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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III Camera e 3a Senato)
14.
Mercoledì 10 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sulla riorganizzazione del Ministero degli affari esteri (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 3 7 15 19
Antonione Roberto (PdL) ... 14
Barbi Mario (PD) ... 11
Fassino Piero (PD) ... 13
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 15
Micheloni Claudio (PD) ... 7
Narducci Franco (PD) ... 8
Picchi Guglielmo (PdL) ... 10
Porta Fabio (PD) ... 12
Tempestini Francesco (PD) ... 9
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 10 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sulla riorganizzazione del Ministero degli affari esteri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sulla riorganizzazione del Ministero degli affari esteri.
Saluto il presidente Dini e i colleghi del Senato. Ringrazio il Ministro Frattini per aver voluto sottolineare con la sua presenza l'importanza dell'organizzazione interna del suo dicastero, che è all'esame delle competenti Commissioni parlamentari. Mi limito a osservare nel merito il grande rilievo dell'istituzione della Direzione generale per la promozione del sistema Paese. Attribuisco massima importanza a questo e credo che il presidente Dini sia assolutamente in sintonia con me.
Sottolineerei anche l'«ottimizzazione delle risorse», che il Ministro ci illustrerà. Questo mi sembra un segnale di nuova sensibilità maturata presso la Farnesina per un approccio globale al sostegno delle eccellenze italiane in campo commerciale e produttivo. Sono lieto che si prefiguri la struttura amministrativa che dovrebbe accogliere nel suo seno anche l'ICE, come previsto dalla proposta di legge di cui sono primo firmatario e che è all'ordine del giorno della Commissione Attività produttive.
Do quindi la parola al Ministro degli affari esteri, Franco Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente Stefani e presidente Dini, grazie a tutti voi per l'attenzione a queste mie riflessioni, che presentano la riforma del Ministero degli esteri. Come ricordato, ho ritenuto indispensabile essere presente a presentarne a voi le linee guida. Non c'è bisogno che sottolinei a queste Commissioni riunite che evidentemente anche la nozione di politica estera sta profondamente cambiando, è profondamente cambiata. Esistono sfide ormai transnazionali, che fino a pochi decenni o forse anni fa erano sfide da affrontare solo a livello nazionale e che oggi si possono affrontare solamente attraverso una collaborazione internazionale forte e continuativa.
Sta cambiando anche il concetto di governance globale. Abbiamo assistito all'evoluzione dei vari sistemi di governance dal G8 al G20, all'emergere di Paesi che erano considerati soltanto grandi potenze economiche e ora sono attori politici globali (Cina, India, grandi potenze dell'America latina).
Questo impone non solo all'Italia, ma a tutti gli altri Paesi che si erano formati nel sistema tradizionale delle passate strategie di politica estera di adattare e affinare gli strumenti a disposizione. Potrei dire che


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cambia anche il ruolo dei Ministri degli esteri. Lo abbiamo visto in Europa, e all'interno di ogni struttura statale il Ministro degli esteri non è più solo il portatore di messaggi o di posizioni in alcune aree ben definite, ma rappresenta la voce di un Paese inserita in un meccanismo di governance che ormai segue il metodo di un multilateralismo efficace, che stiamo anche cercando di migliorare e di riformare.
Molte azioni di politica internazionale in Europa non sono più viste in termini di politica «esterna», ma, se l'Europa deve parlare con una voce sola, le azioni che ogni Paese pone in essere all'interno del quadro europeo costituiscono un tassello per poi parlare tutti insieme all'esterno. Anche in questo stiamo cambiando molto e certamente i temi che giustificano la riforma si ricollegano proprio a questo cambiamento di scenario, su cui ho voluto spendere qualche breve riflessione.
Indico solo i titoli, che voi ovviamente conoscete assai bene. Il concetto di sicurezza globale è ormai assolutamente orizzontale. Il tema della sicurezza globale non è soltanto il terrorismo, ma è il tema che valuta gli impatti dei cambiamenti climatici, i grandi flussi migratori di massa a livello intraregionale ed extraregionale, è la nuova caratteristica transnazionale di tutte le forme di criminalità organizzata, come incidono le crisi economiche sulla stabilità dei Paesi e dei continenti. Tutto questo è sicurezza globale, un concetto molto più ampio di quello di cui si parlava fino a pochi anni fa.
Nessuno oggi sviluppa più il tema della sicurezza energetica senza coniugarlo con le politiche ambientali, ed è evidentemente lo stesso per la stabilizzazione e le politiche di sicurezza nelle aree di crisi. Prima si pensava che solamente il ricorso allo strumento militare o di sicurezza fosse idoneo al risultato. Abbiamo imparato delle lezioni, le stiamo imparando in Afghanistan, e abbiamo cambiato una policy che diventa ormai un quadro onnicomprensivo in cui prevale la strategia politica, e quella di sicurezza e difesa è lo strumento per arrivare al consolidamento di istituzioni vicine a quello che consideriamo l'obiettivo di un moderno Stato democratico.
In questo entrano nuovi concetti, che non c'erano fino a poco tempo fa, ovvero quale sia il ruolo degli Stati e degli enti sovranazionali di protezione e di prevenzione. Le crisi si prevengono e la reazione è tanto più efficace quanto più vi è stata una politica di prevenzione. Questo vale per il nuovo ruolo delle Nazioni Unite, che pensiamo debba esservi, per la promozione di uno Stato di diritto e delle grandi libertà. Penso alla libertà religiosa minacciata ormai in molti Paesi del mondo, penso anzitutto alla libertà dei cristiani ma non solo, ma certamente i diritti delle minoranze, i diritti delle categorie più vulnerabili (donne e bambini) sono concetti che stanno entrando in questa responsibility to protect, quindi in un nuovo impegno che le organizzazioni internazionali stanno assumendo.
Il Ministero degli esteri italiano si è mosso in una dimensione europea e ha valutato, tra le altre, la riforma francese, quella britannica, quella in corso in Germania. I Ministeri degli esteri nei Paesi più vicini a noi stanno affidando e modernizzando i loro strumenti. Ecco quindi la riorganizzazione del Ministero degli esteri che, attraverso uno schema di decreto del Presidente della Repubblica, è stata esaminata in via preliminare e sottoposta al Consiglio di Stato, che ha reso un parere positivo, con alcune richieste di integrazione che verranno recepite nella versione definitiva e che ora è all'esame delle Commissioni parlamentari.
Ribadisco l'intenzione di assumere il provvedimento definitivo come il risultato di un processo di consultazione, che ho avviato con le organizzazioni sindacali all'interno del Ministero degli esteri, che ho proseguito con l'assunzione del parere del Consiglio di stato e che oggi vede nell'esame parlamentare un passaggio assolutamente cruciale.
I tre pilastri di questo sistema di riforma, che permetterà un nuovo modo di porsi dell'Italia sulla scena internazionale, sono la sicurezza, nel senso politico internazionale


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del termine, la dimensione europea e la centralità del sistema Paese nell'azione di politica internazionale. Il primo pilastro permette di includere nella nostra riflessione tematiche come l'analisi dei fattori che conducono al terrorismo internazionale o le strategie di proliferazione nucleare ovvero l'impatto della politica estera sulla povertà e sullo sviluppo, i temi legati alla sicurezza energetica, la stabilità del sistema economico-finanziario come fattore che può condurre alla stabilità o alla instabilità, tutti elementi che entrano nel pilastro che ho definito di sicurezza globale, che sarà uno dei punti fermi in cui il nuovo Ministero si articolerà.
Credo moltissimo in questo primo pilastro, perché richiede un approccio comprensivo che tenga conto di tutti questi fattori, a loro volta interconnessi l'uno con l'altro. Lo scorso anno, la Presidenza italiana del G8 organizzò una conferenza sui cosiddetti «fattori destabilizzanti» nell'attuale scenario internazionale, e invitammo a partecipare attori politico-istituzionali, attori economici, attori sociali. Il risultato fece emergere l'interconnessione, che quindi giustifica la rilevanza affinché uno dei tre pilastri della nuova organizzazione si dedichi all'analisi di questo aspetto.
Il secondo pilastro non può che essere la dimensione europea, che resta la prima delle priorità politiche assolute, perché oggi più che mai nessun Paese europeo, per quanto grande e forte, può da solo, o creando anacronistici assi bilaterali o multilaterali, fare la differenza. Solamente un'azione dell'Europa permette all'Europa di avere voce sulla politica internazionale.
La settimana scorsa, ho accompagnato il Capo dello Stato a Bruxelles e questo è il messaggio che da lui è venuto, messaggio in cui non solo ci riconosciamo con forza, ma che siamo impegnati politicamente a realizzare, a cominciare da come attuare il Trattato di Lisbona permettendogli di funzionare.
Il Trattato di Lisbona ha creato innovazioni di cui cominciamo a renderci conto nelle fasi applicative: il Consiglio affari generali e il Consiglio esteri totalmente divisi, la partecipazione al Consiglio europeo dei soli Capi di Stato e di Governo e non più dei Ministri degli esteri, il ruolo dell'Alto rappresentante, su cui stiamo lavorando, il servizio diplomatico, tutte azioni su cui l'ancoraggio europeo crea per tutti i Paesi membri, e quindi ovviamente per l'Italia, le condizioni per essere più forti, non più deboli.
Il terzo pilastro della linea strategica di riforma è quello di comprendere che in una globalizzazione dei mercati, che va governata e non può essere subìta, occorre un approccio di sistema. Parlare di sistema Italia significa quindi promuovere all'estero le diverse componenti del mondo economico finanziario, ma anche in modo assai più strutturato della componente del mondo culturale dell'Italia. In materia di promozione e diffusione dei valori della cultura, dell'arte, della scienza, l'Italia ha le carte in regola per essere davvero in prima linea sulla scena internazionale.
Nel sistema Italia, cultura, scienza e valori dell'arte devono essere intrinsecamente legati alla promozione dell'impresa, dell'economia, della capacità del made in Italy di essere attore nel mondo. Ecco quindi il coordinamento per posizionare il nostro Paese sulla scena internazionale per la promozione dell'impresa, ma anche della cultura. Questo vuol dire superare quei compartimenti stagni, che avevano portato fino ad oggi anche nella struttura del Ministero ad avere direzioni separate: una per la cooperazione economica multilaterale, l'altra per la promozione e la cooperazione culturale. Questo mal si concilia con l'idea del sistema Italia.
Ferme queste tre grandi priorità strategiche, il contenuto del riassetto organizzativo deve rispondere a una domanda crescente di governance, di gestione integrata di fenomeni che sono globali, quindi non possono essere gestiti a compartimenti stagni, di un sostegno coordinato della nostra proiezione esterna nazionale, di tutte le componenti che fanno dell'Italia un sistema di cui dobbiamo essere orgogliosi.
Abbandoniamo quindi la struttura tradizionale delle direzioni generali geografiche,


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che avevano segnato il tempo della precedente riforma, mentre nell'attuale contesto internazionale la settorialità geografica deve essere invece articolata in una diversa matrice, fondata su un ridotto numero di direzioni generali, che però abbiano competenze per macroaree tematiche. Questa è la prima conseguenza operativa dei tre pilastri. Le grandi macroaree tematiche saranno quindi affari politici e sicurezza per la sicurezza globale, mondializzazione e questioni globali, promozione del sistema Paese, Unione europea.
Oggi, abbiamo due direzioni generali che si occupano di Europa, una dell'integrazione europea, l'altra dei Paesi europei intendendo il continente geografico anche al di là dell'Unione. Dobbiamo disarticolare questo sistema e guardare a un concetto di Unione europea che è lo strumento politico per poter crescere insieme.
Alle nuove direzioni tematiche si affiancano le due direzioni tematiche già esistenti: quella che riguarda gli italiani all'estero e le politiche migratorie e quella per la cooperazione allo sviluppo. Ogni direttore generale in questa struttura sarà portatore di una visione globale, che sarà però articolata, all'interno di ciascuna direzione generale, in visioni settoriali interne alla direzione generale, affidate a vice direttori generali direttori centrali.
I direttori centrali saranno il punto di forza della nuova struttura organizzativa del Ministero perché saranno largamente autonomi, riceveranno le deleghe dal ministro, non saranno dipendenti del direttore generale, ma saranno autonomi nell'attività quotidiana e ovviamente soggetti al coordinamento del direttore generale nella trattazione delle materie sistemiche.
La catena di comando quindi sarà semplificata: coordinamento per la macroarea tematica, autonomia per ciascuna delle sottoaree compresa nella macroarea tematica. Con i direttori centrali potremo finalmente valorizzare le professionalità medio-alte più giovani, che oggi sono formate da ministri plenipotenziari giovani che non trovano una via di sbocco verso l'alto, perché la via di sbocco è il direttore generale e i direttori generali sono troppo pochi per garantire un autonomo esercizio di capacità manageriali. I direttori centrali saranno molti di più e la loro autonomia permetterà di garantire a giovani funzionari di livello medio-alto di crescere e di assumersi delle responsabilità importanti.
All'interno del compito dei direttori centrali vi saranno le componenti bilaterali o geografiche, quelle componenti che non sono più il pilastro di primo livello della struttura del Ministero, ma sono il secondo livello, perché all'interno di una macroarea vi saranno componenti geografiche che sopravvivranno, affidate a un direttore centrale vicedirettore generale.
Il direttore generale per gli affari politici e la sicurezza avrà una sorta di competenza primaria, perché trasversale su tutte le questioni di natura politico-strategica e di sicurezza internazionale. Questo assetto non cancella la componente geografica, ma la inserisce nell'ambito di macroaree che potranno così essere meglio coordinate tra loro.
Le macroaree saranno coordinate come accade attualmente dalla segretaria generale e dal segretario generale. Ci sarà però anche - ulteriore novità di non poco conto - un nuovo ruolo per il Consiglio di amministrazione, che ha oggi una composizione pletorica. Come vedrete dal provvedimento, intendiamo snellirlo nella sua composizione e attribuire al Consiglio di amministrazione un ruolo di consulenza e di assistenza strategica non solo per il coordinamento tra le materie strettamente di sua competenza, che sono indicate nel provvedimento. Il Ministro degli esteri potrà ascoltare il Consiglio di amministrazione qualora lo ritenga necessario, anche oltre la stretta funzione stabilita dal decreto presidenziale che stiamo proponendo.
Avremo poi una per rivisitazione delle gestioni delle risorse finanziarie e umane: una Direzione generale per le risorse e l'innovazione, per cui accorperemo strutture esistenti, e una Direzione generale per l'amministrazione, l'informatica e le comunicazioni. Avremo quindi due strutture di coordinamento delle risorse, mentre oggi vari organismi si occupano di gestione


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delle risorse, alcune sono unità, altre sono direzioni generali. Sottolineo il ruolo della Direzione per l'amministrazione, l'informatica e le comunicazioni, perché avrà il compito specifico di diffondere l'impiego delle nuove tecnologie a tutta la rete del Ministero degli esteri. Stiamo infatti varando esperimenti pilota ad esempio di consolati digitali, per cui le nuove tecnologie dovranno diffondersi rapidamente su tutta la rete.
Consideriamo necessario avere un coordinamento centrale per l'autonomia gestionale e finanziaria delle sedi all'estero, altra grandissima novità che stiamo realizzando con questo disegno.
Questo disegno di innovazione e di misure di efficienza è molto articolato. Come ha detto il presidente Stefani, stiamo lavorando sull'ottimizzazione delle risorse che abbiamo a disposizione. Sono stato sin dal primo momento fautore della grande riforma che abbiamo realizzato grazie a voi, grazie a una normativa già entrata in vigore, che attribuisce a ogni sede diplomatica autonomia gestionale e finanziaria.
Ogni ambasciatore ha già un budget di spesa da gestire, di cui rispondere. Abbiamo abolito quei passaggi complicati, che moltiplicavano i capitoli di spesa per ciascuna ambasciata, facendo derivare tutto dal centro, cioè da Roma, mentre oggi il capitolo verrà gestito esclusivamente sotto la responsabilità gestionale dell'ambasciatore. Questo è il sistema Farnesina per quanto riguarda la gestione delle risorse.
Grazie ancora al Parlamento, abbiamo introdotto una norma di legge che permette cinque anni di reclutamento del personale diplomatico senza andare ogni anno a una leggina. Avremo cinque anni di programmazione delle assunzioni perché il servizio diplomatico europeo chiederà a ciascun Paese membro l'invio di funzionari diplomatici preparati per assumere le responsabilità e non potevamo dipendere dalla leggina annuale che sfuggiva a questo disegno programmatorio. Il Parlamento ha condiviso questo punto di vista e quindi abbiamo oggi anche di fronte all'Europa le carte in regola per tale programmazione.
Queste sono le linee guida di una riforma che dobbiamo oggi valorizzare, che non si esaurisce nel provvedimento all'esame delle Commissioni parlamentari, ma è l'inizio di un cambiamento governato dalle nuove esigenze di un mondo che cambia (cambiamento che dovrà essere flessibile) e soprattutto da una dinamica di adattamento a esigenze che fino a pochi anni fa non erano prevedibili.
La riforma del 2000 non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto negli ultimi dieci anni, ma oggi non possiamo permetterci di realizzare una riforma ogni cinque anni. Dobbiamo introdurre un sistema capace di evolversi senza cambiare ogni volta la legge: questo è l'obiettivo su cui chiediamo un consenso ampio e una discussione che porti a una decisione politica dinanzi al Parlamento.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
Poiché i senatori devono essere in Aula alle ore 15, darei prima loro la parola.

CLAUDIO MICHELONI. Sarò molto breve, perché credo che una tematica così importante necessiti di altri momenti di confronto, in quanto dobbiamo approfondire le importanti considerazioni del Ministro.
Vorrei rilevare un aspetto che mi sorprende nel discorso generale del Ministro. Da anni difendo una visione da gestione familiare del Ministero degli esteri, argomentando che il Ministero degli affari esteri italiano ha una missione in più degli altri Ministeri degli affari esteri di altri Paesi europei. Ha la missione generale di promozione del sistema Paese, di tutti i punti rilevati dal Ministro, ma c'è l'altro binario delle nostre comunità nel mondo, una seconda missione che trovo assente nel discorso generale.
Rimane la Direzione generale per gli italiani all'estero, fatto che dà l'impressione che queste comunità italiane all'estero


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siano ancora viste come riserve indiane, che un giorno finiranno per sparire per morte naturale o per allontanamento dalla nostra realtà. Ritengo invece che queste comunità siano un elemento importante della politica estera italiana.
Quando infatti parliamo di mondializzazione del sistema Paese, del made in Italy nel mondo e ci vantiamo del fatto che i nostri prodotti si trovino in qualsiasi Paese del mondo, potremmo pensare che questo sia l'esito di una decennale politica di promozione dell'Italia nel mondo, mentre credo invece che la presenza dei prodotti italiani nel mondo sia dovuta alla presenza degli italiani nel mondo, che hanno aperto mercati importanti. Questo è stato fatto indipendentemente o malgrado le politiche italiane. In un momento come questo dovremmo capire come integrare questa reale risorsa degli italiani all'estero, che qui trovo completamente assente, come anche il discorso della nostra rete all'estero.
Abbiamo all'unanimità votato le poche modifiche che il Ministro ha ricordato per la gestione economica, ma nel momento in cui ci viene presentato questo progetto di decreto stiamo vivendo una situazione completamente paradossale sulla ristrutturazione dei servizi consolari all'estero, che definii con una parola non molto elegante che vorrei evitare di ripetere. Si sta infatti affrontando la distruzione di una rete che vive una contraddizione di fondo. Il Ministro ci ha infatti ricordato i consolati digitali, che considero un grosso passo avanti.
Come Commissioni ci siamo recati a Bruxelles e abbiamo visto qualcosa che deve essere ancora perfezionata in quanto complessa, ma è sicuramente la direzione nella quale dobbiamo andare. Queste soluzioni tecniche, questa innovazione porterebbero a rispondere ai bisogni delle nostre comunità all'estero, ma nello stesso momento ci viene presentata una serie di chiusure di piccoli uffici, che invece dovrebbero essere valorizzati grazie al consolato digitale, che ci permetterebbe di avere una rete molto più diffusa, molto più presente e in grado di rispondere ai bisogni delle comunità italiane.
Avremmo bisogno di approfondire maggiormente altri punti sui quali non intervengo, ma che meritano di essere sviluppati, ma vorrei chiederle se queste due cose possano camminare in modo indipendente, se sia possibile presentarci qui una riforma giusta, importante, sulla quale lavorare e riflettere, del Ministero degli affari esteri e nello stesso momento non ascoltare le proposte che portano a una gestione delle economie del Ministero degli affari esteri.
Dalle nostre comunità all'estero non provengono richieste assistenziali che costano, ma al contrario proposte che portano anche a una gestione economica, a una riduzione dei costi della nostra rete e a una vera presenza dell'Italia nel mondo per il sistema Paese, per il made in Italy. Le chiedo quindi, signor Ministro, se consideri più opportuno fare queste due cose separatamente o fermare la distruzione/destrutturazione della rete consolare ora esistente e discuterne insieme a questa riforma.

FRANCO NARDUCCI. Ringrazio il Ministro per aver presentato in modo molto efficace alcune visioni chiaramente condivise anche dal nostro Gruppo, basti pensare, in una visione spesso monocratica, al Cancelliere tedesco e al Presidente americano che si sostituiscono ai loro ministri degli affari esteri.
Vorrei però sottolineare un aspetto che mi sta molto a cuore, perché credo che in questa visione della riforma del Ministero, con la riduzione da tredici a otto delle direzioni generali per la realizzazione di questi obiettivi strategici, alcuni aspetti appaiano non condivisibili al mio Guppo parlamentare. Una di queste riguarda la Direzione per la promozione e la cooperazione culturale.
C'è la convinzione che sia assolutamente necessario un ripensamento in termini di qualità e di efficienza del modo in cui l'Italia propone il proprio modello culturale. Secondo l'UNESCO, siamo il


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Paese con il più consistente patrimonio culturale al mondo. Tutti i Paesi con un rilevante patrimonio culturale, quali Spagna, Francia, Germania, Regno Unito puntano, come strategia a una integrazione con il proprio sistema Paese. Nel momento in cui la Francia sta attuando una riforma straordinariamente ambiziosa per i propri istituti di cultura, la perdita di una direzione generale autonoma in questo settore rischia di incidere negativamente sulla promozione della lingua e del patrimonio culturale italiano nel mondo.
Ci preoccupiamo per i possibili riflessi di questo sul turismo culturale, fonte straordinaria per il nostro Paese in un momento in cui stiamo perdendo posizioni. Con l'inglobamento di questa direzione generale in un'altra corriamo il pericolo - mi aspetto una risposta da lei, che possiede gli strumenti per giudicare - che la cultura italiana divenga strumentale soprattutto alle attività di promozione commerciale. Gli istituti italiani di cultura potrebbero infatti finire a occuparsi di fiere commerciali, di valutazioni del commercio degli armamenti, perché c'è una perdita anche di questo aspetto così fondamentale per l'Italia anche all'interno del Ministro degli affari esteri.
Questo è un argomento che lei spesso ha affrontato anche nel Consiglio generale degli italiani all'estero, venendo molto ascoltato dai rappresentanti delle comunità italiane nel mondo, e sappiamo quando le sta a cuore, ma dovremmo riformare oltre al MAE anche alcune leggi, alcuni modelli di proposizione del nostro Paese come quello degli istituti italiani di cultura, della legge n.153 che è del 1971, e non c'è una volontà di mettere mano a queste riforme.
Ritengo importante che la Direzione generale degli italiani all'estero rimanga così, però sul tema cultura, dal grande convegno di Montecatini organizzato dal Ministero degli affari esteri, che fu veramente un'assise mondiale su questi temi, abbiamo sempre detto che occorre un centro unico di coordinamento, nella visione che le comunità italiane all'estero non sono più la riserva indiana di cui parlava il senatore Micheloni, ma sono parte di questo mondo che ormai è un villaggio globale. In base a una stima non eccessiva, si tratta di 60 milioni di cittadini di origine italiana, che sul fronte della promozione della lingua e della cultura italiana non possono essere considerati come qualcosa a parte.
Poiché si sta mettendo mano a una riforma e ci sono proposte di legge in Parlamento, si deve avere il coraggio di creare un centro unico di coordinamento per la promozione della lingua e della cultura italiana.

FRANCESCO TEMPESTINI. Abbiamo ascoltato e per molti versi apprezzato la sua relazione. La considerazione preliminare è che naturalmente qualunque riorganizzazione di organizzazioni complesse come il Ministero degli esteri contiene un margine di rischio. Quando si affrontano problematiche di questo tipo e si cerca con oggettiva determinazione di affrontare un cambiamento, questo comporta mettere nel conto un rischio.
Voi ci proponete una struttura innovativa rispetto alla precedente con molte ragioni che noi condividiamo: il passaggio dalle aree geografiche a quelle tematiche con tutta una nuova catena di comando. Le confesso che impressiona sentir dire che le deleghe che il Ministro, e quindi lei in questo caso, si prepara a dare una volta avviata questa riorganizzazione saranno date innanzitutto a questi direttori centrali. Si tratta quindi di una forte riorganizzazione, che innova radicalmente la catena di comando. Nella rete prevarranno le tre aree tematiche, che non si possono che condividere.
Vorrei sapere però come si possa prevedere un aggiustamento in corsa, come ad esempio si muoverà questa nuova macchina dinanzi alla problematica Cina, che entra nel contesto dell'area globalizzazione, nel momento in cui si determinassero forti emergenze politiche.
La seconda questione riguarda il contesto. Lei si è dilungato sul tema della cornice, su cui le vorrei porre tre questioni. La riorganizzazione del Ministero si


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pone di fronte a un'oggettiva necessità - lo leggiamo sui giornali e nell'attività parlamentare ce ne rendiamo conto ogni giorno - di coordinamento interno, coordinamento tra Ministero degli esteri e gli altri ministeri, tra la politica estera che fa il Ministero degli esteri e quella che fa la Presidenza del Consiglio. Non è un fenomeno italiano, ma un fenomeno europeo, mondiale, un privilegio delle strutture monocratiche anche nel campo della politica estera.
C'è poi il tema nuovo del rapporto di questa nuova riorganizzazione con il servizio diplomatico europeo, tema che esula dalla discussione di oggi. Abbiamo dato il nostro contributo a una soluzione della questione per quanto riguarda il reclutamento di nuovo personale, uscendo dalla mannaia della leggina annuale, ma vorremmo capire come il Ministero e il Governo pensino che questi due momenti, l'uno in via di creazione e l'altro in via di profonda riorganizzazione, potranno avere le giuste sinergie.
La terza questione esula in parte da questo contesto. Purtroppo, nel corso di queste settimane, una serie di informazioni diffuse dalla stampa e corroborate da indagini della Magistratura ha evidenziato il rischio di permeabilità di alcune strutture che riguardano il Ministero degli esteri rispetto a fenomeni evidenziati nella campagna elettorale scorsa, che pongono una serie di questioni e di interrogativi. Vorremmo quindi sapere se il Ministero abbia avviato una riflessione, se sia opportuno correggere qualcosa o si tratti di fenomeni circoscritti.
Esprimiamo ampia disponibilità a continuare questo confronto, apprezzamento e apertura per il tentativo, che ci auguriamo coronato dal successo, di un'operazione in linea con i tempi e con l'evoluzione della governance delle politiche internazionali, disponibilità e attenzione per far sì che questi processi di aggiustamento e di avvio siano gestiti, come in questo caso, in un rapporto di condivisione e di informazione reciproca.

GUGLIELMO PICCHI. Apprezzo le linee della riorganizzazione del Ministero da lei esposte ma vorrei farle alcuni piccoli appunti, che spero possano divenire utili spunti di riflessione.
La riorganizzazione deve essere anche implementata da risorse formate per seguirla. Non è un mistero che non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi europei c'è la necessità di formare in maniera diversa il corpo diplomatico. Per implementare questo tipo di riorganizzazione, quindi, sono necessarie persone che siano all'altezza del compito, altrimenti, pur attuando una bellissima riorganizzazione tematica, se le persone non sono in grado di portarla avanti, si rischia di ricadere de facto nella situazione precedente.
Sebbene la riorganizzazione delle direzioni centrali sia innovativa e assolutamente apprezzabile, è necessario evitare di farne troppe, altrimenti togliamo le direzioni generali, ma si sostituiscono con un elevato numero di direttori centrali, che, dipendendo direttamente con le deleghe da lei, di essere di fatto direttori generali, pur non definendosi tali.
Apprezzo l'approccio «olistico» di affrontare in maniera onnicomprensiva determinate tematiche. Lasciare la riserva indiana degli italiani all'estero significa non dare la risposta al problema. Rischiamo di portarci ancora avanti nel tempo questa riserva indiana senza trovare una collocazione della Direzione generale per gli italiani all'estero nell'approccio sistemico alla promozione del Paese.
Sarebbe più opportuno trovare una collocazione all'interno, che renda anche questa direzione generale coprotagonista in modi e forme da individuare piuttosto che lasciare una riserva indiana che si occupa solo di alcuni problemi, magari residuali, delle comunità all'estero, lasciando completamente scoordinate le possibilità di promuovere lingua, cultura, scienza, arte. Considero quindi necessario identificare una soluzione, che permetta di integrarli in questo approccio olistico.


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GIANNI VERNETTI. Ringrazio il Ministro, condividendo l'impianto generale di questo schema di riforma, coerente anche con scelte adottate da altri importanti Paesi europei. Mi pare che risponda a esigenze sia di razionalizzazione che di efficienza. Ci sarà tempo per tornare nel dettaglio del progetto di riforma, ma vorrei avanzare una richiesta di chiarimento sull'incrocio fra residue competenze geografiche suddivise e le due grandi macroaree.
Condivido le due grandi direzioni generali e le competenze ad esse attribuite, la prima per gli affari politici e di sicurezza e la seconda sulle grandi questioni globali, ma mi pare che al loro interno permanga una sorta di specializzazione. La prima, la Direzione generale per gli affari politici e di sicurezza, appare ancora maggiormente competente nei rapporti bilaterali con una parte del mondo (Nord America, Europa non comunitaria, Federazione russa, Medio Oriente), mentre la Direzione generale sulla globalizzazione conserva ancora competenze, anche qui non esclusive, con i grandi mercati emergenti.
Mi fa piacere constatare l'inclusione dell'Africa subsahariana in questo, perché, coerentemente con le riflessioni svolte oggi, in sede di audizione informale, con il direttore generale Morabito, comprendiamo come l'Africa sia il luogo non più delle crisi e dell'emergenza, ma di nuove grandi opportunità economiche non soltanto per i cinesi ma anche per le nostre imprese.
Vorrei però capire come queste residue competenze geografiche, per quanto non esclusive, incrocino con le grandi macroaree tematiche, perché è evidente che le grandi questioni di sicurezza possono coinvolgere anche direttamente parti dell'Africa, dell'Asia. Oggi, la Cina è un grande soggetto dell'economia mondiale, ma sempre di più un Paese che si sta affermando sulla scena come soggetto politico, forse l'unico Paese che esercita una politica «di potenza», se pensiamo all'aggressività nel continente africano. Si tratta quindi di materia squisitamente politica, oltre che geoeconomica.

MARIO BARBI. Condivido anch'io l'orientamento generale, le scelte di fondo che ispirano la riorganizzazione del Ministero, l'idea quindi di passare dalla distribuzione geografica delle competenze a un diverso concetto delle priorità e del modo di gestire i grandi temi di politica estera, e la semplificazione che ne deriva poi nell'impianto organizzativo e nella catena di comando, quindi nell'efficienza sul piano della direzione effettiva e della capacità di azione complessiva dello strumento.
Come già rilevato dall'onorevole Vernetti, però, questo passaggio dalle competenze geografiche ai due grandi pilastri, politica e questioni globali - sembra però prevalente l'economia in questa concettualizzazione -, lascia aperte questioni non di poco conto, sulle quali il Ministro potrà forse delucidarci in sede di replica.
L'organizzazione precedente aveva un suo senso, perché politica multilaterale e cooperazione economica e finanziaria multilaterale avevano il pregio di definire con grande chiarezza i campi di azione delle precedenti direzioni generali, mentre ora ci troviamo dinanzi a una sovrapposizione di questi due ambiti bilaterale e multilaterale, secondo una diversa organizzazione concettuale, che però pone qualche problema.
Il caso della Cina mi sembra tra i più interessanti, perché forse è l'unico Paese in cui economia e politica si fanno insieme senza distinzione alcuna, e la politica è al servizio dell'economia e l'economia al servizio della politica. Nel trattare con loro, se ci muoviamo secondo le nostre categorie, forse abbiamo il passo più corto. È quindi necessario riflettere sulle conseguenze di alcune scelte. Su questo punto, quindi, sarebbe utile un ulteriore approfondimento.
Considero molto apprezzabile la semplificazione del Consiglio di amministrazione, che effettivamente si snellisce, ma mi sembra di intravedere il rischio di agire


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in controtendenza rispetto all'idea di semplificare e accorciare per quanto riguarda la questione dei direttori centrali. Lei ha addotto argomenti quali la valorizzazione di competenze e di aspettative di carriera, aspetti che naturalmente hanno un loro valore, ma quando la delega è diretta e quindi in qualche modo si verifica l'aggiramento del direttore generale al quale queste figure sono ordinamentalmente sottoposte, si rileva qualche rischio di funzionalità nella struttura. Dipenderà certamente dalla misura e da altri fattori, ma questo problema di architettura non può essere accantonato con argomenti di mera opportunità e valorizzazione di aspettative di carriera.
Si può considerare con favore l'idea di organizzare in modo più coeso e coerente la promozione del sistema Italia, ma devo ammettere che la fusione in un'unica struttura o la mancanza di una specifica valorizzazione, di un elemento di distinzione tra il promuovere il sistema Italia con la FIAT e le ceramiche di Sassuolo, ma anche Dante, l'opera lirica, il Rinascimento, con le varie sfilate di moda in cui c'è la fusione del commercio e della cultura come viene mostrato tutte le sere dai telegiornali, rischi di provocare un corto circuito, immaginando che la finalità sia sufficiente a rendere conto di logiche diverse.
Condivido molte delle preoccupazioni espresse dall'onorevole Narducci, perché la cultura e la lingua italiana sono certamente parte del sistema Italia, ma ne costituiscono l'alimento e la condizione, quindi devono essere trattate con speciale attenzione.
L'onorevole Tempestini aveva posto il tema del collegamento di sistema anche dal punto di vista del rapporto con l'Unione europea e l'attuazione del Trattato di Lisbona, che è un'incognita sotto molti profili e prevede adempimenti. Sarebbe pertanto utile una maggiore riflessione per capire in cosa l'applicazione del Trattato di Lisbona riesca ad alleviarci e in cosa invece richieda un ulteriore impegno per quanto riguarda la politica estera. Sul capitolo delle risorse emerge infatti generale insoddisfazione, e credo che anche lei, signor Ministro, non potrà certo dirsi soddisfatto delle risorse delle quali può disporre per la funzione che svolge per conto del nostro Paese.
Anche in relazione a questo, appare fondamentale il coordinamento interno: il rapporto con la Presidenza del Consiglio, con tutte le strutture destinate a essere serventi nella promozione del sistema Italia all'estero. Qualche comitato e qualche strumento di coordinamento in più forse aiuterebbero la riorganizzazione, anche per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, rispetto alla quale spesso in questa Commissione riscontriamo il «buco nero» del rapporto con Ministero dell'economia, che ha un ruolo centrale in questa materia e di cui però non si capiscono le logiche, cosa presieda alle scelte in tutto il canale multilaterale, che peraltro è quantitativamente preminente rispetto al capitolo complessivo.

FABIO PORTA. Desidero esprimere soltanto una valutazione. Per quanto concerne l'impostazione generale esprimo la mia condivisione al nuovo progetto, che mi sembra in linea con i processi di globalizzazione e di integrazione europea.
Come già rilevato, però, emerge chiaramente la presenza di due direzioni che sembrano essere figlie di un dio minore: quella per gli italiani all'estero e quella per la cooperazione allo sviluppo. È sufficiente considerare i ripetuti tagli che hanno riguardato questi due capitoli di spesa storicamente importanti per la nostra politica estera per avere questo timore.
In particolare, per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, poiché il progetto di riforma si limita a rimandare a quanto previsto dalla legge n. 49 del 1987, anche alla luce della fortissima crisi in cui versa questa parte della nostra politica estera, vorrei chiedere al Ministro come venga motivata l'assenza di qualsiasi indicazione in merito ai compiti spettanti alla direzione generale e se il progetto preveda un rafforzamento della struttura della direzione, che è già fortemente sotto organico e con un contingente


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di tecnici e di esperti più esiguo e sempre più anziano.

PIERO FASSINO. Esprimo anch'io apprezzamento per lo sforzo di riforma del Ministero per renderlo sempre più in sintonia con l'evoluzione dello scenario internazionale.
Una mia prima considerazione riguarda il metodo. Cambiare una macchina complessa e difficile come quella del Ministero, che peraltro ogni giorno deve operare, richiede una metodologia per approssimazioni successive. Definito quindi un disegno, considero saggio nella implementazione della riforma avere una flessibile capacità di adeguamento, che per approssimazioni successive ci consenta di realizzare il progetto e al tempo stesso di introdurre gli elementi correttivi che si pongono via via come necessari.
Mi pare che il progetto operi una scelta molto netta: prende atto di come sempre di più la dimensione globale dei processi ci consegni una centralità della multilateralità rispetto alla tradizione della bilateralità. La politica estera è infatti stata a lungo incardinata su relazioni bilaterali perché centrali erano gli Stati, che oggi continuano a essere forti e pregnanti, ma in uno scenario sempre più multilaterale. È quindi necessario mettersi nelle condizioni di gestire la multilateralità. Considero dunque giusto e condivisibile questo approccio di sistema.
Il mio richiamo al metodo delle approssimazioni successive sta proprio nel fatto che però il passaggio da un ministero storicamente abituato a ragionare e ad agire in termini bilaterali a un ministero che sia capace di agire in termini multilaterali non è l'evento di un istante: è un processo che deve essere costruito con la sufficiente flessibilità per tener conto in corso d'opera, fermi restando la bussola e l'orizzonte che vogliamo raggiungere, delle variabili che possono intervenire.
È già stato posto l'esempio di un grande Paese come la Cina, che è ormai un grande soggetto della vita del mondo sotto ogni profilo e non può essere limitato alla dimensione della globalizzazione economica, che certamente è prevalente per quanto riguarda le relazioni italo-cinesi, perché la Cina è un grande attore della politica su ogni dossier, a partire dall'Iran dove sta cercando di svolgere un ruolo.
Il criterio di assegnazione delle responsabilità geografiche, che viene ricondotto alla prevalenza dei caratteri multilaterali politici, economici o culturali, deve essere gestito flessibilmente, giacché per i grandi Paesi emergenti (Cina, Brasile, India) appare più complicato, perché essi devono essere assunti come interlocutori sotto ogni profilo e non soltanto sotto un profilo prevalente. Rilevo quindi un'obiettiva difficoltà, che non è definibile a tavolino, ma è assegnata a una capacità di gestione nell'implementazione.
Condivido anche l'idea di fare uno sforzo per proporre l'Italia come sistema nella sua globale articolazione. Questo è sempre stato il punto di debolezza dell'Italia, Paese che ha una delle sue principali fragilità nel basso tasso sistemico che è in grado di esprimere e di offrire per ragioni di natura strutturale. Il fatto che il 95 per cento delle imprese italiane abbia meno di trenta dipendenti le rende, fin dalla loro nascita, nella loro conduzione spesso fortemente legate alla famiglia che le gestisce e fondate sulla cultura del far da sé, e far fare sistema a imprese di quelle dimensioni è molto complicato. Lo affermo per esperienza, avendo cercato di farlo quando ero Ministro del commercio estero.
Fare sistema per l'Italia è più complicato che per altri Paesi, ma è comunque una scelta strategica decisiva, perché nel mondo di oggi si deve essere sistemici. Nell'essere sistema la caratterizzazione culturale del nostro Paese è naturalmente forte, perché siamo in grado di esprimere un profilo di natura storico-culturale e paesaggistico-ambientale che ha una pregnanza superiore a quella di altri Paesi.
Ci chiediamo dunque come nel fare sistema questa dimensione non venga alla fine sacrificata e compressa della sola dimensione economica, punto delicato. Poiché nella tradizione del Ministero la dimensione culturale è già stata considerata


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ancillare anche nella distribuzione delle risorse e nella struttura, la sparizione della direzione generale culturale dentro la logica sistemica, se non ha un forte e chiaro impulso politico, rischia moltissimo, con pregiudizio per questa dimensione fondamentale per il Paese. In alcuni Paesi siamo più conosciuti per la nostra dimensione culturale che economica, quindi da questo punto di vista questo è un aspetto che nei testi che ho fin qui letto non vedo sufficientemente ben risolto.
In termini di riferimento perché probabilmente non si riesce ad affrontare il tema oggi con questo provvedimento, il problema del rapporto tra il Ministero degli esteri, la Presidenza del Consiglio e gli altri ministeri sta diventando acuto. Fino a dieci anni fa, la politica estera veniva fatta ovunque dai Ministeri degli esteri, mentre poi, in virtù del fatto che la globalizzazione è diventata dimensione pregnante di ogni attività, si sono moltiplicati gli attori e i soggetti (non c'è ministro che non faccia politica estera nel suo comparto) e c'è una notevole pregnanza della Presidenza del Consiglio non solo italiana, fino al punto che il nuovo Presidente del Consiglio europeo ha preso una decisione gravida di concrete conseguenze operative, perché riunire i Capi di Governo da soli, senza la per la presenza dei Ministri degli esteri, espone a molti rischi, perché i Presidenti del Consiglio e i Capi di Governo non hanno la conoscenza specifica dei ministri.
Qui emerge quindi un problema molto delicato, che non può essere risolto dal Ministro degli esteri, ma che forse richiede un supplemento di riflessione anche in sede parlamentare fra il Ministero e le nostre Commissioni su come affrontare questo nodo e avanzare proposte.
Emerge infine la questione delle risorse finanziarie. Anch'io ritengo che il processo di riforma sia più o meno credibile in funzione anche delle risorse a sua disposizione, perché, se le risorse sono in calo, è fatale che questo processo di riforma venga poi interpretato semplicemente come un processo per ridurre le spese, a partire dalla riduzione delle direzioni generali.
Supportare questo processo di adeguate risorse è ovviamente nelle corde del Ministro, perché sono altri i ministri che non danno i soldi, per cui avere un impegno forte del Ministro nel suo Governo e noi per la parte che ci compete perché questo processo di riforma sia sostenuto da risorse adeguate è la condizione perché il processo marci.

ROBERTO ANTONIONE. La coraggiosa missione che il Ministro Frattini si è incaricato di esporci oggi per il Ministero degli esteri - ringrazio anche il sottosegretario Scotti per la sua presenza - è una missione di straordinaria importanza per il nostro Paese, ma consentitemi di fare una riflessione anche sul clima di questa Commissione. Poter ascoltare con attenzione, rispetto e passione le considerazioni dei colleghi mi consente di recuperare quello che speravo di trovare più spesso in Parlamento.
Sono quindi lieto di constatare questa atmosfera all'interno della Commissione esteri, perché è importante soprattutto se insieme ci poniamo di fronte alla straordinaria sfida di dare uno strumento più efficiente al nostro Paese per poter agire nella politica estera.
Rivolgo quindi un ringraziamento non formale al Ministro che ha voluto essere presente, perché credo che sarebbe stato più facile, come fanno tanti, non assumersi incarichi straordinari e gestire il contingente. La sfida è grande e noi apprezziamo il tentativo e garantiamo il nostro sostegno.
Il nostro Gruppo condivide assolutamente l'impostazione che lei ha dato al provvedimento che ci ha sottoposto, e quindi non ribadirò espressioni già condivise da altri. Desidero però riflettere su quegli aspetti che forse avrebbero bisogno di trovare una migliore definizione all'interno di questo provvedimento, giacché mi sembrano presenti nelle linee guida. Mi riferisco soprattutto al terzo pilastro, che persegue un tentativo di rendere sistemica


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la nostra azione generale. Considero necessario avere un collegamento migliore con alcuni ministeri.
Condivido quanto rilevato dall'onorevole Fassino in merito all'assenza dei Ministri degli esteri alle riunioni dei Capi di Stato fatte a livello europeo, ma, anche se il Parlamento italiano dovesse affrontarla, si tratta di una decisione presa a livello europeo, quindi non saremo noi a modificarla. Anch'io considero comunque necessaria una riflessione su questo, perché la politica quotidiana viene portata avanti dai Ministri degli esteri.
Al di là del rapporto con la Presidenza del Consiglio, alcuni rapporti dovrebbero essere definiti meglio, in particolare con il Ministero dell'economia, con il Ministero dello sviluppo economico e con il Dipartimento per le politiche europee. Se si intende fare sistema, infatti, alcune questioni dovrebbero rientrare sotto la competenza del Ministero degli esteri, se non in maniera esclusiva, in maniera più efficace.
Per quanto riguarda ad esempio la cooperazione, molti degli attori che stabiliscono come allocare risorse importanti del nostro Paese in organismi internazionali all'interno della cooperazione non sono neanche collegati al Ministero degli esteri. Ci sono organizzazioni internazionali che vedono esperti nominati del nostro Governo, e in particolare dal Ministero dell'economia, che operano scelte che non collegate a quelle che dovrebbero essere fatte insieme al Ministero degli esteri. Credo che il Parlamento potrebbe condividere globalmente l'esigenza che nell'affrontare una riforma del genere il Ministero degli esteri coordini, perché al momento è spesso escluso.
Lo stesso ragionamento dovrebbe essere esteso al commercio estero, in cui l'onorevole Fassino ha più esperienza. Credo che in un ripensamento generale il Ministero degli esteri dovrebbe avere certamente una titolarità maggiore rispetto al Ministero dello sviluppo economico. Anche su questo sarebbe opportuno svolgere una riflessione. Questo vale anche per il Dipartimento per le politiche europee.
Paradossalmente, vedrei meglio un Ministero della cooperazione allo sviluppo, perché sappiamo che esiste un ECOSOC all'interno del quale c'è un ministro della cooperazione allo sviluppo per molti Paesi, noi non lo abbiamo, ma si sa quanto un rango di ministro conti in determinate situazioni. Forse, il Dipartimento per le politiche europee potrebbe trovare una collocazione all'interno del Ministero degli affari esteri. Capisco che aggiungo problemi e sfide a una sfida di per sé grande, però siamo qua per riflettere, quindi mi permetto di dare queste indicazioni.
Sempre in relazione al fare sistema, il Titolo V della Costituzione ha radicalmente ed efficacemente modificato il ruolo delle regioni nella politica internazionale, però è necessario coordinarle meglio, senza uffici «diplomatici» delle regioni e degli enti locali nel mondo. È infatti necessario fare sistema, evitando di disperdere una marea di risorse economiche e di personale, con risultati talvolta addirittura negativi, perché si effettuano spesso azioni in contraddizione.
La ringrazio ancora, signor Ministro, ribadendole la nostra volontà di sostenerla in questa grande sfida complessa, ma ambiziosa, che mi auguro riceva il sostegno di tutto il Parlamento.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Sono davvero molto confortato dal vedere come tutti sentiamo comune questa sfida, come molti di voi l'hanno chiamata. Questa quindi impone un impegno maggiore a me e al Governo, sapendo che c'è una seria volontà politica di tutto il Parlamento, al di là delle distinzioni politiche, di realizzare insieme - questo è l'obiettivo - una buona, innovativa, efficace e flessibile riforma del Ministero. Molti temi sono stati affrontati e non ve ne è uno sul quale non ritenga utile continuare a riflettere, garantendo quindi la mia disponibilità.
Il tema degli italiani all'estero è stato affrontato da molti colleghi. La verità è


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che noi abbiamo pensato che conservare una direzione generale autonoma mentre le altre venivano profondamente ristrutturate volesse significare proprio accentuare la rilevanza, non l'irrilevanza, quindi il contenuto sarà come riempire di forza questa direzione generale.
Se avessimo fatto confluire la Direzione generale per gli italiani all'estero nelle grandi macroaree, ancor più giustamente avreste chiesto che fine avessero fatto le comunità italiane. Avrei potuto rispondere che le comunità italiane nel mondo sono sicurezza, sistema Paese, per cui non c'è bisogno di un'autonoma direzione. Credo che il problema sia come riempire di contenuti questa direzione. Se però vi sono proposte migliori su come far sì che questa direzione generale, rimanendo inalterata o venendo cambiata, possa migliorare ancora di più la rilevanza della forza delle comunità italiane, sono aperto. L'obiettivo era conservarla per darle rilievo, non per ridurlo.
L'altro grande tema è quello della promozione culturale. Come alcuni di voi hanno evidenziato, dobbiamo ammettere che oggi la Direzione generale per la promozione culturale non è una «Cenerentola» rispetto a quella della promozione degli affari economici multilaterali, però è diversa, è separata. Vi è quindi la percezione di due direzioni, in cui vi sono funzionari, direttori generali, vice direttori che si devono confrontare.
Se affermiamo che il sistema Paese è la risultanza della forza dell'Italia in quanto impresa e cultura allo stesso modo, credo che il sistema Paese debba comprendere il capitolo della promozione culturale così come il capitolo della promozione economica. Anche qui il problema è di attuazione.
L'onorevole Fassino chiedeva come si possa evitare la prevalenza del fattore impresa sul fattore cultura, ma questo significa prevedere due direzioni, ma individuare come far funzionare la Direzione generale per la promozione del sistema Paese dando visibilità culturale, ad esempio attraverso la rete degli istituti di cultura nel mondo, in modo che questi non siano i gestori delle fiere o di eventi semplicemente economici. Si tratta però di una questione di contenuto e di implementazione, non di strutturazione.
L'onorevole Narducci ha citato l'esempio del turismo culturale. Tanto è importante il turismo culturale che auspico la fine dell'attuale dualismo che vede occuparsene due direzioni generali, Promozione culturale e Cooperazione economica multilaterale, perché il turismo rientra nella sfera dell'economia, la cultura nella sfera di un'altra direzione. Se vogliamo fare sistema Italia nel turismo culturale, il centro di comando deve essere soltanto uno.
È quindi un problema di come armonizzare e sono assolutamente d'accordo. Nelle parole dell'onorevole Narducci e di molti altri colleghi si esprime però una preoccupazione per la lingua italiana, che personalmente condivido. Dovremmo fare ad esempio un decreto di secondo livello, in quanto il provvedimento all'esame del Parlamento è il decreto che stabilisce l'organizzazione. Potremmo prevedere, per il decreto attuativo di questa riforma, un centro unificato per la promozione della lingua italiana, garantendo al coordinamento sulla promozione della lingua italiana visibilità e specificità all'interno di un sistema Italia fatto di tante cose. Se vogliamo dare priorità visibile alla lingua italiana, che è l'Italia nel mondo, sarei pronto a una riflessione con tutti i colleghi che hanno sollevato il problema, che così mi aiuterebbero.
Altro grande tema è quello di come incrociare le competenze tematiche generali con quelle geografiche. L'onorevole Tempestini ha posto il problema, ma altri colleghi tra i quali l'onorevole Barbi lo hanno confermato. Prendiamo ad esempio la Cina e l'Africa. Questa mattina, l'Africa vi è stata «illustrata» dal direttore generale Morabito, che ha fatto un'eccellente relazione alla Commissione. Africa e Cina non sono più solo attori economici, ma sono attori politici. Oggi il 64 per cento delle materie toccate al Consiglio di sicurezza dell'ONU riguarda l'Africa. Se vi è politicizzazione nel multilaterale, si evidenzia


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soprattutto in quello che si discute all'ONU; e l'Africa occupa praticamente i due terzi delle tematiche onusiane.
Oggi, l'Africa ha tre interlocutori: la direzione Africa ha al suo interno l'Angola, primo produttore africano di petrolio, ma per occuparci dell'Angola noi dobbiamo interloquire con tre direzioni diverse: Cooperazione economica, Cooperazione politica e Cooperazione allo sviluppo. Domani, avremo la direzione multilaterale tematica per la globalizzazione, che farà i conti al suo interno con una direzione centrale Africa, che però, se all'interno dell'Africa ci occuperemo di Angola, sarà la struttura che alimenta innanzitutto il multilaterale globalizzazione; se però si parlerà di Sudan, il Sudan avrà nella direzione centrale Africa un'alimentazione anzitutto della direzione per gli affari politici.
La flessibilità vorrà dire che le direzioni centrali geografiche sono inserite in quella direzione generale che ha prevalenza di tematiche, ma, ove occorra passare all'altra tematica, la direzione centrale geografica sarà servente anche dell'altra, e, se vi saranno due direzioni generali tematiche, una avrà la leadership del dossier e l'altra dovrà collaborare con il dossier. In questo non cambierà molto, perché accade anche ora. Oggi, infatti, la Direzione generale per la cooperazione politica si interessa di Cina prendendo dalla direzione Asia quel che le occorre per parlare di nucleare in Corea del Nord, e dalla Direzione generale cooperazione economica multilaterale quel che le occorre per parlare di interessi economici dell'Italia in Cina e viceversa. L'interscambio continuerà ad esserci, giacché ancora una volta è il tema del funzionamento, ma non il tema della struttura.
L'altro tema importante che molti hanno toccato è il coordinamento con la Presidenza del Consiglio, con altri ministeri e con le regioni. Ho realizzato passi avanti, senza una norma specifica sul coordinamento. Ho chiesto al Presidente del Consiglio di emanare un atto di indirizzo a tutti i ministri, dicendo che il Ministero degli esteri fa la sintesi della posizione Paese su ciascun tema.
Ho poi chiesto ai ministri di settore, quello dello sviluppo economico innanzitutto, di siglare quelli che abbiamo chiamato memoranda of understanding, accordi quadro che prima non c'erano. Il Ministro del turismo e prima il Ministro dello sviluppo economico si sono infatti impegnati a far sì che, mentre resta una dipendenza gerarchica dell'ICE dal Ministero dello sviluppo economico, funzionalmente, nel caso di una missione di sistema comune, le aree di priorità geopolitica siano indicate dal Ministero degli esteri, mentre io non interferiscono nella gestione operativa dell'ICE.
Questo è stato certamente un primo passo rispetto al nulla di alcuni anni fa. All'inizio degli anni 2000 questo accordo non esisteva, e da quindici anni si parla di portare l'ICE sotto il Ministero degli esteri senza mai realizzarlo. Questo tema resta aperto, ma la cosa importante è che ora noi cooperiamo con il Ministero dello sviluppo economico, e sono molto contento di questo progresso.
Con le regioni ancora una volta ho affrontato il tema politicamente. Grazie al forte impegno del sottosegretario Scotti, dal dicembre 2008 abbiamo il primo accordo organico che la Conferenza Stato-regioni ha firmato col Ministro degli esteri. Le regioni si sono impegnate politicamente e l'attuazione deve essere migliorata, seguita, rafforzata, ma c'è per la prima volta un impegno politico a non fare missioni di sistema regionali senza coordinarle con il Ministero degli esteri. Dovrà funzionare sempre meglio, ma almeno questo passo avanti politico c'è.
Non so se occorra fare una legge per stabilire queste cose, ma questi passi avanti dimostrano non solo che io sono consapevole del problema, ma che ogni consiglio di questo Parlamento sarà da me ovviamente raccolto come un contributo molto positivo.
Il tema del coordinamento europeo sollevato dall'onorevole Fassino è un tema cruciale è un tema cruciale perché, a


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differenza di quanto ho detto finora, anche se noi ne fossimo politicamente convinti, è un discorso deciso a livello europeo. Come altri colleghi di altri Paesi europei possiamo esprimere curiosità e disappunto per il fatto che i Ministri degli esteri preparano il Consiglio europeo e continuiamo a farlo senza che nulla sia cambiato, ma non vi partecipiamo al Consiglio europeo. Le possibilità sono due: o i Capi di Governo ratificano quello che hanno fatto i Ministri degli esteri oppure in assenza dei Ministri degli esteri che lo hanno preparato cambiano, sconfessandone l'operato. Finora non è accaduto, ma teoricamente questo potrebbe accadere.
Il Consiglio europeo può assumere sulla politica nucleare iraniana una posizione diversa da quella che pochi giorni prima abbiamo deciso al Consiglio esteri. Ci interrogheremo poi sulle conseguenze, ma questo è un dato di fatto che deriva dal Trattato di Lisbona. L'unico antidoto a questo è far sì che l'Alto rappresentante che siede in Consiglio europeo sia davvero la nostra voce in Consiglio, unico modo per garantire il raccordo.
Anche di fronte a colleghi di tanti altri Paesi sono stato tra i non molti a sostenere che il ruolo dell'attuale Alto rappresentante deve essere rafforzato e non continuamente screditato sulla stampa internazionale, perché dopo aver detto di tutto poi non possiamo pretendere che lei sia la nostra voce. Ritengo che lei debba essere la nostra voce, ma dobbiamo aiutarla a farlo, come l'Italia ha sempre fatto.
Molti colleghi hanno toccato il tema dei direttori centrali. La ragione non è sindacale, ma è una ragione di rispetto profondo per una struttura ministeriale in cui vi sono funzionari giovani e bravissimi che meritano di avere un forte sbocco operativo alla loro carriera e alla loro funzionalità.
Non avrei fatto un buon servizio alla struttura di cui ho la responsabilità, se avessi suggerito di ridurre le direzioni generali, di creare un tappo e di non dare ai direttori centrali, giovani ministri plenipotenziari, la possibilità di assumersi delle responsabilità. Si tratta di una sfida per questi direttori centrali; essere delegati dal ministro vuol dire che dovranno poi rispondere, attraverso un coordinamento generale, alla delega data dal ministro. Credo che i giovani funzionari ministri plenipotenziari che saranno direttori centrali meritino di assumersi queste responsabilità.
L'onorevole Tempestini ha posto un problema molto serio sulle vicende che hanno fatto emergere interrogativi e forse anche sospetti sulla permeabilità della struttura del Ministero. Credo che il Ministero sia una struttura assolutamente sana. Se qualcosa ha funzionato come non avrebbe dovuto - oggi non ragioniamo né sulle intercettazioni né sulle inchieste in corso - evidentemente vi sono gli strumenti. Rispondo in anticipo all'interrogazione di alcuni deputati che questa settimana, o al massimo la prossima, al Consiglio dei ministri sarà proposto il nome del nuovo ambasciatore a Bruxelles.
Proprio perché la struttura è sana, merita di essere considerata come struttura portante, positiva del Paese, al di là di ogni episodio su cui non certo qui potremo interrogarci per fare luce su eventuali inadempienze.
L'ultimo tema che vorrei toccare riguarda il sistema Italia e il coordinamento interno. Ho già detto del Ministero dello sviluppo, del Dipartimento per il turismo e della Presidenza del Consiglio, quindi tocchiamo il tasto del Ministero dell'economia. Il nostro Ministero ha proposto emendamenti, in qualche caso con le perplessità e con i dubbi del Ministero dell'economia; in alcuni di questi casi ho ritenuto di chiedere alle Commissioni di questo Parlamento, anche alla Commissione Bilancio, di esprimersi sul merito, ritenendo che le valutazioni tecniche del Ministero dell'economia non fossero corrette. Ho trovato in alcuni casi un significativo supporto del Parlamento.
Ho però ritenuto che con il Ministero dell'economia si dovesse aprire una riflessione strutturale. Per la prima volta, abbiamo aperto un tavolo di lavoro permanente


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con il Ministero dell'economia e ottenuto significativi risultati in prospettiva.
Abbiamo chiesto che il Ministero degli esteri possa investire le risorse derivanti da proventi interni al Ministero direttamente all'interno della rete, per migliorare ad esempio i servizi. Si tratta ad esempio dei proventi dei visti, che sono il risultato del lavoro dei nostri consolati e che non possono confluire tutti nel calderone generale dell'erario dello Stato. Ritengo infatti che il lavoro dei nostri funzionari - in parte progressivamente crescente è già così - debba essere reinvestito nei servizi consolari.
Ho avviato una forte politica di vendita degli immobili dismessi all'estero. Abbiamo un patrimonio incredibilmente importante, di grande valore, in taluni casi totalmente in disuso. Ho chiesto al Ministero dell'economia che i proventi vengano reinvestiti sulla rete diplomatico-consolare, e sono riuscito per ora a ottenere un affidamento di principio, nel senso che il provento degli immobili venduti potrà essere riutilizzato da noi. Stiamo vendendo un'importante immobili in Lussemburgo e ne metteremo in vendita altri tre in Paesi importanti d'Europa e non europei, vendite con aste che potranno fruttare introiti di alcuni milioni di euro.
Quello della rete all'estero è tema che non rientra nel provvedimento all'esame del Parlamento, ma è oggetto di un lavoro parallelo che il sottosegretario Mantica sta compiendo in modo molto meritevole con le due Camere. L'impegno che lui ha preso e che io prendo è che la ristrutturazione della rete all'estero (innanzitutto dei consolati) sia progressiva, e che alle riduzioni si accompagni una stabilità nella qualità dei servizi erogati. Non vi saranno restrizioni e riduzioni se non graduali e quando i servizi erogati alle comunità potranno essere inalterati.
Non potete infatti immaginare che io rinunci a un piano di razionalizzazione globale della rete, ma neppure che questo provochi una riduzione qualitativa del servizio che la nostra rete presta agli aventi diritto. Su queste due questioni parallele il sottosegretario Mantica sta lavorando e su di esse avete il mio impegno: tale obiettivo ispirerà questo esercizio che ha certamente un collegamento con la riforma.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro degli affari esteri e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

III Commissione (Affari esteri e comunitari)

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