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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
35.
Martedì 19 aprile 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del direttore dell'Agenzia delle entrate su problematiche in materia tributaria afferenti alla competenza dell'Agenzia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 11 19 27 30 32
Befera Attilio, Direttore dell'Agenzia delle entrate ... 3 17 27 29 30 32
Betunio Arturo, Direttore centrale normativa dell'Agenzia delle entrate ... 11 30
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 24
Fluvi Alberto (PD) ... 22 29
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 20 31
Fugatti Maurizio (LNP) ... 24
Leo Maurizio (PdL) ... 27
Pagano Alessandro (PdL) ... 25
Ventucci Cosimo (PdL) ... 21

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore dell'Agenzia delle entrate ... 33
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 19 aprile 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore dell'Agenzia delle entrate su problematiche in materia tributaria afferenti alla competenza dell'Agenzia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del direttore dell'Agenzia delle entrate su problematiche in materia tributaria afferenti alla competenza dell'Agenzia.
Insieme al dottor Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate, sono presenti anche il dottor Marco Di Capua, direttore centrale amministrazione, pianificazione e controllo e vicario del direttore, il dottor Arturo Betunio, direttore normativa, il dottor Renato Raffaele Vicario, direttore generale di Equitalia, e la dottoressa Antonella Gorret, responsabile del settore comunicazione.
La Commissione ha competenza sulle questioni concernenti le imposte, ma ci interessa anche conoscere lo stato complessivo dell'Agenzia delle entrate e della società di riscossione Equitalia.
Do la parola al dottor Befera per lo svolgimento della relazione.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Ringrazio il presidente e tutti i deputati della Commissione Finanze per l'opportunità che mi viene offerta di intervenire per illustrare l'andamento e le prospettive dell'attività di recupero dell'evasione, nonché del sistema della riscossione nazionale.
Nel corso del 2010 l'attività di recupero dell'evasione si è ulteriormente rafforzata rispetto ai periodi precedenti. Sono state, infatti, recuperate entrate erariali e non erariali per circa 10,6 miliardi di euro, un 16 per cento in più rispetto ai 9,1 miliardi recuperati nel 2009.
Ovviamente ciò è avvenuto a seguito dell'attività di accertamento per tutti i settori impositivi, per l'attività di controllo formale delle dichiarazioni, ai sensi dell'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi, e per le attività di controllo formale degli atti e delle dichiarazioni sottoposte a registrazione, nonché di controllo automatizzato delle dichiarazioni, ai sensi dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 e dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in materia di IVA. A tali somme vanno aggiunti circa 480 milioni di euro derivanti da riscossione relativa a interessi di mora e a maggiori rateazioni.
In questo modo il consuntivo finale delle somme sottratte all'evasione, comprensive dei suddetti interessi e ricondotte nella disponibilità dei fondi pubblici, supera nel 2010 gli 11 miliardi di euro. A questo risultato devono, inoltre, aggiungersi risparmi per ulteriori 6,6 miliardi di


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euro, derivanti sia da una più incisiva azione di controllo sui crediti di imposta utilizzati in compensazione, sia dai controlli preventivi normativamente previsti al momento dell'utilizzo dei crediti per compensare i debiti di imposta.
Occorre sottolineare l'andamento positivo dei complessivi versamenti diretti, ossia quelli effettuati non attraverso il ruolo, per 6,6 miliardi nel 2010, a fronte di 5,6 miliardi nel 2009, e anche delle riscossioni da ruolo, come si evince dal prospetto che è stato consegnato alla Commissione.
In particolare, le riscossioni conseguite sono così costituite: per le somme riscosse relative a imposte erariali e non erariali - per queste ultime intendo IRAP e addizionali - derivanti da attività di accertamento e controllo formale, il risultato conseguito nel periodo esaminato è pari a 6,3 miliardi di euro; la componente dei versamenti diretti è di 4,6 miliardi e quella dei ruoli di 1,7 miliardi.
I controlli derivanti, invece, dal controllo automatizzato delle dichiarazioni, nonché le somme riscosse in materia di registro e di altre imposte hanno dato un risultato di 4,3 miliardi: la componente dei versamenti diretti è di 2 miliardi e quella dei ruoli di 2,3 miliardi.
In continuità con le strategie adottate già a partire dal 2009, i risultati realizzati in esercizio nel 2010 sono dipesi anche dalla valenza strategica attribuita all'analisi e alla valutazione del rischio di evasione ed elusione, tarata sulle peculiarità locali ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a controllo e riferita a ciascuna macrotipologia dei contribuenti: grandi contribuenti, imprese di medie dimensioni, piccole imprese e soggetti esercenti arti e professioni, nonché enti non commerciali.
Per ciascuna macrotipologia di contribuente sono state realizzate specifiche attività operative. Per i grandi contribuenti il piano di attività del 2010 si è articolato su tre direttrici principali: tutoraggio, attività istruttoria esterna e accertamento.
Il tutoraggio, previsto dall'articolo 27, commi 9 e 14, del decreto-legge n. 185 del 2008, ha riguardato nel 2010 le imprese con un volume d'affari o di ricavi non inferiore a 200 milioni di euro, tenuto anche conto dei criteri definiti con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 2009. Nel 2009 veniva considerata grande impresa quella con un volume d'affari superiore a 300 milioni; tale margine sarà progressivamente esteso fino a interessare a regime tutte le imprese con volume d'affari o di ricavi non inferiore a 100 milioni di euro.
Nello specifico, il tutoraggio si sostanzia in un'attività di monitoraggio dei comportamenti fiscali posti in essere dai grandi contribuenti, attraverso l'utilizzo di approcci differenziati in funzione delle caratteristiche specifiche di ognuno di loro. Il tutoraggio consente un miglioramento dell'interlocuzione tra amministrazione finanziaria e contribuente, ai fini di un progressivo innalzamento del grado di adempimento spontaneo. Nel corso dell'esercizio 2010 sono stati complessivamente sottoposti a tutoraggio 1.643 soggetti, a fronte di 996 del 2009.
Con riferimento ai grandi contribuenti con volume d'affari superiore a 100 milioni, sono state realizzate oltre 500 attività istruttorie esterne, tra verifiche e controlli mirati. Si tratta di controlli sostanziali su soggetti a rischio di evasione ed elusione, effettuati dall'Agenzia delle entrate al fine di reperire base imponibile non dichiarata direttamente nel luogo dove gli stessi svolgono la loro attività. Gli accertamenti eseguiti nei confronti dei grandi contribuenti sono stati 2.600, determinando una maggiore imposta accertata di 5,5 miliardi di euro.
Il segmento delle imprese di media dimensione è stato oggetto di una significativa intensificazione dei controlli, sulla base di alcune analisi di rischio. Nel corso dell'anno sono state realizzate, nell'ambito di questa tipologia di contribuenti, più di 3.000 attività istruttorie esterne, con 325 milioni di maggiore imposta IVA constatata e 3,5 miliardi di imponibili constatati, nonché 15.500 accertamenti, che hanno determinato oltre 6 miliardi di euro di maggiore imposta accertata.


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Nel conseguimento dell'obiettivo si evidenzia che la riorganizzazione ultimata nel 2010 ha avuto un ruolo significativo. L'attività è stata seguita da una specifica articolazione delle nuove direzioni provinciali, destinata proprio al controllo di questa tipologia di contribuenti.
Nell'ambito dell'attività di controllo nei confronti delle imprese di minore dimensione e dei professionisti, è stata garantita, a livello locale, anche nel 2010, un'adeguata strategia di prevenzione e di contrasto dell'evasione dei soggetti cui si applicano gli studi di settore, le cui risultanze, in quanto consentono analisi di rischio specifiche, rappresentano un efficace strumento di orientamento ai fini dell'individuazione delle posizioni soggettive da sottoporre a controllo.
Nel corso del 2010 sono stati eseguiti circa 139.600 accertamenti nei confronti di esercenti attività di impresa, arti e professioni, che hanno dichiarato per il periodo di imposta accertato un codice di attività cui risulta associato uno studio di settore. In particolare, sono stati eseguiti circa 30.000 accertamenti nei confronti di soggetti non congrui sulla base delle risultanze degli studi di settore, completando tali risultati con ulteriori elementi reperiti nella fase di istruttoria: per gli imprenditori individuali e per i professionisti, per esempio, si tratta degli elementi di capacità contributiva esplicitati già nell'invito al contraddittorio, anche allo scopo di favorire l'eventuale definizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del decreto n. 218 del 1997.
Per quanto riguarda gli enti non commerciali, i controlli sono stati focalizzati su abusi relativi all'indebito utilizzo delle agevolazioni riservate a questa particolare categoria di soggetti, con il duplice obiettivo di recuperare l'evasione pregressa e di escludere dalla platea degli enti non commerciali tutti i soggetti privi dei requisiti di appartenenza previsti. Nel 2010 sono state eseguite 957 verifiche, che hanno portato alla luce 238 milioni di euro di maggiore base imponibile ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP e 28 milioni di euro di maggiore imposta IVA constatata.
Per quanto riguarda i controlli nei confronti di persone fisiche, è proseguita, in linea con le previsioni normative di cui all'articolo 83 del decreto-legge n. 112 del 2008, l'attività di controllo finalizzata alla determinazione sintetica del reddito complessivo. Tale procedimento di accertamento si fonda sulla sussistenza di elementi e circostanze di fatto - per esempio l'acquisto a titolo oneroso di un bene immobile o l'acquisto o possesso di autovetture e di imbarcazioni, la disponibilità di residenze secondarie, gli abbonamenti a circoli esclusivi e via elencando - che fanno presumere una capacità di spesa correlata a esborsi effettivi di somme di denaro e a spese di gestione da confrontare con il reddito imponibile dichiarato.
Questa attività ha rivestito anche per il 2010 una grande valenza strategica, con oltre 30.000 accertamenti effettuati, che hanno dato luogo a oltre 500 milioni di euro di maggiore imposta accertata, dei quali più del 40 per cento sono stati definiti in adesione o in acquiescenza.
Nel complesso, l'attività di accertamento ai fini delle imposte dirette IVA e IRAP ha prodotto, per il periodo di riferimento, oltre 700.000 accertamenti, a fronte dei quali sono emersi complessivamente circa 27,8 miliardi di euro di maggiore imposta accertata, con un incremento del 6 per cento rispetto all'anno precedente. Gli accertamenti assistiti da indagini finanziarie sono stati oltre 9.000, con una maggiore imposta accertata di 860 milioni. Nel corso del 2010, peraltro, sono stati definiti in adesione e/o in acquiescenza più di 3.500 accertamenti assistiti da indagine finanziaria.
Di particolare rilevanza, inoltre, è stato l'utilizzo complessivo degli istituti definitori, rappresentativi della qualità e dell'efficacia dell'azione di accertamento, che ha consentito la riscossione delle somme dovute in tempi più rapidi. In particolare, nel corso del 2010 sono stati definiti per adesione o acquiescenza 254.000 accertamenti, con maggiore imposta definita e, quindi, incassata, di 2,8 miliardi.
Preminente è stata, altresì, l'attività di contrasto ai fenomeni di frode in materia


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di IVA, per la quale si è rafforzata nel corso del 2010 l'azione che ha visto congiuntamente impegnate l'Agenzia delle entrate, la Guardia di finanza e l'Agenzia delle dogane. A livello nazionale e comunitario è sempre più sentita l'esigenza di contrastare il fenomeno delle frodi, soprattutto quelle in materia di IVA, che crea distorsioni nel contesto socioeconomico, in quanto comporta una palese violazione del principio di tassazione equa e trasparente e altera la concorrenza.
Nel 2010 è proseguita la collaborazione con gli altri principali attori della fiscalità, Equitalia, Guardia di finanza, INPS, comuni e altre agenzie fiscali, con il fine di creare un sistema integrato che consenta scambi di informazione e di metodologie, e contribuisca a incrementare nel complesso l'efficacia e l'efficienza dell'azione posta in essere. In questo contesto, si segnala il protocollo di intesa tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'INPS, l'INAIL e l'Agenzia, per lo scambio di dati e informazioni, come pure l'accordo fra l'INAIL e l'Agenzia per la condivisione delle rispettive banche dati.
I risultati complessivi conseguiti da Agenzia delle entrate, INPS ed Equitalia hanno determinato nel 2010 un recupero di oltre 25 miliardi di euro tra imposte, tasse e contributi evasi. Con Equitalia e le società del gruppo che svolgono le funzioni di agente della riscossione è proseguito il consueto coordinamento operativo, che, grazie a una sempre maggiore sinergia, ha anch'esso contribuito a incrementare le riscossioni a mezzo ruolo.
Nell'anno sono poi state stipulate numerose convenzioni tra l'Agenzia e diversi comuni, al fine di collaborare nel delicato campo della partecipazione all'accertamento. Le convenzioni prevedono in linea generale che l'Agenzia e il singolo comune contraente mettano reciprocamente a disposizione il rispettivo patrimonio di conoscenze.
Analoghe forme di coordinamento sono state adottate con riguardo alla cooperazione internazionale, soprattutto con i Paesi a fiscalità ordinaria, che garantiscono un appropriato scambio di informazione e sono caratterizzati da un livello di tassazione adeguato, con l'obiettivo congiunto di neutralizzare le operazioni tendenti a beneficiare dei vantaggi assicurati dai cosiddetti paradisi fiscali, ovvero i Paesi con bassa o nulla imposizione fiscale. Tali iniziative si inseriscono, peraltro, in un contesto più ampio, come conferma l'accelerazione impressa dall'OCSE alla campagna contro i centri offshore.
L'ampio ricorso all'utilizzo degli istituti definitori è proseguito parallelamente alla consueta, attenta gestione del contenzioso tributario, rivolta al costante miglioramento degli esiti delle controversie derivanti dall'attività di controllo e, più in generale, di quelle di notevole valore economico, o di quelle in cui sono state sollevate questioni di diritto di maggiore rilevanza.
Una significativa novità nel 2010 è rappresentata dalla classificazione delle controversie tributarie in base a un rating di sostenibilità della pretesa, che ha la funzione di orientare le scelte relative alla prosecuzione o meno del giudizio ovvero alla proposizione del tentativo di conciliazione giudiziaria. L'obiettivo è quello di ottimizzare la gestione e la proficuità del contenzioso, assicurando nel contempo il necessario presidio sul campo, come testimonia il fatto che nel 2010 gli uffici dell'Agenzia si sono costituiti in giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali rispettivamente nel 99,1 e nel 97,8 dei casi, partecipando alle pubbliche udienze nel 99,2 delle trattazioni.
L'attività, per quanto riguarda il 2011, sarà caratterizzata dal consolidamento dei risultati raggiunti nel 2010 e, qualora possibile, dal loro miglioramento, con l'obiettivo di incrementarne ulteriormente la qualità e la capacità dissuasiva, attraverso la selezione mirata dei soggetti da sottoporre a controllo sulla base delle analisi di rischio effettuate per ciascuna tipologia di contribuenti. Tale obiettivo potrà essere conseguito anche grazie alle recenti previsioni normative introdotte dal decreto-legge n. 78 del 2010, tra le quali mi permetto di ricordare il potenziamento


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della partecipazione dei comuni alle attività di accertamento fiscale e contributivo mediante segnalazione di elementi utili all'Agenzia delle entrate, alla Guardia di finanza e all'INPS, e il potenziamento dell'accertamento sintetico. In quest'ottica, sarà posta la massima attenzione nella ricerca di elementi di spesa e di investimento indicativi di capacità contributiva, al fine di intercettare i contribuenti per i quali gli esborsi non sono compatibili con quanto dichiarato.
Altri elementi sono: il presidio delle imprese che presentano per più di un esercizio dichiarazioni in perdita fiscale e dei soggetti che hanno indicato un credito IVA in dichiarazione; un adeguato impegno per la realizzazione del piano di accertamenti nei confronti di imprese di medie dimensioni, sulla base di specifiche analisi di rischio; una maggiore efficacia dei controlli di massa automatizzati, la cui elaborazione, a valle di opportuni criteri selettivi sulla base di programmi operativi definiti centralmente, è stata ora in parte concentrata presso il centro operativo di Pescara; l'introduzione di significative novità ai fini della riscossione, in forza delle quali gli accertamenti sulle imposte sui redditi e sull'IVA dovranno contenere anche l'intimazione al pagamento degli importi in essi indicati entro il termine per la presentazione del ricorso.
Tali atti diverranno esecutivi decorsi 60 giorni dalla notifica. In caso di mancato pagamento, entro 30 giorni dalla scadenza si potrà avviare la procedura di riscossione coattiva. Ancora, si prevede un ulteriore rafforzamento del controllo delle compensazioni.
Altre azioni riguarderanno la prosecuzione dell'attività nei confronti degli enti non commerciali, nonché di contrasto dei fenomeni fraudolenti, in particolare in materia di IVA nazionale e comunitaria, anche mediante la definizione di specifici piani operativi e di metodologie di prevenzione e contrasto.
Per quanto riguarda il sistema della riscossione, alla data del 1o ottobre 2006 il gruppo Equitalia era caratterizzato dalla presenza di una holding, di una società destinata a erogare servizi e di ben 37 società di riscossione sul territorio. Oggi, a seguito di un primo, profondo processo di razionalizzazione e di riassetto societario, il gruppo risulta composto, oltre che dalla holding, dalla società di servizi e da Equitalia Giustizia, che ha una mission particolare, da 16 società agenti della riscossione.
Il 17 novembre del 2010 è stato approvato un ulteriore piano di riassetto societario e organizzativo del gruppo, da completarsi entro il giugno del 2012, finalizzato ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di riscossione previsti per il prossimo triennio, soddisfacendo, al contempo, le esigenze territoriali, in coerenza con l'evoluzione del quadro normativo in materia di federalismo fiscale e l'uniformità nelle azioni gestionali sul territorio.
A garanzia delle esigenze di presidio e di razionale gestione delle risorse, il modello societario approvato nel piano di assetto prevede una suddivisione del territorio in sole tre macroaree geografiche. A tal fine sono state costituite tre nuove società, Equitalia Nord, Equitalia Centro ed Equitalia Sud, che progressivamente incorporeranno per aree geografiche di competenza le attuali società e rami di esercizio, realizzando presìdi territoriali a livello regionale, in aggiunta a quelli già esistenti su base provinciale, attraverso la costituzione di corrispondenti strutture organizzative interne.
Le performance realizzate da Equitalia nella fase del recupero coattivo sono particolarmente significative. Si passa dai 3,8 miliardi di euro riscossi nel 2005, ante riforma, agli 8,876 miliardi di euro incamerati nel 2010, con un incremento di oltre il 130 per cento. Circa il 20 per cento di tali importi deriva dal lavoro svolto sulle cosiddette morosità rilevanti, ossia sulle posizioni di debito superiori a 500.000 euro, per le quali fin dall'inizio dell'operatività del gruppo sono state apprestate strutture dedicate.
L'incremento delle somme riscosse è evidentemente frutto del rilevante recupero di efficacia dell'azione coattiva. Infatti, a fronte del significativo aumento dei


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volumi di riscossione innanzi evidenziato, l'analisi dei volumi di procedure posto in essere negli ultimi anni testimonia, con un'unica eccezione, una sostanziale invarianza, se non un decremento delle stesse procedure. In particolare, è praticamente rimasto invariato il numero di preavvisi di fermo, 1.600.000, al pari di quello relativo ai fermi, 577.000. Nel 2010 sono state iscritte ipoteche per un numero di 135.000, contro le 246.000 del 2007. Il numero delle ipoteche iscritte dal 2007 al 2010 ancora in vita, ossia al netto di quelle per le quali nel frattempo è intervenuta la cancellazione, è di sole 450.000.
Rispetto al 2007 è lievemente aumentato, in valore assoluto, il numero dei pignoramenti mobiliari, 11.189 contro 8.711. È, invece, oggettivamente aumentato il numero dei pignoramenti presso terzi, 133.000 nel 2011. Questo dato, in apparente controtendenza, si giustifica in ragione del fatto che antecedentemente l'utilizzo dello strumento, per una serie di circostanze, non aveva trovato piena applicazione.
Non significativo è il dato relativo alle richieste di fallimento avanzate dalle aziende del gruppo nel 2010. Si tratta di 542 istanze, delle quali il 90 per cento relative a soggetti con debiti maggiori di 500.000 euro. Si procede a richiedere il fallimento solo nell'ipotesi di conclamata insolvenza, dopo aver esperito ogni altro possibile tentativo di recupero e nei confronti di soggetti di fatto fuori dal mercato (quindi senza impatto sull'occupazione), ovvero che tentano di sottrarsi fraudolentemente alla riscossione con cancellazioni, con o senza il trasferimento della sede all'estero.
È, invece, in forte crescita l'attività sollecitatoria nei confronti dei debitori. Nel 2010 sono stati inviati oltre 3,4 milioni di solleciti, a fronte dei 2,8 milioni dell'anno precedente. Si tratta di uno strumento di grande valenza, funzionale a rammentare al soggetto l'esistenza di una posizione di debito in essere, consentendogli, prima dell'avvio della procedura coattiva, l'attivazione nei confronti degli enti impositori, per ottenere un eventuale sgravio, e nei nostri confronti, per ricevere tutti i chiarimenti necessari e definire eventualmente un piano di pagamento rateizzato.
In questo contesto è, altresì, opportuno ribadire che anche i cosiddetti preavvisi di fermo non possono in alcun modo essere equiparati alle procedure che incidono direttamente e negativamente sul bene del debitore. Con la notifica del preavviso si apre, infatti, il procedimento, che nel tempo potrà eventualmente portare all'iscrizione del fermo dell'auto al PRA. Si tratta, quindi, anche in questo caso, di un atto con marcata funzione sollecitatoria e non invasiva della sfera patrimoniale del destinatario.
La possibilità, in caso di comprovata situazione di temporanea difficoltà economica, di ripartire il debito iscritto al ruolo a partire da 100 euro fino a un massimo di 72 rate, senza obbligo di prestare alcuna garanzia, costituisce in questo momento di crisi economica una fondamentale ancora di salvezza per centinaia di migliaia di debitori iscritti a ruolo. Al 9 aprile di quest'anno le nostre società hanno concesso 1.145.000 rateazioni, per un importo corrispondente a oltre 15 miliardi di euro. L'esame delle istanze, nonostante la numerosità delle stesse - mediamente le richieste sono 12.000-14.000 a settimana - avviene senza ritardi, previo riscontro della sussistenza dei criteri semplici e oggettivi idonei a individuare l'esistenza di una situazione di temporanea difficoltà economica.
In ossequio, poi, alla possibilità, prevista dall'articolo 2, comma 20, del decreto-legge n. 225 del 2010, di prorogare le rateazioni già concesse e decadute per mancato pagamento, sono state emanate, il 15 aprile 2011, istruzioni finalizzate a disciplinare il comportamento degli agenti della riscossione.
Accade spesso che l'attività posta in essere dalle società del gruppo Equitalia sia soggetta a critiche. In particolare, tali critiche si concentrano sui seguenti macrotemi: Equitalia continua a notificare cartelle «pazze»; si arricchisce incassando


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aggi e interessi da capogiro; adotta modalità di riscossione vessatoria e mette in crisi interi settori produttivi.
In tema di cartelle «pazze» mi permetto di osservare che ciclicamente gli organi di informazione danno spazio a dichiarazioni di associazioni di diverso genere, che denunciano l'esistenza di fenomeni ormai tradizionalmente e acriticamente denominati cartelle «pazze», intendendo per tali massicce richieste di pagamento di somme non dovute. Ogni volta, però, spesso a distanza di sole poche ore, queste «chiamate alle armi» contro le società di riscossione finiscono col perdere rilevanza, e non potrebbe essere diversamente. I fenomeni in questione, infatti, non presentano carattere di generalità, e, quando avvengono, interessano limitatissime porzioni di territorio e risultano numericamente non significativi. Inoltre, solo in casi del tutto peculiari e fisiologici possono essere ricondotti a errori o a malfunzionamenti della macchina di recupero coattivo.
Al riguardo, ritengo interessante evidenziare il dato riferito al contenzioso del gruppo Equitalia a seguito della notifica di atti di riscossione. Nel 2010 è stato impugnato lo 0,70 per cento degli atti emessi. Le cartelle emesse nel 2010 sono state 18 milioni e il 42 per cento di questi ricorsi vede come motivo principale di censura non l'atto di riscossione, ma la fondatezza della pretesa. Si tratta evidentemente di percentuali assolutamente fisiologiche, che in sé smentiscono in radice l'esistenza dei fenomeni denunciati.
Un altro degli argomenti caldi nel rapporto tra contribuenti e mondo della riscossione è costituito dal tema degli importi riscossi a titolo di aggio e di interessi. In proposito, è necessario preliminarmente ricordare che, prima del 2009, lo Stato corrispondeva alle società concessionarie, al tempo di proprietà di privati, un importo forfettario, la cosiddetta indennità di presidio, a titolo di integrazione della remunerazione per l'attività posta in essere. Tale importo, che nel 2005 e nel 2006 ammontava a 470 milioni di euro, con la riappropriazione in mano pubblica del sistema di riscossione è stato progressivamente ridotto a 405 milioni nel 2007, fino a scomparire definitivamente dal 2009. È venuto così meno un costo secco destinato a gravare sull'intera collettività e, quindi, anche sui contribuenti in regola con gli adempimenti fiscali e contributivi.
Sempre al fine di far gravare sostanzialmente nella giusta misura il costo dell'apparato di riscossione sui soggetti inadempienti, a decorrere dai ruoli consegnati dal 1o gennaio del 2009 è stata modificata la ripartizione dell'onere della remunerazione spettante agli agenti della riscossione tra gli enti creditori e i debitori iscritti al ruolo. Si è passati, pertanto, da un sistema che poneva a carico dei debitori solo il 4,65 per cento dell'aggio dovuto per i pagamenti oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella (lasciando a carico degli enti creditori l'intero aggio per i pagamenti effettuati nei 60 giorni e, quindi, in regola) e la percentuale eccedente il 4,65 per i pagamenti successivi a tale termine, a un meccanismo di ripartizione per il quale, ad oggi, a carico dell'ente grava unicamente una quota parte, il 4,35 dell'aggio dovuto per i pagamenti effettuati nei termini di notifica.
In definitiva, tenuto conto che la misura dell'aggio vigente è del 9 per cento sulle somme riscosse, in caso di riscossione entro il sessantesimo giorno dalla notifica, l'ente paga il 4,35 e il debitore il 4,65; oltre tale termine l'aggio è integralmente pagato dal debitore inadempiente nella misura del 9 per cento. I debitori iscritti a ruolo, se destinatari di procedure cautelari o di esecuzione, devono, altresì, corrispondere gli oneri sostenuti per l'effettuazione delle procedure. Tali oneri sono definiti in un apposito decreto ministeriale.
L'aggio e il rimborso delle spese costituiscono, quindi, le uniche due voci a carico dei debitori inadempienti che vengono incamerate dagli agenti della riscossione. Gli interessi di mora, cioè gli interessi che la normativa vigente pone a carico del debitore di mora, attualmente nella misura del 5,75 per cento per i tributi, vengono riversati allo Stato e agli


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altri enti creditori. Essi sono fissati da provvedimenti amministrativi, che a tal fine devono tener conto della media dei tassi bancari attivi. Nel caso poi di intervenuta dilazione del pagamento, il differimento nel tempo fino a 72 rate è compensato dall'applicazione di interessi che sono attualmente pari al 4,5 per cento per le dilazioni del carico tributario. Anche in questo caso non mi pare che ci possa essere spazio per rilievi sulla legittimità del comportamento delle aziende di riscossione.
Si accusa, inoltre, Equitalia di adottare prassi di riscossione spregiudicate ed eccessivamente invasive della sfera patrimoniale dei debitori. Non vi è nulla di più falso. Ho già in precedenza rimarcato come il rilevante incremento degli incassi della riscossione coattiva non derivi da un uso indiscriminato degli strumenti che la legge mette a disposizione. Al contrario, di tali potenti strumenti ci si è sempre serviti in modo ragionevole e ragionato, ossia equilibrato e progressivo, cercando di venire incontro, nei limiti del lecito e del possibile, alle esigenze manifestateci dai contribuenti.
Vorrei ricordare la direttiva di Equitalia del 5 luglio del 2007, con la quale sono stati definiti passaggi obbligatori per procedere all'iscrizione di fermo o di ipoteca, prevedendosi sempre la dovuta gradualità in funzione dell'importo iscritto a ruolo e la necessità che alla misura si arrivi solo dopo aver sollecitato o diffidato il contribuente, ricordandogli l'esistenza del debito e le possibili conseguenze di una sua inerzia.
La più recente direttiva del 26 maggio 2010, in tema di pignoramenti presso terzi effettuati utilizzando la speciale procedura prevista dall'articolo 72-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in materia di riscossione delle imposte sul reddito, ha portato dai 15 giorni consentiti dalla norma a 60 il termine entro il quale il terzo, generalmente una banca, deve provvedere al pagamento: ciò al fine di consentire al contribuente di disporre di un maggior tempo per radicare ogni più opportuna azione volta a contestare il diritto di procedere all'esecuzione forzata prima che il terzo proceda all'accredito.
La direttiva del 6 maggio del 2010, ribattezzata «antiburocrazia», ha l'obiettivo di contribuire a ridurre le inefficienze di comunicazione nella filiera che porta dal controllo all'esecuzione forzata, evitando ai contribuenti inutili rimpalli burocratici. In pratica, qualora un contribuente possa documentare l'esistenza di documenti di sgravio, di sospensione o di pregresso pagamento delle somme iscritte al ruolo, Equitalia interpella l'ente creditore, chiedendo conferma circa la sussistenza dei provvedimenti dichiarati dal contribuente e sospendendo fino al riscontro di quest'ultimo ogni azione esecutiva a tutela delle sue possibili ragioni.
Al 31 dicembre 2010 sono state complessivamente presentate agli agenti della riscossione 22.282 autodichiarazioni, in media 160 per ciascun giorno lavorativo. Sostanzialmente la metà delle autodichiarazioni è riconducibile a problematiche legate a sanzioni amministrative per infrazione al Codice della strada, il 25 per cento riguarda ruoli erariali, il 18 per cento regioni e altri enti e l'8 per cento oneri previdenziali. Oltre 3.000 autodichiarazioni sono state respinte direttamente dalle nostre strutture in quanto non supportate da idonea documentazione. Nel periodo in esame sono state, pertanto, recapitate agli enti impositori 18.904 richieste di verifica, delle quali a oggi è stato riscontrato solo il 33 per cento.
Alcuni piccoli incidenti di percorso si sono effettivamente verificati. Si pensi alle decisioni della Corte costituzionale in tema di indicazione del responsabile del procedimento sulle cartelle di pagamento o alla sentenza della Corte di cassazione sulla legittimità dell'iscrizione di ipoteche legali per importi fino a 8.000 euro. In entrambi i casi, però, il gruppo ha reagito prontamente, adeguandosi con tempestività alle decisioni, in attesa del pronunciamento e degli interventi sul tema da parte del Parlamento.
In particolare, con riferimento alla vicenda delle ipoteche fino a 8.000 euro,


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ribadisco che, immediatamente a valle della decisione della Suprema corte, non sono state iscritte ipoteche non preordinabili alla successiva fase di espropriazione e, quindi, di importo inferiore. Nel frattempo, abbiamo internalizzato e centralizzato il processo relativo alle iscrizioni ipotecarie, ponendo in questo modo i presupposti per un controllo più puntuale e penetrante. In ogni caso, come più volte assicurato, qualora, in ipotesi del tutto marginali, si incorra in un errore, noi procediamo immediatamente alla cancellazione dell'iscrizione, con oneri totalmente a nostro carico.
Questi dati fanno sicuramente di Equitalia, a meno di cinque anni dalla sua nascita, una società in grado di aiutare le istituzioni in generale e gli enti impositori, in particolare, non solo nel delicato, difficile e impopolare compito di recupero di quanto precedentemente non versato, ma anche come straordinario sensore economico e sociale, utilizzabile per un'attenta lettura dell'evoluzione del territorio. Siamo perfettamente consapevoli di dover agire spesso nei confronti di soggetti che versano in situazioni di particolare difficoltà economica, acuita dalla crisi in atto, ma abbiamo anche ben presente che il nostro intervento è a favore di tutti coloro che, pur attraversando momenti di pari difficoltà, hanno fatto tutto quanto in loro potere per pagare tempestivamente il dovuto al fisco.
Con questo spirito e in questa ottica è proprio di questi giorni l'avvio di alcune iniziative a livello locale, in Puglia, in Basilicata, in Sardegna e a Genova, per poi proseguire con l'area torinese e in Calabria, che vedono Equitalia promotore di tavoli a cui sono invitati istituzioni, enti impositori e rappresentanti di settore per accogliere indicazioni su come affrontare le criticità segnalate dal mondo dell'agricoltura, dell'industria e del terziario, con lo specifico obiettivo di intervenire ciascuno secondo gli strumenti che le norme mettono a disposizione.
Terminata questa illustrazione di carattere generale sull'andamento dell'attività dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia, vorrei che intervenisse il dottor Betunio, direttore centrale normativa, che presidia aree sulle quali mi sono stati segnalati alcuni temi specifici.

PRESIDENTE. Prego, dottor Betunio.

ARTURO BETUNIO, Direttore centrale normativa. Il primo dei temi su cui ci è stato chiesto di esprimere le nostre considerazioni è quello dell'abuso del diritto. Con riferimento a questo aspetto è stata segnalata da più parti l'opportunità di definire un quadro normativo certo in materia, al fine di superare le incertezze lamentate da parte dei contribuenti sull'assenza di elementi precisi atti a definire chiaramente quando si è in una condizione di abuso del diritto e quando, invece, non ricorre tale caso.
In merito all'esigenza manifestata di emanare una specifica norma di riferimento sul tema, l'Agenzia dell'entrate non ha controindicazioni. Un'indicazione chiara dei presupposti e degli elementi caratterizzanti questa fattispecie serve non solo a dare certezza al contribuente, ma anche a meglio orientare l'attività delle nostre strutture. È evidente che l'assenza di indicazioni chiare può, in alcune circostanze, indurre ad avanzare contestazioni e a rilevare situazioni di abuso, anche nel timore di poter incorrere in responsabilità di carattere personale e patrimoniale da parte dei nostri colleghi.
Un'amministrazione finanziaria moderna, qual è l'Agenzia delle entrate, assolutamente non teme una codificazione di questa fattispecie; anzi, se ne fa promotrice e condivide sicuramente l'iniziativa. È chiaro, però, che una norma in materia di abuso del diritto difficilmente potrà fornire indicazioni idonee a discernere, in ogni circostanza, cosa costituisca abuso e cosa no. Tuttavia, possono essere fornite importanti indicazioni, di tipo procedurale, al fine di garantire un efficace contraddittorio con il contribuente, dando a quest'ultimo tutte le garanzie per potersi difendere adeguatamente e, al tempo stesso, per consentire all'amministrazione di meditare con ponderatezza circa la


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sussistenza degli elementi dell'abuso. In questo senso si è mossa anche la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, dopo aver chiarito che il divieto dell'abuso del diritto è immanente nell'ordinamento giuridico, con l'ultima sentenza del 21 gennaio del 2011 ha affermato la necessità che la contestazione dell'abuso sia effettuata con particolare cautela, dovendosi individuare una linea di confine tra la pianificazione fiscale aggressiva, non ammessa dall'ordinamento, e il legittimo risparmio d'imposta. È da questo punto di vista che emerge la differenza tra abuso o elusione fiscale e legittimo risparmio d'imposta.
Al riguardo, l'Agenzia delle entrate tiene a precisare che l'allarme più volte lanciato non ritrova corrispondenza nei dati di fatto. A fronte di 3.000 controlli aventi ad oggetto potenziali fattispecie di abuso del diritto, i casi concretamente contestati sono stati non più di 40. Allo stesso modo, per quanto riguarda l'attività interpretativa, di cui ho più diretta contezza, posso tranquillamente evidenziare come nel corso degli ultimi tre anni non vi siano state pronunce in sede di interpello che abbiano qualificato come abusive le fattispecie rappresentate dai contribuenti.
Il secondo punto riguarda l'iscrizione delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche nel registro tenuto dal CONI. In base all'articolo 7 del decreto-legge n. 136 del 2004 il CONI è l'unico soggetto certificatore dell'attività sportiva dilettantistica. Inoltre, per godere delle agevolazioni fiscali previste dall'articolo 90 della legge n. 289 del 2002, le società e le associazioni sportive dilettantistiche devono essere in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI. Infine, l'elenco delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi viene trasmesso dal CONI all'Agenzia delle entrate.
L'Agenzia delle entrate, pertanto, in presenza del mancato riconoscimento da parte del CONI dello svolgimento di un'attività sportiva dilettantistica, non può che disconoscere la spettanza delle agevolazioni fiscali previste per il settore. Quanto all'attività di controllo, si evidenzia che è stata posta particolare attenzione al contrasto dell'abuso dei regimi agevolativi riguardanti in generale tutte le tipologie di enti associativi. L'azione di controllo è stata, quindi, indirizzata nei confronti di quei soggetti per i quali è risultata l'esistenza di vere e proprie imprese commerciali dissimulate sotto forma di associazioni culturali, sportive, di formazione e simili, che, non dichiarando i proventi conseguiti, alterano anche la leale concorrenza tra imprese.
Per quanto concerne l'attività di controllo svolta nel 2010 nei confronti degli enti non commerciali, sono state eseguite circa 1.000 verifiche, che hanno consentito di far emergere maggiore imponibile non dichiarato per circa 133 milioni ai fini dell'IRES e 105 milioni ai fini dell'IRAP, nonché il mancato pagamento di IVA per circa 28 milioni. Sono stati effettuati, inoltre, circa 2.200 accertamenti, con un recupero complessivo di imposta di oltre 120 milioni di euro.
Tali dati si riferiscono all'intera platea degli enti non commerciali, di cui le associazioni sportive dilettantistiche costituiscono una parte. Al riguardo non è possibile fornire il dettaglio dei recuperi riferiti alle sole associazioni sportive dilettantistiche, in quanto tali soggetti utilizzano diversi codici di attività. Inoltre, più in generale, è stato rilevato che nel mondo associativo non di rado l'ambito di attività formalmente dichiarata, culturale, sportiva, di formazione e via elencando, non corrisponde a quello di effettiva appartenenza, stante l'attività in concreto svolta dall'associazione.
L'altro punto oggetto di analisi è il regime IVA dei beni introdotti in un deposito fiscale attraverso la sola annotazione sul registro. L'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993 prevede che siano effettuate senza pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, tra le altre, le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati a essere introdotti in un deposito IVA. Ai sensi del comma 6 dello stesso articolo, i soggetti passivi IVA che procedono all'estrazione


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dei beni dal citato deposito devono provvedere ad assolvere l'IVA attraverso il meccanismo dell'inversione contabile, cioè attraverso l'annotazione dell'operazione stessa tra le operazioni a debito e a credito ai fini IVA, di norma senza materiale corresponsione dell'imposta.
Tanto premesso, l'utilizzo virtuale del deposito fiscale ai fini IVA, cioè senza la materiale introduzione dei beni nel deposito stesso, è idoneo a determinare in linea di principio il recupero dell'imposta non assolta in dogana, stante il difetto del presupposto legittimante l'importazione in regime di sospensione di imposta, costituito dalla materiale introduzione dei beni nel deposito IVA.
A tale orientamento si contrappone una diversa tesi, secondo cui, alla luce dei princìpi di sostanzialità, di effettività e di divieto di duplice imposizione, ai quali si ispira il nostro ordinamento, nonché quello comunitario, l'imposta che sia stata formalmente assolta attraverso il menzionato meccanismo dell'inversione contabile al momento dell'estrazione virtuale dei beni dal deposito IVA non può essere nuovamente pretesa.
Questa conclusione sarebbe avvalorata dall'articolo 6, comma 9-bis, del decreto legislativo n. 471 del 1997, secondo cui, qualora l'imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione dell'imposta, la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 euro e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione di tali disposizioni.
Secondo quest'ultima tesi, quindi, la disposizione appena citata si applicherebbe anche alla fattispecie dell'introduzione virtuale del bene in un deposito IVA e, pertanto, il tributo andrebbe considerato comunque assolto, seppur in maniera irregolare. In tal caso troverebbe, quindi, applicazione la sanzione pari al 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, restando impregiudicato il diritto alla detrazione dell'IVA stessa.
In merito a tale situazione, occorre innanzitutto premettere che le contestazioni di irregolarità in questa materia sono state mosse dall'Agenzia delle dogane in sede di controllo di propria competenza e che, quindi, in linea di principio, le questioni interpretative relative alle norme menzionate non rientrano nella competenza dell'Agenzia delle entrate. D'altra parte, come chiarito dalla giurisprudenza della Cassazione, l'IVA all'importazione è un diritto di confine distinto dall'IVA nazionale da applicare al momento dell'estrazione del bene dal deposito IVA. Competente in relazione all'applicazione dell'IVA all'importazione, compresa la valutazione delle condizioni che legittimano l'eventuale sospensione in sede di introduzione del bene nel deposito è, dunque, esclusivamente l'Agenzia delle dogane.
Questa si è più volte espressa sul punto con proprie circolari, una del 2006 e una del 2007. Con specifico riferimento agli aspetti sanzionatori, l'Agenzia delle dogane ha chiarito che la sanzione applicabile non è quella del 3 per cento richiamata precedentemente, ma quella prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, pari al 30 per cento dell'importo non versato per l'omesso pagamento dell'IVA all'importazione, calcolato al momento dell'operazione doganale di importazione, cioè quando viene materialmente accettata la dichiarazione di importazione, e che la stessa deve essere contestata al contribuente in quanto autore dell'omesso versamento.
La questione relativa alla presunta duplicazione dell'IVA richiesta per l'importazione e dell'IVA assolta mediante il meccanismo dell'autofatturazione al momento dell'estrazione del bene dal deposito è stata oggetto di interpretazione da parte della Corte di cassazione, che, in una recentissima sentenza del 2010, da un lato, ha confermato che il deposito IVA ai fini doganali richiede necessariamente l'immagazzinamento fisico delle merci all'importazione e, dall'altro, ha espressamente chiarito che l'IVA richiesta dall'Agenzia delle dogane, a seguito del mancato transito


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fisico del bene nel deposito, non rappresenta una duplicazione del tributo assolto tramite l'autofattura.
Ciò posto, con riferimento agli aspetti di competenza dell'Agenzia delle entrate, relativi, come detto, all'assolvimento dell'IVA nazionale al momento dell'estrazione del bene dal deposito, la fattispecie in sé non presenta particolari dubbi interpretativi, trattandosi di un'operazione il più delle volte neutrale, in quanto l'imposta è assolta mediante la contemporanea registrazione dell'operazione tra le operazioni a debito e quelle a credito. In ogni caso, qualora, nell'ottica di pervenire a una soluzione di favore per i contribuenti, si considerasse la possibilità di prescindere dall'obbligo del transito fisico dei beni attraverso il deposito IVA, per esempio nell'ipotesi in cui ciò risulti oggettivamente impossibile, l'Agenzia delle entrate non avrebbe controindicazioni di natura tecnica all'adozione di questa eventuale soluzione.
Un altro punto su cui sono state richieste delucidazioni è quello relativo all'applicazione dell'imposta sostitutiva sui finanziamenti destinati alla riqualificazione di finanziamenti già in essere. Al riguardo l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, recante disciplina delle agevolazioni tributarie, prevede che le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine effettuate da aziende e da istituti di credito siano esenti dall'imposta di registro e di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative. Lo stesso articolo 15 prevede che si considerino a medio e lungo termine le operazioni di finanziamento la cui durata contrattuale sia stipulata in più di 18 mesi e che tali operazioni siano ammesse a scontare l'imposta sostitutiva in luogo delle imposte precedentemente citate, per le quali vale il regime di esenzione.
Dal tenore letterale della norma di cui all'articolo 15 non si desume con immediatezza se, ai fini dell'applicazione dell'imposta sostitutiva, in luogo delle imposte ordinariamente dovute, il finanziamento debba essere destinato a finalità specifiche. Sul punto la Corte di cassazione, in diverse sentenze, ha interpretato la disposizione normativa ritenendo che il legislatore, nel prevedere un trattamento agevolato per le operazioni di finanziamento a medio e lungo termine, abbia inteso agevolare le sole operazioni che si traducono in investimenti produttivi che possono creare nuova ricchezza e non anche quelle che si limitano a ridefinire modalità e tempi di recupero del credito (nella sostanza, le rinegoziazioni di precedenti finanziamenti).
Tale interpretazione ha generato da più parti obiezioni, con specifico riferimento a fattispecie in cui gli istituti di credito concedono finanziamenti a società holding per la riqualificazione di precedenti indebitamenti propri di società controllate, finanziamenti che corrispondono nella sostanza a mutui di scopo per l'estinzione di affidamenti accordati in precedenza dalle banche. In tali casi, quando cioè la finalità del finanziamento è quella di estinguere finanziamenti già contratti dalle società controllate, di norma queste ultime intervengono in atto come coobbligate in solido con la società holding. Le medesime pattuizioni negoziali dei contratti di finanziamento in esame, inoltre, stabiliscono che l'erogazione della somma venga effettuata a favore della holding su mandato delle società controllate. Per effetto del finanziamento è, dunque, la holding che acquista l'effettiva disponibilità finanziaria delle somme erogate. In base al vincolo di destinazione previsto dal contratto di mandato, le società holding provvedono a trasferire il finanziamento pro quota alle società controllate, al fine di consentire alle stesse di far fronte alle proprie pregresse esposizioni debitorie.
In merito alla questione, che richiede un maggiore approfondimento, tanto della portata delle pronunce della Corte di cassazione, quanto degli specifici contratti di finanziamento oggetto di potenziale esclusione dal regime di imposta sostitutiva, l'Agenzia delle entrate sta curando l'elaborazione di un documento di prassi per fornire uno specifico chiarimento sul


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punto e garantire, altresì, uniformità di trattamento sul territorio nazionale da parte delle proprie articolazioni.
Ulteriore punto oggetto di esame è l'attuazione dell'articolo 32 del decreto-legge n. 78 del 2010 in materia di regime tributario dei fondi immobiliari. Tale articolo ha disposto alcune modifiche alla disciplina dei fondi immobiliari chiusi, volta peraltro a contrastare l'utilizzo strumentale dei fondi comuni immobiliari a ristretta base partecipativa, finalizzato al godimento dei benefici fiscali previsti dal decreto-legge n. 351 del 2001.
Le disposizioni di attuazione della nuova disciplina verranno definite con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Entro 30 giorni dall'emanazione di tale decreto i regolamenti dei fondi immobiliari preesistenti dovranno essere adeguati alle nuove disposizioni. A tal fine, le società di gestione del risparmio che hanno istituito i fondi, in sede di adozione delle delibere di adeguamento, devono prelevare, a titolo di imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, un ammontare pari al 5 per cento del valore netto risultante dal prospetto redatto al 31 dicembre 2009.
In alternativa, le società di gestione del risparmio che non intendano adeguare i regolamenti dei propri fondi alle suddette disposizioni devono porre in liquidazione i fondi stessi con l'applicazione dell'imposta sostitutiva, nella misura del 7 per cento. In quest'ultima ipotesi è prevista, altresì, l'applicazione di un'imposta sostitutiva nella misura del 7 per cento sui risultati di gestione conseguiti dal 1o gennaio del 2010 e fino alla conclusione della liquidazione che, per espressa previsione normativa, deve terminare entro cinque anni.
Ulteriori specifiche disposizioni in materia di imposte indirette consentono, inoltre, di agevolare la liquidazione dei fondi. Entro 30 giorni dalla pubblicazione del menzionato decreto del Ministero dell'economia e delle finanze sarà emanato un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate per definire le modalità di versamento dell'imposta. I termini previsti per l'emanazione del suddetto provvedimento del Direttore dell'Agenzia sono necessariamente condizionati, pertanto, alla preventiva emanazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
L'Agenzia ha collaborato alla predisposizione della bozza del decreto ministeriale, attualmente in consultazione pubblica sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze. La scadenza della consultazione è prevista allo stato attuale per il 23 aprile prossimo. A conclusione di tale procedura l'Agenzia provvederà all'emanazione del provvedimento di propria competenza, nonché alla pubblicazione di un apposito documento di prassi con il quale verrà illustrata la nuova disciplina e saranno forniti gli opportuni chiarimenti.
Nel frattempo, con la circolare n. 11 dello scorso 9 marzo l'Agenzia ha fornito i primi chiarimenti su alcune disposizioni del decreto-legge n. 78, con particolare riferimento alla disciplina dei proventi dei fondi immobiliari chiusi corrisposti a soggetti non residenti.
Altro punto oggetto di analisi è il regime tributario delle cessioni di impianti, di rami di azienda e di emittenti nel settore televisivo. Ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, sono escluse dal campo di applicazione dell'IVA e, quindi, assoggettate all'imposta di registro proporzionale, le cessioni di aziende e di singoli rami di azienda. Per azienda, ai sensi dell'articolo 2555 del Codice civile, si intende il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. L'azienda costituisce, infatti, un'universalità di beni materiali e immateriali (che complessivamente costituiscono un'impresa o parte di un'impresa) idonea allo svolgimento di un'attività economica autonoma.
Le cessioni aventi a oggetto un'azienda, come sopra definita, scontano l'applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale. Sono, invece, assoggettate a IVA e, quindi, per effetto del principio di alternatività con l'imposta di registro, scontano l'imposta di registro in misura fissa, le cessioni dei singoli beni non costituenti azienda o rami di azienda.


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Le considerazioni generali finora esposte sono valide anche con riferimento alla tassazione delle cessioni aventi a oggetto impianti radiofonici effettuati ai sensi dell'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2005. In proposito si precisa che, qualora oggetto della cessione siano le sole apparecchiature radiofoniche, è ragionevole ritenere che l'operazione configuri una cessione di beni rilevante ai fini IVA. Diversamente, se la cessione dell'impianto è accompagnata dai relativi diritti d'uso connessi all'autorizzazione amministrativa relativa alla frequenza, potrebbe configurarsi quale cessione di ramo d'azienda e, pertanto, essere assoggettata a imposta di registro in misura proporzionale, qualora tale complesso costituisca un insieme di beni potenzialmente idoneo allo svolgimento di un'attività autonoma d'impresa.
Da ultimo, qualora l'oggetto del trasferimento sia costituito, oltre che dal predetto impianto, anche dall'avviamento commerciale connesso a una parte del pacchetto pubblicitario, dai marchi, dalle testate radiofoniche, dai brevetti, dai rapporti di collaborazione autonoma e subordinata e da altri rapporti giuridici in essere, la relativa cessione deve essere assoggettata alla sola imposta di registro in misura proporzionale, atteso che la combinazione degli elementi sopra descritti configura un complesso aziendale o un ramo di azienda.
Ulteriore questione è quella dell'applicazione del regime tributario agevolativo di cui all'articolo 19, comma 4-bis, del Testo unico delle imposte sui redditi alle somme aggiuntive al TFR a titolo di incentivo all'esodo pensionistico. L'Agenzia delle entrate ha disconosciuto l'applicazione di queste agevolazioni per le somme corrisposte al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori della società Ferservizi del gruppo Ferrovie dello Stato, che, all'inizio del 2000, aveva aderito a una proposta aziendale di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro a seguito di un processo di ristrutturazione aziendale.
A fondamento di tale interpretazione l'Agenzia ha ritenuto che, nella fattispecie, gli importi siano stati corrisposti ai lavoratori della Ferservizi sulla base di un verbale di conciliazione che rileva solo la transazione effettuata tra lavoratore e datore di lavoro, mediata dai sindacati di categoria, per la cessazione del rapporto di lavoro, con la corresponsione di una somma aggiuntiva al TFR, la quale non riveste carattere di incentivo all'esodo. Le somme in questione sarebbero state, dunque, corrisposte non solo per incentivare la risoluzione del rapporto di lavoro, ma anche per risolvere una controversia già insorta per indennità connesse al rapporto di lavoro e al fine di evitare l'insorgere di analoghe future controversie.
La norma agevolativa di cui all'articolo 19 del TUIR esplica i suoi effetti favorevoli sia nei riguardi dei datori di lavoro che affrontano la ristrutturazione, sia nei confronti dei lavoratori che, in seguito a dette ristrutturazioni, accettano di anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro. La diversa interpretazione, secondo la quale lo scopo della disposizione normativa consisterebbe esclusivamente nell'agevolare il lavoratore di fronte alle difficoltà della perdita di lavoro, non può trovare accoglimento, atteso che la stessa comporterebbe la conseguenza di ricondurre alla medesima disposizione ogni altra somma corrisposta in occasione della cessazione del rapporto di lavoro.
In altri termini, sulla base della ratio della disposizione agevolativa, volta a riservare un trattamento fiscale di favore solo alle somme corrisposte al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori, è possibile affermare che l'agevolazione non possa essere riconosciuta laddove le somme corrisposte in sede transattiva trovino la loro causa nella composizione di una controversia insorta tra datore di lavoro e lavoratore in relazione al rapporto di lavoro, piuttosto che nell'incentivazione all'esodo dei lavoratori.
Resta inteso che, al contrario, l'agevolazione può essere comunque riconosciuta in relazione a somme corrisposte in sede transattiva, se tali somme, nell'ambito dell'accordo transattivo, risultino espressamente corrisposte in funzione di incentivare


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l'esito del lavoratore e non siano, invece, erogate in funzione della composizione di altre questioni insorte in relazione al rapporto di lavoro.
La sentenza della Corte di cassazione n. 9202 del 2008 non sembra, peraltro, applicabile alla fattispecie in oggetto, in quanto afferma un diverso principio di diritto, ossia che l'istituto dell'esodo dei prestatori di lavoro cui fa riferimento la norma agevolativa non presuppone logicamente che ne sia oggetto anche solo potenziale una pluralità di addetti e neppure che il datore di lavoro abbia offerto a una pluralità di dipendenti condizioni speciali in caso di uscita anticipata dall'azienda.
Secondo la Corte, deve allora ritenersi che una corretta lettura della norma, che sia al contempo rispettosa del dato letterale e della ratio ispiratrice, porti a escludere un'interpretazione che affermi la possibilità di riconoscere l'agevolazione di cui trattasi solo in presenza di esodo che concerne la generalità dei dipendenti, o intere e specifiche categorie di essi, in possesso dei requisiti prescritti dalla norma.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Riprendo la parola per illustrare le problematiche relative alla riorganizzazione dell'Agenzia delle entrate.
Allo scopo di conciliare le contrapposte esigenze di avvicinare l'amministrazione al cittadino, per aumentare il livello di compliance, e di razionalizzare l'organizzazione sul territorio, abbiamo realizzato, tra il 2009 e il 2010, un piano di riorganizzazione degli uffici locali. Il piano prevedeva la trasformazione di questi uffici in strutture di livello provinciale, adeguando peraltro le nostre strutture a quelle già esistenti di altri enti, come l'INPS o la Guardia di finanza. Da quasi 400 uffici locali, che avevano sostituito tra il 1997 e il 2002 circa 1.000 uffici periferici preesistenti, frazionati per tipologia di tributo, siamo passati in due anni a poco più di 100 direzioni provinciali.
Il concetto fondamentale alla base del nuovo modello è il seguente: le attività di assistenza e informazione ai contribuenti e quelle di controllo massivo - il controllo formale, sostanzialmente - suscettibili di interessare la generalità dei contribuenti rispondono a una logica organizzativa diversa da quella che informa le attività di controllo più specializzate, rivolte in quanto tali a strati ristretti di contribuenti.
Le strutture che erogano i servizi e che si occupano dei controlli che possono interessare la generalità dei contribuenti devono essere sufficientemente diffuse sul territorio, per rendere più agevoli i rapporti con gli utenti e con i contribuenti, in particolare con quanti risiedono in zone geograficamente svantaggiate. In risposta a tale esigenza, ogni direzione provinciale dispone, di norma, di più uffici territoriali - questa è la loro denominazione - con eventuali sportelli decentrati.
Ragioni di ordine diverso, fra le quali innanzitutto quella di un migliore utilizzo delle risorse da impegnare in attività di accertamento più complesse, che interessano una platea relativamente ristretta di contribuenti, richiedono, invece, un grado di accentramento delle strutture deputate ai controlli più specialistici. Tale accentramento viene realizzato con la creazione, all'interno della nuova direzione provinciale, di un unico ufficio controlli competente per tutta la provincia. Più in dettaglio, gli uffici territoriali curano l'assistenza ai contribuenti, la gestione delle imposte dichiarate, i rimborsi, le tipologie di controllo e la maggiore diffusione sul territorio. La loro ubicazione corrisponde generalmente a quella dei preesistenti uffici locali, al fine di continuare a soddisfare l'esigenza di una presenza diffusa dell'Agenzia sul territorio.
A questo proposito si sottolinea che gli uffici territoriali, in quanto articolazioni delle direzioni provinciali, sono realtà assai diversa dai vecchi uffici locali, con i quali hanno in comune solo l'ubicazione. L'ufficio controlli cura le funzioni di controllo diverse da quelle affidate agli uffici territoriali, nonché il contenzioso e la riscossione. Esso si articola in aree individuate in base alla numerosità e alle caratteristiche delle diverse tipologie di


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contribuenti: imprese di medie dimensioni, con volumi d'affari compresi fra 5 e 100 milioni di euro, imprese minori, lavoratori autonomi, persone fisiche ed enti non commerciali. Ciò consente di accentrare la trattazione dei casi più complessi, i quali risentivano fortemente del fatto che la competenza territoriale all'accertamento fosse suddivisa tra quasi 400 uffici locali, con la conseguente dispersione delle professionalità più qualificate in grado di seguire tali casi.
La stessa logica di concentrazione delle risorse destinate alle attività più complesse spiega la scelta di prevedere, nell'ufficio controlli delle direzioni provinciali, un'area specializzata per il contenzioso, la cui gestione era anch'essa prima dispersa fra i tanti uffici locali. Tale accentramento può, inoltre, di per sé assicurare una maggiore omogeneità di trattazione delle attività più complesse.
Per completare il quadro dell'operazione va precisato che, dal 2009, i controlli su soggetti che hanno un volume d'affari o di compensi superiore ai 100 milioni sono affidati direttamente alle direzioni regionali. Anche questa scelta risponde all'esigenza di rafforzare l'efficacia dei controlli di maggiore complessità, grazie alla specializzazione degli addetti.
In funzione, quindi, della diversità di esigenze organizzative legate alle missioni tipiche dell'Agenzia, le direzioni provinciali sono caratterizzate da una diffusione delle strutture preposte ai servizi e all'attività di controllo massivo, i cosiddetti uffici territoriali, con la concentrazione in un unico ufficio delle attività riguardanti i controlli di complessità maggiore e il contenzioso tributario.
In sintesi, nel nuovo modello organizzativo le due esigenze complementari sopra descritte trovano un migliore bilanciamento, spostando dal livello comunale a quello provinciale l'ambito di competenza dell'attività di accertamento - 111 direzioni provinciali sono subentrate a 384 uffici locali -, trasferendo dal livello comunale a quello regionale l'ambito di competenza dell'accertamento sui soggetti di grandi dimensioni - 21 direzioni regionali, comprese Trento e Bolzano, sono anch'esse subentrate a quasi 400 uffici locali -, e confermando la dislocazione delle strutture di servizio e di controllo massivo nelle sedi dove già operavano tali uffici.
Tale dislocazione può naturalmente essere rivista in funzione delle dinamiche socioeconomiche a livello territoriale, anche perché gli uffici locali sono stati individuati dieci anni fa. Per esempio, a Cinisello Balsamo e a Sesto San Giovanni, aree di elevato insediamento demografico e nelle quali non vi erano uffici locali, abbiamo recentemente istituito due nuovi uffici territoriali.
Concludendo, con l'istituzione delle direzioni provinciali l'Agenzia ha inteso migliorare l'opera di ammodernamento e razionalizzazione a suo tempo avviata con gli uffici locali. Se allora si pose fine alla frammentazione dell'attività del controllo per tipologia di imposta, si è ora superata la frammentazione territoriale di quell'attività, nell'intento di renderla più efficiente ed equa: più efficiente, perché nel nuovo contesto è possibile utilizzare meglio le risorse umane disponibili, soprattutto quelle più qualificate e quelle più scarse, precedentemente parcellizzate fra quasi 400 uffici; più equa, perché la distribuzione più razionale delle professionalità consente di orientare e mirare meglio il presidio fiscale del territorio.
In un momento così difficile per la nostra economia, ciò che l'Agenzia delle entrate può e deve fare per sostenere la competitività delle imprese è contrastare con più forza e con maggiore discernimento l'evasione fiscale, che nel nostro Paese è tra i principali fattori di ostacolo a una concorrenza leale. Sotto questo aspetto, contrastare l'evasione significa, oltre che dare un sostegno indispensabile alla tenuta del bilancio pubblico, tutelare le imprese sane e contribuire in questo modo al superamento della crisi economica.
Ci è stato chiesto se sia possibile prevedere l'accesso alle banche dati da parte delle province di Trento e Bolzano nell'ambito delle norme di attuazione della


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delega in materia fiscale. Tali richieste afferiscono ai dati presenti nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria relativi ai contribuenti residenti nei rispettivi territori o comunque assoggettati a tributi devoluti alle province di Trento e Bolzano. Non sussistono ostacoli alla fornitura dei dati citati (è in fase di predisposizione lo schema di decreto legislativo recante le norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol in materia di finanza regionale e provinciale), fermo restando che gli stessi saranno forniti nell'ambito di apposite convenzioni di cooperazione informatica, nel rispetto della normativa sulla privacy e delle prescrizioni del Garante per la protezione dei dati personali. Per quanto precede si conferma la massima collaborazione per soddisfare la richiesta delle province.
L'attività svolta dall'Agenzia delle entrate nella direzione provinciale di Trento, a raffronto con le attività della medesima struttura svolte nelle direzioni provinciali limitrofe di Brescia e di Verona, è stata già oggetto di considerazione. Nelle tabelle che abbiamo allegato alla documentazione consegnata alla Commissione sono riportati, per ciascuna direzione provinciale, i risultati conseguiti nell'esercizio 2010, differenziati tra attività di accertamento e attività istruttorie esterne, ossia verifiche, controlli mirati e accessi brevi.
Gli accertamenti eseguiti nel corso del 2010 dagli uffici della direzione provinciale di Trento dell'Agenzia delle entrate risultano essere inferiori del 38 per cento rispetto a quelli eseguiti dalla direzione provinciale di Brescia e del 23 per cento rispetto a quelli eseguiti dagli uffici della direzione provinciale di Verona. Anche per le attività istruttorie esterne eseguite nel corso del 2010 dagli uffici della direzione provinciale di Trento si registra un numero inferiore, rispettivamente del 51 per cento e del 49 per cento, rispetto a quelle eseguite dagli uffici delle direzioni provinciali di Brescia e di Verona. In relazione alla popolazione residente l'attività di controllo risulta essere non omogenea, anche se si rappresenta che la realtà di Trento risulta più comparabile con quella di Verona e meno con quella di Brescia. Rappresento, altresì, che la forza effettiva della sede di Trento nell'ultimo biennio si è ridotta di circa il 13 per cento, passando da 382 unità al 1o gennaio del 2009 alle attuali 333. In quest'ottica la pianificazione dell'attività di controllo sostanziale per il 2011 è stata di conseguenza rimodulata in diminuzione di circa un terzo.
Ringrazio per l'attenzione e sono a disposizione per le vostre eventuali osservazioni.

PRESIDENTE. Colleghi, nonostante la lunga relazione, alcune tra le questioni che erano state prospettate necessitano di approfondimenti, altre di ulteriori passaggi. A mio giudizio, è comunque evidente lo sforzo compiuto dall'Agenzia delle entrate per sciogliere alcuni dubbi.
Devo dire, preliminarmente, che si è determinata una situazione paradossale.
Per un verso, accade sempre più spesso che la Corte di cassazione interpreti le norme senza dare il dovuto risalto all'intenzione del legislatore. Peraltro, un atteggiamento analogo si riscontra, sovente, anche in sedi diverse da quella giurisdizionale: ad esempio, mi è capitato di interloquire con un funzionario pubblico, il quale, pur sapendo che avevo dato un contributo decisivo all'elaborazione di una disposizione di legge, pretendeva di illustrarmi l'interpretazione corretta da dare alla stessa (molto diversa, come avrete capito, da quella che si era venuta formando nel corso dei lavori preparatori).
Per un altro verso, siamo costretti a constatare sempre più spesso, in occasione dello svolgimento di atti di sindacato ispettivo, come le risposte fornite abbiano carattere interlocutorio e, talvolta, lascino addirittura sconcertati i presentatori. Non vorremmo essere costretti a chiamarvi, per metterci intorno a un tavolo, ogni volta che si tratta di dare soluzione a un problema!
Chiaramente, il potere di iniziativa legislativa spetta a ciascuno di noi e anche al Governo. Tuttavia, ci troviamo ad affrontare, molto spesso, questioni che sarebbe più facile risolvere individuando


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indirizzi comuni, da trasfondere, eventualmente, in apposite iniziative parlamentari.
Peraltro, come ben sa il direttore dell'Agenzia, non è raro il caso in cui il bisogno di conoscenza da noi avvertito rimane insoddisfatto. Citerò un esempio per tutti: quando ci siamo occupati dei temi della giustizia tributaria, abbiamo chiesto al direttore del Dipartimento delle finanze di fornirci uno spaccato dei motivi di impugnazione prospettati dai contribuenti avverso gli atti di accertamento emessi dall'Amministrazione finanziaria. La conoscenza degli aspetti sui quali si concentrano i ricorsi potrebbe consentirci di individuare le parti della legislazione vigente sulle quali intervenire per ottenere una deflazione del contenzioso. Credo che tale tema stia a cuore anche all'Agenzia delle entrate.
Vi ringrazio, quindi, ma vi invito anche a non creare imbarazzo ai sottosegretari, i quali, quando intervengono in Commissione per rispondere ad atti di sindacato ispettivo, non sono talvolta in condizione, loro malgrado, di fornire agli interroganti indicazioni esaurienti, o quanto meno pertinenti.
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Innanzitutto, ringrazio per la bella e ampia esposizione: nella relazione, un vero e proprio compendio, che meriterebbe di essere rilegato e conservato, sono state affrontate tante questioni spinose, in una maniera tanto puntuale e approfondita da aver reso un servizio utile anche agli operatori del settore.
Ciò premesso, desidero porre due questioni.
La prima riguarda la lotta all'evasione. Non sapevo che fosse stato effettuato un raffronto tra le attività compiute dall'Agenzia delle entrate nelle province di Verona, Trento e Brescia. Mi fa piacere, perché i dati dimostrano come gli uffici di Verona abbiano ben lavorato negli ultimi tempi: il numero degli accertamenti, soprattutto se comparato con quelli relativi alle province limitrofe (quella di Brescia è molto più ampia), denota l'enorme lavoro svolto.
Anche gli operatori avvertono, in maniera molto concreta, l'importanza del contrasto all'evasione. Da modesto operatore, quale sono, mi permetto di evidenziare un aspetto specifico del fenomeno, che riguarda prevalentemente il settore manifatturiero. Si tratta del grande problema dei laboratori abusivi gestiti da orientali. Ho potuto verificare in prima persona, sul campo, come l'attenzione degli apparati dello Stato su questo mondo - che ha assunto dimensioni ragguardevoli, direttore - sia ancora scarsa. In particolare, mi permetto di parlare in maniera molto aperta e onesta, molti titolari di imprese che hanno rapporti di affari con i suddetti laboratori devono fare non pochi sforzi per riuscire a rispettare, e a far rispettare, gli obblighi di fatturazione. Molti commettono, talvolta, peccati veniali - e lo sappiamo -, ma costoro commettono peccati mortali, diciamo così, tutti i giorni! Insomma, il settore deve essere assolutamente ricondotto alla legalità.
Non ci sono soltanto i laboratori cinesi: moltissimi lavoratori stranieri, provenienti soprattutto dai Paesi dell'Est, lavorano nel settore dell'edilizia senza che sia rispettata la normativa vigente, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Non voglio togliere spazio ai colleghi, ma onestà vuole che queste situazioni siano segnalate, affinché gli organi competenti intervengano, anche perché - lo dico per inciso - si dovrebbe evitare che i controlli colpiscano sempre gli stessi soggetti (e non mi riferisco soltanto ai controlli tributari). Faccio un esempio concreto, direttore, tratto dalla mia esperienza professionale: non è possibile che un negozio o una piccola impresa subisca per cinque anni consecutivi verifiche derivanti dall'applicazione della normativa sugli studi di settore. Alla fine, nei casi ai quali mi riferisco, sono emerse questioni di poco conto. Gli imprenditori non temono, quindi, che dalle verifiche possano emergere irregolarità - perché il 99 per cento di essi cerca di rispettare le regole


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-, ma vorrebbero non essere costretti a sprecare tempo e risorse per difendersi da atti sostanzialmente ingiustificati.
Tornando al tema principale, mi sia consentito formulare, più che una domanda, una raccomandazione, affinché, soprattutto nel Nord del Paese, si intensifichino i controlli sui soggetti che operano in maniera clandestina.
Passando alla riorganizzazione dell'Agenzia delle entrate, tema che lei ha affrontato nella parte finale della relazione, è stato fatto sicuramente un buon lavoro, che ha dato ottimi frutti: lo si percepisce sul territorio. Anche la filosofia che ha ispirato tali interventi è condivisibile. Mi pare, però, che la rigida suddivisione vigente all'interno degli uffici, per la quale alcuni si occupano soltanto di persone fisiche, altri soltanto di società di persone, e altri ancora soltanto di società di capitali, crei una frattura nell'attività di accertamento, che determina lungaggini. Per esempio, chi ha compiuto una verifica nei confronti di una società di capitali o di persone, non procede, eventualmente, anche all'accertamento nei confronti delle persone fisiche dei soci. Mi si riferisce che ciò può dare anche adito a frizioni nell'ambito degli uffici. Forse si potrebbe pensare a un'organizzazione del lavoro di tipo diverso, basata sulla rotazione degli incarichi. D'altra parte, anche coloro che hanno acquisito la competenza necessaria per controllare le società, la perdono se per lungo tempo sono costretti a controllare esclusivamente persone fisiche.

COSIMO VENTUCCI. Anch'io ringrazio il dottor Befera e i suoi collaboratori. Questa mattina abbiamo assistito a una delle audizioni più interessanti cui ho partecipato. Anche il documento consegnato, estremamente interessante, può essere considerato - concordo con l'onorevole Fogliardi - una sorta di «bignami» tributario (i paragrafi da 2.1 a 2.7 sembrano risposte a interpelli).
Con riferimento ai risultati della riscossione, mi fa piacere constatare che l'azione di recupero coattivo è svolta secondo modalità non vessatorie, mentre il dialogo con i contribuenti ha consentito di definire per adesione o acquiescenza un numero significativo di accertamenti. Nella relazione sono presenti anche considerazioni di tipo etico. A pagina 15, ad esempio, si afferma che si procede a richiedere il fallimento solo nelle ipotesi di conclamata insolvenza e, quindi, senza impatto sull'occupazione, il che è estremamente importante. A pagina 21, inoltre, l'appassionata difesa di Equitalia, sviluppata nelle pagine precedenti, si conclude con la seguente affermazione: «Siamo perfettamente consapevoli di dover agire, spesso, nei confronti di soggetti che versano in situazioni di particolare difficoltà economica, acuita dalla crisi in atto, ma abbiamo anche ben presente che il nostro intervento è a favore di tutti coloro che, pur attraversando momenti di pari difficoltà, hanno fatto tutto quanto in loro potere per pagare tempestivamente il dovuto al fisco». Si tratta di considerazioni molto importanti, di messaggi di natura pedagogica che dovrebbero essere trasmessi alle generazioni a venire.
Mi lascia insoddisfatto e amareggiato, invece, quello che definirei l'interpello 2.3, riguardante il regime IVA dei beni introdotti in un deposito fiscale attraverso la sola annotazione sul registro. È avvenuto qualcosa di strano. Lei, direttore, ha fatto riferimento ad alcune circolari. Ebbene, siamo di fronte, ancora una volta, al tentativo di superare, attraverso atti amministrativi o di normazione secondaria, non soltanto le norme nazionali approvate dal Parlamento, ma anche il diritto comunitario. Le circolari non possono modificare la legislazione in un campo tanto delicato!
Mi rendo conto che in Italia, soprattutto nel settore delle importazioni, alcuni delinquenti agiscono in modi non leciti, e che la legislazione vigente, molto spesso, non offre agli operatori del settore strumenti idonei a contrastare i traffici internazionali che si svolgono al di fuori delle regole.
Sfugge, tuttavia, il fatto che l'immissione in libera pratica delle merci, in regime di sospensione dell'imposta, tramite l'introduzione in un deposito IVA


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(incidentalmente, credo che il diritto comunitario sia stato attuato in maniera pessima, perché non c'entra nulla il contratto di deposito di cui agli articoli 1766 e seguenti del Codice civile; lascio, però, ad altre sedi i problemi di qualificazione giuridica della fattispecie), comporta la prestazione di un'idonea garanzia commisurata all'imposta non riscossa. Ciò significa che l'Amministrazione può incassare l'IVA alla scadenza del novantesimo giorno successivo al compimento di un'operazione non imponibile (non scendo nei dettagli perché lei conosce bene i meccanismi, direttore). Non c'è alcuna possibilità di sfuggire a questo sistema, che è utilizzato in tutti i Paesi dell'Unione europea.
Perché individuare un'IVA all'importazione diritto di confine e un'IVA nazionale? È una bestialità, lo ribadisco con forza. Purtroppo, la giurisprudenza (viene spontaneo pensare al giudice che lavora stando seduto dietro una scrivania) pronuncia sentenze che nulla hanno a che fare con il sistema dei traffici internazionali. Questo è il problema.
Esistono delinquenti che compiono azioni strane, per così dire, ma ciò non deve andare a detrimento anche dei contribuenti onesti. È possibile pensare di togliere dal commercio i coltelli perché alcuni se ne servono per assassinare le persone? Sarebbe una sciocchezza.
Bisogna, allora, fornire a chi sta in prima linea nella tutela della legalità fiscale tutti gli strumenti più validi per contrastare i comportamenti fraudolenti, che mi risultano essere statisticamente molto più frequenti in Campania, soprattutto in un certo porto. Creiamo, se necessario, una zona franca, oppure un cordone fiscale, ma non pregiudichiamo tutti gli altri operatori nazionali che utilizzano in maniera onesta l'istituto del deposito IVA.
Della situazione creatasi è perfettamente consapevole l'Agenzia delle dogane, i cui rappresentanti ci hanno fornito dati allucinanti. Chiedo scusa ai colleghi, ma repetita iuvant. In un Paese come l'Olanda, che conta 16 milioni di abitanti, sono presentante circa 56 milioni di dichiarazioni doganali. In Italia, dove siamo circa 60 milioni, le dichiarazioni doganali presentate sono circa 18 milioni. Ci sarà un motivo! Perché incorrere in una sanzione pesante come quella applicata dall'Agenzia delle dogane italiana, e avallata dalla Corte di cassazione, quando si può sdoganare la propria merce a Rotterdam e, da lì, farla venire tranquillamente in Italia?
Codesta Agenzia ha già chiarito la questione nella risoluzione n. 440/E del 12 novembre 2008, che ho sottomano. Perché sono avvenuti, successivamente, fatti che definirei strani? Secondo me, bisogna accettare le norme. Se sono insufficienti, se ne devono approvare di nuove, ma è necessario evitare le invasioni nel campo legislativo attuate con circolari, perché in tal modo, come abbiamo visto, si creano vessazioni: vanno bene per rendere più efficiente l'azione di controllo, non per indicare il bene comune, il bene nazionale.
La ringrazio, direttore, per quanto è scritto a pagina 25 della relazione, dov'è ripetuto, peraltro, lo stesso concetto già espresso dall'Agenzia il 12 novembre 2008.

ALBERTO FLUVI. Cercherò di essere sintetico, anche per consentire a tutti di intervenire.
Vorrei cogliere l'occasione per dare atto al dottor Befera del lavoro svolto dall'Agenzia delle entrate. I dati forniti oggi, che già conoscevamo, peraltro, perché erano stati diffusi attraverso la stampa, confermano l'ottimo lavoro che l'Agenzia delle entrate ha svolto nel 2010, riuscendo a conseguire un risultato molto importante: sono oltre 10 i miliardi di euro che sono stati sottratti all'evasione fiscale.
Fatta questa premessa, che non è meramente rituale ma convinta, desidero svolgere una brevissima considerazione, dopo di che porrò due domande specifiche.
La considerazione riguarda la riorganizzazione dell'Agenzia, alla quale è dedicato un capitolo importante della relazione. Per la verità, quando è stato varato il piano per il 2008-2009, ero un po' scettico circa la sua attuazione. Come si fa


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sempre in questi casi, si comincia a girare un po' per l'Italia, per rendersi conto dei progressi del progetto attraverso l'interlocuzione con gli interessati. Nel farlo, ho notato che operatori professionali di molte parti d'Italia esprimevano, all'inizio, perplessità comuni. In seguito, però, tali perplessità si sono via via diradate, e il piano di riorganizzazione dell'Agenzia, che sta producendo, direttore, i risultati cui lei ha fatto riferimento, è sembrato sempre più valido.
Ciò nonostante, voglio evidenziarlo perché ho l'occasione di confrontarmi con i vertici dell'Agenzia, mi sembra che qualche difficoltà sia emersa in alcune aree del Paese. Non vorrei essere frainteso: non sostengo che il nuovo modello organizzativo non vada bene in toto, ma soltanto in alcune realtà che contano una presenza notevole di attività industriali manifatturiere.
Mi dispiace fare riferimento al territorio di Empoli, da cui provengo, ma si tratta della realtà che conosco meglio (vi posso assicurare, peraltro, che sono tante le realtà simili, ad esempio Imola, caratterizzate da una presenza rilevante di attività imprenditoriali). Per dare alcune cifre, nel territorio di Empoli ci sono oltre 20.000 imprese e tre distretti industriali. Pur comprendendo le ragioni ampiamente descritte, sulle quali si può anche concordare, ritengo che un ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate, dipendente dalla direzione provinciale di Firenze, sia oggettivamente un po' poco, anche dal punto di vista delle competenze ad esso assegnate. Come si può immaginare, intorno a una realtà manifatturiera di circa 20.000 imprese si è sviluppato anche un sistema di servizi, un sistema terziario, molto importante. Ebbene, la nuova organizzazione rende difficoltoso il rapporto tra tutti questi contribuenti e l'Agenzia delle entrate, che fino a ieri era più semplice, perché l'ufficio di Empoli era autonomo rispetto a quello del capoluogo fiorentino. Oggi, invece, per affrontare le questioni più rilevanti, a partire dagli accertamenti, occorre fare riferimento alla direzione provinciale di Firenze.
Secondo me, alcune deroghe, alcune eccezioni al modello organizzativo cui lei ha fatto riferimento, direttore, sono possibili. Poiché i suoi uffici sono sicuramente in grado di fornirle dati più aggiornati, evito di sottolineare come le attività dell'ex ufficio dell'Agenzia delle entrate di Empoli fossero di gran lunga superiori rispetto a quelle di tante province della Toscana e dell'Italia (lo stesso vale per Imola o per altre realtà caratterizzate da un'analoga presenza imprenditoriale).
Cambiando argomento, abbiamo appreso dalla stampa di un recentissimo provvedimento dell'Agenzia che ha prorogato al 30 giugno 2011 l'esclusione dall'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010 delle operazioni rilevanti ai fini dell'IVA, per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura, di importo non superiore a 3.600 euro al lordo dell'imposta. Dopo i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e le ordinanze della Protezione civile, adesso anche i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate spostano scadenze o rinviano adempimenti previsti dalla legge! Nel caso specifico, l'avvio del cosiddetto «spesometro» avrebbe dovuto produrre entrate per il bilancio dello Stato. La considerazione riguarda l'uso di strumenti non legislativi per modificare termini stabiliti da disposizioni di legge.
Un'ultima considerazione riguarda le società sportive. Condivido pienamente le considerazioni contenute nel documento che avete consegnato, ma proprio per questo motivo vi chiedo di compiere un ulteriore sforzo. Conosco il lavoro che l'Agenzia ha svolto, in sede di controllo, con riferimento agli enti associativi. Il problema non si pone, ovviamente, per le associazioni sportive che, in realtà, sono vere e proprie imprese commerciali. Accanto a queste, sono diffuse sul territorio società che svolgono effettivamente attività sportiva (ripeto che il mio ragionamento non è riferito anche a quelle che svolgono attività di impresa) e che sono iscritte a federazioni del CONI. Mi domando se non sia possibile, per i soggetti che svolgono attività sportiva, percorrere la strada del


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riconoscimento come associazione. Mi rendo conto che questa soluzione può essere più difficoltosa, perché presuppone un confronto con gli interessati. Tuttavia, occorre prendere atto che gran parte dell'attività delle società sportive si regge sul volontariato, comportando, al più, rimborsi spese di modesta entità. In tali casi, un accertamento da parte della Guardia di finanza o dell'Agenzia delle entrate, sia pure formalmente corretto, rischia di provocare la cessazione dell'attività.
La domanda che le rivolgo, direttore, è la seguente: mettendo da parte chi froda, visto che siamo di fronte ad attività non commerciali, svolte per lo più attraverso prestazioni volontarie, è possibile ripercorrere una strada concertativa che cerchi di sanare il sanabile, magari prendendosi sei mesi di tempo in più?

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Vorrei chiedere una delucidazione con riferimento al regime tributario delle cessioni di impianti di emittenti radiofoniche, trattato nel paragrafo 2.6 del documento consegnato dall'Agenzia, in merito al quale, sinceramente, nutro ancora dubbi.
In alcuni casi di cessioni aventi ad oggetto i diritti d'uso di una frequenza, l'Agenzia delle entrate ha spesso contestato l'assoggettamento all'imposta sul valore aggiunto dei relativi atti di trasferimento, ritenendo che agli stessi dovesse essere applicata l'imposta di registro. In altri casi, invece, a fronte di analoghe cessioni, alle quali era stata applicata l'imposta di registro, altri uffici dell'Agenzia delle entrate hanno ritenuto applicabile l'IVA (con conseguenze anche penali per i soggetti interessati, accusati di falsa dichiarazione). Come mai?
Voi rispondete che alla cessione di apparecchiature radiofoniche si applica l'IVA.
Non c'è dubbio che sia applicabile, invece, l'imposta di registro in misura proporzionale qualora oggetto del trasferimento siano l'impianto e l'avviamento commerciale connesso al pacchetto pubblicitario: anche in questo caso, infatti, si tratta di cessione di complesso aziendale o di ramo d'azienda.
Il problema si pone per le situazioni intermedie, in relazione alle quali anche voi utilizzate il condizionale, laddove affermate che «la cessione dell'impianto accompagnata dai "relativi diritti d'uso connessi all'autorizzazione amministrativa relativa alla frequenza" potrebbe configurarsi quale cessione di ramo d'azienda».
È all'esame della Commissione una risoluzione che cerca di fare chiarezza in materia. Se ci potete dare una mano, il nostro obiettivo è determinare in modo univoco quali fattispecie rientrino nella cessione di impianti e quali, invece, nella cessione di ramo d'azienda, affinché non siano possibili interpretazioni diverse in relazione ad atti di trasferimento di identico contenuto.

MAURIZIO FUGATTI. Ringrazio anch'io il direttore Befera per l'esaustiva relazione, dalla quale si evince che l'attività di contrasto all'evasione, svolta in maniera puntuale dall'Agenzia delle entrate, è in continua crescita. È chiaro che il predetto incremento è anche dovuto alle norme che il Parlamento ha approvato.
Se, da una parte, dobbiamo prendere atto di questo aspetto positivo, non dobbiamo tuttavia dimenticare, dall'altra, che abbiamo a che fare, in un momento di crisi particolarmente acuta, con il settore imprenditoriale delle piccole e medie imprese artigianali e commerciali.
Ricordo che il Parlamento ha approvato le nuove norme in materia di compensazione dei crediti relativi alle imposte erariali. Nella relazione si fa riferimento all'introduzione di significative novità ai fini della riscossione, per effetto delle quali gli accertamenti concernenti le imposte sui redditi e l'IVA dovranno contenere anche l'intimazione al pagamento degli importi in essi indicati entro il termine per la presentazione del ricorso (se non sbaglio, tale previsione dovrebbe entrare in vigore il 1o luglio). C'è, inoltre, la questione relativa ai cosiddetti controlli di massa automatizzati.


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Si tratta di novità introdotte per la gran parte dal legislatore, che avranno ripercussioni importanti sulle piccole e medie imprese (le compensazioni le hanno già avute). Oggi, lo affermo da parlamentare della maggioranza, possiamo ancora proclamare che non abbiamo messo le mani nelle tasche dei contribuenti. Tuttavia, alcune norme che noi abbiamo approvato, e che voi applicate, determinano perplessità in chi le «subisce». In questo momento di crisi, in particolare, emergono alcune criticità. L'Agenzia delle entrate sostiene di applicare le norme esistenti, ma io vorrei lanciare un messaggio di sensibilizzazione. Se abbiamo riguardo, ad esempio, alle norme in materia di compensazione, la nuova disciplina ha creato alcuni appesantimenti a livello di piccole e medie imprese.
Da ultimo, per quanto riguarda l'accesso alle banche dati da parte delle province di Trento e di Bolzano, nell'ambito delle norme di attuazione del trasferimento di delega in materia fiscale, l'Agenzia fa riferimento ad apposite convenzioni di cooperazione informatica. Il nostro dubbio, la nostra paura, è che l'accesso alle banche dati da parte delle province autonome possa determinare un controllo della situazione economica delle singole imprese, in realtà molto piccole, tale da comportare problemi dal punto di vista della tutela della privacy e dei rapporti con le imprese. Vorrei sapere se le convenzioni tengano conto delle mie perplessità, che penso abbiate compreso.

ALESSANDRO PAGANO. Innanzitutto, direttore, mi complimento, perché risultati importanti come quelli da lei esposti dimostrano che l'Agenzia ha un'efficienza e una capacità adeguate ai tempi.
Entrando nel vivo delle domande, comincerei con gli imprenditori che evadono in maniera sistematica e scientifica, appartenenti a etnie diverse. Faccio mio, a tale riguardo, il ragionamento sviluppato poco fa dal collega Fogliardi. Desidero soltanto aggiungere che il fenomeno da lui descritto si inserisce in un contesto criminale di gran lunga più grave rispetto a quello connesso alla pura e semplice evasione.
Una proposta di legge bipartisan, firmata da quasi 180 parlamentari, la n. 3887, reca disposizioni concernenti il divieto di produzione, importazione e commercio di merci prodotte mediante l'impiego di manodopera forzata e in schiavitù. Essa individua, a mio avviso, fattispecie degne di interesse, che dovrebbero essere oggetto di analisi, da un punto di vista tecnico, anche da parte dell'Agenzia delle entrate. Il vostro parere potrebbe fornirci ulteriori chiavi di lettura.
Poiché abbiamo inaugurato un sistema volto a fare in modo che le soluzioni ad alcune questioni affrontate dal Parlamento nelle sedi non legislative trovino un riscontro più puntuale anche nella prassi, penso che quello di cui stiamo discorrendo potrebbe essere un argomento su cui confrontarci in una prossima occasione.
Non è possibile che questi soggetti vivano in una sorta di «riserva indiana». Non mi riferisco a tutti i bravi artigiani e imprenditori che producono, che sostengono l'economia nazionale e che hanno deciso di diventare «italiani» nel senso più nobile del termine, ma a quelli che si muovono, in maniera spregiudicata, in quegli ambiti nei quali è più facile porre in essere fenomeni elusivi.
Poco più di un mese fa l'Assemblea della Camera ha approvato all'unanimità, senza che alcuno dei presenti si sia astenuto, il testo unificato delle proposte di legge recanti «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese». Quanto è avvenuto deve indurre a riflettere: è necessario comprendere che alle micro e alle piccole imprese bisogna guardare in maniera diversa.
Stiamo attraversando un momento terribile dal punto di vista economico. L'attività dell'Agenzia delle entrate è efficiente e meritoria - l'ho detto poco fa, lo ribadisco e non lo ripeterò più, anche perché si tratta di un'opinione da tutti condivisa -, ma in molti casi sta innescando processi viziosi, nel senso che molte imprese marginali vengono espulse dal mercato perché proprio non ce la fanno.


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Esistono, è indubbio, sensibilità notevoli: i piccoli imprenditori incontrano spesso comprensione, non soltanto nella mia Sicilia, ma nel Paese in generale. Tuttavia, non possiamo lasciare la valutazione dei singoli casi alla sensibilità dei funzionari dell'Agenzia. Mai come in questo momento, quindi, la normativa che abbiamo approvato in maniera bipartisan dovrebbe essere tenuta nella debita considerazione.
La solerzia degli uffici dell'Agenzia, impegnati a raggiungere gli obiettivi fissati, pone seri problemi al nostro tessuto imprenditoriale, inteso come patrimonio della Nazione, che si trova a fronteggiare una drammatica crisi economica. È più che mai necessario, allora, avviare una seria riflessione, perché valutazioni dalle quali può dipendere la sorte di un'impresa non possono essere lasciate alla sensibilità del singolo funzionario, ma devono essere rese oggettive, in qualche modo, in una circolare: un vostro documento di prassi, di siffatto contenuto, costituirebbe sicuramente un ulteriore ausilio.
Un altro argomento riguarda l'evasione da parte di enti non commerciali. Finalmente avete messo mano a questo bubbone! Ne abbiamo parlato in una precedente audizione, direttore. Occorre fare attenzione, però, perché un altro dei nostri straordinari patrimoni è il volontariato, una realtà importante che prende corpo nelle associazioni impegnate nel sociale, alle quali si devono tante azioni meritorie. Anche in questo caso mi pare che siamo un po' borderline. Non vorrei che l'adozione del criterio di colpire nel mucchio portasse a realizzare operazioni strane. In tale ambito non riesco a individuare una soluzione. Mentre in relazione alle prime due problematiche una soluzione può essere indicata, perché ci sono, nel primo caso, una proposta di legge e, nel secondo, un provvedimento già approvato da una delle Camere, in questa terzo caso non riesco a capire come dobbiamo muoverci, qual è la road map da seguire. Vi affido, quindi, le mie riflessioni, da sottoporre ai vostri uffici studi, che servono anche a questo scopo.
Infine, passo a un tema che il direttore sa essere un mio cruccio, perché ne abbiamo parlato più volte informalmente: stavolta la discussione diventa un fatto pubblico, nel senso che, portando l'argomento all'attenzione della massima autorità in materia, esso diventa oggetto di valutazione in una sede formale e acquista, per questo, una diversa rilevanza. Il tema è quello dei trust. Abbiamo una norma straordinaria, che per la prima volta ha saputo attrarre capitali dall'estero: vengono in Italia, ottenendo la residenza, soggetti che hanno patrimoni cospicui. Tuttavia, l'Agenzia delle entrate ha emanato una circolare che gli addetti ai lavori definiscono incoerente rispetto ad alcune problematiche. Prendendo spunto dal ragionamento proposto in precedenza dal collega Fluvi, ho l'impressione che l'Agenzia abbia attuato una vera e propria invasione nel campo riservato al legislatore. Infatti, l'articolo 1, comma 74, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), modificando l'articolo 73 del TUIR, ha inserito espressamente il trust nel novero dei soggetti passivi ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società. Successivamente, tale disciplina è stata scardinata da alcuni interventi non del legislatore, ma dell'Agenzia delle entrate. Si è passati, in tal modo, dall'imposizione IRES all'imposizione IRPEF, in nome di una presunta elusione che tale non è, come dimostra l'esperienza.
Si impongono, quindi, alcune riflessioni, soprattutto perché, prima dei menzionati provvedimenti dell'Agenzia delle entrate, avevamo qualche certezza su un istituto delicatissimo, di derivazione anglosassone, che ritenevamo di avere virtuosamente introdotto anche nel nostro ordinamento, mentre adesso ci troviamo a fare i conti con problemi interpretativi ingiustificati.
Preciso subito che il problema non riguarda soltanto i trust interni, ma anche quelli esteri. Ho preparato un documento analitico, i cui contenuti mi piacerebbe fossero approfonditi. Vi affido, quindi, il documento. Ne consegno una copia anche al presidente della Commissione, in modo


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che diventi un nostro atto ufficiale. In seguito, magari, valuteremo se approvare una risoluzione sul tema.

MAURIZIO LEO. Innanzitutto, mi scuso con il direttore Befera e con gli altri dirigenti per il ritardo, dovuto a un misunderstanding: ero convinto che l'audizione fosse alle 14, anziché alle 12.
Dal documento che ho avuto modo di scorrere rilevo che l'Agenzia ha fornito moltissime risposte in ordine ai quesiti di maggiore interesse e attualità per i contribuenti.
Esprimo un apprezzamento per ciò che l'Agenzia sta facendo sul versante del contrasto all'evasione, in particolare per quanto riguarda le persone fisiche. La strada dell'accertamento sintetico è sicuramente da percorrere: attraverso tale strumento si riesce a recuperare materia imponibile, laddove i contribuenti dichiarino redditi disallineati rispetto alla loro capacità di spesa.
Desidero ora soffermarmi brevemente sul tema dell'abuso del diritto. Nel paragrafo 2.1 della relazione l'Agenzia sottolinea di avere fatto un uso attento e oculato del principio di fonte giurisprudenziale dell'abuso del diritto. Infatti, su 3.000 controlli effettuati in chiave anti abusiva, sono stati contestati non più di quaranta casi di abuso del diritto.
È chiaro che un intervento legislativo può dare certezza ai contribuenti e alla stessa Amministrazione finanziaria. Nella relazione è chiaramente espressa anche la condivisione dell'Agenzia in merito alla definizione di un quadro normativo certo in materia.
Vorrei, però, richiamare la vostra attenzione su un tema che, secondo me, creerà non poche difficoltà. Il problema riguarda le imprese di grandi dimensioni quotate, ad esempio banche e assicurazioni quotate non incluse nel consolidato che adottano i princìpi contabili internazionali. Molto lodevolmente l'Agenzia delle entrate ha elaborato la circolare n. 7 del 28 febbraio 2011, che ha fatto chiarezza su tutto il sistema. Tuttavia, deve essere meglio focalizzata, a mio avviso, l'ipotesi in cui il contribuente (al quale è lasciato, in alcuni casi, un margine di discrezionalità), adottando i principi contabili internazionali, consegua un beneficio. In particolare, il comportamento del contribuente potrebbe essere censurato quando la facoltà di applicare i predetti principi contabili è utilizzata in maniera strumentale, al fine di trarne indebiti vantaggi fiscali.
Penso che il caso segnalato potrebbe integrare un'ulteriore ipotesi di abuso del diritto e, di conseguenza, mi rendo perfettamente conto delle esigenze dell'Amministrazione finanziaria. Effettivamente, venendo in considerazione un meccanismo nebuloso e complesso, può accadere di tutto.
La prima soluzione è quella più logica: ritornare al passato e abbandonare questo sistema, che sarà assolutamente devastante per tutti, per l'Amministrazione, per i contribuenti e via elencando.
Se non si può fare, si potrebbe rimettere a un'autorità terza, come l'Organismo italiano di contabilità (OIC), la valutazione circa la corretta applicazione dei princìpi contabili internazionali. L'intervento di un organismo terzo eviterebbe il rischio che una delle parti, e l'Amministrazione è sicuramente parte in causa, possa dare un'interpretazione non conforme ai principi dell'ordinamento tributario. Si tratterebbe di attribuire un ruolo di «regia» all'Organismo italiano di contabilità, limitatamente alla corretta applicazione dei princìpi contabili internazionali.

PRESIDENTE. Do la parola al Direttore dell'Agenzia delle entrate per la replica.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Per quanto riguarda, innanzitutto, il problema che l'onorevole Ventucci ha sollevato con riferimento ai depositi IVA, mi sia permesso di non rispondere, in quanto la competenza in materia appartiene a un'altra agenzia fiscale.
È emersa, in generale, la preoccupazione che alcuni interventi dell'Agenzia delle entrate, compiuti in modo ripetitivo


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e non ben mirato, possano creare problemi alle imprese. Abbiamo ben presente il problema. Uno dei motivi che ci hanno indotto a creare le direzioni provinciali è proprio quello di avere sulle nostre strutture un controllo maggiore rispetto a quello, più lento e dilatato, esercitato in precedenza. Ho sempre sostenuto che il direttore regionale della Lombardia, tanto per portare un esempio, non sarebbe mai stato in grado di verificare le attività, di controllo e di accertamento, poste in essere da 65 uffici locali: era impensabile che riportassero a lui i 65 responsabili di tali uffici. In seguito alla creazione delle direzioni provinciali, invece, il predetto direttore è diventato il punto di riferimento di una decina di persone, ed è, pertanto, in grado di controllarne l'operato.
Il tema è molto importante per noi, specialmente in questo momento di crisi. Anche più in generale, comunque, vogliamo che il rapporto tra contribuenti e fisco sia corretto. Ciò è tanto vero che, a ottobre dell'anno scorso, e di nuovo un paio di mesi fa, ho inviato a tutti i dipendenti dell'Agenzia una lettera nella quale ho ribadito che l'attività di controllo deve uniformarsi ai principi della correttezza, dell'equilibrio, della trasparenza e, tutto sommato, anche dell'autorevolezza, perché l'esercizio del potere impositivo è molto delicato, nel senso che non deve provocare un effetto contrario. Infatti, se i nostri dipendenti adottano comportamenti autoritari, anziché agire con autorevolezza, ricorrono a metodi scorretti, ovvero fanno di tutto per incassare una somma che, magari, non è da riscuotere, ci perdiamo come Stato, oltre che come Agenzia delle entrate, e induciamo all'evasione, anziché contrastarla. A questo aspetto siamo particolarmente attenti. Dopo avere inviato la lettera, proprio per ribadire l'impostazione di cui ho detto, sto convocando, presso le direzioni regionali, incontri ai quali sono chiamati a partecipare tutti i capi team, quindi anche i dirigenti di livello più operativo. Esisteranno sicuramente casi particolari, ma credo che siano piuttosto limitati.
Per quanto riguarda gli enti non commerciali, desidero innanzitutto fra presente che, in un anno, abbiamo svolto 1.000 controlli - quindi, un numero limitatissimo -, normalmente orientati verso quei casi nei quali è più evidente la presenza di un'attività commerciale nascosta dietro un'attività apparentemente non di tale specie. Abbiamo contezza di episodi in cui sono state riprese a tassazione situazioni che, forse, avrebbero potuto essere ignorate. Sta di fatto che i responsabili di società sportive dilettantistiche, o di associazioni sportive, non avendo una sufficiente conoscenza degli adempimenti fiscali, spesso e volentieri commettono errori banali, che ci costringono comunque ad agire.
Per questo motivo abbiamo attivato un contatto continuo, tra la direzione centrale normativa, le federazioni e le associazioni sportive, finalizzato alla formazione. Ci siamo imbattuti in casi nei quali era tutto regolare, ma mancava l'iscrizione al registro tenuto dal CONI, per cui non potevamo riconoscere le agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive dilettantistiche. Si tratta, in simili ipotesi, di ingenuità commesse da un presidente o da un responsabile, che però mettono anche noi in difficoltà. Stiamo svolgendo un'attività di formazione proprio per superare questo problema. Inoltre, stiamo dando disposizione ai nostri uffici di procedere a contestazioni soltanto nei limitati casi in cui svolgiamo controlli. Il fatto che siano eseguiti 1.000 controlli l'anno in tutto il territorio nazionale rappresentano significa che sono meno di dieci, in concreto, i controlli medi in ogni provincia. I nostri interventi, quindi, sono minimali e sempre più orientati verso quei soggetti che esercitano attività con notevole connotazione commerciale.
Per questi enti non sarebbe sbagliato, forse, riaprire i termini e consentire loro di regolarizzare violazioni essenzialmente formali, dovute a scarsa conoscenza.
Per quanto riguarda la suddivisione delle attività di verifica e di accertamento relative a società, ricordo, innanzitutto, che i controlli di competenza di una


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direzione provinciale sono attribuiti a un ufficio unico, e che la loro ripartizione interna spetta al responsabile dell'ufficio, il quale può decidere, eventualmente, che essi siano uniformemente eseguiti sulle società e sui soci. In ogni caso, per evitare la fossilizzazione delle specializzazioni, per la quale l'esperto di persone fisiche si occupa esclusivamente di queste, abbiamo invitato ad assicurare la massima rotazione possibile a livello di direzione provinciale. Ciò non avviene, o avviene in misura minore, presso le direzioni regionali, che si occupano dei grandi contribuenti. In tali sedi è più difficile effettuare rotazioni, perché è richiesto un elevatissimo livello di specializzazione.
Per quanto riguarda la riorganizzazione dell'Agenzia, il problema è che non sempre essa è calata perfettamente nella realtà territoriale. Durante il suo intervento, onorevole Fluvi, osservavo con il presidente della Commissione che, forse, la soluzione più comoda per risolvere il problema sarebbe quella di far diventare Empoli provincia. Non credo, tuttavia, che ciò sia all'ordine del giorno.
Noi abbiamo creato un'organizzazione che, sostanzialmente, risponde bene alle esigenze di quasi tutto il territorio del Paese. Sicuramente vi sono situazioni particolari, ma proprio per questo motivo alcune aree territoriali, come quella di Empoli, già prima avevano una struttura di controllo molto forte, che è stata semplicemente spostata nel capoluogo di provincia. Ciò ci consente anche di utilizzare meglio le risorse di cui disponiamo: concentrandole a livello di capoluogo, facciamo in modo che raggiungano un grado di specializzazione maggiore, che ci consente di intervenire più efficacemente in sede di controllo.
Forse, l'unico problema è costituito dal sacrificio sopportato dal commercialista o dal diverso professionista che assiste le imprese, il quale è costretto a recarsi nella città capoluogo di provincia per discutere i controlli più complessi.
La presenza sul territorio, in termini di conoscenza dello stesso, è comunque assicurata sia dall'esperienza dei nostri funzionari, sia dalla creazione di un database territoriale in cui evidenziamo anche le situazioni specifiche.

ALBERTO FLUVI. Direttore, lei ha fatto riferimento a situazioni particolari - non voglio insistere molto, perché sarebbe sgradevole - ed ha affermato che la soluzione più comoda sarebbe che Empoli e Imola diventassero province. Ci siamo posti il problema, ma abbiamo scelto di non dar vita alle province, proprio perché ciò comporterebbe l'istituzione della prefettura, della questura, della sede locale della Banca d'Italia e via discorrendo. Tuttavia, in Emilia e in Toscana, a Imola e a Empoli, abbiamo creato, con legge regionale, due realtà istituzionali denominate circondari, che, pur non essendo province, hanno le medesime competenze (gestiscono, ad esempio, strade e scuole).
La costituzione di vere e proprie province avrebbe determinato un aggravio per la finanza pubblica. Il livello istituzionale, però, esiste. Non si chiama provincia, ma in un altro modo. Ci sembra di aver fatto un buon lavoro.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Non ci sono né la questura, né l'INPS, e nemmeno l'Agenzia delle entrate. Esiste, però, un ufficio locale, che si occupa dei controlli massivi e cura i rapporti con i professionisti e i contribuenti. L'organizzazione di livello provinciale è chiamata in causa soltanto per la gestione delle problematiche più complesse. La presenza dei nostri funzionari è comunque assicurata, come la possibilità di discutere. Una delle proposte che sono state avanzate è di non costringere l'impresa o il professionista a recarsi nel capoluogo di provincia per la consegna di un documento: lo può fare benissimo utilizzando l'ufficio locale; soltanto la discussione del caso complesso avviene a livello di capoluogo di provincia.
D'altra parte, quando si crea un'organizzazione, si tiene conto della generalità dei casi, mentre i casi specifici devono essere gestiti dal direttore provinciale o dal direttore regionale. Non possiamo


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creare un'organizzazione che si adatti al territorio in modo diversificato.
Per quanto riguarda lo spesometro, abbiamo ascoltato le osservazioni delle associazioni di categoria e, in applicazione dello Statuto dei diritti del contribuente, per dare tempo di modificare le strutture organizzative, abbiamo spostato al 1o luglio la decorrenza dei nuovi adempimenti. Riteniamo che ciò non possa incidere sulle entrate previste a bilancio, anche perché credo che l'introduzione della norma abbia indotto a una maggiore tax compliance, a noi particolarmente cara, in quanto costituisce lo scopo della nostra attività.
Per quanto riguarda il problema delle imprese edilizie e degli extraterritoriali, esso è più di ordine pubblico che di evasione. Vi è, comunque, una particolare attenzione da parte nostra. In generale, se costituiscono imprese o svolgono attività commerciali, gli stranieri sono sorvegliati e controllati come tutti gli altri. Per quanto riguarda le imprese edili, conosciamo perfettamente i problemi cui danno luogo (tra essi, vi è quello dell'utilizzo di personale non in regola con le vigenti disposizioni in materia di assunzione e di assicurazioni sociali obbligatorie). Noi forniamo all'INPS, in maniera continua, tutte le informazioni necessarie affinché l'Istituto verifichi la correttezza della posizione contributiva. Nasce tutto dal sommerso e poi arriva, eventualmente, a noi. Credo che i dati recentemente forniti dall'INPS sul recupero di questo tipo di evasione siano particolarmente significativi. Posso affermare, quindi, che la situazione è sotto controllo e che il fenomeno da lei segnalato, onorevole Fogliardi, è all'ordine del giorno delle attività di controllo.
Per quanto riguarda il problema posto dall'onorevole Comaroli, con riferimento alla cessione di impianti e di rami di imprese radiofoniche, più che fornire una risposta, ritengo opportuno svolgere una riflessione e pervenire, eventualmente, a una soluzione.

PRESIDENTE. Desidera aggiungere qualcosa al riguardo, dottor Betunio?

ARTURO BETUNIO, Direttore centrale normativa. Signor presidente, il problema che si pone nel caso di cessione di impianti radiofonici - se essi configurino o meno un'azienda - riguarda tutte le potenziali cessioni di azienda. Noi abbiamo individuato due ipotesi principali, chiarendo, dal punto di vista astratto, ciò che, secondo noi, è cessione di azienda e ciò che non lo è.
È chiaro che tra le due ipotesi da noi prese in considerazione esiste una zona grigia: occorre procedere, in simili casi, a una verifica fattuale, per appurare se il complesso di beni sia idoneo a funzionare autonomamente come impresa oppure no. Asserirlo in via interpretativa è difficile: la verifica su ciò che è azienda e ciò che non lo è deve avvenire sul terreno concreto. Come ho già detto, il problema non riguarda soltanto gli impianti radiofonici, ma tutte le potenziali cessioni di azienda in generale. La difficoltà di stabilire cosa è azienda deriva, in taluni casi, dalla necessità di svolgere una verifica concreta.

PRESIDENTE. Trasformeremo la vostra risposta in un impegno al Governo e voteremo la risoluzione.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Per quanto attiene alla cooperazione con le province di Trento e Bolzano, abbiamo a ragion veduta affermato, nella relazione, che i dati presenti nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria, relativi ai contribuenti residenti in tali territori, o comunque assoggettati a tributi devoluti alle province di Trento e Bolzano, saranno forniti nell'ambito di apposite convenzioni di cooperazione informatica, nel rispetto della normativa sulla privacy e delle prescrizioni del Garante per la protezione dei dati personali. Lo stesso vale, del resto, per la cooperazione tra l'Agenzia e i comuni. Anche questi ultimi, teoricamente, potranno avere accesso ai dati dell'anagrafe tributaria. Prima di procedere in tal senso, è necessario, tuttavia, un intervento del Garante, che chiarisca quali sono gli spazi e quali responsabilità deriveranno da un


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eventuale uso non corretto delle informazioni (questa è una delle preoccupazioni che sicuramente nutriamo al riguardo).
Per quanto riguarda gli interventi sulle piccole e medie imprese e le ripercussioni negative che essi potrebbero determinare, c'è un'attenzione specifica, sia dell'Agenzia delle entrate, sia del gruppo Equitalia, a non creare, in tale ambito, particolari situazioni di difficoltà. A tal fine, assume una rilevanza fondamentale l'analisi di rischio che stiamo compiendo già da tempo, e che continueremo ad affinare.
La questione presenta un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Nello svolgimento della nostra attività, abbiamo modo di constatare che la maggior parte delle imprese italiane, piccole e medie, rispettano con puntualità gli obblighi di dichiarazione e di versamento delle imposte e, come si sente ripetere spesso, fanno anche i salti mortali per essere in una situazione di perfetta regolarità fiscale. A fronte di ciò, tali imprese sono costrette a fare i conti, sul piano concorrenziale, con soggetti che, in modo sleale, non pagano le imposte e se ne avvantaggiano. In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, ciò potrebbe portare addirittura all'espulsione dal mercato delle imprese sane. È per questo motivo che raccomando tutti i giorni al personale dell'Agenzia di porre una particolare attenzione, da un lato, a non essere vessatori e scorretti e, dall'altro, a far sì che la concorrenza si sviluppi in modo leale, all'interno di un contesto nel quale tutti adempiano correttamente gli obblighi tributari.
Per quanto riguarda i temi posti dall'onorevole Pagano, la nostra circolare, che egli ha citato, ha semplicemente definito cosa sia un trust. Prendo atto del documento che ha consegnato, dichiarandomi disponibile ad approfondire il tema, magari prima in sede informale e, successivamente, in sede formale.
Per quanto riguarda i principi contabili internazionali, mi sia consentito affermare che l'argomento ci perseguita da tempo. Mi preoccupano molto i problemi che potranno porsi quando cominceremo a svolgere attività di controllo sui soggetti che predispongono il bilancio secondo tali princìpi, perché la loro applicazione lascia ampi spazi interpretativi e può creare problemi dal punto di vista della documentazione. A seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 2, comma 26, del decreto-legge n. 225 del 2010, l'articolo 4 del decreto legislativo n. 38 del 2005 prevede, con riferimento ai principi contabili internazionali adottati con regolamenti UE entrati in vigore successivamente al 31 dicembre 2010, che con decreto del Ministro della giustizia, emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei regolamenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, acquisito il parere dell'Organismo italiano di contabilità e sentiti la Banca d'Italia, la Consob e l'Isvap, sono stabilite eventuali disposizioni applicative volte a realizzare, ove compatibile, il coordinamento tra i principi medesimi e la disciplina di cui al codice civile, con particolare riguardo alla funzione del bilancio di esercizio.
La possibilità di non applicare integralmente i principi contabili internazionali è, per noi, fondamentale. Avere come riferimento l'OIC va benissimo, anche in termini di interpretazione, ma credo che ciò richieda una norma. L'OIC può aiutarci a non importare, per così dire, principi che potrebbero stravolgere il nostro sistema fiscale. Peraltro, alcuni di essi hanno riflessi civilistici particolarmente delicati, che potrebbero creare difficoltà in sede di analisi dei bilanci.
Su questo punto sono pienamente d'accordo. Del resto, ho sempre manifestato perplessità in merito all'applicazione dei principi contabili internazionali.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Mi scusi, dottor Befera, ma mi permetto ancora di raccomandarle, senza voler in alcun modo interferire con il suo lavoro, perché è lei il direttore dell'Agenzia, che sull'aspetto del lavoro clandestino, soprattutto orientale, sia aperta un'indagine approfondita. Mi creda: dietro alcuni settori - mi riferisco al manifatturiero, e all'abbigliamento in particolare - si cela un preoccupante


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retroterra di criminalità. Ovviamente, non spetta a voi intervenire su questo aspetto. Tuttavia, esso è foriero di tanti problemi in molteplici settori della vita sociale ed economica.
I soggetti di cui stiamo parlando sembrano tutti uguali, hanno nomi molto somiglianti e non si distinguono l'uno dall'altro; non si manifestano nella vita sociale, perché non se ne trova uno in ospedale o in farmacia, e nessuno muore, però esistono.
Ci sono altre situazioni che non destano preoccupazioni, rispetto alle quali abbiamo un'opinione diversa, ma i predetti soggetti stanno veramente mettendo in difficoltà - lei ha svolto alcune considerazioni estremamente interessanti sull'aspetto della concorrenza sleale - le aziende sane, che non riescono a competere con loro.

ATTILIO BEFERA, Direttore dell'Agenzia delle entrate. Ne siamo perfettamente consapevoli, tanto è vero che ci stiamo già muovendo in merito. Il problema non riguarda soltanto noi, ma anche l'Agenzia delle dogane, la Guardia di finanza e gli organi preposti all'ordine pubblico. Credo che, da quest'ultimo punto di vista, l'evasione fiscale sia l'ultimo dei problemi e, in ogni caso, trascenda le possibilità operative delle forze dell'ordine.
A proposito dell'eliminazione, dal 1o luglio, della cartella di pagamento, derivante dalla concentrazione della riscossione nell'accertamento, di cui all'articolo 29 del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale dispone che l'atto di accertamento diventa esecutivo decorsi sessanta giorni dalla notifica, premetto che l'istituto della cartella di pagamento, nato nell'Ottocento presso l'Impero austroungarico e importato nella nostra legislazione a seguito dell'Unità d'Italia, è uno strumento superato che crea soltanto problemi, tra i quali quelli della doppia notificazione (dell'atto di accertamento e della cartella) e dei tempi di esecuzione alquanto lunghi.
È vero che la recente riforma comporta un accorciamento drastico dei tempi di riscossione - dai sei agli otto mesi in meno -, ma posso assicurare che useremo la massima cautela. In effetti, abbiamo previsto che debbano intercorrere 90 giorni tra la notifica dell'accertamento e l'avvio delle attività esecutive. Faremo in modo che, specialmente nella fase di prima applicazione, i tempi siano molto più graduali.
È chiaro che bisogna migliorare il livello di efficienza della giustizia tributaria, perché il problema si sposta, sostanzialmente, in sede giurisdizionale. Bisogna ragionare, tra l'altro, sui tempi e sulle modalità di sospensione della riscossione da parte degli organi della giustizia tributaria. In proposito, credo che una riforma di tale materia - che non sta all'Agenzia delle entrate prospettare, anche perché siamo controparte dei contribuenti nei giudizi promossi avverso i nostri atti di accertamento - debba essere portata avanti. Piuttosto che rimanere attestati su strumenti ottocenteschi, credo sia opportuno stimolare riforme volte a migliorare e rendere più efficiente il sistema fiscale nel suo complesso, compreso il settore della giustizia tributaria.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta (vedi allegato), e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,35.

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