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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III Camera e 3a Senato)
15.
Mercoledì 14 aprile 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Comunicazioni del Governo sulle vicende legate allo stato di detenzione in Afghanistan di tre connazionali:

Stefani Stefano, Presidente ... 3 7 10 11 14 18 22 23 26
Antonione Roberto (PdL) ... 11 12
Bonino Emma (PD) ... 7
Cabras Antonello (PD) ... 12
Colombo Furio (PD) ... 11 16 18 24
Corsini Paolo (PD) ... 19
D'Antona Olga (PD) ... 13
Evangelisti Fabio (IdV) ... 18
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 23 24
Maritati Alberto (PD) ... 22
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 20
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 15
Pedica Stefano (IdV) ... 10
Perduca Marco (PD) ... 22
Rubinato Simonetta (PD) ... 22
Tempestini Francesco (PD) ... 8
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 13
Zacchera Marco (PdL) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 14 aprile 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sulle vicende legate allo stato di detenzione in Afghanistan di tre connazionali.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Governo sulle vicende legate allo stato di detenzione in Afghanistan di tre connazionali.
Saluto il presidente e i colleghi della Commissione esteri del Senato.
Prima di iniziare desidero sottolineare, anche se non ce n'è bisogno, la sensibilità istituzionale del Ministro Frattini, che ha prontamente inteso riferire al Parlamento in merito a un caso di estrema delicatezza, che ha suscitato viva preoccupazione, anche in relazione al consistente impegno dell'Italia per la stabilizzazione dell'Afghanistan.
Per il momento ho iscritti a parlare colleghi dell'opposizione; eventualmente se si iscrivono anche colleghi della maggioranza possiamo procedere con una certa alternanza.
Do la parola al Ministro Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Presidente Stefani, presidente Dini, ho risposto con immediatezza all'invito del Parlamento a riferire sulle prime fasi di questa vicenda, che coinvolge tre connazionali. Non mi limiterò a fornire soltanto degli aggiornamenti sulla vicenda, ma cercherò di fare una ricostruzione più articolata possibile dei vari passaggi e poi di indicare quali siano i passi già compiuti dal Governo e quelli che il Governo si appresta a compiere.
Desidero in apertura chiarire tre concetti che hanno un rilievo politico. Il Governo italiano si è attivato sin dall'inizio di questa vicenda con determinazione su due linee: la necessità di un rapido accertamento dei fatti e la garanzia assoluta dei diritti di difesa sulla base del principio della presunzione di innocenza dei cittadini italiani che sono stati fermati, principio che non solo in Italia deve essere scrupolosamente osservato. Questo è il primo punto su cui credo si debba essere assolutamente chiari all'inizio della mia esposizione al Parlamento.
In secondo luogo, con altrettanta chiarezza considero estremamente importante non politicizzare questa situazione né in chiave interna, né in chiave internazionale. Farlo significherebbe indebolire l'azione dell'Italia, indebolire l'azione a tutela dei nostri connazionali e dei nostri diritti. Qui c'è un'azione che si basa su princìpi assoluti che sono quelli di libertà e di rispetto dei diritti processuali. Non ci sono azioni politiche, politicizzate o politicizzabili. Chi l'ha fatto, chi lo fa e chi lo farà creerà un indubbio ostacolo e un'indubbia difficoltà all'azione del Governo.
Il terzo è un punto che voglio esprimere con altrettanta chiarezza. Non sono


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soddisfatto della risposta che sinora abbiamo ricevuto dalle autorità afgane. Desideriamo conoscere con urgenza i tipi e le configurazioni dell'accusa mossa ai nostri cittadini, desideriamo conoscere gli elementi di prova e che venga garantito il pieno diritto alla difesa. Per questa ragione ho deciso di intensificare alcune azioni, per accelerare l'accertamento dei fatti con il pieno rispetto del diritto di nominare un avvocato. Ho quindi con urgenza già avviato in missione a Kabul l'Ambasciatore Iannucci, che è l'Inviato Speciale per l'Afghanistan, con l'incarico di recapitare un messaggio mio personale, di cui i mezzi di informazione hanno dato notizia, e anche una lettera del Presidente Berlusconi indirizzata al Presidente Karzai, che dimostri come al più alto livello del Governo italiano si chiede una risposta urgente e completa.
Sono certo che il rapporto tra Italia e Afghanistan e il nostro impegno, che continuerà a sostegno della stabilizzazione e dello sviluppo di quel Paese, meritino una tempestiva e puntuale risposta alle nostre richieste. Noi siamo un membro della coalizione leale e affidabile e desideriamo che le nostre richieste siano soddisfatte in tempi rapidi.
Fatta questa premessa e ricostruendo i fatti, molti dei quali già noti, nella giornata di sabato 10 aprile, alle 13,30 circa, ora italiana, la nostra ambasciata a Kabul è stata informata da fonti degli organi di sicurezza afgani e, pochissimo tempo dopo, dalla stessa Emergency, dell'avvio di una perquisizione presso il centro chirurgico gestito dall'organizzazione italiana nel compound di Lashkar-Gah, nella provincia di Helmand, dove si trova anche un altro ospedale, gestito da Medici senza frontiere.
La nostra ambasciata ha contattato le autorità afgane e da esse ha appreso che, a seguito di un'attività di intelligence che aveva portato a una perquisizione guidata dall'NDS (National Directorate of Security), il servizio di sicurezza afgano, erano stati trovati presso tale ospedale giubbotti imbottiti di esplosivo, granate, cioè bombe a mano, e numerose pistole.
I tre italiani ricercati in quel momento, Marco Garatti, Matteo Dell'Aira e Matteo Pagani, non erano all'interno dell'ospedale. Sono stati avvisati, si sono recati sul posto, sono stati in un primo momento ammanettati e fermati e, successivamente, privati delle manette e interrogati dagli agenti dell'NDS, i quali hanno poi deciso di trasferirli presso la propria sede provinciale di Helmand, dove i tre connazionali sono stati sottoposti a un ulteriore interrogatorio per acquisire notizie anche sui loro spostamenti nei giorni precedenti all'arresto.
Solo in un momento successivo le autorità locali afgane hanno chiesto l'assistenza di una pattuglia di artificieri britannici di ISAF per la messa in sicurezza dei materiali che erano stati trovati e che non erano stati toccati fino ad allora per la mancanza di personale specializzato.
Voglio fin da ora smentire la notizia apparsa, secondo cui forze britanniche avrebbero condotto un'operazione nell'ospedale. Sono intervenute dopo il rinvenimento del materiale, chiamate dalle forze afgane per trattarlo. Si trattava di una pattuglia di artificieri dell'ISAF britannica, perché la provincia è in controllo britannico.
Passo alle indicazioni contestate ai tre connazionali. Pur mancando ancora un'incriminazione formale dei tre, essi sono stati accusati di detenzione consapevole di esplosivi e armi da guerra. Sarebbero stati anche accusati di essere coinvolti in un complotto in due fasi.
La prima fase si sarebbe dovuta concretizzare in un attentato in un'area civile della città, con l'obiettivo di causare vittime civili e feriti e di trasferire poi i feriti presso l'ospedale di Helmand.
La seconda fase del presunto piano contestato dai servizi di sicurezza avrebbe dovuto svolgersi, secondo quanto gli investigatori afgani hanno contestato, attraverso un invito al governatore di Helmand, Gulab Mangal, a fare visita ai feriti presso Emergency, dove un attentatore suicida avrebbe dovuto farsi saltare in aria nei locali dell'ospedale.


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Questa è la contestazione rivolta nella prima fase degli interrogatori.
Presso l'ospedale operavano altri cinque operatori di Emergency, di cui quattro cittadine italiane, in particolare, presso la guest house di quell'organizzazione a Lashkar Gah. La residenza di queste persone è stata perquisita sabato 10 e domenica 11 aprile. I cinque operatori non sono stati sottoposti ad arresto. Un funzionario del governo locale ha annunciato verbalmente che essi non avrebbero potuto lasciare il capoluogo di Helmand senza l'autorizzazione delle autorità. Le autorità afgane non hanno ritenuto di ritirare i cinque passaporti (tra cui i quattro dei nostri operatori), che sono rimasti nella cassaforte dello stesso ospedale dove gli operatori italiani li avevano lasciati.
Quando abbiamo conosciuto queste prime vicende, ho incaricato, come avete già saputo, il nostro ambasciatore a Kabul di recarsi di persona a Lashkar Gah per incontrare le autorità locali. Il primo incontro autorizzato dal Ministro dell'interno afgano, dopo poche ore, è stato quello con il capo della sezione di Helmand del NDS, il generale Naim, responsabile delle indagini e del centro dove erano stati trattenuti i nostri connazionali.
La mattina successiva, l'11 aprile, l'ambasciatore Gläntzer ha nuovamente incontrato il generale Naim, che gli ha illustrato questa ricostruzione degli eventi, ossia la contestazione da parte afgana, che io vi ho riportato. Il generale Naim ha precisato che alla sua struttura è stato conferito da Kabul il mandato di completare le indagini e di trasmetterne l'esito al quartier generale del NDS a Kabul.
Nello stesso ufficio del generale Naim siamo stati autorizzati a incontrare, tramite l'ambasciatore Gläntzer, uno alla volta, i tre nostri connazionali, che abbiamo trovato in buono stato di salute, ma certamente assai provati da questa vicenda sotto il profilo emotivo. Il generale Naim ci ha assicurato di aver dato disposizioni per garantire ai tre connazionali, sin dalla prima fase, un trattamento rispettoso dei loro diritti individuali.
Io stesso ho ritenuto di dover informare direttamente, lo stesso giorno 11 aprile, il Ministro degli esteri Rassoul, a cui ho espresso innanzitutto la preoccupazione del Governo italiano per l'evoluzione dei fatti. Ho ribadito al mio collega l'interesse italiano, condiviso dagli afgani, a un accertamento scrupoloso dei fatti e l'aspettativa del nostro Governo per una soluzione della vicenda che rispetti in pieno la legge afgana e i diritti processuali dei tre operatori italiani. Si tratta di diritti che la stessa normativa afgana riconosce e che, evidentemente, includono il principio della presunzione di innocenza e il principio del diritto di difesa, cioè il diritto a nominare un avvocato.
Abbiamo poi ottenuto un incontro con il Ministro dell'interno (visto già due volte, l'11 aprile e questa mattina), un incontro ulteriore con il Ministro Rassoul e con il Consigliere speciale per la sicurezza del Presidente Karzai, il mio ex collega Spanta. L'ambasciatore Gläntzer si è anche incontrato con il comandante dell'ISAF ed è ovviamente in contatto costante con tutti questi interlocutori.
Una delle proposte che abbiamo immediatamente formulato e che il Ministro Rassoul ha accettato è l'ipotesi di creare un team congiunto italo-afgano per proseguire nello svolgimento dell'indagine sui fatti. Il Ministro dell'interno, da parte sua, ci ha detto che la fase relativa ad Helmand si potrebbe concludere questa settimana e quindi i tre connazionali potrebbero essere trasferiti a Kabul all'inizio della settimana prossima.
C'è stato anche specificato che, qualora non risultassero elementi di prova sul suo conto, uno dei tre connazionali potrebbe verosimilmente essere rimesso in libertà. Allo stesso modo, il Ministro degli interni ci ha garantito il diritto di visita da parte dell'autorità diplomatica e il mantenimento di contatti regolari con l'Ambasciata d'Italia.
Ieri, l'Inviato Speciale per l'Afghanistan, l'Ambasciatore Iannucci, è partito per Kabul per consegnare un mio messaggio personale, ma anche una lettera formale del Presidente Berlusconi al Presidente


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Karzai, e per avere un incontro ai massimi livelli del Governo afgano per rafforzare la nostra aspettativa di un rapido accertamento della verità.
Ho anche ritenuto di dover inviare in missione in Afghanistan un magistrato italiano, il dottor Aitala, che è consigliere giuridico presso la Direzione generale per l'Asia e l'Oceania, il quale potrà fornire assistenza alla nostra ambasciata sotto il profilo tecnico-giuridico nella trattazione degli aspetti normativi e procedurali della questione. Il dottor Aitala è uno di coloro che hanno coordinato il lavoro di definizione del nuovo codice di procedura penale afgano, per cui conosce in modo preciso e puntuale la normativa locale.
Ci siamo anche adoperati per risolvere la vicenda degli altri operatori di Emergency. Abbiamo ottenuto che i nostri connazionali lasciassero Lashkar Gah ieri su un volo commerciale accompagnati dalla polizia afgana. Ieri, sono giunti a Kabul nel primo pomeriggio, e ho ottenuto che possano lasciare l'Afghanistan quando vorranno. Avranno un nuovo passaporto che l'ambasciata italiana sta rilasciando in queste ore, ma non vi è alcun ostacolo alla loro possibilità di muoversi dal Paese.
Per questi operatori virtualmente ancora bloccati a Lashkar Gah, quindi, la vicenda può ritenersi positivamente avviata a conclusione, giacché potranno decidere se e quando lasciare l'Afghanistan.
Desideriamo ora arrivare al pieno accertamento della verità anche per gli altri tre connazionali, che sono invece arrestati. Conoscete il quadro giuridico in cui ci muoviamo, giacché si tratta del codice di procedura penale ad interim del 2004 perché il Parlamento non ha ancora adottato e approvato il nuovo codice di procedura penale afgano.
Siamo in una fase interinale, in una fase di transizione sotto il profilo giuridico, per cui le garanzie che il nuovo codice di procedura penale prevederà, anche per quanto riguarda i tempi di contestazione dell'accusa, non sono ancora applicabili.
Qual è il regime vigente nella fase interinale? Si prevede che quando, come in questo caso, un'indagine sia considerata connessa ad attività antiterrorismo venga svolta dal National Directorate of Security (NDS), che ha a disposizione quindici giorni per formalizzare la contestazione. In questi quindici giorni gli indagati sono a disposizione del NDS. Come vi ho detto, rimarranno presumibilmente a Helmand fino a questa settimana e saranno trasferiti a Kabul all'inizio della prossima. Trascorso questo periodo, il procuratore, a cui la pratica è trasmessa, può decidere entro gli ulteriori 15 giorni se rinviare a giudizio o rimettere in libertà.
Si tratta di tempi per il procuratore particolarmente stretti, mi permetto di affermare, anche se li paragoniamo ai tempi della fase preliminare in molti ordinamenti giudiziari, perché entro 15 giorni da quando acquisisce il fascicolo deve decidere se chiedere il rinvio o liberare i detenuti.
Stiamo verificando questo aspetto, cioè il rispetto di queste norme interinali, e lo stiamo seguendo con particolare attenzione. Sarà questo il compito di assistenza del dottor Aitala, che rimarrà a Kabul in questo periodo.
La nostra ambasciata si è preoccupata anche di ricercare un'assistenza legale per i tre connazionali in loco. Abbiamo facilitato un contatto tra Emergency e il presidente dell'associazione locale, che si chiama Legal Aid Organization of Afghanistan, l'avvocato Nuristani, il quale ha accettato di occuparsi del caso.
L'avvocato Nuristani è piuttosto noto perché fu il difensore del caso Kambash, il giornalista afgano che era stato detenuto con l'accusa di blasfemia per un lungo periodo. Abbiamo anche favorito un preliminare consulto giuridico legale per predisporre la difesa dei nostri connazionali insieme ad altri due legali, l'avvocato Misbah e l'avvocato Muzafari, entrambi specialisti di casi del genere.
Il Governo continuerà da questo punto di vista ad adoperarsi, come ha fatto finora, affinché i diritti processuali e di difesa vengano garantiti. Abbiamo rappresentato all'Afghanistan che ci aspettiamo questo sulla base del diritto, ma anche del


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rapporto di fiducia che lega il Governo italiano a quello afgano, che noi aiutiamo e sosteniamo con ormai quasi tremila uomini.
Da tutta questa ricostruzione traggo i tre princìpi fondamentali che hanno ispirato e ispireranno l'azione del Governo italiano.
Il primo è la tutela dei connazionali all'estero, un aspetto che caratterizza sempre la politica italiana, indipendentemente da qualsiasi altra valutazione.
Abbiamo fatto presente, il Presidente Berlusconi e io, alle autorità afgane che, come Paese amico e solidale dell'Afghanistan, l'Italia si aspetta il pieno rispetto di tutti i diritti della legislazione afgana, compreso il principio di presunzione di innocenza.
Ho chiesto personalmente che sia data possibilità agli indagati di comunicare con le autorità diplomatiche italiane e mi è stato risposto con grande chiarezza che le autorità italiane potranno visitare, durante la fase delle indagini, quindi dopo il trasferimento a Kabul, anche ogni giorno, se lo vorranno, i nostri connazionali.
Il secondo principio è l'interesse dell'Italia e dell'Afghanistan a scoprire la verità. Si parte da dati di fatto, rappresentati dal ritrovamento di materiale esplosivo nel centro di Lashkar Gah, ma anche dal fatto che l'attività di quel centro si basa sul servizio di un gruppo ristretto di staff italiano e su un'ampia e larga quantità di dipendenti afgani, certamente anche in passato vulnerabili a pressioni, talvolta a minacce provenienti dall'esterno, quando non addirittura permeabili da parte di settori connessi all'insorgenza. Ecco che, allora, il nostro auspicio è che le indagini possano dimostrare la verità. Come ho detto e ripeto, mi auguro fortemente - e credo che sia un interesse nazionale dell'Italia - che emerga l'estraneità dei nostri connazionali agli atti e alle attività che sono loro contestate. Sarebbe un interesse, a mio avviso, chiaro ed evidente, che non c'è bisogno di commentare, dell'Italia e della stessa organizzazione Emergency, che svolge in questo Paese un'azione umanitaria in un contesto difficile, non solo a Lashkar Gah, ma anche in altre città dell'Afghanistan.
Il terzo principio è il pieno e convinto sostegno del nostro Paese alla stabilizzazione, allo sviluppo e alla democratizzazione dell'Afghanistan: non solo un'azione politica, non solo l'azione di addestramento delle forze di sicurezza, ma anche un sostegno nella ricostruzione delle infrastrutture materiali e immateriali (penso proprio al sistema giudiziario dell'Afghanistan). Su questi fronti, quello civile e quello della sicurezza, l'azione dell'Italia mira a sostenere le istituzioni afgane. Dobbiamo aiutarle a creare un Paese libero e solido, immune da condizionamenti. Certamente su questi fronti noi confermiamo il nostro impegno.
Seguiremo nei prossimi giorni questi princìpi ispiratori. Vogliamo tutelare i nostri connazionali, vogliamo aiutare un Paese cui siamo legati da amicizia a procedere verso la stabilizzazione e crediamo di aver diritto, come italiani, a risposte rassicuranti, anzitutto per la verità dei fatti che sono accaduti.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ministro. Ci sono circa quindici iscritti a parlare, dunque vi chiedo di contenere il più possibile i vostri interventi. Non voglio contingentare il dibattito, ma mi appello al vostro buon cuore.
Do la parola ai deputati e ai senatori che intendano porre domande o formulare osservazioni.

EMMA BONINO. Grazie, signor Ministro. Manco dall'Afghanistan da pochi anni, ma mi è abbastanza familiare la situazione che lei ha descritto, per esperienza personale.
Voglio semplicemente fornire alcune indicazioni. In primo luogo, per esperienza so e sappiamo che in casi di emergenza e di crisi di questo tipo o di altro similare (in Afghanistan abbiamo avuto episodi di italiani rapiti o sequestrati) è bene concentrarsi sull'obiettivo e rinviare ad altro momento - ma vorrei che al riguardo lei prendesse un impegno con il Parlamento e


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con tutti noi - un dibattito più largo e più serio sulla situazione afgana rispetto alla presenza non nostra in quanto italiani, ma della coalizione in generale, e su quali siano gli obiettivi intermedi. Non mi riferirò dunque al contesto più generale, ma mi auguro che Lei voglia prendere con noi l'impegno che, una volta chiusa questa vicenda, si possa aprire un dibattito approfondito circa la presenza della coalizione in Afghanistan.
Vengo alla situazione di questi giorni. Penso che dobbiamo avere tutti presente che, in un mondo globalizzato, qualunque parola venga detta non rimane nel chiuso di alcunché ma viene ascoltata e sentita da tutti, amici e avversari. Penso che un dato di disciplina dovrebbe guidare tutti in questi giorni. L'obiettivo, come Lei diceva, è l'accertamento della verità e - immagino - il rilascio dei nostri connazionali.
Nutro alcune preoccupazioni al riguardo e ritengo che la linea a cui il Governo si deve attenere, chiedendo in questo il sostegno degli altri Paesi alleati come fonte di pressione, sia quella delle garanzie e del garantismo, che viene però resa complicata da due elementi. Il primo è che è in vigore il codice di procedura penale ad interim.
Considero opportuno conoscere attraverso l'inviato da lei mandato esattamente i dettagli del codice ad interim, in modo da pretenderne l'applicazione da parte delle autorità afgane. Poiché non è il codice che abbiamo «scritto noi», ma è il codice ad interim che è in funzione, una sua conoscenza dettagliata ci aiuta a pretendere che il Governo afgano applichi almeno quello.
Da questo punto di vista, mi preoccupano due questioni. Dal suo intervento e dalla sua ricostruzione risulta che i nostri connazionali sono già stati interrogati due volte senza assistenza legale. Questo è un aspetto preoccupante, perché considero necessario chiedere assicurazione alle autorità afgane, al di là di quanto sancito dal codice ad interim, che queste deposizioni rilasciate senza assistenza legale non possano costituire prova a carico. Questo è fondamentale per motivazioni ben note. È basilare assicurare che qualunque cosa abbiano detto nei due interrogatori senza assistenza né diplomatica, né legale non possa essere considerata prova a nessun effetto. Altrimenti, ci infiliamo in una situazione da cui non usciamo più.
È chiaro che i dati di intelligence - come lei li ha chiamati - nella situazione afgana sono «spiate» e che la situazione è sempre molto complicata quando si usa personale locale. Considero necessario stare attenti anche ai diritti del personale locale. Capisco che quando si è di passaporto italiano si presta un'attenzione maggiore, fatto umanamente comprensibile, ma credo che contestualmente debbano essere garantiti i diritti alla difesa del personale afgano che lavorava in Emergency, per evitare il ripetersi di situazioni in cui ci siamo già trovati, in cui abbiamo riportato a casa l'italiano, ma non l'afgano, con tutto ciò che ne consegue.
Per ora mi fermo qui. Le chiedo davvero di prendere questo impegno con noi. Mi auguro che, come è avvenuto in altri momenti delicati in cui altri italiani sono finiti in difficoltà durante altri Governi ed è stato difficile tenere a freno tutto quanto, si senta che l'obiettivo oggi sia quello del garantismo e delle garanzie per i nostri connazionali e non solo per i nostri tre italiani.

FRANCESCO TEMPESTINI. Ascoltando la sua ricostruzione, in particolare quando ci ha parlato dei presunti capi di imputazione, nel merito dei quali ha anche riferito, la mia è stata innanzitutto una sensazione di incredulità e poi anche di indignazione. Sentire parole del tipo «contatti per costruire un complotto, per uccidere in piazza e per poi portare i feriti in ospedale» mi ha dato un sentimento di incredulità e di disturbo. Altri colleghi indubbiamente testimonieranno della qualità umana dei connazionali detenuti.
Questo sentimento però non mi fa velo del fatto che dobbiamo procedere con grande senso di responsabilità, cui mi atterrò. Abbiamo ispirato subito la nostra iniziativa al principio elementare della prudenza, che in questi casi non è fine a


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se stessa, ma svolge una funzione di politica, ha un obiettivo politico. L'altro è quello di una rigorosa, intransigente e molto determinata azione, che parta da princìpi di garanzia essenziali, soprattutto in un contesto difficile come quello afgano, che lei, con il riferimento alla cosiddetta fase di transizione per quello che riguarda l'applicazione del nuovo codice di procedura penale, ha testimoniato.
Questi due aspetti sono fondamentali e non posso, quindi, non partire dalla questione della prudenza. Ho ascoltato, nel corso delle prime ore successive all'arresto dei nostri tre connazionali, da parte del Governo alcune parole che andavano oltre e che voglio sinteticamente definire in questo modo: c'è stata una tentazione di trattare la questione come se fosse una questione di politica interna, il che non andava e non può andare bene.
Tutto il senso del suo intervento naturalmente va in un'altra direzione e gliene do atto, ma non posso dimenticare che ci sono stati momenti nei quali è parso che ci fosse, da parte di qualcuno, la tentazione di utilizzare l'episodio come se si trattasse di un fenomeno da mettere sul mercato della politica.
Dobbiamo bandire questo tema. Se nei prossimi giorni a Piazza Navona ci saranno molti manifestanti a favore di Emergency, che manifesteranno anche contro la partecipazione dell'Italia alla missione internazionale, io, che ho opinioni diverse e penso che la presenza italiana sia giusta e doverosa, ritengo che sia nostro dovere distinguere e tenere nettamente separate le due questioni. Questo è il primo punto.
Il secondo punto entra più nel merito di ciò che sta accadendo. Ne abbiamo un quadro molto confuso e personalmente penso che in tale quadro dobbiamo esercitare un'azione molto ferma, perché tutte le garanzie vengano messe in atto e siano poste efficacemente sul campo.
Tra queste garanzie penso - mi riferisco a un'osservazione giusta della senatrice Bonino - anzitutto a quella di far sì che in ogni fase del procedimento giudiziario tali tutele e garanzie siano rispettate e che gli interrogatori avvengano con la garanzia degli avvocati difensori, fino a tutto il resto. Mi riferisco al precipitare in un regime carcerario, in un regime di rischi di diverso tipo, di pressioni psicologiche, che dobbiamo fare in modo che non si determinino.
Questo è il primo principale problema che abbiamo da mettere in campo. Lei ha voluto chiarire, e io non posso che prenderne atto, che anzitutto il Governo italiano non era a conoscenza degli avvenimenti che stavano determinandosi. Lei lo ha affermato e io non ho motivo di dubitarne. Ci ha riferito, sostanzialmente, che la prima informativa che l'ambasciata d'Italia ha ricevuto è successiva all'avvio della perquisizione.
In secondo luogo, ha voluto precisare anche che da parte delle forze ISAF presenti in quel territorio - sappiamo che si tratta delle forze britanniche - non c'era altrettanta conoscenza del problema. Su questo è stato meno chiaro; ci ha riferito che gli afgani hanno chiesto agli inglesi, alle forze ISAF, di intervenire, ma non ha precisato se esse fossero a conoscenza dell'avvio di tale perquisizione.
È un dato non irrilevante, su cui vorrei che tornasse, se possibile, nella sua replica per darci chiarimenti ulteriori. La non conoscenza da parte della nostra ambasciata e del Governo italiano, per dirla più in generale, e il fatto che non ci sia conoscenza da parte delle forze ISAF, è un elemento di assoluta importanza. Vorremmo, da questo punto di vista, essere molto chiari, perché ne dovremmo trarre alcune conseguenze, sulle quali non mi dilungo ma che, peraltro, sarebbero particolarmente determinanti anche per la fase successiva, quella che stiamo vivendo adesso.
Non c'è dubbio che tra le considerazioni che, ad adiuvandum, intendiamo mettere in campo c'è quella che il Governo si attivi. C'è un campo della politica, come lei non trascura, parallelo a quello della procedura giudiziaria, che il Governo italiano ha ovviamente il dovere di utilizzare e che riguarda la possibilità di attivarsi anche con le altre forze della coalizione.


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Insomma, l'iniziale sentimento di indignazione e di incredulità non può non portare a un'azione politica che faccia pesare questo sentimento, che non deve essere prevalente nel senso di oscurare la principale delle considerazioni, ovvero quella di lavorare con molta forza sull'obiettivo principale, ossia di garantire i diritti e naturalmente l'interesse pregiudiziale di scoprire la verità, partendo dalla considerazione della presunzione di innocenza che lei - da questo punto di vista, noi non abbiamo motivo di distinguerci da Lei - ha ribadito molte volte. Questo, almeno per quello che mi riguarda, è motivo sufficiente.
C'è un altro elemento da sottolineare, a proposito della fase procedurale. Nella sua relazione Lei ha affermato che in questa fase, nei prossimi dieci giorni, si potrebbe determinare la liberazione di uno degli ostaggi. Le chiedo di essere più preciso da questo punto di vista. Che cosa significa? Significa che ci sono procedure di accertamento che sono più avanti di quello che ci ha detto o ci hanno detto? Si può determinare dunque qualche elemento in più di chiarimento? E questo chiarimento che cosa vuol dire? In base a che cosa è stata formulata questa prima dichiarazione secondo la quale ci sarebbe una possibile liberazione nelle prossime 72 ore o nei prossimi giorni? Questo è un altro elemento di assoluta chiarezza che, se può (ma avendo introdotto il tema penso che possa), lei deve mettere maggiormente in evidenza.
Noi partiamo dalla considerazione - i fatti sono tutti da accertare - che in quel posto si è determinata una situazione molto difficile e che ci sono situazioni locali particolarmente complesse. Da questo punto di vista, il mio intervento non vuole entrare nel merito di opinioni e di voci che la stampa ha giustamente raccolto sullo stato dei rapporti tra il Governatore ed Emergency, l'ospedale di Lashkar Gah, le forze in campo. Non voglio qui addentrarmi in ricostruzioni giornalistiche su ciò che è accaduto in relazione ad altri rapimenti. Non è questo il punto centrale.
Oggi il punto centrale è concentrarsi, con un atteggiamento di prudenza e nello stesso tempo di grande determinazione, sulle questioni che riguardano la libertà personale dei tre italiani, nel rispetto della legge e nell'interesse più generale che abbiamo alla scoperta della verità.
Anch'io penso che tutto questo debba esser fatto e, se sarà fatto nel modo migliore, aiuterà la discussione che avremo, come è giusto che sia, sul quadro più generale dell'Afghanistan. Naturalmente, anche questa vicenda sarà un elemento di giudizio per ciò che torneremo più avanti a discutere.

PRESIDENTE. Colleghi, vi invito a una riflessione. Credo che a tutti interessi la replica del Ministro. Abbiamo avuto due interventi in oltre venti minuti. Considerando che ho ancora moltissimi iscritti a parlare, se non ci autoregolamentiamo sarà difficile sentire il Ministro. Invito quantomeno a non toccare argomenti già ampiamente dibattuti negli interventi precedenti.

STEFANO PEDICA. Ho ascoltato con grande attenzione e credevo di ascoltare qualcosa di più impegnativo da parte del Ministro che oggi rappresenta l'Italia.
Come avrà visto, l'Italia dei Valori sta oggi con Emergency e terremo questa maglietta di testimonianza fino a quando i tre operatori sanitari non torneranno sotto la protezione del Governo italiano.
Signor Ministro, questa maglietta di Emergency, che consegno anche a lei, rappresenta l'Italia, rappresenta lavoratori italiani che, operando in quella zona, stanno difendendo e stanno rappresentando l'Italia. Ascoltare un ministro che non spende neanche una sola parola per rivolgersi alle famiglie dei sequestrati, che afferma che siamo un Paese amico dell'Afghanistan e non parla degli italiani che hanno subìto questo trattamento, un ministro che sostiene che è stato fatto un doppione dei passaporti perché gli originali stanno dentro l'ospedale italiano sequestrato da militari afgani - e voi non avete il coraggio di andare lì e prendere


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quei passaporti - ma vi nascondete duplicando un passaporto, significa che anche gli altri italiani sono sequestrati e voi non lo ammettete.
Lei, signor Ministro, avrebbe dovuto alzarsi e andare lì a parlare con queste persone. Ha detto bene la presidente Bonino: non si può ascoltare un Governo che lascia che degli italiani vengano interrogati senza un legale e senza un rappresentante del Governo, che dovrebbe essere il ministro in persona. Il ministro in persona deve dichiarare quello che è, peraltro l'ha giurato anche davanti al Capo dello Stato. Se si ferma così, si ferma l'Italia. Lei non è un ministro di questo Paese, se continua così, e glielo dico in chiari toni, perché non voglio che sia letta una cosa diversa.
Quando il Presidente Berlusconi scrive una missiva personale a Karzai, che cosa ha scritto? La risposta avrebbe dovuto essere immediata nei confronti di un Presidente del Consiglio, che ad horas avrebbe dovuto ricevere una risposta e la liberazione di questi medici e infermieri italiani.
Lei sostiene che non bisogna fare politicizzazioni. La invito quindi a leggere le dichiarazioni rilasciate dal Ministro La Russa, dall'onorevole Cicchitto e dal senatore Gasparri, per poi ritirare quanto ha detto sulla politicizzazione.
Le ricordo che Marco Garatti, Matteo Dall'Aira e Matteo Pagani sono italiani e lei è un ministro italiano; i nostri 3.300 soldati schierati sul posto avrebbero dovuto difendere queste persone, italiani che il Governo dovrebbe tutelare evitando di tacere come sta facendo su alcuni punti, italiani che il Ministro degli affari esteri avrebbe dovuto proteggere richiedendone immediatamente la restituzione. Anche oggi è sempre in tempo, signor Ministro, per minacciare di ritirare il supporto delle forze armate al Governo Karzai. Questo sarebbe un ministro che difende una zona in cui stanno operando italiani.
Le ricordo che l'ospedale di Lashkar Gah, che oggi deve essere ripristinato, perché è stato occupato, effettua chirurgia per vittime di guerra, fra cui molti bambini, interventi per mine antiuomo, traumatologia, disponendo di settanta posti letto con pronto soccorso, di due sale operatorie. E non una parola c'è stata da parte sua sui tre italiani e sulle loro famiglie.
Per questo motivo chiediamo di sapere quando verrà scritta la parola fine a questa storia e con che tempi e con che mezzi, onorevole Ministro. Non ci risponda che la lettera scritta a Karzai è tutta forza di persuasione che intende esercitare, perché ne saremmo indignati veramente, come siamo già indignati di vederla qua, lo ripeto, e non a Kabul.
Come ultimo suggerimento, signor Ministro, ribadisco che Lei deve tutelare Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani e non Karzai, perché queste tre persone sono italiani che, come Emergency, sono in quel Paese per tutelare, lavorare e curare. Lei invece si preoccupa in primo luogo di quello che ha definito un Paese amico dell'Italia, dove vi sono persone che stanno uccidendo e hanno ucciso 21 italiani. Ci rifletta molto, signor Ministro.

ROBERTO ANTONIONE. Signor presidente, io desidero, invece, esprimere al Ministro un apprezzamento non formale, innanzitutto per aver voluto dimostrare ancora una volta una grande sensibilità nei confronti del Parlamento....

FURIO COLOMBO. Ma scherziamo! È il contrario!

ROBERTO ANTONIONE. Ognuno si comporta come crede e ha l'educazione che vuole. Francamente, non ho mai preso la parola in questo modo, cercando di interrompere un altro collega che parlava, nonostante spesso mi capiti di sentire colleghi che svolgono considerazioni che non comprendo, che non capisco e che non giustifico. Ritengo, però, che ognuno debba fare tesoro della propria educazione e della propria esperienza personale.
Mi dispiace che il mio collega Colombo abbia un'insofferenza nei miei confronti (Commenti del deputato Furio Colombo).

PRESIDENTE. Per cortesia, onorevole Colombo, replicherà nel corso del suo intervento.


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ROBERTO ANTONIONE. Personalmente, continuo a sostenere che l'atteggiamento del Ministro del Governo italiano è rispettoso della volontà del Parlamento e, di conseguenza, esprimo un apprezzamento perché il Governo, in maniera non formale, ha voluto ancora una volta testimoniare l'attenzione e il rispetto che ha nei confronti del Parlamento, venendo a riferire con una celerità spesso non così cogente su una vicenda all'attenzione di tutti.
Devo anche riconoscere che l'operazione del nostro Governo nei confronti di questa vicenda è indubbiamente complessa e difficile. Le linee che hanno guidato l'azione del Ministro e del Governo sono da noi condivise e sostenute completamente.
Se posso, anche per il poco tempo che mi è concesso - non voglio certamente prescindere dall'indicazione del presidente né abusare della pazienza del presidente e dei colleghi - vorrei sottolineare un unico aspetto al quale attribuisco un'importanza particolare, cioè il fatto che il Governo, per bocca del Ministro degli affari esteri, abbia voluto con chiarezza cercare di evitare che su questa vicenda ci possano essere tentativi di strumentalizzazione politica.
Lo rilevo per un semplice motivo: noi tutti dovremmo avere a cuore la salvaguardia di tre persone che oggi sono state, in qualche modo, accusate di reati molto gravi. Non sappiamo se le accuse siano fondate. Ci auguriamo che non lo siano, ma è del tutto evidente che se si dovesse alzare la bandiera della politicizzazione, se dovessero emergere, come purtroppo già in questa sede è avvenuto, espressioni di contrarietà rispetto a un'azione generale del nostro Paese, e non solo del nostro Governo, rispetto a uno scenario internazionale, questo non solo non favorirebbe il dialogo tra maggioranza e opposizione, non solo creerebbe problemi anche a livello internazionale, ma metterebbe in discussione, cosa ben più grave, la possibilità di aiutare le tre persone accusate di questi reati.
Mi auguro che le forze politiche responsabili - quelle che non sono responsabili, non avendo questa possibilità, non possono farlo - si facciano carico di porre all'attenzione della loro coscienza l'elemento a mio modo di vedere principale. In sostanza, dobbiamo cercare di comportarci in maniera tale che le azioni congiunte contribuiscano a far chiarezza su questa vicenda e aiutino i nostri connazionali - speriamo siano innocenti - a tornare a casa il prima possibile.
Se altri, invece, intendono utilizzare anche questa situazione di difficoltà per portare a casa un piccolo risultato politico che ritengono a loro vantaggio, allora si assumano la responsabilità anche delle conseguenze negative che questo atteggiamento potrebbe comportare. Ognuno farà i conti con la propria coscienza.

ANTONELLO CABRAS. Cercherò di essere brevissimo, signor presidente, dal momento che molte cose sono già state dette. Voglio solo evidenziare un aspetto che non ho ancora sentito e che, secondo me, ha una sua rilevanza in questa vicenda.
È chiaro che siamo tutti impegnati affinché siano rispettate le garanzie, perché il cosiddetto codice ad interim, sul quale dobbiamo allacciare tutti le cinture, venga applicato nella maniera più rigorosa e più garantista possibile. Mi domando, però, come sia possibile che un Paese come l'Italia, impegnato direttamente in Afghanistan, con un contingente di quella dimensione e con una sua struttura di intelligence che segue l'insorgenza e dovrebbe controllare anche altri aspetti - che ha perduto solo qualche settimana fa nel corso di un'azione di antiterrorismo un suo agente, che si è chiaramente sacrificato per evitare che quell'azione terroristica provocasse ancora più danni - venga a sapere che tre cittadini italiani sono indagati nel territorio nel quale svolgiamo quella funzione dai giornali, dalle notizie di stampa.
Il mio interrogativo mira a capire come un ruolo così importante, rispetto al quale il Governo ha avuto mandato pieno dal Parlamento, per contribuire alla stabilizzazione


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di quel Paese, possa tollerare circostanze di questo tipo. Se ci sono insufficienze italiane vanno immediatamente verificate, sia nei servizi di intelligence italiani che operano in Afghanistan, sia per quanto riguarda le questioni militari. Come si può tollerare, nel rapporto tra noi e i nostri alleati - ricordo che la NATO è un'organizzazione nella quale le decisioni si assumono attraverso il principio del consenso - che possano capitare episodi di questa natura?
Sollevo solo questo problema politico. Vorrei che dopo il cambiamento di tono a cui abbiamo assistito in questa fase - siamo passati dalla fase in cui si sperava che non fosse vero alla fase nella quale sta emergendo che tutto questo complotto non esiste o quantomeno non esiste nella dimensione che è stata prospettata - l'Italia sviluppi una iniziativa politica proporzionale al peso che il nostro Paese sta esercitando in quel contesto per la stabilizzazione.

GIANNI VERNETTI. Anche io ringrazio il Ministro Frattini. Penso che dobbiamo essere garantisti fino in fondo, quindi sottoscrivo precedenti dichiarazioni che abbiamo ascoltato, comprese quelle del presidente Bonino. Il Governo deve adoperarsi per garantire pienamente il diritto alla difesa, la presenza di avvocati, tempi brevi per le indagini e un'assistenza diplomatica costante. Credo che questo sia il lavoro da compiere nelle prossime ore. Mi pare che le azioni fin qui intraprese da parte del Governo e della nostra rappresentanza diplomatica stiano andando oggettivamente in quella direzione.
Credo che si debbano ulteriormente e giustamente far pesare, evidenziando il peso politico del nostro Paese in Afghanistan, che è importante, perché abbiamo svolto un ruolo fondamentale per la stabilizzazione militare, abbiamo notevolmente contribuito alla riforma della giustizia e alla ricostruzione materiale e immateriale del Paese. Penso che il peso politico del nostro Paese non sia piccolo in Afghanistan.
Parlo di un Governo che ritengo amico, perché oggi sarebbe un grave errore considerare il Governo Karzai un governo nemico. Si tratta infatti di un Governo democratico, abbiamo notevolmente contribuito a sostenere la democrazia afgana e i nostri militari si sono impegnati per garantire un regolare svolgimento delle elezioni parlamentari e presidenziali. Dobbiamo quindi avere fiducia in quel Governo, che possiede un buon grado di validazione democratica, con il quale oggi si collabora per la stabilizzazione del Paese.
Considero grave un eccesso di politicizzazione della vicenda. Ritengo siano state un errore le dichiarazioni di Gasparri e La Russa, ma che sia stato un gravissimo errore, soprattutto se abbiamo l'obiettivo di tutelare i tre detenuti italiani, la politicizzazione operata dal leader ispiratore di Emergency. Mi chiedo infatti perché confondere i piani in una conferenza stampa, cosa c'entrino i costi della missione militare italiana con la tutela dei diritti di tre medici, che abbiamo tutto l'interesse di difendere e auspichiamo che tornino rapidamente a casa, cosa c'entri accusare le truppe della Nato, comprese quelle italiane, di essere truppe di occupazione, quando davvero abbiamo l'interesse di portare a casa tre detenuti. È necessario non confondere i piani e lavorare con serenità.
Credo che in questi casi, come è avvenuto in passato, il Paese debba essere unito, perché è il modo migliore per garantire forza politica ai nostri bravi diplomatici nell'area, un Paese unito con l'obiettivo di conoscere rapidamente la verità, garantire i diritti di difesa degli imputati e riportarli a casa, se possibile.
Penso che questo sia il lavoro da compiere, evitando la confusione dei piani, perché riaprire in questo contesto la discussione sulla presenza militare italiana in Afghanistan non porta da nessuna parte. Non è in discussione. È un'altra vicenda.

OLGA D'ANTONA. Ho molto apprezzato e mi riconosco in pieno nell'intervento


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svolto dalla senatrice Bonino. Molte delle cose che avrei voluto dire sono state già dette. Mi riconosco anche nelle considerazioni espresse dall'onorevole Vernetti. Credo che questo non sia il momento della politica o delle polemiche. Ritengo che questo sia il momento di vedere gli italiani uniti, perché ci preme riportare tre italiani a casa. Gli unici aggettivi che possiamo usare nei confronti di queste persone devono essere non gli aggettivi della politica, ma quelli di persone di questo genere.
Conosco personalmente una di quelle tre persone, perché sono molto amica della famiglia di Matteo Pagani, conosco la qualità della persona attualmente accusata. Si tratta di un ragazzo di ventinove anni laureatosi in tempi brevi e con ottimi risultati in economia in Inghilterra, che ha fatto dei master e si è preso un anno sabbatico come volontario in America Latina, lasciando gli agi di una famiglia benestante. In seguito, si è recato in Sri Lanka a sostenere le popolazioni colpite dallo tsunami e da soli sei mesi lavora presso Emergency, quindi è impossibile sospettarlo di cose che come abbiamo letto erano di gran lunga precedenti, in attesa di essere chiamato da Medici senza frontiere.
Questa è la qualità di una delle tre persone arrestate che conosco e che può far intuire anche la qualità di coloro che operano in questi centri. Queste persone lavorano con grande sacrificio, spinti da uno spirito umanitario.
Ho apprezzato l'intervento svolto oggi in quest'Aula dal Ministro Frattini. Mi avevano, invece, allarmato le sue primissime dichiarazioni a caldo. La comunicazione è importante. Capisco le preoccupazioni del Ministro di non infastidire, di non far irrigidire il Governo afgano, di non precludere le attività diplomatiche che ora sono state messe in atto, però, nello stesso tempo, ritengo che le sue prime dichiarazioni non dessero il giusto peso alla presunzione di innocenza, che, a mio avviso, in questo caso, avrebbe dovuto prevalere.
Noto una leggera diversificazione in senso molto positivo dell'attività di Governo, ma lamento un aspetto. Da parte della Farnesina non è stata fatta una telefonata, non è stato avviato un approccio, non è stata fornita un'informazione diretta alle famiglie.
Credo - è un invito che rivolgo al Ministro - che questo punto debba essere sanato, che un rapporto diretto tra il ministero competente, attraverso i suoi funzionari, e le famiglie interessate, che vivono momenti di grande apprensione per i loro parenti, arrestati in un Paese in cui i crimini gravissimi di cui vengono sospettati prevedono la pena di morte, che un'attenzione anche umana nei confronti di questi familiari sia dovuta da parte di un Governo che ha anche il dovere morale di essere vicino ai suoi cittadini.
Mi unisco a tutti i colleghi che in questo momento hanno sottolineato l'impegno richiesto al Governo affinché vengano rispettati i diritti dei nostri cittadini almeno secondo le leggi afgane, ma credo anche che si debbano far valere tutte le attività diplomatiche di cui questo Governo può essere forte per i rapporti di amicizia che intrattiene nei confronti del Governo afgano e per il sostegno che finora ha dimostrato con uomini e mezzi a quel Paese.
Voglio lasciare la parola anche ad altri colleghi e quindi concludo, unendomi però alla richiesta della senatrice Bonino nel sostenere che, chiusa questa fase, in cui la disciplina ci impone, per riportare i nostri tre italiani a casa, di non aprire polemiche né politicizzazioni del caso, occorrano alcune riflessioni profonde sul nostro impegno in quel Paese - non le svolgeremo oggi - nonché sul ruolo che ha sostenuto Emergency in quel Paese e sulle ragioni che hanno condotto a questo episodio. Credo che verrà il momento in cui affronteremo anche questi temi.

PRESIDENTE. Vorrei ricordare a me stesso e anche a voi che è d'uso, negli interventi, seguire una procedura: dare un'alternanza fra maggioranza e opposizione, un'alternanza ai gruppi e alle Camere di appartenenza.


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Pertanto, se hanno già parlato non pochi parlamentari di uno stesso partito, devo assolutamente alternare, tenendo presente i gruppi che non hanno parlato e l'alternanza tra Senato e Camera. È la prassi.

FIAMMA NIRENSTEIN. La cosa più difficile è restare nei tre o quattro minuti, in cui uno vorrebbe restare. Farò del mio meglio.
Non è un ringraziamento di prammatica, invece, da parte mia quello al Ministro, perché ci ha presentato una linea di profonda ragionevolezza.
Non sappiamo granché di quello che è successo nell'ospedale, quindi il massimo del garantismo che può essere applicato deve essere direttamente proporzionale anche alla nostra capacità di comprendere i fatti per come si sono verificati. È giusto, quindi, che ci muoviamo anche in questa direzione. Sarebbe un'idea pazzoide e colonialista quella di pensare di poter imporre qualcosa a un Governo eletto.
Scusate, colleghi, capisco che siamo tutti stanchi, ma quando si parla si vorrebbe essere ascoltati. Come dicevo, nei confronti del Governo Karzai non siamo in grado di imporre niente. Mi pare che questo dovrebbe essere chiaro. Il massimo che possiamo fare è sostenere delle linee il più possibile garantiste. Credo che questa sia la linea che ci è stata presentata.
È molto difficile guardare dentro un codice penale ad interim e farlo rispettare. Allo stesso modo - qui rivolgo una prima domanda al Ministro Frattini - è difficile capire quanto pesa in questo momento il fatto che siamo in una situazione di scontro particolarmente acuto fra il Governo Karzai e il resto del mondo. Basti pensare a quello che è stato, nelle settimane passate, lo «sfregamento» fra Obama e Karzai per rendersi conto che in Afghanistan è in atto una situazione appuntita e difficoltosa, che potrebbe benissimo essersi rovesciata anche sull'insieme degli alleati presenti nel Paese. Le chiedo se abbiamo qualche informazione su questo argomento o, comunque, se possiamo inferire qualcosa politicamente, a questo riguardo. Probabilmente è il caso di riflettere su questo argomento.
Devo fare ora due considerazioni spiacevoli. In primo luogo, sottolineo l'alzata di scudi molto antipatica, da parte dell'opinione pubblica, intorno a questa questione. Ho assistito in programmi televisivi alla santificazione immediata e preventiva dell'ospedale. Naturalmente tutti lo apprezziamo per il lavoro umanitario che svolge, ma sulle sue caratteristiche complessive credo sia difficile per l'insieme degli italiani esprimere un giudizio. C'è, invece, un'opinione pubblica molto «pompata» dai mezzi radiotelevisivi, orientata in questa direzione.
Capisco che le cose che dico non piacciono a qualcuno. Tuttavia, quando succede il contrario, io resto in silenzio.
In secondo luogo, chiunque si occupa di diritti umani da anni - qui ci sono parecchi colleghi che lo fanno, dall'una e dall'altra parte - sa che soffriamo, in questo periodo, di una situazione assai complessa. Infatti, come sanno benissimo il mio amico Mecacci e tutti gli altri colleghi che si occupano di queste questioni, si è determinata una zona grigia di opinione pubblica, anche all'interno delle maggiori organizzazioni che si occupano di diritti umani e di assistenza umanitaria, che crea forti discussioni e grosse perplessità anche all'interno delle stesse organizzazioni.
Cito un paio di episodi, per chiarire di che cosa intendo parlare. Il primo è stato il sostegno, da parte di Claudio Cordone, segretario generale di Amnesty International, a Moazzam Begg, quando ha sostenuto che esiste una jihad difensiva. Badate, lui è il segretario generale di Amnesty International!
Successivamente, c'è stata la grossissima critica da parte di Robert Bernstein, che è stato uno dei capi di Human Right Watch, l'altra grandissima organizzazione per i diritti umani, quasi grande come Amnesty International. Egli afferma che le strade seguite da questa organizzazione ormai tendono a identificare l'aiuto umanitario con le ragioni dei popoli che vanno ad aiutare.


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Kouchner stesso denunciò il fatto che i medici di Medici senza frontiere ottemperassero a Gaza a una serie di altre funzioni che esulavano dal prendersi cura dei malati. Con questo non voglio sollevare un capo di accusa nei confronti di queste organizzazioni, ma vorrei aprire una questione estremamente reale, di cui dobbiamo renderci conto giacché queste organizzazioni, che raccolgono un numero molto importante di operatori motivati dalle migliori intenzioni, nel corso di questi ultimi anni, a causa di una serie di questioni che sono in grado di esaminare, ma che tralascio perché non è questa la sede, hanno preso una strada non perfettamente coincidente con quella dei diritti umani o delle questioni umanitarie, ma che ha una caratteristica politica molto accentuata.
Dobbiamo porre la nostra attenzione anche su questi aspetti, non possiamo trascurarli. Tenevo molto a porre questo tema, per evitare che si formi non la frontiera dei buoni e quella dei cattivi, ma la frontiera garantista, che intenda andare fino in fondo ai fatti e tenga conto delle modificazioni avvenute nel corso di questi anni all'interno di queste organizzazioni.

FURIO COLOMBO. Vorrei innanzitutto chiedere scusa al collega Antonione e chiarirmi anche con il Ministro, al quale non era affatto diretta la mia precedente osservazione.
Trovo ragionevole e assolutamente giusto affermare, come ha fatto l'onorevole Nirenstein che ha ringraziato il ministro per quello che ha detto, ma trovo - onorevole Antonione mi perdoni - profondamente deviante rispetto al rapporto tra Esecutivo e Parlamento dichiarare: «ringrazio per la sensibilità dimostrata venendo in Parlamento». No, quello è il dovere del ministro, che l'ha espletato molto bene venendo subito in Parlamento. Tutte le fonti hanno infatti dato la notizia, perché hanno notato la prontezza con cui si veniva a rendere conto al Parlamento. Questo è il dovere di cui il Parlamento incassa la propria prerogativa. Le interruzioni sono comunque sempre sbagliate, e per questo chiedo scusa.
Al Ministro vorrei ricordare che, quando le inchieste nascono sbagliate, magari occorrono anni, ma viene fuori che cosa davvero è successo. In passato, ad esempio, non si capiva perché non fosse stata perquisita la casa di Totò Riina e ci sono voluti anni prima che l'omissione di quella verifica diventasse una grave materia processuale.
Qui siamo di fronte alla presenza di soldati inglesi, che sono visti nei filmati non come tecnici che esaminano qualcosa, ma come soldati inglesi che entrano e che scortano. Questo significa che i soldati inglesi e quindi il loro comandante, il loro comando e il loro Governo sapevano cosa stava per accadere agli italiani.
Allora veramente voglia Iddio che non lo sapesse il Governo italiano, che non sia stato detto a qualcuno. Non userò in questo caso in modo polemico l'espressione «che schiaffo al Governo Berlusconi!», presuntivamente così importante nella vita del mondo e nella vita internazionale. Non lo dirò perché, così come il Ministro Frattini - ne spiegherò tra un momento le ragioni -, sbagliando, afferma che desidera la verità, allo stesso modo io, forse sbagliando, preferisco non esaltare quella che potrebbe essere, invece, una bruttissima figura dell'Italia, che non conta niente.
Gli inglesi sanno, dunque anche gli altri Governi sanno, ma il Governo italiano apprende delle agenzie, più o meno contestualmente, come pure l'ambasciatore. È una situazione tremenda e drammatica.
A cose avvenute, nel momento in cui una situazione di questo genere si verifica - e concordo con quello che è stato affermato prima di me in questa aula, in particolare con le considerazioni della presidente Bonino e con quelle svolte per questo gruppo dal capogruppo Tempestini - intendo ripetere al Ministro una considerazione in più.
Lei avrebbe dovuto essere là, dovrebbe essere là. Tra lei e quello che sta succedendo si frappone una barriera di bugie,


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di ombre, di misteri, di maltrattamento e di sgarberia nei confronti del Governo italiano, che va al di là di ogni possibile accettazione.
Lei avrebbe dovuto essere in contatto immediato con i Ministri degli esteri, almeno con il gruppo dei Ministri europei, se non con tutti i Ministri degli esteri che rappresentano le forze presenti; effettivamente si tratta di decine e decine di Paesi, ma avrebbe dovuto essere in contatto almeno con i Ministri europei.
Lei avrebbe dovuto formare un comitato d'emergenza di altissimo livello, perché, nel momento in cui ci ha raccontato la storia, così come è andata secondo i servizi segreti afgani, ci ha riferito una storia degna di Quentin Tarantino, di medici che preparano esplosioni da fare avvenire per le strade in modo da portare i feriti e i corpi dilaniati nel loro ospedale. Ci ha raccontato una vicenda spaventosa, a partire dalla quale lei si limita a fare il terzista e a sperare che emerga la verità.
Ministro, lei è l'avvocato difensore dei tre italiani, che sono trattenuti nelle condizioni più incredibili. Lei può credere che ci siano tecnici inglesi che, nel più esplosivo Paese del mondo, vadano a effettuare perizia sugli esplosivi trovati negli armadietti degli ospedali? Nel Paese nel quale qualunque afgano sa mettere insieme i fili di una bomba e una giacchetta esplosiva, c'è bisogno di soldati di Liverpool per venire a guardare il contenuto delle cassette o degli spogliatoi degli ospedali di Emergency? Possiamo crederci? Però c'erano alcuni nostri alleati e noi accettiamo che ci fossero. Perché non c'erano soldati e ufficiali italiani? Perché non è stato convocato, contestualmente, l'ambasciatore d'Italia? Il Presidente Obama ci ha riferito che i signori della guerra sostengono personalmente, purtroppo, il Governo Karzai. Perché dovremmo credere che tre operatori umanitari, di cui uno arrivato da sei mesi, stavano complottando per l'uccisione del governatore, oltre che per attuare esplosioni per le strade?
La storia è assolutamente da fantapolitica. È di quelle sulle quali, se presentate a un buon produttore cinematografico, il produttore risponde al regista di non esagerare, che c'è un limite a tutto, che il pubblico deve seguire il realismo delle vicende da narrare. Lei si limita a concludere dicendo: «speriamo che venga a galla la verità»?
La verità del governatore dell'area? La verità di un signore della guerra? La verità di persone che, se fossero veri governanti, non saremmo nelle condizioni di una guerra che non finisce, perché i talebani continuamente vanno e vengono dalle aree che perdono e poi riconquistano, mentre un'infinità di gente, tra cui donne e bambini, in gran numero continuano a morire?
La situazione è gravissima. Personalmente, non sono certo, come lei sa, tra quelli che chiederebbero o chiederanno il ritiro delle truppe italiane o del contingente italiano o il nostro ritiro da un'alleanza che considero importante esattamente quanto la considera lei, però qui si tratta di prendere la difesa in primo piano e con energia e vitalità.
Vede, signor Ministro, se la sua migliore qualità è il candore, il modo in cui ci ha raccontato quell'incredibile storia, purtroppo il suo peggior difetto è la debolezza. Lei non è intervenuto, non ha fatto valere la forza, la presenza, l'autorità del Ministro degli esteri italiano. Noi ci troviamo in una situazione in cui, insieme alle famiglie disperate, dobbiamo dire «speriamo». Inoltre, l'opinione pubblica italiana, già abbastanza sbandata, lo è ancora più gravemente per quanto si è verificato fino ad ora.
Ministro, lei ha la possibilità di porre qualche rimedio, sia andando sul posto, sia facendo in modo che un team di avvocati europei fiancheggi, sostenga e salvi dall'intimidazione il team di avvocati afgani, sia parlando personalmente, non tramite letterine, con il Presidente Karzai per sentire personalmente dalla sua voce come stanno le cose.
Noi siamo i responsabili della giustizia? Siamo coloro che hanno fatto il codice? Benissimo, allora andiamo a far valere questo codice il cui draft abbiamo realizzato; andiamo a ricordare che siamo


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lì per difenderli, ma pretendiamo i nostri diritti di cittadini italiani. Qualunque cenno di debolezza e di accettazione, in questo caso, sarebbe davvero grave e sarebbe davvero una grave colpa.

MARCO ZACCHERA. Inizio rivolgendomi al collega Colombo. Innanzitutto, abbiamo circa 3.200 cittadini italiani detenuti all'estero. Penso che sia impossibile che il Ministro degli esteri vada a trovarli tutti.

FURIO COLOMBO. C'è una differenza...

MARCO ZACCHERA. La differenza è che ci sono tanti italiani, magari detenuti da tantissimo tempo, che non possono essere adeguatamente seguiti. Questa è una colpa di tutte le nostre strutture.
Mi permetta, amico Colombo: trasportiamo da Herat i soldati italiani nel posto in cui c'è l'ospedale? Se bisogna fare chiarezza, convenendo con quanto diceva prima Vernetti, allora bisognerebbe farla anche sulle zone grigie legate ad Emergency. Non possiamo negare i danni - riconosco che dal punto di vista umanitario sono tantissimi i meriti - che ha causato lo «Strada pensiero», secondo il quale bisogna agire in modo neutrale, ma pensare in modo di parte. Non possiamo poi lamentarci con le autorità afgane, davanti a determinate strutture, che sono messe su sicuramente...

FABIO EVANGELISTI. Il pensiero non è ancora reato.

MARCO ZACCHERA. Non è ancora un reato, ma nessuno è ancora riuscito a capire il ruolo di Emergency nel rapimento Torsello. Leggete le interviste a Torsello, che è stato rapito due anni fa: dove sono finiti quei soldi? Chi li ha trasportati? Ricordo che uno dei tre, Marco Garatti, era coinvolto anche nel sequestro di due anni fa di Torsello e dell'inviato di la Repubblica.

FURIO COLOMBO. Sono vivi!

PRESIDENTE. Colleghi, lasciate finire il collega Zacchera, come lui ha lasciato parlare voi.

MARCO ZACCHERA. Corriere della Sera di oggi: «Con il trascorrere delle ore si delinea, dunque, in maniera sempre più evidente il legame tra questa vicenda e quella dei due italiani tenuti in ostaggio in Afghanistan. Oltre a Torsello (...)». Non sto accusando nessuno e voglio la liberazione di questi tre connazionali (Commenti)! Non sto dicendo una cosa offensiva. Sto dicendo che, purtroppo, all'interno di Emergency ci sono situazioni poco chiare. Alla fine (Commenti)...

PRESIDENTE. Colleghi, vi richiamo cortesemente all'ordine.

MARCO ZACCHERA. Insisto. Sono stato in Afghanistan, come ci siete stati voi. Ho visto che cosa fa Emergency e che cosa fa Alberto Cairo. Io mi sento più rappresentato da Alberto Cairo, al quale nessuno mai darà un premio Nobel perché non fa politica, come fanno invece altre persone.
Mi sembra di dire cose normali. La mia volontà di portare a casa il più presto possibile questi connazionali è uguale alla vostra. Ricordo, però, la situazione in cui la nostra intelligence è stata volutamente decapitata, in alcune zone dell'Afghanistan e in quella zona non ci sono italiani. È evidente che anche la nostra presenza è limitata a questo ospedale, che sicuramente sarà stato infiltrato in una situazione estremamente complessa e ingarbugliata (Commenti del deputato Furio Colombo). Sto semplicemente affermando che mi sembra essenziale in questo momento un discorso di fermezza, ma anche di prudenza, proprio per difendere innanzitutto la vita di questi tre connazionali coinvolti e, come affermava anche la senatrice Bonino, di coloro che lavorano in questo ospedale. Bisogna difenderli bene per portarli a casa, se siamo convinti, come lo siamo tutti, il che mi sembra normale, che siano persone assolutamente innocenti. Tuttavia, c'è modo e modo di muoversi.


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Ritengo che il Governo si debba muovere in modo serio e responsabile, con prudenza e con fermezza, perché lo scenario è complicato e policromo. Inoltre, se abbiamo stabilito che non vogliamo apportarvi altri aspetti di politica, non accetto che il signor Strada vada in televisione e lasci trasparire questi temi in chiave polemica, politica e di dimostrazione. Se tutti devono comportarsi in maniera seria e responsabile, anche Emergency deve evitare di trasformare questo episodio in una questione politica, come invece sta facendo. Questa è la mia opinione.
Ritengo, quindi, che si debba continuare su una linea di estrema fermezza per pretendere dall'autorità afgana la massima trasparenza e difesa e sono convinto che si arriverà a una buona soluzione. Alla fine, quando queste persone saranno liberate, mi auguro che coloro che oggi criticano il Governo prenderanno atto che magari la sua politica prudente è stata vincente.
Non si può neanche, colleghi, lanciare il sasso e nascondere la mano. Bisogna essere coerenti con l'atteggiamento da tenere in Afghanistan, perché purtroppo in una situazione così difficile è anche difficile muoversi. Sono convinto che il Ministro potrà anche avere informazioni riservatamente che deve portare in questa sede entro un dato limite. Sono anche convinto che, per tutelare queste persone, quando le vicende saranno concluse, usciranno anche altri aspetti che impongono un atteggiamento serio e responsabile, di fermezza ma anche estrema prudenza.

PAOLO CORSINI. Vediamo se è possibile introdurre un minimo di pacatezza, che in molti interventi non è certamente mancata. Un detto sostiene che grida forte chi dispone di un pensiero debole.
Vorrei rivolgere innanzitutto una precisazione al collega Zacchera. Motiverò poi la ragione della mia puntualizzazione.
Il Corriere della sera non riferisce che il dottor Marco Garatti sia coinvolto nel sequestro, perché la parola «coinvolto» potrebbe significare l'attribuzione di una responsabilità. Il Corriere della sera, il controllo delle cui fonti a me sfugge, sostiene che il dottor Garatti abbia partecipato alle iniziative per la liberazione dell'ostaggio Torsello.
C'è una storia - lo ricordava prima bene la collega D'Antona - di dolore e di sofferenza, che investe tanto i soggetti che oggi sono sottoposti a detenzione, quanto le loro famiglie, alle quali auspico che il personale del Ministero e le nostre autorità possano fornire informazioni nella misura di un'attitudine riservata e prudente, anche perché mi pare di poter sottolineare, per alcuni contatti che ho avuto anche personalmente, che le famiglie hanno mantenuto una misura di grande dignità e compostezza e non hanno replicato ad alcune affermazioni.
Chiuderò subito questo aspetto del mio intervento, perché ritengo che non si debba esacerbare la polemica politica, in vista di un rafforzamento dell'impegno unitario di tutti per il raggiungimento della libertà dei nostri connazionali.
Le famiglie hanno mantenuto un atteggiamento di riservatezza, misura, equilibrio e compostezza di fronte a talune affermazioni riportate dalla stampa, quindi sempre da vagliare con il beneficio d'inventario, che vengono attribuite a esponenti del Governo italiano.
Anch'io ho apprezzato la misura dell'intervento del Ministro oggi, perché, dal punto di vista delle parole sue e riferite dai giornali, mi pare di poter rilevare uno slittamento di posizione che personalmente apprezzo.
Conosco personalmente il dottor Garatti da moltissimi anni. Sono stato sindaco della sua città e, quindi, posso esprimere parole consapevoli di apprezzamento del suo impegno medico-umanitario. Un rimprovero che forse mi sento di rivolgere alla relazione del signor Ministro è che non abbia manifestato un giudizio, che certamente vale per il passato e vale dal passato al presente, su oltre dieci anni di attività medico-umanitaria del gruppo degli operatori che oggi si trovano in questa situazione.


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Il dottor Garatti è un validissimo chirurgo, uomo di ispirazione cristiana e personaggio vocato a una missione umanitaria, che espleta con grande coerenza e linearità. Lo posso testimoniare personalmente.
Credo che, nel giudizio che il nostro Governo deve farsi in ordine ai soggetti dei quali si tratta, la valutazione dell'operato di questi operatori umanitari non debba essere sottaciuta o restare marginale, perché le storie delle persone, le loro biografie documentano e testimoniano di un profilo, di un'identità.
Concludendo, vorrei chiedere al signor Ministro due precisazioni e poi alcune osservazioni di carattere interpretativo.
Premetto che la sua esposizione è stata ricca di dati. Apprendo, per esempio, contrariamente a quanto riportano i giornali, che i nostri tre connazionali oggi si trovano a Helmand e non sono ancora stati trasferiti a Kabul. I giornali affermano esattamente il contrario. Le pongo due interrogativi.
Da chi l'ambasciata italiana ha appreso ed è stata informata dell'avvio della perquisizione? Il signor Ministro - ho preso appunti, molto diligentemente - sostiene che l'ambasciata contatta successivamente l'autorità afgana, la quale riferisce dell'intervento delle forze di sicurezza. Qual è il soggetto che informa l'ambasciata italiana? Questa è la prima domanda.
La seconda domanda è già stata sollevata dal collega Tempestini. Si dice che dei tre nostri connazionali oggi sottoposti a limitazioni di libertà uno probabilmente potrebbe essere liberato nelle prossime giornate. Questo dato fa pensare a una valutazione diversa in ordine alla supposizione delle responsabilità o va ricondotto a motivazioni che mi sono assolutamente sconosciute? Questi sono i due interrogativi.
Non si tratta solo di procedere all'accertamento dei fatti, ma si pone anche il problema della loro interpretazione. In merito, vorrei sollevare alcuni interrogativi rispetto ai quali vorrei conoscere la posizione del Governo, premesso che non nutro alcun pregiudizio o prevenzione valutativa.
Formulo la prima domanda. Non c'è dubbio, e tutti i colleghi lo hanno rilevato, che si tratta di evocare la necessità dell'utilizzazione del codice di procedura penale ad interim.
Le autorità afgane - e questo è un problema di natura politica - vengono ritenute dal nostro Governo assolutamente affidabili? Anche da autorevoli esponenti del nostro Governo, e non soltanto da esponenti dell'opposizione, il giudizio sulle autorità afgane, su quelle autorità afgane, ma sullo stesso Governo Karzai è estremamente oscillante.
I giornali, signor Ministro, riferiscono in modo quasi univoco di un atteggiamento molto critico e polemico dell'ambasciatore britannico nei confronti della presenza italiana in Afghanistan. Se questo elemento fosse vero è, in qualche misura, riconducibile all'altro interrogativo che va riconnesso alla presenza, per lo meno ambigua, delle forze britanniche nella vicenda. Non c'è forse una scarsa considerazione del ruolo dell'ambasciata italiana e del Governo, che sono informati a posteriori?
Infine, ripeto l'interrogativo che poneva il collega Cabras circa il ruolo dell'intelligence italiana presente in Afghanistan, la quale certamente aveva una sua valutazione dell'operato di Emergency, di quello specifico ospedale e di quegli specifici operatori.
Concludo con un'ultima testimonianza. Domenica mattina ho chiamato l'ambasciata italiana a Kabul e sono stato tranquillizzato circa la considerazione di cui gode il dottor Garatti e l'impegno anche per questa ragione profuso dal personale diplomatico.
Le notizie, di cui l'ambasciata dispone, sono notizie di cui dispone anche l'intelligence oppure no?

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Molto brevemente, proverò a porre tre


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domande di natura politica, una richiesta di precisazione e una piccola e marginale osservazione.
Il Ministro ci richiama giustamente a non politicizzare questa vicenda. Vorrei però provare a mettere in fila i fatti per come si sono verificati. Il giorno prima dell'arresto dei nostri tre operatori in Afghanistan, il sottosegretario Giuseppe Cossiga, rispondendo a un'interrogazione a prima firma Parisi e sottoscritta anche da me, rispetto alle dichiarazioni che Gino Strada aveva fatto in una trasmissione televisiva, accusando le forze ISAF di aver ostacolato l'accesso dei feriti agli ospedali, diceva - cito testualmente - «le parole di Gino Strada sono ingiustificate e offensive».
Il giorno dopo avviene l'arresto e quello stesso giorno Gasparri, La Russa e Mantica, sottosegretario al Ministero degli esteri, sostanzialmente offrono una versione dei fatti che, lungi dall'essere la scala dei princìpi che lei oggi ci ha ricordato - in primo luogo sono italiani, in secondo luogo siamo un Paese amico e infine deve emergere la verità - rovescia la scaletta: scompaiono i primi princìpi a cui lei ha fatto riferimento e si lascia insinuare il dubbio - credo che sostanzialmente siano queste le parole testuali di Mantica - che «Emergency fa troppa politica».
Sostanzialmente - continuo io, con deduzione logica - se la sono un po' cercata. In tutto questo manca, ed è mancata fino ad oggi, una chiara parola del Governo italiano sulla sua valutazione dell'attività di Emergency in Afghanistan e in particolare in quella regione. Le chiedo, per cortesia, di colmare questa lacuna, anche perché abbiamo sentito, da parte dei parlamentari della maggioranza, parole che colmano questa lacuna, ma non in senso positivo.
In secondo luogo, le chiedo qual è il pensiero del Governo italiano sul ruolo futuro che Emergency dovrà o potrà svolgere nel Paese, in particolare sulla eventuale riapertura dell'ospedale nell'area. Sappiamo benissimo che questo è un punto strettamente collegato alla valutazione dell'operato di quell'ospedale fino ad oggi e risponderebbe in modo abbastanza inequivoco alle accuse che Gino Strada sta muovendo in questi giorni, ovvero che l'obiettivo principale era quello di far chiudere l'ospedale, obiettivo che è stato raggiunto. Qual è la posizione del Governo italiano al riguardo?
Infine, l'onorevole Nirenstein dice che evidentemente non siamo in grado di imporre niente. Ascoltando le sue parole, «imporre» mi sembra un eufemismo. Lei dice, nell'ordine, che ha inviato con urgenza - ovvero questa mattina - l'ambasciatore Iannucci con un messaggio. Ora, in un Paese del G8 inviare con «urgenza» un ambasciatore quattro giorni dopo credo sia un eufemismo. Dice, inoltre, che non si conoscono le accuse, che non è stato contattato un avvocato, che lei non è soddisfatto delle risposte ottenute dalle autorità afgane, che l'ambasciata italiana è stata avvisata soltanto dopo l'avvio dell'irruzione, che addirittura avremmo «ottenuto un incontro con il Ministro dell'interno». Ora, noi abbiamo circa tremila militari nell'area, abbiamo lavorato alla nuova stesura del codice di procedura penale e siamo un Paese amico. Se questo è il modo in cui le relazioni tra Paesi alleati e amici si svolgono, mi chiedo se non siamo in grado o se non vogliamo ottenere niente.
Lei ha riferito un elemento che mi risulta nuovo, da quello che ho letto fino a oggi, ovvero che i tre non erano presenti nell'ospedale, ma ricercati. Credo che ciò aggravi ancora di più la lacuna che lei oggi ci ha rappresentato, di cui non possiamo dubitare, visto che lei ce l'ha comunicato in una sede ufficiale come questa. Mi riferisco al fatto che le autorità italiane, militari o civili, non avevano idea di che cosa stava per succedere. Se tre cittadini italiani sono ricercati da una forza di sicurezza di un Paese in cui siamo presenti, sia con la diplomazia, sia con un intervento militare e civile, e non ne siamo al corrente questo è un fatto grave e serio.
Svolgo un'ultima, piccolissima osservazione. Mi immedesimo nelle famiglie dei tre arrestati e mi chiedo, relativamente al suo riferimento al fatto che uno solo di


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loro tre potrebbe essere liberato nei prossimi giorni, come possano sentirsi in questo momento, pensando a quale di loro potrebbe essere liberato in questi giorni.

MARCO PERDUCA. Intervengo sull'ordine dei lavori. Vorrei soltanto far presente che in Senato si comincia a votare tra pochi minuti. Non che ci sia stato tolto il tempo per parlare, ma sarebbe stato interessante anche poter assistere di persona alla replica del Ministro.
Se in futuro dovessimo avere questo tipo di necessità di interazione con il Governo, sarebbe bene tener presente l'ordine del giorno di entrambi i rami del Parlamento.

PRESIDENTE. Dovremmo senz'altro trovare la maniera di contingentare i tempi.

ALBERTO MARITATI. La ringrazio, presidente, per avermi dato quest'opportunità.
Signor Ministro, ho pochissimo tempo, ragion per cui mi limiterò a un flash.
Le confesso sinceramente che nella prima fase ho avuto un atteggiamento critico verso il suo comportamento, verso ciò che aveva fatto e forse verso ciò che non aveva fatto. Oggi, di fronte a una sua relazione, che definisco accettabile sotto molti punti di vista, devo però formularle una richiesta.
Siamo innanzitutto non davanti a criminali accusati di spaccio di droga, di altri reati comuni o anche di delitti ripugnanti, ma a cittadini italiani che fanno parte di una struttura che viene riconosciuta da tutti. Non intendo adesso entrare nel merito, perché sarebbe un errore tentare di celebrare un processo ora. Sostengo solo che nello scenario afgano tutto è possibile.
Partiamo da un dato di fatto. L'Afghanistan è un Paese sovrano, che si sta formando, ma che, per realizzarsi dal punto di vista della democrazia, ha chiesto l'ombrello della comunità internazionale, di cui fa parte l'Italia. Credo che non possiamo chiedere privilegi, perché ciò va contro il nostro diritto e la nostra cultura giuridica. Possiamo, però, chiedere con forza - è questa la mia richiesta - che un Paese come l'Afghanistan, che, per nascere e rafforzarsi democraticamente, chiede l'intervento delle forze internazionali, di questa comunità internazionale non possa ignorare i princìpi essenziali, a cui lei stesso ha fatto riferimento, dal momento che ha chiesto e sta chiedendo, come Governo italiano, un team.
Credo che si debbano esplicitare questi due punti. Occorre un team di indagine di investigatori comuni. In Europa abbiamo già le squadre comuni, quindi è un istituto di diritto internazionale chiedere, oserei dire pretendere, che accettino i nostri investigatori a fianco ai loro e che nel collegio difensivo ci siano non solo avvocati afgani, ma anche italiani.
Questi due momenti sono gli unici che ci potranno consentire di sviluppare e di rendere possibile l'accoglimento della richiesta che il Governo italiano deve avanzare in maniera forte e autorevole. Devono celebrare il processo, perché il processo si celebra in tutti i Paesi civili, ma nel rispetto dei diritti fondamentali contenuti nelle carte e nei trattati internazionali, che l'Afghanistan, sebbene non li abbia sottoscritti, non può rifiutarsi, per le ragioni esposte, di rispettare.

SIMONETTA RUBINATO. Voglio soltanto evidenziare la personalità del terzo nostro connazionale. Non faccio parte della Commissione affari esteri, ma sono stata interessata dai familiari. Anche in questo caso, per quello che mi è stato riferito - non lo conosco personalmente - credo, e mi pare di averlo sentito anche dai rappresentanti della maggioranza, che vada dato riconoscimento con fermezza al lavoro umanitario che questi connazionali svolgono, al di fuori di ogni strumentalizzazione politica.
Lo stesso Matteo Dell'Aira, per quello che mi riferiscono, è persona disinteressata addirittura alle nostre questioni politiche interne e, in particolare, teneva un diario in cui si occupava di relazionare sulla situazione drammatica dei bambini feriti e curati.


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Volevo evidenziare anche un aspetto. Il particolare, riferitoci dal Ministro e già evidenziato dalla collega Mogherini Rebesani, per cui i nostri tre connazionali non erano in ospedale, ma si sono recati sul posto durante l'ispezione per essere stati chiamati depone per il fatto che vi si sono recati con la beata ingenuità di chi ritiene di non avere nulla da nascondere o tutto da poter spiegare.
Il Governo, anche per tutto quello che è stato detto, nonché per questa circostanza che ho risottolineato, può fare molto. Noi lasciamo questa audizione con la consapevolezza che il Governo può fare molto e, quindi, deve fare molto.
Concludo con un appello al Ministro Frattini, richiamando tutte le considerazioni della collega D'Antona, affinché lui stesso o qualcuno dei suoi più stretti collaboratori si metta in contatto con le famiglie. Mi risulta, infatti, che non tutte le famiglie siano state contattate o abbiano avuto la possibilità di ricevere notizie di prima mano da un autorevole rappresentante del Governo. È un appello forte quello che le rivolgo.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto, oltre a porre domande alle quali cercherò di rispondere rapidamente, portare anche un contributo positivo alla discussione. Inizierò col sintetizzare alcuni punti che ho sentito emergere. Poi vi sono le domande specifiche alle quali, ovviamente, risponderò.
Mi rammarico con forza - sono abituato a parlare con sincerità - che vi siano stati da parte di alcuni parlamentari toni che hanno dato l'impressione di una politicizzazione, che molti colleghi hanno, invece, sottolineato come necessario evitare. Lo dico con grande chiarezza. Dichiarazioni fuori di questo Parlamento, anche di Gino Strada, al quale ho parlato personalmente, in cui si muovono accuse gravi agli Stati Uniti, alla NATO, all'ISAF, a Karzai, non aiutano la nostra azione diplomatica.
Voi sapete che il Presidente Karzai, in questo momento, come qualcuno, credo l'onorevole Nirenstein, ha ricordato, sta attraversando una fase di particolare durezza nei suoi rapporti con l'Occidente. Sapete che ha incontrato recentemente il Presidente degli Stati Uniti, con il quale vi è stato uno scambio di idee che i diplomatici definiscono franco e sincero e che non vi è stato un comunicato stampa congiunto.
Credo che oggi coloro che hanno adombrato l'ipotesi che noi si possa andare sul posto, quasi si fosse i dominatori dell'Afghanistan, a spazzare via le leggi e imporre la nostra regola, commetterebbero un errore che io non commetterò.
Quali sono le idee che sono emerse, che io avevo espresso e che, ovviamente, saranno oggetto del prossimo lavoro del Governo, che continuerà in queste ore?
La prima è vigilare scrupolosamente sul rispetto integrale delle leggi afgane in vigore e non della legge italiana. Sono leggi che ci possono piacere o non piacere, ma sono quelle che vigono in un Paese sovrano. Noi dovremo ovviamente far sì che esse vengano rispettate. Sono convinto che l'aver indicato subito tre avvocati afgani, che sono già in contatto con i familiari dei tre italiani arrestati, sia stata l'azione migliore da compiere.
Raccolgo la preoccupazione del senatore Maritati. Ci possiamo mettere anche avvocati italiani, inglesi o francesi, ma presentarsi anzitutto con tre bravi avvocati afgani è quello che occorreva ed è ciò che abbiamo fatto. Ne aggiungeremo altri; non ci saranno problemi e non ci saranno divieti certamente da parte delle autorità afgane.
Il secondo punto che traggo da questa riflessione è quello delle azioni diplomatiche a tutto campo. Ho sentito molti deputati e senatori che hanno ricordato tali azioni, chiedendo di fare altro e di più. Le azioni diplomatiche sono volte a ottenere non un privilegio, ma un riconoscimento, come ricordato dal senatore Maritati, il doveroso rispetto delle regole che si deve a un Paese amico.


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Molti hanno ricordato che abbiamo tremila uomini in Afghanistan, ma ciò non giustifica il conoscere in anticipo un'investigazione di polizia.
È stato chiesto di sapere chi ci ha avvertiti. Ci hanno avvertito i servizi di sicurezza afgani e lo hanno fatto mentre l'azione stava iniziando, non una settimana prima.
I nostri connazionali non erano ricercati, come qualcuno ha erroneamente riferito, ma erano fuori dall'ospedale e sono stati cercati perché vi si recassero, come hanno fatto.
Francamente, noi non abbiamo il diritto di conoscere preventivamente un'azione investigativa di polizia, ma abbiamo oggi il diritto di seguirla, anche se l'idea che io abbia proposto, ottenendone il consenso, un team comune di investigazione - il senatore Maritati ha ripreso l'argomento; l'ho già chiesto e il Ministro Rassoul si è dichiarato d'accordo - non è un'iniziativa che si concede normalmente.
Credo che se un qualsiasi altro Paese, diverso dall'Afghanistan, chiedesse un team investigativo congiunto che operasse in Italia per un'investigazione su cittadini non italiani, avremmo alcune difficoltà a concederlo. Gli afgani si sono dichiarati d'accordo; si fidano di noi ed è giusto che lo facciano.

FURIO COLOMBO. Scusi, Ministro, può precisare il termine «ricercati»?

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Non mi sono spiegato bene e lo ripeto ancora una volta: sono stati cercati perché non erano nell'ospedale quando l'azione è iniziata.
L'altro punto di cui ho già parlato e che alcuni di voi hanno ribadito è che occorre che nel lavoro investigativo si rispettino i princìpi essenziali. Ho già ricordato quali sono i princìpi essenziali che sono propri anche dell'ordinamento afgano, ivi compresa la presunzione di innocenza. È chiaro che noi chiederemo, e abbiamo chiesto, che essi siano osservati.
È evidente che non possiamo tenere noi il processo, ma che dobbiamo seguire le attività investigative da parte di chi detiene la titolarità di questa indagine. Nei primi quindici giorni la funzione non spetta a un procuratore, ma al NSD. Dopo quindici giorni, spetta a un procuratore, il quale ha ulteriori quindici giorni per decidere se rinviare o non rinviare.
È stato chiesto di informarsi e di tenere contatti continui con ISAF e con gli alleati della coalizione. Lo ribadisco ai parlamentari che hanno sollevato il tema: non l'ho sottolineato nella mia introduzione, ma è evidente che questi rapporti sono stati tenuti e che le informazioni sono state richieste. È evidente, altresì, altrimenti ve l'avrei riferito, che l'ISAF ci ha risposto di non avere avuto informazioni preventive sull'avvio di questa operazione.
Torno al tema del contingente britannico. Credo che tutti sappiate che Helmand è sotto controllo britannico per quanto riguarda la sicurezza. Il team è stato impiegato non per trattare gli esplosivi, ma per disinnescarli; è stato chiamato dalle forze afgane per disinnescare gli esplosivi trovati nell'ospedale. Non si tratta di un'attività né di polizia, né investigativa, ma di un'attività che una squadra ISAF britannica di artificieri ha compiuto dopo che la perquisizione era stata effettuata, a seguito del ritrovamento di tali materiali. Anche questo è un punto assolutamente chiaro.
Mi è stato chiesto da alcuni...

FURIO COLOMBO. C'è un filmato che lo nega, Ministro!

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Il filmato mostra militari con divise ISAF...

FURIO COLOMBO. Entrano insieme.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. I militari con divisa ISAF entrano ovviamente insieme nel luogo dove erano già stati trovati i materiali, a seguito della fase di perquisizione operata dalla polizia afgana. Erano stati chiamati in supporto come artificieri, ed entrano ovviamente nei locali, poiché i materiali


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erano stati trovati dentro i locali. Lì dentro dunque si doveva necessariamente entrare per poterli disinnescare.
Alcuni membri delle Commissioni hanno chiesto che ci siano informazioni costanti alle famiglie. Voi avete contatti con familiari dei tre connazionali, ma avete forse scarse informazioni, perché sono stati tutti contattati dall'ambasciata italiana a Kabul e sono in costante contatto con la nostra ambasciata.
Personalmente ho anche parlato al telefono, proprio questa mattina, con il padre di uno dei nostri connazionali. Comunque, saranno rese costanti informazioni alle famiglie anche sull'andamento delle indagini. Non è vero, dunque, che non li abbiamo contattati e che non sono stati posti in contatto con l'ambasciata. Lo ripeto, uno di loro ha parlato direttamente con me.
Alcuni di voi mi hanno chiesto qual è la mia valutazione su Emergency. Forse non sono stato sufficientemente chiaro o non ho parlato a voce sufficientemente alta. A pagina 11 del mio rapporto - questa volta l'ho letto, come raramente faccio - ho ricordato l'interesse e l'importanza di Emergency, che svolge in quel Paese un'azione umanitaria importante, in un contesto particolarmente difficile. Questo è quello che ho detto di Emergency.
Voi forse avete un'idea - spero di sì - di quanto sostegno il Governo italiano e il Ministero degli affari esteri diano a Emergency in tutti i Paesi del mondo in cui opera. È falso, dunque, che non abbiamo considerato il ruolo di Emergency. A un certo punto, bisogna anche parlare di questioni di fatto.
Concordo con la senatrice Bonino che sia necessario, in un momento diverso da questo, ragionare sulle prospettive della presenza internazionale e su che cosa noi vogliamo dal Governo afgano per marciare rapidamente verso la stabilizzazione dell'Afghanistan.
L'onorevole Tempestini ha posto una domanda sull'informazione. L'informazione, come ho detto alle 13,30, è contemporanea e non successiva. L'abbiamo saputo, come ho già detto, dalle forze di sicurezza del NDS afgano.
Il dato relativo alla diversità delle posizioni che starebbe emergendo tra i tre indagati è un riferimento del Ministro dell'interno dell'Afghanistan, che non è entrato nei particolari, trattandosi di una vicenda ancora seguita direttamente dai servizi di sicurezza. Il Ministro lo ha detto a noi. Onorevole Corsini; questo è evidentemente il segnale che vi è un'azione investigativa in corso.
Per quanto riguarda gli interrogatori, sono d'accordo con chi ha posto il problema. Nell'ambito delle garanzie fondamentali che chiederemo, ci sarà quella di ripetere gli eventuali interrogatori già compiuti alla presenza degli avvocati difensori. Questo è un principio che credo si debba rispettare.
Certamente, non abbiamo oggi la possibilità di disporre degli elementi di prova, dal momento che tali elementi non sono stati formalizzati a noi, e questo perché siamo in una fase dell'istruttoria che è condotta, come ho già detto, direttamente dai servizi di sicurezza. Sono certo che sarà diverso nel momento in cui gli avvocati difensori prenderanno notizia e coscienza dei capi di imputazione, che ho ripetuto a voi. Avrei potuto non farlo, ma mi è sembrato opportuno farlo, in quanto così mi sono stati descritti dal Ministro dell'interno e dal Ministro degli affari esteri e così ho ritenuto di descriverveli esattamente come loro li hanno riferiti a noi. Non credo che siamo oggi, né io né nessuno di voi, in grado di emanare la sentenza o di trarre le conclusioni. Dobbiamo assolutamente parlare di garanzie.
Rispondo all'onorevole Tempestini: ho già detto che l'ISAF ci ha riferito con grande chiarezza che non erano a conoscenza dei fatti. Abbiamo fatto anche una verifica NATO tramite l'Ambasciatore Stefanini a Bruxelles. Su questo punto, alla domanda posta da qualcuno sulla ragione della presenza degli inglesi, rispondo che Helmand è zona di responsabilità britannica


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e questa è la ovvia ragione per la quale c'erano gli inglesi e non, ad esempio, gli italiani.
Mi riservo di tenere informato il Parlamento su tutti questi argomenti. Mi permetto di ribadire, alla chiusura di questa mia replica, che evidentemente la posizione da molti sostenuta - da ultimo dal senatore Maritati, dall'onorevole D'Antona, dall'onorevole Corsini - di riflettere su questa materia con pacatezza e obiettività è l'unico modo che aiuta il Paese a fare il suo dovere per le garanzie dei tre connazionali.
Noi per questo vogliamo lavorare. Se il sistema Paese comincia oggi a disquisire sul ritiro dall'Afghanistan, sugli errori di Karzai, sugli attacchi alla NATO, questo non aiuta l'azione volta al rispetto pieno delle nostre posizioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Frattini e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17.

III Commissione (Affari esteri e comunitari)

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