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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione IV
6.
Mercoledì 1° febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2

Audizione del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2 4 9 10 12 14 15 16
Crosetto Guido (PdL) ... 15
Debertolis Claudio, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti ... 2 12 14
Esposito Domenico, Direttore generale degli armamenti aeronautici ... 4 9 14
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 11
Rosato Ettore (PD) ... 10
Rossi Luciano (PdL) ... 15 16

ALLEGATO: Presentazione a cura del Segretariato generale della Difesa Direzione nazionale degli armamenti sul programma JSF ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 1° febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter.
Prima di iniziare l'audizione intendo ringraziare per la partecipazione, oltre il signor generale Claudio Debertolis, anche il generale Ispettore Capo Domenico Esposito, direttore generale degli armamenti aeronautici, il colonnello Vincenzo Stella, capo Ufficio studi e coordinamento generale dell'ufficio del Segretario generale, il colonnello Giuseppe Lupoli, capo divisione Armaereo, il tenente Colonnello Giovanni Alfano, capo segreteria DG Armaereo e il capitano Gabriele Pariselli, aiutante di campo del Segretario generale.
Do la parola al Segretario generale della Difesa per svolgere la sua relazione, al termine della quale potranno far seguito domande da parte degli onorevoli colleghi.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Signor presidente, onorevoli deputati, desidero innanzitutto rivolgere un cordiale saluto a tutti i componenti della Commissione, ringraziando sin d'ora per l'occasione che mi viene offerta di intervenire in questa prestigiosa sede istituzionale per fare il punto della situazione sul programma Joint Strike Fighter in vista della gradita visita che la Commissione effettuerà nello stabilimento di Cameri.
Nell'ambito della mia esposizione intendo presentare il programma non solo dal punto di vista militare, ma anche come una grande impresa industriale che porterà nel nostro Paese un know-how tecnologico particolarmente pregiato, con ricadute occupazionali per il personale specializzato in esso coinvolto.
L'argomento in discussione, non posso certamente nasconderlo, è al centro dell'interesse dell'opinione pubblica italiana e dei media, che di fatto hanno più volte posto l'accento su tre aspetti del programma Joint Strike Fighter. Il sistema è utile? Se è utile, è la migliore soluzione possibile o esistono alternative? Infine, è un puro programma di acquisizione all'estero o consente di far progredire la nostra industria?
Vorrei rispondere rapidamente ai citati quesiti per poi cedere la parola al Generale Esposito, Direttore generale degli armamenti aeronautici, il tecnico che si occupa non solo dell'acquisizione dei velivoli, ma anche dei relativi problemi industriali, aspetti che ritengo importante


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approfondire in questa sede per poter comprendere pienamente l'impresa di Cameri.
Al primo quesito - il sistema è utile? - rispondo convintamente di sì. L'Italia ha sempre impiegato i propri velivoli - dalla prima missione del Golfo del 1990 a quelle in Kosovo, Libia e Afghanistan - sotto l'egida delle principali organizzazioni internazionali (ONU, NATO, Unione europea) e nel pieno rispetto delle regole di diritto internazionale.
L'uso di mezzi tecnologicamente avanzati di questo tipo consente, infatti, non solo di intervenire efficacemente, ma anche di evitare drammatici errori che potrebbero compromettere il significato e l'esito stesso della missione, un aspetto su cui il nostro Paese pone sempre, e giustamente, la massima attenzione.
La risposta, quindi, ancora una volta, è sì. Il Joint Strike Fighter serve ad una Forza armata a cui può essere chiesto di intervenire nell'ambito di contingenti multinazionali su scenari complessi a protezione di popolazioni sotto attacco o a copertura dei nostri soldati a terra.
Questa considerazione conclude la prima domanda, ossia se si tratta di un sistema utile al nostro sistema di difesa.
Anche alla seconda domanda - se è utile, è la migliore soluzione possibile o esistono alternative - devo rispondere affermativamente. Dal punto di vista tecnologico il programma Joint Strike Fighter rappresenta certamente, come si suol dire, lo stato dell'arte. Sono state, infatti, proprio le ambizioni di tecniche di questo mezzo che hanno costretto gli Stati Uniti, per la prima volta, a cercare altri partner.
La scelta strategica italiana di partecipare a questa impresa insieme ad altri otto Paesi piuttosto che di sviluppare un altro prodotto europeo è derivata dalla consapevolezza che i costi necessari per raggiungere caratteristiche uguali o persino inferiori sarebbero stati insostenibili.
Infine, si tratta di un puro programma di acquisizione all'estero o consente di far progredire la nostra industria? Questo è il terzo punto: parliamo solo di acquisizione o anche di progresso industriale? Nella cultura degli addetti al procurement della Difesa esiste il concetto che ogni acquisizione non deve solo essere finalizzata a fornire un mezzo adeguato alle esigenze operative delle Forze armate - fornire un mezzo adeguato è certamente l'aspetto prioritario e, in merito, ho risposto alle prime due domande -, ma deve essere anche occasione per un progresso tecnologico del nostro sistema industriale e per far sì che il personale italiano possa qualificarsi ai più alti livelli e svolgere la sua opera accrescendo il patrimonio tecnologico esistente sul nostro territorio.
Questo concetto in passato coincideva con un certo protezionismo, secondo cui si comprava tutto in Italia, in modo che le risorse rimanessero entro i suoi confini. Ciò ha permesso in passato un innalzamento del nostro livello industriale, ma gli elevati costi di tale approccio hanno presto portato ad avviare imprese congiunte con altri Paesi.
Nel campo aeronautico si è registrato lo sviluppo di diversi progetti internazionali, quali, per esempio, il Tornado, per limitarsi al solo campo aeronautico, e l'Eurofighter 2000. Questi progetti hanno contribuito a un ulteriore grande salto di qualità, ma si basavano su regole intergovernative garantiste che bilanciavano i costi sostenuti con il lavoro svolto all'interno dei confini nazionali.
Oggi le leggi di mercato e l'ulteriore riduzione di risorse nel campo della difesa impongono approcci diversi, in cui il Governo non può più avere un atteggiamento puramente protezionistico, ma deve piuttosto creare occasioni per indirizzare l'industria a ricercare l'efficienza, a ridurre i costi di produzione e a essere competitiva sul mercato internazionale.
Oggi la componente di alta tecnologia di un Paese non può più mantenersi solo con finanziamenti interni, ma deve necessariamente acquisire le capacità di operare in campo internazionale a prezzi paragonabili a quelli degli operatori più capaci.
Proprio per consentire alla nostra industria di operare non solo su macchine italiane, ma anche sul mercato mondiale si


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è realizzato l'impianto di Cameri, uno stabilimento finalizzato ad assemblare i velivoli italiani e quelli di altre nazioni. In primis esso realizzerà la parte più pregiata del velivolo, ali e fusoliera centrale, per un terzo della flotta. Oltre ad assemblare i velivoli, che potranno essere alcune centinaia, abbiamo, dunque, l'occasione importante di assemblare la parte più pregiata del velivolo per più di mille velivoli internazionali. Questo lavoro potrà essere visto a Cameri.
Oltre a questa funzione nella fase produttiva, che potrebbe limitarsi soltanto al periodo di produzione, lo stabilimento servirà alla manutenzione per tutto il ciclo di vita della macchina, prevista al momento sino al 2046. Anche in questo caso la capacità sarà a disposizione degli altri attori europei.
La Difesa quindi, per garantire il lavoro alla propria industria, ha investito sullo strumento di costruzione della macchina e soprattutto su quello del suo mantenimento, valorizzando l'impresa su una via di gestione internazionale del programma piuttosto che sul semplice valore dei velivoli acquisiti dall'Italia.
Con ciò ritengo che si sia raggiunto, ancora una volta, l'obiettivo di conciliare l'acquisizione di un assetto necessario per la Difesa con il progresso tecnologico e industriale del Paese.
Concludendo il mio intervento, prima di cedere la parola al Generale Esposito, responsabile della gestione contrattuale del programma, nonché dei correlati aspetti di cooperazione internazionale, vorrei soltanto svolgere una precisazione. Poiché la presentazione richiederebbe un po' tempo, in qualsiasi momento lei, presidente, ritenga che i tempi non siano adeguati per lasciare spazio anche alle domande, ci può interrompere.

PRESIDENTE. Grazie, signor generale. Do ora la parola al generale Domenico Esposito, direttore generale degli armamenti aeronautici.

DOMENICO ESPOSITO, Direttore generale degli armamenti aeronautici. Signor presidente, accogliendo l'invito del Segretario generale, cercherò di essere breve - mi scuserete se la presentazione non sarà troppo fluida - proprio per lasciare spazio alle domande.
Questo progetto nasce per creare un velivolo che possa sostituire gli aeromobili dell'Aeronautica e della Marina destinati a finire la loro vita operativa nei prossimi quindici anni. Ci sono tre linee in avanzato phase-out. In particolare, gli AMX sono già stati ridotti abbondantemente, scendendo da 136 velivoli a 52. Potranno essere operativi fino al 2020, ma stimiamo la loro fine tra il 2018 e il 2020.
Il Tornado è un progetto degli anni Settanta: da 99 macchine ne abbiamo al momento circa 60 ancora in grado di operare. Stimiamo di mantenerne una quarantina, che entro il 2025 termineranno la loro vita operativa. Anche l'Harrier, un velivolo basato su un progetto molto più vecchio, assemblato a Caselle negli anni Novanta, per il 2020 avrà finito la sua vita operativa.
Sostituire questi velivoli non è certamente una moda, ma una concreta esigenza che ci permette di essere presenti non solo per la difesa del sacro suolo, ma, come nazione, anche laddove è necessario o dove dettami e convenienze politiche, economiche o industriali ce lo impongono.
Procedo un po' a braccio, perché il Segretario generale ha già spiegato tutti gli aspetti. Vorrei, però, richiamare l'attenzione su alcune questioni essenziali.
Si sente dire che la Difesa si sta comprando la Maserati. Questo è un velivolo di quinta generazione. Significa semplicemente che contiene la tecnologia di quinta generazione. Il progetto di un velivolo dura vent'anni. Immaginate che un Tornado negli anni Settanta nacque con microprocessore a 60 K di memoria. Vi ho detto tutto.
Il Joint Stright Fighter (JSF) è un velivolo di quinta generazione, il che significa che il progetto è stato così veloce, così concreto - e questo è il motivo per cui è costato tanto - da poter impiegare la tecnologia di oggi.


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Ricollegandomi alle parole del Segretario generale, nessuna nazione o nessun consorzio di nazioni europee sarebbe stato in grado di produrre questo velivolo non essendovi un mercato. È di questi giorni la notizia che l'Eurofighter ha perso anche la gara in India. È una flotta che è costata tanto, ma che è stata prodotta in 609 esemplari perché dietro ci sono costi di sviluppo concreti che nessuna nazione o nessun consorzio di nazioni può oggi sostenere.
Questo è anche il motivo per cui nemmeno gli Stati Uniti avrebbero potuto affrontare un progetto tanto impegnativo come il JSF e per cui le nazioni NATO che parteciparono all'epoca colsero al volo l'occasione di creare - permettetemi di usare un termine dissacrante nel nostro mondo aeronautico o scientifico - una sorta di cooperativa. Hanno comprato l'azione per partecipare.
L'Italia partecipa a questo progetto enorme con appena il 4 per cento dello sviluppo. Tale percentuale, in termini monetari, si traduce in poco più di un miliardo di dollari in una decina di anni. Con questa cifra si progetta appena un velivolo da addestramento non armato. Questi sono i numeri e i costi.
Il rilassamento di una produzione significa che le nazioni stanno aspettando il momento buono per entrare nel progetto. Questo è un altro punto molto importante, sul quale - se il Segretario generale me lo permette - vorrei andare a fondo.
I giornali riportano che su questo contratto non ci sono penalizzazioni. Dobbiamo ringraziare i miei predecessori e le persone illuminate che hanno condotto a redigere un contratto di questo tipo. Noi abbiamo partecipato con il 4 per cento, ed è vero che non abbiamo penali, se non realizziamo gli aeroplani. È vero, però che subiremo penalizzazioni incredibili, se non lo faremo, in termini di ritorno industriale e di incapacità di avere un velivolo nel giro di quindici anni che sostituisca le linee attuali. È un unico progetto che soddisfa tre diverse esigenze.
Il contratto è stato elaborato in maniera intelligente. I prezzi sono imposti secondo una learning curve imposta dal Governo americano e controllata dagli alleati. Il costo sta scendendo a mano a mano che le procedure vengono migliorate e si acquisisce l'abilità a produrre. Pertanto, mano a mano che si va verso numeri concreti di produzione, il costo scende.
Il costo viene deciso, lotto per lotto, di due anni in due anni. Posso affermare che, nel giro di dieci anni, dai primi due velivoli, il costo è sceso forse di un 60 per cento, per darvi un'idea concreta di ciò che c'è dietro questo mondo. È chiaro che, se l'Italia entrerà, lo farà nel sesto contratto.
L'Italia, però, sta già operando, ha già un ritorno, perché le ditte italiane stanno già lavorando per velivoli che non saranno destinati all'aeronautica, dal momento che non li abbiamo ancora ordinati. La realtà è che il velivolo è oggi un successo, perché altre nazioni si sono già prenotate con numeri significativi. Nel nostro mondo un numero da 42 fino a 200, per un Paese come il Giappone, o, per una nazione come Israele, uno da 19 a 56 è veramente significativo.
Salto la parte sulla cronologia del programma, riportata nella slide che mostra lo sviluppo temporale del programma nelle diverse legislature, come si è andati avanti e come, step by step, si è proceduto, partendo nella prima parte dalla dimostrazione del concetto per poi passare allo sviluppo, a un dimostratore e all'avvio di una fase di prenotazione.
Passo, invece, a parlare di quanto è costato tutto ciò (slide sulle fasi del programma). I numeri sono pubblici. Nella fase di dimostrazione del concetto, dal 1998 al 2001, l'Italia ha partecipato, torno a ripeterlo, per una quota che non arriva al 4 per cento, pari a circa 10 milioni di dollari. Nella fase di sviluppo e di dimostrazione del progetto, per 10 anni i costi ammontano a un miliardo di dollari. È facile la conversione.
La quota italiana del progetto è del 3,8-3,9 per cento. Parlo di 4 per cento per semplicità. L'Italia è il terzo Paese come livello di partecipazione, in linea con il


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nostro impegno NATO, peraltro. Siamo tra i Paesi leader nella coalizione e anche in questo caso lo siamo stati per la partecipazione.
Senza entrare nel dettaglio, c'è una parte di oneri che abbiamo dovuto corrispondere per la produzione dei primi velivoli che sono serviti per le prove. Sono velivoli destinati a esaurire la loro vita con le prove.
Spesso si sente parlare di un velivolo che ha richiesto o richiede 700-800 modifiche.
Il mio mestiere - io sono responsabile dell'acquisto degli armamenti aeronautici, ma anche dell'aeronavigabilità dei velivoli e sono anche il corrispondente militare dell'ENAC e, quindi, la mia struttura certifica gli aeroplani, assegna loro la matricola militare e li autorizza all'impiego, ossia al volo - è proprio quello di esaminare le modifiche. Nel lavoro corrente della mia direzione, in un anno, sono allo studio circa 2 mila modifiche per gli aeroplani militari che volano in Italia, modifiche che vanno dal cambio di una pagina di un manuale al cambio di una procedura manutentiva, al miglioramento di un particolare che si è dimostrato difettoso.
Perché costano tanti questi progetti? Perché l'autorizzazione all'impiego in volo viene rilasciata se la probabilità di incidente catastrofico, ossia di un guasto che determina un evento catastrofico, è inferiore a uno su un milione. Vi lascio immaginare che cosa c'è dietro in termini di studio e di progettazione di un mezzo aereo militare. Nell'aereo militare non c'è spazio: il peso va limitato e, quindi, con l'accuratezza del progetto e con la precisione si compensa quello che commercialmente si ottiene con una ridondanza.
Nei velivoli civili i sistemi sono quadruplicati per sicurezza. Noi abbiamo un unico sistema che deve funzionare sempre e la manutenzione costa, perché dobbiamo assicurare quella probabilità di uno su un milione anche l'ultimo giorno dei 45 anni in cui avranno operato i Tornado che fermeremo nel 2025.
Sulla produzione non so riferire di più perché ancora è in discussione se il programma andrà o non andrà avanti e che numero di mezzi verrà deciso di realizzare. Vi comunico solo che l'Aeronautica e la Marina italiane fermeranno, per termine della vita operativa, 250 aeromobili. Originariamente il JSF ci assicurava la possibilità di una sostituzione di due a uno: si pensava, cioè, di sostituire 250 velivoli con 131.
L'ultima voce è la FACO (Final Assembly and Check Out), che è il nostro orgoglio perché concretizza la volontà del Parlamento italiano. Riferendomi ancora alle parole del Segretario generale, non si tratta di un'acquisizione all'estero. Fu imposta la condizione che il velivolo fosse prodotto in Italia.
Produrre il velivolo in Italia significa svolgere lavoro, importare tecnologia e abbattere in misura drastica i costi, perché, quando si costruisce un sistema d'arma o un velivolo così complesso, come per qualsiasi velivolo sia stato realizzato in passato, lo Stato spende per attrezzare l'industria nazionale.
In questo caso l'investimento è compiuto sul demanio e rimane proprietà dello Stato. Questa «fabbrica» è proprietà dello Stato e verrà data a titolo oneroso alla ditta o, se non avverrà questo, servirà per abbattere i costi. Oggi un operaio del settore aeronautico costa alle ditte oltre 100 euro l'ora.
Con questo sistema si abbattono i costi non ricorrenti e questa è la chiave vincente: non solo si assicura il lavoro in Italia, o almeno una parte del lavoro, ma soprattutto si abbattono drasticamente i costi, il che non è un'impresa facile. So benissimo che ci sono pressioni su tutti noi e su tutti coloro che parlano in termini di ritorni o di spinte da parte dell'industria, di chi è favorevole o di chi è contrario. È chiaro che l'industria italiana non è a suo agio. Noi stiamo fronteggiando l'industria italiana, l'industria americana e l'opinione pubblica, perché questo significa arrivare a costi ragionevoli, cosa che in passato non è successo.


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Su questo stabilimento bisognerà discutere con l'industria un costo industriale gestito dall'amministrazione. In merito a ciò interviene il nostro nuovo ruolo imposto dal Segretario generale: noi partecipiamo con l'industria, siamo nelle trattative industriali proprio per questo scopo. Questa è la concretizzazione di tale principio.
Vado velocemente perché sto parlando troppo e mi rendo conto che il tempo vola. Mi soffermo, però, sulla slide sugli sviluppi recenti del programma che è importante, perché risponde, forse indirettamente, anche a un'altra domanda.
Il velivolo a decollo verticale è stato bloccato, è stato fermato. Si tratta di un progetto molto impegnativo. All'inizio del 2011 fu decretato dal Segretario alla Difesa americana un periodo di osservazione di due anni. Questa riserva è stata sciolta a gennaio del 2012, dopo appena un anno. Lo sviluppo è ripreso e si completerà per il 2016. La fabbrica che stiamo costruendo dovrebbe essere pronta per il 2014 e partire con questa lavorazione per agganciarsi alla produzione prevista dal 2016 in poi.
Ci sono poi alcuni costi che non ho menzionato, perché dipenderanno dal numero degli aeroplani. Infatti, da quest'ultimo dipenderà la struttura del supporto logistico e dal ruolo che verrà definito per le Forze armate dipenderà il numero di ore da svolgere. Dal numero di ore da svolgere dipenderà, a sua volta, il numero di piloti e da questo il numero di ore di volo che serve per i piloti.
Per mandare un pilota in Afghanistan a fare quello che gli viene richiesto occorre una marea di lavoro di cui nessuno ha idea perché sta dietro. Se avrò il piacere di potervi ospitare a Cameri, vi mostrerò una parte della nostra realtà. Perché un pilota possa volare in sicurezza per lui, per il mezzo e per la popolazione sorvolata e svolgere i compiti assegnatigli deve effettuare almeno 180 ore di volo all'anno. Questo vi dà l'ordine di grandezza del lavoro che c'è dietro.
Vi ho parlato della sicurezza del mezzo, della complessità del progetto, della cura della manutenzione, del supporto logistico, di che cosa serve per effettuare un'ora di volo. Per effettuare un'ora di volo il pilota deve averne alle spalle 180.
Vi ho riferito tutto sulla FACO. Essa si svolgerà a Cameri. Perché a Cameri? Si tratta di un'altra realtà poco conosciuta ai più. Da circa vent'anni l'Aeronautica militare ha iniziato un percorso virtuoso, per cui il reparto manutenzione è in grado di eseguire lavorazioni industriali a livello dell'Alenia. Alla FACO si effettuano le revisioni del velivolo Tornado.
Il velivolo Tornado - ai miei tempi, da colonnello, ho svolto quel lavoro e il Colonnello Lupoli l'ha svolto alcuni decenni dopo - effettua una revisione generale quando finisce un ciclo operativo. Il velivolo viene completamente smontato, vengono svolti alcune analisi e controlli sulle semiali e sul carrello, ossia le parti che sono più penalizzate. Vengono in alcuni casi effettuati i cablaggi e viene espletata un'ispezione di ogni particolare. Sono migliaia di particolari, numeri impressionanti. Un velivolo come il Tornado si porta dietro probabilmente 2 mila pubblicazioni specifiche.
Questo lavoro viene svolto a Cameri dove non solo ci si occupa della manutenzione del Tornado, ma si svolge lo stesso lavoro anche per l'Eurofighter. L'Aeronautica militare, con il nuovo velivolo, ma anche la Marina, ridurranno il numero delle basi operative e l'impegno manutentivo in Italia. Questo verrà concentrato su Cameri che diventerà un hub tecnologico per l'Aeronautica. Lo è già per le due linee più avanzate e lo sarà anche per la terza.
Nel momento in cui scomparirà il Tornado per la fine del suo ciclo operativo, rimarranno a Cameri l'Eurofighter e l'F35. La FACO, che è lo stabilimento per la produzione, diventerà nel tempo l'ente per la manutenzione. Ci sarà, quindi, un phase-out della produzione e un phase-in dei cicli manutentivi.
Cameri si trova in provincia di Novara, al centro del triangolo industriale fra Milano, Genova e Torino. È un ente che lavora per due linee internazionali e ha collegamenti con industrie internazionali.


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Sicuramente tutti gli ufficiali, ma anche gran parte del personale, sono in grado di lavorare in lingua inglese, di utilizzare istruzioni in lingua inglese e di avere contatti diretti con le industrie internazionali. Ciò comporta un risparmio intrinseco. Una qualsiasi base militare di media grandezza costa circa 100 milioni di euro all'anno per la sua gestione. In questa installazione stanno confluendo le capacità tecnologiche manutentive dell'Aeronautica per i prossimi quarant'anni.
Ho parlato di stabilimento, ma Cameri è molto di più. Nella slide relativa alla collocazione della FACO vedete una sua pianta: questo contratto è stato firmato nel giugno del 2010 e nel gennaio del 2011 sono iniziati i lavori del cantiere. Vi mostrerò poi una fotografia aerea di ciò che si sta costruendo in questa sede e che l'onorevole Crosetto ha definito «il miracolo italiano».
In realtà, parliamo di 124 mila metri quadri di fabbricato su un'area urbanizzata di mezzo milione di metri quadri, con circa 8 mila apparecchiature, fra specifiche e non specifiche. Ci sarà un largo impiego di information technology, se avremo l'assistenza tecnica, per l'avvio di questa fabbrica. Sono infatti previsti due cicli produttivi, che comprendono la fabbricazione non solo degli aerei destinati alla Difesa italiana, ma anche di quelli destinati alla Difesa olandese.
Il Segretario generale ha accennato alla produzione delle ali. È questo il vero ritorno per una nazione che ipotizzava di comparare 130 aeroplani. C'è una possibilità - parlo di possibilità, perché dipenderà dalle decisioni che verranno prese - che su quei numeri sia prevista la costruzione in Italia di 1.215 ali.
Quando parliamo di ali, non bisogna pensare alla propaggine a destra o a sinistra dell'aeroplano: l'ala è la parte centrale del velivolo, con le due semiali. Il tutto è sostenuto da un pezzo, il wing-carry-through, che nella parte sinistra della slide su produzione e assemblaggio è colorato in verde e che è un solo pezzo di titanio.
In Italia non si lavora il titanio: viene inserito l'altro pezzo e poi vengono montate sopra le due semiali. Quel pezzo è il più importante dell'aereo. Il valore di 1.200 duecento ali si aggira intorno ai 6 miliardi di dollari. Queste sono le cifre che girano attorno a questo lavoro. Uscire dal progetto significa metterci una croce sopra.
L'Italia non ha ancora ordinato gli aeroplani. L'Alenia sta già lavorando per tre wing-carry-through. Abbiamo messo a disposizione dell'Alenia, a titolo oneroso, alcuni locali della struttura di Cameri perché partissero con le lavorazioni.
In realtà, come ha accennato il Segretario generale, questo contratto non nasce dalla logica di ripartizione delle spese sul territorio, ma da una competizione tra tutti i soggetti in grado di produrre. Ciò significa che l'Alenia deve essere al tempo con le produzioni che si stanno svolgendo nella Lockheed Martin. È vero che i documenti ufficiali indicano che l'Alenia è la second source - e, quindi, la Lockheed Martin effettua le lavorazioni e poi dà all'Alenia l'eccesso delle lavorazioni stesse o quanto è previsto per contratto - tuttavia l'Alenia deve essere competitiva, non può lavorare a costi superiori alla Lockheed Martin.
Se la Lockheed Martin, che sta già probabilmente alla cinquantesima ala, ha già un'abilità tale da poter abbattere i suoi costi, noi dobbiamo stare al passo con loro. Per questo motivo abbiamo dato la possibilità all'Alenia di cominciare a lavorare.
Lo stabilimento è in costruzione. Si è già iniziato a lavorare. Il contratto è partito nel 2010, i lavori di scavo sono iniziati nel 2011 e si concluderanno nel 2014. Nel maggio di quest'anno, onorevoli, io consegnerò i primi due hangar, i primi due capannoni per la fabbricazione delle ali, a cantiere operante. L'hangar del primo RMV - che potete vedere nella slide relativa al cantiere come è oggi - è di 5 mila metri quadri di area operativa. Così potete compiere un paragone.
Oggi ci sono praticamente quattro cantieri in corso, che occupano 500 persone:


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muratori, elettricisti, carpentieri e via elencando. Il termine dei lavori è previsto nel 2014, ma gli addetti inizieranno a entrare già prossimamente, perché a maggio consegneremo i due capannoni per le semiali e dal 2013 inizieremo uno degli hangar per l'assemblaggio del primo velivolo italiano. Abbiamo comprato non le infrastrutture, ma una capacità.
Questo è il motivo per cui, come direttore degli armamenti, ho stipulato il contratto. Ho comprato la capacità, ossia gli uomini, l'addestramento, il tooling, ossia le attrezzature, e le infrastrutture. Ho comprato la capacità e, per dimostrare la capacità questo stabilimento deve produrre, per avere il pagamento finale dei lotti, un aeroplano.
Ho parlato di tooling. Lo Stato italiano sta pagando le infrastrutture e l'addestramento, ma tutto ciò che è tooling specifico per la costruzione non è pagato dallo Stato italiano, ma dal consorzio e il nostro impiego è del 4 per cento in ogni caso. La parte delle ali non è pagata da noi, ma dal Consorzio. Noi abbiamo come ritorno il lavoro e l'investimento dello Stato è solo nelle infrastrutture.
Qual è il futuro di questo stabilimento? Non è tanto quello di eseguire i lavori, ma è ciò che verrà nei quarant'anni dopo. Questo progetto è nato, nella parte americana, come fornitori di ore di volo a tutto il mondo: gli aeroplani che volavano nel mondo erano 4.000 e la loro manutenzione era negli Stati Uniti. L'abilità dei nostri politici all'epoca è stata di imporre che ciò si attuasse in Italia.
Questo stabilimento ha reso possibile oggi il cambio di questa mentalità. Gli Stati Uniti avranno tre centri di manutenzione: uno in Australia, uno negli Stati Uniti, dove stanno producendo gli aeroplani, l'altro è il nostro. Perché sarà il nostro e non ci saranno altri candidati? Il motivo è che dentro ci sono alcune lavorazioni che non saranno, per motivi di sicurezza, replicate da nessun'altra parte.

PRESIDENTE. Ma gli olandesi?

DOMENICO ESPOSITO, Direttore generale degli armamenti aeronautici. Gli olandesi, come contropartita, effettueranno la revisione dei motori.
Che cosa c'è dentro? Ci sono queste attività che non verranno replicate da nessun'altra parte, perché riguardano l'arcivernice, che rende invisibile l'aeroplano, il modo di prepararlo e di verificarlo, che sono attività di alto livello di segretezza. Come vedete nella slide relativa all'obiettivo 2 l'aeroplano viene sollevato, illuminato e ne viene misurato il ritorno radar. Questo sistema è in grado di vedere se alcuni ribattini sono stati collocati male. Si tratta di tecnologia che noi non ci sogniamo nemmeno.
Andiamo adesso a vedere che cosa succede oggi. Oggi che non abbiamo ancora ordinato aeroplani e che siamo ancora nella fase di bassa produzione - per i velivoli americani e per alcuni inglesi e olandesi, se non sbaglio - abbiamo già 41 ditte che stanno lavorando e che hanno vinto contratti per particolari che andranno sugli altri velivoli.
Io mi chiedo solo che cosa succederà, se usciremo da questo programma. Nella parte destra della slide sulle aziende nazionali coinvolte vedete altre 32 ditte in trattativa o per essere riconosciute, o perché stanno per entrare. Dove si trovano? Interessano tutto il territorio nazionale. Nella slide successiva vedete la pianta delle ditte e dove si trovano.
Oggi, all'inizio del 2012, sono già stati appaltati in Italia lavori per 539 milioni di dollari, di cui 222 milioni di dollari solo nel 2011. Mantenendo il nostro impegno nel programma, queste aree di lavoro, a fondo corsa, porteranno una stima di circa 14 miliardi di dollari di lavoro in Italia, a fronte dell'impegno che ci siamo presi.
Vi do un ultimo dato di riferimento: nell'Eurofighter lavorano in Italia 11 mila persone. La stima per il JSF è di circa 10 mila persone per le ditte che vi ho nominato, di cui 1.500 nello stabilimento di Cameri. Ci sono alcune ditte che già hanno compiuto investimenti. Ad esempio, la OMA di Foligno ha già alcuni contratti, è già qualificata per tutte le lavorazioni al titanio, ha 26 procedure su 28 prodotte a sue spese, ha investito 5 milioni di euro,


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sta realizzando un nuovo stabilimento e sta assumendo personale. Per le lavorazioni in titanio c'è una ditta milanese che investirà, nei prossimi tre anni, 20 milioni di euro per entrare in questo business.
Ci sono penali? No, non ci sono penali, ma ci sono penalizzazioni che valgono molto più delle penali, a mio modo di vedere.
Concludo richiamando ciò che ha affermato il Segretario generale: questa è un'opportunità unica per le Forze armate di sostituire - due a uno - i velivoli che comunque dal 2017-18 al 2025 finiranno la loro vita operativa e su cui io non posso autorizzare altre ore di volo, perché sono arrivato faticosamente ai limiti del materiale impiegato.
È un'opportunità unica per l'industria italiana, perché dopo l'Eurofighter non ci sarà alcun grosso programma. È un'opportunità unica per il ritorno tecnologico che sta dietro il lavoro che vi ho descritto.
Con questo ho concluso, restando a disposizione per le domande, e mi scuso, se mi sono dilungato.

PRESIDENTE. Grazie, generale, è stato chiarissimo.
Vorrei preliminarmente ricordare che, anche per la mia funzione di presidente della Commissione difesa, ho sostenuto in più riprese la validità del programma, che, d'altro canto, e ciò non sfugge a nessuno, è partito dal Governo D'Alema ed è poi passato attraverso il secondo Governo Berlusconi, il Governo Prodi e, quindi, il terzo Governo Berlusconi. Evidentemente non possiamo ignorare questo lavoro.
Io sono convinto della sua necessità, tuttavia bisogna fare un po' anche gli avvocati del diavolo e parlare soprattutto degli elementi di criticità, che ci consentono di essere più consapevoli di ciò che facciamo, ma anche in grado, come rappresentanti del popolo, di spiegarlo all'opinione pubblica e al contribuente.
Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei rivolgere con alcune domande. Perché l'Eurofighter non può svolgere la sua funzione come caccia di quarta generazione, ancorché di cacciabombardiere, rispetto, invece, al JSF multiruolo?
Nel nuovo quadro economico di riduzione delle risorse, il numero degli aerei è coerente con le finanze che lo Stato assegna alla Difesa?
Si parla spesso di costi del programma che sono andati evolvendosi. Quando il programma è stato deciso, ci si era prefigurati di spendere una data cifra, mentre adesso si parla di costi assai lievitati.
Una delle motivazioni in positivo è il rilascio della tecnologia stealth. Secondo alcuni critici questo non starebbe accadendo e non ci sarebbe alcuna garanzia che effettivamente noi acquisiremmo una maggiore tecnologia su questo versante.
Quello che lei ha citato come un elemento positivo, uno sforzo della nostra industria privata di diventare maggiormente competitiva, per altri è una criticità del programma, nel senso che il criterio del best value danneggerebbe l'industria nazionale; infatti, mentre con l'Eurofighter essa doveva avere un ritorno obbligatorio nella produzione, adesso se lo deve conquistare con la sua capacità tecnologica.
Infine, ci si domanda se non fosse stato meglio comprarlo, per esempio, come fa il Giappone, dal punto di vista economico.
Do la parola ai deputati che desiderano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

ETTORE ROSATO. Ringrazio gli intervenuti per la relazione molto ampia. In premessa osservo che avrei piacere di uscire da questa audizione convinto che i nostri soldi pubblici vengano spesi bene e che siamo sulla strada giusta.
Mi sembra che nella vostra relazione emerga il fatto che non si possa tornare più indietro. Ce l'avete detto e ce l'avete mostrato. Su questo punto rappresento una preoccupazione che traspare proprio dalle sue parole, cioè che nel passato si sono commessi grandi errori, che non vogliamo ripetere anche nel futuro.
Io credo - riprendendo un'affermazione svolta dal Ministro Di Paola in questa Commissione, ossia che noi dobbiamo


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assumerci le nostre responsabilità - che per assumerci le nostre responsabilità in quanto Parlamento abbiamo bisogno di alcune informazioni in più.
Questa relazione - mi permetto di fare una battuta - non avrebbe avuto la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato. I costi e i ricavi a me appaiono ancora piuttosto aleatori. Vorrei capire quanto è dovuto alla mia incapacità di comprendere e quanto è invece dovuto al fatto che ci sono ancora questioni in sospeso e non chiare.
In particolare, non mi pare ancora definito il costo finale dell'aereo per il nostro Paese - mi sembrava anche di vederlo in una slide -, però probabilmente ci sarà un range per capire quanto costa uno di questi veicoli.
Un'altra questione riguarda le ricadute industriali. Lo rilevo con grande rispetto, ma mi sembra che abbiate messo in moto un meccanismo molto imprenditoriale, il che è sempre un bene. Voi, però, non siete Finmeccanica. La gestione delle aziende è una parte che deve svolgere l'industria, mentre lo Stato ha altri compiti.
Nel momento in cui c'è una commistione tra chi controlla, chi compra e chi realizza, io penso che si vada solo incontro a confusione. Sulla relazione che ho sentito resto molto dubbioso, lo ripeto. Ci avete riferito in pochi minuti su una questione che richiede molto più tempo e che mi sembra ancora molto fumosa.
Analogamente mi sembrano da approfondire le reali ricadute industriali. Noi ci limitiamo alle notizie che sentiamo e leggiamo, ma voi avete elementi più chiari sull'effettiva acquisizione dei veicoli da parte degli altri Paesi e sulla nostra possibilità di realizzarli?
Si parla di assemblare una parte importante, anzi la principale, come lei ci ha descritto, dell'aereo, che è altro rispetto al valore dell'aereo. Assemblare pezzi costosi non significa che c'è un grande valore aggiunto, in linea generale. Se poi lei mi spiega che, invece, quei pezzi vengono realizzati e non solo assemblati in Italia, allora è un'altra questione.
Ci sono aziende con grandi fatturati e con piccolissimi margini. Non vorrei che l'Italia si occupasse di assemblare pezzi molto costosi, su cui, però, la ricaduta è molto piccola.
Potrei citare altre questioni. Alcune sono state sollevate dal presidente, altre lo saranno senz'altro dai miei colleghi. Io penso che su questo punto, salvo che il ministro non decida di andare avanti a prescindere da ciò che si pensa in questa Commissione - peraltro, non sarebbe la prima volta che accade nel nostro Paese su queste materie -, che se si vuole ricevere un supporto anche in termini di spiegazione all'opinione pubblica di ciò che sta accadendo in un momento di grande crisi, in cui la gente si chiede perché si spendono 18 miliardi di dollari per gli F-35 e se si vuole anche un supporto di carattere politico per spiegare un'esigenza del nostro Paese, ci sia bisogno di un lavoro molto più ampio di comunicazione e, oso dire, di trasparenza.
Ciò non significa che ci sia qualcosa di opaco, ma che occorre avere elementi chiari. Io ho ricevuto alcune informazioni importanti, e ve ne ringrazio, però me ne mancano moltissime altre.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Innanzitutto vorrei ringraziare gli intervenuti perché, effettivamente, in sede istituzionale - almeno come Commissione competente - è dal 2009 che noi non abbiamo informazioni ufficiali o dettagliate sulla partecipazione italiana a questo programma. Credo che questo vuoto abbia pesato anche sul tipo di sensibilità che circola in questo periodo nell'opinione pubblica e nel sistema mediatico.
Mi associo al collega Rosato nell'affermare che, se è vero che ognuno ha la sua competenza e la sua responsabilità, è anche vero che c'è bisogno di condividere alcune informazioni non soltanto per motivi di trasparenza, ma anche perché ognuno di noi possa essere in grado di svolgere il proprio ruolo nel modo migliore.
Io ho alcune domande molto puntuali e vorrei avere risposte il più possibile puntuali.


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Capisco che è impossibile oggi determinare - in merito vorrei però una conferma - quanto costerà ogni singolo aereo, che il costo del singolo aereo dipenderà dal momento in cui esso sarà comprato e che più, avanti andiamo, meno costerà. Questo ragionamento è corretto?
Vorrei anche avere conferma del fatto, se ho ben compreso, che nulla, dopo il memorandum of understanding, è stato firmato dal nostro Paese e che nulla è stato concordato in termini di acquisto, anche se «acquisto» è una parola non esatta, perché si tratta di produrre e di acquistare al tempo stesso.
Se ho capito bene, l'ultimo atto ufficiale di accordo è il Memorandum of understanding, oppure dalla sua firma a oggi c'è stato dell'altro? Forse l'onorevole Crosetto ci può rispondere a sua volta.
Avevo poi una domanda alla quale mi sembra che il generale Esposito abbia già parzialmente risposto. Quando si inizierà ad assemblare a Cameri? Io ho capito a maggio. Verrà assemblato non per noi, ma per altri? Anche su questo punto vorrei avere dettagli.
Vorrei sapere, inoltre, se ciò comporta costi per il nostro Paese e, se effettivamente si inizia ad assemblare adesso, qual è la modalità di pagamento di questi costi.
Passo adesso alla domanda più importante. Quando è necessario decidere quanti aerei ordineremo? Credo che questa sia la domanda fondamentale, cioè i tempi di acquisto. È di pochi giorni fa la notizia che l'Australia ha stabilito di decidere dopo, se ho letto bene.
Soprattutto, però, e l'avete ricordato anche nella presentazione, è di alcuni giorni fa la definizione del bilancio della Difesa americana. Cito testualmente, con un'approssimativa traduzione in contemporanea, le parole del Segretario alla Difesa americana Panetta: «Abbiamo confermato il budget per gli F-35, ma in questo budget abbiamo rallentato la decisione sull'ordinazione per completare più test e permettere cambi e sviluppi ulteriori prima di comprarne in significative quantità». Ne deduco che gli americani decideranno quanti aerei compreranno in un passaggio successivo.
La domanda fondamentale è, dunque, la seguente: quando il nostro Paese dovrà decidere quanti produrne, se confermarne 131 o se ridurne il numero, e a quale livello? Da quanto capisco tutti i partner coinvolti nel progetto, lasciando da parte i semplici compratori per i quali la vicenda è diversa, stanno posticipando la decisione finale sul numero complessivo a un momento in cui i costi saranno più chiari e gli ultimi aggiustamenti al programma saranno resi operativi.
Grazie.

PRESIDENTE. Poiché ci restano solo 10 minuti, essendoci votazioni in Assemblea alle ore 16, suggerirei di terminare di porre le domande. Forniremo, quindi, lo stenografico della seduta e le risposte potranno essere rese nella giornata di martedì prossimo.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Potrei dare ora un primo step di risposte.

PRESIDENTE. Ci sono ancora molte domande da porre e tra una decina di minuti dovremmo chiudere i lavori della Commissione.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Posso proporre di rispondere a queste domande. Eventualmente alle altre risponderò in seguito.

PRESIDENTE. Va bene. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Desidero rispondere innanzitutto alle domande dell'onorevole Rosato. Quello per cui non si può tornare indietro è un discorso di costi e di efficacia. Essendo le condizioni del nostro Paese completamente cambiate, in teoria


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si potrebbe analizzare di nuovo tutto e anche tornare indietro. Non vorrei dare l'impressione che noi intendiamo avanzare quasi un ricatto, comunicando che siamo ormai a questo punto e che non si può tornare indietro. Tutto si può fare davanti a una volontà precisa. Non vorrei che lo stato del programma fosse percepito come un obbligo.
Quanto ai costi del programma e ai suoi ritorni industriali, nonché alla commistione tra pubblico-privato, tra Stato e impresa, devo dire che per noi si è trattato di un passaggio essenziale. Osservando la nostra industria, posso affermare che non abbiamo commesso errori nel passato. C'è stata un'evoluzione naturale. All'inizio c'era il cosiddetto concetto del «compra in Italia». Abbiamo realizzato tanti prodotti nazionali, che sono stati venduti all'estero con ottimi risultati. Poi siamo entrati in una cooperazione internazionale con regole blindate, come sull'Eurofighter.
È servito, perché la nostra industria è arrivata a livelli tecnologici notevoli. Grazie ai livelli tecnologici raggiunti e al fatto che gli americani avevano timore che noi realizzassimo un altro aereo europeo, avendone le capacità, c'è stata la grande apertura da parte degli Stati Uniti, che mai prima avevano aperto ad altri Paesi i loro programmi migliori. A questo punto, in un accordo transatlantico, siamo arrivati alla conclusione di costruire insieme la nuova generazione di aeroplani.
Questo è stato il percorso naturale. Ogni step ha avuto una sua logica e ha permesso lo step successivo. Non sono stati commessi errori e non si è cambiata politica: è stata un'evoluzione naturale.
Entrando in questo business, rispetto a prima, ossia a quando promuovevamo l'industria e l'aiutavamo a produrre, abbiamo voluto, invece, creare un tool, uno strumento che comunque sarà gestito dall'industria. Non gestiremo noi la FACO. Abbiamo dato all'industria uno strumento da gestire per attuare la sua attività imprenditoriale. Noi forniremo soltanto una copertura governativa, quando si tratterà di trattare con gli altri Paesi. Dall'Olanda abbiamo già avuto l'assicurazione di poter assemblare in Italia e adesso stiamo negoziando con la Turchia. Negoziamo a livello Governo-Governo e, quindi, diamo una copertura alla nostra industria, quando negozia con un'altra. Alla fine, questo è un tool che sarà gestito con criteri imprenditoriali dall'industria e noi ci aspettiamo che Finmeccanica lo sappia utilizzare al meglio.
I costi del programma rappresentano ciò che veramente ritorna. Non è solo assemblaggio. Le piccole e medie imprese non assemblano, ma producono. Infatti, l'altro importante sforzo che chiediamo a Finmeccanica, e su cui stiamo lavorando insieme, è quello di distribuire bene il lavoro alle piccole e medie imprese. Ci sono tante piccole e medie imprese. La lavorazione del titanio, ad esempio, è un'altissima tecnologia, che, se viene realizzata in Italia, genera un guadagno netto. Dobbiamo pensare che il titanio serve per tante altre operazioni.
Nel momento in cui si acquisisce tecnologia, il valore di ciò che paghiamo per il Joint Strike Fighter effettivamente si riversa su altri progetti che la nostra industria può presentare a livello internazionale.
Il discorso di effettuare un diretto ritorno di ciò che si spende e di ciò che poi se ne ricava non può essere visto senza pensare a tutte le potenzialità che l'industria ha in campo internazionale. Il produrre un tool piuttosto che dare un diretto finanziamento all'industria è la differenza che ci dà il Joint Strike Fighter.
Il nostro vero valore sono soprattutto le piccole e medie imprese. Purtroppo le nostre grandi imprese, e ho avuto occasione di rilevarlo più volte, hanno ancora alcuni difetti organizzativi. Hanno ancora sovrastrutture che le rendono molto costose, mentre le nostre piccole e medie imprese, che sono tante e sono molto efficienti, sono già pronte a questo approccio. Riescono già a produrre con costi competitivi. Alcune nostre industrie - cito quella aerea senza alcuna parzialità - sono entrate nel programma Joint Strike Fighter


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prima ancora che l'Italia firmasse il primo MOU, dimostrando una grande capacità.
Il nostro sforzo sarà quello di far sì che Finmeccanica sia effettivamente la capofila di tutta la nostra capacità industriale e noi speriamo che questo programma sia l'occasione per ottenere questo risultato.
Penso di aver risposto a quasi tutte le domande dell'onorevole Rosato.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Mogherini Rebesani, ossia il costo dell'aeroplano, nella presentazione c'è già una slide che dimostra il costo dell'aeroplano. Questo parte dai primi esemplari, che vengono 200 milioni di dollari a velivolo, e arriva via via, a seconda dell'aumento di produzione, a 70 milioni di dollari a velivolo. Ciò avviene perché i costi non ricorrenti iniziali si distribuiscono su più macchine. Sul costo c'è, dunque, un discorso di diminuzione a mano a mano che si costruiscono i velivoli.

PRESIDENTE. Chi li comprerà tra dieci anni quanto li pagherà?

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Pagherà la cifra che si vede nella slide che mostra la curva del costo del veicolo. Poi il prezzo si stabilizzerà.

DOMENICO ESPOSITO, Direttore generale degli armamenti aeronautici. Preciso che nella slide è scritto «costo del velivolo». Noi siamo i soci dell'avventura. Non so a quanto i velivoli verranno venduti, ma posso dire a quanto venderei un velivolo che mi costa 70 milioni di dollari. Non è il prezzo, è il costo. Non sono dati teorici.

PRESIDENTE. Mi scusi, la domanda è importante, perché ci serve anche a spiegare all'esterno la questione.
A noi, perché siamo soci, il velivolo costerà tra un certo numero di anni 70 milioni, perché ne abbiamo comprati altri prima. Invece, a un altro Paese che vorrà acquistarlo costerà 150 milioni, per fare un'ipotesi. È importante spiegarlo.

DOMENICO ESPOSITO, Direttore generale degli armamenti aeronautici. C'è un altro punto che mi preme sottolineare. Noi siamo la second source, la seconda sorgente. Ipotizziamo che la nostra curva di apprendimento renda la produzione dei nostri velivoli più costosa di quanto risulta agli americani. Questo aspetto è nato dalla teoria, mentre i primi sei punti sono reali e sono i riferimenti per imporre il costo.
Se io voglio costruire una penna, debbo sapere come produrla, dove comprare i singoli pezzi e avere anche un piccolo magazzino. Quando arrivo al duecentesimo aeroplano, ho le procedure a memoria e ottimizzate, come una qualsiasi fabbrica, e lavoro su un numero significativo.
Questa è la risposta. Questo è il motivo per cui è stato necessario far partire subito l'industria nazionale con la produzione delle ali, perché essa doveva entrare in un momento il più vicino possibile a quello in cui è entrata la first source, la prima sorgente, ossia la prima casa produttrice. Diversamente, la differenza di costo sarebbe stata troppo significativa al punto da non poter far concorrere la nostra ditta.
Teoricamente li comprerò fra cinquant'anni. Non posso, per carità, non siamo costretti a fare nulla. Noi, però, abbiamo un dato, ossia che i nostri velivoli dal 2018 in poi arriveranno a fine vita operativa. L'ingresso è stato studiato per ottimizzare queste situazioni. Come ricordato, lo sviluppo del velivolo a decollo verticale è stato ripreso, ma si deve concludere per il 2016 e noi in tale anno vogliamo entrare insieme agli altri, perché potremo competere con i costi.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Concludo rapidamente. Questo è il costo dei soci. Se poi il velivolo viene venduto ad altri Paesi, c'è il recupero dei costi non ricorrenti. Ci sono le royalty e, quindi, il costo per un cliente non socio, come quelli che sono entrati, è diverso.
Desidero, infine, rispondere all'ultima domanda, molto importante, posta dall'onorevole Mogherini sul numero dei velivoli.


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In effetti, noi abbiamo ottenuto dal Parlamento l'autorizzazione ad avviare la FACO e a iniziare la produzione. Non ci siamo ancora impegnati su un numero preciso e il programma non lo richiede, in realtà. Poiché procediamo per batch, stiamo svolgendo lo stesso lavoro degli americani, cioè stiamo rallentando in parallelo, in modo da poter acquisire gli aeroplani quando avranno raggiunto un maggior grado di maturità. Noi intendiamo stipulare un contratto per tre aeroplani, che ci serviranno per validare la FACO e per dimostrare che riusciamo a realizzare la produzione. Questa sarà la prima impresa.
Per quanto riguarda il numero globale, oltre a non esserci un impegno da dovere assumere subito, c'è anche la questione che il ministro sta attualmente rivedendo tutto il modello di difesa e, quindi, definirà un numero finale dei velivoli da acquisire come modello.
Per quanto riguarda la contrattualistica, potrà essere portata avanti e, quindi, potremo facilmente adattarci all'evoluzione del programma. Un problema si pone: con pochissimi aeroplani, non avremmo la possibilità di avere potere contrattuale nel chiedere i ritorni industriali, ma esiste anche un numero di compromesso che troveremo per evitare questo problema.
Mi sono dimenticato di rispondere alle prime domande del presidente. L'Eurofighter è un velivolo di generazione precedente. È stato progettato negli anni Ottanta e, quindi, non ha le stesse caratteristiche del JSF, né lo sforzo industriale che è stato compiuto per portarlo alle caratteristiche di cacciabombardiere ha portato finora a risultati significativi.
Purtroppo, l'India ha dimostrato che i costi del velivolo - la gara è stata persa soprattutto per i costi - e le capacità aria-suolo non sono tali da essere competitive. Poi ci sono tanti altri aspetti politici. La nostra visione di fare in modo di orientarsi su un velivolo di tecnologia superiore, utilizzando però le tecnologie acquisite con l'EFA, sembrerebbe ancora vincente, in questo caso.
Quanto al rilascio dello stealth, è una questione che possiamo definire tattica. Lo stealth viene realizzato a Cameri. Sarà secretato e l'area relativa sarà totalmente sotto il controllo degli Stati Uniti. Tuttavia, è chiaro che, nel momento in cui questa tecnologia verrà rilasciata, noi saremo i primi ad averla, poiché già si trova sul territorio nazionale.
Inoltre, il nostro personale comunque vi lavorerà, anche se avrà alcuni obblighi di segretezza che non gli consentiranno di commercializzare le sue conoscenze. L'acquisizione della tecnologia, sostanzialmente, ci sarà. Nel momento in cui verrà liberalizzata, saremo i primi ad averla acquisita.
Ricordiamo sempre che questo è un mezzo che serve alla Difesa. Noi ne abbiamo parlato come impresa industriale, però l'impresa industriale è ciò che noi realizziamo su ogni programma che serve alla Difesa. Ne facciamo un'occasione di un'impresa industriale, però ricordiamoci che tendiamo sempre ad avere il miglior strumento possibile, e questo lo è.

GUIDO CROSETTO. Presidente, posso porre una richiesta per la Commissione?
Domando al Segretario generale se, la prossima volta che verrà, a fianco alla curva di spesa per il JSF aggiungerà - se ne ha voglia e se si può fare - la curva di costo dell'Eurofighter. Conosco la risposta, ma vorrei che la Commissione potesse valutare, compresi i costi non ricorrenti, quanto è costato l'Eurofighter allo Stato italiano. Sarebbe interessante affiancare le due curve.

PRESIDENTE. Grazie. In vista del seguito dell'audizione, invito la struttura della Segreteria generale della Difesa a verificare anche il resoconto stenografico.

LUCIANO ROSSI. Presidente, trattandosi di un argomento così importante e delicato, dal momento che tra pochi minuti dovremmo recarci in Assemblea, suggerirei di aggiornare la seduta.

PRESIDENTE. Abbiamo già deciso in questo senso.


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LUCIANO ROSSI. Sì, ma auspicherei di riprendere l'argomento quanto prima, anche in considerazione della visita che dovremo svolgere a Cameri.

PRESIDENTE. Abbiamo già deciso. Penso che martedì prossimo potremo svolgere il seguito dell'audizione.

LUCIANO ROSSI. Ci tenevo a comunicare che, comunque, c'era la mia e la nostra condivisione.

PRESIDENTE. Ringraziando i nostri ospiti, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,55.

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