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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (V e XIV)
10.
Martedì 24 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 8 9 14 20
Barca Fabrizio, Ministro per la coesione territoriale ... 3 14
Calvisi Giulio (PD) ... 8
Cambursano Renato (Misto) ... 13
D'Amico Claudio (LNP) ... 13
Duilio Lino (PD) ... 12
Formichella Nicola (PdL) ... 12
Gottardo Isidoro (PdL) ... 10
Nannicini Rolando (PD) ... 11
Occhiuto Roberto (UdCpTP) ... 9
Pescante Mario, Presidente della XIV Commissione ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 24 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.
Ricordo che le Commissioni riunite bilancio e politiche dell'Unione europea hanno già svolto diverse audizioni sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020, nell'ambito dell'esame di vari atti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo. In particolare, le Commissioni hanno audito l'assessore al bilancio e agli enti locali della regione Veneto, Roberto Ciambetti; l'allora Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto; il professor Stefano Micossi, professore al Collegio d'Europa; i rappresentanti di CIA (Confederazione italiana agricoltori), Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Fedagri; i rappresentanti della Svimez; l'allora Ministro delle politiche agricole e forestali, Saverio Romano; l'ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea della Ragioneria generale dello Stato, Silvana Amadori; il segretario generale del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito, Riccardo Graziano; membri italiani del Parlamento europeo; il Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, Janusz Lewandowski.
Prima di dare inizio all'audizione del Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, sottolineo che la rilevanza delle politiche di coesione per il nostro Paese ci ha indotto, dopo aver sentito, il 7 settembre scorso, il Ministro Fitto, a interloquire con chi è oggi titolare delle medesime competenze nell'ambito del Governo in carica. Peraltro, la valutazione complessiva sul nuovo quadro finanziario, dal punto di vista della tutela dell'interesse nazionale, dipende in larga parte dalle scelte che saranno compiute in merito a tali politiche in sede di riforma del bilancio dell'Unione europea.
Do ora la parola al Ministro Fabrizio Barca, che ringrazio della disponibilità manifestata nei confronti delle Commissioni.

FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Vi ringrazio dell'opportunità che mi avete concesso. Questo è un momento di avvio, seppur molto graduale, del confronto sulla parte finanziaria della politica di coesione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, mentre quello sulla parte regolamentare, sotto alcuni aspetti, è già partito da tempo. Proprio in


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queste ore, la Danimarca, che ha assunto la presidenza di turno dell'Unione europea, ha predisposto un questionario per procedere ad una prima verifica della situazione, ovvero della posizione dei Paesi dell'Unione europea in sede del Consiglio Affari generali che si terrà venerdì prossimo.
In questo intervento toccherò unicamente i punti relativi alla politica di coesione, anche se essi rientrano, ovviamente, nell'ambito della posizione generale che l'Italia assumerà in queste prime settimane di avvio graduale del confronto, visto che arriveremo al negoziato vero e proprio solo a marzo o aprile di quest'anno. Del resto, come sempre, il negoziato si definirà nelle settimane finali di confronto. In questo contesto, è chiara la posizione della Commissione europea, specie in una situazione non facile - per usare un eufemismo - per l'Unione europea, di diluire nel tempo il confronto, già abbondantemente avanzato, e di spingerlo verso le ultime settimane di quest'anno. Questa è, peraltro, una tattica classica della Commissione che mira a evitare che si coaguli una posizione alternativa rispetto alla propria per fare poi in modo che la discussione, specie sulla parte finanziaria, avvenga prendendo come riferimento la sua posizione. Diverso è, invece, il confronto sulla parte regolamentare, su cui la Commissione esercita una simile tattica, ma su cui il negoziato è già iniziato.
Limitando la mia attenzione alla politica di coesione, vorrei ribadire che la posizione italiana è nota. Difatti, la posizione assunta dal precedente Governo è la medesima dell'attuale Governo, vale a dire che la politica di coesione è prioritaria. La prima domanda che si rivolge a un Paese, come, ad esempio, la Polonia, che beneficia sia della politica agricola che della politica di coesione, è quale di esse sia prioritaria. Ebbene, per l'Italia la politica di coesione è prioritaria per tre ragioni, le stesse a suo tempo enunciate dal Ministro dell'economia e delle finanze al Commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio e al Commissario europeo per la politica regionale.
La prima ragione è che la politica di coesione rimane la leva principale per lo sviluppo dell'Europa, a maggior ragione oggi rispetto ad alcuni mesi or sono. Si tratta, d'altra parte, di uno strumento che si è dimostrato flessibile; basti ricordare l'uso che ne abbiamo fatto nelle regioni del centro-nord del nostro Paese, quando abbiamo utilizzato questa opportunità per integrare le risorse relative alla cassa integrazione in deroga nel momento più drammatico di inizio della crisi. Quindi, è uno strumento non soltanto efficace e fortemente monitorato, ma anche flessibile.
In secondo luogo, la politica di coesione rappresenta lo strumento attraverso cui l'Italia «riceve indietro» i suoi soldi, per usare un'espressione resa nota anni or sono dal Primo ministro britannico, cosa molto rilevante in una fase in cui dobbiamo stare attenti al nostro saldo netto fra entrate e spese. L'Italia - ripeto - recupera i suoi soldi in larga misura a valere sulla politica di coesione. Occorre ricordare, altresì, che è vero che, complessivamente, anche per la politica di coesione l'Italia versa - come del resto per tutte le rubriche - più di quanto riceva. Tuttavia, siccome l'ammontare delle risorse da destinare alla politica di coesione per i Paesi dell'allargamento è di fatto immodificabile sul piano politico, il saldo netto dell'Italia, in relazione ai 15 Paesi membri prima dell'allargamento, è positivo. In altre parole, l'Italia, relativamente ai fondi che affluiscono ai vecchi 15 Paesi membri, riceve più di quello che versa. Pertanto, qualunque riduzione delle risorse da destinare alla politica di coesione per i vecchi Paesi membri colpisce il nostro Paese. Questa è, dunque, la seconda ragione per cui l'Italia ha bisogno della politica di coesione.
La terza ragione è che la politica di coesione comunitaria è un elemento importante di coesione e di sviluppo. Ricordando i soli numeri del ciclo di programmazione ancora in corso, con riferimento


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al nostro Paese, i fondi ammontavano a 28 miliardi di euro, integrati da un cofinanziamento nazionale di 31 miliardi di euro, il più alto d'Europa, per un totale di circa 60 miliardi di euro. È anche bene rammentare che una grossa parte di questi fondi non va al sud, bensì alle regioni del centro-nord, nella misura di circa 9 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati. In sintesi, quindi, la terza ragione per cui la politica di coesione è prioritaria è che essa riguarda tutte le regioni italiane, rappresentando, in particolare, per il sud uno strumento fondamentale di alimentazione degli interventi per lo sviluppo e, per il centro-nord, una delle poche leve flessibili di investimento. Non vi sono, infatti, molti altri fondi a disposizione delle regioni del nord rispetto ai quali esse possono decidere come allocarli, senza che essi siano già vincolati o precostituiti. In generale, nelle regioni del centro-nord gli investimenti coperti dai fondi comunitari oscillano tra il 6 e il 9 per cento del totale, ma si tratta comunque di un margine di flessibilità importante.
Ecco, queste sono le tre ragioni per cui l'Italia riteneva, con il precedente Governo, e ritiene, con l'attuale Governo, che la coesione sia prioritaria. Bisogna, però, domandarsi se l'Italia, in nome di questo, sia disposta ad accettare qualunque cosa. La risposta è no. Era così prima e lo è anche adesso. Infatti, l'appoggio dell'Italia al pacchetto di proposte è legato a due condizioni. La prima è che i fondi siano sufficienti, ovvero che i parametri di riparto siano favorevoli al nostro Paese; la seconda è che le regole di impiego di queste risorse siano modificate nella direzione della modernizzazione e della semplificazione della politica di coesione che la Commissione intende perseguire e che noi vogliamo persegua ancora più efficacemente. A questo punto, mi limito a due rapide considerazioni sul quantum e sulle regole.
In merito al quantum, formalmente il quadro dei dati non è ancora completamente chiaro. Del resto, è così da mesi. Tuttavia, com'era già noto alcuni mesi fa, questo quadro non è per noi positivo, quindi non è accettabile nei termini attuali. Non a caso, da tempo - come sapete, da circa un anno - la posizione italiana è che il nostro Paese è sfavorevole alle modifiche dei parametri di riparto e, viceversa, favorevole al mantenimento di quelli precedenti. Infatti, i cambiamenti introdotti riguardo ai parametri di riparto prevedono, di fatto, una penalizzazione di una categoria di Stati e regioni in cui - guarda caso - rientra soltanto il sud del nostro Paese.
In secondo luogo, le modifiche prevedono l'introduzione di una nuova categoria di regioni in transizione, che non esisteva prima. Ora, se sulla carta, concettualmente, l'introduzione di questa categoria poteva risultare ragionevole per il dottor Barca, quale advisor del Commissario, poiché evita una discontinuità tra le regioni povere e ricche - il famoso «75 per cento» - , l'inserimento di una categoria di regioni in transizione, non risulta conveniente per l'Italia nel suo complesso, visto che le regioni italiane che vi rientrano sono poche. Non a caso, infatti, queste modifiche vengono proposte per rendere meno pesante per la Germania, la Francia e in parte anche per la Spagna, l'impatto finanziario derivante dalla fuoriuscita di alcune regioni dall'obiettivo Convergenza. Dal punto di vista strettamente contabile, l'Italia non è, quindi, favorevole a questo cambiamento, sebbene esso presenti dei vantaggi per alcune singole regioni. Del resto, il nostro Paese potrebbe facilmente compensare queste entrate con risorse interne, guadagnandone nel complesso. Insomma, non conviene che il vantaggio di alcune regioni comporti un danno per l'intero Paese.
In terzo luogo, per compensare i predetti effetti, la revisione determina un lieve aumento di risorse per le regioni ricche che, però, non compensa il peggioramento per le regioni povere. Il risultato netto di questi tre cambiamenti è, per noi, un quadro decisamente peggiore rispetto a quello che avremmo se le regole non venissero modificate. Da qui la posizione assunta dal precedente Governo e mantenuta da quello attuale di avere come stella


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polare il mantenimento dei parametri vigenti. È ovvio che, poi, vi è un certo margine di trattativa.
Bisogna, però, chiarire perché viene fatta questa modifica, altrimenti non comprendiamo neppure il punto di caduta. Il cambiamento viene proposto perché il reddito pro capite delle regioni in ritardo di sviluppo, della Germania in particolare, ma anche della Spagna e persino della Grecia, è migliorato più di quello delle nostre analoghe regioni, quindi questi Paesi vedono ridursi il numero delle regioni bisognose di aiuti, perdendo risorse comunitarie in modo molto significativo. Pertanto, la Commissione europea non ha agito in modo scriteriato, ma si è resa conto che, se avesse mantenuto gli attuali parametri, avrebbe costruito un clima antipolitico molto forte. Mi riferisco - come sapete - a quel fronte che ha attaccato il nostro Paese. Infatti, la differenza rispetto al ciclo di programmazione precedente è che allora eravamo alleati dei tedeschi poiché, essendo le condizioni della Germania Est simili a quelle del nostro Mezzogiorno, era possibile un fronte italo-tedesco che si è, però, spezzato in conseguenza della staticità del nostro sud - e direi dell'intera Italia, visto che il sud non è andato peggio del resto del Paese - e del reddito pro capite italiano e dell'uscita delle regioni tedesche dal novero di quelle in ritardo di sviluppo.
La Commissione ha ritenuto, dunque, di compiere un passo per fermare una posizione pericolosissima per l'Italia, articolata in due ipotesi, una peggiore dell'altra. La prima, più estremista, sosteneva che i Paesi ricchi con regioni povere non avrebbero ricevuto un euro; l'altra affermava, invece, che le regioni ricche non avrebbero avuto un euro. Nel primo caso, non avremmo avuto nessuna regione italiana qualificata; nell'altro, avremmo avuto il mantenimento della politica di coesione solo per le regioni del sud, con una perdita enorme, di circa - ripeto - 8-9 miliardi di euro. La stessa Commissione, per convincere la Germania a non procedere lungo questa strada, le ha concesso dei notevoli vantaggi. Insomma, quando i soldi escono da una parte, entrano da un'altra.
Vi è un secondo motivo dietro questa posizione tedesca e cioè che l'Italia non ha fatto bene in questi ultimi anni, almeno - per essere chiari - negli ultimi cinque, o forse anche sei o sette anni. Il nostro Paese ha una situazione negativa di performance della spesa, per cui la Germania ha assunto una posizione di attacco feroce, rifiutandosi di dare soldi a un Paese che non solo non vede le proprie regioni uscire da questo stato di cose, ma addirittura si trova in una situazione di ritardo, non solo nel sud, ma anche nel centro-nord. L'Italia presenta - ripeto - una situazione di arretratezza particolarmente seria nel Mezzogiorno, ma anche nel centro-nord. Per questa ragione, la Commissione si giustifica sostenendo che non poteva evitare di dare un segnale negativo nei nostri confronti.
La posizione italiana è di riconoscere, entro certi limiti, entrambe le cose. È vero, da una parte, che una posizione di invarianza assoluta rischia di creare un fronte e, dall'altra, che l'Italia ha avuto dei risultati non ottimali. Ciononostante, l'entità del cambiamento proposto dalla Commissione non è accettabile. Può essere oggetto di una discussione che vi possa essere un segno per testimoniare che l'Europa non premia regioni che non hanno dato grandi risultati; tuttavia, non è accettabile l'idea che il Mezzogiorno, invece di avere un aumento delle proprie risorse, abbia una riduzione. Questa è la posizione italiana da dodici mesi a questa parte e lo sarà anche nel futuro. Per quanto riguarda il quantum, quindi, questa è la situazione; poi, ovviamente, si andrà a trattare.
Sulle regole, sarò rapidissimo. In sintesi, espongo le tre regole in merito alle quali l'Italia vede una positività del cambiamento, sebbene non lo ritenga ancora adeguato. La prima riguarda la semplificazione di uno strumento che conoscete bene, avendone sentito parlare tante volte in questa sede, ovvero dei programmi operativi. Attualmente essi sono degli strumenti - per dirlo in maniera semplice -


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scarsamente operativi. Infatti, dovrebbero essere degli strumenti tali per cui, quando vengono approvati dalla Commissione europea, la mattina dopo tutti dovrebbero cominciare a lavorare per realizzare degli obiettivi; invece, è noto che - guardo l'onorevole Fitto perché abbiamo, in forme molto diverse nella nostra vita personale di questi anni, condiviso queste osservazioni - la mattina dopo si comincia a scrivere. Questo non può essere.
La Commissione si è, quindi, mossa nella direzione giusta, mettendo al centro dei programmi operativi i risultati attesi, in termini annunciabili, rispetto alla qualità della vita dei cittadini. Insomma, si tratta di individuare un obiettivo - accorciare le distanze, migliorare la qualità degli asili nido, dare un contributo all'attrattività delle imprese - e definire le azioni con cui conseguirlo. Dopodiché occorre convincere la Commissione europea che queste azioni hanno qualche chance di raggiunge i risultati individuati. Se è così, la Commissione approva il programma e si è pronti per iniziare la realizzazione delle azioni.
Attualmente, il regolamento proposto dalla Commissione europea non è ancora così semplice. Come accade solitamente, si è andati nella direzione giusta, aggiungendo, però, regole nuove a tutte le vecchie, per cui oserei dire che il regolamento presenta tratti persino di maggiore complessità rispetto al precedente. Allora, la posizione italiana è quella di continuare nella direzione intrapresa, apprezzando molto il lavoro della Commissione, ma spingendola ad andare fino in fondo, visto il bisogno di uno strumento realmente operativo.
In questo contesto, si delinea un'alleanza italiana con la Gran Bretagna e la Danimarca, che ha la presidenza di turno dell'Unione europea. Peraltro, sarò in Gran Bretagna a incontrare il mio omologo, il Ministro Prisk, proprio lunedì prossimo. Riteniamo, pertanto, secondo un sistema di alleanze a geometria variabile, che la Gran Bretagna, che non è una nostra grande alleata sul fronte del quantum, lo possa essere su quello delle regole. Del resto, così fan tutti e lo facciamo pure noi. L'idea è di costruire, nelle prossime settimane, un fronte che veda delle alleanze per una semplificazione dei programmi operativi.
Faccio riferimento solo alle altre due priorità relative al regolamento, lasciando a voi la scelta dei punti da approfondire. Una novità rilevante è un maggiore accento sulle città, che avviene in diversi modi. Vi è l'esistenza di una lista di città, che dovrebbe essere prevista nei programmi operativi; la possibilità che alle città si dia una funzione almeno di soggetto intermedio nell'attuazione dei programmi operativi (cosa, peraltro, già possibile oggi, ma ulteriormente incoraggiata); la ripresa di una vecchia tradizione di programmi territoriali realizzati da alleanze fra città - aspetto rilevante non solo per il nostro sud, ma anche per il nostro centro-nord - attraverso uno strumento che si chiama Community-led local development, ovvero patti fra città per la realizzazione di progetti condivisi. Ecco, l'Italia approva questa strada, ritenendo che essa vada valorizzata e migliorata. Questo è, quindi, uno dei punti su cui mette l'accento.
Il terzo e ultimo aspetto relativo al regolamento concerne le condizionalità ex ante. A giudizio di molti di noi che lavorano su questi temi da anni, una delle ragioni per cui alcuni programmi stentano a partire - oltre al fatto che il programma operativo non è già di azione, in quanto viene perso del tempo a scrivere carte, per poi cominciare solo in un secondo momento a lavorare davvero - è che non esistono in alcune regioni o Stati le condizioni istituzionali necessarie affinché un programma sia effettivamente realizzato. Per parte mia, durante la mia attività precedente, ho proposto che fossero introdotte delle condizioni ex ante in modo tale che la Commissione europea non scopra durante l'attuazione che le cose non vanno, ma lo si sappia fin dall'inizio. Insomma, la Commissione non deve concedere l'autorizzazione a spendere i soldi su certi programmi se alcune condizioni non sono soddisfatte dall'inizio della partita.


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La Commissione si è mossa su questa linea. Tuttavia, di nuovo, le condizionalità che ha elaborato sono troppe e molto complesse, per cui la posizione italiana è, anche in questo caso, di perseguire nella strada intrapresa, semplificando, però, alcune condizionalità di nostro interesse.
Questo è lo stato dell'arte.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIO CALVISI. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro Barca di averci esposto nella sua relazione alcuni aspetti che non conoscevamo. Il punto dei nuovi parametri per la distribuzione delle risorse è stato oggetto della sua audizione precedente e anche di quelle del Ministro Fitto. Sostanzialmente, lei ha confermato ciò che già un anno fa, nel corso di un'audizione, ci disse il Ministro Fitto, cioè che la nuova riparametrazione non sarebbe favorevole all'Italia. Infatti, prima avevamo le regioni incluse nell'obiettivo Convergenza; quelle in situazione di phasing-in, incluse nell'obiettivo Competitività (la Sardegna era tra queste); quelle che facevano parte del sistema di phasing out, che uscivano, cioè, dall'obiettivo Convergenza ed erano ormai pronte a entrare nell'obiettivo Competitività, e, infine vi era l'obiettivo Competitività. Adesso abbiamo l'obiettivo Convergenza, la categoria delle regioni in transizione che sostituirebbe il sistema di phasing in e phasing out e l'obiettivo Competitività.
Nell'ipotizzata ripartizione dell'Unione europea, le regioni in regime di convergenza dovrebbero ricevere meno risorse; invece, quelle incluse nella categoria delle regioni in transizione dovrebbero avere maggiori risorse rispetto alle regioni phasing in e phasing out, come anche alle regioni incluse nell'obiettivo Competitività. Ora, sulla categoria delle regioni in transizione sappiamo tutto; sappiamo, per esempio, che tale categoria comprende 51 regioni, che vengono premiate le regioni della Germania e della Francia, con un popolazione, rispettivamente, di 15 e 17 milioni di abitanti, e il Regno Unito, mentre la popolazione delle regioni italiane che rientrerebbero in tale nuova categoria sarebbe di poco meno di 4 milioni di abitanti.
Torno, però, a porre la domanda che ho già fatto in una precedente audizione. Quante sono le regioni che restano nell'obiettivo Convergenza? Penso, infatti, che queste siano di meno rispetto alla fase precedente. Quante sono, poi, le regioni che permangono nell'obiettivo Competitività? Chiedo questo per avere un quadro preciso delle conseguenze svantaggiose per il nostro Paese nel suo complesso. Attualmente, sembra quasi che l'attenzione sia rivolta soltanto alle regioni in transizione, tra cui rientrano quattro regioni italiane, Basilicata, Molise, Sardegna e Abruzzo. Non vorrei che alla fine di questa storia a pagare le conseguenze di questa situazione siano solo queste quattro regioni, a fronte di un possibile aumento o mantenimento di risorse per le regioni del sud e di un possibile aumento di risorse per quelle del nord.
Proporrei, quindi, di elaborare una proposta come sistema Italia. Tuttavia, il parametro attraverso cui noi programmiamo interventi a favore dell'una o dell'altra regione non può essere quello della popolazione residente. Dobbiamo considerare il quadro nel suo insieme, cercando di perseguire l'interesse nazionale. Pertanto, le chiedo, signor Ministro, maggiori delucidazioni riguardo alle regioni che resterebbero nell'obiettivo Convergenza e a quelle che resterebbero nell'obiettivo Competitività. Peraltro, anche dalle sue parole, credo di aver compreso che abbiamo un minor numero di regioni in ciascuno dei due predetti obiettivi, estendendosi il numero di quelle in fase di transizione. Dico questo anche perché la Sardegna, da questa eventuale riparametrazione europea, potrebbe, apparentemente, avere un vantaggio, conservando le stesse risorse della vecchia programmazione o registrando addirittura un incremento.

PRESIDENTE. Prima di continuare con gli altri interventi, do la parola al presidente


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Pescante per alcune considerazioni che interessano maggiormente la sua Commissione.

MARIO PESCANTE, Presidente della XIV Commissione. Innanzitutto, Ministro Barca, la ringrazio del suo intervento. Abbiamo, peraltro, già apprezzato la sua azione sia per migliorare le capacità delle nostre regioni di utilizzare efficacemente i fondi nell'attuale programmazione, sia di assicurare stanziamenti adeguati per il nostro Paese nel prossimo quadro finanziario 2014-2020.
Nella sua audizione del 6 dicembre scorso presso le Commissioni riunite bilancio di Camera e Senato, lei ha fornito dei dati eloquenti, ma piuttosto mortificanti per il nostro Paese. I pagamenti eseguiti all'epoca - ma ritengo che la percentuale sia rimasta tale - rispetto alle risorse programmate tra il 2007 e il 2013 sono pari al 12 per cento, praticamente la metà della media europea, che credo sia intorno al 24-25 per cento. Siamo seguiti in questa graduatoria, che è molto emblematica, dalla Romania, i cui pagamenti sono pari al 5,4 per cento, e dalla Bulgaria, che è pari all'11,9 per cento. Ecco, immagino che solo migliorando queste performance possiamo non solo evitare la perdita di risorse in base al meccanismo del disimpegno automatico, ma rivendicare risorse adeguate nel prossimo quadro finanziario.
A ogni modo, il mio intervento vuole agganciarsi alla discussione svolta dalla XIV Commissione della Camera nella seduta del 14 dicembre 2011, nel corso della quale è intervenuto il Ministro Barca, su una questione specifica, ma cruciale, in ordine alle proposte presentate dalla Commissione europea per la riforma della politica di coesione. Mi riferisco, in particolare, alle previsioni di condizionalità legate al rispetto, da parte degli Stati beneficiari dei fondi comunitari, di parametri macroeconomici e di finanza pubblica stabiliti da atti di diritto derivato. La XIV Commissione, nel corso della predetta seduta, ha approvato un parere motivato a tale riguardo, contestando la non conformità di queste condizionalità con le competenze dell'Unione europea in materia di politica di coesione. In sostanza, l'effetto delle condizionalità sarebbe non di assicurare l'adozione di politiche economiche idonee a garantire un efficace utilizzo dei fondi strutturali, bensì di condizionare l'accesso alle risorse per lo sviluppo delle regioni svantaggiate di Paesi in difficile situazione economica al pieno rispetto delle rigorose norme introdotte dalla nuova governance economica. In altri termini, signor Ministro, si tratta di una ulteriore ed esplicita sanzione posta a presidio dei vincoli di stabilità delle finanze pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.
Per concludere, le sarei grato, signor Ministro, se potesse riferirci sul seguito dato dal Governo al parere motivato della XIV Commissione e sulla posizione dell'Italia in merito alle condizionalità macroeconomiche.

PRESIDENTE. Do nuovamente la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO OCCHIUTO. Vorrei porre qualche breve domanda. Riprendendo l'intervento dell'onorevole Calvisi, che faceva riferimento alla categoria delle regioni in transizione che sostituirebbe il sistema di phasing in e phasing out, ho l'impressione che nella fase iniziale del negoziato ci fosse più di una preoccupazione dovuta al fatto che alcune di queste regioni, in realtà, avevano rappresentato una volontà convergente rispetto alla proposta della Commissione. Allora, la prima domanda è se nell'interlocuzione con la Conferenza delle regioni e delle province autonome il Governo ha avuto modo di rintracciare delle divergenze e se queste possono costituire qualche problema.
Inoltre, ho particolarmente apprezzato la norma contenuta nell'ultima manovra che ha consentito di escludere dai limiti del Patto di stabilità interno, per un importo pari a un miliardo di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, le spese effettuate a valere sulle risorse dei


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cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari. Mi chiedo, quindi, se è intenzione del Governo proseguire su questa strada e se si intende aprire un negoziato con la Commissione per riuscire a ottenere una diversa applicazione dei limiti del Patto di stabilità per rendere più efficace e più veloce la spesa dei fondi dell'attuale programmazione.
Per concludere, le chiedo se ci può fornire il quadro aggiornato dello stato di attuazione della spesa dei fondi dell'attuale programmazione. Poc'anzi, il presidente Pescante faceva riferimento ad alcuni dati. Vorrei, però, sapere se le strutture dipartimentali di cui lei si avvale abbiano una situazione aggiornata in merito allo stato d'attuazione della spesa dei predetti fondi. Vorrei, infine, sapere qual è lo stato di attuazione del Piano per il sud e se questo Governo ha la stessa sensibilità del precedente per questo strumento, a cominciare dalle delibere del CIPE che dovrebbero essere adottate in merito, fino all'impostazione generale e alla filosofia che l'ha sostenuto.

ISIDORO GOTTARDO. Signor Ministro, ho apprezzato molto la sua relazione per la chiarezza e per la coerenza, anche in termini di continuità. Mi permetterei di aggiungere due considerazioni significative dal punto di vista politico.
In primo luogo, è vero quello che lei ha ben ricordato rispetto al fatto che siamo contributori netti. Aggiungerei, però, un dato, ovvero che dalla fase consuntiva della politica di coesione riguardante i Paesi dell'allargamento risulta che il 60 per cento delle risorse investite in quei Paesi sono ritornate a imprese dei 15 Paesi membri prima dell'allargamento. Sottolineo questo aspetto perché altrimenti, dal punto di vista politico, sarebbe una facile strumentalizzazione sostenere che noi paghiamo per gli altri. In realtà, noi finanziamo le nostre imprese che vanno a investire negli altri Paesi, con un ritorno economico. Paradossalmente, ciò succede maggiormente in relazione alle politiche di allargamento dell'Unione europa che non all'interno dell'Italia, in termini di capacità di mobilità.
Inoltre, è vero che l'aspetto positivo dell'esperienza delle politiche di coesione nelle regioni interessate è stato quello di sviluppare un metodo comunitario, cioè di aver creato una cultura della collaborazione fra pubblico e privato attorno a dei progetti, ideando sistemi integrati e via discorrendo. Tuttavia, l'evidenza è davanti a noi e su questo non possiamo fingere. Ora, credo che la Commissione europea abbia molte colpe, tra le quali, innanzitutto, quella di aver messo in piedi un sistema di controllo ex ante ed ex post eccessivamente burocratico, ovvero pensato per paura di essere ingannata in relazione ai dati e alle valutazioni sugli andamenti di finanza pubblica elaborati dai vari Paesi, nonché di essere eccessivamente invasiva nella definizione delle politiche più utili per un determinato territorio.
Per noi, l'esperienza dello sviluppo rurale è stata disastrosa. Che alle regioni piaccia o no, l'Italia non può ripetere questa esperienza. L'aver fatto venti programmazioni regionali ci ha portato in un cul de sac, senza neppure avere quella tradizionale capacità di movimentare risorse all'interno del Paese, consentendo, per utilizzare una metafora, al cavallo che beve di bere e, quindi, non di restituire le risorse. Rimane, pertanto, il dato del fallimento. Pongo, allora, realisticamente, una domanda. Comprendo la difficoltà per qualsiasi Governo in sede di Conferenza Stato-regioni e di programmazione di accettare un ragionamento di questo tipo, ma, a questo punto, in questo Paese, non sarebbe più opportuno utilizzare la politica di coesione per realizzare gli interventi necessari nelle regioni in ritardo di sviluppo, creando una forte sinergia, senza frammentare le risorse?
Ricorderà, signor Ministro, che quando eravamo in ritardo nell'utilizzare i fondi comunitari, l'Europa ci consentiva, ogni tanto, di recuperare progetti già realizzati e portarli a rendicontazione. Oggi, se con riferimento agli investimenti nelle regioni


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del sud che vengono richiesti allo Stato si facesse una cosa del genere, in accordo con quelle regioni, realizzeremo i progetti che lo Stato deve attuare, spenderemo le risorse e riusciremo a programmare gli interventi in tempo. In tal modo, indirizzeremo le risorse sui progetti. Difatti, dobbiamo dire, con brutalità, che attorno ai fondi comunitari si sviluppa - come direbbe il Presidente Monti - una tassazione indebita, cioè si crea un'attività inutile da parte di alcuni soggetti che fanno progetti e propongono iniziative, alimentando la speranza delle imprese, con il miraggio di utilizzare i fondi comunitari su cui si sviluppano, appunto, tali progetti e iniziative, che non porteranno a nessun risultato. Dobbiamo riconoscere come stanno le cose, ovvero che, attorno alla politica di coesione, si è sviluppata un'economia passiva che non dà frutti.
Credo che dobbiamo essere - ripeto - molto brutali e realistici e dire fino in fondo le cose come stanno. Non recupereremo i ritardi. Non siamo in grado di recuperare i ritardi. Le regioni del sud non sono in grado di cofinanziare le iniziative per lo sviluppo perché la crisi economica impedisce il cofinanziamento da parte dei soggetti privati. Questa - e non altra - è la spiegazione del fallimento della politica di sviluppo rurale. In un momento di grave crisi, i soggetti privati non sono in grado di cofinanziare gli investimenti pubblici.
Senza contare che mancano le risorse idriche, le infrastrutture, l'energia, le banche e quant'altro. Ecco, credo che le condizioni vere per garantire lo sviluppo siano rappresentate dalla concretezza e dalla essenzialità, individuando i grandi progetti che siano in grado di svolgere la funzione di volàno. Questo dovrebbe fare lo Stato, insieme alle regioni.
Vorrei fare un'ultima raccomandazione a proposito della collaborazione fra città, che può essere molto utile. Dai dati forniti dall'Unione europea è emerso che nell'area mediterranea sono fallite tutte le politiche diplomatiche e le varie iniziative intraprese in tal senso, tranne quelle di gemellaggio fra città del Mediterraneo. Ecco, in questo ambito il nostro Paese potrebbe sviluppare delle azioni interessanti.

ROLANDO NANNICINI. Grazie della sua relazione, signor Ministro. Vorrei porre due domande in merito alle cifre che ha fornito. Lei ha affermato che, se si approvassero le modifiche proposte, l'Italia avrebbe una riduzione dei conferimenti in termini assoluti, senza fornire un parametro. Le chiedo, quindi, una cifra di massima per comprendere di cosa si parla. Questa è la prima domanda.
Escluso il parametro del reddito pro capite nazionale, rientrando tale parametro nei criteri utilizzati per l'individuazione delle regioni da includere nell'obiettivo Convergenza, nelle regioni in transizione e nell'obiettivo Competitività, mi chiedo, non avendo registrato una crescita in termini di reddito pro capite nel periodo 2007-2012, se c'è una differenza tra il reddito pro capite dell'ultima e della prima regione. Lo stesso parametro è utilizzato con riferimento alle altre regioni dell'Unione europea. Quindi, non eliminando le regioni facenti parte dell'obiettivo Convergenza, mi chiedo come sia possibile la riduzione delle risorse, considerando il suddetto parametro. Forse, come afferma l'onorevole Calvisi, ciò dipende dal fatto che le regioni in transizione sono poche, visto che il criterio proposto prevede la corresponsione di maggiori risorse proprio a queste ultime regioni? Si tratta, allora, di devolvere una parte delle risorse spettanti alle regioni in transizione a quelle incluse nell'obiettivo Convergenza o nell'obiettivo Competitività. È questa la posizione italiana rispetto a tale argomento?
Mi chiedo, poi, se vi sia la possibilità che altri Paesi si alleino con noi per modificare questo criterio, visto che, forse, siamo un caso nazionale rispetto a ciò che è successo in Europa, cosa che mi induce a non essere molto ottimista rispetto alle proposte della Commissione. Ci può, però, essere una proposta intermedia, quella di fare una verifica della situazione a livello europeo e dare le risorse a chi ha bisogno. Nel nostro Paese vi sono diverse aree che


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registrano un reddito pro capite fra i più bassi d'Europa, e non mi guardino male i colleghi del gruppo della Lega Nord, perché non parlo solo del Mezzogiorno d'Italia. Credo, quindi, che questo sia un criterio valido, perché il tema dello sviluppo e della coesione europea è un problema che riguarda anche altri Paesi, non solo l'Italia. Quindi, su questo punto, potremmo trovare degli alleati.

LINO DUILIO. Signor Ministro, vorrei tornare su una questione già toccata dal collega Gottardo. Di recente, nell'audizione presso le Commissioni riunite III, V e XIV della Camera e 3a, 5a e 14a del Senato del Ministro Moavero Milanesi, si è affrontata la questione del cosiddetto «giusto ritorno». Peraltro, ne avevamo parlato anche nel corso della sua recente audizione alla Camera. Anche lei ha detto che, rispetto ai 15 Paesi membri prima dell'allargamento, registriamo sostanzialmente un saldo attivo, cioè paghiamo più di quello che riceviamo. Ora, non è che io voglia fare un discorso ideologico o astratto, ma credo che questa impostazione sia sbagliata e contraddittoria rispetto ad una prospettiva europea, anzitutto per le cose che diceva anche l'onorevole Gottardo. Infatti, bisognerebbe fare una contabilizzazione che tenga conto anche dei rientri indiretti. Pertanto, se le nostre imprese lavorano in un Paese vicino perché questo ha ricevuto alcuni finanziamenti dal bilancio dell'Unione europea, mettere in termini di partita doppia il segno negativo tra quello che diamo e quello che riceviamo è una modalità quantomeno singolare.
Aggiungo che - per quanto possa valere - non è andata sempre così. Per un lungo periodo il rapporto era invertito, per cui, rispetto agli altri Paesi, abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato. Di conseguenza, non possiamo ragionare in un modo quando ci conviene e in quello opposto quando non ci conviene più. Allora, la mia domanda è se non si debba tornare a riflettere sul metodo della «partita doppia» - come abbiamo detto anche nel corso dell'audizione del Ministro Moavero Milanesi - per cui se da questa parte ho messo x dall'altra ci deve essere x. Ecco, credo che questo sia un approccio che svilisca la questione - su cui, peraltro, c'è anche molta retorica - della costruzione dell'Europa.
La seconda domanda è più telegrafica. Sulla condizionalità ha già detto qualcosa. Vorrei solo sapere se si è fatto qualche passo in avanti per evitare che - come pure si è scritto - si debba far riferimento non solo alla condizionalità ex ante, ma anche a quella ex post. Visto che nel corso della sua recente audizione alla Camera lei ha citato Lord Kaldor, vorrei far notare che la condizionalità ex post sarebbe in netto contrasto con il principio che questi aveva messo in evidenza, vale a dire che la congiuntura e la struttura sono due aspetti dello stesso fenomeno. Insomma, ci troveremmo nella situazione del cane che si morde la coda. Vorrei, quindi, sapere se su questo aspetto, che pure era già stato messo in evidenza, si è cominciato a discutere e se qualcuno ha ritenuto che, forse, non sarebbe il caso, almeno sulla condizionalità ex post, di insistere ulteriormente.
Avrei altre cose da dire, ma mi fermo qui.

NICOLA FORMICHELLA. Vorrei porre due domande. La prima è un chiarimento in merito allo stato del negoziato e alle nostre reali possibilità di successo. Un primo aspetto concerne la conciliazione tra l'obiettivo prioritario del miglioramento del saldo netto dell'Italia e quello di non ridurre gli stanziamenti destinati al nostro Paese, che avrebbe, in astratto, l'interesse a ridurre il volume del bilancio europeo, ovviamente solo a condizione che non si determini un sacrificio inaccettabile con riferimento alle risorse stanziate per la politica di coesione in Italia. Come sappiamo, la Commissione propone una riduzione dello stanziamento complessivo per la politica di coesione pari al 5 per cento; pertanto, la dotazione finanziaria per le regioni incluse nell'obiettivo Convergenza sarebbe inferiore del 20 per cento rispetto agli stanziamenti attuali, e


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sarebbero pari a 162,6 miliardi di euro. Allora, le domando in quale misura questa riduzione generalizzata potrebbe tradursi in una contrazione significativa degli stanziamenti destinati all'Italia e in particolare alle regioni Campania, Puglia, Sicilia e Calabria.
La seconda domanda riguarda il raccordo tra il Governo e alcune regioni nell'ambito del negoziato. Come abbiamo appreso in alcune audizioni informali svolte presso la Commissione politiche dell'Unione europea, a fronte di una giusta e rigorosa posizione che allora ebbe il Ministro Fitto, le quattro regioni che potenzialmente rientrano nella categoria delle regioni in transizione Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna, avrebbero manifestato alla Commissione europea il proprio sostegno a tale proposta. Ebbene, credo che queste regioni abbiano avuto un comportamento irresponsabile, perché per un modesto tornaconto rischiano di determinare un grave pregiudizio nei confronti dell'intero Paese, finendo per favorire la Germania, la Francia e la Spagna che hanno proposto, per ovvie ragioni, l'introduzione di tale categoria. Quali sono, allora, le misure di raccordo che il Governo sta elaborando con queste regioni italiane per garantire una posizione unitaria del nostro Paese?

RENATO CAMBURSANO. Signor Ministro, oltre che ringraziarla, voglio dire che condivido la sua analisi in merito alla riparametrazione degli elementi quantitativi. Tuttavia, personalmente, visti i non esaltanti risultati pregressi nell'utilizzo delle risorse dell'Unione europea messe a nostra disposizione, in particolare in alcune regioni, come ricordava il Presidente della XIV Commissione, porrei maggiormente l'accento sia sulle regole che devono essere stabilite dalla Commissione europea con riferimento a tutti i Paesi dell'Unione, sia sulla nostra regolamentazione. Per esempio, quando si parla di semplificazione, dovremmo metterci davanti allo specchio e individuare quali sono queste procedure di snellimento e di semplificazione. Lo stesso vale per le condizionalità, visto che quelle ex ante le creiamo noi. Allora, la domanda è se siamo in grado, in questo momento, come Paese, di creare queste condizioni.
So di andare controcorrente, come ho fatto anche altre volte. Tuttavia, non mi metterei tra coloro che si stracciano le vesti sugli elementi quantitativi, ma mi affiancherei a quei Paesi - se ce ne sono - che vogliono davvero, finalmente, migliorare la qualità della spesa. Pertanto, valorizzerei tutti quei progetti che superano i confini del singolo Paese e che vanno nella direzione della ricerca e dell'innovazione. Insomma, vogliamo far ripartire questa Europa, a partire da qui?

CLAUDIO D'AMICO. Saluto il Ministro e lo ringrazio di essere qui, perché, dal momento che la Commissione bilancio non affronta sistematicamente certi temi, per noi componenti della Commissione è utile approfondire la questione della gestione delle risorse dell'Unione europea.
La mia prima domanda - alla quale, peraltro, in parte, ha già risposto, ma vorrei un chiarimento maggiore - riguarda il fatto se l'attuale Governo stia seguendo la stessa linea di quello precedente in tutti i settori della politica dell'Unione europea. Lei ha detto che voi state seguendo determinate linee d'azione in sintonia con il Governo precedente: tuttavia, vorrei capire in che cosa si differenzia l'attività di questo Governo rispetto a quella del precedente.
Inoltre, vorrei sapere se nella ripartizione delle risorse si terrà conto della situazione di crisi, che riguarda alcuni Paesi europei più di altri. Insomma, potrebbe essere adottato un nuovo criterio legato alla congiuntura attuale, che esula dalla situazione ordinaria? Detto altrimenti, visto che il nostro Paese è fra quelli che sta risentendo in modo maggiore dell'attuale situazione di crisi, mi chiedo se si possano prevedere dei criteri, anche temporanei, che possano andare a nostro favore in questo momento.
Un'altra questione riguarda le cifre a cui ha accennato all'inizio del suo intervento, quando ha detto - con riferimento


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al nostro Paese - che il sud riceve una determinata quota di risorse e il centro-nord una quota più consistente. A questo proposito, le chiederei in futuro di ragionare in termini di «nord», «centro» e «sud» perché se lei considera insieme il centro e il nord, la situazione risulta poco chiara. Vedo, infatti, che nella categoria delle regioni in transizione rientrano tutte quelle del centro, mentre tutte le regioni padane sono inserite nelle aree più sviluppate, per cui bisognerebbe differenziarle anche in questi termini.
Vorrei, poi, capire se nei criteri che vengono seguiti per la ripartizione dei fondi per le regioni più sviluppate - ossia popolazione ammissibile, prosperità regionale, tasso di disoccupazione, tasso di occupazione, livello di istruzione, densità di popolazione - possano essere inseriti anche parametri che tengano conto del fatto che alcune regioni più sviluppate subiscono una concorrenza sleale da parte di alcuni Paesi non appartenenti all'Unione europea. Per esempio, la Svizzera -, in particolare, il Canton Ticino - fa una grossa concorrenza alla Lombardia in termini di attrazione verso le imprese lombarde, proponendo condizioni vantaggiose di tutti i tipi, come agevolazioni fiscali e così via. Ecco, vorrei capire se si possa tenere conto di questo criterio nel riparto delle risorse tra le regioni, anche se una regione è considerata sviluppata. Infatti, una regione come la Lombardia, a differenza di altre regioni sviluppate europee che non confinano con Stati extracomunitari che possono rappresentare punti di attrazione per le aziende, si trova in una situazione di svantaggio. In Lombardia, abbiamo una situazione di questo tipo e ritengo sia utile tenerne conto per far sì che le imprese lombarde siano incentivate a rimanere nella regione piuttosto che andare a operare in Paesi non appartenenti all'Unione europea, in questo caso in Svizzera.

PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro Barca per la replica.

FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Ho provato ad accorpare le vostre considerazioni, di cui vi ringrazio, scusandomi in anticipo qualora non dovessi aver colto o riportato qualche quesito. Faccio un'osservazione preliminare, che contiene due aspetti distinti, dopodiché riassumo le vostre domande in alcuni punti.
In primo luogo, nell'indicare i princìpi e i criteri con cui sia questo Governo che il precedente si sono mossi non ho messo né per primo, né per terzo (che, secondo le regole retoriche sono i punti più importanti), ma per secondo, quello del saldo netto. Ho detto che il primo obiettivo è lo sviluppo dell'Europa. Per esempio, siamo d'accordo sul fatto che vengano spesi 60 miliardi di euro in Polonia, per diverse ragioni, non solo per i ritorni economici, ma anche perché in cinque anni la Polonia è passata dall'essere un Paese per così dire «strano» nel contesto europeo a uno dei soggetti leader, anche in termini di stabilità, in Europa. Oggi, infatti, la Polonia è un leader europeo e rappresenta un elemento di stabilità. Il saldo netto è il secondo punto, seguito da quello concernente i fondi che utilizziamo nelle nostre regioni, che rappresentano il valore aggiunto comunitario, con i dubbi a cui poi farò riferimento. Sono d'accordo, quindi, che quello del saldo netto non possa essere l'unico criterio. Dopodiché, non ci può non essere il riferimento al saldo netto. I parametri sono tre. D'altra parte, se fosse rilevante solo il saldo netto, la soluzione migliore per l'Italia sarebbe abolire il bilancio europeo perché, ovviamente, per un contributore netto, la maniera migliore di risolvere il problema è quella di eliminare il bilancio. Ciò, però, annullerebbe la politica di coesione nel sud e nel nord e la leva dello sviluppo. Ho estremizzato, per dire che sono d'accordo con quanto avete affermato.
Il secondo aspetto da considerare è che ho usato, nel mio intervento, appositamente l'espressione «a geometria variabile», perché non necessariamente abbiamo gli stessi alleati sul fronte delle


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risorse e su quello delle regole. Su quest'ultimo versante, ho indicato la Gran Bretagna, che non è un nostro naturale alleato, e la Danimarca, a cui potrei aggiungere i Paesi Bassi. Questa è la posizione che l'Italia ha assunto, su cui ho messo il mio valore aggiunto personale, visto che si tratta del mestiere che ho svolto fino a poco tempo fa. Su questo punto, possiamo avere un'alleanza forte con i britannici, che rivendicano la volontà di avere più rigore, più chiarezza sui risultati, sugli indicatori e sul loro utilizzo. Siamo alleati dei britannici, in questo momento e, rispetto ai tedeschi e ai francesi, siamo in fase più avanzata nel costruire un'alleanza su tali questioni. Questo è simile al discorso - si parva licet componere magnis - che il Presidente Monti fa rispetto alla Germania, quando parla di incalzarla sull'aspetto della concorrenza. Oggi abbiamo, dunque, una linea che è più avanzata, più trasparente e più anglosassone - se vogliamo usare questo termine, anche se avrei delle esitazioni, visto che la Polonia sta facendo lo stesso, ma non è un Paese di matrice anglosassone - degli altri Paesi. Quindi, parlo di alleanze a geometria variabile, anche perché l'unico modo per vincere negoziati difficili, relativi al fronte dei finanziamenti, rispetto ai quali non abbiano tanti alleati, è avere a nostro fianco qualche Paese amico, altrimenti rimaniamo da soli. Queste sono le indicazioni di principio.
Vengo ora ai diversi punti richiamati dai vostri interventi. In primo luogo, in relazione ai numeri, rischiamo di perdere tra i 6 e i 7 miliardi di euro per le regioni del sud, che non sono affatto compensati da quel qualcosa in più che riceveremmo per il resto d'Italia, altrimenti saremmo anche disposti ad accettare i nuovi parametri. Infatti, se ci dessero 9 miliardi di euro da destinare al centro-nord e ce ne togliessero 6, già destinati al sud, potremmo fare un accordo interno utilizzando il fondo per lo sviluppo e la coesione e rimettere tutto in sesto. Insomma, ci si metterebbe d'accordo tra regioni. Il punto è che il saldo è più che negativo. Vogliono cercare di convincerci, attirando l'interesse di alcune regioni, per poi togliere risorse ad altre. Tuttavia, rovesciando il ragionamento, non c'è una situazione di tensione. Il fatto che le quattro regioni italiane in transizione sarebbero quelle del centro indica che proprio il centro d'Italia è sospeso fra una situazione di arretratezza e una situazione che il Ministro Tremonti definiva la più ricca d'Europa. Certo, se continuiamo a stare fermi non sarà più così; tuttavia, abbiamo ancora una larga zona del centro-nord che è una delle più ricche d'Europa. Peraltro, già nel 1999 feci una battaglia per tentare di migliorare i parametri relativi al centro-nord, e so, quindi, che è una lotta dalla quale più di tanto non si riesce ad avere, anche perché gli sfavori da voi evocati non si riescono a quantificare. Insomma, sono strade impervie, in cui abbiamo provato ad addentrarci, senza cavarne nulla. Più di tanto non riusciamo a ottenere, pertanto occorre tentare la strada del riaggiustamento.
Del resto, non mi scandalizzo se una regione manifesta individualmente di essere favorevole a un determinato regime. Mi sembra ragionevole, se non porta questa posizione più in là di tanto, cioè se non diventa occasione di rottura a livello nazionale. Mi è stato chiesto se questo ha dato luogo a tensioni. Ebbene, credo di aver avuto lo stesso atteggiamento che ha avuto il mio predecessore e che ebbe il Vice Ministro Miccichè quando dirigevo il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, anni fa, nel precedente negoziato, chiarendo alle regioni in transizione che non saranno penalizzate e che, se si dovesse chiudere il negoziato con un'abolizione di quella nuova categoria di regioni, esse saranno compensate all'interno di un riparto nazionale. Se l'intero Paese guadagna dall'abolizione delle regioni in transizione si può dare alle regioni interessate quanto avrebbero avuto se tale categoria fosse stata istituita, distribuendo l'eccedenza alla restante parte del Paese. D'altronde, abbiamo fatto in questo modo


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nel 2005, in occasione del negoziato a cui partecipai, appunto, quale capo del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione. L'Italia ha imparato come comportarsi in queste situazioni, senza dare luogo a rotture interne che si manifestino all'esterno. Stiamo operando in questo modo.
È stato chiesto, molto correttamente, il perché della riduzione delle risorse, visto che il reddito pro capite delle regioni e del Paese nel suo complesso è in calo. Ebbene, la riduzione è possibile perché la Commissione ha cambiato il peso dei parametri. Molto semplicemente, visto che avete i parametri sottomano, l'ammontare che le regioni in ritardo di sviluppo ricevono è proporzionale al fatto che siano arretrate, al loro grado di arretratezza e al grado di ricchezza del Paese. La Commissione ha modificato la misura relativa al grado di ricchezza del Paese. In altre parole, pesa sul sud il fatto di far parte di un Paese che, bene o male, è ancora sopra il parametro del 100 per cento. Siccome vi è un'enorme coesione territoriale nel Paese, quindi il nord è pronto a dare un sacco di soldi al sud - questa è la logica in un Paese ricco - l'idea è che possiamo risolvere la questione da soli. Insomma, la Commissione aggrava il costo che il sud paga per il fatto di far parte di un Paese ricco. Qualunque Governo considera questa innovazione uno «sfruculiamento» delle tensioni nazionali, quindi non accettabile. Certo, l'innovazione sarebbe logica se vi fossero stati progressi nella coesione nazionale, ma il Paese è coeso come ieri, non più di ieri. In sintesi, quando parliamo di ripristino, chiediamo di non tener conto in maniera sproporzionata del fatto che il nostro Paese è ricco, anche perché, del resto, è meno ricco di ieri.
In secondo luogo, in questa partita conta molto quello che faremo nei prossimi dodici mesi, che in parte dipende da quello che l'attuale Governo ha fatto negli ultimi 60 giorni e quello precedente negli ultimi mesi dello scorso anno, ovvero dimostrare che siamo in grado di rimettere la macchina in carreggiata. Alla domanda puntuale riguardo alla nostra situazione, devo rispondere che i dati veritieri sono quelli del monitoraggio interno. I dati che sono stati citati - e che anch'io avevo citato nella Relazione programmatica sulla coesione territoriale in Italia alla fine del 2011 che ho presentato alle Commissioni bilancio di Camera e Senato il 6 dicembre dello scorso anno - sono relativi ai pagamenti riconosciuti dalla Commissione europea, gli unici su cui si può fare un confronto fra Paesi. Sappiamo qualcosa di più dai dati di monitoraggio interno, che ci dicono che siamo più avanti. Per esempio, nel mese di ottobre abbiamo registrato l'utilizzo del 14 per cento dei fondi nel sud. Tra otto giorni avremo altri dati, augurandoci che le misure adottate negli ultimi mesi diano un risultato migliore.
Ciò nonostante, molto verrà da quanto è stato impostato con il Piano di azione avviato dal Governo precedente, che stiamo continuando. A questo proposito, vorrei rispondere in merito a quanto c'è di comune e quanto di diverso fra l'attuale e il precedente Governo. L'elemento comune è nella filosofia, non solo quella del Piano di azione, ma anche quella del Piano per il sud, per la parte relativa al Fondo per lo sviluppo e la coesione. Il Governo, a livello centrale, recupera non la gestione - visto che spostamenti nella gestione delle risorse non ce ne sono stati - ma un ruolo più forte di indirizzo sulle strategie proprio per rompere la frammentazione. Questa è la logica che abbiamo ritrovato sia nel Piano di azione, sia nel Piano per il sud, con alcune direttrici che consentono una maggiore concentrazione. Questo è un aspetto di continuità dell'azione di governo. Del resto, il Piano d'azione era già impostato; noi siamo andati avanti ed entro 31 gennaio entreremo in uno stadio ulteriore con l'indicazione dei cronoprogrammi. A proposito di metodo europeo, nel Piano di azione, entro il 31 gennaio avremo anche gli indicatori di risultato, ovvero i dati quantitativi, che riguardano, per esempio, il Piano scuola, che è il più avanzato di tutti.


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Oltretutto, insieme al Ministro Profumo e ad altri due sottosegretari, non più tardi di due giorni fa, siamo stati ventiquattro ore con 400 dirigenti scolastici del sud a illustrare questo piano e a proporre cambiamenti sui determinati punti, chiedendo la loro opinione. Questo, tra l'altro, è il partenariato, che è la forza del metodo comunitario, secondo il quale non decide qualcuno nel chiuso di una stanza a Roma o a livello regionale, ma ci si confronta con i soggetti che poi devono attuare queste misure, che sono, in questo caso, i dirigenti scolastici. Questo è il metodo di lavoro che utilizziamo.
Lo stesso discorso vale per il Fondo per lo sviluppo e la coesione. Ci siamo trovati con una delibera del CIPE relativa gli interventi infrastrutturali già attivata. Il Governo in carica è intervenuto con un provvedimento importante che accorcia i tempi di adozione delle delibere assunte dal CIPE e di registrazione delle stesse da parte della Corte dei conti, che dovrebbe rendere più stretto il periodo tra il momento in cui viene annunciata la decisione e quello in cui si riesce a tradurla in effettive variazioni di bilancio e in trasferimenti di risorse, visto che solo a quel punto quella misura diventa reale. Andando avanti sulla linea intrapresa, con riferimento al rischio idrogeologico, è stata approvata dal CIPE una nuova delibera che ha stanziato dei fondi seguendo l'impostazione che era già stata elaborata da diversi mesi (credo, da prima dell'estate). Questi - ripeto - sono gli aspetti di continuità dell'azione di Governo.
Gli elementi aggiuntivi sono rappresentati - lo dico con molta chiarezza - da una fortissima coesione orizzontale fra i ministri settoriali e il Ministro della coesione territoriale. Poc'anzi ho detto, non a caso, che sono stato un giorno intero a lavorare con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Inoltre, sono stato a Napoli per partecipare alla trattativa sulle ferrovie con le regioni, che è stata chiusa solo perché il Ministro Passera è stato seduto assieme al sottoscritto allo stesso tavolo, per otto ore, nella discussione con i presidenti delle regioni. D'altronde, il Presidente della Repubblica e prima di lui il Governatore della Banca d'Italia, Draghi, quando si occupava non di finanza pubblica, ma di sviluppo, esaminando il lavoro fatto da alcuni di noi nella veste di amministratori, si erano chiesti come mai la politica regionale non avesse funzionato. Una delle risposte individuava la causa nel fatto che la politica regionale, nel sud in particolare, era slegata dalle azioni ordinarie. Gli studi svolti dalla Banca d'Italia ci hanno mostrato, per esempio, che sulla scuola si investiva mezzo miliardo di euro per migliorare le lezioni nel pomeriggio, mentre la parte ordinaria di finanziamento dell'attività mattutina restava invariata.
Ecco, il tentativo che stiamo compiendo è di legare le azioni che erano già state intraprese alle azioni ordinarie. Cerchiamo di inserirle nel curriculum, in modo tale che la politica di coesione dell'Unione europea rappresenti il volàno innovativo della politica ordinaria, altrimenti, quando non si applicherà più la politica di coesione, quella ordinaria rimarrà immutata. Questo è un tentativo, per cui se mi si chiede cosa stiamo tentando di fare in più rispetto al precedente Governo, rispondo che questa è una direzione su cui stiamo lavorando. L'altra, molto semplice, consiste nell'anticipare alcune regole comunitarie concernenti i fondi della politica di coesione per il periodo 2014-2020.
Abbiamo deciso che in relazione all'utilizzo dei fondi per il periodo 2014-2020 ci siano gli indicatori di risultato, cioè si parli meno di processo di programmazione, di stati di avanzamento, di finanza e più di risultati in termini di variabili che la politica possa descrivere ai cittadini, specie in un momento turbolento, difficile e di sacrosanta pressione sociale su tutti i livelli di governo. Questo è il tentativo che faremo e che è rischioso, perché vuol dire annunziare in modo più esplicito che cosa attendiamo dalle azioni intraprese. Per esempio, quale miglioramento della competenza della lingua inglese ci aspettiamo dai ragazzi ai quali è destinato un piano d'azione che è stato impostato il 26 ottobre


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e approvato dal precedente Governo; bisognerà, cioè, chiarire in che modo si ottiene un risultato e per quale ragione il Piano d'azione che stanzia risorse per il miglioramento della conoscenza della lingua inglese dovrebbe dare risultati rispetto all'eventualità che questi ragazzi vadano semplicemente a trascorrere quattro settimane di vacanza all'estero. Ecco, parlo il linguaggio che sento sul territorio. Siamo sicuri, cioè, che questi soldi servano a qualcosa? Allora, il tentativo è di rappresentare in maniera più esplicita il risultato, anche rispetto agli scetticismi che ci sono in diverse parti del Paese sul modo in cui i soldi vengono utilizzati. Questi sono i primi due elementi innovativi.
Forse - come ho detto dal primo momento nella mia relazione programmatica alle Commissioni bilancio di Camera e Senato - nella scelta degli obiettivi, se finora abbiamo seguito i temi precedentemente individuati, abbiamo cominciato a ragionare su due elementi di carattere sociale, la cura dell'infanzia e degli anziani, in particolare di quelli che non sono autosufficienti, che, in una situazione di drammatica compressione del reddito disponibile delle famiglie in tutta Italia, in seguito alla crisi economica e anche alle manovre di finanza pubblica adottate per fronteggiarla, rappresentano due emergenze. Vedremo nei prossimi mesi se riusciremo a costruire un rafforzamento che tocchi immediatamente le famiglie italiane, rispetto al tema della situazione degli anziani e dell'infanzia. Non sto dicendo che lo faremo, ma che stiamo cercando di capire, entro i prossimi 30 giorni, se possiamo farlo. Ne abbiamo parlato con le regioni, con gli altri Ministri e con le organizzazioni del partenariato economico e sociale. Dico questo per rispondere con sincerità agli elementi di possibile integrazione.
Sulle condizionalità macroeconomiche, non vi è stata ancora l'occasione - lo dico con molta franchezza - di valutare in che modo utilizzare l'importante alzata di palla che è venuta dal Parlamento e dalla Commissione politiche dell'Unione europea. Ricordo solo l'enorme cautela che ho espresso in una mia precedente audizione rispetto a tale questione. L'argomento è estremamente interessante, indipendentemente dal giudizio che alcuni hanno se il Parlamento non si spinga oltre, ovvero se, al di là del profilo formale, non vi sia un'interferenza di un dossier su un altro. In quella sede dissi che proprio l'esperienza italiana ci deve rendere cauti, perché non si può affermare con certezza, rispetto al ciclo di programmazione precedente, che il fatto di incontrare difficoltà in sede di applicazione del Patto di stabilità non abbia creato problemi nella fase di attuazione degli interventi. Dico questo guardando il Ministro Fitto. Alcuni problemi di carattere finanziario, causati dall'esigenza di garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica, rappresentata del Ministero dell'economia e delle finanze, - per essere chiari - hanno costituito elementi di difficoltà in relazione alla revisione del Patto di stabilità interno. Allora, siamo proprio certi che non ci sia una connessione fra i due aspetti? Siamo certi che non sia necessario dotarsi di regole stabili?
Questo mi consente di rispondere all'apprezzamento in merito alla misura adottata dal Governo con l'articolo 3, commi da 1 a 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, rispetto al Patto di stabilità interno. Innanzitutto, come ricordato, quella misura è una messa in sicurezza per tre anni. In secondo luogo, quella soluzione è costata agli italiani. Da qui deriva la responsabilità del Governo che l'ha scelta, rispettando il patto di stabilità, non in deviazione rispetto a esso. Quella misura è costata 3 miliardi di euro in termini di maggiori interventi onerosi. Ricordo che il Governo precedente ricevette una lettera, scritta dai Commissari europei Hahn e Rehn insieme, che chiedevano di trovare una soluzione che rispettasse sia l'uno che l'altro degli aspetti citati. Tuttavia, l'unica soluzione che rispetti l'uno e l'altro è la creazione di un fondo di compensazione, cioè quello che abbiamo fatto. Era quasi scritta la soluzione. Parliamo, però, di un'operazione che ha un costo.


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Ricordo, tra l'altro, che l'operazione riguarda anche le regioni del centro-nord in una misura piuttosto elevata, ossia circa del 25 per cento delle spese. La proporzione di applicazione della deroga non è rimessa alla discrezione del Governo, ma discende esattamente dall'ammontare dei fondi europei che le regioni ricevono per il periodo 2007-2013; quindi, è una chiave di riparto già scritta in un documento approvato sei anni fa. Secondo quella stessa chiave, le regioni potranno attingere alle risorse del fondo istituito dall'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, e accedere alla deroga al patto di stabilità interno. È ovvio che è una deroga proporzionale all'impegno finanziario sui fondi europei del precedente ciclo, visto che stiamo ancora nella fase di attuazione di quel ciclo.
Vengo alle ultime osservazioni. Passo al punto secondo, che riguarda l'importanza del metodo comunitario, sul quale sono stati sollevati dei dubbi. Ho l'impressione che i dubbi sollevati siano di due tipi; uno si riferisce alla Commissione e l'altro a come noi attuiamo le regole. Condivido alla lettera il primo, perché riteniamo che un alleggerimento delle condizionalità ex ante sia rilevante. Tuttavia, questo alleggerimento non si può avere sia per le condizionalità ex ante che per quelle ex post perché rispetto a queste ultime, francamente, non abbiamo dei buoni numeri per proporlo. Tra qualche settimana, apprenderemo che l'Italia, in base alle verifiche fatte l'anno scorso, si ritrova ancora una volta con una quota di irregolarità commesse da alcune regioni italiane, che ci mette nuovamente in difficoltà con la Commissione europea. Insomma, non solo spendiamo poco, ma - peggio - siamo anche fra i più irregolari. Le nostre irregolarità pesano, del resto, sul tasso di irregolarità dell'intera Unione europa, quindi i commissari europei ce l'hanno particolarmente con noi. Non siamo, quindi, un Paese che può dire di non volere le condizionalità ex post; mentre l'alleggerimento delle condizionalità ex ante appare una strada ragionevole.
Chiudo con un'ultima considerazione relativa al modo in cui interpretiamo le regole. Prima di tutto, la filosofia con cui ha lavorato il Ministro Fitto nel costruire il Piano d'azione, che è la stessa con cui sto operando io, è la dimostrazione che si può fare. Che ciò non sia avvenuto ancora con riferimento ai programmi di sviluppo rurale, purtroppo, è dovuto al fatto che nel ciclo di programmazione precedente, quei programmi sono stati separati. Il 70 per cento delle osservazioni che avete proposto sono quelle che abbiamo fatto nel Piano di azione, laddove abbiamo operato una riprogrammazione di 3,1 miliardi di euro, facendo, appunto, quello che alcuni di voi hanno detto.
In pratica, abbiamo detto alle regioni del sud che stavano andando contro un muro. Quindi abbiamo proposto un'operazione in cui, in parte, la regione stessa riformula dall'interno la sua programmazione e, in parte, visto che non ce la fa più - riporto le parole dette da voi - le togliamo risorse, ma invece di annullarle, le riprogrammiamo al di fuori dei fondi europei. Ebbene, le regioni hanno accettato. Parlo di una trattativa che è stata impostata e chiusa. Tra l'altro, quando ho riportato la cifra che avevamo riprogrammato in Italia ai Ministri della coesione degli altri Paesi non ci volevano credere perché riprogrammare, in pieno periodo di programmazione, e visto che siamo messi male, una cifra di quella dimensione, non è comune. È una riprogrammazione di grosse dimensioni. Le regioni sanno, del resto, che se a marzo o aprile non dimostreranno di avere accelerato la fase della spesa, ci sarà un'ulteriore riprogrammazione, esattamente come è stato suggerito.
Purtroppo, lo sganciamento della politica di sviluppo rurale e una sua iper-regionalizzazione, nel senso di rinunzia di un esercizio forte ha creato problemi. Tuttavia, per chiudere con una buona notizia, vi sono novità positive per il prossimo ciclo. Infatti, siccome la politica di sviluppo rurale rientra nella politica strutturale e sarà nuovamente governata in modo unitario, è intenzione del


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Governo - e dico espressamente del Ministro Catania, visto che ne abbiamo parlato - di andare nella direzione non di una ricentralizzazione, bensì di una ripresa dell'indirizzo da parte del Governo centrale rispetto a una politica delicatissima per le aree rurali e per una parte forte delle aree del nostro Paese in transizione dal settore agricolo a quello non agricolo.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro della presenza, della relazione e delle risposte esaustive, augurandogli un buon lavoro. Peraltro, siamo in una strettoia delicata e ci conforta sapere che sta continuando un lavoro egregiamente iniziato. Speriamo, quindi, di riuscire a ottenere i risultati auspicati.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.

V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione)

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