Ci sono anche le infrastrutture e altre tematiche, ma, avendo osservato che è già difficile compiere questo intervento, mi accontenterei.
Vengo alla questione delle province. Ne abbiamo parlato e abbiamo sentito tante considerazioni. Ricordiamoci che fino a due o tre mesi fa c'era l'insurrezione della politica e di tanti amministratori che non volevano l'abolizione. Adesso io, da dirigente di enti locali del mio partito, girando tutta l'Italia, trovo anche amministratori del mio partito, per essere chiari, che vogliono l'abolizione perché il riordino non va più bene.
Io credo che, pur rimanendo l'UdC convinta che l'abolizione sia la strada più importante e che il Governo abbia fatto ciò che poteva, perché si ponevano questioni costituzionali, oggi il riordino debba essere compiuto. Concordo con chi ha sostenuto che non si possono accettare deroghe e che ci vuole ancora più chiarezza, per via delle domande poste e dei dubbi che tanti amministratori hanno avanzato. Molti, anziché guidare il Paese, seguono la pancia delle province, i «corpaccioni» che non hanno volontà non di sparire, perché si tratta di riorganizzarsi e di riordinarsi.
Noi dobbiamo dare ancora più certezza, signor Ministro, sulla questione dell'individuazione del capoluogo. Mi sembra che i provvedimenti legislativi su questo siano molto chiari, però, girando il Paese, si può verificare che ci sono ancora tanti dubbi: sulla localizzazione degli uffici provinciali, che non è competenza vostra, ma che purtroppo dovremo guidare, e sugli uffici decentrati dello Stato, perché l'idea mercantilistica che esiste sul territorio di dividersi un pezzo a testa rischia di inficiare totalmente queste vicende.
Si pone la questione - pongo una domanda, perché mi è stata sottoposta diverse volte - dei «debiti». Ci sono cittadini di province virtuose che, dovendo accorparsi, sono preoccupati di accollarsi i debiti di cittadini di province un po' meno virtuose.
Esiste anche la questione delle società partecipate, che spesso sono partecipate in modo trasversale e la cui partecipazione non coincide con i territori delle province che dovrebbero accorparsi. Come ricorderete, l'UdC ha sempre sostenuto la necessità che gli enti locali uscissero il più velocemente possibile da questo tipo di società e avessero solo un ruolo di guida, di coordinamento e di controllo.
L'ultima domanda è se può riferirci qualcosa - non vorrei aver perso alcuni passaggi - sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri scaduto il 5 settembre sulle funzioni, perché molti si aspettano anche questo.

FABIO MERONI. La Lega è sempre stata per il riordino di enti che magari non funzionano, laddove ci sono più dipendenti rispetto non solo allo Stato centrale, ma anche a qualsiasi altro ente.
Io, però, svolgo un ragionamento al signor Ministro, perché ho visto che tra lunedì e martedì ha occupato le prime pagine dei giornali. Bisogna essere chiari: o si racconta la verità, oppure non si può andare in giro ad affermare che con il taglio delle province si risparmiano miliardi.
Non è vero. Lei ha rilasciato un'ANSA in cui afferma che non abbiamo ancora eseguito i conti. Ai colleghi che continuano a pensare che le province siano enti inutili voglio ricordare alcuni dati relativi alle funzioni che voi avete inserito, perché aveva un senso magari avere province di secondo livello, se rimanevano le due funzioni della pianificazione e del trasporto, cui adesso abbiamo aggiunto anche l'edilizia scolastica.


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Vi cito i dati, così capiamo bene di che cosa stiamo parlando. Quando parliamo di trasporto, si tratta di 125.000 chilometri di strade per 1,5 miliardi di costo, che rimarrà in carico alle province o agli enti di secondo livello, come volete chiamarli.
Abbiamo la gestione del territorio, ma non si tratta solo della gestione del territorio, ma anche dei Piani territoriali di coordinamento provinciale, i famosi PTCP, dell'ambiente, i rifiuti, le calamità, le risorse idriche, che rientrano all'interno di questa funzione. Se vi rientrano, si tratta di altri 3,2 miliardi che noi spendiamo tutti gli anni.
Parliamo dell'edilizia scolastica. Sono 5.000 gli edifici che vanno gestiti ed è giusto che vengano gestiti a livello sovra comunale, ma non può occuparsene un ente di secondo livello, con gli stessi consiglieri dei comuni nominati, non eletti. Voglio capire come fa il comune capoluogo a essere rappresentato più del piccolo comune, se, tramite elezione da parte degli altri Consigli comunali, si potrebbero mandare consiglieri magari del piccolo comune e non del comune capoluogo.
Ci sono poi i 61.000 dipendenti che aspettano una risposta, per lo meno per capire che fine faranno.
Ritorno a questo tema, signor Ministro. Abbiamo eliminato le competenze sul lavoro, ma gli 854 centri per l'impiego a chi andranno, ai comuni o alle regioni? Quando noi parliamo di sistemi bibliotecari e museali, lei sa che è tutto strutturato su base provinciale? La competenza culturale a chi va, ai comuni o alle regioni?
Posso capire che il turismo valeva 180 milioni di euro, posso capire che i servizi sociali valevano altri 200 milioni. Sono dati dell'Unione delle province italiane. Ci chiediamo come può un ente di secondo livello gestire una cifra di 10 miliardi, dal momento che tali miliardi verranno gestiti ancora da un ente di secondo livello.
Se prima si parlava di abolizione, poi di accorpamento e adesso di riordino, noi dovremmo metterci in condizione di capire se valga la pena di avere la provincia come ente di secondo livello, subito, ma solo per le competenze che voi avete stabilito che debbano rimanere in carico a tale ente.
Noi siamo fiduciosi non che ci siano deroghe, ma che il Governo ascolti quanto i Consigli delle autonomie locali trasmetteranno, perché essi trasmetteranno qualsiasi proposta. Ci sono le regioni che sosterranno di rimanere ferme con le province che hanno e ci sono regioni che propenderanno per un accorpamento, ma che sia significativo.
Io vengo dalla provincia più nuova che ci sia, la provincia di Monza e Brianza. Secondo le nostre statistiche, che sono redatte in forma scritta e che verranno comunicate anche a lei, delle province che rimangono, delle 33 che dovrebbero rimanere, la nostra sarebbe la quinta per prodotto interno lordo. Eppure sarà abolita. Sarebbe anche la prima per PIL individuale.
Avete inserito dei parametri relativi a 2.500 chilometri o 500.000 abitanti che non hanno un valore effettivo su ciò che compie la provincia. Noi abbiamo un rapporto di un dipendente contro 2.628 cittadini in Brianza, mentre la media in Italia è di 1 a 900 per le province. Questi dati avrebbero potuto servire eventualmente a stabilire quali provincia mantenere e quali no, anche se siamo l'ultima provincia nata.
Potrei continuare all'infinito, ma chiedo al Ministro una risposta chiara non sulle deroghe, ma su quanto verrà proposto dai CAL.

MARIO TASSONE. Signor Ministro, queste audizioni possono avere uno sviluppo, possono essere un passaggio rituale, un po' liturgico e, per alcuni versi, anche ripetitivo della Commissione oppure possono essere l'occasione per mettere il punto sulle vicende.
Io ritengo che il collega Libè abbia ampiamente illustrato la posizione del mio Gruppo, ma vorrei fare riferimento, certamente per memoria mia e soprattutto per mia comodità anche nell'esposizione,


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al dibattito che si è sviluppato in questa Commissione nel corso dell'attuale legislatura, ma anche di quella precedente.
Voglio ricordare al Ministro, ma lo ricordo soprattutto a me stesso, che, quando nascevano le regioni, ci fu un dibattito molto intenso nel Paese sull'utilità o meno di mantenere le province. Si trovò la soluzione per cui le province servivano nella misura in cui le regioni, essendo istituzioni con poteri legislativi, delegassero le funzioni amministrative alle province e ai comuni. Questo secondo passaggio, per quanto riguarda le deleghe alle province, si è sviluppato soltanto parzialmente. Non è stato un processo esaustivo, anzi, per alcuni versi è stato deludente.
Quando noi abbiamo riproposto, in questa legislatura, ma anche nell'altra, l'esigenza di sopprimere le province, tutto ciò nasceva da una spinta certamente verso una rivisitazione del problema delle autonomie locali, avendo alcune aree di incertezza che sono state raccolte e riproposte anche in questo dibattito, per esempio sulle aree metropolitane, che da tre e cinque sono diventate dieci. Io ritengo che anche questo aspetto debba essere chiarito. Non funziona la provincia svincolata da tutto un contesto.
Io ritengo che dobbiamo partire dal complesso delle vicende che noi abbiamo monitorato - e non solo le ultime che riguardano le regioni -, ma anche dall'ampio dibattito sul federalismo. Voglio ricordare che siamo stati l'unico Gruppo parlamentare che ha votato contro il federalismo, perché sapevamo quale avrebbe dovuto essere lo sbocco e quale fosse il rischio che emergeva da quella vicenda, che purtroppo ebbe ampie convergenze, perché noi, per colpa nostra, non fummo capiti e non riuscimmo a spiegare la nostra visione.
Affrontare il problema delle province significava modificare l'assetto istituzionale del Paese. Mi rendo conto che abbiamo una riforma del 2001, in cui io ho votato contro, con riferimento alla riforma dell'articolo 114 della Costituzione e del Titolo V nel suo complesso. Si tratta di riforme di ordine costituzionale in cui la provincia è messa allo stesso livello con il comune, le aree metropolitane e le regioni rispetto al livello dello Stato. Questo è un dato, come ho affermato anche stamattina, che ha creato sfasature logiche e di interlocuzione rispetto a quelli che possono essere i compiti.
Inoltre, l'esigenza di eliminare le province non è dovuta ai «capricci» di qualcuno di noi. Si era sostenuto che si sarebbe dovuta realizzare una mappatura del ruolo delle province e dei comuni, in relazione a chi faceva che cosa, rispetto ai servizi che venivano erogati ai cittadini.
Tutto questo processo è andato avanti con una serie di provvedimenti sull'autonomia locale, l'ultimo dei quali il Codice delle autonomie, più volte sollecitato ad affrontare anche questa problematica. Essa, però, è rimasta in ombra, tra equivoci, confusione e anche doppiezza rispetto all'interpretazione e alle volontà espresse.
Ho sentito anche la volta scorsa alcuni temi in più. Quello delle elezioni di secondo grado per le province è un problema che ho sempre posto in Commissione, non da adesso, ma da alcuni anni. Possiamo modificare la modalità di elezione con la legge ordinaria? È un punto interrogativo che io pongo. Non ho la risposta, altrimenti avrei una cattedra e sarei un costituzionalista.
È l'ennesima volta che io pongo questa questione, perché ritengo che vi stiamo sfuggendo, in termini forti. Così come configurate, le province, pur parlando di area vasta, non sono altro che unioni di comuni. Noi siamo d'accordo, ma eravamo d'accordo anche a eliminare le province. Nel prosieguo del dibattito c'è stato il contributo da parte della Lega. Prima era su una posizione di intoccabilità delle province, ma poi ha portato un contributo dinamico, di cui prendiamo atto, che non prevedeva l'accorpamento, ma criteri rigidi rispetto alla popolazione e al territorio.
L'accorpamento ha aperto il discorso dei meccanismi delle transazioni. Questo è un dato molto pericoloso, a mio avviso, perché abbiamo scoperto i CAL. Nella mia


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regione non avevano costituito il CAL, poi l'hanno costituito con grande velocità, perché dovevano servire per quanto riguarda la vicenda delle province.
Ci sono diverse situazioni interpretative. I comuni hanno la possibilità di interloquire, però il decreto pone un dato temporale che è già superato. Se noi vediamo l'articolo della Costituzione, notiamo che i comuni dovrebbero sempre interloquire. Si pone un problema di transazione e di contrattazione su cui vorremmo essere tranquillizzati. Per questo motivo ritengo che la nostra posizione fosse la più chiara rispetto a una visione delle autonomie locali che poneva alcune questioni importanti e fondamentali.
Che cosa fanno le aree metropolitane? Qualcuno sta già bisticciando sugli organismi e su chi deve essere il super sindaco e come venga designato, con quale meccanismo. Io ritengo che stiamo toccando una materia molto pericolosa e fragile, per alcuni versi, se parliamo di vasellame. Se parliamo di esplosivi, però, l'esplosione è una questione molto più complicata e pericolosa.
Le mie sono due o tre questioni che pongo, nemmeno domande. C'è un decreto che stabilisce che le province in corso dovrebbero chiudere i battenti. È importante. Siamo nell'area della Costituzione dal momento in cui il popolo italiano ha eletto gli organismi per cinque anni? È una questione che emerse anche nel primo decreto-legge, quando tali questioni di ordine costituzionale furono poste.
Lo ricordo proprio per il contributo che noi intendiamo portare a questo dibattito, ma soprattutto dando atto al Governo, che si è trovato in eredità questa materia e si è mosso rispetto ai dati che aveva, nonché ad alcune inadempienze che noi avevamo evidenziato, sulle quali avevamo chiesto un impegno diverso alle precedenti forze politiche che sostenevano il Governo in quel momento.

PIERGUIDO VANALLI. Il collega Tassone pone sempre tante domande e ha accennato a una che volevo porre io. La ripropongo.
L'articolo 17 del decreto-legge n. 95 del 2012, al comma 3, prevede che i CAL, una volta che abbiano definito la riorganizzazione delle province, trasmettano tale deliberazione al Governo, che poi la farà rendere definitiva alla regione. Queste ipotesi e queste proposte di riordino devono tenere conto, però, anche delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali.
Le domande sono due. Come potevano i comuni, prima della definizione da parte dei CAL delle nuove circoscrizioni provinciali, fornire indicazioni in merito al fatto se preferivano rimanere nell'attuale provincia piuttosto che chiedere di essere trasferiti in un'altra? A seconda di dove, per esempio, la provincia di Lecco fosse stata accorpata, sei comuni che già prima erano nella provincia di Bergamo avrebbero potuto chiedere di essere riaccorpati alla provincia di Bergamo.
Adesso che i CAL hanno definito, probabilmente questi comuni sentono questa esigenza. È possibile che questa richiesta possa essere esaudita dopo la determinazione del CAL? In questo caso, le iniziative comunali possono essere limitate alla deliberazione del Consiglio o, come invece prevede la Costituzione, occorre che sia un referendum a definire lo spostamento tra una circoscrizione provinciale e un'altra?

BEATRICE LORENZIN. Mi rivolgo al Ministro, che ha seguito anche nella veste che ricopriva precedentemente rispetto al suo ruolo attuale, sia la questione riguardante il nuovo Testo unico degli enti locali, sia quella riguardante Roma capitale, per rifarmi all'intervento dell'onorevole Lanzillotta, e, quindi, conosce come si è sviluppato il dibattito in questa Commissione negli ultimi quattro anni.
Per quanto riguarda la riforma del Titolo V, noi abbiamo lamentato più volte proprio in questa Commissione come ci fossero difficoltà serie nel mettere mano ad altri testi normativi che venivano proprio dagli articoli 117 e 118 della Costituzione, così come più volte, con lo stesso rappresentante del mio Gruppo in Commissione, l'onorevole Calderisi, abbiamo


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sollevato la questione evidente di uno sbilanciamento - scusi il gioco di parole - nei bilanci delle amministrazioni territoriali e di come si fosse verificata un'esplosione della spesa pubblica legata alla modifica del Titolo V.
Noi avevamo già cercato di mettere mano ad alcuni di questi aspetti. Lo preciso perché spesso si interviene su queste materie un po' sull'onda emotiva ed emozionale degli avvenimenti che ci accadono intorno. Io penso che le occasioni esterne spesso imprimano un'ottima accelerazione a processi già in atto, ma anche che non bisogna «buttare il bambinello con l'acqua sporca». Noi abbiamo compiuto un grande lavoro di riorganizzazione della materia, cercando di andare a ottemperare ad alcune lacune, di cui tutti siamo perfettamente a conoscenza, nella Commissione bicamerale per il federalismo.
Mi pongo una domanda: tenendo parallelamente un'opera, che probabilmente tutti noi svolgeremo, di riforma del Titolo V - sappiamo, però, che siamo a fine legislatura e che, quindi, ci sono tempi in una riforma costituzionale che sono ineludibili - noi abbiamo già i decreti attuativi, soprattutto in tutta la parte che riguarda la responsabilizzazione degli eletti. Mi riferisco alla responsabilizzazione dei governatori e dei sindaci che non rispettano i vincoli di bilancio.
Abbiamo poi la parte riguardante il superamento della spesa storica per passare ai costi standard. Alcuni anticorpi per uccidere il virus sono già stati elaborati, anche se forse andranno potenziati, in un lavoro anche lungo e condiviso, che è durato alcuni anni. Forse potremmo pensare, Ministro, ad accelerare l'attuazione di questi decreti, in modo tale da inserirvi da subito alcuni elementi che già sono stati elaborati da entrambe le Aule del Parlamento.
Il secondo punto riguarda la nostra capacità di intervento sulla Conferenza Stato-regioni. Noi abbiamo costruito alcuni meccanismi che sono veramente di difficile gestione e che creano sovrapposizioni non solo di funzioni, ma anche di ogni capacità operativa.
Si pone tutto il tema di quello che una volta era l'ufficio regionale in Parlamento, che riguarda la capacità di interloquire tra chi emanava le norme primarie e quelle secondarie. Siamo in una fase in cui tutto questo era un bagaglio anche culturale e amministrativo molto forte, che pare andare perduto.
Credo che, da questo punto di vista, si potrebbe anche provare, al di là della nostra capacità operativa sul piano legislativo, tenendo conto dell'iter su questi temi, a compiere un intervento subito, anche in base alle nostre possibilità.
Abbiamo parlato in Commissione della questione regolamentare. Ci sono alcune vicende che riguardano proprio il rapporto tra lo Stato e gli enti locali e che potrebbero essere riprese. Per quanto riguarda le funzioni provinciali, è evidente che bisogna attenersi a un'accelerazione; però, se lo facciamo, facciamolo anche in funzione di un'ottica di riforma, se vogliamo attuarla, del Titolo V, anche per provare a innestare già sulla norma alcuni elementi.
A questo proposito, io mi riferisco in particolare ad alcune funzioni, come quelle delle politiche attive sul lavoro. Noi abbiamo visto come le politiche attive sul lavoro demandate a provincia e regione abbiano, in realtà, parcellizzato la capacità di intervento. Forse bisognerebbe ricostruire in questo caso un'infrastruttura nazionale per avere la possibilità, da una parte con l'INPS e dall'altra con le parti sociali, di attivare meccanismi che siano veramente capaci di intervenire sui territori in tempo reale e di attivare questi due binari nella contrattazione.
Le offro uno spunto, signor Ministro, perché sono temi legati alla funzionalità operativa anche del nuovo modello provinciale che ci è stato proposto.
Per quanto riguarda tutta la questione di Roma Capitale, io trovo la suggestione dell'onorevole Lanzillotta estremamente affascinante. Ricordiamoci, però, che stiamo sul dibattito relativo al decentramento amministrativo di Roma «soltanto» dal 1992. Io cercherei di portare a casa ciò che abbiamo faticosamente messo in piedi, anche perché non possiamo sempre ricominciare


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da capo. Una volta che abbiamo avviato questa fase, potremmo pensare forse - non so che cosa ne pensi il Ministro - di avanzare ipotesi assai più suggestive.

RAFFAELE VOLPI. Ringrazio il Ministro per l'attenzione che ci sta rivolgendo in questa discussione, con la sua presenza. Mi permetto, per la stima che ho per lei e per tutti i colleghi della Commissione, di non voler essere reticente. Svolgerò, pertanto, due considerazioni che credo siano doverose.
Io la conobbi attraverso una mia agenzia stampa, in cui affermavo che il Governo era entrato a gamba tesa nella questione delle province. La storia è scritta dai lavori parlamentari. All'interno di questa Commissione si era raggiunta un'ipotesi per razionalizzare le province attraverso una modifica costituzionale, peraltro con alcuni elementi che sono piuttosto comuni rispetto alla proposta del Governo.
Ciò premesso, sono poi intervenuti in maniera disomogenea alcuni interventi del Governo che riguardavano l'architettura istituzionale delle province. Poi c'è stato l'intervento sul riordino delle province. Mi permetto di osservare che è questo il problema centrale, secondo me: se il Governo non avesse avuto dubbi sulla copertura costituzionale, non avrebbe cambiato la parola «soppressione» nella parola «riordino». Mi sembra evidente.
La volta scorsa lei ha fornito alcune spiegazioni ai colleghi che non fanno parte della Commissione. Io mi sono dovuto assentare, ma ho avuto modo di ascoltarla nella replica della seduta sul canale satellitare della Camera.
Io penso che sussista un dubbio serio su quello che sarà il riordino, a prescindere dal coinvolgimento delle autonomie. Immagino che, nel momento in cui la parte di riordino prevede l'accorpamento e, quindi, la soppressione, mi sembra consequenziale che la soppressione non abbia copertura costituzionale e, quindi, che ci potrebbero essere, e che ci saranno sicuramente, alcuni problemi.
Questo è un problema che rimando, non perché non sia convinto che si dovesse e che si debba compiere un riordino delle province, ma perché era una proposta - l'ha ricordato prima l'onorevole Tassone - cui noi avevamo lavorato insieme, pensando di delegare alle regioni, attraverso una legge costituzionale, la parte di riordino. Eravamo, quindi, d'accordo. Pensiamo che in questo modo la questione sia un po' preoccupante, da un punto di vista di sostenibilità costituzionale.
Parlando con lei, svolgo anche un brevissimo riassunto di ciò che penso rispetto a quanto ho sentito. Ritengo che ci sia poco di fantasia istituzionale da mettere in campo, perché è chiaro che noi andiamo a intervenire in maniera assolutamente non chirurgica, in questo caso, su un sistema storicamente consolidato, che è quello delle province e delle autonomie.
Le ricordo Ministro, e lei sa che lo faccio in maniera benevola, che trovo assolutamente insolito che ci siano province commissariate. Questa si chiama democrazia sospesa. Non si può stabilire che da un momento in poi non c'è più la provincia, non c'è più la Giunta, non c'è più il Consiglio, si commissaria e si introduce un Commissario. Io credo che ci siano regole all'interno di un contesto democratico che non possono consentire che enti riconosciuti in Costituzione - perché le province hanno la stessa dignità che hanno lo Stato, le regioni e i comuni - non abbiano organi eletti perché qualcuno ha scelto che si dovessero commissariare. Non sono state sciolte per infiltrazione mafiosa, ma commissariate dal Governo.
Secondo me, dovremmo porci alcuni problemi su come interpretare questi passaggi. Sto proponendo di farlo insieme, non sto facendo una contrapposizione, tanto meno ideologica, rispetto alle scelte compiute.
Mi permetto di svolgere un'ulteriore considerazione, Ministro. Non concordo con la collega Lanzillotta per la filosofia di approccio. Secondo la collega, avendo un Governo tecnico, si può fare tutto, anche ciò che non piace ai territori. Questa


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sarebbe, dunque, un'occasione per fare tutto. Io penso, invece, che il Governo tecnico abbia una responsabilità comunque politica e che la politica debba portare un contributo, anche molto specifico.
In questi giorni la grossa fandonia è che si sta attaccando il sistema regionale parlando di federalismo, pur sapendo che il federalismo non è questo, perché il federalismo che è stato votato non è mai stato messo in attuazione. Se abbiamo un problema di crisi di sistema regionale, noi non siamo per i tabù. Vogliamo riguardare insieme il Titolo V? Riguardiamolo, ma diciamoci chiaramente che il federalismo in questo caso non c'entra nulla.
Pensare di riportare alcune situazioni a livello nazionale come quello della sanità non è un problema di federalismo o di regionalismo, ma di buona o di cattiva amministrazione, che dipende dagli uomini, non dall'Istituzione. In questo caso, io credo che sarebbe giusto che il Governo, svolgendo insieme un lavoro come quello che si sta cercando di svolgere, seppure nelle differenze, chiarisse questo grande equivoco. Se parliamo di federalismo per quello che c'è ora, scusateci, ma permetteteci almeno di osservare, da federalisti convinti, che non c'entra assolutamente nulla.
Concludo con una riflessione. È stata sollevata la questione delle città metropolitane. Io non so che interpretazione vogliamo attribuire a questo insieme, partendo da ciò che abbiamo fatto prima noi e ora il Governo. È chiaro che l'interpretazione di città metropolitana deve avere una definizione, dal mio punto di vista, assolutamente diversa da quella puramente istituzionale. La città metropolitana nasce da un'idea di città diffusa che ha un sistema economico e sociale.
Ho riferito prima al collega Meroni che avrei svolto una considerazione che non gli avrebbe fatto piacere, ma che sarebbe stata esemplificativa della mia idea. Se io pensassi a una città metropolitana della Lombardia, essa partirebbe da Milano, comprenderebbe Monza e arriverebbe fino a Bergamo, esattamente come la contea di Los Angeles, che ha un sistema di 250 chilometri.
Se noi dobbiamo ragionare, e in ciò rientra il ragionamento delle funzioni, su quelle che debbono essere le funzioni sia per le città metropolitane, sia per le province, dobbiamo svolgere un ragionamento molto serio, anche rispetto a dati che sono stati citati dal collega Meroni prima, ma che sono collegati a una discussione ormai lunga.
Mi permetto di ricordare l'intervento del collega Giovanelli, quando parlavamo delle funzioni delle province e dell'importanza del dato economico di funzioni vere e non solo amministrative, ma di sviluppo del territorio. Io penso che attuare riforme in questo modo non sia esattamente la maniera migliore per raggiungere un risultato che sia non semplicemente di semplificazione del sistema dell'architettura istituzionale, ma anche di più, con contenuti che guardino e traguardino anche alcune questioni sostanziali, come l'economia, il livello sociale e tutto ciò che è legato a una funzione.
Le do atto, signor Ministro, che sicuramente il tentativo coraggioso c'è. Lei sapeva benissimo che avrebbe ricevuto moltissime contestazioni nel portare avanti questa proposta. Tuttavia, nel momento in cui svolgiamo un lavoro di rivalutazione, se vogliamo, del nostro sistema delle autonomie, dobbiamo farlo usando il coraggio, ma mettendoci anche alcuni contenuti.
Esse non possono prescindere dal fatto, di cui io sono convinto, che prima si debbano individuare le funzioni e poi compiere i riordini. Penso che sia importante capire che cosa si vuol fare di un'istituzione, piuttosto che attaccarsi a una cartina geografica e decidere che cosa è bello e che cosa è brutto.
Non possiamo prescindere da un aspetto o dall'altro. Il discorso del pensare che non vi possano essere deroghe significa che si lavora a un sistema talmente teorico che prescinde assolutamente dal capire che cosa sono i territori. Io non so che cosa penserebbe della grande Roma la


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provincia di Rieti, non ne ho la minima idea, ma certamente qualcuno di Sondrio penserebbe molto male della grande Milano.

REMIGIO CERONI. Signor Ministro, mi pare che dagli interventi che si sono succeduti emergano molte problematiche. Sono molte le questioni ancora aperte, mentre sono scarse le certezze di come andrà a finire questa materia. Spero che almeno lei ne abbia e che ce le illustri. Indubbiamente si tratta di una materia molto complessa, perché ogni territorio ha le sue esigenze e auspica le soluzioni che sono più adatte alla propria realtà.
Vorrei porre brevemente una questione che può servire a fornire già alcune risposte. Nelle Marche ci sono cinque province: due hanno i requisiti secondo i criteri che il Governo ha fissato di popolazione del territorio, tre no. Il CAL si è riunito e ha avanzato una proposta che non è conforme ai criteri che sono stati fissati.
Mi piacerebbe sapere se la proposta sia ricevibile o irricevibile perché non conforme alle problematiche, oppure se bisogna effettuare due deroghe, una per la provincia di Macerata per la popolazione e una per le altre due province, che tornerebbero insieme per il territorio. Siamo a livello di due deroghe su quattro, mentre noi pensavamo che il CAL dovesse pronunciarsi sulla base dei criteri, ossia formulare una proposta che fosse rispondente ai criteri che erano stati fissati, costituendo o tre province o addirittura due.
Io credo che la proposta dovrebbe essere al risparmio e che non dovrebbe allargare le maglie della scelta che ha compiuto il Governo, ma su questo punto mi piacerebbe avere una risposta.
La seconda domanda è se si tratterà di un disegno di legge o di un decreto-legge.

ORIANO GIOVANELLI. Preso atto, e secondo me tutti dobbiamo farlo, del fatto che la Costituzione all'articolo 133 ci ha consentito di aumentare il numero delle province, ma che non ci ha mai consentito di ridurlo e che, come abbiamo visto anche dalla discussione dei CAL e delle regioni, se aspettavamo che il processo di riforma fosse un processo di autoriforma, non ci saremmo mai arrivati, io penso che dobbiamo andare avanti sulla strada che abbiamo intrapreso.
Tuttavia, questa riforma presenta alcuni elementi di contraddittorietà forti. Mi chiedevo, Ministro, se fosse possibile valutare, una volta chiuso il percorso e sancito che il numero delle nuove province e aree vaste è quello definito, di aprire una finestra non costituzionale, ma ordinaria di un anno per consentire a comuni che vogliono aggregarsi a città metropolitane o ad altri comuni che vogliono muoversi da una provincia all'altra senza il percorso costituzionale di poterlo richiedere.
Noi oggi ci troveremmo con l'area metropolitana di Torino che arriva fino dentro le valli piemontesi e con Prato che starebbe bene con l'area metropolitana di Firenze, ma non ci può stare. Con riferimento a queste contraddizioni, che sono evidenti e - credo - condivisibili, senza modificare il numero e senza destrutturare la riforma, possiamo prenderci un anno di assestamento ordinario, fermo restando il numero?

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al Ministro, che ringrazio, comunico ai colleghi che tutti gli argomenti all'ordine del giorno della seduta odierna della Commissione in sede referente sono rinviati alla seduta di domani. Lascerei al Ministro, nel tempo che rimane, lo spazio per fornire una compiuta risposta.
Do la parola al Ministro Patroni Griffi per la replica.

FILIPPO PATRONI GRIFFI, Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione. Mi sembra difficile fornire una compiuta risposta, perché i temi sono molti.
Vorrei partire dalla considerazione che naturalmente tutti noi, compreso il Governo, avevamo la consapevolezza che un provvedimento sistematico di ordine generale, magari costituzionale, sarebbe stato


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preferibile per riformare il governo del territorio. Ci siamo trovati di fronte, però, anche alla consapevolezza di un dato di fatto, ossia che questo disegno complessivo di un problema che, come qualcuno ricordava prima, è nel dibattito politico, ma non solo politico, bensì anche istituzionale e accademico da molti decenni, non ha avuto alcuno sbocco pratico e operativo. Dall'Unità a oggi c'è stato, per quanto riguarda le province, un trend crescente ineluttabile per cui i livelli di governo provinciale, anzi gli enti provinciali sono inesorabilmente aumentati.
A questo punto si è pensato che, se non si partiva da qualche parte, o addirittura se si cominciava sempre daccapo, come ricordava, se non sbaglio, l'onorevole Lorenzin, non si sarebbe partiti mai. Non si compirebbe, quindi, alcun passo verso una riforma, in questo caso, del sistema del governo del territorio, di cui c'è sicuramente esigenza da molto tempo.
Spesso si è affermato che, poiché le province non potevano essere abolite tutte, perché sarebbe stata necessaria sicuramente, in quel caso, una legge costituzionale, si è trovata una via di mezzo. Se posso esprimere un pensiero di cui personalmente sono convinto, io non credo che le province andassero abolite tutte come istituto. Io credo che occorrano anche in Italia, come avviene nei Paesi europei di consistenti dimensioni - non in Estonia - tre livelli di governo territoriale.
Delle questione c'era assoluta consapevolezza fin dal 1859, perché, quando furono istituite le province - all'epoca dipartimenti, e i comuni già esistevano - si pensò di costituire anche le regioni, che, però, non furono costituite esclusivamente per un motivo politico comprensibile in quell'epoca sul piano politico. Si temeva da parte dei piemontesi, per ovvi motivi, e dei molti intellettuali meridionali, per motivi altrettanto comprensibili, che ciò sarebbe stato un serio attentato all'unità del nuovo Stato.
Dal 1859, già nei progetti di Farini e Minghetti, ma ancora cento anni dopo, o poco meno, con la Costituzione, si è sempre pensato di avere in Italia tre livelli di governo. Pur in assenza della possibilità di intervenire contestualmente, c'è l'esigenza che qualsiasi intervento abbia in prospettiva una visione d'insieme, affinché l'intervento di oggi possa essere un tassello che si componga in un mosaico di domani. Credo che questo ci sia nel nostro intervento, come mi pare che ricordasse anche l'onorevole Lanzillotta.
Non è vero che noi non siamo partiti dalla considerazione delle funzioni, anche perché siamo partiti, e il Sottosegretario Ruperto qui presente lo ricorda sicuramente assai bene, dalla Carta delle autonomie, che era da non poco in discussione al Senato.
La Carta delle autonomie aveva tra i contenuti fondamentali, oltre ad altri un po' meno vitali, l'allocazione delle funzioni fondamentali di province e comuni. Sia pure riducendo, cioè eliminando alcune di queste funzioni, siamo partiti da quelle che sono state definite funzioni di area vasta.
Questo assetto delle province è un assetto che si sposa, a mio avviso, con un disegno complessivo e, nello stesso tempo è sicuramente perfettibile. Più che perfettibile, in realtà, perché perfettibile sembra intendere migliorabile, è un assetto che può senz'altro svilupparsi a seconda di come gli altri livelli di governo - regionale con una riforma costituzionale e comunale anche non con una riforma costituzionale - si andranno assestando nel tempo.
Restiamo dell'idea che le regioni, così come furono pensate, indipendentemente dal numero - non ricominciamo con i numeri anche per le regioni, il problema non è attuale - fossero enti che dovevano avere valenza politica, tanto che hanno la potestà legislativa, e una competenza di programmazione.
Le regioni hanno sviluppato moltissime competenze operative e amministrative. Onorevole Lanzillotta, non c'è solo la sanità. È un esempio, forse, però noi sappiamo bene che moltissime funzioni operative sono svolte dalle regioni direttamente o tramite società strumentali o aziende e questo non era certo il disegno costituzionale.


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Per le province l'idea delle funzioni di area vasta si ricollega al fatto che le funzioni amministrative andavano preferibilmente allocate sul livello comunale e richiedevano poi un ambito ottimale di svolgimento più ampio con il livello provinciale.
Anche in questo caso c'è un'altra parte che richiederà un intervento. È chiaro che allocare funzioni amministrative a livelli comunali su 8.106 comuni, oltre la metà dei quali - spero di non sbagliare con i numeri - sotto i 5.000, è una soluzione che non può funzionare.
Io credo che sicuramente - se posso permettermi, sono in una sede dove si fa politica e ritengo che molti di voi continueranno a farla - bisognerà che chi arriverà dopo di noi possa veramente completare un disegno che, però, è importante avviare oggi. Se non si avvia oggi, questo disegno, col rischio di dover ripartire daccapo, non partirà ancora una volta.
È anche in quest'ottica che il Governo - lo posso confermare - sta seriamente pensando, in questi giorni (potrebbe avere meno senso attuarlo tardi) a un intervento di tipo chirurgico sul Titolo V, in linea anche con molte proposte che già sono state presentate in Parlamento e che, come ho riferito l'altra volta, riguarderebbero probabilmente funzioni che oggi non riescono a trovare la loro migliore forma di svolgimento e che anche in Stati federali non sono allocate a livello o regionale o comunque di Stati federati stessi.
Siamo partiti, dunque, dalle funzioni, in particolare dalla Carta delle autonomie. In prospettiva esse potranno variare, perché, se si riescono a riportare le regioni su funzioni di programmazione, si potrebbero dover aumentare le funzioni delle province. È anche vero, però, che le province potrebbero perdere alcune funzioni, se si realizzeranno le aggregazioni comunali.
Si tratta di un processo in corso e non può che essere un processo in corso, ma è un processo che, se non parte oggi e non si conclude oggi, sull'attacco da cui siamo partiti, a mio avviso, corre il rischio di fermarsi definitivamente nella prossima legislatura.
Su questo punto vorrei anche osservare che dovremmo sgombrare il campo forse da un equivoco. Noi non siamo partiti dalla virtuosità. Nel compiere un riordino delle province non si è pensato a premiare quelle buone, che sopravvivevano, e a punire quelle cattive. La componente finanziaria esiste, anche se io non credo molto alle stime che circolano in tutti i settori in questi tempi, anche in settori completamente diversi, perché non ho mai capito bene come sono effettuate. Non c'è dubbio, però, che ci siano alcuni risparmi che si verificano dal fatto stesso della riduzione degli enti intermedi. Pensate semplicemente agli edifici.
In prospettiva questo aspetto riguarderà anche il costo del personale e chiaramente riguarderà più il costo del personale delle province oggi meno virtuose che non di quelle che abbiano già raggiunto un rapporto ottimale tra popolazione, per esempio, ammesso che tale criterio sia buono, e numero di dipendenti pubblici. Questo avverrà magari in prospettiva.
Altrettanto sicuramente un risparmio deriverà da una riduzione diversa allocazione degli uffici periferici dello Stato. Se è consentito affermarlo, con riferimento al sistema delle autonomie, ovviamente questo è un «affare» dello Stato.
Io sento continuamente affermare che domani non avremo più l'ufficio sotto casa. Noi vogliamo l'ufficio sotto casa, però il giorno dopo ci lamentiamo che i dipendenti pubblici sono troppi e la spesa pubblica eccessiva. Vogliamo l'ufficio sotto casa, o vogliamo meno dipendenti pubblici? Se potessi avere una risposta univoca a questa domanda, avrei una luce da poter seguire.
Vorrei poi rispondere, per non essere reticente, sperando di averle segnate tutte, alle domande più specifiche che sono state poste, partendo dal problema delle deroghe.
Ho letto anch'io i giornali, perché le proposte dei CAL vanno alle regioni e non


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vengono a noi, e ho appreso di una specialità della provincia sannita, di una specialità di Macerata, di una specialità di Mantova e via elencando. Sono sicuro che ciascuna di queste province abbia una sua specialità e, quindi, credo che la specialità di una provincia non possa essere un criterio di deroga.
Non ho difficoltà a riferire che al Senato, quando si è discusso di questi argomenti, anche con alcune soluzioni, come ho già ricordato altre volte, fantasiose - mi riferisco a una che ipotizzava una specialità derivante dall'accorpare la superficie terrestre con quella marina ai fini del calcolo della provincia, il che non riguardava le province montane evidentemente, almeno in questo caso - noi avevamo preso in seria considerazione un solo criterio di specialità che ci sembrava oggettivamente ragionevole e che riguardava le province interamente montane. È stato anche votato un emendamento, che però è stato bocciato dal Senato.
Da questo punto di vista, le deroghe, almeno per quanto riguarda la proposta del Governo, perché poi il Parlamento farà ovviamente quello che riterrà di fare, non ci potrà essere questo tipo di deroghe fondato sulla specialità di diverse province. Non credo che ci sia un'eccessiva rigidità della città metropolitana, perché il meccanismo esplicitamente previsto nella legge consente sia l'entrata, sia l'uscita delle città metropolitane, inevitabilmente, col sistema dell'articolo 133 della Costituzione.
Tuttavia, a meno che non comporti uscire dalla regione, quello previsto dall'articolo 133 non è un procedimento particolarmente complesso, perché in realtà richiede solo una delibera comunale col parere della regione. È un meccanismo che, in particolare per le città metropolitane, proprio perché conoscevamo alcune realtà territoriali, è già previsto nel decreto-legge di spending review.
Noi ascolteremo le autonomie. Anche se in ipotesi fosse possibile attuare un accorpamento maggiore di quello che ci venga proposto, noi ascolteremo le autonomie. Allo stesso tempo, non potremo ascoltare le autonomie, se ci presenteranno proposte non conformi a ciò che il Parlamento ha scritto nel provvedimento di spending review.
Per quanto riguarda la tempistica, è un problema che dovremo senz'altro affrontare. Oggettivamente quello della tempistica è un problema diverso. Io non credo che ci sia un vincolo costituzionale sulla durata degli organi, per la verità, anche perché è difficile comprendere la questione: se due province si debbono accorpare, che si fa? Si deve aspettare quella che scade dopo? Avremmo un uso abnorme dell'istituto del commissariamento, che non credo sia un meccanismo auspicabile come soluzione dei problemi. Credo, invece, che si debba assicurare un meccanismo che possa far partire questo riordino tutto insieme.
Non ricordo quale deputato aveva posto il problema, ma il cambiamento da «soppressione» a «riordino» non è dovuto all'articolo 133 della Costituzione. Se esiste un problema di 133, esiste anche col riordino, perché l'articolo 133 riguarda le modifiche delle circoscrizioni.
Noi abbiamo ragionato in un modo che pure ho sentito da qualche parte descritto nei termini seguenti: se l'articolo 133 fosse non solo applicabile alle modifiche puntuali, che peraltro hanno portato o modificazioni o aumento delle province, ma fosse richiesto anche per un riordino generale, di conseguenza si dovrebbe avere bisogno di 8.106 iniziative comunali per compiere il riordino generale delle province.
Poiché, invece, è la legge della Repubblica e dello Stato, e non le Regioni, ad avere la competenza esclusiva in questa materia, noi abbiamo ritenuto che un riordino generale fosse una questione non in deroga, ma diversa dalla fattispecie regolata dal 133 della Costituzione.
Quanto ai capoluoghi, ho letto sui giornali molte notizie. Come ho riferito nella precedente seduta, abbiamo esempi anche recenti di province di nuova istituzione con tanti capoluoghi, ma non sono sicuro che questo sia il modello ordinamentale verso cui guardare.


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È diverso il problema, e questo è sempre stato ammesso, anche nelle risposte alle domande più frequenti che ci sono venute e che noi abbiamo pubblicato, di dove l'ente provincia decide di collocare la sua sede e i suoi uffici. È un problema della provincia.
Per quanto riguarda, invece, gli uffici periferici dello Stato, siamo stati piuttosto attenti nell'aver capito che si tratta di un problema che influisce non poco sulle resistenze del territorio. Da questo punto di vista, anche con il Ministro dell'interno, abbiamo proprio tenuto una riunione - il sottosegretario Ruperto qui presente lo sa bene, perché era presente - e abbiamo riflettuto sulla possibilità, fermo restando che lo Stato decide dove si collocano i suoi uffici sul territorio, così come la provincia decide dove si collocano i suoi uffici nella circoscrizione provinciale, di introdurre una forma di consultazione con il sistema delle autonomie per ascoltare le esigenze delle autonomie stesse per quanto riguarda l'allocazione degli uffici periferici dello Stato.
Ciò non significa che avremo tre uffici dell'INPS, due prefetture e via elencando, ma che avremo una prefettura e un ufficio dell'INPS, tenendo, però, conto che non è scritto nella legge, e meno che mai nella Costituzione, che questo ufficio debba necessariamente essere allocato nel capoluogo della provincia, e fermo restando che deve avere la circoscrizione provinciale come ambito di riferimento.

LINDA LANZILLOTTA. Saranno sparpagliati dappertutto, uno da una parte e uno dall'altra?

FILIPPO PATRONI GRIFFI, Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione. Dipende, perché probabilmente prefettura e questura debbono stare insieme, mentre l'ufficio dell'INPS potrebbe stare in un altro posto. L'idea è quella di ascoltare il sistema delle autonomie prima di decidere la dislocazione definitiva, che è collegata alla riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, contenuta sempre all'articolo 2, se ben ricordo, del provvedimento sullo spending review.
Onorevole Libè, tardiamo a emanare il DPCM sulle funzioni perché la nostra impressione è che, al di fuori di quelle fondamentali, potrebbero non esserci funzioni statali da allocare ai comuni e attualmente allocate alle province. Questa è la difficoltà oggettiva, di studio, che stiamo incontrando.
Resta il problema dell'ente di secondo livello. Anche di questo abbiamo molto discusso nell'ambito del Governo. Vi riferisco con la stessa franchezza con cui ci siamo parlati finora, anche se non in un ambito ristretto, perché c'è la ripresa televisiva della seduta, che io credo sia, a questo punto, doveroso per il Governo aspettare la decisione della Corte costituzionale, che sarà presa agli inizi di novembre.
Se la decisione della Corte sarà nel senso che è incostituzionale un sistema di elezione di secondo grado per le province, è ovvio che bisognerà ripensare tutto per province e anche per le città metropolitane. Se, invece, la Corte lo riterrà compatibile con la Costituzione, è altrettanto evidente che può essere difficile per il Governo pensare a una soluzione diversa da quella già indicata.
Ciò non significa non poter rivedere sul piano tecnico il meccanismo concreto individuato per l'elezione di secondo grado, sul presupposto, anche in questo caso, che io non vorrei che si affermasse che l'elezione di secondo grado non è rappresentativa in sé. Ancora una volta, è una questione che va ricavata probabilmente dall'idea che si ha dell'ente «intermedio», nonché sulle funzioni, che, come ho accennato, oggi sono quelle che sono e domani potrebbero essere diverse. Un ripensamento potrebbe essere indotto anche dal modificarsi dell'assetto delle funzioni.
Per quanto riguarda il rapporto tra l'articolo 133 della Costituzione e il ruolo dei comuni, nel decreto legge è scritto che gli spostamenti dei comuni da una circoscrizione provinciale a un'altra, nell'ambito della medesima regione, non può far «riacquistare» i requisiti a province che


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non li abbiano, ma sono senz'altro possibili in ogni momento, prima del passaggio nei CAL, tra CAL e legge futura e dopo la legge. È un passaggio che, salvo che non contempli anche lo spostamento da una regione all'altra, non richiede altro che una delibera comunale e il parere delle regioni.
Quanto all'uso dello strumento del decreto-legge o del disegno di legge, non sono in grado per il Governo di indicare l'uno o l'altro; posso però affermare che sarà un provvedimento che ci consentirà, se il Parlamento condividerà l'impostazione, di chiudere il processo di riordino nell'ambito di questa legislatura e, quindi, di questo mandato governativo.
Infine, anch'io sono rimasto piuttosto colpito dall'idea che riguarda il Lazio avanzata dall'onorevole Lanzillotta, che peraltro avevo già letto in un articolo. Credo che sarà sicuramente uno dei punti che riguarderà quanto io comunicherò, al momento del passaggio di consegne, al futuro Ministro delle riforme. La questione mi sembra molto interessante, per la verità, però mi accontento di portare a termine quello che c'è già in movimento e anche qualcosa di meno.

PRESIDENTE. Ringraziando il Ministro Patroni Griffi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

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