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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
5.
Martedì 2 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

Audizione del Presidente del CNEL, Antonio Marzano (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 7 8 11
Cambursano Renato (Misto) ... 7
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 8
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 3 8

Audizione del Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino (Attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 11 17 19 21
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 18
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 19 21
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei Conti ... 11 19 20
Legnini Giovanni (PD) ... 18
Morando Enrico (PD) ... 17
Nannicini Rolando (PD) ... 19 20 21
Pala Maurizio, Consigliere della Corte dei conti ... 20
Simonetti Roberto (LNP) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di martedì 2 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 11,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente del CNEL, Antonio Marzano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Presidente del CNEL, Antonio Marzano. Accompagnano il professor Marzano il dottor Stefano Bruni e il dottor Valerio Gironi, che ringrazio per essere intervenuti.
Professor Marzano, naturalmente lei potrà lasciare a disposizione delle Commissioni riunite la sua relazione scritta; se durante il dibattito emergeranno elementi nuovi potrà farci pervenire in seguito le sue osservazioni, che sarà cura dei nostri uffici mettere a disposizione di tutti i parlamentari.
Do ora la parola al professor Marzano.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Buongiorno, signor presidente e onorevoli parlamentari. La mia esposizione sarà piuttosto sintetica; in seguito vi trasmetteremo la relazione più articolata, con indicati tutti i punti di cui parlerò in questa audizione.
A partire dalla conclusione del primo semestre del 2011, si sono realizzati un incremento dei tassi di interesse dei titoli pubblici e una riduzione della quota dei titoli sottoscritta dagli investitori esteri. Questo trend, marcatamente negativo, è continuato nell'intero secondo semestre del 2011: l'11 novembre del 2011, i BOT annuali rendevano il 9,47 per cento, i BTP triennali il 7,68 per cento, quelli quinquennali il 7,65 per cento e i decennali il 7,49 per cento.
Questa situazione è stata fronteggiata dal Governo Monti con l'approvazione di una serie di misure di incremento del prelievo e di riduzione della spesa, che hanno prodotto risultati complessivamente positivi, specificamente in relazione all'obiettivo assunto come prioritario, il controllo degli aggregati di finanza pubblica in funzione del pareggio di bilancio nel 2013, concordato in sede di Unione europea.
A metà settembre del 2012, i tassi richiesti per la sottoscrizione dei titoli pubblici italiani hanno fatto registrare un significativo miglioramento rispetto ai valori del novembre 2011; ha contribuito al conseguimento di questo risultato anche l'incisiva azione di contrasto alla speculazione finanziaria internazionale preordinata dalla Banca centrale europea.
Come ha dichiarato lo stesso Presidente del Consiglio, le misure di risanamento della finanza pubblica in una fase recessiva hanno determinato - ed era prevedibile -


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effetti di ulteriore contrazione dell'economia reale, ancora più consistenti di quelli previsti in occasione della presentazione del DEF (Documento di economia e finanza).
La Nota di aggiornamento del DEF evidenzia tale tendenza del quadro macroeconomico e segnala una diminuzione del PIL - in termini reali - del 2,4 per cento nel 2012, una sostanziale stazionarietà nel 2013 e una crescita di poco superiore all'1 per cento nel 2014 e nel 2015.
Questo andamento dei tassi di crescita ha conseguenze, a sua volta, sui dati relativi alla finanza pubblica, che fino al 2015 farebbero registrare un peggioramento dell'indebitamento netto che si attesterebbe a circa 24 miliardi di euro nel 2015.
È un apparente paradosso che l'obiettivo del pareggio del bilancio si accompagni ad un maggiore indebitamento. Questo risultato deriva da riduzioni della spesa per il personale, della spesa sanitaria e, ahimè, della spesa in conto capitale - una tendenza che mi preoccupa molto - ma anche da un marcato incremento delle spese per altre prestazioni sociali, diverse da quelle previdenziali in senso stretto, e da una sensibile crescita della spesa per interessi ( 35 per cento rispetto al consuntivo 2011). Si rileva, inoltre, una flessione delle entrate tributarie e contributive rispetto alle previsioni per il 2015.
L'aggiornamento del DEF evidenzia che una parte del peggioramento del quadro previsionale di finanza pubblica deriva dalla revisione dei consuntivi 2010 e 2011 - complessivamente pari a circa 0,6 punti percentuali di PIL per ciascun anno - dovuta per lo 0,1 per cento a ordinari accertamenti statistici e per il rimanente 0,5 per cento a riclassificazioni operate sulla base di una recente decisione di Eurostat, che stabilisce che i debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche, ceduti con la clausola pro soluto a istituzioni finanziarie non bancarie, devono essere inclusi nel debito degli Stati membri.
Si pone come assolutamente urgente, anche nella prospettiva dell'entrata in vigore della nuova direttiva europea in materia, l'esigenza - dal CNEL ripetutamente segnalata - di affrontare la questione in modo conclusivo, attraverso misure che non si limitino a una pur utile iniezione di maggiore liquidità a favore delle imprese creditrici, ma garantiscano, in modo strutturale, gli equilibri complessivi del bilancio di tutti i livelli di governo della pubblica amministrazione.
Il consolidamento della credibilità dell'Italia - dal punto di vista delle politiche di risanamento - è indispensabile sia sul versante europeo sia su quello interno.
Sul versante europeo, il consolidamento della finanza pubblica consente di sostenere con maggior forza le proposte di una politica attiva dell'Unione europea in materia di sviluppo e di crescita, obiettivo - fino ad oggi - non prioritario (parlo a titolo personale). Da ministro sostenni la tesi che ogni provvedimento di finanza pubblica fosse valutato in sede europea non solo per i suoi effetti sul bilancio pubblico, ma anche per gli effetti sulla competitività del sistema e sullo sviluppo: questa tesi non è passata.
Sul versante interno, in primo luogo, occorre una continuità nella linea di gestione rigorosa della finanza pubblica, indispensabile in funzione non solo di un'applicazione coerente delle nuove regole europee in materia di governo della finanza pubblica, ma anche di un'impostazione dei PNR (Programmi nazionali di riforma) e di una corretta gestione della normativa sul federalismo fiscale.
Il federalismo - apro una parentesi - non è di per sé una cosa negativa; la mia opinione è che esso sia uno strumento positivo. Tutto dipende da come lo si realizza e da come si realizzano le normative e le prassi, in particolare delle Regioni.
Il CNEL crede, in particolare, che in Italia occorra un processo di concertazione istituzionale. Questa esigenza deriva dallo specifico assetto dei poteri costituzionali che rendono sempre meno significativo il bilancio dello Stato, assegnando


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quote crescenti di spesa e di entrata - in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi - alla legislazione regionale e all'azione amministrativa degli enti locali.
La legge di coordinamento della finanza pubblica, prevista dal nuovo articolo 81 della Costituzione, può essere la sede per definire, con carattere di urgenza, modalità e regole certe per questo confronto istituzionale.
Una seconda e non meno rilevante linea di azione - secondo il CNEL - è rappresentata dal coinvolgimento delle parti sociali nell'azione di risanamento e di rilancio della crescita, indispensabile in funzione di un confronto fra tutti i soggetti che operano nella produzione, finalizzato al rilancio della competitività e alla crescita occupazionale. Questa operazione di coinvolgimento delle parti sociali è già in atto, attraverso gli incontri con le rappresentanze del sistema delle imprese e con i sindacati.
Non si esce da una crisi così grave senza una condivisione degli obiettivi e delle responsabilità tra tutte le istituzioni e le stesse forze sociali rappresentative della società civile. Peraltro, questo corrisponde in qualche modo alla natura istitutiva del CNEL: più volte abbiamo segnalato l'opportunità che l'istruttoria delle misure principali proposte dal Governo sia svolta presso il CNEL.
Il CNEL ritiene che, in questo quadro, la prossima legge di stabilità dovrebbe contenere, in particolare, misure volte ad affrontare problemi già posti all'attenzione del Governo e del Parlamento in numerosi documenti, selezionando alcuni specifici temi ai quali destinare attenzione propositiva e risorse. Questa è la seconda linea d'azione: una concertazione generale.
Una terza linea d'azione riguarda la riforma della macchina pubblica, il suo adeguamento non solo al nuovo assetto costituzionale, ma anche alla domanda di prestazioni più efficienti ed efficaci. Questa è una priorità assoluta. In questa prospettiva, occorrerà fare della politica di revisione della spesa non solo uno strumento per reperire risorse in via straordinaria, ma una caratteristica costante dell'azione politica e amministrativa.
Occorre porre mano, una volta per tutte, alla ricognizione delle funzioni da trasferire in relazione al nuovo assetto dei poteri e, conseguentemente, decidere i nuovi assetti delle amministrazioni centrali e regionali, da dimensionare in relazione al trasferimento delle funzioni amministrative ai livelli locali di governo.
Ciò richiede anche una politica del personale che punti all'eliminazione delle duplicazioni degli uffici e delle funzioni e alla razionale utilizzazione dello stesso personale. Si tratta naturalmente di un impegno che, in relazione alla limitatezza delle risorse disponibili, imporrà una gradualità e una precisa finalizzazione delle stesse. Il CNEL, avendo chiaro l'intreccio fra capitale umano e politiche di sviluppo, indica che la priorità va assegnata all'istruzione e alla ricerca, con politiche di reclutamento e remunerazione adeguate all'obiettivo della crescita e della buona occupazione.
Il quarto filone di lavoro indicato dal CNEL è quello delle politiche di sostegno agli investimenti. Anche in questo caso, la limitatezza delle risorse richiede una selezione delle priorità e modalità di sostegno, adeguate alla specificità degli interventi.
In materia di infrastrutture, misure positive sono già contenute nel recente decreto-legge n. 83 del 2012, cosiddetto «Sviluppo Italia». Occorre un intervento ulteriore che affronti anche in termini di principio la definizione di regole per garantire copertura alle agevolazioni che comportano minori entrate. Si può ipotizzare che la concessione di un sostegno agli investimenti - attraverso una parziale riduzione della tassazione sui proventi che deriveranno da un investimento che altrimenti non si sarebbe realizzato - non comporti danni alle entrate. Questo è un principio che dovrebbe improntare l'azione di governo. Non è detto che alleggerimenti fiscali nei confronti degli investimenti privati portino un danno alle entrate, se quegli investimenti, in assenza


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di una politica di incentivazione seria e ben fatta, non si sarebbero realizzati; osservo che questo aspetto, a volte, non è considerato.
Avendo presente il carattere di sopravvenienza attiva che spesso hanno avuto le agevolazioni, quelle attentamente selezionate, - come è documentato da specifici studi della Banca d'Italia - il vero problema, proprio per la carenza di risorse pubbliche e per l'esigenza di indirizzare al meglio le risorse private, è quello di definire metodi rigorosi per la selezione degli investimenti da agevolare e metodi ancora più rigorosi per l'individuazione di quella quota limitata di essi che non si sarebbe realizzata senza l'agevolazione.
Occorre anche garantire certezza sulle procedure e sui tempi per la realizzazione degli interventi. Consentitemi, anche in questo caso, di aprire una parentesi a titolo personale. Se un'impresa si indebita per realizzare un investimento produttivo, tale indebitamento non sarà considerato un errore, ma una scelta naturale. Infatti, a meno che l'impresa non goda di grande disponibilità interna, normalmente essa si indebita per realizzare un investimento, e questo non è considerato in maniera negativa. Al contrario, è l'assenza di investimenti ad essere considerata in maniera negativa. Quando si formularono i parametri di Maastricht, non si fece alcuna distinzione tra spese per investimenti pubblici e altre spese. La conseguenza è stata che, pur di ridurre il disavanzo pubblico nei limiti richiesti dall'Unione europea, la prima spesa pubblica che ha subìto dei tagli è stata quella per investimenti. In definitiva, all'impresa privata è concesso ciò che allo Stato non lo è.
Per ciò che riguarda la quinta linea di azione, sempre in materia di sostegno agli investimenti, occorre affrontare il tema delle politiche volte a sostenere e indirizzare l'ormai urgente ridefinizione del modello di specializzazione produttiva del nostro Paese, senza pensare a improponibili modelli di pianificazione centrale. Il CNEL ritiene che vadano riprese e sostenute con adeguate dotazioni finanziarie politiche di innovazione sulla falsariga di quelle previste dal Progetto Industria 2015 e politiche di riconversione con gli strumenti previsti, in materia di crisi industriali complesse, dall'articolo 23 del citato decreto-legge «Sviluppo Italia».
A mio parere - mi scuso se, riportando la posizione del CNEL, a volte mi vengono in mente osservazioni personali - sostenere imprese decotte e fuori mercato è un errore. Si pensi a quello che sarebbe accaduto, storicamente, se dopo l'apparizione dell'automobile si fosse continuato a sostenere con incentivi la produzione di carrozze a cavallo. Questo esempio aiuta a capire un criterio che mi ha guidato negli interventi quando ricoprivo la carica di ministro. Parmalat andava ristrutturata e rilanciata, e così accadde. Nel caso di altre imprese, che erano e sono fuori mercato, intervenire avrebbe significato uno spreco di risorse. Sarebbe invece più opportuno concentrare le risorse verso quelle imprese che hanno prospettive di competitività e sviluppo.
Secondo il CNEL, anche le politiche fiscali andrebbero complessivamente ripensate in funzione dell'equità e dello sviluppo. Una riforma richiede non solo misure di intensificazione del contrasto della perdurante evasione fiscale - anche in termini culturali - ma anche un ripensamento di una struttura del prelievo eccessivamente sbilanciata a carico dei redditi da lavoro dipendente - e da pensione - e a carico delle imprese. Se a ciò si aggiunge il prelievo contributivo, si individua una delle componenti che determinano una perdita di competitività delle nostre imprese.
La scelta di perseguire con determinazione la tracciabilità di tutti i pagamenti - è questa la sesta linea di azione - anche di quelli di minore dimensione, va rilanciata e accompagnata da misure di incentivazione economica e procedurale per entrambi i soggetti della transazione. Analoga determinazione serve nel ridefinire regole per superare le illecite compensazioni IVA, che tra l'altro determinano un aggravamento delle procedure di controllo e soprattutto di liquidazione, penalizzando i titolari di effettivi diritti alla compensazione


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e ai rimborsi, con conseguenze negative per le nostre imprese, particolarmente per quelle esportatrici.
Anche i controlli andrebbero meglio mirati, introducendo forme preventive di tutoraggio: se considerati come ostili, i controlli possono avere effetti negativi, mentre un tutoraggio preventivo avrebbe un significato diverso.
Da una gestione oculata e rigorosa della finanza pubblica, unita a politiche attive per la riduzione del debito, deriverebbero anche conseguenze positive sulla principale anomalia della spesa pubblica italiana, rappresentata dall'eccessivo livello della spesa per interessi. Aggiungo che alti tassi d'interesse non penalizzano soltanto il bilancio dello Stato, ma anche gli investimenti privati. Si tratta di un problema che riguarda non solo la finanza pubblica, ma anche lo sviluppo e l'occupazione.
La riduzione di questi interessi, che per dimensione e dinamica rappresentano la più rilevante preoccupazione per i bilanci pubblici, può aprire spazi sia per un'ulteriore riduzione del debito, sia per nuovi investimenti e per politiche indirizzate alla crescita e allo sviluppo.
Presidente, questa è la mia schematica rappresentazione della posizione del CNEL. Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti.

PRESIDENTE. Grazie professor Marzano. Prima di dare la parola ai colleghi, le pongo io due domande specifiche. Vanno bene il risanamento dei conti pubblici e le misure di rigore intraprese dal nostro Governo, ma, ai fini di una valutazione complessiva dell'economia, qual è il suo giudizio - o comunque quello del CNEL - sul rapporto tra un eccesso di misure che sembrano francamente depressive e un'assenza di misure anticicliche che in un momento di grande difficoltà andavano intraprese? È di tutta evidenza che una depressione dell'economia, oltre certi livelli, produce inevitabilmente una depressione delle entrate fiscali.
Vorrei, inoltre, conoscere il parere del CNEL in merito a un altro argomento fondamentale: il bilanciato e corretto rapporto tra Stato e cittadino in tutte le transazioni economiche, da quelle fiscali ai rapporti tra fornitore e soggetto che paga la fornitura, che dovrebbe essere lo Stato. Questo rappresenta uno snodo importante del rapporto tra impresa e Stato e tra cittadino e Stato, non solo dal punto di vista economico, ma da quello etico. È facile parlare di lotta all'evasione, o fare appello a comportamenti sempre più etici da parte di cittadini e imprese mentre, da parte dello Stato, non c'è assolutamente un'uguale sensibilità.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO CAMBURSANO. Il presidente Marzano mi scuserà se non ho potuto ascoltare la prima parte della sua relazione, essendo impegnato in Commissione finanze, laddove si sta discutendo - sono già stati presentati gli emendamenti - il disegno di legge C. 5291 recante una delega al Governo in materia fiscale. Tale provvedimento si pone tre obiettivi: l'equità, la semplificazione e la crescita. Essendo questa un'audizione che riguarda la Nota di aggiornamento del DEF, mi limito a considerare il terzo obiettivo, la crescita.
Mi pare che l'intenzione del Governo sia sostanzialmente quella di rinviare ancora al 2013-2014 l'utilizzo delle risorse rivenienti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale per il rilancio dello sviluppo. Le conseguenze di questa politica potrebbero anche essere drammatiche, se non si inverte immediatamente il percorso: più diminuisce il denominatore, il PIL, maggiore è il rischio per il Paese nel suo complesso.
Probabilmente, la Commissione finanze avrà già audito il CNEL su questo tema, ma non essendo stato presente vorrei approfittare di questo momento, data la strettissima correlazione tra i due temi.
Il mio secondo quesito, ricollegandomi al suo intervento, riguarda gli investimenti. Concordo totalmente con lei sul fatto che un investimento improduttivo è da cancellare immediatamente, mentre un investimento


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produttivo deve essere attivato, poiché il ritorno in termini di entrate per l'erario può essere superiore alle risorse dirottate su quell'investimento. Tuttavia, rimane aperta una questione. Personalmente, nel testo della legge costituzionale di riforma dell'articolo 81 e di altri articoli della Costituzione, ero dell'idea di prevedere l'estrapolazione dall'indebitamento delle risorse destinate agli investimenti. Si è scelta un'altra strada, però ritengo che in un momento di recessione ci si possa almeno avvalere di ciò che quella riforma prevede, ossia che in una fase di recessione prolungata si possa anche «sforare» rispetto al pareggio di bilancio.
Chi le parla è stato uno dei più accaniti sostenitori dell'opportunità della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, con le eccezioni previste. Le eccezioni, però, non devono rimanere solo sulla carta, ma tradursi in fatti concreti. Vorrei conoscere la posizione del CNEL a questo proposito.

AMEDEO CICCANTI. Lei, presidente Marzano, ha affermato che la riduzione della tassazione sui futuri investimenti può essere uno strumento utile per il rilancio della crescita. Se da una parte questo è vero, d'altro canto c'è da dire che questo strumento, se non è mirato, può alterare i fattori della concorrenza: quando dico «mirato» intendo che sia orientato soprattutto alla ricerca, al potenziamento dei livelli di competitività del nostro sistema e dell'export, alla riduzione dei costi dell'energia. Attraverso il credito d'imposta - mi piacerebbe sapere se lei ritiene che debba essere automatico o meno - potremmo ritenere utile la sua proposta.
Le sottopongo un'altra questione: la crescita va ancora sostenuta? Non certo con gli incentivi. Concordo con quanti - tra questi il presidente di Confindustria Squinzi - affermano: «basta con gli incentivi!». Ha ragione lei quando dice che la strada della riduzione fiscale è quella giusta, ma nei termini che ricordavo. Ora, se non bisogna più confidare negli incentivi, quali altre strade ci sono, oltre quella della detassazione? Liberare l'energia? Aumentare il tasso di liberalizzazione? Noi siamo in coda - nella graduatoria dei 196 Paesi al mondo - per quanto riguarda il tasso di liberalizzazione del nostro sistema economico.
Noi riteniamo necessaria anche una riforma della pubblica amministrazione, essendo un'intrusione fastidiosa per le attività economiche la burocrazia invasiva.
Bisogna ancora puntare sull'articolo 41 della Costituzione o può essere portata avanti, con legge ordinaria, una serie di proposte? Non so se il CNEL, costituendo un ponte tra Stato, pubblica amministrazione ed economia reale, possa svolgere, su questo aspetto, un'importante funzione di ausilio, di indirizzo dell'attività parlamentare. Che dice il CNEL su tale tema?
Infine, pongo una domanda sulla revisione del prelievo. Nel primo Programma nazionale di riforma dell'anno scorso, abbiamo accettato la regola europea di rimodulare il sistema fiscale, passando dalle persone alle cose. Oggi, abbiamo evitato l'aumento dell'IVA, perché avrebbe inciso come fattore depressivo sull'attuale crisi della crescita. Eppure, questa era una delle scelte che si inserivano in questa logica: dalle persone alle cose. Stiamo quindi facendo un'azione contraria a questo principio. Che cosa pensa dell'idea di rinviare l'incremento dell'IVA, quando invece avremmo potuto usare queste risorse - 3 miliardi e 280 milioni di euro - ad esempio, per ridurre il cuneo fiscale?
Mi piacerebbe conoscere il suo pensiero sull'alternativa tra queste due soluzioni.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Marzano per la replica.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Comincio dalle domande poste dal presidente. La prima riguarda il punto centrale del dibattito che si sta svolgendo e, in qualche modo, anche il punto centrale del problema: i rapporti fra politiche di rigore e misure anticicliche. Riferirò il mio punto di vista a questo proposito, cercando di essere schematico, anche se, ovviamente, il problema non è così semplice.


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Le politiche anticicliche, viste in termini di politiche keynesiane, erano di sostegno della domanda, quasi una politica di sostegno della domanda non condizionata. In un passaggio, Keynes sosteneva che si dovessero fare delle buche nel terreno e riempirle: si trattava di una spesa assolutamente improduttiva. Questo modo di concepire il problema era sicuramente sbagliato, sebbene - lo aggiungo subito per correttezza - questo fosse per Keynes un modo di esprimere con forza una tesi di cui era convinto; una tesi che, peraltro, ebbe successo e fu seguita in alcuni Paesi.
Oggi, le cose stanno in modo diverso. L'ipotesi di Keynes si riferiva al contesto di un'economia chiusa agli scambi con l'estero. Non vi era quindi un problema di competitività, in quanto i confini erano chiusi: non entravano merci e non ne uscivano, non vi erano movimenti di capitale e via dicendo. Dico ciò perché ogni volta che si fa riferimento a un economista o a una teoria economica bisogna capirne bene i presupposti. Nel caso di Keynes, il presupposto era un'economia chiusa agli scambi con l'estero.
Noi stiamo vivendo un'epoca totalmente diversa, non voglio dire eccessivamente aperta - perché ciò si presterebbe ad altre interpretazioni - ma molto aperta. Ne consegue che se si pensa di fare una politica di sostegno della domanda «alla Keynes» e l'economia non è competitiva, quell'aumento della domanda che ne deriverebbe si tradurrebbe in aumento delle importazioni. Se il Paese non produce merci in termini competitivi dal punto di vista della qualità del prodotto e dei costi, perché mai i cittadini che hanno un maggiore potere d'acquisto, grazie alle politiche keynesiane, dovrebbero comprare merci nazionali piuttosto che estere?
Ne deriva che oggi una politica di sviluppo deve agire sia sul fronte della domanda sia su quello dell'offerta, intesa come politica di competitività. Il problema è come associare alle politiche riferite alla finanza pubblica che, come sappiamo, sono imposte dall'Unione europea, politiche di competitività. Via via che si ottiene una politica di competitività si può passare a una politica di sostegno della domanda, perché quella domanda aggiuntiva sarà destinata alle imprese nazionali e contribuirà alla creazione di posti di lavoro - in più - dentro il Paese, non favorendo invece altri Paesi temporaneamente più competitivi.
Una volta questo problema si risolveva anche in un altro modo, che pure non rappresentava il massimo possibile come soluzione: la svalutazione del cambio. Un Paese diventa temporaneamente più competitivo se svaluta il cambio della propria moneta. Si tratta, però, di un effetto temporaneo, perché, alla lunga, a forza di svalutare il cambio della moneta, il potere d'acquisto complessivo dei cittadini che la usano diminuisce.
Lasciamo quindi da parte il cambio, però una politica di competitività è necessaria. Senza di questa, signor presidente, una politica meramente anticiclica, basata solo sulla domanda, è a vantaggio degli altri Paesi.
Riguardo ai rapporti fra Stato e cittadini, lei ha perfettamente ragione. Quando si dice che i contribuenti onesti danno il buon esempio, il primo a dare il buon esempio dovrebbe essere proprio lo Stato; non sempre, però, questo accade. Penso, in particolare, al ritardato pagamento degli impegni verso le imprese, ma anche ad altri punti di vista.
Lo spreco di risorse nazionali che si determina per effetto dei ritardi nell'azione della pubblica amministrazione è enorme: una pubblica amministrazione efficiente è un fattore di sviluppo. Quando ero un giovane economista, nei testi di economia fra i fattori della produzione si citavano il lavoro, la terra, il capitale, la professionalità tecnica e la pubblica amministrazione. Nelle edizioni più recenti di tali testi la pubblica amministrazione non è più citata, ma il problema rimane. Anche l'efficienza della pubblica amministrazione è una condizione di etica dello Stato.
In una precedente audizione mi sono permesso di dire che vanno penalizzati i contribuenti che non pagano le imposte, ma sarebbe bello se si studiasse anche un


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sistema di premialità - naturalmente contenuta e compatibile con il bilancio - per coloro che, invece, sono corretti e onesti. Come pure, sul fronte della spesa pubblica e della spending review, bisognerebbe - secondo me - introdurre un premio per il funzionario pubblico, il dirigente o il direttore generale che ottiene effettivamente la riduzione della spesa. Questo tipo di incentivi fiscali o di premialità non mi sembra ancora molto usato, ma posso sbagliarmi.
Siamo totalmente d'accordo con lei, onorevole Cambursano. Il recupero dell'evasione, anche attraverso la trasparenza dei pagamenti che ho citato nella mia relazione, è fondamentale. Quelle risorse sono importanti, ma c'è anche un'altra ragione. L'evasore non è soltanto qualcuno che non fa il proprio dovere di cittadino. Nel caso delle imprese o dei professionisti, l'evasore è qualcuno che altera la concorrenza, perché i suoi prezzi possono essere minori di quelli di chi paga le tasse.
Spero che dalla mia relazione traspaia che separare i problemi dello Stato da quelli dell'economia reale sia un errore. Il recupero dell'evasione è importante come risorsa aggiuntiva sia per le politiche di sviluppo sia per la concorrenza e la competizione.
L'onorevole Cambursano ha poi fatto riferimento a quella parte del mio discorso in cui parlavo delle imprese che fanno investimenti. Sono d'accordo con lui: un meccanismo per poter «sforare» gli obiettivi o gli impegni assunti dalla finanza pubblica è fondamentale. Non ho la documentazione, ma penso che qualcosa del genere sia previsto dagli accordi in sede di Unione europea. Una cosa è il disavanzo strutturale, altra cosa è il disavanzo di natura congiunturale, per il quale si può prevedere una piccola deviazione.
L'onorevole Ciccanti chiedeva quali investimenti incentivare e ha perfettamente ragione nel porre tale questione. Ancora una volta torniamo sulla concorrenza. Se si incentivano soltanto alcuni investimenti di un certo settore o di una specifica impresa, si altera la concorrenza e, probabilmente, l'Unione europea, come spesso fa, ci tirerebbe - per così dire - le orecchie. Le incentivazioni dovrebbero andare quindi ai settori orizzontali, quelli da cui tutte le imprese dipendono. Lei, giustamente, prima citava la ricerca. L'incentivo alla ricerca è per tutti. È giusto che le imprese che la fanno siano agevolate nei confronti delle imprese che non la fanno.
A proposito dell'energia, debbo dirle - per la verità - che un rapporto dell'Istituto «Bruno Leoni» afferma che, se c'è un settore in cui è aumentata la concorrenza, è quello dell'energia. Ogni tentativo in questo senso può essere più che compensato da aumenti del costo finale dell'energia dovuti ad altri tipi di intervento, anche fiscale. L'Istituto «Bruno Leoni» riconosce che l'Italia ha liberalizzato più degli altri Paesi europei nel settore dell'energia. Forse lo considererete poco elegante, ma ci sono alcuni provvedimenti - adottati a suo tempo dal sottoscritto - che vanno in quella direzione: il decreto cosiddetto «sblocca centrali», ad esempio, - che favorisce l'entrata sul mercato di nuove centrali - è concorrenza, così come lo è la borsa elettrica. Ci sono altri settori in cui, come dicevo, bisognerebbe promuovere una condizione di maggiore competitività generale, non a favore di questo o di quello.
L'onorevole Ciccanti mi poneva, inoltre, un quesito molto delicato sulla revisione della struttura del prelievo. In questo campo, comunque si fa, si sbaglia. In questo momento, la gente non spende nemmeno per l'acquisto di beni di consumo che noi economisti eravamo abituati a considerare a domanda rigida: mi riferisco all'alimentazione. Probabilmente c'erano degli eccessi, ma, adesso, non si spende neanche per gli alimentari nella misura in cui si spendeva prima.
Aumentare l'IVA significa peggiorare la situazione. Su questo non ho alcun dubbio. La cosa da fare è intervenire sul cuneo fiscale. Bisogna trovare risorse derivanti dalla lotta all'evasione, dalla spending review e così via, perché quello è un costo che riduce la competitività. Nel sistema globalizzato in cui ci troviamo dobbiamo preoccuparci della competitività.


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Credo di aver risposto, presidente, seppure in maniera impropria.

PRESIDENTE. Ha risposto in maniera assolutamente compiuta. Ringrazio il presidente Marzano e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 12,05.

Audizione del Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, l'audizione, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato della Repubblica, del Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino.
Accompagnano il presidente Giampaolino il consigliere Maurizio Pala e il consigliere Enrico Flaccadoro, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al presidente Giampaolino per lo svolgimento della relazione.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Dall'aprile scorso, quando il Governo ha presentato il Documento di economia e finanza 2012, le condizioni economiche e finanziarie interne e internazionali hanno subito mutamenti rilevanti, con segnali sia positivi che negativi.
Sul fronte delle turbolenze finanziarie, l'aggravarsi del caso Grecia e l'emergere della questione spagnola hanno contribuito a mantenere elevato l'allarme sulla solvibilità dei Paesi in difficoltà, con il pericolo di un contagio non facilmente controllabile.
Allo stesso tempo, la scossa prodotta dal timore di un imminente possibile collasso della moneta unica ha finalmente impresso una svolta positiva nel comportamento delle istituzioni europee.
Eurosummit e Consiglio europeo hanno prodotto deliberazioni intese a predisporre strumenti di intervento anti-spread - destinati ai Paesi in regola con le raccomandazioni europee -, alla ricapitalizzazione del sistema bancario spagnolo e, infine, a realizzare un Patto per la crescita e l'occupazione, con l'annuncio di misure di sostegno immediato per l'economia.
Da ultimo, la recente decisione della Banca centrale europea di procedere ad acquisti illimitati di titoli sovrani e, successivamente, la sentenza della Corte costituzionale tedesca favorevole al Fiscal compact e allo European Stability Mechanism (ESM) hanno costruito una solida rete di difesa dell'euro.
Non possiamo affermare con certezza che la crisi finanziaria sia ormai alle nostre spalle, ma certamente lo stato di allarme, almeno per la nostra economia, sembra essersi attenuato.
Sul fronte delle prospettive economiche, al contrario, il peggioramento rispetto all'aprile scorso appare assai netto e, per l'Italia, particolarmente difficile.
Lo testimonia, con dati di chiara evidenza, la stessa Nota di aggiornamento del DEF, oggi al vostro esame.
Per quanto risulti non semplice in una fase di allarme sopito, ma non cessato, vi è, dunque, da auspicare che l'impostazione della politica economica e soprattutto della politica di bilancio, non più costretta dalla sola spinta dell'emergenza, riacquisti gradualmente un segno di maggiore equilibrio, recuperando le condizioni per la crescita economica secondo le linee efficacemente tracciate dal Governo stesso.
L'esame della Nota di aggiornamento del DEF 2012 induce, in primo luogo, a richiamare alcune osservazioni che la Corte ha consegnato al Parlamento in occasione dell'audizione sul DEF dell'aprile scorso.
In sintesi, già il DEF - impegnato a tracciare la linea programmatica per il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 - evidenziava, ad avviso della Corte, tutte le difficoltà di gestione del


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bilancio pubblico nelle condizioni, ormai durature, di perdita di prodotto interno lordo.
Nell'ultimo biennio, infatti, l'efficacia delle misure rilevanti di contenimento della spesa pubblica si è tradotta in una riduzione in valore assoluto delle uscite totali al netto degli interessi ma, in un contesto di riduzione del PIL in termini reali, la quota della spesa sul prodotto è rimasta al di sopra dei livelli pre-crisi.
L'urgenza di corrispondere alle richieste dell'Europa ha, dunque, indotto a ricorrere pesantemente al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per un ulteriore effetto recessivo.
Con riferimento all'orizzonte temporale di riferimento del DEF, la Corte sottolineava il pericolo di un corto circuito tra rigore e crescita, favorito dalla composizione delle manovre correttive delineate nel Documento, per quasi il 70 per cento affidate, nel 2013, ad aumenti di imposte e tasse, con la pressione fiscale prevista oltre il 45 per cento nell'intero triennio 2012-2014. Secondo calcoli meritoriamente esplicitati dal DEF, l'effetto recessivo attribuibile direttamente alle misure di riduzione del disavanzo avrebbe dissolto circa la metà dei 75 miliardi di euro della correzione prevista per il 2013.
L'inevitabile asimmetria temporale tra gli effetti restrittivi prodotti dalla manovra di bilancio e l'impatto virtuoso delle misure di sostegno dell'economia genera un equilibrio molto fragile.
Lo stesso orientamento dei mercati appare sempre più influenzato dalla percezione negativa e dalle prospettive di crescita di Paesi come l'Italia o la Spagna ed anche dall'impressione che l'alto livello della pressione fiscale sia destinato a perdurare, in ragione della difficoltà di andare oltre l'attuale compressione della spesa pubblica, se non ripensando radicalmente il perimetro entro il quale dovrebbero svilupparsi gli interventi dell'operatore pubblico.
La Corte osservava ancora come l'assenza di crescita economica fosse destinata a tradursi, per il periodo di riferimento del DEF, in un'incidenza soverchiante del bilancio pubblico sull'economia.
Anche se misurata al netto delle spese per interessi e degli investimenti fissi, la somma di entrate e spese pubbliche avrebbe superato, nell'intero periodo, il 90 per cento del PIL: un drenaggio di risorse che appare incompatibile con un'efficace politica di rilancio dell'economia.
In altri termini, ancorché obbligato, il pareggio di bilancio conseguito con queste modalità appariva alla Corte un equilibrio precario. Con un alto livello di entrate e di spese pubbliche - oltre che con un'inflazione in rapida risalita - la compressione del reddito disponibile di famiglie e imprese non può, infatti, non generare una caduta dei consumi e degli investimenti.
Il quadro quantitativo macroeconomico e di finanza pubblica, esposto nella Nota di aggiornamento del DEF 2012, costituisce il riscontro più puntuale delle affermazioni e delle preoccupazioni finora prospettate.
La Nota si apre con l'illustrazione del grave deterioramento, rispetto alle stime dello scorso aprile, dello scenario macroeconomico mondiale.
Nel caso dell'Italia, si sommano due fattori negativi: al rallentamento della domanda internazionale, frenata dai problemi di gestione dei debiti sovrani, si accompagna la caduta del prodotto imputabile proprio alle misure di consolidamento fiscale. E ciò a causa di una manovra di bilancio che, nel breve periodo, trasmette impulsi restrittivi su una domanda interna già avvitata in una spirale depressiva. Secondo gli stessi parametri offerti dai documenti governativi, le correzioni attuate a partire dal luglio 2011 determinerebbero una riduzione cumulata del PIL pari a due punti e mezzo nel triennio 2012-2014. Anche a motivo di questo effetto, la Nota di aggiornamento valuta che, nel biennio 2012-2013, il tasso di crescita del PIL potenziale sia divenuto negativo, per collocarsi sul modesto valore dello 0,2 per cento nel 2015. L'incremento che, nel corso dei prossimi anni, dovrebbe derivare dalle riforme strutturali non sarebbe


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pertanto sufficiente neanche a riportare all'uno per cento le variazioni del prodotto potenziale.
Per il 2012 la flessione del PIL è stimata al 2,4 per cento (1,2 nel DEF di aprile), ma sorprende, soprattutto, la diminuzione dell'uno per cento del prodotto anche in termini nominali; un risultato eccezionalmente negativo che storicamente si era verificato solo nel 2009, l'anno centrale della «grande recessione». Per il 2013, il prodotto lordo segnerebbe ancora una flessione in termini reali (-0,2 per cento) e un aumento nominale di poco superiore all'uno per cento. Un dato, peraltro, ancora superiore al «Consenso» degli istituti di previsione indipendenti, che quantificano la contrazione del prossimo anno al di sopra dello 0,5 per cento.
È significativo notare che la revisione peggiorativa per il biennio 2012-2013 si accompagna a un'invarianza delle stime per il 2014-2015. Ciò significa che, alla luce delle informazioni disponibili, il Governo non ritiene che all'approfondimento della recessione possa seguire un rimbalzo congiunturale. In altre parole, la perdita subita nel 2012-2013 sarebbe di natura permanente.
Solo una quota ridotta del deterioramento delle prospettive di crescita può essere fatta risalire al meno favorevole ciclo internazionale. Secondo gli stessi parametri offerti dal documento governativo, quasi due terzi della riduzione del PIL nel 2013 devono essere imputati alle dimensioni e alla composizione della manovra complessiva di finanza pubblica attuata a partire dall'estate 2011.
Si è, insomma, di fronte a evoluzioni contraddittorie: si realizzano risultati importanti nel controllo della finanza pubblica, ma i mercati li riconoscono solo in parte; si continuano a inasprire le manovre correttive, ma l'economia reale non riesce più a sopportarne il peso.
La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore al singolo Paese, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e di solidarietà, e soprattutto se incentrata sull'aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e, in parte, inefficace e che, neppure, offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie.
Questa spirale negativa è ben evidenziata dall'esame della situazione italiana. Ma, più in generale, essa appare proprio la conseguenza di una visione distorta e incompleta delle ragioni della crisi che l'Europa sta attraversando.
Mercati, da un lato, e autorità europee, dall'altro, leggono la crisi e le prospettive dell'euro in modo divergente: le autorità europee, ponendo al centro della strategia economico-finanziaria il rigido controllo delle finanze pubbliche dei Paesi in difficoltà e considerando debito e deficit pubblici la causa principale della crisi dell'euro; i mercati, invece, attribuendo un peso sempre maggiore ai fattori di vulnerabilità di un insieme di Paesi privi di una reale convergenza economica e di una vera unione politica.
Di qui le decisioni in materia di pareggio di bilancio - elevato, come è noto, al rango di prescrizione costituzionale - e di abbattimento del debito pubblico entro sentieri molto raccorciati e, parallelamente, la messa a punto dei nuovi strumenti di intervento - scudo anti-spread e Meccanismo europeo di stabilità -, che dovrebbero spuntare le armi della speculazione finanziaria attraverso l'impiego di risorse di dimensioni adeguate.
Dall'altro lato, è, però, manifesta l'evidenza degli insufficienti risultati di questa strategia.
Il caso dell'Italia è, da questo punto di vista, esemplare, perché consente di verificare come il rigore di bilancio, da solo, non basta, se manca una crescita dell'economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica.
Nel nuovo quadro previsto si approfondisce ulteriormente la perdita di prodotto rispetto ai valori pre-crisi del 2007. In termini reali, il gap raggiungerà i sette punti nel 2013 e si commisurerà a poco meno di cinque punti nel 2015, a fronte dei tre previsti nel DEF dello scorso aprile. Definitivo è ormai l'allontanamento dal percorso tracciato nel primo documento


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programmatico dell'attuale Esecutivo, la relazione al Parlamento dello scorso dicembre, rispetto al quale il DEF aveva, invece, apportato solo marginali correzioni.
Con riferimento ai livelli del PIL nominale, lo scostamento dalle previsioni di inizio legislatura, che già in altre occasioni la Corte ha assunto come indicatore della perdita permanente di prodotto subito dall'economia italiana, supererà nel 2013, secondo le nuove stime, i 270 miliardi (-14,8 per cento).
La revisione del quadro macroeconomico riguarda esclusivamente le componenti della domanda interna. Per quest'anno, la crescita delle esportazioni continua a essere quantificata all'1,2 per cento, come già nel DEF. Una flessione delle importazioni (-6,9 per cento) molto superiore alle precedenti valutazioni determina, al contempo, un contributo positivo delle esportazioni nette di ben 2,3 punti, a fronte dei valori di 0,2 e un punto assunti, rispettivamente, nella relazione al Parlamento e nel DEF. Il contributo negativo della domanda interna sale di contro a 3,6 punti, il doppio di quanto preventivato lo scorso aprile, e quello delle scorte a 0,9 punti, peggiorando di tre volte la quantificazione del DEF. Il deterioramento è ancora più pronunciato se il confronto viene esteso alla relazione al Parlamento, che per le componenti della domanda interna indicava un contributo complessivo di -0,7 punti. Nel complesso, la caduta della domanda interna ha ormai superato quanto registrato nel 2009.
Con riguardo alle singole componenti della domanda interna, peggioramenti vistosi si riscontrano per i consumi delle famiglie, ora stimati in riduzione del 3,3 per cento, e per gli investimenti fissi lordi, con una flessione superiore all'8 per cento. I consumi pubblici, pur in diminuzione (-0,6 per cento), si riducono meno di quanto previsto nei precedenti documenti programmatici (-0,8 per cento).
Nella prospettiva storica, i dati di contabilità nazionale evidenziano come quello in corso sia l'episodio recessivo di massima intensità per i consumi delle famiglie e per le costruzioni: quest'ultima componente è in contrazione da diciannove trimestri consecutivi. I consumi pubblici segnano la decima riduzione trimestrale consecutiva, ma la contrazione fu più intensa, sia nella durata, sia per intensità, nel periodo 1992-1996, quando si realizzò il risanamento della finanza pubblica nella prospettiva dell'adesione alla moneta unica. Per quanto pronunciata, la caduta degli investimenti in macchinari non ha per il momento raggiunto le dimensioni registrate nelle recessioni del 1992-1993 e del 2008-2009.
Nelle dimensioni assolute gli scostamenti tra le stime contenute nel DEF 2012 e quelle della Nota danno la misura della difficile fase che attraversa la finanza pubblica italiana: nel 2013 si registrano minori entrate complessive per oltre 21 miliardi di euro rispetto a quelle previste in aprile. Di questi, poco più di 6,5 miliardi sono riconducibili al superamento, grazie al decreto-legge n. 95 del 2012, dei previsti incrementi dell'IVA - almeno fino al giugno 2013 -, ma la flessione delle imposte dirette (-7,4 miliardi) e dei contributi sociali (-2,3 miliardi) è da imputare a una caduta del PIL molto superiore al previsto.
Il negativo andamento delle entrate è compensato, almeno in parte, da una riduzione della spesa al netto di interessi, inferiore di circa 5 miliardi al livello precedentemente previsto, anche se per oltre 2 miliardi dovuta a un'ulteriore flessione di quella in conto capitale. Per il 2013 risultano, quindi, molto meno favorevoli i risultati sia in termini di avanzo primario, inferiore di oltre 16 miliardi, sia di indebitamento netto, superiore di quasi 17 miliardi. Si conferma il pareggio nel 2013 in termini strutturali, ma con margini molto ridotti.
Nel periodo 2013-2015, l'aumento della spesa per interessi e per prestazioni sociali - in particolare, ammortizzatori sociali e interventi attuativi della riforma del mercato del lavoro - assorbe pressoché tutte le risorse che si dovrebbero liberare attraverso il processo di riduzione dei consumi intermedi e di taglio dei redditi da


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lavoro (blocco dei contratti, criteri più stringenti nel turnover e ricorso alla mobilità), avviato con il provvedimento d'urgenza della scorsa estate.
Il sentiero di riduzione del debito è rispettato, ma grazie a dismissioni per circa 20 miliardi di euro all'anno: una linea di intervento sulla quale il DEF non si soffermava, né tanto meno quantificava. Sul percorso di rientro del debito potrebbe, inoltre, incidere non favorevolmente una crescita degli importi dei debiti delle amministrazioni pubbliche ceduti con clausole pro soluto a istituzioni finanziarie, soprattutto grazie al processo di certificazione previsto nel decreto-legge n. 16 del 2012.
Gli effetti perversi di un corto circuito tra inasprimenti fiscali e crescita economica, indotto dall'urgenza delle misure di correzione - e dal rinvio di interventi strutturali -, emergono più chiaramente ove si confrontino i valori di spese ed entrate indicati nella Nota con i valori a cui si sarebbe dovuto giungere a seguito degli interventi correttivi adottati nel corso dell'ultimo anno. Il confronto evidenzia la presenza di minori entrate per circa 33 miliardi nel 2012, per oltre 41 miliardi nel 2013 e per quasi 44 miliardi nel 2014, in corrispondenza di livelli di prodotto nominale più bassi, rispettivamente, di 58, 83 e 85 miliardi. È evidente che l'approfondimento della recessione ha impedito di conseguire gli obiettivi di entrata, nonostante gli aumenti discrezionali di imposte con cui il Governo ha cercato di compensare la ciclicità del gettito fiscale.
Gli scostamenti sono molto meno pronunciati dal lato della spesa, ma si rilevano comunque maggiori uscite, al netto degli interessi, per oltre 2 miliardi di euro. Anche in questo caso il decadimento del ciclo gioca un ruolo, avendo costretto a incorporare nei quadri programmatici il ricordato aumento delle spese per ammortizzatori sociali.
In linea con le metodologie adottate in sede europea, la Nota provvede a depurare le grandezze di finanza pubblica dagli effetti del ciclo economico, attraverso il calcolo del cosiddetto indebitamento netto strutturale. Ciò permette al Governo di dichiarare il rispetto degli obiettivi programmatici: con un avanzo atteso pari allo 0,2 per cento del PIL nel 2013, il saldo strutturale soddisfa, infatti, le condizioni di pareggio di bilancio, che le procedure europee misurano appunto in termini strutturali e non nominali.
Non dovrebbe, quindi, rivelarsi necessaria una nuova manovra di correzione dei conti pubblici, che l'economia potrebbe difficilmente sostenere.
Va tuttavia sottolineato che, quando indotta da misure di politica economica, la flessione dei livelli di attività assume natura discrezionale, laddove la depurazione dagli effetti ciclici dovrebbe, a rigore, applicarsi solo in presenza di perturbazioni aventi natura esogena e casuale.
Il Governo è impegnato a contrastare le spinte recessive attraverso «una forte azione di sostegno della crescita economica e della produttività». Una strategia che punta a colmare il distacco accumulato negli ultimi vent'anni in termini di innovazione e organizzazione produttiva, adeguando così le condizioni di offerta del sistema economico italiano alle esigenze poste dalla competizione internazionale. Attraverso questo programma di riforme si realizza un fondamentale allineamento alle indicazioni provenienti dalle organizzazioni internazionali, oltre che alle esperienze di successo maturate in molti Paesi. Secondo recenti valutazioni dell'OCSE, le riforme finora implementate potrebbero elevare di mezzo punto il saggio di crescita potenziale dell'economia italiana in un arco di tempo di dieci anni.
L'azione di governo apre, dunque, fondamentali prospettive di recupero per l'economia italiana. Cionondimeno, non può non rilevarsi come i risultati attribuiti al programma di riforme abbiano una dimensione insufficiente a colmare il vuoto di domanda apertosi a partire dal 2007. Oltre ai dati già richiamati, è necessario a tal riguardo sottolineare che siamo in presenza di un ridimensionamento della domanda aggregata, che a metà 2012 aveva raggiunto queste cifre: -19 per cento per gli investimenti in macchinari;


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-23 per cento per le costruzioni; -4 per cento per i consumi delle famiglie; -6,7 per cento per le esportazioni. Sono valori fortemente negativi e presumibilmente destinati a peggiorare nella seconda parte dell'anno e nei primi mesi del 2013.
Necessario è dunque rafforzare la strategia per la crescita, affidando a essa obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati. Gli interventi per la crescita sono solo in parte riforme senza spesa e sicuramente richiedono che si apra una prospettiva di riduzione della pressione fiscale. Ma ciò non può avvenire attraverso un allentamento - che non ci è consentito - del percorso di riequilibrio dei conti pubblici avviato. Vi è semmai la necessità di muovere con ancora maggiore determinazione in direzione di un'attenta selezione della spesa, accelerando sul fronte della semplificazione del quadro amministrativo (unioni di comuni, province e regioni), incidendo sulle strutture di rappresentanza ma anche sulle sovrapposizioni di competenze ancora esistenti; portando a termine un processo volto a individuare le aree di spesa che è opportuno dismettere superando logiche meramente difensive e garantendo il coordinamento delle strutture destinate alla tutela dei diritti fondamentali, per destinare le risorse oggi disperse in incomprensibili duplicazioni a un miglioramento della qualità del servizio. Una revisione dei confini dell'intervento pubblico, infine, richiede un'attenta riconsiderazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici e dei meccanismi per la selezione degli accessi agli stessi. Solo in tal modo sarà possibile attenuare gli effetti negativi di un inevitabile restringimento delle tutele garantite dal settore pubblico. È determinante pertanto l'opera di revisione dei sistemi di valutazione delle condizioni economiche a cui sta lavorando il Governo. Un processo che tuttavia richiede l'approntamento di un adeguato sistema di controlli e di sanzioni.
La Nota di aggiornamento non fornisce un nuovo quadro degli andamenti previsti per i conti delle amministrazioni locali. Sono tuttavia possibili alcune riflessioni sul contributo richiesto a questi enti, partendo dal quadro tendenziale contenuto nel DEF 2012 e tenendo conto delle misure correttive introdotte con il decreto-legge n. 95 del 2012, di cui la Nota fornisce una scomposizione per livelli di governo.
Va sottolineato come le misure assunte con la spending review disegnino un quadro tendenziale particolarmente severo per le amministrazioni locali. Tra il 2011 e il 2013 la spesa al netto degli interessi dovrebbe contrarsi in termini nominali di oltre il 5,2 per cento, per riprendere solo nel 2015, con una crescita in linea con il PIL nominale. Ancora più severo è il risultato se si guarda la spesa delle amministrazioni locali al netto di quella sanitaria. In questo caso la flessione supera il 10 per cento nel quadriennio, oltre il 10,5 per cento nel solo biennio iniziale. Una contrazione che, pur in un contesto di crescita pressoché nulla, determinerà una flessione della spesa, in termini di PIL, dall'8 per cento al 7 per cento.
Al processo di revisione della spesa dovranno pertanto accompagnarsi procedimenti e strumenti di verifica che consentano non solo un ridimensionamento delle spese di funzionamento, ma, soprattutto, la conformità a precostituiti parametri normativi, così da evitare che i tagli si concentrino, come nel recente passato, solo sugli investimenti pubblici e sui livelli dei servizi resi ai cittadini. Come la Corte ha già avuto modo di osservare, il forte impegno per il riassorbimento degli eccessi di spesa deve essere, quindi, affiancato anche da meccanismi che rendano gestibili gli squilibri che possono insorgere per un aggiustamento dei conti accelerato. Per esempio, prevedendo forme di rientro su un arco pluriennale, così da evitare, ove non ve ne sia la necessità, il ricorso al dissesto.
Particolare attenzione dovrà essere posta, poi, alla previsione di meccanismi incentivanti e sanzionatori per la gestione delle partecipazioni azionarie in società degli enti locali in crisi. Ciò per facilitare, da un lato, la gestione di eventuali esuberi occupazionali e, dall'altro, i processi di


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dismissione, evitando che questi si traducano in svendite del patrimonio pubblico.
Se sul fronte della spesa sanitaria le misure di contenimento si sono accompagnate a interventi mirati, che hanno rafforzato la strumentazione disponibile - manca ancora, tuttavia, un quadro complessivo, il nuovo patto della salute, entro cui ridisegnare i confini dell'offerta pubblica -, sul fronte degli enti territoriali il ritardo nel processo di definizione di valori di riferimento rischia di indebolire il legame tra tagli ed eccessi di spesa, rendendo la distribuzione dei sacrifici poco aderente alle effettive possibilità di riassorbimento degli squilibri strutturali. Ciò mentre manca un riferimento certo dei margini entro cui ridisegnare le caratteristiche e i compiti propri ed economicamente sostenibili dell'intervento pubblico.
A tali incertezze, che rischiano di indebolire la realizzabilità delle stesse misure di risparmio fiscale, si aggiungono poi quelle dovute all'intervento della Corte costituzionale, che ha censurato, con una recente sentenza, la scelta adottata con il decreto-legge n. 98 del 2011 di prevedere un concorso degli enti al patto di stabilità - attraverso il taglio dei trasferimenti e vincoli ai saldi - senza limiti temporali, contravvenendo in questo modo alla straordinarietà del contributo richiesto. La sentenza circoscrive al 2014 l'operare dei tagli dei trasferimenti, per 8.500 milioni, e dei miglioramenti dei saldi, per 6.400 milioni. La censura di disposizioni che si ritrovano anche in provvedimenti più recenti produrrà effetti che non sembrano recepiti nel nuovo quadro tendenziale esposto nella Nota di aggiornamento.
L'individuazione di modalità alternative di copertura delle misure censurate costituisce un ulteriore elemento di un quadro per molti aspetti ancora fragile e complesso.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Giampaolino.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO SIMONETTI. Ringrazio il presidente Giampaolino per la puntualità della sua relazione, che giudico positiva, in quanto corrispondente alla nostra visione.
Vorrei porle una domanda con riferimento al dato di implementazione del PIL, in funzione di maggiori investimenti da parte degli enti locali che lei ha evidenziato nella sua relazione. La delibera CIPE n. 32 del 2010 finanziava interventi di messa in sicurezza delle scuole, assegnando agli enti locali 358 milioni di euro e i comuni stanno compiendo questi lavori. Si tratta di somme regolate con modalità temporali compatibili con i vincoli della finanza pubblica e con l'utilizzo delle risorse FAS. I comuni non hanno ancora ricevuto i fondi di questa delibera del 2010. Vorrei sapere se sia possibile ottenere il finanziamento in data differita e se i comuni debbano rispettare il Patto di stabilità interno alla data attuale o al 2010.
Sempre con riferimento al rigore applicato agli enti locali, la mancata proroga del termine per deliberare l'assestamento ha fatto sì che molti comuni hanno approvato l'assestamento, molti non l'hanno fatto, alcuni si sono fermati al bilancio preventivo, per altri è stato spostato quest'ultimo al 31 ottobre. C'è, insomma, molta confusione in merito ai bilanci degli enti locali per l'annualità 2012. Questo può creare difficoltà al rigore che, giustamente, viene richiesto anche dalla vostra relazione?

ENRICO MORANDO. Signor presidente, prima di tutto vorrei porre una domanda puntuale. Nella sua relazione lei ipotizza - a mio giudizio fondatamente - che sul versante della riduzione del volume del debito possa avere un'incidenza negativa il ricorso alla clausola del pro soluto per il superamento della situazione dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. Questo significa che avete delle evidenze contabili circa il fatto che a questo meccanismo, effettivamente, in questo momento si possa ricorrere con efficacia?


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Si sta rischiando una situazione paradossale: da una parte, lei guarda alle evidenze contabili e vede il peggioramento dei conti; dall'altra parte, quando si partecipa a un'assemblea di imprese, ci si sente dire subito che il decreto-legge che abbiamo approvato - quello a cui lei ha fatto riferimento - non è efficace, manca l'attuazione, non si riescono a fare le cessioni pro soluto e via dicendo. Delle due l'una: se c'è un peggioramento dei conti bisogna che sia in corso un pagamento, oppure no; insomma, che si verifichino entrambe le situazioni è difficile.
Ora, è implicito che il mio desiderio è che lei risponda che il peggioramento del debito è dovuto al fatto che stiamo pagando: sarebbe una buona notizia per le imprese, al di là degli effetti sul debito.
Debbo francamente manifestare la mia perplessità sull'osservazione con la quale lei giustamente afferma che abbiamo una valutazione dei risultati in termini strutturali - quella che ci vede impegnati in sede europea -, che il peggioramento nominale è forte e determinato da un peggioramento del ciclo rispetto alle previsioni e che, quindi, l'obiettivo di pareggio strutturale è conseguibile in un contesto di peggioramento dei dati in termini nominali. Poi, aggiunge che «la depurazione dagli effetti ciclici dovrebbe, a rigore, applicarsi solo in presenza di perturbazioni aventi natura esogena e casuale». Sul termine «casuale» sono d'accordo. Purtroppo, qui, tra le motivazioni del peggioramento della nostra situazione economica certamente non ci sono fattori casuali. Sul fatto, però, che non ci sia una pesantissima influenza di fattori esogeni, francamente, non sono d'accordo. La Banca centrale europea - per citare l'ultimo esempio - nel motivare la scelta, che lei giustamente valorizza, di intervenire senza limiti sul mercato secondario, sui titoli a breve in funzione del superamento di quella che chiamiamo la crisi dello spread, ha affermato - in modo implicito prima, esplicito poi - di ritenere che nel trasferimento della politica monetaria dalle scelte della Banca centrale ai singoli sistemi economici ci siano sistemi economici che pagano, non per colpa loro, un tasso di interesse almeno di 200 punti base, quindi di due punti percentuali, più elevato rispetto a quello che si meriterebbero.
Non c'è dubbio che nell'andamento del nostro prodotto interno lordo il costo del denaro, così clamorosamente più alto rispetto a quello dei nostri competitori in sede europea, pesa enormemente. Questo è un fattore esogeno, non casuale, e nemmeno derivante dal nostro Paese.

AMEDEO CICCANTI. Il problema, che si è posto anche il presidente del CNEL, è che la maggiore pressione fiscale ha creato una maggiore depressione. Del resto, in questo modo esordisce, con molta onestà intellettuale, la Nota di aggiornamento del DEF.
Secondo lei, il livello di pressione fiscale ha agito sulla depressione perché quantitativamente alto o perché in qualche modo iniquo? Si può ritenere che il livello del prelievo sia alto ma mal distribuito e che, se fosse stato meglio distribuito, non avrebbe probabilmente creato depressione?
Inoltre, la depressione deriva solo dal prelievo così alto e così mal distribuito - come penso io - oppure dal fatto che al nostro Paese mancano i fondamentali della competitività? Lei, infatti, nella sua relazione, ha individuato una dicotomia tra il comportamento delle autorità europee e quello dei mercati. Probabilmente, i mercati puniscono la mancanza di livelli elevati di competitività.

GIOVANNI LEGNINI. A proposito del punto centrale della relazione, il problema del corto circuito tra rigore e crescita, o mancata crescita - descritto in modo abbastanza netto e, mi permetto di aggiungere, preoccupante - vorrei che il presidente Giampaolino, se possibile, ci chiarisse un punto. Posto che per attenuare questo corto circuito non possiamo certamente aumentare la pressione fiscale che, anzi, va diminuita per le ragioni che conosciamo; posto che non è più possibile fare spese in deficit; posto che gli effetti delle riforme strutturali, approvate o in


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itinere, vengono definiti dalla Corte come molto diluiti nel tempo e di difficile quantificazione immediata, l'unica via - che peraltro il Governo sta perseguendo - per rendere più stabile il quadro della finanza pubblica e attenuare questo corto circuito è quella dell'ulteriore riduzione della spesa attraverso le riforme, finalizzandole possibilmente all'abbassamento della pressione fiscale.
Considerando che per diverse delle riforme in corso (quella delle province, delle circoscrizioni giudiziarie o l'annunciato intervento sulle regioni) gli effetti di risparmio sono o sembrano in larga parte già incorporati nelle previsioni di finanza pubblica - le province, come sappiamo, con il decreto sulla spending review hanno avuto una riduzione di risorse molto consistente che, a mio modo di vedere, difficilmente potranno essere aumentate anche quando le stesse province saranno dimezzate - quali ulteriori margini di intervento abbiamo?
Quali indicazioni la Corte ritiene di poter dare al Parlamento in merito ad altri centri di spesa aggredibili? A questo punto, i margini d'azione sembrano molto ristretti, come appare anche dalle ultime indicazioni relative, ad esempio, al comparto dei governi territoriali.

ROLANDO NANNICINI. Dal 2012 al 2013 avremo il passaggio del limite annuale degli interessi per le spese in conto capitale degli enti locali dall'8 per cento al 6 per cento, che si riduce al 4 per cento nel 2014, con un ulteriore restringimento della possibilità di investimento degli enti locali.
Avendo un Patto di stabilità interno misto che colpisce anche le spese correnti, non crede che si debba suggerire al Governo che questa norma è ormai superata e si deve ritornare nei limiti dell'articolo 204, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000 sull'organizzazione della finanza locale? Si dice sempre che manca la domanda, mancano gli investimenti, ma non vediamo i meccanismi che tutti i giorni mettiamo in moto nei confronti della possibilità di investimento. La possibilità di investimento peggiora, poiché nel 2013 si passerà dall'8 per cento al 6 per cento (e nel 2014 al 4 per cento) - nel computo degli interessi - dei primi tre titoli delle entrate. Mi scuso se la domanda è troppo specifica, ma potrebbe essere lo spunto per un suggerimento.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Vorrei pregare il collega Flaccadoro di rispondere alle domande dell'onorevole Simonetti, che riguardano sostanzialmente gli enti territoriali e la delibera CIPE n. 32 del 2010.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. L'onorevole Simonetti presenta sempre domande molto puntuali. In merito al primo quesito, credo che, a meno di modifiche del Patto di stabilità interno, i circa 300 milioni di euro non potranno essere «tirati fuori» dal Patto di stabilità interno per il 2012, non essendo prevista una deroga al Patto stesso. Ahimè, non mi sembra che fossero previsti né lo slittamento del pagamento né la considerazione degli stessi pagamenti tra le fonti, a meno che non siano una fonte d'entrata che viene contabilizzata dall'ente nel 2012. In quanto tale, la corrispondenza come entrata valida sul 2012 annulla gli effetti sul Patto; diversamente, la non corrispondenza fa sì che l'entrata sia già stata scontata nell'esercizio 2010, mentre la spesa rimane in questo momento bloccata da questa non corrispondenza tra entrate e spese.
In merito al bilancio degli enti locali, anche sulla base della nostra attività, non posso che associarmi al fatto che questa paradossale presentazione del bilancio di previsione, a esaurimento dell'esercizio, genera una serie di problemi, anche - ultimo, ma non ultimo - in termini di controlli. La stessa Corte ha difficoltà a rendere un servizio di controllo sui bilanci preventivi, reso a questo punto impossibile dalla corrispondenza del bilancio preventivo con la fine dell'esercizio. Il bilancio


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preventivo è un punto fondamentale del controllo, proprio perché questo vuole essere non interdittivo, ma collaborativo in modo da indicare eventuali deviazioni rispetto agli obiettivi degli enti locali.
Se posso permettermi, vorrei rispondere anche al senatore Morando in merito all'incidenza negativa che potrebbe derivare da ulteriori riconoscimenti di debito. Il problema che cercavamo di mettere in evidenza era che lo slittamento in avanti di questi riconoscimenti e l'emersione, nei prossimi anni, ci potrebbero creare ulteriori difficoltà qualora dovessimo vedere emergere, in un secondo momento, questi debiti per l'avvio delle procedure di riconoscimento e quindi di sconto pro soluto. Vi era, sottostante, una sorta di indicazione nella direzione di accelerare per evitare che, in futuro, questo «sisma» lento di emersione incida sul rispetto delle regole di riduzione del debito negli anni successivi.
Credo - è la nostra sensazione, non ci sono ancora dati - che l'accordo con l'ABI e le difficoltà del sistema bancario abbiano in qualche modo dato un tetto a questo tipo di riconoscimento e certificazione, limitando notevolmente il numero delle operazioni e la dimensione, in questo primo anno dalla firma dell'accordo, che mi sembra prevedesse nel complesso 10 miliardi di euro di cessioni pro soluto. La nostra preoccupazione era quella di veder emergere negli anni successivi un fenomeno, come una slavina, che continua ad alzare il tetto senza che si possa affrontare efficacemente.

MAURIZIO PALA, Consigliere della Corte dei conti. Per quanto riguarda l'altra questione posta dal senatore Morando, chiarisco che avevamo semplicemente abbozzato un'osservazione: nel complesso dell'impostazione di questa audizione sembra agevole mettere in evidenza che il pareggio nominale di bilancio non si raggiunge nei tempi programmati. Questo soprattutto perché la scelta, in gran parte obbligata nel breve termine, di ricorrere ad aumenti di imposte piuttosto che a tagli di spesa, come abbiamo visto, divora se stessa, nel senso che più della metà della manovra correttiva viene sostanzialmente vanificata, e questo produce contemporaneamente una caduta del PIL. Ora, l'effetto negativo di questa scelta - ripeto, in gran parte obbligata dalla brevità del tempo a disposizione - è ben evidente per quello che riguarda l'effetto depressivo interno, quindi se vi fossero tempi più ampi e la possibilità di una meditazione maggiore si ricorrerebbe certamente, come la teoria economica insegna, a tagli di spesa che avrebbero certamente effetti recessivi molto minori. Invece, nella metodologia di depurazione del disavanzo - peraltro non ancora definita pienamente, perché si parla anche di metodologie di depurazione da commisurare esattamente alla situazione del singolo Paese - sembrerebbe quasi che il pareggio strutturale si possa raggiungere quale che sia la dimensione del disavanzo nominale, anche se questo fosse in gran parte determinato - come succede - dalla scelta discrezionale di un certo tipo di manovra, piuttosto che di un altro.
Si tratta di qualcosa di diverso rispetto alla depurazione che avviene, per esempio, in relazione al peggioramento del ciclo internazionale o all'aumento dei tassi di interesse non controllabile.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Questa risposta copre anche la domanda dell'onorevole Ciccanti e quella relativa al cosiddetto corto circuito.
Onorevole Nannicini, sul 2010 valgono le considerazioni adesso fatte dal collega Pala.

ROLANDO NANNICINI. Essendo in un Patto di stabilità interno misto, il limite dell'8 per cento sulla percentuale delle entrate correnti per interessi per sostenere nuovi mutui, nel 2013 passerà al 6 per cento e nel 2014 al 4 per cento. La domanda è secca: lei condivide questo metodo? Se il Patto è misto perché si deve ricorrere ancora a un altro lacciuolo nei confronti degli enti locali?


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ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Mi sembra di aver capito che lei fa riferimento al livello della spesa per interessi sostenibile.

ROLANDO NANNICINI. All'articolo 204 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. All'inizio, questo restringimento non pesava molto, perché i tassi d'interesse erano abbastanza bassi, mentre adesso rischia di essere stringente. Diciamo che negli ultimi anni il fatto di aver posto degli obiettivi di saldi positivi ha in qualche maniera tenuto fermo l'indebitamento degli enti territoriali, quindi, sinceramente, non so valutare se questo genererà una stringenza sull'intero sistema o si tradurrà invece in una stringenza particolare su alcuni enti. Temo si tratti di questa seconda ipotesi, proprio perché in questi anni l'indebitamento degli enti locali si sta riducendo.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,05.

V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione)

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