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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-V-XIV Camera e 3a-5a-14a Senato)
5.
Mercoledì 8 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 46, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 7 11 14 18 20
Boldi Rossana, presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica ... 17
Buttiglione Rocco (UdCpTP) ... 8
Cambursano Renato (Misto) ... 16
Duilio Lino (PD) ... 10
Gottardo Isidoro (PdL) ... 14 17
Gozi Sandro (PD) ... 9 18
Marini Cesare (PD) ... 18
Moavero Milanesi Enzo, Ministro per gli affari europei ... 2 11 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 5a (BILANCIO) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 8 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 46, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica, l'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.
Ringrazio tutti i gruppi che hanno concesso la deroga in periodo di fiducia per potere svolgere quest'audizione da tempo programmata.
Il tema è quello del quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020, tema che ci ha già visti impegnati in precedenti audizioni e che sicuramente ci vedrà ulteriormente impegnati per seguire da vicino il negoziato, che è ovviamente molto delicato, ma anche estremamente importante.
Do la parola al Ministro Moavero Milanesi per la sua relazione e poi ci sarà spazio per le domande.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Ringrazio i presidenti e tutti i deputati e i senatori presenti. È un tema importante, che occuperà l'attenzione dei diversi Stati membri dell'Unione europea nel corso dell'intero 2012 che, a partire da questo mese appena finito di gennaio, ha iniziato il suo percorso, il quale si dipanerà in linea di principio sull'arco di due presidenze, l'attuale presidenza danese e la successiva presidenza cipriota.
Per darvi un quadro il più possibile completo e schematico dell'attuale stato delle cose, dividerei la mia presentazione nelle parti seguenti: una prima per fornirvi le cifre base di cui stiamo discutendo, trattandosi di una questione di cifre di bilancio, una seconda per illustrarvi il quadro dell'attuale negoziato e, infine, una terza per definire la posizione italiana e punti di caratteristiche o di criticità sulle differenti voci rilevanti.
Innanzitutto stiamo parlando del quadro finanziario pluriannuale e, quindi, della prospettiva di bilancio dell'Unione europea per il periodo dal 2014 al 2020. L'attuale periodo 2007-2013 è ancora in corso e non ha nulla che vedere con questo.
La proposta presentata dalla Commissione, la proposta base, prevede una dotazione di 1.025 miliardi di euro in impegno sul periodo dei sette anni, è leggermente superiore a quella del periodo precedente


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e corrisponde all'1,05 per cento del PIL europeo, o del reddito nazionale lordo, come preferite chiamarlo.
Vi è poi una tabella fuori bilancio, come da tradizione dell'Unione - vi anticipo che non ci entusiasma molto la tradizione di avere capitoli fuori bilancio - che porta l'ammontare all'1,11 per cento del reddito nazionale lordo europeo. Siamo nell'ordine dei 1.000 miliardi circa contro un precedente quadro di bilancio che era di poco inferiore, di 994 miliardi. Siamo sostanzialmente in una situazione di bilancio in continuità statica.
Il negoziato si è aperto, per sommi capi, sotto la presidenza polacca e fino al mese di dicembre è stato esaminato il quadro di proposte della Commissione. Non ci sono state vere e proprie discussioni e la presidenza polacca ha consegnato un rapporto che è sotto la sua unica responsabilità e che cercava di identificare le questioni principali.
Siamo entrati nel vivo a gennaio. L'obiettivo della presidenza semestrale danese, che è iniziata con il mese di gennaio, è di arrivare per il Consiglio europeo di giugno a inquadrare una proposta negoziale, quella che nel gergo inglese usato in questo genere di discussioni a livello europeo viene chiamata la negotiating box, che non indicherà ancora le cifre principali, ma esaminerà il quadro e le diverse opzioni che si pongono. Essa dovrebbe permettere alla presidenza cipriota, nel secondo semestre del 2012, di arrivare al risultato per il Consiglio europeo di fine anno.
Lavora sul tema a livello di Unione europea il Consiglio affari generali, al quale io partecipo per il nostro Paese. Esso ha tenuto una riunione il 27 gennaio scorso con un primo scambio di punti di vista, di cui di relazionerò tra breve, e ne terrà altre successive. Ve ne comunico le date, in maniera tale che eventualmente se ne possa tenere conto anche per ordini di lavoro, qualora di interesse del Parlamento. La prossima riunione del Consiglio affari generali sul tema sarà il 26 marzo e le successive il 24 aprile e il 29 maggio. Si discuteranno a partire dal mese di marzo le principali rubriche, quindi politica agricola, politica di coesione e via elencando. Le vedremo tra breve.
La presidenza danese punta a quello che lei chiama, e che tutti tendiamo a chiamare in tal modo, un approccio globale. Ciò significa che nulla sarà concordato, né come tetti delle singole rubriche, né come tetto globale, né come altri elementi cifrati, finché non troveremo un consenso generale sulla proposta. Esiste, dunque, il margine per elementi di condizionalità fino alla fine, qualora necessario.
Il Parlamento europeo è coinvolto dalla presidenza danese anche durante i lavori del Consiglio, attraverso un coordinamento stretto curato dalla presidenza, ed è prevista anche una Conferenza dedicata a questo tema, che si svolgerà a Bruxelles il 22 e il 23 marzo, giorni importanti in periodo risorgimentale, ma che non sono stati scelti per questo motivo naturalmente, e che coinvolgerà anche i Parlamenti nazionali, il che è importante, invece, per la sede in cui ci troviamo.
A livello nazionale esiste un tavolo di coordinamento fra le diverse amministrazioni che si trova presso la Direzione generale per l'Unione europea, Ministero degli affari esteri, che agisce e opera nell'attuale contesto sotto la mia responsabilità.
Esiste anche un tavolo regionale, il Comitato di partenariato allargato per il futuro della politica di coesione e comunitaria. Per la prima volta, con proposta avanzata da me al Presidente Errani della Conferenza Stato-regioni abbiamo coinvolto nel tavolo tra le amministrazioni anche le regioni e le province autonome.
Esistono poi diversi contatti a livello bilaterale fra gli Stati membri, nonché gruppi degli Stati membri, i cosiddetti big six, le sei economie più importanti, che si riuniscono e tengono riunioni tra i cosiddetti contribuenti netti. Noi frequentiamo sia gli incontri bilaterali, per definizione, sia questi due gruppi, con la posizione che ora vi illustro.
Qual è stato il contesto della riunione del 27 gennaio? Dovevamo rispondere a


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due domande base poste dalla presidenza. La prima riguardava l'indicazione delle principali priorità e la seconda se ciascuna delegazione nazionale si riconosceva nell'ammontare complessivo proposto dalla Commissione, ossia le cifre che vi ho comunicato all'inizio.
Sono state date, a seconda delle delegazioni, risposte più o meno precise sul tema. Schematicamente, si possono individuare due posizionamenti di Paese. In uno certamente si riconoscono i Paesi del cosiddetto nucleo duro dei contribuenti netti, vale a dire quelli che hanno una maggiore differenza negativa nel saldo fra contributo, ossia entrate al bilancio comunitario, e quanto ritorna, ovvero spese delle politiche. Si tratta di Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Austria, Finlandia e Danimarca, che si sono pronunciati, con chiarezza variabile a seconda delle posizioni, per un congelamento e preferibilmente per una riduzione dell'attuale livello di bilancio.
Esistono, però, fra di essi differenze profonde quanto alle voci sulle quali si dovrebbe incidere. Per portarvi un solo esempio, per il Regno Unito e per la Svezia la politica agricola dovrebbe essere ridotta notevolmente, nel quadro di questa riduzione, mentre per la Francia dovrebbe essere, invece, mantenuta all'attuale livello. Anche fra questi Paesi esistono, dunque, differenze di punti di vista.
C'è poi un gruppo di Paesi, soprattutto quelli di più recente ingresso nell'Unione, che hanno un PIL pro capite alquanto inferiore alla media europea e che sono favorevoli a un aumento del bilancio.
C'è poi una fascia intermedia di Paesi che si pronuncia con argomenti diversi per un mantenimento di costanza, grossomodo sulla linea della proposta della Commissione. Gli argomenti si diversificano molto.
Noi rientriamo in questo gruppo intermedio, con la posizione seguente che ora descrivo. Il punto di partenza è che per noi la vita dell'Unione europea è un momento importante della nostra visione nazionale e al di là dei nostri confini nazionali, e naturalmente pensiamo che debba avere un bilancio proporzionato al conseguimento degli obiettivi che si pone.
Il secondo elemento è che noi siamo coscienti di essere ormai da svariati anni, in modo particolare dal 2001, un contribuente netto a questo bilancio e che quanto ci torna in base a finanziamenti di politiche è inferiore a quanto versiamo. La differenza, sulla base delle statistiche comparative che la Commissione stila, nel 2010 è stata nell'ordine di 4-4,5 miliardi.
Noi pensiamo anche, tuttavia, che le politiche che sono sviluppate a livello di Unione europea possano poi dar luogo a economie di scala complessive virtuose per l'insieme dell'Unione e, quindi, anche per il nostro Paese, al di là del ritorno netto materiale.
Infine, avendo beneficiato per alcuni decenni della solidarietà dei Paesi che erano già allora contribuenti netti del bilancio, pensiamo che sia un dovere morale da parte nostra, nonché una possibile scelta politica, non far mancare oggi la nostra solidarietà ai Paesi che sono meno avvantaggiati.
Abbiamo, peraltro, alcune importanti condizionalità che riguardano la visione critica, al momento attuale, di non pochi degli elementi salienti della proposta della Commissione, condizionalità che adesso vi enumero e che ho esposto naturalmente anche ai nostri partner al Consiglio e nelle altre occasioni che si sono presentate.
Innanzitutto quali sono gli elementi per strutturare questa rapida disamina? Bisogna guardare il lato delle entrate al bilancio dell'Unione europea, il lato delle uscite, ossia il lato del finanziamento delle politiche, e il lato orizzontale.
Per toccare immediatamente il lato orizzontale, noi pensiamo che ci siano due punti, due snodi importanti. Uno grava su di noi in casa ed è un nostro dovere domestico. Noi dobbiamo migliorare ulteriormente, e in alcuni casi notevolmente, la nostra capacità effettiva di spesa, perché quel saldo negativo tabellare di cui vi ho parlato poco fa può naturalmente diventare più grave, se i fondi che sono


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assegnati al nostro Paese, in particolare alle nostre regioni, non sono utilizzati nei tempi previsti.
Parallelamente a questo miglioramento, dal lato della capacità di spesa noi dobbiamo migliorare, e il nostro Governo è impegnato molto su questo fronte, la qualità e l'efficacia della nostra spesa. Non basta spendere i fondi che vengono assegnati al nostro Paese, ma è un dovere fondamentale verso i cittadini che beneficiano della spesa e che hanno contribuito a creare tali fondi come contributori dello Stato, che è poi un contributore dell'Unione europea, garantire che le opere che vengono effettuate siano effettivamente importanti, necessarie e tali da migliorare la situazione del nostro Paese. Questo è il quadro sotto il profilo orizzontale del dovere domestico.
Sotto il profilo orizzontale, fronte Unione europea, noi chiediamo una profonda riflessione alla Commissione europea sulla semplificazione delle procedure amministrative attraverso le quali i fondi vengono assegnati.
Chiediamo insieme ad altri Paesi che ci sia, per esempio, una maggior fiducia nella responsabilizzazione degli Stati e una maggiore sussidiarietà, pur mantenendo indubbiamente un severo e rigoroso controllo a livello europeo. Vorremmo alcune procedure che siano tali, soprattutto laddove i fondi, quali, per esempio, quelli per la ricerca e l'innovazione tecnologica, sono assegnati direttamente su bandi di gara della Commissione europea, da garantire la più ampia partecipazione possibile alle nostre realtà nazionali.
Vediamo adesso, nella rapida rassegna delle diverse politiche e delle risorse di entrata, quali sono i punti che, a nostro parere di Governo e a mio parere personale, sembrano maggiormente da segnalare.
Cominciamo dalla politica agricola. Per noi essa rimane una politica molto importante, una politica strategica e prioritaria per il nostro Paese, per il sostegno alle nostre imprese, per la salvaguardia e il miglioramento dei territori rurali, che, come sapete, sono importanti in tutte le regioni italiane.
La Politica agricola comune è, nella proposta della Commissione, quella che ha subìto il taglio più consistente di finanziamenti, all'incirca del 9 per cento. Il taglio maggiore tocca gli aiuti diretti e le misure di mercato.
Su questo punto noi abbiamo alcune criticità precise. Per esempio, per quanto riguarda gli aiuti diretti, non siamo favorevoli alla scelta di utilizzare come unico parametro per la distribuzione delle risorse la superficie agricola degli Stati membri. Noi pensiamo che debbano essere perlomeno affiancati a questo altri parametri più significativi, come il valore e la qualità della produzione agricola, parametri che, peraltro, ci sembrano molto più coerenti con le linee generali di riforma della PAC che erano state delineate già negli anni scorsi a livello europeo.
In relazione agli aiuti per lo sviluppo rurale noi ci aspettiamo che le risorse a esso dedicate siano aumentate nell'ambito dell'attuale proposta della Commissione, che riteniamo insufficiente. Pensiamo anche che si debba tener conto, in particolare nel contesto dello sviluppo rurale, del numero delle aziende e degli occupati agricoli, questione che, a nostro parere, non è sufficientemente focalizzata nella proposta della Commissione.
Affini alla politica agricola sono i fondi per la politica della pesca, per i quali la proposta della Commissione prevede di dedicare 6,5 miliardi. Per noi, anche in questo caso, è molto importante che si vada verso un meccanismo di finanziamento della pesca che sia sostenibile, ecologicamente compatibile e rispettoso del territorio.
Venendo alla politica di coesione, essa vede un parziale ridimensionamento dei fondi. Si scenderebbe di poco, dai 354 miliardi che riguardavano il periodo 2007-2013 a 336, e la nostra grande sfida per la politica di coesione è quella di cui parlavo poco fa, quella della tempistica di spesa,


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dell'efficacia della spesa e della qualità del risultato nell'utilizzo dei fondi cosiddetti strutturali.
Siamo, però, preoccupati, al di là di questa questione, che ovviamente riguarda la nostra efficacia e la nostra efficienza come sistema Paese e regioni, dell'impostazione attuale della proposta della Commissione, la quale individua fra le regioni cosiddette in convergenza, quelle che una volta si chiamavano di Obiettivo 1, e le regioni cosiddette in competitività, quelle che, invece, hanno una struttura e una situazione molto più competitiva a livello medio europeo, una categoria intermedia, che chiama delle regioni in transizione.
Questa categoria a noi non piace molto, per non dire per nulla, perché, inglobando regioni che hanno un PIL pro capite tra il 75 e il 90 per cento inferiore rispetto alla media dell'Unione europea, ci pone nella situazione per cui molte nostre regioni tradizionalmente Obiettivo 1 o convergenza si verrebbero a trovare in questa categoria intermedia e, quindi, a poter fruire di minori finanziamenti. Noi ci aspettiamo a questo proposito una rivisitazione della proposta da parte della Commissione.
Un secondo elemento importante per noi riguarda le condizionalità. Siamo favorevoli ad alcune condizionalità contrattuali, le cosiddette condizionalità ex ante e alle condizionalità di controllo e verifica, le cosiddette condizionalità ex post, ma vogliamo comprendere meglio l'importanza relativa che verrà data alle cosiddette condizionalità macroeconomiche. La situazione macroeconomica di un Paese verrebbe tenuta in conto riguardo ai fondi strutturali, alla loro assegnazione e al loro utilizzo. Vogliamo capire bene qual è l'influenza esatta che si vuole attribuire a questo criterio.
Noi non ci sottraiamo a esso, così come è enunciato, né al segnale di rigore nella tenuta dei nostri bilanci, però vogliamo capire concretamente in che maniera tutto ciò condizionerebbe o potrebbe condizionare l'assegnazione dei fondi strutturali, ovvero il loro utilizzo.
Il terzo grande capitolo riguarda ricerca, scienza e innovazione. La proposta della Commissione, che viene denominata Orizzonte 2020, prevede un ammontare di 80 miliardi per il periodo 2014-2020. Noi valutiamo positivamente questa assegnazione di fondi, che ovviamente, riguardando la ricerca e l'innovazione, è per definizione un motore positivo per la con competitività delle imprese.
Vale quanto ho affermato prima quanto alla sfida che dobbiamo assumere a livello interno per la capacità delle nostre imprese di partecipare e possibilmente di vincere i bandi di gara europei in materia, dei quali, però, vorremmo vedere anche una maggior semplificazione, in maniera tale da renderli effettivamente accessibili anche alla nostra struttura di piccole e medie imprese, che deve poter partecipare a questo importante fondo.
Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si sta attrezzando per migliorare la nostra capacità di partecipazione, che è attualmente pari all'incirca al 7 per cento nell'attuale programmazione 2007-2013, quindi inferiore a quella che potrebbe essere la teorica aspettativa del nostro Paese.
Sono interessanti i fondi dedicati a capitale umano ed educazione, che rientrano in un fondo separato rispetto a quello della ricerca, tra cui c'è il programma Erasmus, che è forse una delle azioni più efficaci nell'Unione europea per preparare le nuove generazioni alla convivenza generale e anche all'abituarsi a essere europei. Sono previsti per l'educazione un ammontare di 15,2 miliardi e un fondo per la creatività di 1,6 miliardi.
Esiste anche una rubrica dedicata all'azione esterna. Per noi, con riguardo all'azione esterna, sono molto importanti le questioni relative alla politica di vicinato. In merito vogliamo che siano mantenute le proporzioni che attualmente sono in vigore e che erano state a suo tempo negoziate, per le quali due terzi dei fondi vanno al confine sud dell'Unione europea e un terzo al confine est.
Sono poi previsti fondi per le politiche relative all'immigrazione, 18,5 miliardi per


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le politiche di sicurezza e cittadinanza e 4 miliardi per il cofinanziamento europeo di politiche di sicurezza interna.
Un altro programma molto importante è quello che riguarda le grandi reti transeuropee, quello che chiamavamo TEN (Trans-European Network) e che viene ora ribattezzato Connecting Europe Facility. Riguarda sempre trasporti, energia, reti di telecomunicazioni e informatica e per esso è previsto anche un notevole aumento: si passerebbe a 40 miliardi rispetto a un ammontare nettamente inferiore del periodo precedente.
Questi 40 miliardi sono suddivisi nella maniera seguente: 9,1 per il settore energetico, 9,2 per informatica e telecomunicazioni, 21,7, a cui se ne aggiungono altri 10 dall'apposito capitolo dedicato del Fondo di coesione, per i trasporti. Per esempio, per le reti di trasporto transeuropee esisterà nel 2014-2020, se queste proposte diventeranno realtà, un bilancio di 31,7 miliardi, ossia 21 più 10 del Fondo di coesione.
Anche questo fondo, che è all'evidenza molto importante per l'Europa, perché le reti transeuropee sono il tessuto sanguigno del funzionamento della nostra Unione, come arterie e vene, ma diventa fondamentale, trattandosi di fondi di finanziamento, la capacità del nostro sistema di rispondere a quelle che saranno le assegnazioni dei fondi e le opere da realizzare.
Svolgo alcune considerazioni sul lato entrate, che, come voi sapete, è composto dalle cosiddette risorse proprie del bilancio dell'Unione, basate su una percentuale dell'IVA fino a oggi, una percentuale che è poi la componente più importante basata sul PIL dei differenti Paesi - da essa deriva il delta di differenza tra contribuenti netti e beneficiari netti - e sui dazi doganali dell'Unione europea, che vanno evidentemente del tutto a beneficio del bilancio.
La Commissione ha messo sul tavolo due proposte di innovazione nel settore dal lato delle entrate. La prima riguarda una ristrutturazione della risorsa IVA, che verrebbe coniugata in maniera diversa dall'attuale 1 per cento, in maniera da rendere più capiente il flusso tratto dal pagamento dell'IVA in tutte le transazioni che si svolgono sul territorio dell'Unione europea verso il bilancio dell'Unione.
Noi, però, la stiamo studiando attentamente, con il Ministero dell'economia e delle finanze, perché vogliamo capire meglio qual è l'impatto finale anche rispetto al fatturato generale IVA del nostro Paese.
La Commissione mette poi sul tavolo l'idea della tassazione delle transazioni finanziarie.
Concludendo, in buona sostanza, questo è il quadro. Noi pensiamo che sia estremamente importante l'attenzione del nostro Paese su questa definizione di quadro finanziario pluriannuale dell'Unione europea e che sia un dovere verso i nostri concittadini e contribuenti, in quanto l'Italia è, come ricordavo, un contributore netto dell'Unione. Riteniamo che le politiche dell'Unione siano un elemento essenziale del vivere comune, l'esperienza europea, l'esperienza comunitaria, come l'abbiamo sempre chiamata, e che meritino di essere finanziati, però dobbiamo portare a questo tema una grande attenzione, sia in sede europea al momento della definizione del quadro e delle diverse rubriche di finanziamento, sia in sede nazionale, per migliorare la nostra capacità di fruizione di queste politiche.
Anche quest'ultimo dovere ci chiede uno sforzo a più livelli, certamente a livello dell'amministrazione dello Stato, ma anche a livello delle amministrazioni locali e infine, e non è certamente il livello meno importante, anzi è estremamente cruciale, a livello del mondo delle imprese, dei centri di ricerca e di tutti i soggetti che possono fruire direttamente dei finanziamenti europei.
Spero di aver tracciato un quadro sufficientemente chiaro e vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro. Credo che abbiamo avuto effettivamente una rappresentazione chiara della situazione.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.


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ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor presidente. Grazie, signor Ministro. Lei sa che io non sono molto politicamente corretto e, quindi, mi scuserà se porrò alcune domande un poco indiscrete.
Premessi, ma è inutile premetterli, la grandissima stima e il sostegno al magnifico lavoro che lei sta svolgendo, osservo che lei sta presiedendo un tavolo di coordinamento al Ministero degli affari esteri. Approvo, perché il coordinamento è la chiave per il successo della politica europea.
Perché, però, tale tavolo ha sede al Ministero degli affari esteri? Non esiste una legge che quale costituisce un organo apposito, che si chiama CIACE, per quello che ricordo, e che pone un simile tavolo di coordinamento permanente al Dipartimento per le politiche comunitarie? Tenere il tavolo di coordinamento in tale dipartimento non è utile intanto a far funzionare la legge esistente e poi anche a stabilizzare una procedura di coordinamento, che oggi funziona perché c'è lei, ma che, se non viene istituzionalizzata, domani potrebbe non funzionare più? È un primo elemento di dubbio che mi trovo ad avere riguardo alla procedura.
È giustissimo il coordinamento, senza il quale non si fa nulla, però teniamolo nel luogo giusto, in modo da poterlo poi istituzionalizzare, anche sulla base di un disegno di legge in discussione al Senato, sulla quale mi giungono notizie non tanto rassicuranti, peraltro, la quale dovrebbe rafforzare questo ruolo di coordinamento e la sua istituzionalizzazione.
Passo alla seconda osservazione. Posso invitarla, signor Ministro, a spezzare una lancia con energia a favore dell'agricoltura italiana? Circola in sede europea ormai da tempo, dall'epoca della Fischer Boel, l'idea che metà del bilancio comunitario per l'agricoltura sia troppo, che sia inaccettabile, preposterous, vergognoso.
Bisogna ricordare sempre che nel caso dell'agricoltura le risorse europee sono le uniche risorse impegnate. In tutti gli altri campi le risorse europee sono un'aggiunta, spesso simbolica, allo sforzo degli Stati nazionali, mentre per l'agricoltura il grosso, la quasi totalità delle risorse che vengono stanziate, sono europee. Occorre, quindi, prestare attenzione nel tagliare, come vorrebbero fare alcuni Stati.
A livello mondiale io non so se l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare, contenuto nei Trattati, vada del tutto abbandonato, in una fase di prezzi crescenti delle materie prime alimentari dovuti alla possibilità di utilizzare queste materie anche per la produzione di energia e al fatto che larghe parti dell'umanità che prima non mangiavano adesso, invece, cominciano a mangiare, ragion per cui ne deriva una pressione sull'agricoltura mondiale.
Io le rivolgerei anche un altro invito, ma lei ne ha già trattato molto bene. Non è possibile accettare il criterio della superficie. Bisognerebbe integrarlo con altri criteri, come giustamente affermava lei. È fondamentale aggiungere l'occupazione indotta, perché esistono colture che su un ettaro di terreno generano un'occupazione molto grande e altre che non generano praticamente alcuna occupazione. Mi sembra un criterio ragionevole e vitale per noi, perché abbiamo dimensioni aziendali molto piccole, sulle quali, però, a volte si investe moltissimo.
Pensi alla produzione di vino di qualità. Sul vino c'è una produzione di ricchezza, ma anche di occupazione, del tutto fuori da ogni proporzione con altri tipi di produzione, come il legno, ma anche i cereali o altro.
Lo sviluppo rurale è fondamentale e su questo fronte io l'invito a proseguire con sempre maggiore energia l'azione che comunque so che lei ha iniziato.
Passando al problema delle politiche di coesione, anche qui io ho un'idea non molto politicamente corretta e - chiedo scusa al presidente - un filo antifederalista. Perché non troviamo il modo di centralizzare la gestione di queste risorse, dedicandole a grandi reti che servano allo sviluppo dell'intero complesso regionale italiano, che è in ritardo di sviluppo?
Le aree italiane in ritardo di sviluppo sono contigue l'una all'altra, sono l'una accanto alla altra. Se queste risorse, invece di essere affidate alle regioni, che non


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hanno dato grande dimostrazione di capacità di spesa, fossero centralizzate, magari con la consulenza delle regioni e con una commissione regionale che intervenisse, con l'obbligo di definire programmi comuni, grandi programmi - i programmi che funzionano sono grandi, quelli piccoli non funzionano - con il sostegno dell'amministrazione centrale? In Spagna hanno attuato un'iniziativa del genere e se la sono fatta anche consolidare nei trattati. Forse potremmo studiare questo modello e trasporlo nel nostro Paese.
Se ciò non dovesse andare, quantomeno - anche se così non si garantisce la qualità della spesa ma solo il fatto che si riesca a spendere - si crei una struttura di missione che abbia poteri sufficienti a prendere le regioni e a costringerle a spendere.
Chiedo scusa se ho impiegato troppo tempo.

SANDRO GOZI. Anch'io ritengo che il Ministro abbia voluto informarci sul metodo che sta utilizzando e, come l'onorevole Buttiglione, che questo sia il metodo giusto. Questi negoziati vanno coordinati dal Ministro per gli affari europei. Lei interpreta il suo ruolo come non è mai stato fatto in Italia e come va fatto, perché è chiaro che queste materie devono essere coordinate da tale Ministro.
Su questo fronte, dunque, lei ha tutto il mio sostegno e credo anche che sia molto importante la decisione che ha assunto di coinvolgere sin dall'inizio la Conferenza Stato-regioni. È evidente che c'è un ruolo diretto, nonché una spinta sempre maggiore, che io ritengo giusta, delle regioni a essere coinvolte in tutta la fase di elaborazione delle politiche. Si tratta veramente del futuro delle regioni. Da questo punto di vista assolutamente le do tutto il mio sostegno.
Sugli aspetti generali so che essi vanno al di là della volontà, ma anche delle possibilità negoziali dell'Italia. Ho già sostenuto nei mesi passati che io credo che questo negoziato sia stato impostato male, perché è stato impostato all'insegna del rigore europeo, che si aggiunge al rigore nazionale, senza tenere conto a sufficienza delle ristrettezze a cui noi stiamo sottoponendo i nostri bilanci nazionali.
Il ragionamento che alcune delegazioni, in particolare quella tedesca, ma credo anche quella dei Paesi Bassi, svolgono, secondo cui alle ristrettezze dei bilanci nazionali devono accompagnarsi tagli del bilancio europeo di 100 miliardi - questa è, e lei ce l'ha confermato, la posizione negoziale di tedeschi e olandesi - fanno piovere sul bagnato, come direbbe l'uomo della strada, ossia accentuare una situazione che è già di grave difficoltà.
Io mi preoccupo sia dal punto di vista europeo, sia da quello italiano, perché abbiamo già un bilancio estremamente ridotto. Stiamo confermando 130 miliardi di euro più o meno all'anno per 500 milioni di cittadini. In realtà, il bilancio europeo è un costo irrisorio per cittadino, ma soprattutto ciò rischia di incidere negativamente su alcune nostre priorità nazionali.
Lei ne ha ricordate due, ma indirettamente anche una terza. Esso rischia di incidere sull'obiettivo dell'Italia di mantenere il livello di spesa agricola, di mantenere il livello di spesa di coesione e di agganciare maggiormente il bilancio agli obiettivi Europa 2020 che mi sembrano rientrare pienamente nelle priorità anche dell'attuale Governo italiano.
A mio parere, occorre certamente più efficacia, certamente più semplificazione e sono totalmente d'accordo con lei soprattutto per la parte della ricerca: spesso ci vuole una laurea o un master ad hoc per partecipare ai bandi della ricerca. Quello quantitativo è, però, un aspetto che mi preoccupa molto e che mi preoccuperebbe ancora di più, se si dovesse arrivare a una diminuzione per le ragioni che lei stesso oggi ha esposto.
Al di là della posizione di contributori e beneficiari netti, i beneficiari netti siamo tutti noi, perché ciò significa sfruttare meglio il mercato interno e alla fine, favorendo la crescita di tutti gli Stati membri nel mercato interno, ne deriva un beneficio generale. Non credo che l'atteggiamento


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di eccessivo rigore da parte soprattutto di due Paesi vada assecondato. So benissimo che si tratta di un negoziato difficile, ma credo che su alcuni punti occorra insistere molto.
Sulla questione delle risorse proprie, mi compiaccio del fatto che il Presidente Monti abbia aderito a quel gruppo di nove Paesi che chiedono alla presidenza danese di accelerare i processi decisionali in materia di tassa sulle transazioni finanziarie internazionali. Credo che certamente vada sostenuta, ma mi chiedo anche, dato che gran parte dell'impianto della nuova struttura finanziaria 2014-2020 concepito dalla Commissione si basa sulla nuova IVA e sulla tassa sulle transazioni internazionali, se per caso non si trovasse un accordo su quest'ultima, secondo lei, quale struttura avrebbe il bilancio e quali sono le opzioni alternative a un negoziato, che certamente non in discesa?
Arrivo all'ultimo punto, che si collega al primo. Io credo che dobbiamo respingere una condizionalità troppo forte e diretta tra aiuti e situazione macroeconomica, per le ragioni di cui sopra. Gli aiuti sono fatti per favorire lo sviluppo. Se devono essere ridotti o ci deve essere una condizionalità troppo stretta ai Paesi che, anche a causa delle politiche di rigore, faticano ad avere determinati tassi di sviluppo, mi sembrerebbe un circolo vizioso, quando, invece, noi vogliamo avviare con le poche risorse che abbiamo un circolo virtuoso grazie anche ai fondi europei.

LINO DUILIO. Pongo due domande brevi. Una, in verità, si riallaccia a considerazioni esposte dal collega Gozi, che erano già state esposte al Senato nell'audizione precedente e che portano a una considerazione che definirei a metà tra il tecnico e il politico. Essa mi induce a formulare una domanda che rivolgo a un ministro tecnico, chiedendogli di svolgere alcune considerazioni politiche, se possibile.
Io sono un po' depresso, se così posso esprimermi, da un approccio che è seguito e che ormai mi pare di capire sia codificato e di cui riparleremo, se ne parleremo, nel 2021, cioè tra un po' di tempo. Mi riferisco a un bilancio europeo risibile, di circa 130 miliardi l'anno, che non servono nemmeno a comprare le brioche, se mi permette la battuta, a livello europeo, tenendo conto di che cosa rappresenta un potenziale mercato europeo di 500 milioni di persone.
Capisco che in tempi di ristrettezze bisogna compiere sacrifici, ma se è vero, come indica peraltro la convegnistica, che un euro speso a livello europeo ha un valore aggiunto, tale per cui sicuramente vale di più di un euro speso a livello nazionale, quantomeno in termini di tensione ideale e politica - per questo motivo non so se sia una domanda che devo rivolgere al tecnico; sinceramente queste disquisizioni non mi entusiasmano molto e credo che noi siamo tutti cittadini italiani e europei - ritengo che questo approccio sia sbagliato.
Non è possibile che noi continuiamo a ragionare su un bilancio europeo risibile e un po' ridicolo, se mi permette, che nello stesso tempo ci costringe, rispetto a situazioni come quella della crisi attuale, a doverci inventare fondi di salvataggio vari, ragion per cui ci si mette attorno a un tavolo a cercare di capire quanto si deve sborsare come Paese per poi intervenire rispetto alla Grecia piuttosto che altrove, ex post rispetto alle crisi che si determinano o, in modo più lungimirante, a porsi la domanda di come, come Europa, investendo a livello europeo e avendo le risorse a bilancio, si possano, invece, produrre risultati che, in termini di valore aggiunto, almeno dalle mie letture - se qualcuno la pensa diversamente, sarei lieto di sentire osservazioni differenti - a livello comunitario potrebbero essere più apprezzabili sul piano politico e su quello economico.
Di fatto ci stiamo rassegnando anche, come Paese, nonostante la retorica italiana ci porti a sostenere che siamo europeisti più degli altri, all'idea che al massimo conserviamo il bilancio che c'è in termini complessivi. Ovviamente dovremo fare di tutto, pur essendo riconoscenti rispetto alla storia, per la quale abbiamo avuto di più di quanto abbiamo dato in altri tempi.


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Non dobbiamo spaccare il capello in quattro; dobbiamo, però, cercare di portare a casa il più possibile rispetto a quello che diamo e tutto finisce qui, con un bilancio risibile e una pratica ragionieristica per cui cerchiamo di portare a casa qualcosa in più.
A me sinceramente questo approccio rispetto alla complessità di una globalizzazione in cui Dio solo sa se c'è bisogno che nascesse un'Europa degna di questo nome, che avesse anche nel bilancio, nella propria bisaccia, una strumentazione adeguata, sembra, da un punto di vista politico, ossia di lungimiranza politica, sinceramente un poco - non voglio usare aggettivi grossi - modesto.
Mi piacerebbe avere la sua opinione come ministro e, se possibile, anche come cittadino italiano ed europeo.
La seconda questione, più rapida, è il discorso della ricerca. Nelle tabelle che ho letto a suo tempo e che abbiamo commentato in Commissione bilancio, peraltro avendo come interlocutore il suo predecessore, abbiamo letto che al 2020 l'obiettivo dell'Unione europea per quanto riguarda la ricerca è di arrivare a un rapporto del 3 per cento tra spese di investimento per la ricerca e PIL.
Il nostro obiettivo, in un rabberciato Programma nazionale di riforma messo insieme con un collage poco dignitoso dal precedente Governo, invece, come è stato affermato in questa sede, era di passare dallo 0,8 per cento all'1,5 per cento, con la conclusione, come lei può immaginare, se la situazione non dovesse cambiare, che al 2020 la nostra distanza tra Italia e l'Europa aumenterà, anziché diminuire. Passeremo dallo 0,8 all'1,5 rispetto al 3 per cento. Saremo, quindi, alla metà dell'obiettivo stabilito a livello comunitario.
Poiché esistono alcune legature - uso un termine caro a Rawls, come lei sa - tra le cose, vorrei sapere, rispetto a questo discorso della ricerca e all'obiettivo confermato a livello comunitario, per quanto mi risulta, se è intenzione di questo Governo, in una dimensione di collegialità, rimettere mano a quel risibile Programma nazionale di riforma, in modo tale che sul capitolo della ricerca si preveda un obiettivo diverso in termini sia di qualità, sia di quantità.

PRESIDENTE. Fermerei a questo punto il primo blocco di domande, altrimenti il Ministro si perde. Passeremo poi al secondo blocco, dopo il quale chiuderemo l'audizione.
Do ora la parola al Ministro Moavero Milanesi per la replica al primo giro di domande.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Per rispondere ai diversi punti in maniera sistematica, inizierei dal primo che è stato sollevato, quello che riguarda il coordinamento, per svolgere due precisazioni.
La prima è che il coordinamento tra le amministrazioni a cui ho fatto riferimento è attualmente un tavolo di coordinamento fra i ministeri. Non lo presiedo io, ma viene effettuato a livello di funzionari.
Come mai questo tavolo è animato e si trova presso la direzione generale per l'Unione europea del Ministero affari esteri? È una buona domanda, che, però, andrebbe posta a chi si occupava di queste questioni alcuni mesi fa. Io vi posso riferire perché si trova ancora lì. Tenuto conto che bisognava operare in tempi rapidi, la mia scelta è stata di cui non incominciare a spostare i tavoli o le persone intorno al tavolo da un luogo all'altro, e di andare pragmaticamente al risultato, ponendo la mia responsabilità politica sia su questa scelta più banale, sia su quelle di fondo della questione. Non volevamo aprire ulteriori ambiti di discussione. Magari la scelta era giusta. Io ho preso atto di una scelta esistente e l'ho continuata.
In merito al secondo elemento, sempre riferito al coordinamento, noi abbiamo già attuato due riunioni di coordinamento snello e informale fra tutti i ministri interessati, che io ho presieduto. Come logistica ci trovavamo effettivamente nell'ambito dei locali del Dipartimento per le politiche europee. Nel momento in cui si dovesse passare a un quadro più formale,


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è chiaro che sarebbe quello del CIACE. Distinguerei, dunque, le due impostazioni.
Sempre sul discorso del negoziato, per riprendere anche l'intervento dell'onorevole Gozi, immagino che, affermando che il negoziato è impostato male, si faccia riferimento all'impostazione vuoi della Commissione, vuoi dei Paesi del nucleo duro dei rigoristi. Noi, in tutta coscienza, pensiamo di aver impostato il negoziato in maniera corretta, sia come priorità - sono quelle che vi ho esposto prima - sia sotto un altro profilo, di cui non ho parlato prima e che approfitto per chiarire adesso.
Esiste uno snodo chiave nel negoziato: per il quadro finanziario pluriannuale occorre l'unanimità al tavolo del Consiglio affari generali, mentre per le diverse politiche di spesa, agricola, coesione, ricerche e via elencando, si lavora a maggioranza qualificata. Per noi sarà fondamentale portare il nostro contributo all'unanimità del risultato finale solo a condizione che le criticità importanti che oggi individuiamo nelle singole voci, inclusa, quella non troppo chiara, della strutturazione del nuovo sistema di entrate, abbiano ricevuto una risposta chiara e più che soddisfacente. La nostra è una condizionalità anche perché in questo tavolo siamo una voce necessaria all'unanimità e in altri potremmo eventualmente trovarci anche in una minoranza. Questo vale anche per l'impostazione generale del negoziato.
Sul negoziato vorrei anche accennare velocemente a un altro aspetto, per nostra memoria. Nel meccanismo complesso del bilancio dell'Unione europea esiste un'altra caratteristica, che è quella dei cosiddetti sconti. Ci sono alcuni Paesi che, dato l'importante delta tra i loro contributi e ciò che ricevono, fruiscono di uno sconto, ossia di una riduzione di tale delta.
Noi abbiamo posto il problema, che trova le sue lontane origini nel 1984, nel Consiglio europeo di Fontainebleau - è un luogo ameno, ma la decisione adottata forse non è stata delle più amene, perlomeno per quanto riguarda il nostro Paese - e chiediamo che si individui un meccanismo che valga per tutti, che sia trasparente e che sia valutabile dai cittadini, così come dai Governi.
Per la PAC noi siamo sensibilissimi alla sua importanza, nella sua realtà sia per il cittadino, in termini di autosufficienza alimentare, sia per l'agricoltore. Vorremmo che fosse la politica amica che per tanti anni è stata e che talvolta, per i criteri con cui viene adesso definita, lo è meno.
Ciò non significa che noi non desideriamo una PAC ben approvvigionata delle risorse necessarie a portarla avanti, ma vogliamo una PAC funzionale all'esigenza del cittadino europeo, come anche del cittadino e dell'agricoltore italiano, nonché dell'agricoltore europeo e di altri Paesi. Siamo estremamente attenti a questo aspetto e gli elementi che avevo citato e che sono stati ripresi anche dall'onorevole Buttiglione lo chiariscono.
Quanto a centralizzare la gestione delle reti e dei fondi relativi, noi abbiamo notato che, laddove, in alcune regioni, si è effettivamente centralizzata anche la gestione della spesa relativa agli elementi che toccano i fondi europei, le cose vanno effettivamente piuttosto bene.
La questione delle reti indubbiamente richiede un forte coordinamento interregionale, perché stiamo parlando di reti transeuropee, che di solito hanno anche la caratteristica di essere transregionali a livello più locale. Questo forte coordinamento deve o non deve tradursi in una centralizzazione? È una questione che qualificherei, a questo stadio, aperta. I suggerimenti in un senso come nell'altro sono naturalmente benvenuti.
Con riguardo alla tassa sulle transazioni finanziarie, la situazione è la seguente: questa tassa è un mito da quando il professor Tobin l'ha pensata un dato numero di anni fa, perché non si è mai materializzata ed è rimasta sempre a livello di concezione. È vero che ci sono controindicazioni, come quelle messe in luce recentissimamente dal Primo ministro inglese, che naturalmente, avendo una piazza finanziaria importante come Londra, è particolarmente attento, ma ci sono


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anche indicazioni assolutamente di logica a favore, che si domandano perché le transazioni finanziarie sarebbero le uniche non soggette a tassazione. Inoltre, ci sono numerosi calcoli.
Noi ci siamo dichiarati, come Governo, aperti alla discussione. In quest'apertura abbiamo posto comunque alcuni paletti, di cui uno è piuttosto importante, ed è che naturalmente non può essere la decisione di uno Stato o di due, ma deve essere una decisione di aggregazioni di Stati.
A livello di Europa ne abbiamo due: o è la dimensione a 17 dell'Euro o quella a 27, e a breve a 28, dell'Unione. Dimensioni inferiori ci sembrano azzardate. Comunque riflettiamoci. Ci sono Stati che spingono anche in quella direzione - il presidente francese è stato molto chiaro anche sul fatto di adottarla unilateralmente - così come ci sono Stati, come la Gran Bretagna, che sono fortemente negativi.
Sulla ricerca la risposta è affermativa. Il Ministro Profumo ci ha già relazionato in Consiglio dei ministri, e la discussione può essere approfondita con lui nelle opportune Commissioni parlamentari, sull'idea di aumentare lo sforzo italiano nel settore della ricerca. L'ambizione nel settore della ricerca per quanto riguarda i fondi europei è di passare dal nostro 7 per cento di «pescaggio» - chiamiamolo con questo brutto termine - attuale almeno a un 11-12 per cento. Se riuscissimo ad arrivare a questo livello, sarebbe molto importante.
Infine, la domanda politica al ministro tecnico è un'interessante riqualificazione e la prendo come un incoraggiamento parlamentare. È vero che il bilancio europeo è molto piccolo, se noi lo paragoniamo alla proporzione che hanno rispettivamente i bilanci nazionali rispetto al prodotto nazionale lordo, ma è vero anche che esistono visioni estremamente divergenti. Sul piano proprio della politica reale inevitabilmente si cerca un compromesso. Tale compromesso non deve portare agli effetti depressivi di constatazione di modestia dello sforzo europeo che venivano menzionati. Effettivamente, se questa fosse l'impressione che si dà al cittadino, sarebbe un'impressione molto negativa.
Sarebbe interessante, però, che il cittadino prendesse piena coscienza del fatto che è vero che esiste questo elemento di proporzione, ma è vero anche che il bilancio europeo non cade dal cielo. Il bilancio europeo, come tutti i bilanci nazionali, è formato, in ultima analisi, da ciò che i cittadini pagano nel loro ruolo di contribuenti.
Le grandi idee sull'aumento del bilancio europeo riguardano in sostanza l'introduzione di tasse per l'Europa o la conversione a beneficio dell'Europa di elementi di imposizione nazionale e voi sapete bene che, in termini molto politici e molto poco tecnici, la fiscalità in senso stretto, nel senso di politica di tassazione, è stata mantenuta saldamente nelle mani degli Stati e non è stata mai delegata.
Il Trattato di Roma prevedeva, come anche si prevede oggi, l'unanimità in materia di fiscalità, laddove, invece, ha delegato potestà monetaria e ampi settori di altri elementi, ragion per cui la questione ritorna esattamente al cittadino, a che cosa desidera che l'Europa contribuisca nella sua realtà di cittadino europeo, oltre che di cittadino di ciascun Paese, e a quanto è disposto materialmente a contribuire o a veder contribuire il suo Paese, sottraendo risorse a livello nazionale, nel bilancio europeo.
È chiaro che, se noi compariamo, e questa è l'ultima osservazione, che risulta un po' tecnica, la politica severa che la Commissione attua nei confronti dei finanziamenti statali, per esempio alle imprese, sovente vietandoli per incompatibilità con la libera concorrenza e con i princìpi del mercato unico, dobbiamo preferire che questi finanziamenti vengano gestiti, invece, a livello europeo, in maniera che chi li può avere ne fruisca e che le decisioni, come per i fondi strutturali, siano prese a livello europeo. A quel punto dobbiamo essere pronti, a livello europeo, in sede di Consiglio e in sede di Parlamento,


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a fare tutto il necessario affinché l'assegnazione ai diversi Paesi sia equa e non sbilanciata.
In secondo luogo, bisogna anche essere pronti, ed è per questo motivo che noi domandiamo la semplificazione, a sentirci in grado di partecipare veramente ai bandi di gara per l'assegnazione dei finanziamenti dell'Europa, questione su cui spesso le realtà del nostro Paese si dimostrano timide. Noi chiediamo una semplificazione per aiutare a uscire da questa timidezza, ma bisogna effettivamente compiere questo passo in avanti e cominciare a pensare in modo europeo anche in termini di politiche di intervento e di strutturazione e non solo prevalentemente in modo nazionale o locale.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli altri colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ISIDORO GOTTARDO. Grazie, signor Ministro. Ovviamente il suo primo giro di risposte ci facilita il compito. Io entrerò su questioni diverse dai colleghi, ma su una sola voglio ripetermi con loro.
Io credo che ogni giorno di ritardo - colgo l'occasione di avere anche la gentile collega, la presidente della Commissione 14a del Senato - nell'approvazione della modifica della legge n. 11 non sia un giorno di ritardo della legge, ma un giorno di grave ritardo dell'Italia rispetto all'Europa. Sono convinto, e l'abbiamo accertato, che noi siamo un Paese che ha un approccio medievale all'Europa dal punto di vista istituzionale. Se non comprendiamo che il Trattato di Lisbona cambia radicalmente il sistema di approccio istituzionale e politico, evidentemente sarà difficile pensare che sui tavoli di negoziato si possano recuperare ritardi, quando quelle premesse non sono costruite nella fase ascendente.
Vi è un grave ritardo, dunque, e comprendiamo che il Senato sarà sicuramente di nuovo sotto la pressione di molte istituzioni dello Stato che hanno difficoltà ad accettare un approccio più semplificato e coordinato. Esse hanno difficoltà a capire che l'Italia non è rappresentata solo dallo Stato, ma anche dalle regioni e dalle autonomie locali e che, quindi, se abbiamo un Titolo V della Costituzione che ci articola in questo modo, come ricordava prima il collega Buttiglione, diventa inevitabile mettere in piedi un sistema di concertazione già nelle fasi preliminari che aiuti tutti a essere protagonisti di questa fase, ma anche di maturare questa esperienza e di trasferirla.
Confido nel Governo, ma soprattutto nell'auspicio che il Senato, senza trascurare gli apporti che può dare, possa procedere in questo senso. Noi speriamo che il Senato sia tanto bravo a superare tutte o parte delle forti resistenze che noi abbiamo incontrato alla Camera e che non sono le ragioni di due o tre mesi fa, ma di oggi e di domani, di chi pensa che il rapporto con l'Unione europea sia ancora una politica estera di questo Paese. Se il Senato è tanto bravo in un'impresa in cui noi non siamo riusciti, ossia compiere un passo in avanti, alla Camera ne saremo ben lieti.
Signor Ministro, io credo che l'Italia in questo approccio rispetto al quadro finanziario abbia interesse, al di là dell'aspetto di un dettaglio in più o un dettaglio in meno, innanzitutto a cambiare il suo approccio. Quali sono gli argomenti e i temi su cui noi siamo fortemente in ritardo rispetto all'Unione europea?
Come primo dato, io credo che noi dobbiamo cominciare a cambiare linguaggio anche nella comunicazione, quando parliamo di essere conferitori netti, perché questo è formalmente vero, ma nella pratica non lo è: o siamo ancora più conferitori netti perché teniamo conto dei nostri ritardi nell'utilizzo o nel cattivo utilizzo di fondi strutturali, il conferimento netto non è di 4-4,5 miliardi, ma è molto di più, perché noi non utilizziamo adeguatamente o pienamente le risorse. Pensiamo solo ai fondi strutturali e a quelli per lo sviluppo rurale.
In realtà, però, dall'altra parte dobbiamo pensare che molto spesso gli investimenti nella politica di coesione, il che è accertato, ritornano per il 60 per cento


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nelle imprese dei 15 Paesi e non dei 27. È un dato accertato. Si compiono gli investimenti nelle politiche nei Paesi da allargamento, ma a realizzarli sono le imprese dei cosiddetti Paesi del conferimento attivo e questo è un dato di cui tener conto. L'Italia dovrebbe recuperare un sistema Paese più capace di accompagnare tali imprese.
La vicenda della Libia, che apro e chiudo, è la dimostrazione che il nostro Paese manda le imprese in giro per il mondo a lavorare e poi le abbandona a se stesse, perché non è in grado, di fronte a eventi come quello della Libia, di tutelare i loro legittimi interessi.
Noi siamo fortemente in ritardo sulla politica delle reti. Le tre questioni che lei ricordava, energia, comunicazione e trasporti, sono esattamente i nodi di ritardo del nostro Paese più che di altri. Noi abbiamo tutto l'interesse, come Italia, a che si investa il più possibile su queste questioni.
Non sento parlare in questo quadro di project bond. Come è noto, i project bond nascono nel Parlamento europeo per iniziativa di parlamentari italiani molto bravi. Anche questo aspetto a volte andrebbe ricordato, perché ci dipingiamo spesso come Paese Cenerentola, mentre siamo anche capaci nelle istituzioni comunitarie di svolgere un buon lavoro. È chiaro che se ci sono o non ci sono i project bond cambia il quadro finanziario. Un conto, infatti, è parlare di 40 miliardi più 10, un conto è parlare di project bond.
Premetto, peraltro, che, se ci sono i project bond, con il rapporto tra 30 per cento di finanziamento pubblico e 70 per cento di investimento privato, riusciremo a mettere in piedi le reti. Diversamente, se ne metteranno in piedi qua e là alcune, ma l'Italia manterrà il grave ritardo infrastrutturale rispetto al resto d'Europa. Se l'Europa vuol crescere, deve investire nelle aree infrastrutturali più in ritardo.
La stessa questione vale per la cultura. Investire sulla cultura, sull'istruzione e sull'Erasmus significa fare in modo che il nostro Paese e i giovani del nostro Paese diventino più europei, cambino le loro abitudini e si immettano in quel circuito virtuoso, che potrà essere anche oggetto della gaffe di alcuni ministri, ma è una realtà che il nostro Paese deve constatare.
La stessa questione, che, come lei ha ricordato, è la caratteristica di questo Paese, riguarda le piccole e medie imprese che hanno difficoltà ad accedere al sistema della ricerca e dell'innovazione. Per noi il problema non sta tanto nell'entità degli importi, quanto nelle regole e nelle modalità di accesso.
Noi abbiamo difficoltà a fare rete e ad associarci e abbiamo un sistema di piccola e media impresa. Le regole che si stabiliscono diventeranno fondamentali per determinare quanto del nostro Paese accederà alla ricerca e all'innovazione, altrimenti lo faranno solo alcune grandi aziende italiane, ma il sistema della piccola e media impresa ne rimarrà sostanzialmente escluso.
Sulla convergenza il problema è che le regioni italiane della convergenza sono state un disastro nell'utilizzo di questi fondi. Conosciamo le questioni. L'approccio, però, non può essere quello di centralizzare la politica di convergenza, ma di far crescere queste aree di ritardo.
I progetti integrati, il principio della compartecipazione del finanziamento e del risultato cambiano la testa alla gente, la mentalità, e i territori. Se questo è l'aspetto positivo, però, l'aspetto negativo nelle aree di convergenza è che non si capisce che dobbiamo rimuovere le cause dei ritardi infrastrutturali che determinano la non possibilità di fare economia in tali aree. Se non c'è l'acqua, è inutile che si finanzi il trattore, dal momento che l'agricoltura ha bisogno dell'acqua. Si devono realizzare i bacini imbriferi. Molto spesso non se ne occupano le piccole imprese, ma se ne deve occupare lo Stato attraverso progetti integrati con le regioni. Ciò vale per le comunicazioni, per le banche e per tutto quanto è necessario.
Da questo punto di vista, mi pare che il Ministro Barca abbia le idee molto chiare, perché noi abbiamo un patrimonio


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di esperienza degli ultimi quindici o vent'anni in tale ambito che deve essere messo assolutamente a frutto.
Sulla questione della PAC, signor Ministro, per esprimermi con molta chiarezza, è in atto un processo. Dobbiamo legare il tema della PAC al problema del deficit demografico nelle aree rurali. Noi abbiamo le montagne e le aree rurali che si stanno spopolando e un sistema economico che premia la fusione e l'aggregazione, le grandi trasformazioni. Le imprese italiane che vanno in Romania a fare agricoltura lavorano su 6-7 mila ettari. Sono dimensioni di coltivazione che l'Italia non può permettersi.
Anche in Italia io vedo molta confusione fra coloro che pensano che chi ha investimenti in terreni immobiliari debba avere il ritorno dall'agricoltura e chi, invece, capisce che l'agricoltura deve essere innanzitutto presidio della gente che lavora sul territorio, sulle montagne e sulle aree rurali.
Se non ci chiariamo bene questo approccio, come Italia, non possiamo immaginare in sede europea di avere una PAC più conforme al modello italiano. Anche in questo caso, più PAC o meno PAC per me è piuttosto indifferente. La riduzione della PAC può essere anche attuata nel contesto finanziario, ma il problema è a chi vanno questi soldi. Questo è il problema.
Io le chiedo veramente di compiere una battaglia perché la PAC non venga disgiunta dal problema del deficit demografico. È inutile che l'Europa si ponga il problema di come conservare le popolazioni nelle aree rurali, se la PAC non è finalizzata a mantenere le popolazioni nelle aree rurali e svantaggiate.
La domanda essenziale che mi interessa, comunque, è quella sui project bond.

RENATO CAMBURSANO. Grazie, signor Ministro. Io credo che andrò un po' controcorrente, come è nel mio stile, provando a immaginarmi - non ci arriverò, ma spero che il buon Dio mi conservi - come cittadino europeo nel 2020.
Se dovessi guardare all'Europa nel 2020 con questo quadro finanziario, non ci sarebbero le condizioni per essere molto ottimista, un po' per le ragioni che illustrava già il collega Duilio, ma che aleggiano in tutti gli interventi che sono stati svolti sinora.
L'ultimo passaggio è avvenuto non più tardi di ieri in Aula, discutendo proprio delle mozioni sulla nuova imposta sulle transazioni finanziarie. Una di queste era a mia prima firma. Io ricordavo, ahimè, che proprio sull'autonomia che i singoli Stati continuano ancora a voler a tutti i costi, con alcuni passi avanti significativi compiuti da questo Governo e dal suo presidente, se dovessi leggere lo stato dell'arte sulla base delle dichiarazioni rilasciate da chi ci governava prima rispetto a questo strumento, che veniva motivato con una disponibilità teorica da non concretizzarsi nel breve, perché doveva essere messo in conto a fiscalità che dovevano rimanere agli Stati, non guarderei tanto a ciò che vorrei fosse l'Europa nel 2020, ma a come vorrei conservare l'Europa così com'è, dando alla medesima meno risorse, meno disponibilità e soprattutto meno progettualità di una vera Europa unita.
Questo aspetto si legge anche, se mi è permesso - è in questo che vado un po' controcorrente - rispetto a come sono state sinora utilizzate le risorse e a come vengono esposte le criticità di questo quadro finanziario. Non mi straccerei le vesti, se fosse ridotto il quadro finanziario attuale, purché, però, fosse proiettato a far crescere davvero progetti comuni dei Paesi che credono davvero all'Europa.
So di essere forse utopico, ma penso che, se chi ha voluto questa Europa ed è riuscito a fatica in tanti anni a farla arrivare dov'è non avesse avuto un po' di utopia, non saremmo in queste condizioni e probabilmente saremmo ancora a stati ben più arretrati.
Che cosa intendo, signor Ministro? Quando noi parliamo di ricerca, di innovazione e di formazione, dobbiamo incominciare a guardarle come progetti comuni transfrontalieri, e non solo frontalieri, ma europei, per essere competitivi con le altre grande aree del mondo.


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Questa è l'Europa che io spero arrivi. Trasmettiamo un messaggio che mi permetto di dare a lei e anche al Presidente del Consiglio. Nel rapporto che abbiamo con l'Unione europea sono aumentate, per fortuna, grazie anche a voi, la nostra appetibilità e la nostra credibilità rispetto agli altri partner e soprattutto ai Paesi cosiddetti forti dell'Europa. Giochiamoci la nostra credibilità anche su questo fronte, cioè lavoriamo su progetti comuni, che ovviamente si basino su risorse recuperate dai singoli Stati, ma che vengano concentrati su progetti che abbiano un senso. Altrimenti nella sfida per la ricerca e per l'innovazione, alla fine della tornata in termini di produzione e di occupazione, saremo sempre in ritardo. Se noi non ci proiettiamo in questo modo, non arriveremo mai.
Passo all'ultima domanda, che ha posto anche il collega Gottardo, sui benedetti project bond. Non stiamo parlando di eurobond, ma di progetti finalizzati alle infrastrutture, alle grandi reti energetiche e trasportistiche, ma anche proprio alla ricerca e all'innovazione di cui parlavo prima, alla cultura nell'accezione più ampia del termine.
Se noi riuscissimo a far arrivare questo messaggio, che non andrebbe ad aumentare il debito dei singoli Stati, ma a far crescere l'Europa, probabilmente anche in questo senso avremmo compiuto un passo da gigante.

ROSSANA BOLDI, Presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica. Io ringrazio sia l'onorevole Gottardo, sia l'onorevole Buttiglione, che peraltro è firmatario del testo che andiamo a modificare, di aver posto una domanda.
Come sapete, il disegno di legge di riforma della legge n. 11, per come è strutturato il Regolamento del Senato, è all'esame della Commissione affari costituzionali. Per gentilezza del presidente Vizzini e per accordi che sono intercorsi, pur di far partecipare la 14a Commissione, io sono stata nominata relatore.
Il problema è solo uno, e mi spiace di doverlo tirare fuori: è stato naturalmente adottato come testo base quello che ci è arrivato dalla Camera dei deputati e che è stato in questa sede votato all'unanimità. Peccato, però, che il Partito Democratico al Senato abbia presentato un testo che non è semplicemente modificativo, ma distruttivo rispetto al testo arrivato dalla Camera, perché contiene un'impostazione totalmente diversa.
Tutte le volte che noi arriviamo ad approvare un parere, oppure, come nella scorsa occasione, illustriamo gli emendamenti, il PD butta la palla fuori campo, perché non sa trovare una posizione al suo interno.
Poiché io ritengo che questa sia una legge che va approvata con il massimo della convergenza, ricordo che la settimana scorsa avremmo dovuto illustrare gli emendamenti e che non c'era alcun bisogno di costituire un Comitato ristretto. In totale erano un centinaio di emendamenti, ma è stato costituito un Comitato ristretto, che naturalmente si riunirà tra quindici giorni. Non mi pare che ci sia veramente un'idea da parte del PD di che cosa fare o meno di quest'altro testo.
Spero di riuscire al più presto a chiudere la questione. Mi spiace riferire ciò, ma è esattamente così che sta procedendo la situazione.
Addirittura in 14a Commissione avevamo un parere pronto da votare a luglio dell'anno scorso, ma non siamo riusciti a votarlo, perché non c'è stato verso di far concordare i due relatori su un parere già depositato, in quanto la capogruppo del PD in 14a Commissione, che è anche la firmataria di questo disegno di legge, non vuole sentire ragioni.
Queste sono le motivazioni per cui in Senato il disegno di legge non sta andando avanti.

ISIDORO GOTTARDO. Ministro Moavero, faccia la sua parte. Non aggiungo altro, perché non è un problema dei gruppi. Sul testo votato alla Camera c'è la cooperazione piena del precedente Governo e lei ha dato la conferma su quel


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testo. Io credo che il Governo debba andare al Senato e spiegare qual è la sua posizione.

CESARE MARINI. Chiedo scusa, presidente: lei doveva impedire questa filippica in assenza di colleghi del Senato. È inopportuna, fuori luogo e non doveva svolgersi in questa sede, perché mancano i colleghi del Senato. Se la presidente Boldi ha raccontato sciocchezze, nessuno può contraddirla.

SANDRO GOZI. Volevo far notare che, vertendo l'audizione sul bilancio 2014-2020 e in assenza di altri colleghi del Senato, non era opportuno aprire un dibattito. Esso, peraltro, non riguarda l'intero gruppo del Partito Democratico al Senato, perché, come la relatrice ha riferito, la Commissione competente è la Commissione affari costituzionali e il capogruppo rappresentante di tale gruppo ha chiaramente indicato qual è la posizione, che è la stessa uscita dalla Camera. Lo preciso solamente perché rimanga agli atti.
Aggiungo che c'è sempre una relatrice e che il Governo ha sempre la possibilità di invitare al ritiro gli emendamenti, nonché di compiere quegli atti, se lo ritiene, se al momento in cui si arriva al voto la situazione non mutasse. Io credo e spero, però, che la situazione, nel momento in cui si arriverà al voto, sarà cambiata.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Moavero Milanesi per la replica agli ulteriori interventi dei colleghi.

ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro per gli affari europei. Grazie. Proprio su questo punto, per rispondere all'ultima domanda, il Governo non solo farà, ma sta facendo la sua parte. Ha partecipato, infatti, alla seduta della 1a Commissione, in cui è stato decisa, e si tratta di decisione di autonomia parlamentare, la costituzione di un Comitato ristretto. Il Governo era, quindi, un partecipante silente, come i Regolamenti gli impongono di essere in quel caso.
In ogni modo, il Governo sta facendo la sua parte, nel senso che io sono in contatto con i diversi membri del Parlamento che hanno presentato emendamenti sul testo che era pervenuto dalla Camera, con l'obiettivo di andare a risultato nel rispetto delle procedure e dell'obiettivo stesso.
Vorrei rispondere poi su un punto comune, ossia alle domande sui project bond. Effettivamente, per cercare di stare nella sintesi dell'esposizione, non li ho menzionati, ma sono previsti. Sono bond e si chiamano project e non eurobond, però, poiché la nozione di eurobond è estremamente vasta, preciso che sono comunque bond europei finalizzati alla realizzazione di infrastrutture. Non sono ancora quantificati, ma dovrebbero avere un ruolo molto importante per amplificare in modo netto gli ammontari messi sul tavolo.
I project bond ci piacciono per due ordini di motivi. Il primo è contingente e pertinente. Sono uno strumento molto importante per consentire una maggiore efficacia di intervento finanziario, e, peraltro, consentono di affrontare a livello europeo la famosa questione che veniva chiamata in senso lato della golden rule, ossia se le spese da investimento dovessero o non dovessero essere conteggiate. In questo modo si crea uno strumento specifico virtuoso.
I project bond ci piacciono anche perché, essendo in senso molto lato bond europei - chiamiamoli in questo modo, invertendo i termini - mostrano che non c'è da avere paura di strumenti di questo tipo, anche se noi comprendiamo che occorrono tutti i tempi necessari per puntare anche ad altri tipi di bond europei.
Le piccole e medie imprese sono assolutamente al centro della nostra preoccupazione, come affermavo prima. Non ci vuole un tecnico, né un politico di particolare livello per comprendere qual è il tessuto forte del nostro Paese sotto il profilo delle piccole e medie imprese.
Vorrei solo attirare l'attenzione di noi tutti sul fatto che, conformemente alle istanze emerse nelle risoluzioni parlamentari in vista del Consiglio europeo del 30 gennaio, nella dichiarazione conclusiva del


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Consiglio europeo stesso uno dei tre capitoli è proprio dedicato alle piccole, medie e microimprese. La microimpresa altro non è se non la manifestazione di quello spirito imprenditoriale che tanto caratterizza il nostro Paese e molte delle nostre regioni.
Per quanto riguarda la PAC, è evidente che per noi un elemento legato alla residenza di popolazione agricola nel territorio del nostro Paese, soprattutto nei territori montani e pre-montani, diventa un elemento fondamentale. È proprio per questo motivo che quello di superficie come unico concetto ci sembra assolutamente non idoneo a rispondere alle nostre esigenze.
Per quanto riguarda le altre osservazioni sulle reti, su Erasmus e sulla convergenza, questo completa la risposta al punto che veniva sollevato prima dall'onorevole Duilio e poi da altri.
Il punto fondamentale è proprio questo: noi immaginiamo un'Europa che prende, raccoglie e ridistribuisce risorse agli Stati o un'Europa che raccoglie risorse anche in misura superiore all'attuale e ridistribuisce ai cittadini, intesi come soggetti attivi?
Proprio in ciò sta una differenza, a mio parere politica prima ancora che tecnica, nella concezione dell'Europa che noi ci poniamo davanti. Progetti come Erasmus vanno ai cittadini, sono transazionali, sono cofinanziati e consentono a tutti, a prescindere dal censo o dalla fortuna più o meno grande legata alla nascita, di accedere a un'esperienza internazionale e di conoscere fin dagli anni dell'università coetanei o comunque corrispondenti di altri Paesi.
I fondi di ricerca sono gestiti direttamente dalle istituzioni europee su bandi di gara. Noi desideriamo e ci battiamo affinché tali bandi non richiedano particolari capacità elucubrative per potervi partecipare, ma siano accessibili a tutti, anche al piccolo e medio imprenditore. Sono, però, pur sempre bandi di gara transazionali. La piccola e media impresa italiana che fa ricerca deve, quindi, abituarsi a pensare in senso europeo e a consociarsi con altre. Emerge proprio l'elemento della transnazionalità.
Lo stesso vale per la politica delle grandi reti, come abbiamo sostenuto anche prima. Per definizione le grandi reti sono reti di collegamento. Bisogna incominciare a comprendere che, data la situazione geografica dell'Europa e, più in particolare, del nostro Paese, anche in tale ambito il cittadino, a un dato punto, deve compiere le sue scelte.
Arriviamo al punto che io chiamavo delle economie di scala, ma che effettivamente può essere tradotto in vantaggio indiretto nella distribuzione dei fondi europei, che è quanto ha messo in luce l'onorevole Gottardo nel suo intervento.
Non solo guardiamo ai fondi assegnati all'Italia per l'Italia, ma guardiamo anche ai fondi assegnati dall'Europa ad altri Paesi, che non voglio nominare, in cui le imprese italiane possano andare a fare concorrenza. Noi pensiamo subito ai Paesi che magari consideriamo più bisognosi del nostro arrivo, ma le nostre aziende sono in grado di essere competitive anche in Paesi competitivi con noi. Bisogna riuscire ad andarci.
Perché noi abbiamo chiesto con forza in sede di Consiglio europeo che la Commissione svolga un attento esame dell'impatto delle direttive di liberalizzazione? Esistono direttive che hanno liberalizzato i settori dell'energia, dei trasporti, nelle loro diverse modalità, delle telecomunicazioni. Le telecomunicazioni sono una realtà liberalizzata in larga misura e, infatti, esiste una concorrenza, a volte una concorrenza oligopolistica a livello europeo, ma comunque una concorrenza e si può entrare sul mercato anche a livello di piccole e medie imprese dell'indotto.
Ci chiediamo, però, se questa concorrenza europea esista veramente in settori chiave come l'energia e i trasporti. Siamo un Paese che ha liberalizzato molto di più di ciò che si creda anche in passato. Le liberalizzazioni non sono cominciate con noi, col decreto liberalizzazioni. Noi cerchiamo di portarle più avanti, ma le liberalizzazioni sono una realtà del nostro Paese da molti anni. Noi abbiamo liberalizzato


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notevolmente i settori dei trasporti e dell'energia, abbiamo creato un ambiente di concorrenza interna, ma poi le nostre aziende ci spiegano che, quando vogliono andare altrove in Europa, non ci riescono.
Abbiamo chiesto, dunque, alla Commissione che, con la stessa attenzione con cui guarda tante questioni nostre e anche di altri partner, svolga anche una seria verifica dell'impatto delle liberalizzazioni. Se crediamo veramente che le liberalizzazioni sono un fattore di crescita, e lo sono, esse debbono essere non solo ideate e legiferate, ma anche realizzate.
Concludendo, arriviamo al punto dell'importanza della legislazione europea e della partecipazione del legislatore nazionale anche alla fase ascendente. È inutile rendersi conto che una direttiva è complicata quando dobbiamo recepirla. Noi dobbiamo rendercene conto prima e nutrire i colleghi parlamentari del Parlamento europeo, laddove è opportuno, e soprattutto i rappresentanti del Governo in seno al Consiglio, che è l'altro elemento legislativo della realtà europea.
In questo senso io credo che la costante collaborazione, a cui sapete che sono tutt'altro che restio - al contrario, sono più che volenteroso di partecipare con voi - possa essere una chiave del successo per l'intero nostro Paese. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro. Le audizioni con il Ministro Moavero Milanesi, non per porgere complimenti, sono sempre assolutamente all'altezza delle attese e delle aspettative.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

III Commissione (Affari esteri e comunitari)

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