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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (III-XIV Camera e 3a-14a Senato)
14.
Lunedì 24 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3

Audizione del Commissario europeo per lo sviluppo, Andris Piebalgs (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera):

Nirenstein Fiamma, Presidente ... 3 4 8 11 15 19
Barbi Mario (PD) ... 13
Boniver Margherita (PdL) ... 10
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 15
Duilio Lino (PD) ... 8
Gozi Sandro (PD) ... 10
Marinaro Francesca Maria (PD) ... 12
Pianetta Enrico (PdL) ... 4 13
Piebalgs Andris, Commissario europeo per lo sviluppo ... 4 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di lunedì 24 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FIAMMA NIRENSTEIN

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Commissario europeo per lo sviluppo, Andris Piebalgs.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera, l'audizione del Commissario europeo per lo sviluppo, Andris Piebalgs.
Signor Commissario, lei vede qui presenti le Commissioni affari esteri e comunitari della Camera e del Senato e le Commissioni politiche dell'Unione europea dei due rami del Parlamento. Sono lieta di darle il benvenuto.
È un onore avere con noi il Commissario Piebalgs, che in passato ha già servito come Commissario europeo per l'energia e ha un lungo curriculum politico e diplomatico a servizio del suo Paese, la Lettonia. La sua biografia è lunga e complessa; l'ho letta con molto interesse e certamente i colleghi avranno fatto altrettanto prima di questo nostro incontro.
Do anche il benvenuto ai colleghi deputati e senatori che intervengono in questo dibattito.
L'audizione di oggi offre un'occasione prestigiosa al Parlamento italiano per affrontare questioni centrali nell'agenda internazionale di questi giorni, che trovano nell'azione dell'Unione europea un modello di riferimento.
È noto che l'Unione europea costituisce il maggior donatore mondiale e che essa ha presentato il primo soggetto aggregato di Paesi industrializzati ad avere adottato strumenti innovativi per promuovere lo sviluppo, basando la propria strategia sull'abolizione dei dazi e dei contingenti su tutti i prodotti originari dei Paesi meno sviluppati.
Mi riferisco soprattutto al modello di relazioni commerciali inaugurato da lungo tempo con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, Paesi del gruppo ACP, caratterizzato da un quadro di clausole commerciali connesse a un apparato di condizionalità sul rispetto degli standard internazionali in tema di diritti umani e mirato a promuovere l'integrazione globale dell'economie meno forti. Tutto ciò è merito incontestabile dell'Europa.
Tuttavia, noi tutti seguiamo con grande apprensione in queste ore l'evolvere della situazione nel Maghreb-Mashrek, nel timore che un pericoloso effetto domino possa sconvolgere il confine meridionale del nostro continente. Lo shock della crisi in Tunisia ha fatto emergere l'impellenza di un'azione di politica estera dell'Unione europea che sia assai efficace e tale può essere solo un'azione integrata tra le diverse politiche europee che abbia al suo centro la questione dello sviluppo umano.
Perciò è necessario che la politica degli aiuti dell'Unione europea si accompagni a


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un'azione efficace di sviluppo delle economie dei Paese assistiti - è una mia opinione - per non andare ad alimentare quella che viene definita l'industria dell'aiuto, l'aid industry, laddove le donazioni di per sé e non i servizi prodotti con esse vanno a incidere pesantemente sul prodotto interno lordo, in alcuni casi costituendo fino al 60 per cento del PIL. È questo il caso, per esempio, dell'Autorità nazionale palestinese, eseguendo la somma di tutti i fondi provenienti dall'Unione europea, dall'ONU, dagli Stati Uniti e dalla Banca mondiale.
La sfida è, in sostanza, quella di far sì che l'Unione europea, oltre a essere uno dei maggiori payer, divenga anche un player internazionale di primo piano, al fine di garantire ai suoi cittadini la stabilità e la sicurezza e di rappresentare in ambito internazionale un fattore di pace e di progresso umano.
Dopo queste mie brevi considerazioni e prima di cedere la parola al nostro illustre ospite, affido al collega onorevole Enrico Pianetta, che presiede il Comitato permanente sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, lo svolgimento di un'ulteriore riflessione introduttiva che contribuirà a evidenziare al Commissario l'interesse del Parlamento italiano per le tematiche di sua competenza.

ENRICO PIANETTA. Grazie, presidente. Sarò molto breve. Anch'io ringrazio e do il benvenuto a nome del Comitato permanente sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio della Commissione affari esteri e comunitari della Camera al Commissario europeo per lo sviluppo, Andris Piebalgs.
Voglio soltanto evidenziare che dal 2008 a questo Comitato è stato affidato il compito di condurre, su mandato della Commissione affari esteri e comunitari, un'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, con lo scopo di valutare l'azione internazionale nella lotta contro la povertà. I lavori di questa indagine si sono conclusi alla fine del 2010 e proprio in questi giorni la Commissione sta esaminando il documento conclusivo dell'indagine.
La Commissione e i componenti del Comitato hanno trattato i temi della cooperazione in numerose sedi, approvando risoluzioni ed esaminando relazioni del Governo sull'attività di cooperazione allo sviluppo e sull'attività di banche e di fondi di sviluppo a carattere multilaterale.
Desidero anche segnalare un'iniziativa legislativa bipartisan che ha portato a una modifica della nostra legge di cooperazione con l'obiettivo di migliorare il grado di efficienza nell'erogazione degli aiuti.
Concludo ricordando che, nel corso del suo lavoro, il Comitato non ha trascurato di approfondire il versante di lavoro dell'Unione europea. Infatti, nel 2009 è stato audito il direttore generale per la cooperazione allo sviluppo della Commissione europea, il dottor Manservisi, e, con l'onorevole Barbi come relatore, nel giugno del 2010 la Commissione ha esaminato il Piano d'azione in dodici punti della Commissione europea a sostegno degli Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Voglio anche segnalare che tutto questo lavoro ha contribuito a far sì che al summit del Millennio che si è svolto a New York nel settembre 2010 il Comitato abbia potuto ricevere un riconoscimento internazionale. Il nostro Parlamento è stato, infatti, chiamato a illustrare di fronte all'Unione interparlamentare tutto il suo operato a livello della discussione e delle iniziative per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.
Il lavoro da noi svolto intende rappresentare un contributo all'impegno che lei, Commissario, profonde su questo terreno. In questo senso, anche a nome dei colleghi dichiaro la piena disponibilità a una stretta e futura collaborazione.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pianetta. Con piacere do la parola al Commissario europeo per lo sviluppo Andris Piebalgs.

ANDRIS PIEBALGS, Commissario europeo per lo sviluppo. Signor presidente, presidente Pianetta, onorevoli senatori e deputati, signori e signore, vorrei iniziare anzitutto ringraziandovi per avermi dato l'opportunità di rivolgermi a voi oggi.


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Il mio obiettivo è quello di rafforzare la politica di sviluppo dell'UE a beneficio dei nostri cittadini e della comunità globale. Ci sono stati enormi cambiamenti nel mondo, che negli ultimi 10-20 anni è mutato in maniera incredibile. Vent'anni fa ero ancora cittadino dell'Unione sovietica, c'erano barricate e non esisteva assolutamente la speranza che la Lettonia sarebbe mai diventata indipendente. Sono passati vent'anni, siamo membri dell'Unione europea e ci sono altri processi in corso in tutto il mondo, come quello in Tunisia. Il mondo sta cambiando rapidamente e sicuramente aumentano la propria importanza la politica estera e la politica di sviluppo dell'Unione.
A volte nell'Unione europea tendiamo a concentrarci troppo su noi stessi, considerando il mondo intorno a noi molto piccolo e cercando di semplificare le questioni che vengono affrontate all'interno del territorio europeo. Se, però, consideriamo i nostri impegni, come quello in Afghanistan o la partecipazione all'Operazione Atlanta lungo la costa somala, è chiaro che noi siamo coinvolti anche in attività di sicurezza globali. Siamo tutti preoccupati per i posti di lavoro e per la crescita ma è anche vero che la nostra speranza è data dal fatto che esiste un aumento della domanda in India, in Cina e in altre parti del mondo.
Considerando le preoccupazioni dei nostri cittadini sull'immigrazione illegale, sappiamo anche che la risposta non si deve cercare da noi ma nel resto del mondo. Se non ci fosse povertà, ci sarebbero meno problemi, non ci sarebbero conflitti violenti e non ci sarebbero guerre. Se non ci fosse povertà, ci sarebbero crescita e domanda e ciascuna regione in ogni parte del mondo avrebbe la possibilità di evolversi. Se non ci fosse povertà, le persone tenderebbero a restare con le proprie famiglie e all'interno dei Paesi in cui sono nate.
È chiaro, quindi, che la politica dello sviluppo consente di concentrarci in modo particolare su alcuni punti. Dobbiamo realizzare che l'Unione europea gioca un ruolo molto importante in questo ambito. Al momento, infatti, siamo i più grandi fornitori di aiuti allo sviluppo: i 50 miliardi di euro che abbiamo dato sinora - e di questo dovremmo essere contenti - rappresentano il 60 per cento degli aiuti globali. I nostri aiuti sono forse quelli più progressisti, il che significa che cerchiamo di utilizzare i metodi più aperti per collaborare con i Paesi in via di sviluppo, assumendo a volte rischi come nessun altro Paese fa. È chiaro, però, che dobbiamo fare meglio e che dobbiamo e possiamo fare molto di più.
Il Trattato di Lisbona ha conferito ai Parlamenti nazionali un ruolo maggiore anche in relazione alle politiche comunitarie e rappresenta quindi per noi un'opportunità. La prima sfida è che dobbiamo concentrarci di più sulla politica di sviluppo dell'UE, dal momento che a volte agiamo come un'unica entità.
Parlavo prima del vertice sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio a New York. L'UE si è presentata come un'unica entità forte e tutti i 27 Stati membri, così come la Commissione, hanno lavorato insieme alle Nazioni Unite, arrivando a un documento finale equilibrato e di successo. Abbiamo offerto un contributo positivo in tutto il processo legato agli Obiettivi di sviluppo del Millennio: senza gli europei e la loro posizione comune dubito davvero che questo sarebbe stato possibile. Un ottimo esempio del nostro operato sul campo è rappresentato da Haiti, dove l'UE si è impegnata come entità unica con una strategia comune, dimostrando così di avere la capacità anche di lavorare come Unione nel settore dello sviluppo.
Questi sono i primi esempi concreti che sono stati realizzati con il Consenso Europeo per lo Sviluppo. Ciò significa che il Consenso sul quale abbiamo trovato un accordo nel 2005, ha cominciato a produrre frutti cinque o sei anni dopo. Credo che adesso dobbiamo valutare in maniera critica ciò che può essere migliorato e come possiamo fare per conseguire risultati migliori.
Il mondo intorno a noi è cambiato. Ci sono notizie buone e meno buone. Sul lato delle notizie buone è vero che abbiamo


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visto una crescita nel mondo in via di sviluppo anche nei periodi di crisi. È una buona notizia anche il fatto che ci sono stati meno conflitti in Africa rispetto a 10-20 anni fa. Una buona notizia è anche il fatto che i conflitti come quello in Costa d'Avorio sono stati in parte risolti con uno sforzo prettamente africano. Abbiamo quindi creato schemi in virtù dei quali alcuni conflitti sono stati risolti grazie all'azione dello stesso continente in cui si sono verificati. La Costa d'Avorio al momento è divisa in due: da una parte c'è un vecchio Presidente che non vuole cedere il potere a chi è stato eletto democraticamente a larga maggioranza. Ciò che accade ora in Tunisia significa che nel processo tunisino qualcosa non è andato bene, considerato che abbiamo avuto buone relazioni con la Tunisia, per cui deve essere stato trascurato qualche elemento che invece aveva molta importanza.
Il quadro intorno a noi pertanto è misto: quali sono le lezioni che dobbiamo trarne? Innanzitutto dobbiamo credere nel ruolo di leadership dell'Europa, che deve essere forte, ed è per questo che avrei bisogno del vostro sostegno, perché ci sia una leadership per lo sviluppo globale. Dallo sviluppo globale deriverebbero meno povertà, più sicurezza, più crescita e maggiori possibilità per i popoli del mondo.
Passo ora alla questione dell'assistenza pubblica allo sviluppo. So che tutti voi nei vostri Paesi avete problemi nell'affrontare le questioni legate al consolidamento del bilancio, ma l'obiettivo dello 0,7 per cento del reddito nazionale lordo è stato annunciato prima del vertice. Se non riusciamo a mantenere tutti questo impegno perderemo credibilità sul piano internazionale. Non dico che perderemmo tutta la nostra credibilità, ma quasi tutta. Abbiamo ripetuto più volte che questo impegno sarebbe stato onorato entro il 2015 e dobbiamo nel bene e nel male cercare di conseguire questo obiettivo.
Come potremo giustificare tutto ciò ai nostri cittadini? Dobbiamo far capire loro che creiamo una nuova strategia non per ridurre la povertà, ma per eliminarla e per fare ciò possiamo utilizzare due tendenze che si profilano nell'attuale politica di sviluppo. Da un lato abbiamo creato modalità per lavorare con e attraverso i Governi. Non è una procedura facile, ma lavorando attraverso i Governi con il metodo del cosiddetto sostegno al bilancio, possiamo avere una conoscenza dello sviluppo tale da poter influenzare i processi in termini di democrazia, diritti umani e capacità amministrativa.
Ci attende una grande attività da compiere e abbiamo un'enormità di risorse da utilizzare con questi Paesi, risorse che a volte non siamo riusciti a utilizzare per eccessiva timidezza. Con il sostegno al bilancio di cui si è parlato nel nostro Libro verde abbiamo la possibilità di usare uno strumento che, se applicato, può aiutare la mobilitazione di risorse nei confronti di un Paese per influenzare le sue politiche a lungo termine.
Sappiamo, per la nostra stessa esperienza, che il nostro operato è stato giusto. È ovvio che ci sono cicli nelle nostre politiche, ma adesso abbiamo la stabilità. Nessuno all'interno dell'UE nutre grandi incertezze adesso; nessuno dubita dell'efficacia dei nostri sistemi di social security. Possiamo avere aspirazioni diverse, ma l'esperienza dell'UE globalmente dà un esempio positivo sulla direzione che le società possono seguire, includendo crescita e sviluppo sostenibile. Sappiamo dove indirizzare i governi.
Credo che con il sostegno al bilancio possiamo aiutare in maniera enorme i Paesi che vogliono cambiare. Se tali Paesi non vogliono seguire questa direzione, allora potremmo utilizzare altri messaggi, attraverso le ONG o attraverso organizzazioni delle Nazioni Unite. Questo non vuol dire che noi dobbiamo imporre le nostre decisioni politiche, ma credo che sia nostro dovere proporre a questi Paesi di cambiare e cercare di creare sistemi sociali che possano fornire assistenza ai loro stessi cittadini.
Una seconda questione è quella di imparare dalle esperienze globali. Se devo parlare di successo in termini di eliminazione della povertà, il mio pensiero va subito alla Cina, la cui particolarità è data


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dalla crescita economica e dall'accumulazione di ricchezza successivamente applicate alla crescita sostenibile; nell'economia cinese ci sono tuttavia anche alti e bassi.
La nostra sfida, quindi, sarebbe, nel trattare con i Paesi in via di sviluppo, quella di proporre il sostegno a una crescita sostenibile inclusiva. Perciò, se c'è una crescita del PIL, la si deve distribuire in tutte le parti della società, in modo che parte del denaro possa andare ai più bisognosi e che ci possa essere denaro per l'assistenza sanitaria, per l'istruzione e anche per i pensionati e le persone più anziane. Occorre sostenere la creazione e il rafforzamento dei sistemi sociali sulla base della crescita.
L'altro punto è che la crescita va indirizzata in modo tale che non sia a spese dell'ambiente. Bisogna, invece, migliorare la situazione. Un'altra parte della sfida è affrontare il tema della crescita sostenibile in modo coerente con la lotta ai cambiamenti climatici e la tutela delle foreste pluviali, questioni di grande interesse per noi e per i cittadini di questi Paesi. Dobbiamo, quindi, capire dove possiamo fornire valore aggiunto per la crescita sostenibile.
Personalmente considero cruciali due settori. Uno è la fornitura di energie sostenibili. Ciascun Paese considera quello energetico come un settore critico, che richiede grandi investimenti, i quali purtroppo tendono a essere indirizzati in settori che sono più interessanti dal punto di vista economico e non necessariamente i più puliti. Nella nostra esperienza legata all'energia solare, all'energia eolica e alla biomassa possiamo davvero fare la differenza nel fornire energie sostenibili, che offrono possibilità di crescita e allo stesso tempo riducono l'impatto sull'ambiente e anche sul futuro sviluppo del Paese in questione.
Un altro pilastro del sostegno alla crescita sostenibile è la tematica legata all'agricoltura. Molti di voi avranno visitato l'Africa. L'aspetto più scioccante è forse l'odore delle foreste in fiamme. Le foreste vengono bruciate prima di tutto per fornire carbone che serve alla produzione di energia - ed è difficile dare la colpa alla gente per questa pratica, considerato che non ci sono alternative per preparare da mangiare - e in secondo luogo per ricavare terreni da destinare all'agricoltura. C'è una crescita demografica molto spiccata e la popolazione attinge alle risorse naturali per nutrirsi. Dobbiamo tener conto di queste questioni e affrontarle, aiutando gli investimenti nell'agricoltura sostenibile con l'impiego di tecnologie e la promozione dei commerci locali, in modo da poter creare nuove fonti di sostentamento in questi Paesi.
Si tratta, naturalmente, di una scelta molto rischiosa perché, ogni volta che c'è una crescita, c'è chi diventa ricco e chi si impoverisce. È importante partecipare a questo processo e non assistere. Abbiamo forse la possibilità di non fare nulla?
In linea di massima, se si considera quanto è accaduto nel 2009 e nel 2010, compare un soggetto fondamentale che sta influenzando la crescita di molti Paesi, la Cina. Nel 2009-2010 la Cina ha concesso più prestiti al mondo in via di sviluppo della Banca mondiale. Quale sarà l'uso di questi prestiti? Sicuramente serviranno a promuovere crescita. Sarà una crescita sostenibile? Ne dubito. Questi investimenti promuoveranno una crescita sostenibile e inclusiva? Ne dubito. Questi prestiti hanno una natura commerciale e servono a generare profitti.
Per il nostro interesse a lungo termine, la nostra esperienza dimostra che dobbiamo prendere parte a questo processo, dimostrando però il nostro diverso approccio nei confronti della crescita. Le nostre esperienze precedenti ci possono essere di aiuto in questo.
Non sfuggiremo alle critiche. Credo che ci saranno molte critiche; penso, per esempio, a chi ci consiglierà di restare ancorati al settore sanitario e all'istruzione, ma dobbiamo correre il rischio e andare oltre, verso la crescita sostenibile. La Commissione ha preparato un documento sui prossimi cambiamenti della politica di sviluppo. Spero che voi stessi sarete in grado nelle vostre Commissioni di discutere di queste questioni.


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I rischi che vogliamo assumerci sono giustificati e sono legati alle nostre future aspettative sulla politica di sviluppo? Ritengo che questa sia la direzione giusta. Non si può pensare di cambiare un processo semplicemente stando fermi a guardare e perché si è esperti e si riesce a indicare che cosa fare o non fare. Bisogna partecipare.
Un'altra sfida che voglio citare è quella degli Stati fragili, come Haiti, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, l'Afghanistan. Per questi Paesi abbiamo bisogno di strategie mirate.
In Somalia, per esempio, occorrono il sostegno allo sviluppo, ma il sostegno anche al Fondo per la pace in Africa (African Union Peace Facility) per creare una pace stabile in loco.
Per la Repubblica Centrafricana è importante la reintegrazione dei vecchi soldati. È un compito enorme e non è un compito classico dello sviluppo, ma se esistono tante persone che nella loro vita hanno conosciuto solo la guerra e la violenza, occorre pensare alla necessità di reintegrarle.
Per quanto riguarda Haiti, abbiamo partecipato alla strategia, costruendo infrastrutture e offrendo il nostro contributo in termini di governance.
Per l'Afghanistan dobbiamo cercare modalità per sistemare alcune questioni particolari; il Paese è molto decentralizzato e siamo molto interessati a che il Governo centrale sia forte. Dobbiamo aumentare il nostro impegno attraverso il Governo afghano, pur sapendo che non sarà un compito facile.
Un'altra sfida che dobbiamo affrontare è la sicurezza dei finanziamenti e un loro utilizzo efficace. La situazione attuale è che ci sono controlli di spesa molto severi. Noi effettuiamo revisioni contabili del 50 per cento circa dei finanziamenti spesi. Tali controlli sono positivi, ma, allo stesso tempo, costano molto. Dovremmo semplificare le politiche europee, applicare il metodo del sostegno al bilancio, puntare alla crescita sostenibile nei settori dell'energia e dell'agricoltura. Possiamo mettere a disposizione le nostre capacità, ridurre i costi amministrativi stimolando il lancio di progetti e non perdendo, allo stesso tempo, la trasparenza sull'uso del denaro.
Abbiamo bisogno di questo sostegno da parte dei legislatori europei. A volte la società civile si preoccupa che noi ci concentriamo troppo sul lavoro attraverso i Governi o sugli investimenti, ma è sbagliato. Credo che il denaro che noi utilizziamo attraverso la società civile per risolvere le questioni dello sviluppo sia un elemento positivo. La società civile può fornire stimoli vibranti e vivi che i governi non possono dare.
Continueremo tutti i progetti che prevedono il coinvolgimento della società civile e delle ONG, che sono ancora una parte molto ridotta della busta dello sviluppo che noi stiamo portando avanti. Continueremo a utilizzare sempre di più l'esperienza delle ONG, ma la strategia completa sarà più chiara e più coerente e mirerà non a ridurre la povertà, ma a eliminarla come fenomeno sociale.
Spero che possiamo continuare a realizzarsi cambiamenti decisivi. Ci riusciremo solo se tutti i Paesi europei si impegneranno nella politica di sviluppo. Se la consideriamo come una qualunque altra politica, falliremo. Dobbiamo ritenerla, invece, una politica essenziale per il futuro dei prossimi vent'anni della nostra Europa, un investimento nel nostro futuro, che ci ripagherà e comporterà meno costi per le operazioni militari e per la lotta alla povertà e fornirà più sicurezza a tutti i cittadini.

PRESIDENTE. Credo di poter ringraziare anche a nome dei colleghi il Commissario Pielbags per la sua relazione molto informativa e anche appassionata.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

LINO DUILIO. Grazie per questa sua comunicazione su un tema che personalmente, come parlamentare, mi vede molto sensibile.
Lei ha sottolineato l'obiettivo di far sì che l'Europa consolidi la sua figura di leadership


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per lo sviluppo in prospettiva. Ovviamente credo - sono probabilmente condizionato dalla mia formazione personale e dalla mia partecipazione alla Commissione bilancio della Camera dei deputati - che questo discorso, che condivido assolutamente, debba passare attraverso decisioni di carattere finanziario e la disponibilità degli Stati nazionali, affinché concorrano a raggiungere l'obiettivo, di cui lei parlava, dello 0,7 per cento del PIL entro il 2015.
Noi come Paese siamo, ahimè, un poco lontani e ci siamo un poco allontanati da questo obiettivo. Per onestà intellettuale, parlando di fatti, se lei scorre la serie storica dell'aiuto allo sviluppo attraverso il bilancio, almeno nelle esperienze - io oggi sono all'opposizione - che abbiamo compiuto brevemente al Governo del Paese nel 2007-2008, vedrà che abbiamo cercato di recuperare per poi riscendere.
Oggi siamo a una percentuale dello 0,16 per cento, che rende, per essere intellettualmente onesti, obiettivamente impossibile per il nostro Paese arrivare entro il 2015 alla percentuale dello 0,7 per cento. Capisce bene che dovremmo colmare un vuoto di più di mezzo punto di PIL, il che, per la situazione in cui ci troviamo, è un po' complicato se non vogliamo fare retorica tra di noi.
Lo rilevo non tanto per promuovere autoanalisi critiche, ma perché credo - glielo domando e mi interessa la sua risposta - che per gli aiuti a una politica di sviluppo degli Stati debba valere il principio economico secondo il quale, per esprimersi con una formula simpatica e nota tutti, il macellaio ci dà la carne non solo perché è buono, ma perché evidentemente ci guadagna.
Non ritiene, cioè, che gli Stati nazionali debbano scontare a livello europeo l'introduzione di meccanismi premiali affinché ci possa essere una devoluzione all'interno dei propri bilanci anche quando ci fosse una situazione di crisi, in modo tale che l'obiettivo dello 0,7 per cento non rimanga un sogno nel cassetto? Se ci fosse, per esempio, un legame tra la devoluzione di queste risorse e le regole che riguardano il Patto di stabilità, introducendo il principio secondo il quale almeno in parte i suddetti importi non contano ai fini del rispetto delle regole del Patto di stabilità, credo che ciò potrebbe aiutare a uscire da questa situazione, in cui scontiamo la distanza fra gli obiettivi che ci prefiggiamo e quelli che poi realisticamente si concretizzano.
Passo a una seconda considerazione legata alla prima, cioè al discorso della convenienza. Io credo che gli aiuti allo sviluppo si attuino non solo perché siamo sensibili al tema dal punto di vista etico, ma anche perché ci conviene. C'è sempre una dimensione di convenienza in tutte le attività umane, un connubio tra passione e interesse.
Lei non crede che la politica degli aiuti allo sviluppo, in questo senso, proprio per legarsi a questa dimensione di convenienza, forse dovrebbe vedere per quanto riguarda l'Europa una finalizzazione specifica, non dico esclusiva, di aiuto ai Paesi in rapporto ai quali noi scontiamo molti problemi, in particolare per quanto riguarda i flussi migratori?
Lei accennava al Maghreb. Io credo che, anziché rimanere in un generico e indistinto riferimento alla politica di aiuti per Paesi che riguardano l'intero globo terrestre, non sarebbe tacciabile di egoismo se almeno in parte significativa gli aiuti allo sviluppo andassero nella direzione di Paesi che non sono troppo lontani e dai quali, se non fronteggiamo il fenomeno dell'immigrazione in modo significativo, inevitabilmente potremmo ricevere grandissimi problemi, anche come Europa. Come Italia siamo vicini, a un passo di strada da essi, ma prima o poi il problema, se continua a esistere questa situazione, inevitabilmente si trasferirà anche a livello continentale.
Passo all'ultima questione Le forme di accountability degli aiuti allo sviluppo, oltre che a livello comunitario non dovrebbero realizzare forme più stringenti anche a livello di singoli Paesi per evitare che a tale livello a volte ci sia il dubbio che tali aiuti non arrivino a destinazione? Nutro perplessità sul fatto di passare attraverso


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la Tesoreria degli Stati nazionali perché sappiamo molto spesso che cosa accade negli Stati nazionali nelle cui Tesorerie poi arrivano questi fondi.

MARGHERITA BONIVER. Cercherò di attenermi ai tempi europei e, quindi, non parlerò più di tre minuti.
Innanzitutto vorrei ringraziare il Commissario per la sua esposizione e soprattutto comunicare che apprezziamo molto un accenno patriottico che ho voluto cogliere nelle parole del Commissario quando ha ripetuto in più occasioni nella sua esposizione che gli aiuti europei hanno non soltanto una loro origine, ma una loro plusvalenza, in quanto vanno soprattutto a rafforzare i sistemi democratici dei Paesi in cui vengono impiegati.
Questa è la chiave di lettura forse più interessante rispetto a quanto sta effettivamente accadendo sul territorio, soprattutto africano, ma non solo - il Commissario l'ha affermato molto bene - dove c'è una vera e propria competizione per quanto riguarda i fondi di sviluppo fra l'Unione europea e i tanti attori, come la Cina, citata come un Paese che dà più a Paesi in via di sviluppo di quanto non dia la Banca mondiale.
Ci troviamo drammaticamente di fronte a una situazione nella quale inevitabilmente gli aiuti europei, malgrado il fatto che per il loro volume e per la loro sofisticata macchina di messa in opera vadano in direzioni giuste, vengono perennemente sopravanzati dalla facilità con la quale la Cina elargisce a piene mani e senza fare domande.
Credo che dobbiamo continuare non solo a interrogarci sulla qualità e sul volume del nostro aiuto, ma soprattutto a cercare di migliorare gli obiettivi che sono ormai consolidati, malgrado la diminuzione delle risorse. Il collega citava prima gli aiuti italiani, ma quasi tutti i Paesi europei hanno dovuto ripiegare su questo capitolo fondamentale, con la notevole eccezione della Gran Bretagna e di pochi altri.
Dobbiamo comunque continuare a interrogarci e a cercare di migliorare affinché questi aiuti vadano magari a un numero ristretto di Paesi. Ho notato che il Commissario ne ha citati tre, Somalia, Afghanistan e Repubblica Centrafricana. Il primo, l'Afghanistan, è teatro di una presenza militare di 130 mila soldati; vi sono stati investite centinaia di milioni di euro, che hanno creato un po' di sviluppo e un po' di economia di mercato, ma certamente non a sufficienza rispetto alle sfide.
Non mi dilungo poi sul disastro della Somalia e della Repubblica centrafricana, ma aggiungerei anche del Congo, del Niger, del Burkina Faso e di decine di altri Stati magari meno drammaticamente alla ribalta della cronaca, ma altrettanto poveri, se non poverissimi.
La mia domanda al Commissario è come pensa la Commissione di affinare gli strumenti affinché con questo volume di aiuti assolutamente ragguardevole da parte europea si possa veramente make the difference, fare la differenza, nella competizione fra Europa e Cina.

SANDRO GOZI. Anch'io ringrazio il Commissario. Sarò veloce, perché alcune domande sono state coperte. Vorrei magari approfondire alcuni aspetti.
Il primo è quello che lei ha affrontato citando il caso della Tunisia, ma che ovviamente si estende ad altri Paesi in via di sviluppo a cui noi europei offriamo assistenza e cooperazione. Esiste un dilemma che, benché difficile, credo sia tempo che la Commissione europea affronti. Nel caso della Tunisia è evidente il fallimento della politica di vicinato, che non è stata attuata così com'era stata concepita.
In particolare, rilevo che noi abbiamo bisogno in alcuni Paesi, soprattutto in quelli vicini, ma anche nei Paesi africani, di favorire la società civile, la democrazia, i diritti umani, ma diamo il quasi esclusivo controllo dell'attuazione degli aiuti europei per la cooperazione a regimi che, come ora va di moda affermare, assicurano la stabilità, ma che, come poi vediamo nelle conseguenze, per esempio nel caso della Tunisia, non assicurano poi quei valori di democrazia e di diritti umani che dovrebbero


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essere e che sono proclamati come la guida prima dell'azione europea nei Paesi in via di sviluppo.
È un dilemma che credo che la Commissione europea sarà sempre di più invitata ad affrontare. È evidente che noi europei di fronte al caso Tunisia o ad altri casi siamo oggi in una posizione di imbarazzo. Credo che su questo il Commissario certamente avrà una sua proposta e che la Commissione europea sarà riflettendo in merito anche alla luce di questi eventi.
Tale tema si ricollega, peraltro, alla questione Cina-Africa. La semplifico per come la percepisce l'uomo della strada: per i Governi africani è molto più facile trattare con i cinesi, che non hanno tutte le condizionalità politiche e democratiche che gli europei ex-colonizzatori da anni vogliono imporre a tali Paesi.
È una sfida molto difficile, però, al di là di quanto ci ha riferito, quali sono le iniziative per vincere la concorrenza cinese? Il messaggio che passa è che basta vedere quanto sia facile per i cinesi organizzare summit Cina-Africa a Pechino.
Passo al terzo punto. Lei ha giustamente fatto riferimento ad alcune difficoltà che tutti i Paesi europei affrontano in tempi di crisi rispetto alla cooperazione e allo sviluppo. Lei, Commissario, a Roma avrà alcuni incontri, non ha certamente bisogno di ricevere consigli dal Parlamento, ma è qui per avere le nostre opinioni e la mia è che la stazione italiana abbia superato da tempo i limiti dell'accettabilità per un Paese che vuole avere un ruolo internazionale a livello europeo.
Conosce le cifre: lo 0,16 per cento è la somma che l'Italia destina alla cooperazione allo sviluppo. È meno della Grecia, che vive difficoltà più serie, con lo 0,19, e meno del Portogallo. Sono tutte cifre che lei conosce. È molto meno rispetto al Regno Unito e alla Spagna, che ha triplicato la cooperazione allo sviluppo.
Credo che la Commissione europea debba dare un messaggio molto fermo al Governo italiano per evitare che si ripeta ciò che è accaduto con la legge di stabilità del 2011, la quale ha ridotto di un ulteriore 45 per cento il contributo per la cooperazione allo sviluppo, che per l'anno entrante raggiunge il record negativo di 179 milioni di euro. Con una comparazione che parla da sé, è meno di un decimo delle risorse di cui dispone l'organizzazione Médecins sans frontières.
Credo, Commissario, che sia una questione che la Commissione europea dovrebbe affrontare in maniera molto franca con il Governo italiano.

PRESIDENTE. Se permettete, prendo la parola per una breve domanda.
Già Margherita Boniver, così come anche il collega Gozi, hanno posto la questione che a me sembra basilare, quella del nesso con lo sviluppo democratico nel sistema di aiuti allo sviluppo. Mi pare che oggi sia il tema dei temi, anche perché, laddove ciò non si compie a causa dei gruppi estremisti che purtroppo infestano molti dei Paesi cui noi diamo il nostro aiuto, la situazione diventa non soltanto pericolosissima per le libertà interne di questi Paesi, ma anche nel senso dello sviluppo del terrorismo internazionale. La questione ci interessa doppiamente, quindi, da un punto di vista morale e della sicurezza.
Ne deriva un doppio tema, da una parte su chi aiutiamo e dall'altra su dove finiscono i soldi. È una questione assai complessa. Poiché mi pare che i colleghi abbiano affrontato più il tema di chi aiutiamo, vorrei una risposta sulla questione di dove finiscono i soldi.
So che è una questione terribilmente complessa, ma l'esemplifica molto bene la situazione di Gaza, dove giustamente, data la situazione di difficoltà in cui vive la popolazione, i nostri aiuti continuano ad arrivare, ma dove è decisamente impossibile ignorare che nulla si muove senza che Hamas, un'organizzazione terroristica riconosciuta come tale dall'Unione europea, non veda questi soldi passarle per le mani. L'educazione all'odio, che è, secondo me, uno dei temi principali che noi dobbiamo affrontare, dato che purtroppo l'islamismo estremo, attraverso sia le madrase, sia, soprattutto per quanto riguarda Gaza e l'Autonomia palestinese, la televisione, i


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giornali e le scuole, seguita a predicare una politica che finisce nel terrorismo suicida. Mi domando come possiamo affrontare questo problema. Per esempio, solo nel 2008, la Commissione europea ha versato 663 milioni di dollari facendo di questa zona la più sussidiata di tutte quelle che sussidiamo.
Mi ha molto interessato - e con questo concludo - una proposta della Tax Payers' Alliance, un'associazione sicuramente presente al Commissario. Si tratta di una clausola che, secondo questa associazione, che ha sede a Londra, dovrebbe essere inclusa in tutti i commitment dei donor che ci aiutano ad andare avanti con la politica di aiuto internazionale. Leggo testualmente: «The recipient undertakes not to promote or engage in violence or terrorism, or advocate the destruction of any democratic State and that they do not and will not make sub-grants in the form of material support or resources to any entity that engages in these activities. If the recipient learns that any of its sub-grantees does not conform to the clauses contained in this agreement, they will inform the donor and immediately terminate their association with the sub-grantee». Mi sembra un punto semplice e interessante. Io lo vedo in questo modo e, quindi, lo propongo all'attenzione del Commissario.
C'è una notizia terribile: c'è stato un attacco kamikaze nell'aeroporto di Mosca, il Domodedovo, e nell'esplosione ci sono morti e feriti all'arrivo dei voli internazionali. Ci sarebbero almeno venti vittime e decine di feriti. Mi dispiace di dovervi comunicare questa informazione, ma mi sembra doveroso farlo, in particolare per le nostre Commissioni.
Proseguiamo nel nostro lavoro.

FRANCESCA MARIA MARINARO. Siamo tutti dispiaciuti e vorremmo avere quanto prima informazioni.
Ho colto con grande interesse l'audizione del Commissario europeo su una questione come quella della cooperazione allo sviluppo, che giustamente il Commissario ha voluto sottolineare partendo dai nuovi compiti in materia di politica estera e anche di cooperazione allo sviluppo previsti nel Trattato di Lisbona. Penso che questo richiamo non sia rituale da parte nostra, ma essenziale anche per affrontare le sfide future che il Commissario ci ha elencato e lo rilevo per due motivi di fondo.
Il primo motivo è sicuramente legato alla contingenza e alle difficoltà che si registrano nel mantenere un obiettivo di aiuto e di intervento per quanto riguarda le nostre opinioni pubbliche. Non solo, penso che ci siano una determinazione e un impegno anche da parte della politica nel sostenere questi impegni e gli obiettivi che ci prefiggiamo in sede europea e internazionale.
Il secondo motivo è legato, per quanto mi riguarda, a una necessità di riflessione su ciò che comporta per la Commissione e per tutte le istituzioni europee, ma sicuramente anche per una sede come la nostra, il Parlamento nazionale, l'obiettivo di una politica estera comune, una politica di cooperazione allo sviluppo che necessariamente deve accompagnare l'obiettivo di politica estera soprattutto per quanto riguarda una necessità che, secondo me, si pone.
Questa è la prima considerazione che svolgo, sotto forma anche di domanda al Commissario. In una situazione di questo genere, oltre a creare le opportune sinergie tra politica estera europea e politica di cooperazione allo sviluppo, non ritiene che sia arrivato il tempo di procedere a un'integrazione sempre più forte tra la politica europea allo sviluppo e le politiche nazionali? Vedo uno sfasamento che non aiuta a raggiungere quella necessità di qualità e di controllo del volume degli aiuti, nonché soprattutto l'obiettivo di sicurezza nell'impiego dei fondi.
Credo che la sinergia sia una necessità rispetto alle difficoltà finanziarie che abbiamo davanti a noi. Penso che sia una sinergia utile e necessaria - svolgo una seconda considerazione sotto forma anche di intervento - che, a mio avviso, necessita anche di nuovi strumenti per aiutare gli Stati membri e, in particolare, i loro Governi a mantenere fermi determinati


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obiettivi. Possono essere le forme premiali, ma anche quelle sanzionabili nei confronti di chi non li mantiene. Lo affermo in particolar modo guardando all'esperienza del mio Paese, dove negli ultimi cinque anni si è verificata una caduta veramente forte, con un intervallo di due anni in mezzo ai cinque, della percentuale di aiuti che l'Italia offre. Siamo ben lontani da quello 0,7 per cento che lei ci ricordava e riconfermava.
Questa misura così drastica è sicuramente imputabile all'Italia, ma in generale è in corso una riduzione che si sta verificando in quasi tutte le politiche nazionali degli Stati membri dell'Unione europea.
Oltre a queste correzioni che lei ci ha illustrato per quanto riguarda gli obiettivi futuri, penso che si debbano anche affrontare vie nuove per una maggiore incisività di queste politiche, mirate soprattutto alla persona. È importante la questione della cooperazione con i Governi, ma, anche in relazione all'obiettivo della stabilità degli scenari difficili, è importante la cooperazione delle organizzazioni non governative e soprattutto della società civile, di quella locale, ma anche di quella che presta la sua opera.
A questo scopo mi interessa capire, rispetto anche agli Obiettivi del Millennio, che hanno una particolare attenzione per quanto riguarda la salute delle donne, se un obiettivo del genere, ovvero la salute delle donne, non debba rientrare, guardando soprattutto a un continente importante come quello africano, anche negli obiettivi europei e non solo negli Obiettivi del Millennio.

ENRICO PIANETTA. Sarò brevissimo. Il Commissario ha svolto un'affermazione estremamente condivisibile non soltanto sul ridurre e sul dimezzare la povertà, ma anche sull'eliminarla, un obiettivo condivisibile che va anche oltre gli Obiettivi di sviluppo del Millennio da raggiungere entro il 2015.
Lei ha sostenuto anche, Commissario, che dobbiamo fare di più e meglio. In merito ai fondi non c'è dubbio che l'Italia sia in difficoltà, perché, se parliamo della percentuale dei fondi destinati dal nostro Paese alla cooperazione, è evidente che non sono adeguati, anche se devo sottolineare che in termini obiettivi il ruolo dell'Italia in assoluto è piuttosto consistente.
Al di là dei fondi e dell'incremento della loro quantità, credo che sia da considerare con grande attenzione la possibilità di incrementare l'efficienza degli aiuti. Si tratta di un tema fondamentale su cui anche a livello africano si sono levate considerazioni problematiche. Bisognerebbe mettere in atto un aiuto, secondo alcune voci africane, che consenta di eliminare l'aiuto, cioè di creare le condizioni per lo sviluppo e non la dipendenza.
Credo che questa sia la vera grande scommessa attorno alla quale dobbiamo concentrare tutte le nostre attenzioni e tutte le nostre capacità. Purtroppo questo fatto ha determinato - sappiamo che l'area africana è quella che ha maggiormente bisogno - la dipendenza, la quale non ha permesso di incrementare la capacità da parte delle stesse aree africane di realizzare lo sviluppo.
Questo è il tema dominante, che noi l'abbiamo evidenziato e constatato anche attraverso l'indagine. Certo, bisogna incrementare la quantità - per carità, nessuno vuole evitare di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati a livello internazionale - ma credo che la grande sfida sia quella di incrementare l'efficienza per ridurre la dipendenza.

MARIO BARBI. Ringrazio il Commissario Piebalgs per la sua relazione, nonché per le ambizioni che ci ha rappresentato su ciò che l'Unione europea vuole conseguire tramite la cooperazione. Ricordo, ai sensi del trattato, che essa è una componente della politica estera dell'Unione.
A tutti noi che abbiamo evocato situazioni di crisi e questioni che riguardano il Mediterraneo, il centro Africa, l'Afghanistan o la Somalia, rammento che è all'intera politica estera dell'Unione che noi dovremmo rivolgere in particolare l'attenzione quanto alle difficoltà, alle mancanze, alle incapacità di previsione e alle incoerenze


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che oggi appaiono o cominciano ad apparire in Tunisia. Non voglio pensare poi a ciò che succederà quando situazioni di questo genere accadranno in Egitto e negli altri Paesi dell'Africa settentrionale.
È richiesto un impegno maggiore da parte di tutti gli Stati dell'Unione europea sul terreno della politica estera in senso proprio per contrastare o per indirizzare i cambiamenti sociali in corso in quelle società.
Certamente la politica di cooperazione va vista in questo contesto ed è uno strumento di questo tipo di politiche, anche se credo che solo fino a un dato punto i commi e le condizionalità rappresentino la soluzione. Sono strumenti che vanno usati, ma è sul terreno politico generale che dobbiamo vedere tali questioni. Non possiamo non considerare il rapporto con il processo di pace in Medio Oriente, che è bloccato, perché il rapporto esiste e, se non consideriamo tutto ciò, ci raccontiamo delle cose incomplete.
Svolta questa premessa, volevo attirare l'attenzione del Commissario su alcune questioni che io mi pongo e che noi ci poniamo anche in Commissione e come Gruppo, questioni specifiche relative alle politiche di cooperazione. L'obiettivo della lotta alla povertà - faccio sempre riferimento al trattato - è un obiettivo che ci convince e che lei ci ha descritto, riempiendolo di contenuto.
Vorrei chiederle, a proposito dei 50 miliardi che lei ha citato, come si forma questa somma, come la si distribuisce nelle politiche dell'Unione, come sono distribuite le competenze tra la Commissione, tra lei, il Consiglio e il Parlamento. Come avviene la coerenza di queste politiche? È una questione che mi pare non secondaria e sulla quale sarebbe per noi utile avere alcune informazioni.
In particolare poi le vorrei porre una questione relativa a un altro articolo del trattato, quello che fa riferimento alla collaborazione tra l'Unione e gli Stati membri e che recita in merito: «coordinano le rispettive politiche in materia di cooperazione». A me questo coordinamento, questa collaborazione, sembra un punto centrale. Se avviene, come avviene, e la Commissione è soddisfatta di come avviene?
Lei ha parlato dei deficit quantitativi che vi sono da parte degli Stati membri nel conferire le risorse di aiuto pubblico allo sviluppo, che corrispondono agli impegni assunti in sede internazionale. Della situazione del nostro Paese sappiamo tutto, ahimè, e non ho bisogno di parlarne in questa sede. Sappiamo anche, però, che la Commissione ha avanzato proposte in sede di Consiglio, o almeno così mi risulta, perché venissero approvati Piani di rientro o comunque di aggiustamento dei ritardi accumulati. Queste proposte della Commissione sono finite in nulla? Che cosa ne è di queste proposte? Verranno ripetute? Questo è un altro punto.
Un altro punto che vorrei chiederle di toccare - mi rendo conto che il tempo è quello che è sia per me, sia per lei, quando replicherà - è quello della cooperazione delegata, collegata al mio discorso precedente sulla collaborazione e sul coordinamento che il trattato richiede e prevede tra Unione e Stati membri.
Che importanza riveste la cooperazione delegata nelle idee della Commissione? A me risulta che siano in corso progetti di questo tipo, che vi sia un forte squilibrio in questo momento da parte di progetti attribuiti alla Germania rispetto a tutti gli altri Paesi, che ci siano procedure di accreditamento per le quali l'Italia ha avanzato una candidatura. Non so a che punto sia.
La domanda, dunque, riguarda il ruolo e l'importanza che la Commissione attribuisce alla cooperazione delegata nell'ambito complessivo delle politiche di cooperazione.
Da ultimo, esprimo una preoccupazione, che non è soltanto mia, ma della società civile.
C'è una preoccupazione che attraversa la società civile e le organizzazioni non governative e che riguarda la questione della crescita sostenibile e della lotta ai cambiamenti climatici. Trasferimenti di grandi risorse sono previste verso i Paesi che dovrebbero essere aiutati a perseguire


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questi obiettivi. Esiste il timore che tali risorse vengano sottratte a quelle della cooperazione allo sviluppo. È un timore fondato?

AUGUSTO DI STANISLAO. Io avevo undici domande, ma scelgo le due meno impegnative per tutti, soprattutto per il nostro Commissario.
L'Inghilterra e la Svezia hanno minacciato di bloccare ogni ulteriore incremento dei loro contributi verso l'aiuto pubblico europeo se la Commissione europea non affronterà il problema dei ritardi negli esborsi e non chiarirà perché il 20 per cento delle inchieste per frode dei fondi comunitari riguardi gli interventi di cooperazione allo sviluppo. Come pensa di affrontare il problema sollevato da Svezia e Inghilterra?
Da ultimo, secondo gli impegni contratti con la ratifica del trattato con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, l'Italia dovrebbe contribuire annualmente al Fondo europeo di sviluppo per il 12,86 per cento dei bisogni. Tuttavia, negli ultimi due anni il contributo italiano è stato inferiore a questo impegno, accumulando un debito di circa 240 milioni di euro.
È vero che nei confronti dell'Italia è stata aperta una procedura di infrazione per i ritardi nei versamenti verso il Fondo europeo per gli investimenti e a quanto ammonta questa multa?

PRESIDENTE. Do la parola al Commissario Piebalgs per la replica.

ANDRIS PIEBALGS, Commissario europeo per lo sviluppo. Vorrei innanzitutto ringraziarvi tutti per i vostri commenti e per le vostre impegnative domande e vorrei anch'io unirmi al cordoglio di tutti per la morte dei cittadini in Russia. Questo tragico episodio dimostra che non basta avere a disposizione i servizi di sicurezza, seppur di ottimo livello. La Russia ha dinanzi a sé delle sfide enormi che richiedono anche il nostro aiuto. Solo sul posto si può affrontare il problema del terrorismo, e non si può pensare comunque di poter proteggere tutti ovunque e contemporaneamente. Capiamo, dunque, qual è la grande sfida che si pone dinanzi allo Stato russo ed esprimiamo il nostro cordoglio per le famiglie.
Partendo dalla domanda dell'onorevole Duilio, lo 0,16 per cento non è abbastanza. È sempre una questione di stabilire se si vogliono combattere le radici o le conseguenze. Se vogliamo combattere le radici della migrazione clandestina o della criminalità organizzata, occorre che noi tutti cerchiamo di capire dove sono le radici di queste sfide.
Chi traffica in sostanze stupefacenti spesso è costretto a farlo per mancanza di alternative economiche, per mancanza di un impiego decente.
Dobbiamo stanziare risorse finanziarie se vogliamo fare qualcosa di concreto, ma è una scelta politica. Lo 0,16 per cento non è una sfida macro-economica, ma una scelta politica. Sono stato ministro delle finanze e posso affermare che è una scelta politica. Crediamo nella politica, in questa politica, o no? Se credete in una politica, allora siete disposti a investire, altrimenti no. Se voi scegliete, credo che possiate influenzare il vostro Governo a capire l'importanza di questa politica.
Non possiamo concentrarci solo su alcuni Paesi, con riferimento alla domanda sui flussi migratori. I flussi migratori verso l'UE potrebbero provenire da tutte le parti del mondo, ma noi siamo protetti da alcuni «cuscini». Tutta l'Asia centrale arriverebbe in Europa se non ci fosse crescita in Russia. I lavoratori dell'Asia centrale restano sul mercato russo. La crescita russa costituisce una protezione per noi. Se ci fosse crescita nell'Asia centrale, quei lavoratori resterebbero in Asia centrale.
Anche il Sudafrica è un cuscino per noi: una crescita del Sudafrica comporterebbe uno spostamento dei flussi dell'Africa verso il Sud dell'Africa. Ecco perché è nel nostro interesse che ci sia una buona crescita in varie parti del mondo: non è detto infatti che la gente verrebbe necessariamente in Europa.
Il mio punto è che non è sufficiente considerare solo alcuni Paesi, perché tali


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Paesi potrebbero fallire. Dobbiamo cercare, invece, esempi positivi come quello del Sudafrica.
La Russia non è un buon esempio per la politica di sviluppo, ma lo è nel senso che, se vi è crescita, c'è una minore pressione migratoria. La crescita in India potrebbe attirare persone dalla regione vicina e, quindi, dovremmo allargare i nostri orizzonti per lo sviluppo.
Per quanto riguarda il fatto se il denaro va dove ce n'è bisogno, è una buona domanda ed è per questo motivo che è nato il Libro verde. Secondo me, dobbiamo affrontare la situazione cambiandola all'interno dei Paesi interessati. Se c'è un sostegno al bilancio mirato alle riforme politiche, se c'è un'agenda legata alla crescita, bisogna concentrarsi su quelli.
Non mi vergogno di alcuno dei progetti che realizziamo, ma a volte cerchiamo di sostituire il sistema dei Paesi scelti. Cito il Burkina Faso. Abbiamo il contratto per gli Obiettivi di sviluppo del Millennio per il sostegno al bilancio e il mio ufficio gestisce 130 progetti diversi, che sono molto buoni, come quello per la costruzione di case a Ouagadougou. Per me non erano essenziali, perché avremmo dovuto concentrarci di più sul sostegno al bilancio, chiedendo più accountability. Dobbiamo concentrarci sulla strategia per un Paese, ma senza cercare di sostituire il sistema Paese in ogni singolo aspetto; è in questo che dobbiamo migliorare.
In risposta alla domanda dell'onorevole Boniver, dovremmo avere meno Paesi su cui concentrarci. Dobbiamo sviluppare anche progetti di sviluppo in Turchia o in Ucraina? Credo che in tali Paesi la crescita sia sufficiente. Dobbiamo procedere su meno Paesi e con un maggiore impegno. Oggi cerchiamo di coprire tutti i Paesi del mondo, ma su piccola scala, e ciò non fornisce una spinta sufficiente perché questi Paesi vadano avanti.
Sono d'accordo con lei anche sulla selezione di alcune priorità. Dobbiamo agire per far cambiare i Paesi con qualità. La cultura non è parte dei nostri compiti. È una scelta difficile, io sono un grande sostenitore dell'istruzione e della cultura, ma a volte è meglio ammettere che non possiamo fare tutto e che dovremmo concentrarci sulle priorità che abbiamo individuato.
Per quanto riguarda l'onorevole Gozi e la sua domanda sulla Tunisia, credo che non dovremmo imbarazzarci affatto. Chi è stato a fare la rivoluzione? La gente. Chi ha organizzato la società? La società stessa. Ora c'è un benessere economico, ma ci sono state forte povertà e grande disoccupazione. Tuttavia, si tratta di un processo sano e salutare.
È vero, abbiamo lavorato con Ben Ali, ma avevamo altre scelte? C'erano altri leader? Che cosa avremmo potuto fare? Credo che anche la Tunisia possa giudicare tra un anno il valore della nostra politica. Adesso la Tunisia ha superato un altro ostacolo, la dittatura. Noi abbiamo fornito il nostro aiuto, il nostro sostegno, un decente livello di istruzione e investimenti economici adeguati, ragion per cui la gente ha cominciato a sentirsi più rassicurata.
È facile mantenere la dittatura nella povertà. Credo che in Tunisia ci sia una sensazione mista. È vero, è importante vedere che cosa non fare in futuro, ma la situazione non è nettamente nera rispetto a ciò che abbiamo fatto in passato. Dobbiamo cambiare la nostra politica sicuramente, ma la società può avere un buon progresso politico, se matura a livello culturale e in termini di ricchezza. In Tunisia la gente si è stancata delle famiglie che cercavano di monopolizzare la situazione e la gente ha cominciato a pensare che invece tutte le persone sono uguali. Credo che ciò abbia determinato il cambiamento.
Per quanto riguarda la competizione con la Cina, noi abbiamo due debolezze: siamo ancora 27 Paesi e non utilizziamo qualcosa che invece dovremmo utilizzare, ovvero i prestiti. La Cina non fornisce sovvenzioni, o lo fa in maniera limitata. Mentre noi forniamo solo sovvenzioni. Il problema è che le sovvenzioni hanno un valore ridotto. Quando ricevo denaro, mi preoccupo solo della quantità e non mi chiedo se si tratta di una sovvenzione


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oppure di un prestito; ci penso dopo. Bisogna mobilitare un equilibrio tra sovvenzioni e prestiti e infrastrutture a valore aggiunto. Per questo motivo ho citato l'energia pulita, che è sostenibile, è una buona idea ed è apprezzata dai Paesi.
Per quanto riguarda lo 0,16 per cento, credo che sia in gioco la credibilità. È una scelta politica, come ho affermato prima: se non ci credete, va bene, ma, se ci credete, occorre procedere al più presto con gli impegni assunti e non entro il 2015.
Abbiamo assunto nel giugno dell'anno scorso un impegno unanime. Quando c'era la crisi, a giugno dell'anno scorso, i Capi di Stato e di Governo hanno assunto un impegno formale e sostanziale. Non si può, naturalmente, aumentare all'improvviso e, quindi, esprimerò una considerazione impopolare: potete sempre cercare metodi alternativi come la tassa globale sulle transazioni finanziarie, e si può utilizzare la prossima prospettiva finanziaria per capire dove va il denaro comunitario. Per esempio si potrebbe aumentare la quota del bilancio europeo destinata allo sviluppo. Esistono, quindi, diverse possibilità sul piano politico. Nessuna è facilmente praticabile, ma esistono.
Ma, ancora una volta, o ci crediamo o non ci crediamo. Questo è il punto centrale: se voi non ci credete, allora resterete sempre al di sotto dei vostri impegni, mentre, se ci credete, riuscirete a onorare il vostro impegno, ad avere successo e a far sì che noi tutti avremo successo.
Signor presidente, per quanto riguarda la democrazia, a proposito di Gaza e della sua domanda molto insidiosa, noi non forniamo alcun sostegno ad Hamas, ovviamente. Sappiamo che la gente locale soffre e, attraverso le agenzie delle Nazioni unite e ONG, cerchiamo di fornire alla gente cibo, strutture igieniche, acqua e, quindi, indirettamente sembriamo aiutare Hamas. In realtà, stiamo dando aiuto alla gente. Si tratta di trovare un equilibrio.
Tutto il Medio Oriente rappresenta una situazione complicata. Attraverso l'UNRWA, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi, abbiamo devoluto tanto denaro, ma occorre una soluzione politica per tutto il Medio Oriente e spero davvero che la si possa trovare presto e non tardi. Siamo tra l'incudine e il martello: bisogna aiutare la gente di Gaza, se soffre davvero, e non si può affermare che, poiché Hamas è cattiva, allora dobbiamo abbandonare la gente.
Dobbiamo cercare modalità per aiutare persone che vivono in una situazione critica. Non stiamo compromettendo la nostra politica, non stiamo sostenendo regimi non democratici. Non abbiamo cambiato il nostro atteggiamento nei confronti di Hamas, non la sosteniamo. Stiamo cercando di aiutare le persone a uscire dalle difficoltà e ci aspettiamo che la gente capisca ciò che è nel loro interesse. So che per lei questa è una questione molto delicata, così come la situazione in tutta la regione e possono esserci prospettive diverse.
Per quanto riguarda la senatrice Marinaro, la mia intenzione a proposito del Libro verde è quella di creare sinergia tra l'UE e gli obiettivi nazionali. Oggi siamo ben lungi da questo obiettivo. Con il consenso europeo abbiamo convenuto su alcuni princìpi, ma occorre ancora creare un equilibrio e non ci sentiamo sufficientemente forti. Non so quanto potremo andare avanti e dove arriveremo. Molto dipende da voi e dalle vostre decisioni, per esempio in merito a dove andrà la politica estera italiana.
In merito agli altri Paesi, la mia posizione è che la Commissione non è il ventottesimo Stato membro, ma che ciascuno è uno Stato membro e, quindi, non è una mia ambizione arrivare a ciò. Io sono lettone e sono protetto dalla distanza dalle regioni più instabili, ma è ovvio che la Lettonia privilegi la donazione di denaro per una politica di sviluppo europea piuttosto che per una propria politica di sviluppo nazionale. Per Paesi come l'Italia è una questione di equilibrio. Occorre naturalmente una politica di sviluppo dell'UE unificata, il che significa che l'importante è avere una garanzia. Bisogna essere più efficaci, ma occorre anche concentrarsi sulle priorità.


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Ci impegniamo moltissimo e lavoriamo molto con le ONG. Non le abbiamo mai criticate. Credo che siano un grande sostegno all'interno dell'UE e un ottimo legame con i cittadini e nel mondo in via di sviluppo possono naturalmente occuparsi di questioni che noi a livello ufficiale non possiamo trattare.
Per quanto riguarda la salute delle donne, questa dipende dai sistemi sanitari all'interno dei diversi Paesi; dal mio punto di vista gli Obiettivi di sviluppo del Millennio sono il nostro obiettivo, non un obiettivo solo nei Paesi in via di sviluppo. Abbiamo assunto questa responsabilità quando sono stati creati nel documento ufficiale e non sarò chiamato a renderne conto da solo, se falliremo. Ci sarà una responsabilità condivisa, ma credo che sia parte del nostro impegno che noi cerchiamo di occuparci della questione per quanto possiamo.
Sono assolutamente d'accordo con l'onorevole Pianetta: deve essere uno strumento per eliminare gli aiuti. Il nostro obiettivo ultimo è di stanziare lo 0,7 per cento, ma per strategie che mirino all'eliminazione di tutti gli aiuti nel lasso di circa vent'anni. Sono totalmente d'accordo con lei, proprio per non aumentare la dipendenza.
In parte questo è stato un problema nel passato; la nostra politica è stata talmente caritatevole che sembrava che potesse continuare per sempre, ma ciascun Paese deve sviluppare un proprio sistema fiscale. Molti paesi riscuotono solo il 10 per cento della ricchezza nazionale per cambiare i propri sistemi sociali. Noi tassiamo molto di più i nostri cittadini; è ovvio che, se vogliono gli aiuti, tali Paesi devono migliorare i loro sistemi sociali. Non possiamo sostituire noi i loro sistemi fiscali e sociali senza che vengano tassati i loro cittadini; è parte del paradigma, ma credo che si potrà seguire questa strada.
Per quanto riguarda l'onorevole Barbi, 40 miliardi di euro passano attraverso gli Stati membri e 10 attraverso l'Unione. I 10 miliardi si dividono in due parti praticamente uguali: per una metà decidono solo gli Stati membri, sulla base delle proposte della Commissione, per l'altra metà la decisione spetta al Parlamento e agli Stati membri. Il coordinamento con gli Stati membri sta aumentando. Credo che siamo sulla strada giusta, ma dobbiamo naturalmente accelerare e cercheremo di fare il possibile in questo settore.
Per quanto riguarda la cooperazione delegata, è una buona potenzialità. Ci sono dodici agenzie accreditate. In merito all'accreditamento delle agenzie italiane, si tratta soltanto di un problema burocratico di trasmissione tardiva di documenti e di informazioni, ma non ci sono differenze rispetto ad altre agenzie, come quelle tedesche.
Della crescita sostenibile e della lotta al cambiamento climatico ho già detto. Abbiamo una strategia; abbiamo un'alleanza globale per i cambiamenti climatici e abbiamo stanziato del denaro. Sostengo sempre, però, che non è necessario creare un altro schema per la lotta al cambiamento climatico; dobbiamo, invece, utilizzare quello già esistente con gli aiuti allo sviluppo. Si tratta della stessa questione: laddove si affronta il cambiamento climatico, si affronta anche il problema dello sviluppo sostenibile, non c'è bisogno di un sistema parallelo. Abbiamo un sistema tecnico che fornirà sicuramente una soluzione di buona qualità.
Per quanto riguarda l'Inghilterra e la Svezia, essendo in ottimi contatti con i loro rappresentanti, so che l'Inghilterra ha lanciato una valutazione del sistema di fornitura degli aiuti multilaterali, anche a livello comunitario. Ufficiosamente - ci sarà una comunicazione ufficiale a febbraio - sono più o meno soddisfatti di come stiamo lavorando in merito al Fondo europeo per lo sviluppo anche in termini di bilancio. Non ho sentito assolutamente nulla a proposito di una proposta di congelamento dei finanziamenti comunitari.
In relazione al Fondo di sviluppo non è in piedi alcuna procedura di infrazione contro l'Italia. Di solito tutti gli Stati membri pagano quando viene loro richiesto,


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ma esiste una differenza legata al loro impegno. Non c'è un obbligo immediato di erogare tutto il denaro.
Lei ha parlato di un gap di 240 milioni: si tratta di una quantità di denaro che non è stata mobilitata e che, invece, potrebbe esserlo, ma al momento non c'è alcuna procedura di infrazione contro alcuno Stato membro, perché i tassi di interesse da pagare sono piuttosto alti, il 4 per cento, e, per quanto ne so, nessuno Stato è su questa strada. Tutti i Paesi stanno pagando puntualmente pur lamentandosi in qualche caso.
Da ultimo, ma non meno importante, ho apprezzato davvero il vostro interesse. Ancora una volta la questione è avere fiducia nella politica. Credo che potremmo davvero fare la differenza o che almeno avremo la possibilità di cambiare il mondo. Il mondo cambia e l'Europa non è debole come sembra. A volte, quando si tratta di queste questioni, possiamo davvero operare il cambiamento. Abbiamo bisogno forse di procedere più velocemente e con più coraggio.

PRESIDENTE. Vi comunico che cercheremo, come Commissione, di mettere in calendario l'esame del Libro verde di cui il Commissario ha parlato questa stasera. Le faremo pervenire, Commissario, le nostre considerazioni.
In secondo luogo, purtroppo ci sono trentuno morti e centotrenta feriti all'aeroporto di Mosca. L'attentato è avvenuto nell'area dove si ritira il bagaglio. È stato un episodio devastante e vi chiedo, quindi, mandato di elaborare un breve comunicato a nome delle nostre Commissioni riunite per esprimere il nostro cordoglio e la nostra condanna. Mi sembra doveroso affermare che le nostre Commissioni riunite, venute a conoscenza di questo evento, esprimono la loro condanna e il loro cordoglio.
Ringraziando di nuovo il dottor Piebalgs, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea)

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