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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (I e XI)
1.
Mercoledì 5 novembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 2

Audizione del Ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bruno Donato, Presidente ... 2 10 20
Amici Sesa (PD) ... 16
Carfagna Maria Rosaria, Ministro per le pari opportunità ... 2
Gatti Maria Grazia (PD) ... 10
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 12
Lanzillotta Linda (PD) ... 20
Mattesini Donella (PD) ... 13
Saltamartini Barbara (PdL) ... 18
Volpi Raffaele (LNP) ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E XI (LAVORO)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 5 novembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna, sulle linee programmatiche.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna, sulle linee programmatiche.
Ringrazio, a nome mio, di tutta la Commissione lavoro e del suo presidente, il Ministro per essere intervenuto e le do subito la parola.

MARIA ROSARIA CARFAGNA, Ministro per le pari opportunità. Signor presidente, onorevoli colleghi, nel ringraziarvi per darmi oggi l'opportunità di esporre le linee programmatiche del Ministero che mi pregio di servire, vorrei innanzitutto puntualizzare, con piacere, che alcune mie proposte, di cui relazionerò a breve, sono già state anticipate e realizzate nei provvedimenti legislativi che sono stati approvati dal Consiglio dei ministri e portati all'esame del Parlamento.
Fin dall'inizio del mio impegno governativo, ho ritenuto prioritario e doveroso predisporre due disegni di legge in materia di violenza contro le donne.
Ho presentato, con il Ministro della giustizia, il disegno di legge recante «Misure contro gli atti persecutori» e il disegno di legge recante «Misure contro la violenza sessuale».
Il primo è stato predisposto per fornire una risposta concreta nella lotta contro la violenza, perpetrata specie sulle donne, sotto forma del cosiddetto stalking (letteralmente: fare la posta), fenomeno in costante aumento ed in relazione al quale l'ordinamento non è in grado di assicurare un presidio cautelare e sanzionatorio efficace.
Una risposta ferma rispetto a comportamenti assillanti, ripetuti, intrusivi, di sorveglianza e di controllo che colpiscono le donne.
Il disegno di legge si propone come obiettivo primario quello di sanzionare tutti quei comportamenti che troppo spesso sono sottovalutati dal sentire comune e che si sostanziano in vere e proprie persecuzioni: seguire, spiare, mantenere la sorveglianza nei pressi dell'abitazione della vittima; telefonare continuamente, lasciare messaggi sulla macchina o sulla porta di casa. Le statistiche ci dicono che i «persecutori» sono i più pericolosi per la possibilità che lo stalking degeneri in atti di violenza fisica sulla vittima. Noti episodi di cronaca, purtroppo, confermano quanto sto dicendo.
Attualmente il provvedimento è all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati. Per domani, 6 novembre,


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è previsto l'inizio delle votazioni degli emendamenti presentati. Mi auguro che, quanto prima, tale fase dibattimentale possa concludersi per procedere all'esame in Assemblea del testo licenziato dalla Commissione.
Il disegno di legge «Misure contro la violenza sessuale», anch'esso all'esame in Commissione giustizia della Camera, vuole rafforzare la tutela penale contro la violenza sessuale, ed a tal fine introduce aggravanti connesse alle modalità di azione del colpevole e impone l'aumento della pena in caso di recidiva, introducendo meccanismi volti ad accelerare i tempi di giudizio e la certezza della pena.
Solo negli anni 2004-2006 si sono verificati 118 mila casi di violenza sessuale e purtroppo, con particolare riguardo all'evoluzione del fenomeno nell'ultimo triennio, a subire le violenze sono state sempre più spesso le ragazze giovani.
Il fenomeno della violenza contro le donne non deve essere visto come un problema solo delle donne, ma come un problema culturale che investe l'intero Paese e come tale va affrontato, tenendo alta l'attenzione sull'argomento.
Sono certa che, in uno spirito di confronto costruttivo e migliorativo si possa giungere ad una rapida approvazione di entrambi i provvedimenti. Una volta divenuti legge, costituiranno un nuovo punto di partenza per un diverso rapporto tra i generi fondato sul rispetto.
È, peraltro, di tutta evidenza come contrastare il fenomeno della violenza contro le donne voglia dire tutelare i minori, spettatori spesso passivi di una violenza contro le loro madri.
Proprio per assicurare l'attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti ho fortemente voluto che venisse predisposto uno schema di disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri il 1o agosto 2008, volto ad istituire, anche in Italia, un «Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza», organo monocratico dotato di indipendenza ed autonomia, figura che già esiste in molti Paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svezia).
L'istituzione di tale figura è richiesta da molte convenzioni internazionali ed europee ed è in linea con quanto previsto dalla Costituzione.
Il disegno di legge, su cui si attende il parere della Conferenza Stato-regioni, istituirà quindi una figura atta a garantire informazioni, accertamenti e controlli per tutelare i diritti e l'ascolto dei minori, in conformità a quanto previsto dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77.
Il provvedimento legislativo prevede che il Garante, la cui nomina è affidata all'intesa dei due Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, eserciti la sua attività a favore dei diritti dei minori mediante compiti di proposta, consultivi, di informazione e di ascolto dei minori.
Il Garante svolge le proprie funzioni in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione.
In particolare, tra i compiti di proposta è riconosciuta al Garante la possibilità di proporre l'adozione di iniziative, anche legislative, per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell'infanzia.
Tra i compiti consultivi si segnalano: il parere sul piano nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti dell'infanzia; il parere sui disegni di legge e sugli atti normativi del Governo in materia di infanzia e di adolescenza; il parere sul rapporto che il Governo presenta periodicamente al Comitato dei diritti del fanciullo secondo quanto previsto dalla Convenzione di New York.
Tra i compiti di informazione si evidenziano le iniziative di sensibilizzazione e diffusione della conoscenza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e la relazione annuale che il Garante deve presentare al Parlamento entro il 30 aprile di ciascun anno.
Inoltre, tra i compiti di ascolto è previsto che il Garante assicuri forme idonee


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di consultazione e collaborazione con tutti i soggetti interessati alla tutela dell'infanzia e dell'adolescenza, compresi i minori, le associazioni familiari, con particolare riferimento a quelle nel settore dell'affido e dell'adozione, nonché tutte le organizzazioni non governative operanti nell'ambito della tutela e della promozione dei diritti dei minori.
Nello svolgimento della propria attività, il Garante può, altresì, richiedere alle pubbliche amministrazioni nonché a qualsiasi soggetto pubblico informazioni rilevanti ai fini della tutela dei minori. Per il medesimo scopo il Garante può, previo consenso del Garante per la protezione dei dati personali, richiedere a soggetti pubblici l'accesso a banche dati o archivi.
Sempre in tema di tutela dei minori, mi preme fare un cenno all'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, la cui istituzione pone il nostro Paese all'avanguardia nell'ambito delle politiche di prevenzione e contrasto al turpe fenomeno dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori.
L'Osservatorio ha svolto, tra gli altri, l'importante compito di rappresentare l'Italia nella negoziazione della nuova Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale.
La Convenzione è stata aperta alla firma a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e l'Italia è fra i Paesi firmatari. Il Ministero, con il coinvolgimento diretto dell'Osservatorio, intende ora seguire l'iter di ratifica della Convenzione da parte dell'Italia.
Scopo della Convenzione è quello di creare fra gli Stati membri un sistema omogeneo di protezione dei minori contro i crimini di sfruttamento sessuale e abuso sessuale.
La Convenzione affronta sistematicamente le tematiche relative alla protezione dei minori, introducendo principi generali, prevedendo misure preventive e autorità specializzate per la protezione dei minori nonché specifici programmi di intervento a protezione e assistenza delle vittime.
Molte previsioni saranno dedicate alla modifica della normativa penale sostanziale interna, quale l'introduzione di una disciplina speciale della prescrizione per i reati di sfruttamento sessuale, tratta, abuso sessuale, prostituzione, commessi in danno di minori, l'estensione dell'inescusabilità dell'ignoranza dell'età della vittima (già prevista per la violenza sessuale, relativamente a vittima minore dei 14 anni) ai reati di schiavitù, tratta, prostituzione minorile, sfruttamento sessuale, commessi in danno di minori.
Ulteriori modifiche riguardano il sistema delle indagini e le modalità di svolgimento del processo penale, con riferimento, in particolare, alla registrazione e raccolta dei dati, al monitoraggio del fenomeno e soprattutto alla cooperazione internazionale per combattere la dimensione transnazionale di certi reati, quali quelli commessi attraverso Internet.
Il disegno di legge di ratifica costituirà un ulteriore strumento per elaborare nuove misure di contrasto allo sfruttamento sessuale e all'abuso sessuale dei minori per affrontare in campo internazionale la tematica della pedopornografia virtuale.
Per rendersi conto della dimensione del fenomeno, basti pensare che, secondo l'UNICEF, sulla rete sono veicolate, ogni anno, più di un milione di immagini di bambini e bambine abusate.
Lo sfruttamento sessuale è strettamente collegato al disegno di legge recante «Misure contro la prostituzione», proposto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno ed approvato dal Consiglio dei Ministri l'11 settembre 2008.
Il provvedimento, attualmente all'esame delle Commissioni riunite 1a e 2a del Senato, si pone come obiettivo quello di contrastare efficacemente il fenomeno della prostituzione di strada ed il suo sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali.
È proprio la prostituzione di strada che, oltre a creare il maggior allarme sociale, si presta a forme di sfruttamento da parte della criminalità organizzata.
Il tema della prostituzione è da sempre assai controverso per le sue implicazioni etiche, culturali e di ordine pubblico.


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Il Governo e le istituzioni non possono rimanere indifferenti di fronte alle condizioni di miseria sociale e morale in cui in prevalenza si consuma il fenomeno della prostituzione, bensì hanno il dovere di intervenire attraverso misure che, in primo luogo, tutelino la dignità ed i valori della persona umana e la sua libertà di determinazione ed, inoltre, prevengano le cause di un diffuso allarme per l'ordine pubblico e la sicurezza.
Per questo motivo il disegno di legge intende colpire con la stessa sanzione prevista per chi esercita la prostituzione, chi, per strada o nei luoghi aperti al pubblico, si avvale della stessa o contratta le prestazioni delle persone che si prostituiscono così alimentando il mercato della prostituzione e le organizzazioni criminali ad esso sottese.
Il provvedimento dedica particolare attenzione anche alla prostituzione minorile purtroppo sempre più diffusa ed esercitata in special modo da persone straniere. Viene interamente riscritto l'articolo 600-bis del codice penale, tenendo conto degli obblighi assunti con la già menzionata Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote, meglio delineando la condotta dello sfruttamento della prostituzione minorile, chiarendo che l'utilità, anche se solo promessa, in cambio della quale il minore compia atti sessuali può anche essere non economica, rivedendo il regime delle circostanze ed aumentando le relative pene per l'induzione.
Viene inoltre stabilito l'obbligo di rimpatrio dei minori stranieri non accompagnati, al fine di realizzare il loro ricongiungimento familiare.
Come noto, la procedura di rimpatrio assistito prevista dall'articolo 33, comma 2-bis del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulle condizioni dello straniero si applica esclusivamente ai minori extracomunitari.
Tuttavia, poiché, essa presenta delle caratteristiche, in termini di protezione del minore, di raggiungimento delle finalità di ricongiungimento alla famiglia di origine e della salvaguardia dell'unità familiare, ho ritenuto opportuno presentare un emendamento all'Atto Senato 733 recante «Misure in materia di sicurezza pubblica» per estendere la procedura del rimpatrio assistito anche ai minori cittadini dell'Unione europea che esercitano la prostituzione, quando ciò risponda all'interesse dello stesso minore, fermo restando il rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo.
Diritti delle donne e diritti dei bambini e delle bambine costituiscono, pertanto, il denominatore comune delle iniziative poste in essere dal Ministero per le pari opportunità.
Tra i diritti delle donne, ritengo molto importante tutelare quello all'inserimento nel mercato del lavoro, senza dimenticare il parallelo diritto alla maternità ed alla cura dei figli. È a questo scopo che sento la necessità di individuare concrete soluzioni finalizzate ad una maggiore conciliazione dei tempi di cura e di lavoro.
Il Ministero per le pari opportunità sta lavorando insieme al Ministero del lavoro, al sottosegretariato alla famiglia ed al Ministero dell'economia, ad una nuova disciplina sulla conciliazione che possa favorire le donne che lavorano, non sempre in grado di sostenere la libera scelta di essere madri e lavoratrici al tempo stesso. Oggi nel nostro Paese avere un figlio è divenuto quasi un atto di eroismo per l'insufficienza di quei servizi che aiutano le donne a crescere i propri figli permettendo loro, contemporaneamente, di trovare una gratificazione - personale ed anche economica - nel proprio lavoro.
A questo proposito abbiamo chiesto di inserire nel Programma nazionale di riforma 2008-2010 sulla rinnovata Strategia di Lisbona: un programma organico di semplificazione e deregolazione del lavoro che, senza abbassare il livello di tutela del lavoratore e della lavoratrice, è rivolto a liberare sia l'impresa sia il prestatore d'opera da adempimenti burocratici e formali e a facilitare così l'occupazione riducendone i costi indiretti; un pacchetto di misure in grado di favorire una maggiore


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flessibilità degli orari e dei tempi di lavoro, a partire dallo sviluppo del part time, secondo standard europei; un potenziamento dei servizi alla persona, nonché la possibilità di riprofessionalizzazione della donna che decide di rientrare in un'attività lavorativa dopo anni di lavoro di cura nell'ambito del nucleo familiare; una politica di sostegno alla famiglia in una logica di sussidiarietà e di integrazione delle politiche pubbliche di sicurezza sociale in raccordo con il sistema privato e del terzo settore.
Sempre in materia di conciliazione, ho avuto modo di confrontarmi con il Ministro francese per il lavoro, la famiglia e la solidarietà, Xavier Bertrand, circa l'esperienza maturata in Francia, in merito alle politiche attuate per favorire i servizi all'infanzia, quali asili nido, baby sitter a domicilio e potenziamento del part time, servizi che possano aiutare le donne a pronunciare il doppio sì, alla maternità e al lavoro.
Come è noto, l'Agenda di Lisbona (2000) ha stabilito che entro il 2010 gli Stati membri dovranno raggiungere la soglia del 33 per cento di posti disponibili negli asili nido (fascia di età 0-3 anni). Attualmente l'Italia si trova al 9,9 per cento.
I dati Eurostat dimostrano che in Italia gli asili nido sono pochi, costano molto e sono disponibili soprattutto nelle regioni del centro nord. I sussidi agli asili pubblici sono più bassi rispetto a quelli offerti in altri Paesi. Il numero di posti di asili nido (sia pubblici che privati) è tra i più bassi d'Europa: meno del 10 per cento contro più del 50 per cento in Danimarca e 35-40 per cento in Svezia e in Francia. Gli orari degli asili pubblici sono più limitati rispetto a quelli offerti in altri Paesi e l'offerta di asili nido «aziendali» è la più bassa, anche se, come è stato dimostrato, gli asili sul posto di lavoro incentivano il lavoro femminile. E ancora, nelle regioni dove il tasso di disoccupazione femminile è più alto si osserva un'offerta dei servizi all'infanzia inadeguata che scoraggia, al contempo la stessa domanda di servizi e quella di occupazione. Al sud, infatti, meno di un terzo delle madri di bambini fino a tre anni dichiara di avere un'occupazione, contro i due terzi delle mamme del centro nord.
Maternità, occupazione femminile, conciliazione dei tempi di cura e di lavoro non possono quindi prescindere da politiche finalizzate ad incrementare i servizi socio educativi per l'infanzia.
Per conseguire effetti importanti è necessario intervenire con nuove azioni politiche a sostegno della maternità e compiere un primo passo verso il raggiungimento della soglia fissata nella strategia di Lisbona.
Da recenti indagini svolte sul tema emerge che un'elevata proporzione di famiglie italiane non usa l'asilo nido perché costoso, di bassa qualità ma soprattutto perché prevale comunque l'idea che i figli piccoli crescano meglio in ambienti familiari.
È innegabile il ritardo del nostro Paese sia sul versante degli strumenti di incentivazione e rafforzamento dell'occupazione femminile, sia sulla struttura di welfare che sottende ad una politica di sostegno al lavoro femminile.
Riporto alcuni dati - dei quali sarete sicuramente a conoscenza - a conferma di quanto appena affermato: il tasso di occupazione femminile è pari al 46,6 per cento (dati ISTAT dicembre 2007); tra il 3 per cento e il 5 per cento di donne all'interno dei consigli di amministrazione; 21 per cento di donne presenti alla Camera; 18,01 per cento di donne presenti al Senato; 31,1 per cento di occupazione femminile al sud; 55,3 per cento di occupazione femminile al nord; 70,5 per cento occupazione maschile; solo il 75,8 per cento delle donne italiane laureate lavora per il mercato, meno di quanto accade in tutti gli altri Paesi europei.
Desidero soffermarmi, in particolare, sui dati riguardanti la leadership femminile.
I famosi «soffitti di cristallo» che limitano in forme sottili e quasi invisibili la carriere e l'affermazione professionale delle donne. Alcune ricerche empiriche molto mirate su un campione di aziende


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francesi hanno mostrato che sia la leadership femminile, sia la semplice diversità nella leadership (ossia la compresenza di uomini e donne in ruoli guida) tendono a produrre risultati positivi rispetto a una lunga serie di indicatori di performance aziendale.
Un gruppo di ricercatori dell'università di Exeter ha recentemente identificato una seconda sindrome, oltre ai soffitti di cristallo, che agisce a sfavore delle donne manager. L'hanno battezzata glass cliff (letteralmente scogliera di cristallo o, meglio, precipizio di cristallo): alle donne vengono affidati compiti di leadership organizzativa collegati a un alto rischio di critica, impopolarità e fallimento. Questa sindrome penalizza le donne due volte: rende più difficili i compiti, e dunque il successo, delle donne che accedono a posizioni dirigenziali e rinforza i pregiudizi negativi nei loro confronti.
La platea delle donne da valorizzare (quelle che non lavorano) è più della metà di tutte le donne in età da lavoro: sotto questo profilo il Mezzogiorno può essere considerato una miniera di capitale umano inutilizzato. Per l'economia italiana «è tempo di donne», più precisamente, tempo di più donne occupate, di più famiglie con due percettori di reddito, di più talenti femminili, scoperti e valorizzati.
L'aumento della partecipazione femminile nel mondo del lavoro deve diventare la priorità numero uno della nostra politica economica e sociale.
Come è stato sottolineato da più parti, il lavoro delle donne è un potenziale inespresso che deve essere ben utilizzato e per farlo è necessario un superamento culturale di pregiudizi ed ostacoli.
Se le donne italiane fossero occupate come gli uomini l'economia del Paese ne trarrebbe un beneficio straordinario poiché il PIL farebbe un balzo del 17 per cento, cioè circa 260 miliardi di euro.
La differenza tra l'Italia e gli altri Paesi europei è rilevante. Nel 2006 l'occupazione femminile è inferiore di 11 punti rispetto alla media europea. Siamo davanti solo a Ungheria, Malta e Polonia.
Finora nel nostro Paese le donne hanno dato molto e ricevuto poco.
Un ritardo dovuto sia ad un welfare vecchio, sia ad una rigidità della società. In un contesto ostile le donne hanno retto grazie alle reti informali: madri, sorelle, nonne che tengono i bambini. Oggi, tuttavia, c'è una crisi strutturale di quelle reti: le nonne hanno a loro volta una madre anziana da accudire.
Il 73 per cento del lavoro familiare cade sulle spalle delle donne.
Per tali motivi, ripongo molta fiducia nello studio di misure volte favorire la conciliazione dei tempi di cura e di lavoro, per sostenere il diritto alla maternità, per tutelare tutte la categorie di lavoratrici, in particolare quelle autonome: dalle libere professioniste, alle co.co.co, alle lavoratrici agricole e alle artigiane. Sono, inoltre, allo studio misure finalizzate a favorire l'occupazione femminile nelle piccole e medie imprese.
Tutelare le donne, le lavoratrici, le madri, le bambine significa anche garantire il loro diritto alla salute.
Poiché ritengo che le iniziative in materia di tutela della salute femminile debbano far parte di un progetto più ampio che affronti tutti gli ambiti della salute femminile per tutto l'arco della vita di una donna, il Ministero per le pari opportunità sta esaminando, d'intesa con le altre amministrazioni interessate, la fattibilità di alcuni progetti affinché il diritto alla salute delle donne diventi sempre più un effettivo diritto per tutte le donne. Mi riferisco, ad esempio, ai tumori femminili.
Ogni anno 34 mila italiane si ammalano di cancro al seno. Sento pertanto il dovere di intraprende azioni concrete per tutelare la salute delle donne. È necessaria quindi una diffusione a tappeto di campagne di prevenzione corrette ed esaustive su tutto il territorio nazionale, senza alcuna distinzione tra nord, sud e centro della penisola, perché il primo passo per vincere la malattia è la diagnosi precoce, la migliore alleata delle donne.
Ho poi istituito una commissione di studio avente, tra gli altri, il compito di promuovere azioni positive volte ad offrire


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pari opportunità ai pazienti affetti da malattie neoplastiche e di implementare le strutture dedicate, le profilassi adeguate e la tempestività nella diagnosi e nella cura, nonché di avanzare proposte per una corretta informazione, prevenzione e trattamento delle patologie psichiatriche.
Penso alla depressione, male oscuro che colpisce le donne, da sempre considerata un problema femminile, spesso curata con i farmaci, ritenendola collegata a cause biologiche. Un recente studio ha rilevato che le principali cause della depressione femminile sono anche ambientali: le donne patiscono di più lo stress sul lavoro perché hanno meno riconoscimenti e perché sopportano anche il lavoro domestico. Prendersi cura della salute delle donne è, pertanto, non solo necessario bensì doveroso.
È con grande piacere che segnalo, altresì, il nuovo accordo raggiunto tra Governo e assessori regionali alla sanità sui nuovi livelli essenziali di assistenza, le prestazioni erogate gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale.
Tra le novità vi rientrano la vaccinazione contro il papilloma virus, le prestazione sanitarie per le malattie rare ed il parto indolore, con l'epidurale che, dopo anni di polemiche, entra nell'elenco delle prestazione gratuite.
L'intesa di massima dovrà, ovviamente, passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni.
Nel programma del mio Ministero assumono rilevanza le politiche per il bilancio di genere.
Il bilancio di genere è uno strumento di governo per verificare l'impatto, sulle donne e sugli uomini, delle politiche intraprese nella formazione del bilancio pubblico.
In considerazione delle disuguaglianze sociali ed economiche che tuttora insistono su donne e uomini, verificare quale ricaduta le decisioni fiscali e di spesa attuino rispetto ad essi, contribuisce alla definizione di una azione di governo maggiormente equa, efficace ed efficiente.
Il bilancio di genere permette di coniugare obiettivi di equità sociale e partecipazione democratica con obiettivi di crescita del sistema economico e sociale.
L'approccio sistematico e trasversale a ogni area di intervento politico consente inoltre di realizzare pienamente la strategia del gender mainstreaming, pilastro delle politiche di parità dell'ONU e della UE.
La considerazione che le politiche pubbliche non possono essere «neutre» rispetto ai due generi ma vi sono degli impatti su uomini e donne che, nella maggior parte dei casi, non vengono valutati adeguatamente in fase di programmazione comporta, da un lato, il permanere delle situazioni di discriminazione per soggetti che spesso già vi si trovano e, dall'altro, la scarsa volontà di chi è chiamato a compiere la programmazione, ad affrontare e risolvere situazioni di questo tipo.
Il richiamo esplicito al gender budgeting nel documento redatto dall'ONU a chiusura della IV Conferenza mondiale di Pechino nel 1995, ne ha determinato il riconoscimento di strumento di governo permanente e non più solo sperimentale.
Il Ministero per le pari opportunità ha seguito con attenzione le esperienze e i risultati raggiunti nelle province, comuni e regioni che hanno già sperimentato l'adozione del bilancio di genere ed intende favorire l'estensione di tali sperimentazioni a settori sociali sensibili quali la sanità e la pubblica istruzione, sulla base di azioni condivise con quelle amministrazioni pubbliche che andrà a coinvolgere.
L'impegno del Ministero non mancherà, poi, sul fronte della lotta alle discriminazioni in base alla disabilità.
Con la legge n. 67 del 2006, recante «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni» sono stati introdotti nel nostro ordinamento gli strumenti giuridici idonei a garantire l'effettiva parità di trattamento e a promuovere pari opportunità per le persone disabili, estendendo la particolare tutela giurisdizionale già prevista per le persone con disabilità vittime di discriminazioni in ambito lavorativo a tutte le situazioni che si configurano come tali.


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A tale proposito segnalo che si sta lavorando alla ricostituzione della commissione per la valutazione degli enti legittimati ad agire in giudizio.
Data la rilevanza connessa all'introduzione di ulteriori strumenti giuridici nel nostro ordinamento volti a garantire l'effettiva parità di trattamento e a promuovere pari opportunità per le persone disabili, si pensa di organizzare una giornata di studio in materia di tutela della disabilità, con le associazione del privato-sociale.
Non meno importante è l'attenzione che si intende rivolgere alle numerose problematiche sollevate dai disabili e loro familiari attraverso tantissime e-mail e telefonate inoltrate al Dipartimento per le pari opportunità, al fine di individuare alcune linee di intervento più urgenti.
Inoltre, ulteriore fattore di discriminazione, ben presente nell'ottica di tutela approntata dal Ministero, è quello relativo al delicato fenomeno di disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale, fenomeno che non può prescindere da una accurata valutazione che non mancherà di essere concordata con i vari soggetti pubblici e privati interessati. Tutto l'impegno necessario sarà profuso nel contrasto a questo fenomeno.
Per quanto riguarda il fenomeno dell'immigrazione, occorre la consapevolezza che è necessario dotarsi, da un lato, di strumenti che consentano una corretta gestione dell'immigrazione legale, in modo da contribuire a soddisfare i bisogni del mercato del lavoro e offrire un'alternativa concreta alla clandestinità, al suo sfruttamento, all'economia sommersa e al traffico di esseri umani; dall'altro di politiche antidiscriminatorie e per la parità dei diritti, le quali possono spiegare un ruolo determinante per eliminare alcuni degli ostacoli cui devono far fronte gli immigrati e i loro discendenti lungo la via dell'integrazione.
Questi sono i principi fondamentali che costituiscono il quadro generale all'interno del quale ha operato sinora l'Italia e il Ministero per le pari opportunità, e che si intendono sviluppare in pieno nei prossimi anni, in modo tale da poter concorrere a realizzare una strategia equilibrata e coerente, sia a livello nazionale che europeo, unica in grado di far cogliere le opportunità offerte dall'immigrazione e, nel contempo, combatterne le sfide rappresentate da pratiche «assassine», come lo sfruttamento delle persone in condizioni di clandestinità o irregolarità e la tratta.
In tale prospettiva si intende quindi proseguire e portare a nuovi avanzamenti l'attività finalizzata a realizzare un approccio alle politiche in tema di immigrazione che prenda sistematicamente in considerazione la dimensione di genere e, più in generale, l'ottica della parità di trattamento.
Prosegue, in questo quadro, l'attività dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 215, in attuazione della direttiva 2000/43/CE, avente l'obiettivo di garantire la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla loro origine etnico-razziale.
Quale presidio di garanzia per una società interculturale, in condizioni di piena imparzialità ed autonomia, l'Ufficio ha il compito di promuovere la parità di trattamento e l'eliminazione di ogni forma di discriminazione basata sulla razza o l'origine etnica, considerando anche il diverso impatto che le stesse hanno su donne e uomini ed il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale o religioso.
I compiti che il legislatore ha assegnato all'UNAR e che intendo perseguire possono essere riassunti in tre principali linee di attività: la prima categoria di attività ha lo scopo di eliminare ogni situazione di discriminazione, fornendo assistenza alle vittime nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi o svolgendo inchieste al fine di verificare l'esistenza di comportamenti discriminatori, sempre nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria; la seconda categoria ricomprende tutte le attività volte a prevenire, attraverso campagne di sensibilizzazione, anche in ambito lavorativo, ogni comportamento o azione a contenuto discriminatorio; in


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conformità con i programmi comunitari, come terza area di competenza, l'Ufficio ha il compito di promuovere azioni positive, come anche studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, anche in collaborazione con associazioni e istituti specializzati di rilevazione statistica oltre che con organizzazioni non governative, in ordine alla elaborazione di linee guida in materia di lotta alle discriminazioni. Vale la pena, infine, menzionare le attività di monitoraggio sistematico svolte dall'Ufficio in ordine all'implementazione del principio della parità di trattamento, con la predisposizione di due rapporti annuali inviati rispettivamente al Parlamento ed al Presidente del Consiglio dei ministri.
Attribuisco molta importanza all'attività dell'UNAR, tanto che riterrei opportuna una estensione dei suoi compiti anche nella lotta contro discriminazioni diverse da quelle etnico- razziali.
Stiamo studiando la praticabilità di tale estensione alla luce dell'attuale normativa. Sarebbe un notevole passo in avanti nel cammino a favore della parità e delle pari opportunità, nella costruzione di una società che possa concretamente garantire eguali diritti e ridurre ogni forma di discriminazione ancora esistente.
Nel ringraziarvi per l'attenzione, l'occasione mi è gradita per rivolgere a tutti i presenti l'augurio di una proficua e costruttiva collaborazione reciproca, grazie alla quale sarà possibile rendere il concetto di «pari opportunità per tutti» patrimonio comune e condiviso da cittadini, istituzioni e intero Paese. Non dubito, infatti, che il raccordo tra Parlamento e Ministero per le pari opportunità sarà foriero di nuove idee sotto il segno di tale rinnovamento. Ed è per questo che va a tutti voi un sincero augurio di buon lavoro.

PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo lei.
Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARIA GRAZIA GATTI. In modo preliminare, vorrei ringraziare la Ministra per la sua presenza e per averci esposto il suo piano di intervento. Vorrei sottolineare, tuttavia, che questo incontro mi sembra tardivo, proprio per la specificità del Ministero che lei presiede e per le caratteristiche che le politiche delle pari opportunità presentano.
Ministro, lei ha parlato esplicitamente di mainstreaming che significa un'articolazione in tutti i provvedimenti. Personalmente, avrei voluto discutere con lei di una serie di provvedimenti che, purtroppo, sono già state adottati e che hanno un segno estremamente punitivo nei confronti delle donne.
Facendo parte della Commissione lavoro, mi riferisco a tutti i provvedimenti assunti sulle questioni attinenti al lavoro.
Riporto un elenco in proposito e spero che ci sia la possibilità di porre rimedio a qualcuno di essi.
Sono assolutamente d'accordo con lei sul fatto che uno degli elementi essenziali, che caratterizza la crisi italiana, sia la scarsità di lavoro femminile e, più in generale - questo è un elemento che mi preoccupa particolarmente -, la povertà femminile e infantile. A mio parere, tali fenomeni sono assolutamente legati alla mancanza di lavoro e allo scarso inserimento lavorativo delle donne.
È proprio rispetto a questo problema e al modo di affrontarlo che leggo con grande preoccupazione alcuni dei provvedimenti assunti da questo Parlamento, a partire dal decreto-legge n. 112 convertito nella legge n. 133 del 2008.
Ad ogni modo, ora vorrei entrare nel merito della questione.
Uno dei primi atti di questo Governo è stata la cancellazione della legge n. 188 del 2007. Ministra, quella norma contro le dimissioni in bianco era stata votata all'unanimità dal Parlamento.
A questo proposito, per giustificare tale abrogazione, si è fatto riferimento ad una serie di elementi, come l'eccessivo peso burocratico delle procedure e via discorrendo. Se il problema era di questo tipo, sarebbe stato sufficiente intervenire sulle procedure. Il punto è che è stata semplicemente cancellata la legge che impediva,


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o tentava di contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, che riguarda le donne (soprattutto quelle del sud impiegate nelle lavorazioni tessili o artigianali). Si tratta di una vergogna nazionale, che in questo modo noi ripristiniamo.
In secondo luogo, sono d'accordo con lei sul fatto che esista un problema di conciliazione molto forte. Mi chiedo tuttavia come si giustifichino, ad esempio, all'interno del disegno di legge A.C. 1441-quater tutti i provvedimenti relativi al part time, che in qualche modo pongono dei paletti e rendono per le donne più complicato il ricorso a uno strumento di questo tipo.
Continuo il mio elenco, citando altre misure che sono state assunte, come la cancellazione di alcune procedure in atto per la stabilizzazione dei posti di lavoro e l'abrogazione delle norme che autorizzano una serie di regolarizzazioni, all'interno per esempio dei call center.
Parliamo di lavori tipicamente femminili. Questo è un problema, per quel che riguarda la possibilità per le donne di accedere al mondo del lavoro.
Vorrei porle ancora qualche domanda. Le chiedo se fosse possibile avere un suo giudizio, da questo punto di vista, sulle politiche delineate all'interno del Libro verde, perché a mio avviso, anche in esso viene portato un attacco fortissimo al ruolo delle donne e si riprospetta per loro una vita fatta di assistenza e di cura della famiglia. Non dico che questa non possa essere una libera scelta, ma secondo me non deve neanche essere un destino. Forse, quindi sarà il caso di riflettere con particolare attenzione su tale aspetto.
Vengo ora agli ultimi due punti che vorrei sollevare. Un primo elemento della questione riguarda la lotta alle discriminazioni, anche a quelle di razza come lei diceva. Sono assolutamente d'accordo con lei a tal proposito e penso che esistano strumenti molto utili a cui ricorrere.
Tuttavia, Ministro, mi sarei aspettata un intervento, anche non pubblico, all'interno del Consiglio dei ministri, nei gruppi parlamentari, ove lei ritiene più opportuno, per affrontare la questione delle classi-ponte, ad esempio, che ci sono state prospettate in una mozione. Si è addirittura coniato il termine di discriminazione positiva in quel testo. Penso che sarebbe stato veramente necessario un intervento, suo in particolare.
Dal canto nostro, la interrogheremo in modo più specifico su un aspetto in particolare (abbiamo già presentato delle interrogazioni in merito). Mi riferisco alla vicenda della rimozione della consigliera di parità. È la prima volta che questo accade.
A noi sembra una situazione molto grave quella che si è determinata, per due ordini di problemi. In primo luogo, perché un organismo di questo tipo ha funzioni quasi tecniche, di vigilanza contro le discriminazioni e di promozione della parità nel mondo del lavoro.
Pertanto, volerlo riportare sotto l'egida del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, mi sembra abbastanza pericoloso.
In secondo luogo, trovo particolare la motivazione che è stata portata per la rimozione di tale figura: una sorta di atteggiamento non confacente, di lesa maestà o di presa di posizione differente rispetto al Governo.
Vorrei sottolineare che una funzione come quella di vigilanza e di promozione implica, per definizione, la possibilità di non essere d'accordo con dei provvedimenti e di contrastare determinate linee. Proprio per questo motivo, le chiedo di valutare la possibilità di tornare indietro rispetto a questa decisione che mi sembra particolarmente grave.
Infine, Ministro, lei ha affermato di aver avuto contatti con la Francia, con il Ministero francese per una serie di studi e possibilità. Ecco, siccome siamo alle porte del varo di provvedimenti che riguarderanno la famiglia, la fiscalità e via dicendo, la pregherei di chiedere agli istituti di ricerca italiani - ma anche a quelli francesi, perché questa esperienza l'hanno vissuta - una valutazione sul quoziente familiare e sulle sue influenze sull'occupazione femminile in particolare.


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Dico questo, perché sulla base dei dati in nostro possesso, sembrerebbe che certe scelte che vengono fatte, se favoriscono l'impiego femminile nelle situazioni medio-alte, hanno degli effetti deleteri per quel che riguarda i redditi medio-bassi.
Da ultimo, se possibile, vorrei avere da lei - nel prosieguo, chiaramente - un quadro dell'effetto che ha avuto la misura relativa alla detassazione degli straordinari sull'occupazione femminile in generale e sul reddito delle donne occupate in particolare.

MARIALUISA GNECCHI. Anche io mi associo ai ringraziamenti per la presenza della ministra e per la lettura del piano. Intervengo aggiungendo a quanto detto dalla collega che mi ha preceduto che la parte del piano legata alla prostituzione, ovviamente, tocca argomenti molto importanti, come lo sfruttamento delle donne e una situazione contro le donne che da tanti anni viene segnalata.
Ci sembra importante sottolineare inoltre che nel piano si specifica di voler combattere la prostituzione di strada e di voler attuare interventi rispetto alla prostituzione nei luoghi aperti al pubblico. Forse, queste due caratterizzazioni così precise non prendono in considerazione l'ampio aspetto legato alla mercificazione delle donne e al fenomeno in quanto tale.
A nostro avviso, la prostituzione è una realtà da combattere partendo dall'educazione sessuale e anche da una sensibilizzazione rispetto a questo tema, a partire dalle scuole, dall'educazione, da una formazione al rispetto reciproco che abbia e veda come protagonisti sia gli uomini che le donne, sia i ragazzi che le ragazze. Quindi, il concetto di prostituzione dovrebbe essere inteso in senso molto ampio, aldilà del luogo in cui questa avviene.
Quanto al tema della conciliazione, questo è stato fortemente toccato e sviluppato. Per noi diventa fondamentale che la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro veda impegnati sia le donne che gli uomini. Infatti, solo quando si realizzerà una reale pari responsabilità tra uomini e donne all'interno della famiglia e sui luoghi professionali, si riuscirà a ottenere una vera pari opportunità tra uomini e donne.
Da questo punto di vista, la legge n. 125 del 1991, all'articolo 1, punto e), esplicita in modo molto chiaro che occorre favorire la pari responsabilità per uomini e donne sia in ambito professionale, che familiare. Si tratta di una legge del 1991! Sono passati ormai 17 anni, eppure, quando si parla di conciliazione sembra che essa sia rivolta solo alle donne.
Sulle proprie spalle e con le proprie forze, le donne attuano la conciliazione tutti i giorni, quotidianamente. Se si continuasse a ripetere che la conciliazione è rivolta sia agli uomini che alle donne, anche dal punto di vista culturale, forse si riuscirebbe a far capire che anche gli uomini devono farsi carico della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, e quindi potrebbe realizzarsi immediatamente una promozione professionale sui luoghi di lavoro delle donne.
Noi vogliamo far capire agli uomini quanto perdono nel non crearsi degli spazi nell'arco della loro vita quotidiana per dedicarsi con affetto e cura alle persone giovani e agli anziani, nell'ambito della propria famiglia.
Questo dunque è un regalo che vogliamo fare agli uomini e vorremmo essere compensate con la possibilità di fare più carriera all'interno dei luoghi di lavoro, creando uno scambio reciproco che promuova gli uni e le altre sui due terreni nei quali sono normalmente meno ferrati.
La prima legge in materia di parità è stata la n. 903 del 1977. Parliamo quindi di 31 anni fa. In termini di legge, tale norma era mirata più che altro a una pari retribuzione, e quindi si concentrava solo su tale aspetto. Tuttavia, dato che sono passati ormai più di trent'anni e non è più chiaro quel concetto di retribuzione, forse bisognerebbe realmente pensare che tutte le leggi, anche quelle buone, adottate in questi anni dallo Stato andrebbero finanziate. Penso alla legge n. 125 del 1991 e alla n. 215 del 1992, relativa all'imprenditoria femminile.


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Ritengo dunque che bisognerebbe riuscire ad attuare e a dare un finanziamento reale alle leggi che già esistono.
In termini di parità, rispetto alla conciliazione, la legge n. 53 del 2000 è stata sicuramente la prima legge che ha visto i soggetti, uomini e donne, titolari dei congedi parentali, non identificando il padre o l'uomo in alternativa alla madre.
Purtroppo, non vediamo finanziata neanche quella legge che, peraltro, prevede progetti specifici all'interno delle aziende per favorire piani e programmi e ottenere questa pari responsabilità.
Mi riferisco all'articolo 9 della legge n. 53 del 2000, che vorremmo fortemente vedere finanziata.
Inoltre, come ha già detto la collega Gatti, penso anche io che il ruolo della consigliera di parità debba essere ripensato sin dalla sua origine. Deve essere veramente rivisto e rivalutato il modo in cui si era arrivati all'articolo 8 della legge n. 125 del 1991.
Parliamo di una figura che è stata fortemente voluta, proprio perché dal 1977 al 1991 si è visto che non si riusciva a creare una reale parità nei luoghi di lavoro in termini di retribuzione e, ancor meno, in tutti gli altri settori.
Occorreva dunque individuare una funzione e una figura che venisse nominata a livello nazionale dal Ministero del lavoro, con tutto ciò che questo comportava per le regioni, ossia creare i consiglieri di parità regionali, definire il loro ruolo all'interno della Commissione provinciale e regionale per l'impiego e poter ricorrere in giudizio anche senza far ricorso ad altri strumenti.
Poter ricorrere direttamente al pretore del lavoro per combattere le discriminazioni sul lavoro delle donne ha avuto sicuramente una funzione fondamentale.
Se si è arrivati a pensare al ruolo della consigliera di parità, è evidente che le politiche governative o regionali a favore delle donne, o contro le discriminazioni nei confronti delle stesse, non erano sufficienti.
Nella revoca della nomina alla consigliera nazionale di parità si dice esplicitamente che, nel caso di specie, sussiste una mancanza di sintonia con gli indirizzi politici del Governo.
Ebbene, se ripensiamo a come è nata la figura del consigliere di parità, se c'è stato bisogno di creare una funzione di questo tipo, è evidente che occorreva individuare una figura che contrastasse le politiche delle maggioranze a livello provinciale, regionale e di Governo. Altrimenti, non avremmo dovuto inventare una funzione nuova.
Quindi, se ancora, nel nostro Paese, abbiamo bisogno di un Ministero delle pari opportunità - ci piacerebbe non averne necessità, ci piacerebbe che alcune regole fossero date per scontate e che nella vita quotidiana non ci fosse bisogno di rivendicare la parità, né di dover combattere le discriminazioni - è evidente che questo ruolo e questa funzione devono essere dirompenti rispetto alle logiche delle maggioranze, quindi anche del Governo.

DONELLA MATTESINI. Ringrazio anche io la Ministra per la sua presenza e la sua esposizione. Tra l'altro, alla Ministra Carfagna va tutta la mia simpatia politica, perché penso che quello del Ministro delle pari opportunità sia uno dei ruoli più difficili da ricoprire all'interno del Governo.
Del resto, non si tratta di fare annunci, ma di svolgere un ruolo che talvolta è anche antipatico. Infatti, pari opportunità significa anche avere la voglia, l'ostinazione e le alleanze necessarie per far sì che ci sia coerenza con gli obiettivi di cui si è parlato e che ne derivino gli atti conseguenti del Governo.
Dico questo, perché credo che se lei porterà in Parlamento degli atti che vanno in questo senso, troverà l'alleanza delle donne, dal momento che tutte noi teniamo alle politiche delle pari opportunità.
Mi piace ricordare che la legislazione di questo Paese, che è tra le più avanzate a livello internazionale, ha ottenuto grandi successi quando è stata portata avanti una vera ricerca, non annunciata o solo teorica, delle politiche in favore delle donne.


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Basti pensare a come è stata votata la legge sulla violenza sessuale o sul diritto di famiglia, ossia in modo trasversale, con un'alleanza forte che non ha coinvolto solo le donne, ma tutte le persone che hanno a cuore le politiche di pari opportunità che portano vantaggio non solo alle donne, ma all'intera collettività.
Detto questo, credo di dover segnalare - come hanno fatto i miei colleghi in precedenza - un'incoerenza, vale a dire il fatto che vi siano atti, già compiuti da parte del Governo e già votati dal Parlamento, che vanno nella direzione contraria rispetto a quanto da lei annunciato.
Riporto alcuni esempi che, tuttavia, sono stati già esposti dalle colleghe intervenute prima di me. Ministro, lei ha parlato giustamente di politiche di conciliazione e di sostegno della promozione e dell'occupazione femminile, quindi dell'accesso, ma anche del mantenimento, del posto di lavoro. Tuttavia, l'abrogazione della legge n. 188, quella sulle dimissioni in bianco, va a colpire il momento particolare in cui le donne sono in maternità o quello in cui rientrano a lavoro dopo tale periodo.
Chi come me vive in una provincia ad alta presenza industriale sa - ce lo dicono anche le denunce delle stesse consigliere di parità - che la lettera in bianco viene firmata quando si comunica all'azienda di essere in maternità.
Questo provvedimento, dunque, si pone in direzione esattamente inversa a quanto da lei sostenuto, Ministro. Lo stesso discorso vale per la detassazione degli straordinari e dei premi aziendali che accentuano il differenziale salariale. Se non sbaglio, una ricerca dell'ISFOL, commissionata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali afferma che quel differenziale si aggira attorno al 25 per cento.
Ad ogni modo, non voglio insistere sui temi già toccati dalle colleghe.
Riporto solo altri esempi rispetto ad alcune incoerenze insite nelle iniziative per le pari opportunità che devono e possono essere cambiate.
Facendo riferimento alla famiglia, lei ha detto giustamente che oggi in una gran parte dei nuclei familiari vi è una donna di 50-60 anni, magari con una madre di 80-90 anni non autosufficiente, con figli che stanno a casa e che non trovano lavoro.
Quella famiglia, quella donna in modo particolare, per poter mantenere la sua autonomia, la sua libertà e per poter vivere anche questa parte della vita in modo libero, ha bisogno di servizi concreti, che sono offerti sempre di più dalle amministrazioni locali. Mi riferisco all'assistenza domiciliare, così come alle attività che riguardano l'estensione degli orari dei servizi stessi.
Tuttavia, se agli enti locali vengono costantemente tagliati i finanziamenti, anche attraverso questa legge finanziaria, come fa l'ente locale a sostenere quella donna e quella famiglia?
In realtà, si va incontro ad un ulteriore impoverimento economico, ma anche relazionale.
In precedenza, Ministro, lei faceva riferimento alla questione dell'aumento delle depressioni in generale per quanto riguarda le donne. Ebbene, ci rendiamo conto di che cosa significa per una donna essere confinata in casa, con un genitore magari malato di alzheimer, nell'assenza di servizi pubblici che non possono essere offerti, a causa dei tagli costanti? Riusciamo a capire che cosa significa per quella donna la povertà relazionale?
Cito questo caso come esempio, ma voglio dire che se vogliamo veramente perseguire politiche di pari opportunità, abbiamo bisogno di coerenza anche per quanto riguarda il sostegno agli enti locali e alla stessa sanità.
Aggiungo un'ultima notazione sulla legge n. 53 del 2000. In campagna elettorale, tutti abbiamo parlato della necessità di semplificare la legislazione per dare la possibilità di applicare le leggi in modo più rigoroso, ma soprattutto per semplificare.
La legge n. 53 per me rimane un'ottima legge da finanziare. Nel suo intervento, lei


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parlava dell'opportunità di mettere in campo altre pratiche, ma sostanzialmente anche altre normative.
Le chiedo: se siamo d'accordo sulla semplificazione, perché non si parte dall'esistente, anziché smantellare le leggi ? Ragioniamo su ciò che già esiste.
Ci dica perché, secondo lei, questa legge non funziona. Partiamo da questa considerazione. Altrimenti, facciamo annunci e non svolgiamo azioni concrete, ma soprattutto, anziché semplificare, continuiamo a rendere più complicata la normativa stessa.
Desidero formulare altre due domande. Rispetto alla legge n. 125 del 1991 sull'imprenditoria femminile, le chiedo quali siano gli intendimenti suoi e del Ministero relativamente alla mancanza di finanziamenti adeguati.
Mi riferisco sempre alla mia realtà. In una fase come questa, di grandi difficoltà economiche per le aziende e di chiusura di molte di esse, i dati ci dicono che ormai da anni le aziende femminili sono quelle che hanno una vita più lunga, anche perché, pur avendo magari meno capacità di stare sul mercato e di fare commercializzazione, prestano una maggiore attenzione all'investimento, alla ricerca e all'innovazione.
Anche da questo punto di vista, dunque, in questo momento di crisi economica, è necessario sostenere l'impresa femminile, perché essa garantisce gli elementi che danno una continuità maggiore allo sviluppo economico. Le chiedo, pertanto, che cosa ne pensa e che cosa intende fare a tal proposito.
L'altra questione si riferisce al rapporto delle donne con la politica, del quale non mi sembra lei abbia parlato nel corso del suo intervento (a meno che non mi sia distratta).
Ho letto sui giornali che lei ha annunciato o meglio ha comunicato di non essere d'accordo sull'introduzione del sistema delle quote. Premesso che io sono d'accordo, intendendo tale sistema non come un fine ma come uno strumento, le chiedo quale strumento intende proporre, perché effettivamente si possa superare il terribile gap presente nel rapporto tra donne e politica.
Mi unisco anche io - e concludo - alla considerazione che hanno fatto le colleghe, in merito alla revoca dell'incarico alla consigliera nazionale.
Come dicevo prima, infatti, fare il Ministro delle pari opportunità è particolarmente complicato.
Quindi, può essere importante avere accanto persone che hanno il compito di vigilare sulla promozione delle pari opportunità piuttosto che di attuare le politiche del Governo (perché non è questa la funzione della consigliera).
Ho letto - l'ho cercata su Internet - la lettera della consigliera di parità che, tra l'altro, viene citata nel provvedimento quale esempio del mancato rispetto delle sue competenze, che sono esattamente quelle citate. All'articolo 15 del decreto legislativo n. 198 del 2006, si dice che la consigliera di parità ha il compito della rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni.
Quindi, quando la consigliera ha espresso a lei, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e ai due presidenti di Commissione, le preoccupazioni rispetto al fatto che i provvedimenti che abbiamo citato hanno in sé un potenziale negativo rispetto alle questioni delle pari opportunità, penso che abbia compiuto il suo lavoro. Anzi, ha svolto in modo serio e rigoroso il proprio compito, invitando a prestare attenzione, dal momento che non si stanno garantendo pari opportunità, ma creando profonde disparità.
Credo quindi che sarebbe davvero serio e rigoroso, volendo uscire dalla sfera degli annunci e dimostrare in modo concreto che si intendono attuare politiche vere di pari opportunità, cancellare anche questo provvedimento. Altrimenti, il licenziamento della consigliera di parità andrà esattamente in senso contrario a quanto si intende realizzare.


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SESA AMICI. Signor presidente, ringrazio anche io la Ministra Carfagna.
Essendo questa un'audizione, è un'occasione molto dialettica, ma anche molto franca e sincera, per fare un primo bilancio della funzione, del ruolo e delle prospettive di questo Ministero. Lo dico, perché questa audizione arriva molto in ritardo. So che lei ha tenuto la prima audizione al Senato quasi all'inizio della legislatura e noi, in questa Commissione, abbiamo atteso questo incontro.
Io stessa, in quanto capogruppo del Partito Democratico, ho sollecitato il presidente Bruno a chiederle una priorità nello svolgimento delle audizioni. Ho agito in questo modo, soprattutto perché, nel frattempo, lei si stava occupando molto delle questioni che ha tratteggiato per gran parte della sua relazione e di alcuni provvedimenti che, se lei mi permette, Ministro, cerco di definire come degli strumenti da usare verso i soggetti deboli. Mi riferisco ad esempio alla questione della prostituzione.
Tali strumenti hanno un canale molto più particolare che opera sul piano della giustizia, della repressione, ma negano il problema alla radice. Infatti, se si toglie la prostituzione dalle strade, mi chiedo quali possano essere gli atti concreti che realizziamo a sostegno di una serie di operazioni di accompagnamento a questo tema.
Il secondo aspetto che vorrei sollevare è che un Ministero per le pari opportunità - che, come lei ben sa, è senza portafoglio e ha una delega che lo mette in capo alla Presidenza del Consiglio - da una parte, ha una grande missione per quanto attiene alla capacità di ragionamento all'interno degli altri ministeri; dall'altra, deve attuare anche un tentativo di ragionamento intorno a una delle questioni più complesse, che non riguarda solo la politica, ma l'insieme della società italiana.
Capisco che molti colleghi di questa Commissione sentano negli interventi delle colleghe parlamentari il pathos nello sviluppare il loro ragionamento. Molte di noi, ad iniziare da me, sulla vicenda dell'emancipazione e della liberazione delle donne hanno costruito la loro cultura e il loro percorso politico, e l'hanno fatto nell'ottica di voleva non solo aggredire il famoso «soffitto di cristallo», ma soprattutto affermare, entro i luoghi della decisione politica, un atteggiamento di grande e pari dignità, senza alcuna tutela.
Mi chiedo se questo Ministero, che dovrebbe occuparsi di diritti, di libertà, di azioni positive che rimuovono gli ostacoli, come citano alcune parti della nostra Costituzione, sia oggi in grado, alla luce di alcune questioni che sono sotto gli occhi di tutti, di rivendicare un ruolo così efficace ed efficiente all'interno dell'azione complessiva del Governo.
Non si tratta di una questione personale, ma è del tutto evidente che noi non ci stiamo. Da questo punto di vista, i passi indietro sono drammatici. Lo sono sul piano di una capacità paritaria di ragionamento nelle decisioni strutturali delle politiche economiche e sono - è una assenza che considero importante, dato che la Ministra Carfagna è stata anche collega di questa Commissione - di una gravità inaudita e inaspettata.
Rilevo con estrema franchezza che, nella sua lunghissima relazione, lei non ha speso una parola per quanto riguarda le questioni della rappresentanza di genere nell'equilibrio della logica politica. Come sa, stiamo discutendo un provvedimento sulla legge elettorale per il Parlamento europeo. Si pone un tema che ci riguarda, che non è legato alle quote, ma a una stortura nel sistema democratico che concerne la qualità di questa democrazia.
Non devo ricordare a lei le famose statistiche che ci vedono al cinquantunesimo posto nella rappresentanza del Parlamento europeo; che nei luoghi della decisione oggi si registra un arretramento nei meccanismi che regolano l'organizzazione del lavoro; che, come le colleghe della Commissione lavoro hanno già sottolineato, avvengono delle discriminazioni e che siamo di fronte al dato impressionante secondo cui, a parità di lavoro, le donne sono pagate di meno.
Allora, l'azione di un Ministero che, pur non avendo il portafoglio, ha a cuore la capacità di modificare le condizioni


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politiche e culturali esistenti, non può rimanere silente di fronte a tale questione, perché così diventa inefficace e forse addirittura inutile e dannoso per tutte noi.
Personalmente, invece, sono convinta - lo dico per la mia storia - del fatto che abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di trovare posto nelle vicende politiche, sociali ed economiche di questo Paese con una grande forza che ci deriva, ormai, dall'essere soggetti a pieno titolo della dinamica politica e sociale. Ne sono un esempio le tante donne che, nella pubblica amministrazione, ricevono i premi di maggiore presenza, di capacità e di produttività e le tante donne che, con l'inventiva e la creatività, inventano le imprese femminili, pur in assenza di strumenti e di politiche pubbliche.
Credo quindi che un ministero, pur avendo una delega così ristretta, potrebbe e dovrebbe fare molto in questo senso.
A questo punto, vorrei porre due domande circa alcuni temi che sono stati sollevati. In primo luogo, le chiedo se lei ritiene che la relazione, consegnata a suo tempo dall'allora Ministra Prestigiacomo alla responsabile della direzione statistica, la dottoressa Linda Sabatini, sull'orientamento delle donne in politica, lasciasse intravedere un elemento di allontanamento dai luoghi della decisione, attraverso il famoso astensionismo attivo.
Credo che questo tema ci riguardi, perché l'astensionismo attivo che si registra nelle elezioni è lo stesso che, di fronte a una situazione economica così difficile e complessa, costringe le donne a tornare a muoversi all'interno di logiche antiche.
Lei ci parla di opere di sostegno alla maternità, alla conciliazione, di una politica pubblica per gli asili nido e tuttavia questi interventi rischiano di restare enunciazioni di principio e trovano difficoltà ad essere attuati all'interno della stessa organizzazione del lavoro.
Allo stesso modo, avrei voluto sentire la sua voce sulle questioni relative all'immigrazione. Certo, la tutela dei minori è un fattore estremamente importante; questo lo possiamo condividere. Tuttavia, sulla vicenda del ricongiungimento familiare, che riguarda l'unità e l'identità delle famiglie, anche di cittadini stranieri, sarebbe stato opportuno svolgere un ragionamento sgombro da vizi e pregiudizi.
Vengo ora al terzo elemento che è stato sottolineato anche dalle colleghe.
La vicenda della rimozione della consigliera di parità non viene sottolineata da una sola parte politica. Con quell'atto viene negata una funzione tipica di un Ministero per le pari opportunità. Infatti, quando si rimuove un dirigente - che non è un'operazione di vertice - non si invoca la Frattini, si toglie solo la dirigente e non la supplente nominata nello stesso periodo, si compie un'operazione di messa in discussione dei cosiddetti «strumenti paritari» che hanno una orizzontalità complessiva nel tessuto della rappresentanza femminile.
Ho visto che la rimozione ha anche la sua controfirma, trattandosi di una nomina che viene fatta di concerto tra il Ministero del lavoro e quello per le pari opportunità. Tuttavia, quando si interviene, con la logica dello spoil system, in una vicenda che ha una sua complessità e specificità, si commettono degli errori. In primo luogo, non si rende più credibile il fatto che la nostra libertà e la nostra autonomia femminile, nell'azione di rimozione degli ostacoli politici e culturali, sussistano in funzione di una democrazia più avanzata e non arretrata.
Pertanto, non solo le chiedo una presa di posizione netta su questo aspetto, ma sottolineo anche che se lei dovesse condividere quell'atto, per noi questo sarebbe un segnale del fatto che nella pubblica amministrazione, nelle operazioni di vertice, quindi anche rispetto al buon andamento, si agisce secondo una logica che sottostà alle scelte politiche e non alla professionalità e alla garanzia.
In questa sede, è presente un ex ministro il quale spiegherà che abbiamo compiuto ben altre scelte, quando abbiamo occupato i ministeri in questione. Ad ogni modo, è bene che l'autonomia e la forza di un Ministero rimangano inalterate.
Se lei ha la responsabilità di quel Ministero, lo deve difendere con una


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grande autonomia di ragionamento e non si deve piegare, proprio per la funzione da lei svolta che riguarda le donne italiane, ad una logica stretta di maggioranza. Questo infatti è un danno arrecato alle donne e all'idea di rimuovere sul serio gli ostacoli, che era e rimane al fondo delle azioni positive.

BARBARA SALTAMARTINI. Ringrazio il Ministro Carfagna per essere presente in questa sede e per la relazione che ha voluto svolgere.
I ringraziamenti sono venuti da parte di tutte le colleghe intervenute fino ad ora, quindi può sembrare scontato aggiungere anche il mio, ma mi preme formularlo.
Infatti, Ministro, a differenza di quanto sottolineato dalle colleghe nel corso dei loro interventi, la voglio ringraziare, perché in sei mesi di Governo, ossia da quando lei ricopre questo delicato e importante incarico, ho visto realizzare numerosi interventi.
Dico questo, in base all'esperienza che ho vissuto. Peraltro, anche io, come le colleghe, mi occupo da quindici anni di politiche di pari opportunità, anche se ho un altro punto di vista rispetto al loro. Ebbene, in questo tempo, anche rispetto all'ultimo Governo, sinceramente ho visto porre in essere molti più fatti di quanti non ne fossero stati realizzati negli ultimi due anni.
Tutto questo si pone a fronte di quanto è successo l'anno scorso, l'anno delle pari opportunità, durante il quale, effettivamente, sono stati presentati tanti proclami e tanti annunci, ma sono stati realizzati pochi fatti.
La voglio ringraziare, quindi, perché, al di là del fatto di condividere o meno da parte della maggioranza e dell'opposizione, rispetto quindi alla prassi politica all'interno di un Parlamento, non si può non dare atto di ciò che è accaduto sino ad oggi. Mi riferisco agli atti che lei ha voluto portare in seno al Consiglio dei ministri e a quelli che sono già arrivati in Parlamento, dopo l'approvazione in seno al Consiglio dei ministri. Di questo la ringrazio sinceramente.
Come donna, come esponente del PdL e dell'attuale maggioranza, non posso che condividere quanto lei ha detto in merito alla conciliazione.
Nel mio intervento, mi limiterò a trattare la parte di questione che compete alla Commissione di cui faccio parte, quella delle politiche del lavoro.
La conciliazione è un problema di cui discutiamo da anni e che, grazie alla legge n. 53 del 2000, ha avuto le prime importanti risposte. Tuttavia, Ministro, parliamo di una conciliazione - come lei ha voluto sottolineare non solo in questa audizione, ma anche in altri interventi - che non decolla perché c'è un limite culturale in Italia: quello di non condividere le responsabilità - come è stato detto da alcune colleghe - all'interno della sfera familiare e professionale tra uomo e donna.
Pertanto, la legge sui congedi è molto importante ed estremamente significativa, ma non funziona, perché i padri utilizzano poco i congedi. Torniamo così a monte del problema che consiste nella scarsa responsabilizzazione di entrambe le parti.
Probabilmente, quindi, sarebbe bene - se ho compreso bene quanto lei ha detto in merito agli atti che state studiando, state individuando delle possibili risposte - valutare anche questo aspetto della legge n. 53, vale a dire come incentivare l'utilizzo dei congedi parentali anche da parte del padre, perché ad oggi sono poco utilizzati.
Vengo ora al tema della maternità. Credo che in Italia sia arrivato il momento di riconoscere che la maternità è fonte di ricchezza per l'intero sistema nazionale. Non parliamo soltanto di un valore sociale, né di una ricchezza in seno a una famiglia, o soltanto per una donna, là dove essa avvenga al di fuori di un nucleo familiare. Fare figli oggi in Italia, infatti, corrisponde a far ripartire un intero sistema economico.
Inoltre, come lei giustamente ha precisato, più donne lavorano e più figli si possono fare. Quindi, ben vengano tutte le iniziative che lei ha intenzione di porre in essere per far ripartire l'occupazione femminile che, purtroppo, negli ultimi due


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anni ha visto un rallentamento e ha fatto sì che ci si avvicini sempre più velocemente a Lisbona con un ritardo rispetto a tanti altri Paesi europei che nei due anni passati hanno lavorato molto più velocemente di quanto non abbiamo fatto in Italia.
Passo ora a trattare la questione della revoca dell'incarico alla consigliera nazionale di parità.
Ministro, come hanno fatto le colleghe, anche io ho letto la lettera che si trova sui siti e le dichiarazioni che sono state fatte. Ebbene, mi sono chiesta, senza trovare una risposta, se fosse effettivamente meglio togliere la delega alla consigliera di parità, nominata dal precedente Governo, come è stato fatto, o se invece non fosse meglio lasciarle la delega, ma toglierle l'ufficio, il tavolo, il telefono e la possibilità di lavorare come è avvenuto con la precedente consigliera nazionale di parità che, con l'arrivo del nuovo Governo, è stata messa in disparte.
Questa è una domanda che mi sono posta (Commenti del deputato Sesa Amici)... La precedente consigliera nazionale di parità che ho conosciuto ha avuto grandi difficoltà. Soltanto grazie alla sua grande professionalità, ha potuto continuare a svolgere un lavoro, ma non certo nelle condizioni ottimali.
Ad ogni modo, non intendiamo difendere né l'una, né l'altra parte.
Da parte mia, ho posto una domanda provocatoriamente, perché penso che sia opportuno, nel momento in cui si parla, mettere sul tavolo più posizioni e verificare meglio alcune situazioni. Pertanto, credo sinceramente che valga ancora la pena di riflettere seriamente su tale aspetto da entrambe le parti.
Relativamente all'imprenditoria femminile, condivido quanto detto dalle colleghe che mi hanno preceduto sull'importanza di favorire il settore del privato, in termini di occupazione delle donne, dove oggettivamente è più facile far partire una nuova fase. In proposito, vorrei ricordare che è pur vero che la legge n. 215 del 1992 avrebbe bisogno di essere maggiormente finanziata: tuttavia, proprio per questo, una collega del Popolo delle libertà, anche in occasione dell'esame in Aula del provvedimento C. 1441-ter, ha presentato un emendamento che è stato approvato, per far sì che l'imprenditoria femminile abbia una nuova opportunità, grazie alle nuove risorse che possono arrivare.
Dico questo, perché mi rendo conto che alcuni provvedimenti, leggendoli superficialmente, hanno dato l'impressione che si volesse colpire in maniera netta il mondo delle donne, però, bisogna considerare anche quanto siamo riusciti a fare in seno al Parlamento per migliorare eventuali storture o piccoli errori che possono esistere, perché, per fortuna, errare è ancora umano. Peraltro, credo che nessuno possa tirarsi indietro rispetto a piccoli errori che sono stati commessi.
In ogni caso, proprio grazie ad un lavoro che deve esistere, come lei giustamente ha auspicato - ed io voglio accogliere questo invito con il massimo dell'attenzione rispetto al lavoro che io stessa devo svolgere - nel momento in cui c'è un dialogo effettivo tra persone che hanno voglia di produrre, e non soltanto di sventolare demagogicamente le bandiere su alcune posizioni, probabilmente puramente ideologiche, effettivamente noi, su questo argomento, in seno al Parlamento abbiamo posto in essere un'azione di correzione.
Chiudo aggiungendo una notazione. Ministro, sono conosciuta per aver condotto una battaglia che voglio continuare a portare avanti, quella di chiedere che il Ministero per le pari opportunità sia un ministero con portafoglio, all'interno del quale effettivamente si possano riorganizzare i tanti organismi di parità che oggi esistono in Italia (a partire dalle consigliere, le commissioni di parità, i comitati di pari opportunità). Insomma, parliamo di tanti organismi che spesso e volentieri confliggono tra di loro, dove non c'è sinergia e armonizzazione e quindi spesso c'è dispersione non solo di informazioni, ma anche di risorse.
Ho guidato un comitato di pari opportunità alla provincia di Roma. Vi sono comitati che hanno l'opportunità di avere


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risorse che arrivano dallo Stato attraverso le regioni, di cui, spesso e volentieri, non si ha il controllo.
Probabilmente, Ministro, la mia battaglia volta a dotare il Ministero per le pari opportunità di portafoglio, la faremo magari nella prossima legislatura e non in questa. Credo però che si debba valutare l'opportunità di monitorare, grazie al suo Ministero, tutti gli organismi di pari opportunità, perché alcuni di essi i fondi li hanno e potrebbero, forse, se meglio messi in sinergia e meglio armonizzati, produrre più risultati di quanto fino ad oggi, invece, non sia stato fatto.
Questo è l'invito che voglio rivolgerle. Forse è già stato avviato questo osservatorio, nel qual caso le chiedo di conoscere quali sono i risultati dell'osservazione.

PRESIDENTE. Fino a questo momento, abbiamo ascoltato cinque colleghi ed altri sette risultano iscritti a parlare. Con ogni probabilità, non riusciremo ad esaurire entro oggi il giro degli interventi, che mi sembrano tutti estremamente interessanti.
Peraltro, non voglio assolutamente limitare i tempi della discussione. Quindi, dobbiamo decidere se rinviare l'audizione, a meno che qualche collega non preferisca intervenire oggi. In questo modo, daremmo la possibilità al Ministro di replicare, avendo già compreso, in buona parte, gli argomenti di approfondimento che le Commissioni riunite hanno voluto rappresentare.

RAFFAELE VOLPI. Presidente, noi non ci siamo iscritti a parlare, ovviamente riservandoci di intervenire dopo aver letto con attenzione la corposa relazione dell'onorevole Ministro.
Sa, noi siamo ragazzi di campagna e dovremo tradurre qualche termine in inglese presente nel testo! Quindi, avremmo proprio bisogno del testo scritto.

LINDA LANZILLOTTA. Presidente, preferirei intervenire adesso, anche perché credo che l'interattività dia un senso alle audizioni, altrimenti inviamo un testo scritto.
Personalmente, ritengo che l'audizione dovrebbe esaurirsi nell'ambito della seduta. Quindi, se c'è un tempo programmato, sarebbe utile programmare anche la durata degli interventi, in modo che tutti possano interagire.
Del resto, abbiamo già avuto vissuto l'esperienza di questioni poste in differita.
Ad ogni modo, valuti lei la questione, ma la pregherei di calendarizzare un incontro a stretto giro, altrimenti perde di significato.

PRESIDENTE. Mi rendo conto della situazione, ma il tempo che abbiamo a disposizione è limitato. Pensavo che gli interventi sarebbero stati meno numerosi e di più breve durata; invece, giustamente, sono stati corposi.
Non voglio togliere la parola ai colleghi che me l'hanno chiesta, ma anche prevedendo cinque minuti per ogni intervento - che mi sembra il limite temporale minimo - non riusciremo comunque a terminare.
Nel ringraziare il Ministro per la disponibilità manifestata, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,40.

XI Commissione (Lavoro pubblico e privato)

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