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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V e XIV)
9.
Martedì 18 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione di membri italiani del Parlamento europeo sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020 (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 4 12 17 22
Balzani Francesca, Parlamentare europeo ... 3 17
Calvisi Giulio (PD) ... 12
Cambursano Renato (IdV) ... 14
Duilio Lino (PD) ... 15
Gualtieri Roberto, Parlamentare europeo ... 10 20
La Via Giovanni, Parlamentare europeo ... 6 19
Marchi Maino (PD) ... 17
Matera Barbara, Parlamentare europeo ... 20
Mazzoni Erminia, Parlamentare europeo ... 4 18
Vannucci Massimo (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 18 ottobre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 12,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di membri italiani del Parlamento europeo sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 1, del Regolamento, l'audizione di membri italiani del Parlamento europeo sul quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020.
Sino ad ora abbiamo audito diversi soggetti sul predetto quadro finanziario e abbiamo ora ritenuto importante organizzare un incontro sul tema con i nostri rappresentanti presso il Parlamento europeo. Sono presenti per il gruppo del Partito popolare europeo Barbara Matera, Erminia Mazzoni e Giovanni La Via e per il gruppo Socialisti e Democratici Francesca Balzani e Roberto Gualtieri.
Do, quindi, la parola ai nostri ospiti.

FRANCESCA BALZANI, Parlamentare europeo. Abbiamo deciso che aprissi io questa giornata di incontri perché sono relatore generale del bilancio europeo. Il relatore generale è il relatore per il Parlamento, una delle istituzioni che insieme al Consiglio e alla Commissione costruisce pezzo per pezzo il bilancio dell'Unione europea che concerne la politica agricola, i fondi strutturali, la coesione e, adesso, anche la politica estera dell'Unione europea. Il bilancio costituisce la parte applicativa delle prospettive finanziarie.
La definizione di prospettive finanziarie allude alla genericità, alle risorse e alle finanze dell'Unione. In realtà, le prospettive finanziarie sono uno strumento di governo molto concreto, che salda in maniera fortissima le politiche dell'Unione e le risorse per attuarle. Con il quadro finanziario pluriennale non si stabilisce solo una griglia di spesa, ma si stabilisce in maniera puntuale anche quali saranno le azioni e le politiche che l'Unione europea finanzierà nei prossimi sette anni. Esso è uno strumento non solo concreto ed efficace, ma anche particolarmente delicato, perché dotato di una rigidità straordinaria.
Il procedimento di negoziazione delle prospettive finanziarie è molto lungo e complesso: lo abbiamo iniziato l'anno scorso per arrivare a un documento che diventerà operativo nel 2014, quindi con grande anticipo. Le prospettive finanziarie sono uno strumento estremamente rigido, perché modificabile solo con l'accordo di tutti gli Stati membri, con voto unanime del Consiglio.
È uno strumento col quale bisognerà fare i conti non solo per le politiche dell'Unione che conosciamo, ma anche per fronteggiare le emergenze. Il Recovery Plan, il piano di rilancio economico che l'Europa ha deciso di finanziare nel 2009, è stato finanziato proprio con una straordinaria manovra di variazione delle prospettive


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finanziarie. È uno dei pochissimi casi in cui si è riusciti a usare la revisione delle prospettive. Dopo essere state definite, quindi, le prospettive finanziarie segneranno in maniera molto rigida le politiche dell'Unione europea fino al 2020.
Quest'anno lo strumento è particolarmente delicato anche per ragioni nuove. La prima è che le prospettive finanziarie si salderanno fortemente alla discussione sulle risorse proprie. Insieme alle nuove prospettive, la Commissione ha messo sul tavolo la proposta seria e concreta, per la prima volta con una data di partenza, per nuove risorse proprie dell'Unione, indicando la tassazione sulle transazioni finanziarie e un nuovo tributo IVA che unifichi il modello del valore aggiunto all'interno dell'Unione.
Questo tema rovescerà i meccanismi di finanziamento del bilancio europeo, riducendo più o meno della metà i contributi degli Stati membri e forse così conferendo - è una scommessa tutta da costruire - più autonomia alle scelte che si compiranno all'interno dell'Unione. Oggi, infatti, il finanziamento del bilancio europeo tramite risorse proprie crea di fatto una forte competizione tra bilancio europeo e bilanci nazionali. La proposta di bilancio della Commissione - del 20 aprile di quest'anno - è stata bocciata da sei Stati membri poiché questi sono intenzionati a risparmiare sulla propria spesa, tagliando il contributo al bilancio europeo.
Se si riuscirà a finanziare il bilancio europeo con risorse proprie dell'Unione, questo antagonismo assolutamente deleterio e devastante tra bilancio dell'Unione e bilanci nazionali è destinato a ridursi. Forse ciò consentirà anche di far emergere il valore aggiunto degli investimenti europei, che oggi facciamo fatica a rendere percepibile.
C'è anche il tema forte della governance. Se si legge la proposta della Commissione sulle prospettive finanziarie, risalta un fatto ormai al centro della discussione. Non è possibile finanziare alcunché se non si riesce a fare rete, in primo luogo tra il bilancio dell'Unione e i bilanci dei singoli Stati membri. Il semestre europeo deve diventare, in maniera sostanziale e non solo formale, un momento di convergenza tra gli obiettivi. L'Unione europea con la strategia Europa 2020 ha segnato obiettivi condivisi. Quegli obiettivi devono diventare gli stessi obiettivi poi dei bilanci nazionali.
È però anche necessario fare rete con le altre realtà pubbliche e private, con i governi regionali e locali. Senza rete il finanziamento delle sfide dell'Unione europea, dalle infrastrutture alla ricerca, all'innovazione, non è possibile. Oggi la sola risorsa pubblica - e men che meno la riserva europea - è insufficiente.
Queste sono le sfide da raccogliere. L'ultima, quella della convergenza degli obiettivi, dell'allineamento, del dialogo tra il bilancio europeo e quello nazionale, secondo me è la più forte. C'è l'incapacità di usare i fondi strutturali europei. Nell'ultima sessione di Strasburgo abbiamo votato un rapporto da cui emergono numeri impietosi: non si riesce a spendere la risorsa europea. Esiste sicuramente anche un problema di appesantimento regolamentare e ci sono senz'altro regole da semplificare. Ma, c'è anche la necessità forte di comprendere che la risorsa europea serve se si adottano politiche europee: questa si può usare se si vogliono condividere gli obiettivi dell'Europa e attuarli con quelle risorse.
Il bilancio europeo è quindi il punto di partenza per una rete integrata tra bilanci nazionali e bilanci locali e per il coinvolgimento di realtà territoriali e soggetti privati. È la sfida principale che le prospettive finanziarie che andiamo a negoziare si pongono. I numeri e le cifre sono sicuramente importanti, ma non sono il punto strategico della negoziazione.

PRESIDENTE. Grazie per la puntuale disamina della questione. Non sapevo che lei ricoprisse un incarico così rilevante. Credo che sia importante che una collega italiana segua questo procedimento.

ERMINIA MAZZONI, Parlamentare europeo. Il mio ruolo, vista la posizione che ricopro all'interno della Commissione per


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lo sviluppo regionale, è compiere un focus, nell'ambito delle prospettive finanziarie pluriennali, sulla politica di coesione.
La tabella di marcia che sta seguendo e seguirà la politica di coesione è assorbita, in parte, dall'intervento della collega Balzani. La marcia della ridefinizione delle politiche di coesione è partita con la comunicazione sulla strategia Europa 2020 e con la comunicazione sul quadro finanziario pluriennale ed è entrata nel vivo qualche settimana fa con la presentazione, da parte del Commissario Hahn, della proposta sulla nuova agenda 2014-2020. Ci saranno altri passaggi, consultazioni e negoziazioni fino al 2013 per adottare un nuovo pacchetto legislativo che tenga conto delle posizioni dei singoli Stati membri. Nel 2014, una volta adottato il pacchetto legislativo relativo a tutte le politiche contenute in quella di bilancio, partirà la nuova agenda con l'approvazione dei programmi da parte dei singoli Stati membri.
La politica di coesione, uno dei tre pilastri del bilancio dell'Unione, ha subito modificazioni importanti. La nuova proposta del Commissario Hahn presenta punti di novità non trascurabili, soprattutto dal punto di vista dell'Italia.
Al di là dell'obiettivo di massima dell'agenda, mentre le agende dei periodi precedenti avevano come punto di riferimento sempre e comunque l'implementazione della legislazione comunitaria, con aggiunte e arricchimenti relativi agli obiettivi del Trattato di Lisbona o ad altri obiettivi specifici, oggi, invece, l'attenzione si concentra sugli obiettivi strategici di Europa 2020.
Per quanto riguarda la dotazione finanziaria nell'ambito del bilancio, dopo il 2013, per la politica di coesione è previsto uno stanziamento complessivo di 376 miliardi di euro. Di questi 40 miliardi di euro sono dedicati alla promozione delle reti trasportistiche e delle connessioni all'interno dell'Unione europea; 68,7 miliardi di euro sono destinati al Fondo di coesione ed includono anche 10 miliardi di euro relativi - anche in questo caso - all'implementazione di infrastrutture e connessioni all'interno dell'Europa; 162,6 miliardi di euro sono per le regioni rientranti nel cosiddetto obiettivo Convergenza o regioni meno sviluppate; 39 miliardi vanno alle nuove regioni dell'obiettivo Transizione; 53,1 miliardi vanno alle regioni più sviluppate, essendo destinate all'obiettivo Competitività; 11,7 miliardi sono attribuiti alla cooperazione territoriale e 0,9 miliardi alle regioni più estreme e meno popolose, per un totale, come dicevo, di 376 miliardi di euro.
All'interno di queste risorse abbiamo una divisione percentuale che attribuisce il 71,5 per cento dei fondi alle regioni meno sviluppate, il 12,1 per cento alle regioni intermedie di nuova creazione, il 16,4 per cento alle regioni più sviluppate. In termini di popolazione, il 71,5 per cento dell'intero stanziamento per la politica di coesione è destinato a 119,2 milioni di abitanti, il 12,1 per cento a 72,4 milioni di abitanti e il 16,4 per cento a 307,1 milioni di abitanti.
Le quote di cofinanziamento per gli obiettivi tradizionali, Competitività e Convergenza, rimangono invariate nella misura, rispettivamente, del 50 per cento e dell'85 per cento. Viene introdotta una previsione di quota di finanziamento europea del 60 per cento per le nuove regioni di obiettivo intermedio.
La tendenza di questa nuova agenda è verso la semplificazione. I disagi, a volte individuati come disastri, che sono stati registrati negli anni in alcuni Paesi e in alcune regioni - anche l'Italia è toccata da tali vicende - hanno portato a ritenere necessario, da un lato, un inasprimento delle sanzioni e delle previsioni di controllo e, dall'altro, ad acquisire maggiore consapevolezza della necessità di rendere più fruibili per tutti le procedure, i meccanismi e gli strumenti comunitari. Come diceva la collega Balzani, uno dei problemi che incontrano molte realtà, e tra queste l'Italia, è quello di entrare nelle dinamiche burocratiche dell'Unione europea. Ciò produce risultati sicuramente non soddisfacenti.
La semplificazione parte dalla regolamentazione. Questa nuova agenda prevede,


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infatti, sei regolamenti. Al di là dei cinque regolamenti specifici per i singoli fondi, abbiamo un regolamento generale che definisce le condizioni e le caratteristiche generali di tutte quante le risorse che si muovono nell'ambito della politica di coesione. Questa volta nella regolamentazione generale e di armonizzazione sono inclusi anche il fondo relativo alla pesca e quello relativo all'agricoltura, un aspetto di cui si occuperà il collega La Via.
Nell'ambito di questa prospettiva, per il nostro Paese la previsione è di mantenimento della quota di finanziamento già decisa nell'agenda 2007-2013, pari a circa 30 miliardi di euro. Questi fondi vanno però considerati in termini reali e decurtati di una cifra pari al 5 per cento. Sempre dal punto di vista dell'Italia, aggiungo che l'introduzione della categoria intermedia ha aperto un dibattito molto acceso all'interno del Parlamento europeo, che spero non si interrompa e trovi anche il sostegno del nostro Paese. Tale nuova categoria, a parità di livello di budget e con la decurtazione in termini reali a cui ho accennato, riguarderà circa 72 milioni di cittadini europei, di cui solo 4 milioni in Italia. Le regioni italiane interessate da questa ipotetica nuova categoria sono Abruzzo, Sardegna, Molise e Basilicata, in phasing in.
Attualmente le regioni in phasing out hanno risorse pari a 130 euro per abitante, contro i 22 euro per abitante delle regioni obiettivo Competitività. All'interno di questo obiettivo si consideri, però, che godrà di un'attribuzione di risorse per abitante oscillante tra i 130 euro attuali delle regioni phasing out e i 22 euro delle regioni di possibile approdo dell'attuale obiettivo Competitività soltanto il 22 per cento delle regioni ex obiettivo Convergenza, che quindi vanno a lavorare (per così dire) sui 130 euro per abitante. Le altre regioni non provengono dal vecchio obiettivo Convergenza e in parte già utilizzavano i 22 euro per abitante.
È chiaro che stiamo producendo un decremento da qualche parte. Credo che su questo punto bisognerebbe pretendere quanto prima delle simulazioni, cosa che noi stiamo cercando di fare, per poter assumere una posizione che tenga conto non tanto e non solo degli interessi nazionali, quanto degli interessi generali della politica di coesione, una politica che ha come primo obiettivo quello di recuperare le disparità tra le singole regioni. Creando squilibri di carattere economico in ragione della tutela di interessi particolari, non credo che si ottemperi all'obiettivo.
Un altro elemento di novità sul quale dovremmo concentrarci e trovare la capacità di fare rete con numerosi Paesi, in particolare dell'area orientale dell'Unione europea, è l'introduzione di condizionalità macroeconomiche. Come dicevo prima, questa agenda presenta una prospettiva di maggiore rigidità e di maggiore controllo. Si introducono nuove regole per rendere più garantista il sistema delle verifiche ex ante ed ex post, ma in particolare la Commissione ha presentato la proposta di introdurre la cosiddetta condizionalità macroeconomica, cioè l'ancoraggio dei risultati della politica di coesione al rispetto dei requisiti del Patto di stabilità.
Nel caso in cui un Paese venga sottoposto a una procedura per un disavanzo eccessivo scatta l'automatica sospensione delle risorse legate al quadro strategico di finanziamento della politica di coesione. Credo che anche questo sia un elemento di estrema gravità in un momento di particolare crisi come quello attuale. Nella fase di prima presentazione della proposta della Commissione abbiamo già anticipato la nostra totale contrarietà, ma, sapendo che la procedura di approvazione è una procedura complessa, che vede anche la partecipazione, attraverso il Consiglio, dei singoli Stati membri, una posizione ben definita della nostra rappresentanza sarebbe molto importante.

GIOVANNI LA VIA, Parlamentare europeo. Essendo io il relatore del bilancio agricolo, parlerò della politica agricola e della pesca. Il nostro filo logico conduttore è quello delle rubriche del bilancio. Con i


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nostri interventi stiamo ripercorrendo la stessa struttura del Multiannual Financial Framework.
La politica agricola è sicuramente la politica storica dell'Unione europea, alla quale la Comunità prima e l'Unione dopo hanno destinato gran parte delle risorse. Il trasferimento di risorse a favore della politica agricola è però un trasferimento decrescente. Lo era nel precedente quadro finanziario multiannuale, nel quale progressivamente diminuiva da una percentuale del 45 per cento circa sul bilancio totale fino al 39,6 per cento dell'ultima annualità 2013, e continua, di fatto, a esserlo anche nell'ultima proposta di quadro finanziario. Torno un momento indietro semplicemente per inquadrare il discorso della politica agricola in modo più generale.
La proposta della Commissione sul nuovo quadro finanziario pluriennale prevede un aumento del 5 per cento delle risorse destinate a tutte le politiche dell'Unione europea. In questo contesto la destinazione di risorse alla rubrica 2, cioè all'ambiente, all'agricoltura e alla pesca, è, invece, una dotazione finanziaria costante - in termini di valore - rispetto al 2011. Perde di importanza relativa di anno in anno semplicemente perché mantiene lo stesso valore in valuta costante 2011, mentre tutte le altre politiche subiscono incrementi nell'arco dei vari anni.
La struttura del bilancio manifesta la volontà della Commissione di mantenere ancora una politica agricola articolata su due pilastri: da un lato i trasferimenti diretti agli imprenditori agricoli per il sostegno al reddito, ma soprattutto per una politica agricola più verde, e dall'altro, le classiche politiche di sviluppo rurale. La stessa struttura del quadro finanziario multiannuale continua, quindi, a mantenere una posta per i pagamenti diretti e gli interventi di mercato e un appostamento separato per la politica di sviluppo rurale.
Rispetto a un precedente quadro finanziario pluriennale, che prevedeva 322 miliardi di euro nell'intero periodo per pagamenti diretti e interventi di mercato, nel quadro finanziario che stiamo discutendo la proposta della Commissione si attesta su 281 miliardi di euro. Questo è il taglio che la politica agricola subirebbe in termini di aiuti diretti. La politica di sviluppo rurale, che si articola in programmi regionali o nazionali secondo gli snodi interni degli Stati membri, passerebbe, invece, da 96 miliardi di euro a poco meno di 90 miliardi di euro, perdendo anche qui una piccola parte di finanziamenti.
Una cosa è certa. Oltre al quadro finanziario multiannuale, che rappresenta la risorsa, è in procinto di partire anche la discussione sulla struttura stessa della politica agricola. La Commissione ha presentato la sua proposta il 12 ottobre scorso. Il Parlamento sarà, quindi, impegnato a dibattere su come utilizzare al meglio queste risorse.
Questa proposizione contiene un criterio di distribuzione delle risorse non particolarmente vantaggioso per un Paese come l'Italia, caratterizzato da un'agricoltura intensiva e ad alto valore aggiunto. Il parametro utilizzato nella distribuzione delle risorse è, infatti, quello relativo alle superfici. Poiché il nostro Paese non ha grandi superfici agricole utilizzate, ma possiede una grande intensità di esercizio e fondiaria, quindi grandi investimenti per unità di superficie, questo elemento per adesso è sicuramente penalizzante in termini di trasferimenti a favore delle nostre imprese agricole e dei nostri territori.
Nel presente quadro finanziario multiannuale all'Italia vengono pagati annualmente 4,1 miliardi di euro di aiuti diretti e circa 6,1 miliardi di euro nel complesso, tenendo conto anche dei trasferimenti a favore della politica di sviluppo rurale. Il nuovo quadro finanziario multiannuale e la proposta formulata dalla Commissione rischiano di determinare una riduzione dei trasferimenti abbastanza marcata. Già la riduzione dell'ammontare complessivo delle risorse in termini di valuta corrente negli anni del nuovo quadro finanziario pluriennale ci attesta, negli ultimi anni, addirittura un taglio del 10 per cento. I nuovi criteri di distribuzione fanno sì che l'Italia sia tra i Paesi che perderanno qualcosa.


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È evidente che oggi all'interno dell'Europa ci sono fortissime differenziazioni tra Paese e Paese. Ci sono Paesi, soprattutto quelli dell'ultima adesione, dell'ultimo allargamento, i Paesi dell'est europeo, che hanno premi unitari estremamente bassi. La proposta formulata dalla Commissione prevede una riduzione, nella misura del 30 per cento, dei differenziali con i Paesi di nuova adesione, che non raggiungono la media comunitaria in termini di aiuti diretti, e prevede, invece, che a pagare siano i Paesi che hanno un valore superiore al 90 per cento della media comunitaria attuale. L'Italia, insieme ad altri sei o sette Paesi, pagherebbe quindi qualcosa a vantaggio di Paesi che invece hanno livelli di pagamenti diretti inferiori, in alcuni casi del 10 per cento, rispetto a quelli dei Paesi della vecchia Europa.
Un secondo aspetto chiarito in modo esemplare nel nuovo quadro finanziario pluriennale è il mutamento della natura dei finanziamenti all'agricoltura. Se finora abbiamo avuto aiuti finalizzati a sostenere il reddito degli imprenditori agricoli, in futuro avremo invece un contratto con gli imprenditori agricoli finalizzato a far sì che producano in modo sostenibile, tutelino l'ambiente e rispettino i beni pubblici che sono patrimonio della collettività.
Alla luce del nuovo quadro finanziario pluriennale, l'agricoltore verrebbe ad avere un trasferimento di risorse non più perché deve essere sostenuto il suo reddito, ma perché svolge un'azione positiva a favore della collettività in qualità di tutore dell'ambiente, di soggetto che presidia il territorio e contribuisce in misura sostanziale al mantenimento del paesaggio e di tutte le esternalità che produce l'agricoltura.
Per quanto riguarda i livelli di pagamento diretto, il quadro finanziano pluriennale si ferma sostanzialmente a un aspetto, l'introduzione dei livelli massimi di spesa per azienda. Avevamo grandi aziende, soprattutto in alcuni Paesi, che arrivavano ad assorbire ciascuna addirittura 22 milioni di euro di pagamento diretto per il sostegno al reddito. Per questo il quadro finanziario multiannuale inserisce il criterio del capping, cioè un tetto di spesa unitario per le imprese, con livelli di contribuzione, al di sopra del tetto, progressivamente decrescenti.
Al di fuori della rubrica 2 del quadro finanziario pluriennale, strettamente agricola, la Commissione propone alcune poste indirettamente correlate all'agricoltura, in altri capitoli di bilancio, come ad esempio i 4,5 miliardi di euro per la ricerca nel campo agroalimentare appostati in un'altra rubrica, ma funzionali allo sviluppo e alla capacità competitiva del sistema produttivo agricolo, i 2,2 miliardi di euro per la sicurezza alimentare e i 2,5 miliardi di euro per gli aiuti agli indigenti, che in questo periodo sono oggetto di confronto tra tutti i ministri, perché la vecchia base giuridica non è più attuale e non può essere più utilizzata per sostenere coloro che non hanno mezzi per alimentarsi.
Dall'altro lato, invece, nel quadro finanziario pluriennale è previsto un finanziamento di 6,7 miliardi di euro - nell'intero periodo - per la pesca. La pesca, in questo caso, sarebbe sostenuta sia attraverso interventi di ristrutturazione sia, soprattutto, attraverso il finanziamento di accordi internazionali, in alcuni casi già vigenti, ma destinati ad ampliarsi verso la sponda sud del Mediterraneo, per favorire azioni di pesca anche al di fuori delle acque territoriali del nostro Paese e in prossimità di altri ambiti territoriali.
Mi avvio alla conclusione dicendo che, nell'ambito della spesa della sottorubrica concernente la pesca, una quota di risorse è destinata a sostenere in misura massiccia l'acquacoltura e lo sviluppo in cattività del pescato. Ormai c'è la consapevolezza che le risorse disponibili sono ridotte e che sarà impossibile mantenere inalterato lo sforzo della pesca, motivo per il quale bisogna integrare la disponibilità attuale di pesce proveniente dalla pesca a mare con altre fonti che possano soddisfare il fabbisogno sul piano europeo.
Ultima azione prevista dal quadro finanziario è il mantenimento sostanzialmente inalterato, con un piccolo aumento di risorse rispetto al passato, della programmazione LIFE, cioè il sostegno diretto dell'Unione europea a progetti utili al


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recupero o alla valorizzazione di alcune aree ambientali sottoposte a degrado o di particolare pregio, a seconda dei casi. Ciò continuerà in termini funzionali così come è stato finora, con bandi unici e gestione diretta comunitaria.

BARBARA MATERA, Parlamentare europeo. Anche io sono membro titolare della Commissione per i bilanci al Parlamento europeo e oggi ho il compito di farvi una breve panoramica sulle sottorubriche 3a e 3b, del bilancio destinate, rispettivamente, alla libertà, sicurezza e giustizia e alla cittadinanza.
Per quanto concerne la sottorubrica 3a, il suo compito è quello di garantire la sicurezza del cittadino europeo e la tutela dei diritti degli esseri umani, nonché lo stato di diritto nell'Unione europea e la mobilità dei cittadini europei, con una lotta significativa nei confronti dell'immigrazione clandestina e con la promozione dell'integrazione dei migranti regolari.
Le risorse destinate a questa sottorubrica di bilancio rappresentano lo 0,77 per cento delle risorse complessive destinate al bilancio comunitario. È una rubrica molto piccola, ma che oggi risulta essere strategica se pensiamo a quanto avvenuto negli ultimi mesi nel nord Africa, con l'affacciarsi delle democrazie della cosiddetta Primavera araba. È molto importante per l'Unione europea garantire i propri confini esterni, così come garantire la sicurezza dei cittadini europei.
L'obiettivo dell'Unione è sicuramente quello di creare uno spazio senza frontiere interne, dove cittadini europei e cittadini provenienti da Paesi terzi con diritti legali e di residenza possano muoversi liberamente, confrontarsi e lavorare. Come ho già detto, bisogna combattere l'immigrazione clandestina e favorire, invece, l'integrazione dei migranti regolari.
La nostra Commissione ha puntato a rafforzare il sistema di asilo europeo per renderlo molto più equo, più efficiente e uguale all'interno di tutti gli Stati membri. Inoltre, abbiamo proposto di rafforzare le strutture dei fondi destinati a tale capitolo di bilancio e al contempo di semplificarle, individuando due grandi pilastri, il fondo per l'asilo e la migrazione e il fondo per la sicurezza interna, e dotandoli, rispettivamente, di 3,4 miliardi di euro e di 4,1 miliardi di euro, in modo da garantire una dimensione più esterna e una costanza di finanziamento dall'Unione europea al Paese terzo.
Come ben sapete, il Trattato di Lisbona prevede la cooperazione europea intesa come lotta ai network criminali, al contrabbando di droga e armi e al traffico degli esseri umani. Per cooperazione europea si intende, però, anche la difesa dell'essere umano e dell'ambiente, ed è per questo che abbiamo deciso di migliorare e completare il sistema finanziario della protezione civile, cercando di realizzare una mappatura molto più completa di tutti i sistemi di protezione civile europei per favorire lo scambio di informazioni in tempo reale e un dispiego di forze e di materiali sul luogo della catastrofe il più rapido possibile.
Un'innovazione in tale settore è quella di creare assicurazioni regionali volontarie, che permetteranno di assicurare le zone regionali più a rischio di catastrofi naturali.
La Commissione ha proposto invece di destinare 8,2 miliardi di euro negli anni 2014-2020 agli affari interni e 455 milioni di euro alla protezione civile e alla European Emergency Response Capacity, un sistema di approccio integrato agli interventi per le catastrofi naturali e per quelle causate da errore umano.
Nell'ambito della rubrica del bilancio 3, la sottorubrica 3b si occupa della cittadinanza e quindi di tutti i programmi che hanno a che fare con i giovani, con l'educazione, con la formazione, con la creatività, con «Europa per i cittadini», con le politiche dei consumatori e con la salute pubblica. Sappiamo tutti quanto sia importante investire sul capitale umano e lo sa soprattutto l'Unione europea che con la strategia Europa 2020 mira a dare particolare attenzione all'educazione terziaria, ma soprattutto ad arginare il fenomeno della dispersione scolastica.


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Per questo motivo abbiamo puntato sull'implementazione e sul supporto di programmi europei già esistenti destinati all'educazione e alla formazione sia professionale sia scolastica. Mi riferisco al Lifelong Learning Programme, all'Erasmus Mundus e allo Youth Programme, che si occupano della mobilità transnazionale orientata all'apprendimento. In questo senso abbiamo puntato anche sul miglioramento del programma «Leonardo», che permette alle persone di ricevere educazione e formazione in un Paese diverso da quello di provenienza.
Ancora, intendiamo coinvolgere la Banca europea per gli investimenti (BEI) affinché si possa avere una dimensione più tangibile e vera dei master europei, che oggi sono scarsamente presenti su tutto il territorio dell'Unione, così da garantire ai ragazzi una formazione post-laurea anche di carattere europeo oltre i confini della propria nazionalità.
I fondi europei per la cultura e per i media sono altrettanto essenziali. Sappiamo quanto sia importante preservare e conservare il patrimonio culturale dell'Unione europea e al tempo stesso fornire di carburante l'industria della creatività. Per questo motivo, anche in questo capitolo di bilancio abbiamo puntato sulla semplificazione; parliamo quindi di due grandi fondi: il programma di educazione Europe con una dotazione proposta di 15,2 miliardi di euro, e il programma Creative Europe con una dotazione di 1,6 miliardi di euro.
In questo caso, la Commissione ha proposto a sua volta di allocare 15,2 miliardi di euro nell'area educazione e formazione e 1,6 miliardi di euro per quanto concerne la creatività.
Ho cercato di essere quanto più rapida possibile, dandovi anche un quadro generale delle trattative tra il Parlamento europeo e il Consiglio che avverranno l'anno prossimo e di quanto ha proposto la Commissione europea negli ultimi mesi.

ROBERTO GUALTIERI, Parlamentare europeo. Vi parlerò dell'heading 4, cioè dell'azione esterna dell'Unione europea, ma vorrei fare anche qualche considerazione generale su queste prospettive finanziarie. L'heading 4, l'azione esterna dell'Unione europea, è una delle dimensioni fondamentali delle politiche europee, a cui il Trattato di Lisbona ha dato una base giuridica assai più solida.
Questa crescente importanza dal punto di vista sia delle innovazioni introdotte dal Trattato sia dell'ambiente esterno, che rendono importanti un ruolo maggiore e una politica estera europea più incisiva, apparentemente si riflette nella proposta della Commissione, che porta un aumento della dotazione finanziaria dell'heading 4 da 55 a 70 miliardi di euro, ma questi numeri in realtà nascondono una continuità molto maggiore e, quindi, un'inadeguatezza, che riguarda non solo questa rubrica, ma complessivamente l'intero progetto di quadro finanziario della Commissione.
Il criterio di misurare l'aumento complessivo in termini assoluti è infatti un criterio ingannevole, perché il confronto tra i due quadri finanziari andrebbe fatto rispetto alla percentuale del PIL che rispettivamente essi coprono. Se consideriamo non 55 miliardi di euro versus 70 o la cifra complessiva di tutto il bilancio, ma vediamo quale percentuale di PIL essi occupino, vediamo che l'aumento è minimo (1,1 per cento), per cui nel 2013 abbiamo 9,5 miliardi di euro e nel 2014 9,4 miliardi di euro.
Da un punto di vista quantitativo, la proposta di quadro finanziario della Commissione dal punto di vista delle uscite è una proposta di continuità, per cui si prendono i numeri delle attuali prospettive e li si proiettano grosso modo per altri sette anni, con l'unica differenza che si taglia un po' per il settore dell'agricoltura e si aumentano un pochino le rubriche 1 e 4, ma si tratta di mutamenti quasi impercettibili. È quindi un bilancio segnato dalla continuità.
Il Parlamento aveva chiesto un aumento del 5 per cento, che dal punto di vista di quello che l'Europa dovrebbe fare era una proposta moderata; anche la Commissione ha dichiarato di aver proposto


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un aumento del 5 per cento, ma in realtà tale aumento incorpora tutte le flessibilità che noi avevamo tenuto fuori bilancio e soprattutto l'EDF (European Development Fund), lo strumento di cooperazione verso Africa, Pacifico e Caraibi, che è fuori dal bilancio europeo.
Se si eliminano questi artifici contabili, la proposta di aumento della Commissione è pari allo 0,02 per cento rispetto al PIL, quindi meno della metà di quella richiesta dal Parlamento. Rispetto a un ambito come quello dell'azione esterna dell'Unione europea - sia dal punto di vista degli impegni che istituzionalmente l'Europa si è data con il Trattato di Lisbona con l'irrobustimento della politica estera di sicurezza comune, della politica di sicurezza e difesa comune, della nascita del Servizio europeo di azione esterna, sia degli eventi esterni (la cosiddetta Primavera araba, l'urgenza e la difficoltà di procedere a un processo di allargamento) - dietro questo apparente aumento avremo nei prossimi sette anni in realtà la stessa situazione che abbiamo adesso, chiudendo questi ultimi bilanci dell'attuale quadro finanziario pluriennale. Ci si troverà, dunque, come adesso con la coperta troppo corta, le emergenze che non riescono a essere coperte e quindi l'esigenza di compiere scelte dolorose, come quelle che il Parlamento ha fatto rispetto alla politica estera per il 2012, tagliando profondamente nel bilancio le risorse destinate alla missione in Afghanistan per finanziare invece le priorità del Parlamento. Questa situazione di coperta corta e di risorse inadeguate verrà quindi riproposta dal progetto della Commissione.
Per quanto riguarda i mutamenti interni alla rubrica 4, anche qui siamo in una sostanziale continuità, nel senso che abbiamo non l'aumento che a mio giudizio sarebbe stato necessario, soprattutto per le politiche di vicinato, che a mio giudizio - insieme allo strumento di preaccessione - un Paese come l'Italia avrebbe interesse a vedere invece rafforzato con riferimento al Mediterraneo e ai Balcani come priorità strategiche dell'Unione europea, ma una proiezione di sostanziale continuità rispetto alle risorse attualmente impegnate su queste due grandi aree geografiche e politiche.
Si registra quindi una criticità. Nella mia veste di relatore permanente del Parlamento per la politica estera di sicurezza comune, ritengo che questa si registri nella sostanziale continuità delle risorse per la PESC. Di fronte a un quadro internazionale che vede un crescente disimpegno statunitense nell'area mediterranea ed europea e quindi l'esigenza per l'Europa di occupare quel vuoto con una proiezione esterna politica e militare, c'è un contrasto evidente tra le esigenze politiche e geostrategiche e le risorse impegnate.
Ciò mi porta a fare una riflessione sull'elemento di innovazione che il bilancio presenta. Queste prospettive sono di continuità sulle uscite (a parte la questione dell'agricoltura e la questione della categoria intermedia dei fondi strutturali) e di innovazione sulle entrate, dove c'è questo progetto di significativa redistribuzione dei carichi, con un passaggio dalla struttura attuale, con 85 per cento di contributi nazionali diretti e 15 per cento circa di risorse proprie, a uno schema con 40 per cento di contributi diretti e 60 per cento di risorse proprie, di cui quelle tradizionali che aumentano da 15 a 18 per cento circa, e - per quanto riguarda le nuove risorse - circa 20 per cento di entrate che derivano da questa nuova tassa sulle transazioni finanziarie, e un ulteriore 18 per cento di entrate derivanti da una rimodulazione del sistema dell'IVA, che attualmente fa parte del suddetto 85 per cento di contributi diretti.
Si tratta di un passaggio abbastanza significativo, che a mio giudizio l'Italia farebbe bene a sostenere, rispetto, invece, alle attuali criticità della posizione del Governo rispetto a questa proposta. Personalmente ritengo che il criterio e il metro di misurazione del nostro ruolo come italiani e contributori netti, che ci porta a volte ad avere un atteggiamento di fiancheggiamento rispetto ai Paesi nordici che puntano alla riduzione del bilancio, sia discutibile.


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Ritengo che invece dovremmo avere una posizione di sostegno verso un rafforzamento del bilancio e soprattutto del sistema delle risorse proprie dell'Unione europea.
Un'ultima notazione riguarda un tema che non è stato toccato, marginale, ma che è importante avere chiaro. Il bilancio europeo è fatto così: c'è un limite delle risorse proprie, che ora è l'1,23 per cento del PIL, poi c'è il quadro finanziario dell'MFF (Multiannual Financial Framework) che viene votato e poi ci sono i bilanci. La differenza tra l'MFF e il limite delle risorse proprie, cioè tra quell'1 per cento e l'1,23 del PIL, è costituito da risorse che teoricamente si potrebbero usare in caso di emergenza, essendo il limite massimo che si può utilizzare e che naturalmente, poi, non viene utilizzato perché l'MFF è molto al di sotto.
Questo limite è la garanzia per il fondo comunitario cosiddetto «salva Stati» che noi abbiamo in questo momento. Nel 2010 sono stati costituiti due fondi, l'EFSF (European Financial Stability Facility) che è intergovernativo, quello che adesso si deve aumentare per la crisi della Grecia e che poi prenderà il nome di ESM (European Stability Mechanism), e l'EFSM (European Financial Stabilisation Mechanism), che ha 60 miliardi di euro di stanziamento, è comunitario ed è garantito esattamente dalla differenza tra il Multiannual Financial Framework e le risorse proprie, che consentono di avere quella leva.
Ritengo che le vicende degli ultimi mesi abbiano dimostrato che il meccanismo pro quota del fondo salva Stati - che viene finanziato ogni volta da finanziamenti diretti degli Stati membri e che si può accrescere per sostenere eventuali situazioni di difficoltà di Paesi grandi tra cui anche l'Italia - sia un meccanismo che non può funzionare nel medio-lungo periodo, perché produce l'effetto politico di indurre i Parlamenti nazionali dei Paesi che devono dare le garanzie maggiori a ritenere che stiano dando i soldi a qualcun altro.
Il Parlamento, nella risoluzione che ha votato, propone invece la comunitarizzazione del sistema del fondo salva Stati, e questo significherebbe fare leva sull'EFSM, che è quello garantito dal limite delle risorse proprie. Un elevamento del limite delle risorse proprie nelle prospettive finanziarie non significherebbe mettere soldi, perché sono soldi che non vengono usati: sono solo delle garanzie, ma sarebbe una scelta strategica nella prospettiva di una comunitarizzazione del meccanismo salva Stati, cioè nella prospettiva di percorrere una strada leggermente diversa da quella attuale, che a mio giudizio nel lungo periodo non è sostenibile.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o svolgere osservazioni.

GIULIO CALVISI. Signor presidente, il punto centrale del problema mi pare evidenziato dall'intervento dell'onorevole Gualtieri. Siamo in questa situazione, discutiamo di uno schema di bilancio e di risorse dell'Unione europea per la programmazione 2014-2020, però non abbiamo ancora certezza di come venga alimentato questo bilancio.
Si parla infatti di un bilancio in sostanziale continuità, tranne una effettiva diminuzione che segue una consolidata prassi ormai tipica delle politiche dell'Unione europea, che tende a diminuire i bilanci per l'agricoltura che prima rappresentavano il grosso del finanziamento delle politiche dell'Unione stessa e adesso si riducono sempre di più. Abbiamo ora questi due problemi sulle nuove risorse: l'IVA europea e la tassa sulle transazioni finanziarie.
Ne abbiamo già parlato in altre occasioni, ma ritengo che il Governo italiano abbia assunto una posizione del tutto ambigua, perché da una parte - desidero anche interloquire con l'onorevole Mazzoni - esso fa una battaglia per avere più risorse per le politiche di coesione, fa la battaglia - il ministro Romano è venuto qui in audizione - per avere più risorse per l'agricoltura, ma su queste due grandi voci che alimentano in percentuale consistente il bilancio dell'Unione europea è


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silente, anzi strizza l'occhio ai Paesi che non vogliono in qualche modo l'introduzione di queste nuove risorse, l'IVA europea e la tassa sulle transazioni finanziarie.
Di là da questo, che è un tema su cui dovremo cercare di interloquire con il Governo e non con i nostri parlamentari europei, vorrei chiedervi se i Paesi che contano, in particolare Regno Unito, Germania e Francia, rispetto a quando è stata avanzata la proposta dalla Commissione abbiano dimostrato resistenza o volontà di scommettere su questa prospettiva. Se, come pare, il Governo inglese è molto preoccupato dall'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, è chiaro che noi dobbiamo rivedere tutto lo schema di bilancio che voi oggi brillantemente ci avete prospettato.
L'altra questione più di merito riguarda le politiche di coesione. Devo dire che sono un po' deluso, perché su questa vicenda il Governo italiano sta esprimendo una politica miope, sbagliata. Non sono molto soddisfatto dell'introduzione che su questo aspetto ha fatto l'onorevole Mazzoni, perché in pratica ripete la posizione del Governo italiano.
Abbiamo questa situazione che lei ha perfettamente illustrato: una riduzione dei finanziamenti per le politiche di convergenza da 199 a 162 miliardi di euro, quindi una riduzione del 20 per cento; un aumento di finanziamenti per le regioni in transizione, da 25 a 38,9 miliardi di euro e un aumento per le regioni in competitività da 43 a 53 miliardi di euro (quasi il 30 per cento). Questa è la proposta della Commissione, che poi naturalmente potrà cambiare.
Per quanto riguarda la composizione, c'è una diminuzione del numero delle regioni in convergenza, un aumento di quelle che prima erano phasing in e phasing out che ora vengono denominate regioni in transizione, e una diminuzione di quelle in competitività. Quelle in competitività diminuiscono di numero, ma aumentano le risorse - mi sembra di capire -; quelle in convergenza diminuiscono le risorse ma diminuisce anche il numero.
Capisco una posizione che proponga di dare battaglia per privilegiare le regioni svantaggiate e il sistema Italia, però non è accettabile una posizione che stabilisca di stare in silenzio sull'aumento delle risorse a favore delle regioni in competitività, in quanto ne traiamo beneficio, perché la maggior parte delle regioni italiane sono in questa fascia: puntiamo a fare una battaglia per le regioni in convergenza, perché ci sono regioni popolose del nostro Paese; chi se ne importa poi dell'Abruzzo, della Basilicata, del Molise e così via!
Dire semplicemente «aboliamo le regioni in transizione» significa dire che la Sardegna, la Basilicata, l'Abruzzo e il Molise andranno a trattare con le regioni ricche, e quella quota di 130 euro per abitante che oggi ricevono sarà, invece, di 30-35 euro. Sono favorevole a fare una battaglia per il sistema Paese, però il sistema Paese tutto: non possiamo decidere di mandare qualcuno al macello perché si tratta di quattro gatti. Penso che questa sia una posizione sbagliata.
Siccome non possiamo dividere il Paese, non possiamo dividere il sud dal sud, cerchiamo di fare una battaglia nell'interesse del sistema Paese e di far arrivare le maggiori risorse possibili alle regioni in convergenza, salvaguardiamo le regioni che erano in phasing in come la Sardegna o in phasing out come la Basilicata, e, se ci danno qualche risorsa in più sulla competitività, nessuno di noi può essere contrario. Bisogna fare delle simulazioni e indicare numeri, perché in ogni audizione abbiamo riscontrato come tutti sappiano tutto di quante regioni entrano nella fase di transizione (quante quelle tedeschi, quelle francesi), ma ancora nessuno ci ha detto quante erano le regioni in convergenza e quante saranno.
C'è una diminuzione, per cui le chiederei di darci qualche delucidazione sul punto, chiedendo a tutti i parlamentari europei che nel loro lavoro scavino più a fondo di come ha fatto il Governo italiano riguardo a questa battaglia per le risorse, che non può essere una battaglia per dare di più al nord o al sud.


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MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio intanto i colleghi del Parlamento europeo, perché la delegazione è folta e molto articolata, e ci hanno dato un quadro di riferimento molto interessante, dal quale però non ricavo un forte ottimismo per le cose che abbiamo sentito e anche noi discusso prima di incontrarli.
Questo quadro finanziario dell'Unione europea 2014-2020 vale 1.025 miliardi di euro, l'1 per cento del PIL dei vari Paesi, al quale l'Italia contribuisce per circa 100 miliardi. Il Ministero dell'economia e delle finanze ci ha portato le simulazioni per il cosiddetto scenario A, in base al quale contribuiremmo - nel periodo 2014-2020 - per 102 miliardi di euro e avremmo 78 miliardi di euro di rientri, e per lo scenario B, in relazione alle questioni agricole, in base al quale contribuiremmo per 98 miliardi e avremmo un rientro di 70 miliardi.
Come è noto, siamo contributori netti dell'Unione europea, ma questo non è scritto da qualche parte, non è un destino cinico e baro che ci costringe a questo: è il frutto delle politiche che con questi 1.000 miliardi di euro vengono prodotte, per le quali abbiamo una ricaduta o meno nel nostro sistema.
L'onorevole Barbara Matera ci ha detto che le politiche dell'immigrazione valgono lo 0,77 per cento, ma, se queste valessero in percentuale diversa, credo che avrebbero ricadute ben maggiori sull'Italia, per questo molo di approdo che rappresentiamo nel Mediterraneo.
Bisogna agire su ciò come sull'infrastrutturazione, oppure sui fondi di cui avete parlato. Questo quadro di riferimento che si discosta poco dalla tradizione non modifica questo aspetto, anzi in questi sette anni secondo me la situazione sarà peggiore. L'onorevole La Via ci ha detto che l'Italia in agricoltura perderà. Non vedo dove guadagnerà in questi sette anni, se perde in agricoltura, che rappresenta la metà di questa partita.
In base a questo ragionamento si potrebbe pensare che io possa sostenere una linea di minori risorse all'Europa, come mi sembra abbia proposto il nostro Governo. L'onorevole Balzani ha fatto riferimento a sei Stati membri che hanno votato contro il bilancio; l'Italia ha votato a favore però, per quanto riguarda questo quadro, mi sembra che ci sia una certa pressione, che siano intercorse note formali e informali per ridurre le risorse.
Personalmente sono per aumentare le politiche europee, però per vederle modificate e cambiando le ricadute che possono avere su questo Paese. La strategia che dovremmo avere come Parlamento nazionale e Parlamento europeo dovrebbe consistere nel monitoraggio sulle ricadute e sulle politiche più corrette e giuste da fare, quali, ad esempio, quella dell'immigrazione, della infrastrutturazione ed altre che devono entrare con più forza in questo quadro.
La preoccupazione dell'onorevole Calvisi è anche la mia: non siamo riusciti ad avere la simulazione di cosa produrrà in Italia questa modifica tra le regioni in convergenza e le regioni in transizione, e pensiamo che produrrà dei danni, perché nel bilancio complessivo le regioni in transizione che entreranno dalla Germania e dalla Francia, come i grandi e popolosissimi Länder, determineranno una ricaduta per noi negativa, perché per noi entreranno regioni con poca popolazione (come Abruzzo e Molise).
Bisogna stare attenti a queste politiche, perché malgrado le simulazioni stiamo chiudendo i primi sette anni con il risultato di meno 30 per cento, ma in prospettiva sarà addirittura peggio rispetto a questo quadro.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio i colleghi dell'Europarlamento. È stato ribadito anche dall'onorevole Vannucci che l'Italia è un contributore netto, peccato che il saldo complessivo netto sia negativo: contribuiamo molto di più di quanto abbiamo e soprattutto di quanto spendiamo.
Ho aperto qui la scheda di un documento che è all'esame, il disegno di legge comunitaria 2011, che ci riferisce che sull'obiettivo convergenza, al 31 dicembre 2010, le regioni che ne fanno parte sono tutte al di sotto del 30 per cento in termini


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di impegni (lasciamo stare i pagamenti), qualcuna addirittura al di sotto del 10 per cento, e siamo ai primi quattro anni su sette. Temo quindi che non riusciranno a impegnare e a maggior ragione a spendere le somme di cui sono state destinatarie. La stessa cosa si può dire, fatte rare eccezioni, con riferimento all'obiettivo competitività.
Sono partito da questo perché credo che sia interessante sapere cosa ne pensano i colleghi rispetto a quello stretto gruppo di altri Stati membri che chiede addirittura la riduzione del quadro finanziario pluriennale di circa 100 miliardi sui 1.025 previsti, come mi piacerebbe anche sapere quali Paesi facciano resistenza sull'ulteriore ampliamento della componente fuori bilancio che, oggi, è pari a 58 miliardi di euro.
Dall'onorevole Balzani ho appreso con piacere che ci sono delle novità positive in questo quadro finanziario, come la concessione di garanzie, il coinvolgimento di capitale di rischio, per cui vorrei conoscere la nostra politica nell'Europarlamento e soprattutto del Governo, che in questo momento non c'è, ma che sentiremo più avanti, rispetto ai progetti di ricerca di frontiera.
Spendiamo poco in termini di ricerca - siamo ben al di sotto della quota degli altri Paesi e ci siamo posti obiettivi ancora contenuti rispetto a quelli indicati dall'Europa - ma soprattutto spendiamo male, mentre invece sarebbe interessante che complessivamente come Europa ci concentrassimo su alcuni grandi progetti di ricerca e innovazione. Vorrei conoscere l'opinione dei colleghi in proposito.
Ero anche uno dei fautori della tassazione sulle transazioni finanziarie, vengo da quel mondo lì, ma sono sulla buona strada per diventare un pentito e con me ce ne sono altri: il professor Micossi che abbiamo audito l'ha tranciata nettamente e ho qui di fronte a me un articolo del professor Rogoff che distrugge questa ipotesi. Non posso che convenire sul ragionamento, perché, se immaginiamo che le transazioni finanziarie siano all'interno del Paese Italia - per chi le chiedeva all'interno dell'Italia - o si limitino all'interno dei confini dell'Europa, possiamo parlare di transazione finanziaria in Europa e può avere un senso. Se invece, come è, non ci sono confini nelle transazioni finanziarie, come si può intervenire? Temo che sia - come dice Rogoff - un ballon d'essai, un valore aggiunto politico piuttosto che un valore vero, finanziario, contributivo - mi piacerebbe conoscere il loro parere -, mentre vorrei sapere quale sia stato il contributo del Parlamento europeo in Commissione bilancio o nella struttura idonea sulla riproposizione di una Carbon tax, che invece è stata totalmente abbandonata dalla Commissione.
Sono tra coloro che invocano non maggiori risorse finanziarie - ma questa è una valutazione del tutto personale - ma semmai un intervento ben più consistente affinché le risorse vengano ben definite e ben orientate ai bisogni dell'Europa, e qui potremmo parlare di eurobond o project bond. Sarebbe più interessante rafforzare invece le politiche comuni di ricerca, di innovazione, di formazione, di infrastrutture, ma mi fermo qui.

LINO DUILIO. Anch'io ritengo utilissimi questi incontri, spero che ce ne siano altri e che sia presente a livello autorevole anche il Governo, perché credo che in Europa ci sia bisogno di una triangolazione tra Parlamento europeo, Parlamento nazionale e Governo, in modo da parlare la stessa lingua.
Non ripeto le cose che ha detto l'onorevole Mazzoni, che abbiamo ascoltato insieme al presidente e al senatore Garavaglia a Bruxelles, riscontrando felicemente che la pensiamo allo stesso modo sia per quanto riguarda le regioni in transizione, sia per quanto riguarda la condizionalità ex post - peraltro dal Commissario Hahn definita extrema ratio che comunque riteniamo assolutamente negativa - sia per quanto riguarda la premialità, che riteniamo debba essere collocata al di fuori del capitolo politica di coesione, in quanto discorso eccentrico.
Vorrei riprendere un paio di aspetti affrontati dai colleghi. Una questione si


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collega al discorso del bilancio comunitario: in più occasioni abbiamo detto - personalmente ne sono convintissimo - che con l'1 per cento non facciamo niente, siamo ridicoli come europei. Bisognerebbe cominciare a dirlo magari con proposte concrete e destinate ad essere bocciate, perché conosciamo il panorama a livello comunitario, ma mi sembra assurdo «andare a nozze con i fichi secchi».
Come Europa, al massimo possiamo fare un gioco ragionieristico su quanto diamo e quanto riceviamo. Peraltro, su questo la penso in modo diverso da quanto sento affermare, perché credo che, se vogliamo fare discorsi europei, dobbiamo convincerci che non è possibile dare 100 e lavorare giorno e notte per ricevere 100, perché, se ognuno ragiona così, non faremo l'Europa neppure tra 3.000 anni.
Bisognerà quindi mettere nel conto che, a proposito dei saldi netti e della contribuzione, una volta che abbiamo fatto delle analisi qualitative che portano a ritenere che vi siano regioni europee che debbono essere aiutate più di altre, può anche accadere che noi diamo 100 e riceviamo 90. Dobbiamo dichiarare questo spassionatamente, perché, se poi ognuno di noi fa il sindacalista a livello nazionale e a livello europeo come parlamentare per dimostrare che lotta molto per portare più soldi a casa, può anche essere utile da un punto di vista egoistico individuale, ma da un punto di vista ideale e comunitario credo che sia una contraddizione in termini.
Siccome spesso si ripete questo discorso dei contributori netti, dei saldi netti, per cui diamo di più e otteniamo di meno, ciò mi sembra quanto ho sentito a proposito di una declinazione rozza del federalismo. Abito a Milano da tanti anni e si ribadisce spesso la logica secondo cui ognuno deve ricevere quello che ha dato, per cui scordiamoci l'unità nazionale e l'unità europea e andiamo a casa!
In relazione a questo principio, si deve anche chiarire - lo dico con una battuta e con la confidenza che, nonostante la sede istituzionale, ci possiamo permettere - se dobbiamo fare la parte del Paese capo dei più sfortunati o del Paese invece che si mette nel corpo dei Paesi più avanzati anche per quanto riguarda le dimensioni del bilancio comunitario. Una cosa infatti è chiedere la riduzione del bilancio comunitario sapendo che alcuni non hanno neppure gli occhi per piangere e quindi è comprensibile che tentino di portare a casa qualche soldo in più, sottraendolo al bilancio comunitario, e una cosa è fare un discorso che, considerate le nostre difficoltà come Italia, ci colloca dall'altra parte, quella dei Paesi trainanti rispetto all'obiettivo Europa, che non essendo miopi sappiamo tutti che è l'unico obiettivo che ci può salvare.
Il fatto che si dovrebbe lavorare per dimensioni del bilancio comunitario più consistenti lo potremmo declinare anche nel cercare di individuare quegli effetti virtuosi, che poi facciano vedere in termini concreti ai cittadini italiani e di altri Paesi l'esistenza dell'Europa, perché potremmo finanziare - lo abbiamo scritto in molti documenti approvati all'unanimità - prodotti ad alto valore aggiunto, che sia l'università o l'ospedale di eccellenza, costruiti con risorse comunitarie. Questo potrà far dire ai cittadini italiani che l'Europa non è solamente una dimensione che appartiene alla categoria dello spirito, ma piuttosto una categoria di viaggio verso gli Stati Uniti d'Europa.
Chiudo anch'io con un riferimento alle transazioni finanziarie. Una volta in Italia questa era una cosa che apparteneva all'estrema sinistra, per cui chiunque parlasse di tassazione delle rendite finanziarie era accusato di essere simpatizzante di Ho Chi Minh, mentre adesso mi sembra un concetto unanimemente accolto.
A suo tempo si diceva più razionalmente che non si poteva fare perché i capitali sarebbero scappati altrove in Europa, ma, poiché l'ho visto inserito nel dossier tra le fonti di finanziamento del bilancio comunitario, vorrei sapere se a livello di Parlamento europeo abbiate verificato, visto che ci sono autorevoli perplessità circa questa misura, che non succeda per quanto riguarda la realtà europea quello che si temeva potesse accadere per l'Italia nei riguardi dell'Europa, ovvero


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che, visto che questa misura dovrebbe essere una delle misure che concorre ad alimentare il bilancio comunitario, l'Europa non realizzi una misura che sia un boomerang di cui ci dovremo pentire, considerato il sistema integrato tra economia e finanza.

MAINO MARCHI. Anch'io vorrei fare rapidamente alcune domande, condividendo quello che è stato detto dai colleghi Calvisi, Vannucci e Duilio sulle risorse proprie e il bilancio.
Vorrei sapere se vi siano approfondimenti in sede europea, visto che c'è stato comunque anche un pronunciamento del Parlamento europeo a favore della tassa sulle transazioni finanziarie, che io condivido pienamente, e quali sono le probabilità che si arrivi a concludere positivamente nel momento in cui si andrà all'approvazione di tutte le proposte rispetto al quadro finanziario, se i movimenti che sono contro questa prospettiva siano forti e quindi rischino di farla saltare, e in questo caso con cosa si prevede che possa essere sostituita.
Condivido la contrarietà nel bloccare i fondi per la coesione nel caso che non si rientri rispetto all'eccesso di debito, però, siccome questo problema è stato messo al centro delle nuove regole dell'Unione europea, vorrei sapere se sia stata formulata una nostra proposta alternativa, per prevedere cosa scatti in termini di sanzioni, se un Paese non rientra, perché dicendo solo di no si rischia l'isolamento.
Sulla negatività del parametro delle superfici rispetto alla PAC vorrei chiedere se esista una politica delle alleanze che stiamo perseguendo come Italia per arrivare al cambiamento di tale parametro.
Si è parlato per diversi aspetti della questione sicurezza, per cui vorrei chiedere se vi sia uno spazio per rafforzare anche in termini finanziari la politica di cooperazione internazionale - a partire dall'Europa - in riferimento al tema sicurezza, nel senso di lotta alla criminalità organizzata, che è un tema sempre più vasto in tutti i Paesi, che si globalizza dappertutto.
Parliamo sempre di più di mafie al plurale e tutte sono presenti in quasi tutti i Paesi, quindi c'è l'esigenza di una politica di contrapposizione e di lotta che non sia dei singoli Stati, ma sempre di più a carattere internazionale a partire dall'Europa. Vorrei sapere quindi se esista una prospettiva in questo senso.
Vorrei sapere se sul Mediterraneo siano state formulate proposte di politiche, oltre alla questione della scarsità di risorse. In passato, ho sentito parlare il presidente Prodi di proposte avanzate dalla Commissione che sono sempre state bocciate e che quindi non hanno prodotto politiche vere. Vorrei chiedervi dunque se, oltre alla questione risorse, sia in atto un dibattito su quali politiche l'Unione europea dovrebbe perseguire nei confronti dei Paesi del Mediterraneo e quali siano le priorità su cui concentrarsi.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per le repliche.

FRANCESCA BALZANI, Parlamentare europeo. Proverò a rispondere sulla Financial Transaction Tax. È molto diverso l'approccio con cui l'abbiamo affrontata in Parlamento rispetto a quanto emerge fuori e a quanto si può immaginare: in realtà è assolutamente uno dei temi meno ideologici che circolino a Strasburgo.
L'anno scorso abbiamo avuto un lungo dibattito sull'ipotesi di questa nuova Financial Transaction Tax e alla fine è venuta fuori una richiesta formale del Parlamento alla Commissione di fare delle simulazioni su come potrebbe essere, sul tipo di impatto che potrebbe avere questo tipo di tassa all'interno dell'Unione europea, simulazioni molto concrete sulle ipotesi di shopping fiscale, cioè se potrebbe far scattare dei meccanismi di shopping.
Il dato che fin dall'inizio abbiamo valutato molto positivamente e rischia di diventare decisivo è che oggi nella competizione fiscale tra Paesi diversi c'è anche un elemento nuovo, che è quello della salute del mercato: un mercato sano, con regole buone, trasparenti, in cui la tossicità dei prodotti tenda a diminuire è un


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mercato competitivo. Mentre negli anni 1970-1980 la competizione fiscale la faceva solo il denaro, quindi la bassa pressione fiscale e l'alta remunerazione, oggi c'è questo nuovo fattore che è la salute del mercato.
Questa nuova imposizione potrebbe essere un elemento in grado di rendere più forte il mercato europeo per questo tipo di transazioni. Quale sia il tipo di base imponibile, il presupposto, l'aliquota, tutti elementi che generano un'imposta, questa sembrerebbe più un'imposta che una tassa, sarà poi frutto di uno studio che si farà anche a seconda della tipologia di mercato che si vorrà sottoporre a tassazione.
Si deve sottolineare però che si deve strutturare come un elemento di salute e di rafforzamento del mercato delle transazioni finanziarie. In questo senso potrebbe renderci più competitivi.
Il modello ideale è quello della Tobin Tax, che è una cosa diversa anche se spesso si confondono perché sono parenti stretti con la Financial Transaction Tax. L'Europa potrebbe essere il luogo di sperimentazione avanzata di questo tipo di imposta, che potrebbe avere il grande vantaggio di consentirci di finanziare finalmente i grandi progetti europei che oggi un bilancio così ridotto non consente di finanziare appieno.
Non dimentichiamoci però che, nonostante si tratti di un bilancio ridotto, pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo, può diventare comunque, con grande sforzo, un punto di una rete. Se lo concepiamo solo come nel passato in cui era un mero bilancio di spesa, una scatola dalla quale far uscire finanziamenti, tutto perde senso: lo si deve considerare invece un motore per fare rete tra gli Stati, tra gli Stati e le varie autonomie regionali, fare rete con soggetti terzi, dalla BEI agli investitori privati, perché poi questa è la sfida delle prossime prospettive finanziarie: giocare il tema del bilancio come un motore di rete per creare finanziamenti. In questo senso diventa insignificante guardare i numeri assoluti.
C'è poi l'altro grande pezzo del bilancio che non chiamiamo mai in causa, che è il mercato unico. Questo consente a un'impresa italiana di andare a costruire l'aeroporto ad Atene e quindi è sempre un pezzo importante degli scambi all'interno dell'Unione, che attraverso il bilancio possono soltanto trovare un punto di partenza e una spinta.

ERMINIA MAZZONI, Parlamentare europeo. Sono stata interpellata sulla questione del nuovo obiettivo concernente le regioni intermedie.
Credo di non avere forse espresso in maniera chiara il mio punto di vista, che è anche condiviso dalla intera delegazione italiana al Parlamento europeo, secondo cui la valutazione deve partire dall'idea del sistema Paese. Quando mi soffermo sui dati specifici relativi al numero di cittadini coinvolti all'interno del nostro Paese da questa eventuale introduzione della nuova tipologia di regione e dall'apporto che questo comporterebbe, cerco di fare una valutazione di carattere generale.
Non ci sono purtroppo simulazioni, ancora non le abbiamo ricevute dal Parlamento né dalla Commissione, quindi noi tentiamo di dare i numeri e, secondo i numeri che diamo oggi, il bilancio complessivo - credo che lo ha abbia affermato l'onorevole Vannucci - che sembra emergere dall'introduzione di questa nuova regione è un bilancio in negativo per il nostro Paese. Se vogliamo tenere il filo del suo ragionamento, secondo me dobbiamo rivedere questa ipotesi.
La seconda considerazione in termini di dubbio che mi porta comunque a mantenere la posizione espressa già in Parlamento è che, se oggi le nostre quattro regioni hanno in attribuzione delle risorse secondo la cifra media di 130 euro per cittadino, l'ipotesi di introduzione in una categoria nuova porterebbe a ridurre di un «x» per cento questa cifra, e non sappiamo se ciò alla fine possa comportare un vantaggio anche solo ed esclusivamente per le quattro regioni interessate.
All'interno di questo obiettivo c'è una concentrazione per obiettivi tematici e


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strategici, altro elemento sul quale ritengo si debba riflettere, perché non so se questi obiettivi strategici siano esattamente quelli su cui strategicamente puntano le quattro regioni per continuare in quel percorso di crescita e di sviluppo del livello di coesione rispetto alle altre.
Credo che sul punto dovremmo trovare un momento di riflessione, e mi piacerebbe approfittare di altri momenti come quello di oggi in cui si apre un confronto, che dovrebbe tendere maggiormente ad avere la regia che normalmente impronta le nostre attività a livello di Parlamento europeo.
Noi siamo parlamentari come voi, rappresentiamo quindi tutta la società italiana all'interno del Parlamento europeo e cerchiamo di lavorare in maniera sinergica e di intenderci sulle questioni più importanti.
Se riuscissimo a ridare un ruolo più centrale e di maggiore sovranità ai Parlamenti e a dialogare quindi fuori dalla logica delle parti in maniera collaborativa, riusciremmo ad essere più forti anche nelle proposizioni che dobbiamo realizzare a livello europeo.
Vorrei aggiungere un dato sulle considerazioni fatte in merito all'Italia come contribuente netto. Sono d'accordo che l'idea che ci affligge di dover recuperare quello spread tra il nostro contributo e le risorse che utilizziamo non sia coerente con il progetto europeo. Credo che sia importante, invece, ragionare sul fronte della capacità di spesa e della valorizzazione delle risorse che noi abbiamo, perché recuperiamo la differenza che ci qualifica come contribuente netto in termini di accrescimento complessivo dentro una dimensione europea unitaria che funziona, quindi non credo che sia quello l'elemento fondamentale.
Senza entrare nel merito, chiudo con l'elemento legato alla necessità di interrogarsi sulla contraddizione di un Paese che chiede più risorse, ma poi affianca a questa richiesta di maggiori risorse una riduzione del proprio contributo. Questo, che è apparentemente incoerente, sostanzialmente ha una sua logica, perché accanto a queste due richieste si affiancano diverse proposte per cercare di implementare le risorse del bilancio dell'Unione.
Tra queste proposte, al di là di quelle che sono state identificate e delle politiche fiscali che devono essere modificate, c'è anche quella della emissione dei titoli di progetto, che l'Italia sta sostenendo, e come delegazione italiana abbiamo già avanzato la proposta di aumentare la disponibilità di risorse dell'Unione europea per realizzare gli obiettivi di crescita e di coesione che si propone il soggetto unitario anche attraverso l'introduzione dei cosiddetti project bond, argomento sul quale stiamo ancora ragionando, ma che aiuta a chiudere un cerchio di coerenza rispetto alle richieste apparentemente antitetiche formulate dal Governo italiano.

GIOVANNI LA VIA, Parlamentare europeo. Parto da dove ha concluso la collega Mazzoni, cioè dai project bond. Come ha detto qualcuno dei colleghi del Parlamento, non si possono «fare le nozze con i fichi secchi», e pensare di raggiungere grandi obiettivi europei con il bilancio di cui gode attualmente l'Europa è impensabile, basti pensare al fatto che solo le reti infrastrutturali hanno un fabbisogno finanziario complessivo stimato tra i 1.500 e i 1.600 miliardi di euro e una dotazione finanziaria nel 2014-2020 per le reti TEN-T che si attesta tra i 40 e i 50 miliardi di euro.
Non è dunque con quelle risorse che potremmo pensare di realizzare quegli interventi che l'Europa richiede, per cui le risorse di progetto come i project bond o altre misure si rendono necessarie per dotare l'Europa di quelle infrastrutture.
Dall'altro lato, in un periodo di crisi, incrementare le risorse destinate al bilancio comunitario è considerato da molti Stati europei impossibile, per cui l'Europa e quindi la Commissione ha dovuto fare una proposta con quello di cui poteva disporre.
Come diceva l'onorevole Balzani, il nuovo quadro finanziario si approva all'unanimità degli Stati membri e a maggioranza qualificata del Parlamento, per


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cui la maggioranza qualificata in Parlamento è ancora raggiungibile con l'opposizione di qualche delegazione nazionale, ma ovviamente la maggioranza assoluta non è possibile. Non siamo riusciti a modificare il quadro finanziario pluriennale precedente (2007-2013) perché lo strumento dell'unanimità non lo ha consentito e l'anno scorso c'è stata una lunga battaglia collegata con l'approvazione del bilancio.
In Europa abbiamo un metodo che non è quello tipico dei Parlamenti nazionali, quindi non abbiamo una maggioranza e un'opposizione, ma lavoriamo insieme sui provvedimenti per raggiungere dei risultati. Quest'anno, per esempio - come italiani che casualmente si trovavano a occupare alcuni ruoli specifici che riguardavano il bilancio del 2012, con la collega Balzani che era la rapporteur per l'intero Parlamento, mentre io rappresentavo il maggior partito su quel provvedimento, il Partito popolare europeo - abbiamo messo insieme un pacchetto di proposte sulle rubriche che attengono all'immigrazione, al fondo europeo per i rifugiati così come al relativo Ufficio europeo.
Tale pacchetto è stato poi votato da entrambe le grandi forze politiche europee, Partito Popolare e Socialisti democratici che lo hanno sostenuto sino in fondo e portato a casa. Questo metodo ci porterà a lavorare congiuntamente anche sulle prospettive finanziarie e probabilmente otterrà qualche risultato.
La politica delle alleanze nella politica agricola comune. Il dibattito sulla politica agricola comune è appena cominciato: la scorsa settimana abbiamo avuto la presentazione e penso che sarà uno dei temi caldi così come la riforma della politica di coesione. Ci porteremo questo tema avanti per un anno e io sono uno dei relatori del provvedimento, quello sul financing cap, perché sono stato votato dai colleghi della Commissione e quindi abbiamo trovato una quadratura rispetto a un nome che possa portare avanti questo tema.
Ciò significa che all'interno cominciano a stringersi alleanze, perché non sono stato sicuramente votato dai Paesi dell'est, ma sono stato votato da tutti i Paesi della vecchia Europa. Questo significa che cominciamo a mettere insieme delle alleanze. Pensate a quello che è già uscito nelle prospettive finanziarie: ridurremo il divario degli aiuti diretti del 30 per cento della differenza rispetto alla media europea, per cui i Paesi dell'est, che oggi hanno premi dell'ordine di 10 o 20 euro per ettaro rispetto alla media europea di 300, recupereranno il 30 per cento da qui al 2020.
Si vede sfumare la grande prospettiva di una politica agricola che li avrebbe sostenuti subito e dall'inizio con risorse cospicue per effetto delle alleanze che si stanno formando e che tendono a mantenere un flusso consistente di risorse.
Tra coloro che nel Parlamento europeo si occupano di politica agricola c'è un buon lavoro di squadra. Gli italiani, in Parlamento europeo, sul tema agricolo non hanno mai votato in modo diverso, pur provenendo da delegazioni diverse e da partiti e Gruppi politici diversi. Questo significa che il sistema Paese Italia in agricoltura sicuramente funziona.

BARBARA MATERA, Parlamentare europeo. Qualcuno ha chiesto quali proposte e quali politiche siano state adottate nei confronti dei Paesi del Mediterraneo. Sono state destinate diverse centinaia di milioni di euro ai Paesi del Mediterraneo con l'obiettivo di aprirsi alla comunicazione verso la nuova Primavera araba, quindi al nord Africa tutto, ma al tempo stesso con la tutela e il rafforzamento dei confini esterni dell'Unione europea, perché prima non ho menzionato la proposta di potenziamento di Frontex, l'agenzia europea destinata alla sicurezza dei confini esterni dell'Unione europea.
Sono solo delle proposte e magari, se ci invitate di nuovo nel 2012, potremo raccontarvi quanto è accaduto nei fatti.

ROBERTO GUALTIERI, Parlamentare europeo. I colleghi hanno già detto molto, quindi mi resta molto poco da aggiungere. Forse è utile ribadire e chiarire che nel sistema istituzionale dell'Unione europea il


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Parlamento europeo è autorità di bilancio per le uscite, ma non per le entrate.
Il sistema delle risorse proprie è deciso all'unanimità (articolo 311 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) con consultazione del Parlamento e il quadro multifinanziario è deciso all'unanimità con consenso del Parlamento. In questo senso, dovremmo essere noi a dire a voi Parlamenti nazionali - a cui rispondono i Governi e quindi a cui risponde il Consiglio - di fare il più possibile perché questo significativo rischio non di non riuscire a raggiungere gli obiettivi moderatamente più ambiziosi del Parlamento di avere un aumento dello 0,5, ma di andare a un bilancio sotto l'1 per cento - perché questo è il rischio - non diventi realtà.
Spero che il nostro Paese abbandoni un approccio unicamente contabile alla questione del ruolo dell'Italia nel conto delle entrate e delle uscite del bilancio europeo e recuperi il ruolo tradizionalmente politico di motore dell'integrazione e di principale sostenitore tra i grandi Paesi fondatori del metodo comunitario, perché c'è bisogno di un'Italia che faccia questo in un Consiglio molto diviso, in cui è molto forte il peso di alcuni Paesi che vogliono andare a un bilancio significativamente ridotto.
Sulla Financial Transaction Tax (FTT) ha già risposto l'onorevole Balzani e non ho nulla da aggiungere. Il Commissario europeo Semeta sta arrivando a una formulazione; ha fatto una prima stima di 50 miliardi di euro l'anno, ma sappiamo che è anche un rischio definire un quadro in cui una quota così significativa è sostenuta da una imposizione che deve ancora essere sperimentata. Le stime che si stanno facendo sono però più prudenti che sovradimensionate. Naturalmente resta il quadro politico per quanto riguarda la FTT di una posizione franco-tedesca ormai abbastanza aperta, mentre il problema è quello inglese su questo come su altri temi.
Il Parlamento europeo ha una posizione largamente maggioritaria a favore, la Commissione europea ha addirittura annunciato la proposta e nel Consiglio c'è una maggioranza a favore, ma purtroppo c'è il problema di alcuni Paesi che hanno diritto di veto, problema che il Parlamento da solo non può certo risolvere.
Per quanto riguarda project bond ed Eurobond, quella degli Eurobond è una categoria molto vaga (c'è dentro tutto); mentre project bond sono una tipologia che ritengo realistico implementare. Per quanto riguarda i cosiddetti stability bond, cioè l'utilizzo di emissioni a garanzia del debito sovrano, c'è un dibattito molto più acceso, con una posizione tedesca critica.
Qui le riflessioni che svolgevo all'inizio sulla comunitarizzazione del meccanismo salva Stati assumono un ruolo cruciale quanto alla concreta realizzabilità di questa ipotesi, che secondo me sarebbe opportuna e che l'Italia sostiene unitariamente come Governo e come rappresentanza nel Parlamento europeo.
Per quanto riguarda l'azione esterna, è stato varato un documento di revisione della politica di vicinato e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il Commissario Füle lo hanno varato. Le idee forti sono quelle di una maggiore politicizzazione dell'impegno europeo: si dice «area di prosperità, stabilità e democrazia». Sottolineo questo elemento, perché le politiche mediterranee dell'Unione europea fino adesso hanno peccato di un eccesso di economicismo, che, non avendo portato l'Unione a misurarsi con i grandi nodi politici, hanno costruito un collo di bottiglia nei riguardi del progresso della regione.
Da una parte i sistemi politici dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, le dittature ora in parte travolte dalla Primavera araba e dall'altra il conflitto israelo-palestinese sono nodi politici irrisolti che hanno impedito all'approccio economicistico europeo - peraltro poi attuato con non poche contraddizioni - di avere degli effetti trasformativi.
Adesso il tema di un ruolo politico dell'Unione europea nella transizione alla democrazia dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e nell'affrontare il nodo


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israelo-palestinese è una chiave anche per una maggiore efficacia della politica di vicinato dell'Italia nella zona sud dell'Europa. Questo è un tema che riguarda però la effettiva disponibilità politica dei Paesi, per cui torniamo più agli Stati membri che al Parlamento che ha espresso posizioni molto chiare e molto nette a larga maggioranza, e anche al ruolo dell'Alto rappresentante - con tutti i limiti che conosciamo - che sta provando a svolgere una politica estera più netta.
Il problema riguarda ancora una volta il Consiglio e l'effettiva disponibilità dei principali Paesi a convergere verso obiettivi comuni, perché si tratta di politiche che richiedono l'unanimità del Consiglio, per consentire all'Europa di affrontare questi nodi politici, a loro volta funzionali alla efficacia di una politica di vicinato verso una regione complessa come quella della sponda sud del Mediterraneo e del Medioriente.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i colleghi del Parlamento europeo che ci hanno onorato della loro presenza e del loro contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,55.

XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea)

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