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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)
32.
Martedì 20 novembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

Audizione del Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, sui recenti sviluppi della questione israelo-palestinese, con particolare riferimento alla crisi di Gaza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 3 7
Narducci Franco, Presidente ... 19 22
Amoruso Francesco Maria (PdL) ... 13
Boniver Margherita (PdL) ... 18
Colombo Furio (PD) ... 19
Evangelisti Fabio (IdV) ... 12
Frattini Franco (PdL) ... 7
Galli Daniele (FLpTP) ... 12
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 16
Pistelli Lapo (PD) ... 14
Tempestini Francesco (PD) ... 8
Terzi di Sant'Agata Giuliomaria, Ministro degli affari esteri ... 3 19
Volontè Luca (UdCpTP) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 20 novembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, sui recenti sviluppi della questione israelo-palestinese, con particolare riferimento alla crisi di Gaza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, del Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, sui recenti sviluppi della questione israelo-palestinese, con particolare riferimento alla crisi di Gaza.
Saluto il presidente della Commissione esteri del Senato, Lamberto Dini, e tutti i presenti. Ringrazio il Ministro Terzi per aver tempestivamente accettato l'invito delle Commissioni a riferire sulla drammatica situazione in atto in Israele e nei territori palestinesi, anche alla luce delle determinazioni assunte ieri in sede europea. Prego i rappresentanti dei gruppi di far pervenire fin d'ora alla Presidenza le iscrizioni a parlare.
Do la parola al Ministro Terzi per la sua relazione.

GIULIOMARIA TERZI di SANT'AGATA, Ministro degli affari esteri. La ringrazio molto, presidente Stefani. Rivolgo un cordiale ringraziamento al presidente Dini per la sua partecipazione e ai parlamentari presenti. Ho risposto immediatamente alla richiesta di riferire in Commissione sulle vicende difficili e dolorose, innanzitutto per le vittime, che si stanno verificando a Gaza.
Per me e per il Governo questa è, però, anche un'occasione molto importante di confronto e di ascolto delle sensibilità del Parlamento. Lo è sempre, ma lo è ancora di più in una situazione nella quale ci troviamo esposti, Italia, Unione europea e, in genere, tutti i Paesi del Mediterraneo e della regione, a potenzialità destabilizzanti di questa crisi, le quali sono ancora ben maggiori di quelle, pur gravi, che abbiamo vissuto con l'operazione «Piombo fuso», generata a sua volta da attacchi missilistici unilaterali da parte di Hamas quattro anni fa.
Il riaccendersi del confronto armato tra Hamas e Israele è, però, diverso da quello che abbiamo vissuto quattro anni fa, non tanto per la genesi, che è stata innescata, come accennavo, anche questa volta da Hamas e dalla Jihad islamica a Gaza, quanto per l'entità di questi attacchi, per la qualità superiore delle armi impiegate, alcune delle quali, quelle più sofisticate, di chiara provenienza iraniana, e soprattutto perché è mutato radicalmente il quadro politico, cioè il contesto di fondo, che pure era stato caratterizzato da una grande fragilità e da una risposta emotiva forte.


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Quattro anni fa, alla fine del 2008, io ero Rappresentante permanente alle Nazioni Unite e ho avuto modo di vivere l'emozione e la rabbia del gruppo arabo nel portare a compimento in Assemblea generale una risoluzione il cui negoziato è stato estremamente difficile.
Il mio predecessore, Franco Frattini, ha vissuto la stessa esperienza alla guida della Farnesina, ma adesso la situazione che si è generata con le primavere arabe e con società che sono più libere di manifestare e far sentire la loro voce, e che per molto tempo non hanno vissuto la realtà del confronto e delle difficoltà del negoziato fra Israele e Autorità palestinese come la principale delle loro preoccupazioni, rischia di rifocalizzare completamente la sensibilità di tali società e le loro tensioni su questo aspetto.
Credo che non sia lontano dal vero quanto ha scritto oggi il New York Times nell'analizzare questi sviluppi, ossia che c'è stato un gesto preordinato da parte di Hamas nel lanciare questa massiccia offensiva missilistica alcune settimane fa. Dico «preordinato» nel senso di orientato a riacquistare il profilo alto nel mondo palestinese e arabo, addirittura in un momento in cui lo stesso Presidente Abu Mazen sta cercando di muovere una difficoltosissima e controversa operazione diplomatica e politica alle Nazioni Unite basata sul riconoscimento da parte dell'Assemblea generale di una statualità dell'Autorità palestinese. Questo sospetto sorge spontaneo, perché gioca sugli equilibri interni all'Autorità palestinese stessa.
Per tornare alle vicende concrete, è indubbio che Israele sia stata aggredita con gli ordigni lanciati dalla Striscia e ha reagito con l'eliminazione del comandante di Hamas, Jabari.
La controrisposta è avvenuta soprattutto tra il 10 e il 12 novembre con altre centinaia di ordigni e il Governo israeliano è ormai sul confine di una possibile operazione terrestre, che si prevede estremamente sanguinosa, se dovrà essere lanciata.
I danni in termini di vittime sono già gravi; i palestinesi lamentano una novantina di vittime e 700 feriti, gli israeliani tre vittime e 50 feriti. Gli israeliani sono stati protetti in buona misura dalla difesa aerea Iron Dome che ha intercettato diverse centinaia di missili, ma per la prima volta le periferie di Tel Aviv e di Gerusalemme sono state colpite dai missili Fajr di fabbricazione iraniana.
Insieme all'impegno di fare il possibile e di influire positivamente sulle parti per arrivare a un cessate il fuoco con una serie di altri Paesi - la diplomazia italiana, il Presidente Napolitano, il Presidente del Consiglio e io stesso siamo stati molto attivi durante le ultime 72 ore per cercare di sostenere una dinamica che mirasse all'introduzione del cessate il fuoco - la nostra prima preoccupazione come sempre in questi casi è andata agli italiani volontari che operavano nell'ambito di attività di organizzazioni non governative, una decina di persone rimaste bloccate per un paio di giorni, che poi siamo riusciti a far partire.
Gli Stati Uniti, molti Governi europei e l'Alto rappresentante dell'Unione europea hanno esplicitamente indicato in Hamas il responsabile primo della crisi; abbiamo sottolineato il diritto di Israele alla difesa della propria popolazione, ma sull'altro versante la Lega Araba e i Paesi arabi hanno denunciato in termini fortemente critici (e non ci si poteva attendere diversamente) la reazione israeliana.
In queste ore l'attività è intensissima. Ieri alcuni miei contatti con i ministri riuniti al Cairo davano per estremamente probabile la conclusione di una tregua entro la nottata di ieri, ma non è stata ancora raggiunta, sebbene alcune recenti dichiarazioni del Presidente Morsi la diano invece per imminente.
Speriamo che sia una notizia confortante, anche se non buona, perché non può esserci ancora una buona notizia in un teatro di crisi così sanguinoso; speriamo che si arrivi a un consolidamento della situazione, a un congelamento delle operazioni militari.
Credo che da un punto di vista generale si confermi che con le primavere arabe le leadership regionali sono più sensibili alle


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emozioni della propria opinione pubblica, e sia questa la gravità del momento. Un prolungarsi o addirittura l'ulteriore deteriorarsi dello scontro tra Israele e Hamas avrebbe conseguenze inaccettabili sul piano politico e umanitario, ma anche serissime per la stabilità e la sicurezza dell'intera area mediterranea.
I contatti del Governo italiano hanno riguardato anche i quattro Paesi del Golfo visitati dal Presidente Monti; io ho parlato ripetutamente con il Segretario generale della Lega Araba, con il Ministro degli esteri di Israele e alcuni altri componenti del Governo israeliano, con il Ministro degli esteri egiziano, tunisino, marocchino, con il collega turco, e ho constatato come l'azione svolta dall'Italia sia stata oggetto di attenzione da parte non soltanto dei Governi, ma anche dell'opinione pubblica, come si vede dai media di queste ore.
Si comprende bene infatti quanto il nostro sia un ruolo di equilibrio bilateralmente con i Paesi che sono coinvolti in questa crisi, ma anche di equilibrio sul piano europeo nel trovare delle soluzioni e delle proposte europee che siano bilanciate e che non vengano interpretate automaticamente schierate dall'una o dall'altra parte.
Stiamo anche cercando di stimolare iniziative diplomatiche che fermino concretamente l'afflusso di armi a Gaza. Per questo, ieri, nella riunione dei ministri degli esteri a Bruxelles, ho rilanciato l'idea di preparare una missione EUBAM di controllo dei valichi. Come sapete, questa missione era stata congelata dopo la crisi che si è verificata quattro anni fa. Tuttavia, questo è il momento di ripensare seriamente a un nuovo concetto operativo più ampio e più diffuso su diversi valichi, non soltanto su quello di Rafah, che tolga alla popolazione di Gaza una motivazione di rivolta forte come è stata l'interruzione del commercio, del traffico e delle possibilità di relazione economica con l'esterno e ai movimenti jihadisti all'interno di Gaza la capacità di approvvigionamento di armi, che è infinita, come dimostra l'enorme quantità di munizioni utilizzate in questi ultimi giorni. Occorre, quindi, eliminare questa possibilità di approvvigionamento che proviene sempre più dall'Iran.
Credo che la riattivazione di EUBAM, non appena le condizioni di sicurezza si saranno consolidate, sia un obiettivo importante. È una missione che è stata tradizionalmente a guida europea. Infatti, ancora adesso è diretta da un europeo. Penso, inoltre, che questa sia anche una misura di fiducia concreta che l'Unione europea può porre sul terreno.
Le conclusioni del Consiglio affari esteri di ieri hanno sottolineato che la crisi si svolge in un contesto nel quale è necessario riaprire il dialogo fra Israele e l'Autorità palestinese verso la soluzione dei due Stati. Questa soluzione consoliderebbe, peraltro, anche la questione di Gaza. È evidente, infatti, che c'è un problema di unitarietà giuridica e politica del mondo palestinese che non può non entrare in conto quando si dovesse riaprire il negoziato. Per questo, la sensazione che molti hanno che queste operazioni militari siano nate anche da un desiderio di preminenza politica di Hamas sull'Autorità palestinese deve essere motivo per un rilancio vero e rapido del negoziato di pace.
Tornando ai contatti diplomatici, in questo momento si parla prioritariamente del cessate il fuoco, con un'operazione forse in due tempi, nella quale ci sia innanzitutto un'interruzione verificata delle operazioni militari. Occorre, però, che questa interruzione sia veramente inclusiva, cioè riguardi Hamas, Jihad islamica e anche quei gruppi frazionati che non sono strettamente nelle catene di comando di queste due entità, ma che di fatto continuano ad operare sul terreno. Successivamente, è necessario che ci sia un periodo di tempo di due o tre mesi - su questo si stava negoziando proprio ieri - nel quale si costruiscano i presupposti politici per la sostenibilità del cessate il fuoco.
Ciò vuol dire che si deve cominciare a capire quali sono i referenti all'interno di Gaza e soprattutto all'esterno, cioè quali sono i Paesi garanti. Occorre comprendere,


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per esempio, quali garanzie possono dare l'Egitto, la Turchia e gli altri Paesi della regione affinché questi episodi non abbiano a ripetersi.
Su questi aspetti, ieri, per parte nostra, abbiamo prospettato all'Alto rappresentante Ashton e al gruppo dei ministri degli esteri l'idea di una garanzia politica multilaterale nella quale potrebbero entrare, oltre ai Paesi della regione che ho menzionato, anche le entità del Quartetto e un circuito più ampio che si ricolleghi all'Unione europea e alle Nazioni Unite. In definitiva, il negoziato può avere una sua stabilità soltanto se porta a una tregua sostenibile nel lungo periodo ed è proprio su questo che il Governo italiano intende continuare ad assicurare il suo sostegno fattivo.
Vorrei ora svolgere alcune brevi considerazioni sulla questione generale del processo di pace, anche alla luce della discussione di ieri a Bruxelles.
È serio il pericolo che la crisi attuale renda sempre più marginale il ruolo dell'Autorità nazionale palestinese sia attraverso le vicende che hanno caratterizzato sul terreno questi ultimi giorni sia per un calcolo, che potrebbe rivelarsi non completamente corretto, circa l'opportunità di portare al voto il 29, o in una data successiva, una risoluzione sull'upgrading dello status.
Il Presidente Abbas è molto convinto che non si possa aspettare oltre. Qualcuno nel suo entourage motiva questo convincimento con il fatto che tra i ranghi della leadership palestinese si è diffusa una certa disperazione a causa della paralisi dei negoziati con gli israeliani. L'Autorità palestinese sta svolgendo un'incisiva azione di sensibilizzazione diretta ai Paesi amici, tra i quali l'Italia, e verso i Paesi più influenti dell'area, i cui ministri degli esteri mi hanno ripetutamente chiamato per spiegare l'opportunità che questa risoluzione sia adottata dall'Assemblea generale dell'ONU.
In seno all'Unione europea vi sono però notevoli dubbi sull'utilità di questa risoluzione o per lo meno sul fatto che essa possa essere un contributo decisivo - senza incidenti di percorso - al riavvio del processo di pace. Questi dubbi riguardano le reazioni che tale risoluzione potrebbe immediatamente provocare sul piano della risposta americana e israeliana nel finanziamento dell'Autorità palestinese. I finanziamenti necessari in questo momento ammontano a più di 600 milioni di dollari, come necessari sono i trasferimenti riguardanti le percezioni fiscali che gli israeliani traggono dall'interscambio fra i territori palestinesi e l'esterno. Questa preoccupazione finanziaria, che mi è stata sottolineata dal Primo Ministro Fayyad pochi mesi fa, è una spada di Damocle sulla sostenibilità economica dell'Autorità palestinese che potrebbe abbattersi in conseguenza dell'approvazione della risoluzione.
Il secondo aspetto riguarda l'atteggiamento americano. Nessuno dubita circa la necessità e l'urgenza che la nuova amministrazione Obama si impegni nel rilancio del negoziato di pace tra Israele e Autorità palestinese. È un convincimento che trova l'unanimità dei ventisette Paesi europei. C'è la determinazione ad avviare a Washington, sin dal 21 gennaio, un'azione mirata al coinvolgimento americano diretto e concordato, con l'appoggio dell'Unione europea. Su questo, anche attraverso i meccanismi congressuali che influiscono sull'atteggiamento dell'amministrazione, la risoluzione palestinese potrebbe avere conseguenze frenanti.
Sono tutte riflessioni che continuano a essere fatte tra i ventisette e che ieri non hanno consentito, come d'altra parte non era previsto, di arrivare a un'indicazione di voto definitiva da parte dei singoli Paesi europei. Mi pare, tuttavia, che si sia consolidato innanzitutto un principio di preferenza per il rinvio del voto della risoluzione a dopo che la nuova amministrazione americana si sarà insediata.
Si è anche confermata la necessità che l'Unione europea questa volta faccia di tutto per esprimere una posizione unitaria. Se così non fosse, inevitabilmente si cadrebbe in una tripartizione degli schieramenti di voto, dando prova di una dichiarata impotenza e irrilevanza nel processo di pace. Stiamo cercando di influire


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affinché l'Europa possa giocare da protagonista attraverso un tentativo di mediazione verso una posizione di compromesso, sulla quale mi sembra ancora prematuro esprimermi, anche se c'è una preminente tendenza, anche da parte di Paesi che nelle settimane scorse sembravano orientati per il «sì» o per il «no», di andare verso l'astensione, purché si ottenga un'unitarietà di voto da parte dell'Unione.
I nostri rapporti con gli israeliani sono molto intensi, così come quelli con i palestinesi. Avrò modo di tornare su tutti questi temi in occasione dell'incontro che avrò fra tre giorni, qui a Roma, col Ministro degli affari esteri palestinese e con quattro o cinque altri membri del Governo di Ramallah. Si tratta di una commissione governativa bilaterale che si riunisce per la prima volta e ha l'obiettivo di sviluppare e consolidare rapporti politici, ma soprattutto di portare avanti iniziative concrete di ulteriore rilancio dei rapporti economici con l'economia palestinese, la quale ha un disperato bisogno di crescere e di ricollegarsi al mondo della piccola e media impresa italiana.
Svolgeremo, quindi, una country presentation al Ministero degli affari esteri in una sede che sarà l'equivalente del vertice intergovernativo bilaterale che abbiamo tenuto alcune settimane fa a Gerusalemme, alla presenza del Presidente Monti e del Primo Ministro Netanyahu.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO FRATTINI. Ho annotato con grande soddisfazione alcuni passaggi e spunti della relazione del Ministro Terzi, in particolare la determinazione dell'Italia e del Governo italiano nel continuare a esercitare un ruolo assolutamente importante non solo come migliori amici di Israele in Europa, come l'Italia ama definirsi, ma anche come seri e onesti interlocutori, con amicizia e considerazione, verso i palestinesi.
Il fatto che il Ministro Terzi convochi la Conferenza intergovernativa che ben un anno e mezzo fa con Stefania Craxi avevamo progettato significa che si è passati a uno sviluppo estremamente concreto e importante.
Vorrei concentrare le mie riflessioni sull'Europa, l'aspetto su cui il Ministro Terzi non poteva riferire di più di quanto ha fatto, perché l'Europa purtroppo è ancora, e lo rilevo con profondo dispiacere, anche da ex commissario europeo, assente e lontana rispetto al ruolo che le viene richiesto e che l'attribuzione del Premio Nobel come attore di pace ha ancora una volta sottolineato.
Tale ruolo si esercita non se si inseguono iniziative di altri, non se si consumano stabilità e sicurezza facendole produrre ad altri, in questo caso i nostri amici americani. Le giuste riflessioni del Ministro Terzi di attendere la nuova amministrazione Obama sono il seguito di una tradizione per cui, purtroppo, ancora una volta, l'Europa insegue e l'America guida.
Quelli in oggetto sono, invece, un settore, un tema e una situazione di crisi che anche geograficamente, oltre che culturalmente e storicamente, dovrebbero vedere l'Europa come protagonista assai più forte, con posizioni equilibrate e giuste.
Utilizzo l'espressione «equilibrate e giuste» perché è evidente che l'Europa ha vissuto molti anni in cui veniva vista come il difensore dell'interesse palestinese, laddove gli Stati Uniti erano il difensore dell'interesse israeliano. In tal modo, gli americani sono rimasti gli americani, ossia la prima potenza del mondo, mentre l'Europa è stata inevitabilmente bypassata nei contatti importanti.
Da europeista iperconvinto vorrei che questo non accadesse più, e allora come mai abbiamo assistito in queste settimane e in questi giorni a iniziative e visite? Le visite non sono soltanto teatro, qualche volta sono contatto diretto importante. Ricordo la mia visita a Gaza; fu un contatto importante entrare in quel luogo di tragedia permanente, come la visita ai villaggi israeliani dove i bambini giocano


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nel sottosuolo perché fuori non possono in quanto sui parchi giochi cadono le bombe. Vedere queste cose è utile.
Abbiamo visto Ban Ki Moon e stiamo vedendo Hillary Clinton recarsi in Israele; abbiamo visto le visite direi doverose degli egiziani al massimo livello, di Paesi della Lega Araba; abbiamo sentito la voce di alcuni Paesi europei (l'Italia certamente, la Germania, la Francia), abbiamo ascoltato - lo dico con franchezza - dichiarazioni timide e banali da parte di chi dovrebbe rappresentare la politica europea di difesa e sicurezza. Quando si ci si limita a dichiarare che gli uni e gli altri debbono fare un passo indietro e fermarsi, non è una grande dichiarazione politica.
Abbiamo visto Hamas porre delle condizioni alla tregua e il Ministro Terzi ha parlato di alcune di queste. C'è un commento - ed è una domanda e una valutazione che chiederei al Ministro - su quella condizione, che mi risulta Hamas abbia posto e che spero non sia accolta, di una libera circolazione da e verso Gaza come precondizione per la tregua.
È ovvio che sarebbe una condizione impossibile da assecondare nelle condizioni attuali di sicurezza, ma - che io sappia, ovviamente - averla posta non ha sollevato alcun tipo di reazione da parte europea, e forse su questo il Consiglio dei Ministri degli esteri dovrebbe dire una parola ferma sul vulnus alla sicurezza che comporterebbe questa precondizione.
In secondo luogo, è giustissimo cercare di unire l'Unione europea, e per la mia esperienza dico che abbiamo visto troppe volte Paesi europei che votavano a favore o contro o che si astenevano su una medesima risoluzione all'ONU. Io dico che il punto più debole è che l'Europa si sta quasi acconciando a vedere due Stati palestinesi: non c'è stata una forte ribellione contro il rischio che il ruolo di Hamas porti, oltre all'indebolimento della leadership dell'Autorità nazionale palestinese, allo status quo che si consolida e che di Stati palestinesi sostanzialmente ne vede due e non più uno, anche quando lo Stato palestinese che tutti vogliamo ci sarà. Su questo punto secondo me occorre fare molto di più.
Infine, si è valutato l'impatto che le attuali vicende stanno determinando - il Ministro Terzi ne ha accennato - in un contesto di vicinato, quello dei Paesi della cosiddetta «primavera araba», che non sono più quelli dei regimi caduti, ma, come è stato ricordato, sono Paesi in cui la percezione di Israele è assai diversa? Si è pensato che probabilmente tutto questo è accaduto anche per creare una condizione che riporti al centro la questione israelo-palestinese e per poter dire: «ecco la precondizione perché il Medio Oriente sia pacificato; ce l'eravamo un po' dimenticato ma, fratelli arabi, sappiate che questo è il cuore del problema».
Possiamo riflettere se questo sia davvero dietro un'azione che di colpo, a freddo, comincia a lanciare decine di razzi contro Israele, senza oggettivamente che vi fosse una miccia da parte israeliana, come il Ministro ha ricordato, o non è per caso che si vuole rendere irreversibile la data del 29 novembre sul voto dello status di non-Member State all'Assemblea generale dell'ONU?
Non è, forse, che queste azioni puntino a questo, cioè a mettere in ombra il cammino verso la democrazia di alcuni di questi Paesi, a riportare come questione unica, o quanto meno centrale, quella israelo-palestinese e, al tempo stesso, a creare le condizioni perché non solo 120 o 130, bensì 160 Paesi votino per quella risoluzione il 29 novembre? Su questo meccanismo si è riflettuto da parte europea? In caso positivo, francamente, Ministro Terzi, pur non volendo anticipare le valutazioni che farete, mi permetto di dire che acconciarsi su un'astensione acritica è poco, perché astenersi vuol dire non decidere.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor presidente, colleghi, prendo atto con interesse delle dichiarazioni del Ministro Terzi, il quale è partito da un punto difficilmente contestabile, cioè che questa volta siamo di fronte a rischi maggiori di


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quelli che si sono appalesati nel corso della precedente crisi di Gaza, che portò all'operazione «Piombo fuso».
Siamo di fronte a rischi ben maggiori di quelli perché ci troviamo in un contesto regionale molto più complesso e molto più gravido, per alcuni versi, di pericoli. Proprio per questa ragione, penso che la risposta che dobbiamo cominciare a costruire in questo primo scambio di opinioni tra Parlamento e Governo, e poi nelle sedi che insieme reputeremo utili per fare ulteriori passi avanti, debba andare un po' oltre.
Ho ascoltato con attenzione le osservazioni e le parole che il Ministro Terzi ha usato, parlando dell'aggressione di Hamas e della risposta non proporzionata di Israele. A questo proposito, mi pongo una domanda molto spontanea. Stando ai rischi di una situazione come quella che abbiamo di fronte, con le questioni dell'Iran e della Siria, pensiamo davvero che la soluzione passi attraverso una puntuale - e magari anche condivisibile - individuazione delle responsabilità? Su questo piano, ci sarebbe tanto da dire, ma non voglio neanche toccare l'argomento perché si presterebbe a tante sfaccettature.
Oggi, un giornale faceva un elenco tutt'altro che improvvisato di come certe azioni sul terreno siano state usate nel corso degli anni da Israele quando c'era la campagna elettorale. Personalmente, sono propenso a credere che al fondo ci sia un'idea di indirizzare le nuove realtà del Medio Oriente da una parte o dall'altra, in una sorta di prova di forza che è ad altissimo rischio. Per questo, credo non sia corretto rifugiarsi in questa discussione su chi è l'aggressore o l'aggredito, in un territorio nel quale abbiamo assistito per anni alla ripetizione di un copione che non ci ha portato avanti neanche di un passo.
Il punto è che siamo di fronte alla necessità di riaprire un ragionamento e un progetto. Giustamente, l'onorevole Frattini ha detto che non possiamo aspettare l'America. L'Europa non può aspettare l'America. Tuttavia, il paradosso di questa situazione - lo dico con molta semplicità - è che l'America aspetta Israele, cioè siamo avvitati in una condizione nella quale tutti gli interlocutori si rendono conto che questa strada non porta da nessuna parte. Se non c'è la ripresa di una vera azione tendente a costruire uno sbocco politico, in un contesto più grave di quello precedente, la situazione rischia di essere senza uscita.
Porto molto rispetto per un Paese che è nostro migliore alleato e tale deve rimanere. Ma con i migliori alleati bisogna parlare con parole di verità, parole di verità che mi portano a dire che non aver fatto nulla nel corso di questi anni, o anzi aver fatto esattamente il contrario, per portare avanti il processo di pace con l'unico interlocutore che rappresenta una speranza e una voce laica nel contesto mediorientale è stato un errore.
Non si può dire, come fa oggi in un'intervista a un giornale italiano l'ambasciatore israeliano, che l'Autorità palestinese è stata cacciata dalla striscia di Gaza e che la ANP si rifiuta da quattro anni di sedersi al tavolo del negoziato e poi va a chiedere di essere riconosciuta all'ONU. Questa purtroppo non è la storia di ciò che è accaduto da quelle parti. La storia è diversa. Io sposo completamente l'approccio europeo di Franco Frattini, ma questa iniziativa italiana deve partire dall'idea che si tratta di una politica senza sbocchi, che come traguardo ha solo quello di una confrontazione con l'Iran, il quale Iran peraltro non può essere escluso dal dialogo.
Come ho già detto al Ministro Terzi in un'altra occasione, la politica deve riprendere. L'Iran è un interlocutore di quel territorio. Naturalmente non bisogna fare alcun passo né a lato né indietro rispetto alle questioni che lo riguardano, ma occorre offrire anche a questo Paese una prospettiva diversa. L'Europa è intenzionata a dare qualche segnale che indichi una strada in grado di rimettere al centro il processo di pace o dobbiamo rassegnarci, come è accaduto in questi anni, a vederci sfilare di fronte le cose, pur sapendo che il clima è completamente cambiato


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e che il potere di Hamas di fare pressione sulle nuove democrazie arabe è molto pericoloso?
Sappiamo bene che la situazione egiziana è in fieri. Di fronte a tutto questo, come ci acconciamo? Soltanto con l'idea di riproporre lo schema in base a cui, oltre a una certa misura, riparlano le armi? Non dobbiamo forse aprire una discussione nuova? L'onorevole Frattini ha fatto riferimento al fatto che alle Nazioni Unite il numero di Paesi che sono intenzionati a riconoscere uno status che rappresenta un passo indietro rispetto a quello dell'altra volta è diventato quasi totalitario. L'Europa come si acconcia di fronte a tutto questo?
Lei, Ministro, dice che Abu Fayyad avrebbe sostenuto che c'è un rischio, ma è il Primo Ministro di una coalizione che si sta impegnando. Vuol dire che questo dubbio è stato fugato. Al di là di questi che possono sembrare tentativi di mascherarla, la cosa è evidente. All'inizio ho detto che non vogliamo uscire da questa riunione avendo già collocato paletti. È una discussione che colpevolmente da parecchio tempo non facciamo più e che siamo stati costretti a riprendere sull'onda dei problemi.
Penso che dobbiamo aprire una discussione nella quale credo rientri anche l'elemento del possibile atteggiamento dell'Italia e degli altri Paesi della sponda mediterranea dell'Europa.
Naturalmente siamo tutti favorevoli all'idea che l'Europa esca con un'azione di «astensione forte», se l'astensione raccoglie la totalità dei membri. Valuteremmo tale aspetto con attenzione, ma oggi, di fronte al fatto che Spagna, Francia, Grecia e Portogallo sono di avviso diverso, dobbiamo ammettere che vi è un contesto complessivamente di adesione molto larga, quasi totalitaria.
Non lo affermiamo perché ci vogliamo mettere nella fila dei buoni, intendiamoci. Il punto non è questo. Il punto è che occorre cominciare a ragionare se mandare un segnale sulla necessità di introdurre una novità nelle politiche. Lo sappiamo benissimo.
Oggi Israele è in una condizione di grande sofferenza, di grande difficoltà, e noi dobbiamo sapere che vivere in un Paese dove ormai anche Gerusalemme e Tel Aviv sono sotto schiaffo e sotto rischio, è molto difficile. Dobbiamo, quindi, mantenere intera la nostra solidarietà nei confronti di Israele, ma dobbiamo anche determinare se occorre cominciare a ricostruire un minimo di percorso politico che il Governo di Netanyahu, con tutto il rispetto, ha sostanzialmente cancellato nel corso di questi anni.
Non voglio indulgere nei ragionamenti della sinistra e dei moderati israeliani, come Kadima, i quali ci parlano di un muro che deve chiudersi completamente, che è, in fondo, il senso dell'accordo tra Lieberman e Netanyahu. Non voglio arrivare a queste conclusioni, anche perché voglio stare ai fatti. Tuttavia, i fatti ci mostrano certamente che questa strada non porta neanche Israele su una condizione reale di sicurezza.
Come ripeto, quello di oggi è un primo incontro, una prima riflessione. Noi dobbiamo sviluppare con il Governo un rapporto costruttivo, in modo tale che esso possa sentire l'opinione del Parlamento. Io ho espresso alcune opinioni. Naturalmente ciò deve essere inserito nel contesto di una riflessione collettiva, perché l'Italia deve, in Europa anzitutto, ma anche nell'ambito che ci è più caro, quello del Mediterraneo, questa volta, a mio avviso, assumere un'iniziativa adeguata ai rischi e alla gravità della situazione.

LUCA VOLONTÈ. Anch'io voglio riprendere i due primi interventi apprezzando alcune affermazioni svolte dal Ministro. Sono due interventi che condivido pienamente, rispetto ai quali voglio sottolineare le medesime preoccupazioni.
In primo luogo, con grande dispiacere noto un'assoluta mancanza di iniziativa da parte dell'Unione europea. L'hanno rilevata i colleghi Tempestini e Frattini e, in maniera molto diplomatica, pur enumerando alcuni aspetti positivi della riunione dei giorni scorsi, ne ha fatto cenno anche il Ministro Terzi.


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Si tratta di un fatto grave sul piano politico, perché l'Europa tace anche davanti al riaccendersi di un conflitto tanto carico di preoccupazioni per tutte le ragioni che sono state elencate e per altre ancora, come l'attentato di quindici giorni fa in Libano, il prosieguo della guerra in Siria e la posizione della Turchia, la quale sembrava fino a pochi mesi fa la protagonista delle primavere arabe, per poi ritrarsi in problemi interni, nonché la capofila delle opposizioni in Siria. Oggi, invece, torna protagonista con un rapporto diretto, più che con l'Autorità palestinese, ahimè, con Hamas.
In un contesto molto più grave, dunque, l'Europa tace. Sul piano politico non prendere l'iniziativa significa non fare nulla, non stare col cuore da una parte e col cervello dall'altra. Io riaffermo quanto è già stato osservato e penso, onorevole signor Ministro, che l'Italia abbia un compito storico, per la sua tradizione, e politico di grande rilievo per essere capofila di un'iniziativa europea. Non capisco perché superficialmente dobbiamo accettare che il ministro francese vada a fare una passeggiata in quei territori e tacere davanti ai silenzi imbarazzanti (non è la prima volta) del rappresentante della politica estera europea, la signora Ashton, e non presentiamo noi, visti i rapporti di amicizia che abbiamo anche con la Turchia, visti i rapporti dentro al Mediterraneo (non a nord del Mediterraneo) con gli altri Paesi, un'idea, un progetto, una strada da percorrere non solo per vanagloria del nostro Paese, ma anche per la maggiore attenzione che il nostro Paese può avere per la tradizione dei rapporti con Israele, con i palestinesi, con i Paesi del Mediterraneo. La invito a far questo, signor Ministro.
In secondo luogo, meglio essere uniti che essere divisi, assolutamente sì. Forse è meglio riflettere se valga la pena essere uniti sull'astensione oppure prendendo una scelta, perché ovviamente lei rappresenta tutti noi nei consessi internazionali ed è meglio essere visti come un blocco unico come Paesi europei che si astengono, ma sarebbe meglio che l'Europa sapesse dire come la pensa su una questione concreta, perché questa risoluzione, che pure è un passo indietro rispetto a qualche mese fa, impone una risposta, non un silenzio.
Anche qui lei sta lavorando assiduamente, intanto perché venga accettato da tutti il principio dell'unità della decisione. Spero che questa unità della decisione non sia solamente l'unità del silenzio, perché darebbe ancora più adito al fatto che sui rapporti bilaterali molti dei nostri Paesi (compresa l'Italia) sono protagonisti, ma poi il contesto europeo non riesce a essere protagonista nel Mediterraneo in una situazione così complessa di nessuna decisione politica seria.
Vi è una terza questione che ho accennato all'inizio: noi siamo tanto amici di Israele, abbiamo recuperato un rapporto di amicizia negli ultimi anni anche con la Turchia; non la voglio invitare ad andare in Turchia o in Egitto ma certamente, se lei avesse un minimo di consenso da parte degli europei, forse elaborando una qualche idea di via d' uscita, il rapporto con la Turchia potrebbe essere utile.
Tutto ciò che lei ha affermato è condivisibile: un'iniziativa europea per una missione di vigilanza sui valichi, assolutamente sì; la preoccupazione sull'aumento sproporzionato di armi nelle mani di Hamas, assolutamente sì; molto utile e attiva la diplomazia telefonica, assolutamente importante. Ritengo però, non ripetendo quello che è stato detto dagli altri colleghi, che certamente non si possa lasciare spazio esclusivamente alla diplomazia americana né tantomeno aspettare che la diplomazia americana entri nel pieno possesso del suo secondo mandato prima di muovere una qualche azione politica da parte europea e da parte italiana.
Penso inoltre che sia utile l'azione che è stata ripresa dell'incontro bilaterale Italia/Israele e Italia/Palestina, come è stato utile il viaggio di qualche settimana fa in Israele, ma proprio a seguito di questi incontri l'Italia ha elementi non di attesa dell'azione politica europea, ma di proposta di un'azione politica europea, se possibile


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in comune, se non è possibile attraverso un accordo con altri ministri autorevoli dell'Unione europea.
Non è infatti obbligatorio aspettare che la signora Ashton e l'intero Consiglio europeo siano d'accordo; la cosa importante in questo momento è che politicamente siamo protagonisti della riaffermazione di ciò che è accaduto in questi anni e non solo in queste settimane, ma anche di una via di uscita.
Ho concluso, signor Ministro. Io non ho mai creduto all'azione del Quartetto, purtroppo i risultati mi stanno dando ragione da anni; temo che il signor Blair abbia individuato il giorno della sua visita nei territori e in Israele qualche ora dopo aver saputo che la guerra era ricominciata. Forse è necessaria una riflessione sugli strumenti che la politica internazionale si è data per, purtroppo, non dare nessun apporto alla soluzione dei problemi.
È una riflessione forse più di medio periodo, ma rimanere ancorati ad alcuni totem o ad alcuni strumenti che non hanno mai dato alcuna soluzione ci impone, davanti a questa crisi che si rinnova gravemente, una riflessione non solo sull'azione politica, ma anche sugli strumenti per fare i passi avanti che tutti attendiamo.

DANIELE GALLI. Grazie, signor Ministro, della relazione. Vorrei fare qualche considerazione di stimolo. È chiaro che la politica europea, in questo contesto, è fortemente assente. L'Alto rappresentante Ashton non sta portando avanti gli interessi europei, o perlomeno della zona mediterranea, sull'area. Qualche mese fa, avevamo visto pasticci del genere nell'ambito dei territori affaccianti sul Mediterraneo. Ora stiamo verificando di nuovo la totale assenza di coesione della politica europea nell'area palestinese.
Il collega Volontè ha citato l'investimento a lei, perlomeno da parte di questa Commissione, nel perseguire una linea decisa di mediazione e di presenza dell'Europa nel contesto. Ecco, penso che questa sia una decisione opportuna, anzi uno stimolo per il Governo italiano in questo senso.
Peraltro, nella situazione attuale, si stanno praticando dei giochi che esulano dalla diatriba isreaelo-palestinese, mentre si concretizzano delle tensioni che si sono manifestate qualche mese fa nell'ambito della primavera araba e che si stanno pesantemente ripercuotendo in un contesto che sembrava essere marginalizzato dagli stessi Paesi arabi. L'affacciarsi di questa attività cruenta da parte di Hamas è un tentativo di ristabilire, nell'ambito magmatico dei Paesi arabi, degli equilibri che sono saltati. Ovviamente, si utilizza la parte più debole, più sofferente e più indifesa, rispetto alla quale, forse, gli stessi Paesi arabi non hanno volontà di arrivare a una soluzione, o la vivono con estremo fastidio.
L'Europa, però, non può permettersi questo perché ha investito moltissimo in quei territori. Non dimentichiamo che si tratta di territori sui quali è stato investito più capitale da parte dei Paesi occidentali che, forse, in qualsiasi altra area nella storia del mondo. È, quindi, nostro interesse giungere a una situazione stabile e poter perseguire un accordo fra le parti.
Quindi, il mio intervento vuole essere uno stimolo in questo senso. Signor Ministro, proporrei di giocare una partita di primaria importanza rispetto ai nostri interessi nazionali. Riguardo agli interessi europei, possono essere messi da parte, se non si assecondano i nostri.

FABIO EVANGELISTI. Devo dire che alcune mie considerazioni, se non superate, sono largamente condivise o condivisibili, soprattutto per quanto riguarda l'Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza, Catherine Ashton, che si risveglia dal letargo, si dice molto preoccupata per la perdita di vite innocenti da entrambe le parti e sostiene che occorre una soluzione di lungo periodo che porti pace e sicurezza alla gente di quella regione.
Se non ricordo male, l'Unione europea ha ottenuto il premio Nobel per la pace.


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Forse, sarebbe il caso di onorarlo meglio. Tuttavia, al tempo stesso, dopo che questo ragionamento è affiorato in diversi interventi, mi chiedo se possiamo accontentarci di questo rilievo critico verso il livello europeo o non dobbiamo guardare anche a noi stessi, ai nostri limiti, ai nostri silenzi e ai nostri letarghi.
Forse pecco per quanto riguarda la memoria. Si tratta però di un dibattito che ruota intorno a una vicenda annosa, complicata e delicata, che meritava forse anche - signor Ministro, mi perdoni - di essere meglio contestualizzata. In questi due anni sono successe alcune cose nell'area del Mediterraneo, che grossolanamente richiamo come «primavera araba» fino alla crisi siriana, che forse trovano lì, se non una risposta, qualche aggancio a questo nuovo protagonismo di Hamas.
Quello che mi interessa sottolineare è che a un certo momento eravamo arrivati a immaginare ambiziosamente di poter portare avanti nell'area una politica di equivicinanza. Mi sembra che oggi non soltanto non siamo all'equivicinanza, ma siamo anche tornati indietro rispetto all'equidistanza. Ho qui un'agenzia ASCA di ieri: «Alla luce degli ultimi sviluppi in Medio Oriente sarebbe opportuno rinviare il voto sulla richiesta dell'ANP di diventare osservatore qualificato presso le Nazioni Unite. Lo afferma il Ministro degli esteri, Giulio Terzi, al margine dell'incontro sulla macroregione adriatico-ionica oggi a Bruxelles».
Non faccio il macabro calcolo ma, siccome lei ha voluto ricordare le novanta vittime palestinesi e le tre vittime israeliane, vogliamo almeno considerare la sproporzione di forze? Al collega Frattini, che afferma che in Israele i bambini non possono giocare in giardino, ricordo che a Gaza i bambini non posso nemmeno giocare in casa. Dovremmo recuperare almeno l'equidistanza, se non vogliamo spingerci troppo oltre.
Sono d'accordo sui rilievi a livello europeo, ma anche l'Italia deve essere più protagonista. Che la chiamiamo offensiva o controffensiva, il ragionamento non cambia. Questa offensiva israeliana forse non cade a caso in prossimità del pronunciamento dell'ONU sulla richiesta palestinese. L'Italia, che vanta ottime relazioni sia con Israele sia con i palestinesi, può e deve fare molto di più. Deve smettere di essere spettatrice. Deve essere di parte, nel senso di assumere un ruolo attivo, propositivo e progettuale dalla parte della pace.
So che è soltanto un'affermazione che può essere affidata a qualsiasi agenzia, ma io spero che possa essere anche il motore delle nostre azioni, soprattutto di quelle del Governo.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Saluto e ringrazio il Ministro per la sua relazione. Non ripeterò le valutazioni, che condivido appieno, fatte dall'onorevole Frattini e dagli altri intervenuti. Vorrei solo dare una comunicazione al Ministro in qualità di Presidente dell'Assemblea parlamentare del Mediterraneo.
Ieri abbiamo ricevuto dal Consiglio nazionale palestinese una richiesta ufficiale affinché fossimo presenti sul territorio di Gaza e in Israele per cercare di portare il nostro sostegno all'iniziativa del cessate il fuoco.
A seguito di tale richiesta ci siamo attivati e abbiamo informato in modo particolare il Ministro degli affari esteri egiziano Amr per chiedere anche eventualmente un sostegno a queste iniziative, nonché alla Lega araba per valutare con loro un coordinamento di tale iniziativa.
Oggi il segretario generale dell'Assemblea si è incontrato a Ginevra con l'ambasciatore di Israele alle Nazioni unite per informarlo di questa richiesta e offrire la nostra disponibilità a essere anche in Israele per poter valutare ciò che sta avvenendo e cercare, nel nostro piccolo, di essere di aiuto in queste iniziative, le quali mirano essenzialmente al cessate il fuoco immediato per impedire le morti di tanti civili che, da una parte e dall'altra, purtroppo oggi dobbiamo contare.
In merito è arrivata anche l'adesione del vicepresidente del Parlamento israeliano, l'onorevole Majalli Wahabi, il quale ha condiviso la nostra idea. Vedremo ora


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come poterla organizzare e strutturare. Nel caso, forniremo informazioni al Ministro di tutte le nostre iniziative.
Tutto ciò parte, almeno per quanto ci riguarda e per la visione che noi abbiamo, da una condizione di carattere generale che è stata evidenziata anche nella relazione del Ministro Terzi e nell'intervento del collega Frattini, una condizione di carattere interno, in cui Hamas sta tentando di dare predominio alla sua azione politica nei confronti dell'ala moderata, la quale in questo momento sente forte, invece, il bisogno, e l'espressione del Consiglio nazionale palestinese va in questa direzione, di avere un'attenzione da parte di tutti gli organismi internazionali nei confronti di questo problema.
Dall'altra parte, vi è anche una condizione di carattere esterno, per la quale - in effetti, l'abbiamo percepito tutti negli ultimi tempi - la Palestina stava soffrendo una perdita di centralità nel problema mediorientale a seguito degli avvenimenti della primavera araba. Forse quest'azione a freddo, come ha sostenuto il collega Frattini, è un tentativo di ritornare sulla scena.
Accanto a questo aspetto non dobbiamo dimenticare che il mondo palestinese, specialmente in alcune frange, cominciava a percepire non solo la marginalità del problema rispetto ad altre situazioni, ma anche la preoccupazione che da molti Paesi arabi e non arabi, come il Libano, stava venendo. La situazione della Siria, con i 700.000 palestinesi in condizioni di pre-profughi che si affacciano alle frontiere del Libano e della Giordania, oltre che di Israele, sta creando in quei Paesi un'attenzione altissima, trattandosi di Paesi che hanno già subìto sconvolgimenti di carattere politico interno a seguito di un'immigrazione forte di popolazione palestinese.
Tutto ciò, all'interno del quadro descritto, sta creando questa condizione, che probabilmente ha determinato l'azione forte. A seguito di ciò, lo ripeto, noi attueremo tutte le nostre iniziative, di cui informeremo il Ministro e il Ministero, per poterle eventualmente anche coordinare. Qualunque esse saranno, le nostre azioni saranno sempre dirette a cercare di fornire il massimo sostegno in quell'azione di percorso di pace in cui non tanto l'Europa, quanto l'Occidente è mancato in questi ultimi anni.

LAPO PISTELLI. Chiedo scusa del ritardo, a causa del quale ho colto soltanto il finale dell'intervento del Ministro Terzi. Me ne sono comunque creato un quadro ascoltando gli interventi soprattutto dei colleghi Frattini e Tempestini.
Vorrei brevemente sollevare un paio di questioni, cominciando da una premessa. È evidente che la primavera araba, il processo che ha modificato le coordinate regionali in cui si svolge oggi lo scontro fra Governo israeliano e Hamas a Gaza, ha colto impreparati entrambi i contendenti. Né Israele, né le due fazioni palestinesi prevedevano o erano pronte a ciò che è successo negli ultimi due anni.
Per un verso, il Governo israeliano si è premurato mille volte di far sapere di non credere a questo fenomeno e di rivendicare il ruolo di essere l'unica democrazia dell'area, mettendo in guardia più volte l'Europa e l'Occidente rispetto alla natura reale, surrettizia o futura, dei partiti islamici che salivano al potere.
Dall'altra parte, sia Hamas che Fatah hanno sperato, con prospettive di partenza diverse, di poter godere entrambi di una rinnovata attenzione alla questione palestinese e nell'arco di un anno e mezzo hanno invece dovuto prendere atto, con molto rammarico da parte loro, che la concentrazione sostanziale sui processi di transizione interna dei singoli Paesi mediterranei in realtà marginalizzava la loro questione invece di riportarla al centro.
Due attori quindi entrambi impreparati rispetto a ciò che è successo e con una valutazione molto diversa di quanto è successo, ma in entrambi i casi scettica o delusa. In tutto questo prima degli eventi di Gaza è evidente che il processo di pace israelo-palestinese non è mai stato (lo dicono tutti gli attori in campo) a un punto morto così evidente.


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Lo dico in modo molto semplice: per un verso non esiste (lo sappiamo tutti) un tavolo di negoziato, né ufficiale né riservato, fra Israele e ANP; sappiamo che il processo di cosiddetta «riconciliazione palestinese» fra Fatah e Hamas, nonostante sia stato siglato formalmente al Cairo e siano stati promessi ingenti finanziamenti anche dal Qatar, non ha fatto alcun passo avanti. Il Governo Fayyad è rimasto lì, in attesa di essere sostituito, e le elezioni, sia parlamentari che presidenziali, sono state rinviate per ora sine die rendendo in prorogatio sia Abu Mazen che il Consiglio palestinese. Sappiamo anche, prima di questi eventi, che vi è un ulteriore elemento di crisi dentro Hamas tra la fazione di Gaza guidata da Haniyeh e quella di Meshal, prima a Damasco, poi in cerca di un asilo in Giordania e poi alla fine riparata in Qatar a Doha.
In tutto questo interviene la crisi tra Israele e Gaza e i due obiettivi che oggi possiamo avere per non commentare semplicemente i lutti o gli episodi rimproverati dai sostenitori di una o di entrambe le parti, sostanzialmente riavvolgendo il film della crisi a partire da tappe diverse, perché c'è chi parte dall'eliminazione di al-Jabari, chi parte dai 200 missili che nelle ultime due settimane precedono l'eliminazione di al-Jabari e chi dalle incursioni delle forze di sicurezza israeliane prima di quei duecento missili.
Si tratta quindi di un film che ciascuno riavvolge come vuole, non portando ovviamente buonsenso politico alla causa della pace. Dobbiamo dare per buone quelle cose e cercare di vedere come se ne possa uscire. Vorrei dire due cose sole. È importante l'impegno per la tregua e questa mattina era consolante la notizia di una sospensione delle operazioni di terra, che lasciava presagire anche in queste ore una possibile tregua.
Si sa che c'è un punto controverso molto importante fra le rivendicazioni delle due parti, una riguardante gli omicidi mirati e l'altra riguardante invece la libertà che Israele rivendica di poter colpire obiettivi che reputi in odore di preparazione di atti terroristici. Questo è il punto sostanziale, ma è chiaro che, venuto meno quello, si rinuncerebbe ai razzi da una parte e all'invasione di terra dall'altra.
Dico anche però che la tregua non è la pace: la tregua permette di mettere la parola fine sulla lunga lista dei lutti delle donne, dei bambini, dei civili, dei soldati, di tutti quelli che sono colpiti, ma è un obiettivo che non produce pace, produce tregua.
Il secondo obiettivo che abbiamo per ex malo bonum fa ripartire proprio da questa crisi un processo negoziale, che allo stato attuale è totalmente nell'angolo, può essere quello di cogliere questo aspetto delle Nazioni Unite che è stato già citato sia dal collega Frattini che dal collega Tempestini, con i quali mi trovo d'accordo.
Rispetto a quattro anni fa, la situazione è totalmente diversa sul quadro: quando fu messa in atto l'operazione «Piombo fuso», c'era un Iran non sotto sanzioni, c'era un regime di Damasco assolutamente in piedi, Mubarak governava al Cairo, la Giordania non ospitava più di 100.000 profughi, era una situazione interamente diversa. Oggi il Mashrek è in fiamme perché c'è una guerra civile in Siria e c'è un enorme rischio da lei più volte segnalato di spillover in Libano, ma al tempo stesso Hamas non è più isolata, se è vero come è vero che nei giorni delle prime incursioni aeree il Primo Ministro egiziano era lì, se è vero che l'emiro del Qatar, cioè la stessa persona da cui il Presidente del Consiglio Mario Monti era in visita tre giorni fa, ha visitato due settimane fa Gaza offrendo enormi quantitativi di denaro purché la riconciliazione tra Hamas e Fatah andasse in porto, se è vero come è vero che con molti distinguo comunque tutta l'esperienza politico-ideologica di Hamas è una delle filiere della grande e vasta confraternita musulmana che oggi, sotto la specie dei Fratelli mussulmani al potere al Cairo, ha eletto il Presidente Morsi.
Allora, le pongo una domanda. Nel 2010, il Presidente Barack Obama promise all'Autorità nazionale palestinese il riconoscimento di una piena membership da parte delle Nazioni unite nel 2011. Sulla


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base di quella promessa, che in politica è sempre legittima, l'Autorità nazionale palestinese tentò la sua intifada diplomatica nel 2011. Il Ministro Frattini lo ricorda perché era lì; peraltro, c'ero anch'io in rappresentanza del Parlamento. Sappiamo che quella vicenda è stata instradata verso il Consiglio di sicurezza, ma è rimasta di fatto su un binario morto. In quell'anno, fu detto loro di accontentarsi di qualcosa di meno, cioè dello statuto di osservatore. È passato, però, un altro anno.
Ora, mettiamoci nei panni dell'Autorità nazionale palestinese: due anni fa, era stato promesso, in 12 mesi, lo status pieno; dopodiché, un anno fa, è stato chiesto di rinunciare per ottenere quello di osservatore e oggi, dopo che è passato un altro anno, viene detto che non è ancora il momento. Quale credibilità ha, quindi, la comunità internazionale davanti a una richiesta che viene ogni volta, come l'albero di Bertoldo nella nota novella, rinviata, in attesa dell'albero ideale per essere impiccati?
Aggiungo una valutazione politica. Se facciamo tacere la parola alle armi, in quale ruolo collochiamo oggi i moderati dei due lati? Quali chance diamo loro? Se vogliamo rendere più credibile la chiusura delle azioni terroristiche o violente di Hamas, dobbiamo offrire un'altra sponda politica a chi ha scelto da tempo la via del negoziato diplomatico. Non si può rinviare questa strada, dicendo che non è il momento. Peraltro, signor Ministro, ciò non riguarda l'amministrazione americana, che è stata confermata, anche se cambierà la squadra. Come ha detto il presidente Peres qualche giorno fa in un'intervista, si suggerisce di aspettare le elezioni israeliane, non il cambio dell'amministrazione americana. Ora, non siamo noi a stabilire la data della votazione alle Nazioni Unite, ma credo che sarebbe un grande errore non dare un segnale alla sponda moderata che pretende, giustamente, di rappresentare le aspirazioni statuali palestinesi.
Chiudo con una sola nota a piè di pagina, che riguarda una questione di emergenza non delle prossime settimane, ma dei prossimi cinque anni. È di tutta evidenza per gli osservatori più attenti che gli americani, da qualche anno, hanno iniziato un'operazione di scaling down dall'area, sia sulla politica energetica, sia sulle presenze militari sia con la richiesta ad altri interlocutori più vicini sul piano regionale di assumersi una responsabilità.
Da qui a cinque anni - non a caso il Presidente Obama ha commentato la vicenda di Gaza dalla Birmania, non dalla Casa Bianca - l'interesse geopolitico principale americano si sarà spostato nel Pacifico. Quindi, non solo dico che l'Europa dovrebbe assumersi la responsabilità, ma aggiungo che essa dovrà prendersela semplicemente perché nell'arco di un mandato di governo gli americani continueranno questa azione di riduzione delle loro responsabilità e di attribuzione agli attori regionali di quello che compete loro. Di conseguenza, credo che cominciare questa nuova stagione astenendoci sarebbe un primo pessimo passo.

FIAMMA NIRENSTEIN. Mi dispiace dobbiate sentire due interventi in fiorentino in cinque minuti. Comunque, proveniamo da due contrade diverse.
Prima tutto voglio ringraziare il Ministro per la sua relazione molto interessante e per avere accettato l'invito del Parlamento. È sempre molto importante che avvengano queste discussioni, quindi lo ringrazio.
Vorrei fare il mio intervento alla rovescia, partendo dall'ultimo punto, cioè quello del processo negoziale della richiesta alle Nazioni Unite. Mi sembra una negazione logica in termini l'idea che un processo negoziale possa essere vissuto attraverso una risoluzione dell'ONU perché non funziona in questo modo. Un processo negoziale si compie sedendosi al tavolo, ed è proprio per questo che ritengo che sia indispensabile che questo avvenga.
Il mio non è un flatus vocis legato a un fatto puramente formale o al timore - peraltro parecchio sostanziato - che si possano produrre delle maggioranze automatiche, ma riguarda il fatto che i confini che si autodefinirebbe l'Autonomia palestinese non sarebbero mai quelli accettati


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da Israele e non sarebbero mai quelli che possano garantire, secondo la risoluzione dell'ONU 242, la sicurezza di Israele, come invece è richiesto per arrivare a un accordo definitivo. Io sono, quindi, fermamente favorevole all'idea di un processo negoziale fra le due parti.
Mi interessa sottolineare che la parte più moderata che fa riferimento ad Abu Mazen compie questo passo, e non da ora, non per affermare una scelta a favore delle istituzioni piuttosto che della lotta armata. Questo non c'entra. Hamas ha una sua via nemica a causa di un clash personale, che risale a quando ha letteralmente buttato gli uomini di Fatah dai tetti. Parliamo di una guerra vera e propria.
Io credo invece che in questa situazione l'azione affermativa di Abu Mazen all'ONU riveli un atteggiamento non tanto negoziale quanto gregario e in concorrenza con Hamas. Non si tratta, quindi, di un'iniziativa legata al processo di pace, ma di una affermative action di carattere completamente diverso.
Le azioni di Hamas erano scritte sui muri già da moltissimo tempo. Come qualcuno prima di me, ricordo un aspetto di breve gittata autobiografica. Quattro giorni fa ero in Israele con un gruppo dell'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele, che è presieduta dall'onorevole Pianetta. Siamo andati al confine e abbiamo visto le spaventevoli condizioni di vita di due milioni di israeliani nella parte sud del Paese. Mi dispiace che la cosa non sia stata abbastanza rilevata.
Voglio qui sottolineare un elemento legato alla questione della proporzionalità. Ogni cittadino israeliano, grazie a un impegno in due anni di 2,5 miliardi, che per Israele sono una cifra spaventosa, essendo un Paese piccolissimo, ha un rifugio con un tetto spesso quaranta centimetri. Ogni fermata di autobus ha un tetto di quaranta centimetri. Questa mattina è stato colpito un autobus che cercava di raggiungere una scuola. I ragazzini hanno fatto tutti in tempo a infilarsi in un rifugio perché ne sono stati costruiti ovunque.
Nel mentre - e ce ne dispiacciamo dal profondo del cuore - le condizioni della popolazione di Gaza, anche per via di un atteggiamento politico completamente diverso, non sono le stesse. La protezione della popolazione civile va in una direzione tutta contraria. C'è una forte presenza di strutture militari, depositi di missili e abitazioni di capi molto pericolosi di Hamas sparsi, anche a bella posta, in mezzo alle strutture civili. È una delle metodologie che si usano nelle guerre asimmetriche, su cui sono ormai state scritte intere biblioteche.
L'elemento strategico della questione è dove siamo e dove andremo a finire. Questa situazione ce la siamo preparata con le nostre mani. Hamas è stata in questi anni rifornita dall'Iran di missili Fajr a lunga gittata, che proprio due ore fa hanno di nuovo colpito Gerusalemme. Ieri è stata colpita tre volte Tel Aviv e il giorno ancora avanti due volte Gerusalemme. Non sto più parlando solo della popolazione della parte meridionale del Paese - due milioni sono tanti per un Paese di sette milioni di abitanti -; parlo anche delle città più importanti, i cui abitanti in questo momento sono tutti quanti nei bunker. Questo rende del tutto evidente che in un Paese democratico, dove la gente spinge, non puoi fare altro che rispondere.
Io non credo ci sia una fissazione bellicistica sull'Iran. Hamas è enormemente galvanizzata dal fatto che i Fratelli musulmani, di cui essa stessa fa parte, siano andati al potere in tanti Paesi, particolarmente l'Egitto, che è confinante, e si è sentita su una cresta dell'onda che ha pensato avrebbe potuto portarla molto lontano.
Noi dobbiamo guardare la realtà negli occhi per com'è e il nostro scopo deve essere quello di riparare una situazione sanguinosa. Devono cessare gli spari. Questo è il primo evento che deve accadere. Effettivamente Israele si aspettava di ristabilire una situazione di deterrenza e mi pare che possa essere piuttosto soddisfatta rispetto ai depositi di armi, che sono stati


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colpiti, nonché all'eliminazione mirata di al-Jabari, che era un personaggio veramente molto importante.
A questo punto, io credo che Israele cesserebbe immediatamente il fuoco per un motivo semplicissimo, con cui concludo il mio intervento. Israele se n'è andata da Gaza e non ha alcun interesse a entrarci. Nel 2005, sgomberando 10.000 israeliani, ha compiuto l'esperimento di vedere che cosa sarebbe successo con un pezzo di terra in cui non ci fosse l'ombra di un ebreo da nessuna parte.
Per Israele rientrare a Gaza rappresenta una palude, un danno, la morte dei suoi soldati, è un'azione che non ha alcuna intenzione di compiere. Io credo che tutto il nostro sforzo, molto più che su questi altri obiettivi, sia da focalizzare sul cessate il fuoco, perché Hamas è Hamas.
Se si chiede a uno scorpione perché punge, mostrerà la sua carta di identità, che, nel caso di Hamas, è la sua carta di fondazione. Basta leggerla per trovarvi scritto che il suo scopo è la distruzione dello Stato ebraico per motivi religiosi.
Quello che dobbiamo fare, a mio avviso, è far cessare gli spari dalle due parti. Come Parlamento democratico credo sia questo il nostro obiettivo attuale.
Quanto alla dimensione strategica, io credo che l'Iran e l'Egitto dei fratelli musulmani debbano essere presi in considerazione come un problema strategico di dimensioni cosmiche al momento attuale.

MARGHERITA BONIVER. Ascoltando gli interventi in questa drammaticissima situazione, è difficile non essere colti da un senso di impotenza e di fallimento dell'impegno negoziale. Persino una personalità come Tony Blair ha realizzato uno zero assoluto verso la questione delle questioni, ossia la questione israelo-palestinese.
Analogamente, non possiamo non essere colti da un senso di sconforto sapendo che non c'è una sola crisi internazionale che abbia trovato uno sbocco positivo, con l'eccezione forse del dialogo rinnovato fra i ribelli di Mindanao e Manila, una situazione assai lontana, anche se molti nostri religiosi sono stati sequestrati in quella lontanissima contrada.
Non c'è, dunque, una sola crisi che abbia trovato un inizio di soluzione e, come è stato rilevato da tutti gli interventi, quella attuale, la crisi Gaza-Israele, avviene in un momento storico - anche questo aspetto è stato messo in evidenza - e in una situazione completamente diversi per quanto riguarda il Medio Oriente, ma anche l'azione diplomatica europea.
Sembra, e il Ministro Terzi l'ha fatto capire molto sinceramente, che siano molto poche le azioni che si possono intraprendere in questo momento per far compiere un passo avanti non verso una soluzione, ma quanto meno verso una tregua negoziata, un cessate il fuoco, che è poi l'obiettivo principale. La mediazione messa in atto dal presidente egiziano Morsi ha dimostrato, da un lato, la sua capacità, ma, dall'altro, anche tutti i suoi limiti.
Siamo arrivati al punto per cui ci congratuliamo perché il nuovo regime egiziano non ha denunciato gli accordi di Camp David e di Oslo. Siamo veramente in uno scenario, anche mentale, molto negativo.
A questo punto vorrei concludere evidenziando che, come hanno ipotizzato altri colleghi, la possibilità che il lancio dei missili, improvvidamente intensificato, sia un atto predeterminato, ha una sua sostanza e una sua valenza.
All'interno di questa spaventosa crisi che ha luogo in questi giorni e in queste ore, non dobbiamo evidentemente dimenticare il braccio di ferro a tutto campo fra Sciiti e Sunniti, in quanto c'è una specie di sub-livello di questa crisi che non deve illuderci che il punto principale sia soltanto il cessate il fuoco: dovremmo cercare di gettare le basi proprio per disinnescare soprattutto quello che è ancora una volta purtroppo il fallimento negoziale sul dossier nucleare iraniano. Lì è il punto, la questione che riguarda non soltanto dossier nucleare, ma riguarda la terrificante questione siriana dove c'è adesso un certo


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ottimismo da parte di francesi e inglesi, i quali vorrebbero addirittura armare i ribelli in Siria, questione che andrebbe valutata con molta attenzione, perché non vorremmo che ci fosse una specie di replay della vicenda libica.
Palesemente non soltanto la questione siriana, non soltanto la destabilizzazione dei Paesi confinanti, così come è stato giustamente sottoposto alla nostra attenzione, il vero grandissimo problema della questione mediorientale nel suo complesso è l'atteggiamento assolutamente non collaborativo sul merito su nessun aspetto delle tante questioni da parte degli Ayatollah.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCO NARDUCCI

FURIO COLOMBO. Mi rendo conto che non c'è tempo e quindi vorrei auspicare che questa discussione si ripeta. Parliamo pochissimo di politica in questa Commissione e, se si potesse fare ancora, sarebbe estremamente importante. Abbiamo da affrontare una quantità di argomenti che non abbiamo affrontato e andare a fondo delle cose che sono state dette come in un imbastitura preliminare.
La seconda cosa che mi preme dire è che sono d'accordo appassionatamente con ciò che ha detto Fiamma Nirenstein, lo condivido e vi partecipo; la terza cosa è che ascolterò volentieri le risposte del Ministro.

PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro per la replica.

GIULIOMARIA TERZI di SANT'AGATA, Ministro degli affari esteri. La ringrazio molto, presidente, e ringrazio tutti gli intervenuti nel dibattito che hanno svolto osservazioni di grande importanza per la linea del Governo. Sono anche lieto che sia rientrato l'onorevole Evangelisti che per la seconda volta mi ha cortesemente invitato a una maggiore contestualizzazione dei miei argomenti.
Vorrei a questo riguardo contestualizzare per quanto riguarda il processo di pace fra israeliani e palestinesi, tema sul quale sono portato a fare qualche riflessione aggiuntiva perché sono rimasto molto interessato e motivato dagli inviti rivolti al Governo e a me stesso quale Ministro degli esteri del Governo Monti a essere attivo attraverso una vera e propria iniziativa italiana in Medio Oriente, che rilanci un processo di pace.
Questo invito mi lusinga molto perché lo interpreto come una grande apertura di credito all'azione di politica estera del Governo di cui ho l'onore di far parte, una grande apertura di credito che però deve essere anche questa contestualizzata, come dice giustamente l'onorevole Evangelisti.
L'impianto di trattativa studiato nel percorso del negoziato di Oslo dall'inizio degli anni Novanta e poi vissuto attraverso vicende alterne con il piano di ritiro israeliano di metà degli anni Novanta, poi sospeso a causa di una prima intifada terroristica e successivamente avviato, con dei picchi che si sono riflessi in una paralisi fra il 2000 e il 2001, ha portato la comunità internazionale, nel 2002, a concordare un approccio al processo di pace basato, in modo definito anche formalmente, sul sistema del Quartetto.
Questo sistema riunisce Nazioni Unite, Russia, Stati Uniti e Unione europea e salda i poteri reali sul terreno del negoziato più difficile dell'intero dopoguerra, che si è originato con delle risoluzioni sulla spartizione della Palestina che non sono mai state attuate. Per esempio, sappiamo che la parte iniziale non è stata attuata perché l'indipendenza dello Stato di Israele venne contestata militarmente da un'alleanza di Paesi arabi, a cui si aggiunse il problema dei rifugiati e la sofferenza palestinese.
Ebbene, la consapevolezza dell'enorme montagna di problemi che la comunità internazionale si è trovata dinanzi ha portato a stabilire la creazione del Quartetto, agli albori (che solitamente è un termine positivo, ma non in questo caso) di una tragedia, cioè della seconda Intifada, che è stata un'enorme offensiva terroristica


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nella quale, fra l'altro, Hamas ha cominciato a firmare operazioni micidiali, con il terrorismo suicida che ha preso piede largamente in Medio Oriente proprio sulla scia di questa innovazione di Hamas.
Dal 2002 ad oggi, tutte le iniziative di pace sono state portate avanti disciplinatamente dai Paesi e dai diversi raggruppamenti, ma l'unico raggruppamento regionale facente capo a un'entità politica è stato quello dell'Unione europea. Devo dire che c'è stato, almeno sul piano delle apparenze, il rispetto della disciplina europea. Mi si dirà che è stata una disciplina fra persone non particolarmente desiderose di fare la differenza e fra Paesi che appartengono a un'Unione che è ancora ben lontana dall'essere quel gigante politico, di difesa e di attività strategica che tutti vorremmo e che lavoriamo per avere.
Tra parentesi, in questi ultimi giorni, l'Italia ha molto lavorato, con Francia, Spagna e Germania, per dare un impulso decisivo sul piano della difesa europea. Sotto questo aspetto, sono contento che ci siano degli appelli, anche in questa sede, da parte dell'onorevole Colombo e di altri onorevoli parlamentari, affinché il dibattito politico, al quale sono sempre disponibile e a cui sono onorato di poter partecipare, possa svilupparsi anche in direzione delle tematiche dell'integrazione europea.
Comunque, sul piano delle iniziative nel processo di pace, non mi sento condizionato da una camicia di forza. Non vedo l'Unione europea come un'ingessatura della diplomazia e della politica estera italiana; credo, invece, che sia proprio il contrario, pur nelle carenze che si possono addebitare - anche ingiustamente - all'Alto rappresentante dell'Unione europea e al Servizio europeo per l'azione esterna.
Indubbiamente ci sono alcune azioni o spinte che potrebbero essere più immediate, ma grazie all'appartenenza a questo sistema e al nostro contributo nel creare una politica estera di sicurezza comune su tantissimi temi (penso, per esempio, alla grande dimensione dei diritti umani che è stata portata avanti in modo così egregio dal mio illustre predecessore, Franco Frattini), credo che la capacità di fare massa e di avere peso specifico dell'Unione europea sia molto grande. Non dobbiamo non vedere, insieme ai problemi, anche i vantaggi dell'appartenere all'Unione.
Raccolgo, quindi, l'invito a essere attivo sul piano europeo per smuovere in modo ordinato, anche secondo regole di buonsenso, un'iniziativa più pressante dell'Europa in quanto tale, così come è stato fatto in altre stagioni. Ricordo, per esempio, che il rilancio dell'azione dell'Unione europea nel Quartetto nel settembre 2011 è stato frutto di una sollecitazione italiana.
Accanto al processo di pace, l'altro volet fondamentale di cui abbiamo discusso è la situazione di Gaza. Credo, senza alcuna vanteria, che l'azione svolta dal Governo italiano in questi ultimi giorni, attraverso un po' di telefonate, ma anche grazie alla presenza molto autorevole del Presidente del Consiglio in incontri diretti nei Paesi del Golfo e ai miei incontri in Europa, ci renda una voce molto ascoltata in questo difficile negoziato, che si sta svolgendo fra negoziatori qatarini, egiziani, turchi e di Hamas al Cairo in queste ore.
Nel giro esterno, sia che si tratti delle visite di queste ore dell'amico Guido Westerwelle o di Laurent Fabius, sia che si tratti del mio continuo pressing sui colleghi, dai quali ottengo anche indicazioni riservate che poi trasferisco all'altra parte interessata, credo che ci sia stato e ci sia un ruolo dell'Italia per portare stabilità a Gaza e per riuscire a risolvere il problema immediato della cessazione delle ostilità.
C'è un'altra azione sulla quale vorrei tornare perché forse non sono stato abbastanza esplicito. Noi riteniamo che sia necessario trovare un meccanismo di natura politica che stabilizzi a lungo termine i rapporti tra Gaza e i suoi vicini sul piano dell'interscambio commerciale, del controllo delle frontiere, del monitoraggio della sicurezza. È qualcosa di abbastanza evoluto e lontano rispetto alla missione EUBAM del 2006-2007. Ieri abbiamo avanzato una proposta formale che nel corso della discussione è stata ben seguita. Sono


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sicuro che potrà essere una pedina dell'iniziativa italiana sulla questione specifica dei rapporti tra Gaza e i Paesi vicini.
Il terzo volet è rappresentato dalla risoluzione palestinese alle Nazioni Unite. Vorrei essere più chiaro di quanto sia stato all'inizio. Non c'è ancora, onorevole Tempestini, una posizione definitiva su questo tema da parte di alcun Paese europeo. Forse lei ha notizie più recenti di quelle che ho avuto io fino alle sei di ieri pomeriggio dai ministri degli esteri dei Paesi interessati, ma le posso assicurare che i Paesi mediterranei ai quali lei si è riferito, cioè Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro, non hanno su questo tema una posizione definita.
Possono essere inclini in una direzione o nell'altra, come lo siamo tutti. Abbiamo tutti delle preferenze perché vediamo la logica e il significato politico di un'indicazione in un senso o nell'altro. Tuttavia, stiamo parlando di una visione strategica che riguarda il collegamento tra il lavoro dell'Assemblea generale e il negoziato di pace. Non stiamo facendo della cosmesi o cercando possibilità di fare propaganda per un Paese o per l'altro o per asserire piccole posizioni temporanee di vantaggi di politica interna in Israele o in Palestina.
Stiamo cercando responsabilmente, nel nostro interesse nazionale e nell'interesse europeo, di trovare il «momento magico», che sempre caratterizza i grandi negoziati, compresi quelli della guerra dei trent'anni. Esiste un punto di svolta. Non vorrei contestualizzare nuovamente le «primavere arabe» perché il discorso sarebbe molto lungo, ma in sintesi il ragionamento delle grandi evoluzioni delle società arabe e del rapporto che l'Italia ha saputo creare, grazie anche all'impegno del Parlamento e delle numerose missioni parlamentari, con le decine e decine di incontri e di missioni svolti da me, dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della Repubblica, ha posto l'Italia nei confronti di questi Paesi, non soltanto dell'Egitto, della Tunisia, della Libia, dell'Algeria e del Marocco, ma anche di Paesi come lo Yemen e come tutti i Paesi del Golfo, in una posizione di grandissima autorevolezza, che forse nessuno si attendeva nel momento in cui c'è stato lo sfaldamento di questi regimi.
Proprio per questo motivo io credo che occorra vedere il voto in Assemblea generale con grande prudenza e senso di responsabilità. Sicuramente sarà un tema centrale nei miei incontri con Riyad al-Malki, Ministro degli affari esteri palestinese, fra tre giorni, ma vorrei anche sgombrare il terreno da un'altra sensazione, anzi da due altre sensazioni.
La prima è che qualcuno immagini il rinvio. È stato letto il mio riferimento. Certamente ho parlato di rinvio. A Bruxelles, fra ventisette ministri degli affari esteri, almeno venticinque o ventisei parlano di rinvio come elemento di prudenza per non vivere in Assemblea generale un acrimoniosissimo dibattito che sommi le problematiche di Gaza a quelle del processo di pace e del riconoscimento dello Stato palestinese.
Ci rendiamo conto che il Presidente Abu Mazen ormai si trovi in un punto di non ritorno, avendo annunciato il voto e riconfermato il giorno e proviamo tantissima simpatia per le difficoltà nelle quali si trova. Vogliamo rafforzare la sua posizione politica perché siamo perfettamente convinti, io come moltissimi altri colleghi europei, che l'Autorità palestinese dovrà essere rafforzata in senso laico e moderato, con una propensione al negoziato e una capacità di rientrare su questo problema. Dobbiamo stare attenti, però, acché la sua visione immediata sia effettivamente una visione che, in un'economia generale di ottica di rilancio del processo di pace all'interno del Quartetto, non faccia cadere l'intero impianto.
Torno al Quartetto perché è evidente che, se si crea una lacerazione con gli Stati Uniti e una controazione da parte russa, la situazione si complica. Non si è parlato oggi del progetto di risoluzione russa al Consiglio di sicurezza proprio per il rilancio del processo di pace, risoluzione rispetto alla quale è già stato annunciato, se dovesse essere votata domani, un veto americano. Vediamo, dunque, qual è il clima a New York.


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Quando io ho parlato di rinvio, l'ho fatto esprimendo un comune sentire largamente diffuso all'interno dell'Unione europea, non perché sia convinto che sia il Vangelo. È un argomento sul quale bisogna riflettere, così come bisogna continuare a riflettere molto attentamente sulle posizioni di voto.
Vengo ad alcuni accenni svolti dall'onorevole Boniver in merito al collegamento fra Gaza, Iran e destabilizzazione della Siria. Il discorso Siria è stato affrontato in questa sede diverse volte e ci terrei molto a riprenderlo.
Oggi pomeriggio, come quasi ogni giorno, ho incontri diretti con la realtà siriana, con la società civile e con le opposizioni. A Doha c'è stata una svolta molto significativa che abbiamo sostenuto insieme a molti altri Paesi occidentali e i principali Paesi europei. Oggi ho ricevuto alla Farnesina ventisei giovani, alcuni parzialmente giovani, forse sulla quarantina, con rispetto per i quarantenni, funzionari ed esponenti dell'opposizione anche dall'interno della Siria. Alcuni sono venuti con nomi di comodo, anzi di salvataggio, per il fatto di poter essere riconosciuti.
Alcuni venivano da Dar'a, da Damasco, da Hama, da Aleppo per un percorso di formazione del Ministero degli affari esteri in merito a tematiche di alta amministrazione e diplomazia. Noi stiamo contribuendo attivamente alla preparazione dei nuovi quadri di una nuova Siria. Vogliamo una Siria degna di essere inserita nella società civile e nel mondo democratico, perché la democrazia in Siria, o almeno un ragionevole assetto istituzionale e sociale di questo grande Paese, è di fondamentale importanza per la stabilità dell'area.
Anche qui abbiamo un ruolo - consentitemi di dire - di leadership riconosciuta, tant'è vero che nei negoziati cruciali che hanno portato al documento di Doha erano presenti cinque Paesi ed erano i Paesi del Quint occidentale insieme a Giappone e Turchia. Questo per dare alcune indicazioni sul forte impegno della diplomazia e della politica estera italiana sulle grandi questioni che si sono qui dibattute.
Vorrei ringraziare molto per questi spunti così interessanti e soprattutto per l'impulso parlamentare, che è sempre una fondamentale guida per l'attività di governo.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Terzi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.

III Commissione (Affari esteri e comunitari)

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