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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(I-III Camera e 1a-3a Senato)
1.
Mercoledì 2 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 2

Audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Stefani Stefano, Presidente ... 2 8 9 10 13 20 24
Adamo Marilena (PD) ... 10
Adornato Ferdinando (UdC) ... 15
Barbi Mario (PD) ... 18
Boniver Margherita (PdL) ... 13
D'Amico Claudio (LNP) ... 17
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 6 14
Livi Bacci Massimo (PD) ... 8
Marcenaro Pietro (PD) ... 11
Marini Franco (PD) ... 9 10
Maroni Roberto, Ministro dell'interno ... 2 6 10 11 20
Mecacci Matteo (PD) ... 16
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 15
Pedica Stefano (IdV) ... 10
Pistelli Lapo (PD) ... 18
Tassone Mario (UdC) ... 13
Zaccaria Roberto (PD) ... 14
Zacchera Marco (PdL) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) - III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1A (AFFARI COSTITUZIONALI) - 3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 2 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 8,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni, sui recenti sviluppi della situazione nel Mediterraneo.
Saluto i presidenti Dini, Vizzini e Bruno, i colleghi delle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato, e ringrazio soprattutto il Ministro Maroni per la sensibilità istituzionale e per l'immediata disponibilità con cui ha accettato l'invito a riferire al Parlamento sulla delicata e complessa situazione che si sta determinando nel Mediterraneo, che coinvolge direttamente il nostro Paese, prima frontiera dell'Unione europea.
È positivo che sia stato convocato il Consiglio europeo in via straordinaria per il prossimo 11 marzo.
Colleghi, debbo assolutamente contingentare i tempi di intervento per osservazioni e quesiti successivi alla relazione del Ministro, anche perché il Senato si riunisce alle 10. Negli interventi, dunque, darò precedenza ai senatori.
È di adesso una notizia ANSA che riferisce l'uccisione del ministro pachistano delle minoranze religiose, il cattolico Shahbaz Bhatti, che abbiamo incontrato in delegazione con gli onorevoli Tempestini, Boniver e Orlando quando siamo stati a giugno in missione ad Islamabad e che abbiamo rivisto a Roma in settembre. Questo è un altro segnale del clima nel quale stiamo vivendo.
Ringrazio ancora il Ministro Maroni nel dargli la parola per lo svolgimento della sua relazione.

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Grazie, signor presidente, per l'opportunità di illustrare le questioni che riguardano la situazione che si è verificata nel nord Africa.
La mia relazione è suddivisa in quattro capitoli. Il primo è relativo all'immigrazione clandestina e agli aspetti che possono essere collegati a questo tema. Il secondo riguarda la vera e propria emergenza umanitaria che si sta rivelando quotidianamente e che si sta aggravando di ora in ora. Nella terza parte vorrei illustrare le nostre valutazioni sulla situazione nel nord Africa, quello che sta avvenendo, quello che potrebbe avvenire e i rischi connessi all'evoluzione della situazione. Infine, l'ultima parte riguarda le misure che sono state adottate dall'Italia e dalla comunità internazionale e, soprattutto, quelle che non sono ancora state adottate e dovrebbero esserlo.
Nel fenomeno in corso, che vede profondi cambiamenti degli assetti istituzionali,


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sociali e politici del nord Africa, vi è una componente legata all'immigrazione clandestina. Voglio subito chiarire che si tratta di un fenomeno molto diverso rispetto a quello che siamo stati abituati a vedere negli ultimi anni. Fino a due anni fa l'immigrazione clandestina che veniva da quei Paesi privilegiava canali in partenza dalla Libia (oltre il 90 per cento dei 37.000 sbarchi avvenuti nel 2008 sono stati originati da porti libici) ed era gestita dalle organizzazioni criminali là presenti, che imbarcavano soprattutto cittadini che venivano dai Paesi subsahariani, da Paesi in crisi, in situazione di conflitto, come il Sudan. Questi flussi, gestiti dalle organizzazioni criminali, attraversavano il deserto, entravano in Libia, che non aveva la possibilità di controllare i confini a sud e venivano imbarcati in direzione Europa con approdo privilegiato a Lampedusa, ma anche a Malta.
Quello che sta avvenendo oggi sul fronte dell'immigrazione clandestina è molto diverso. Negli ultimi giorni, dall'inizio dell'anno fino a ieri, sono arrivati a Lampedusa 5.600 clandestini, provenienti tutti dalla Tunisia. Questa notte, dopo dieci giorni di tregua, è avvenuto un altro sbarco: un'imbarcazione con 347 tunisini. Sono tutti giovani, maschi, pochissime le donne, quasi assenti i minori: è una generazione che sta scappando dalla Tunisia.
Questo avviene per due motivi. In primo luogo, perché la crisi che ha subito la Tunisia non si è ancora risolta. Noi abbiamo passato venti giorni, dall'inizio della crisi fino a dieci giorni fa, senza poter avere un interlocutore in Tunisia. Non rispondevano semplicemente al telefono il Capo della polizia, il Ministro dell'interno. Questo ha reso impossibile, per tutto questo periodo, riprendere l'attuazione dell'accordo bilaterale con la Tunisia - firmato dal Presidente Napolitano, allora Ministro dell'interno - che aveva esercitato un efficacissimo controllo sulle coste tunisine, tant'è vero che, come ho detto, dei 37.000 sbarchi avvenuti nel 2008, quasi nessuno veniva dalla Tunisia. Ci sono stati molti tunisini, però, che attraversavano il confine libico e venivano attraverso la Libia.
In secondo luogo, l'assenza di controlli sulle coste ha determinato una concentrazione di persone in fuga dalla Tunisia soprattutto nel sud della Tunisia (anche la barca che è arrivata questa notte è partita da un porto vicino a Sfax, nel sud della Tunisia). È, dunque, un movimento spontaneo che non è gestito dalla criminalità organizzata, dalle grandi associazioni criminali della tratta degli esseri umani. Si tratta di persone in fuga. È come se fosse caduto un muro e venuto meno il tabù che non si possa fuggire dalla Tunisia, e così giovani in cerca di futuro scappano da quel Paese, non essendoci più nessuno o quasi che li frena.
Questo avveniva fino a dieci giorni fa. Da dieci giorni è ripresa, anche se lentamente, un'attività di controllo in Tunisia e sono stati riallacciati i rapporti. Le autorità tunisine, soprattutto la parte militare, hanno ripreso a pattugliare e a controllare le coste, e così una decina di tentativi di partenza dalla Tunisia con altrettante barche (recanti complessivamente 600 cittadini tunisini) sono stati bloccati dalle autorità tunisine in questo mese.
È dunque un fenomeno diverso rispetto a quello della Libia; dal 2009, ossia da quando è iniziata l'attuazione dell'accordo che venne firmato dal Ministro Amato nel dicembre del 2007 (nulla a che fare con l'accordo di amicizia dell'agosto 2008), i controlli e i pattugliamenti congiunti italo-libici e quelli effettuati sulle coste della Libia hanno determinato il blocco sostanziale delle partenze dai porti libici.
Questa situazione, che si è verificata nel 2009 e nel 2010, ha portato una drastica riduzione degli sbarchi di clandestini nel 2010, passati dai 37.000 dell'anno precedente ai meno di 4.000 complessivi del 2010, e oggi continua, nel senso che non ci sono partenze dalla Libia, ma per il motivo opposto rispetto a quello che ha consentito la riduzione degli sbarchi. Ne parlerò, comunque, quando riferirò sulla situazione in Libia.


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Non ci sono più controlli sulle coste in Libia. I nostri uomini della Guardia di finanza che erano a bordo dei pattugliatori sono in ambasciata o stanno rientrando; non è più garantita, quindi, la sicurezza di queste persone e i controlli sono sostanzialmente azzerati.
Se non riprendono le partenze dalla Libia è semplicemente perché la situazione di drammatica crisi - qualcuno parla di guerra civile - in quel Paese non consente la ripresa delle attività criminose che erano collegate alla partenza dei clandestini da quelle coste. È fuor di dubbio, però, che se la situazione dovesse cambiare potrebbe riprendere quell'attività che noi avevamo interrotto con l'accordo con le autorità libiche. Questo dipenderà dall'evoluzione della situazione in Libia, che è connotata da un grosso punto interrogativo.
Ho detto che i clandestini venuti dalla Tunisia sono tutti giovani, tra i venti e i trentacinque anni per oltre il 90 per cento. Nelle interviste hanno dichiarato quasi tutti di voler andare in altri Paesi europei, principalmente Francia e Germania (ma qualcuno ha detto anche in Svizzera), perché in quei Paesi hanno amici e loro hanno programmato questo viaggio non tanto per fuggire da uno scenario di crisi di guerra o di povertà, ma per ricongiungersi, appunto, con le comunità presenti in Francia e Germania.
Circa 2.000 di questi cittadini hanno presentato la domanda di protezione internazionale; di questi, meno di 400 hanno fatto domanda di asilo politico (conoscete la differenza tra i due istituti). Noi le trattiamo, ovviamente, come deve essere trattata una domanda dell'uno o dell'altro tipo. Sono già state allertate le tredici commissioni territoriali in Italia per procedere alla valutazione delle domande.
Ricordo che le tredici commissioni territoriali svolgono un'attività molto intensa e, mediamente, la domanda di asilo o di protezione internazionale viene accolta o rigettata in un periodo che non supera i sei mesi, che è meno della metà della media europea. Dal punto di vista, quindi, della gestione dell'aspetto umanitario dell'immigrazione, l'Italia ha sviluppato in questi anni un sistema molto efficiente. Questi cittadini sono stati tutti o quasi spostati da Lampedusa; attualmente nel centro ci sono - a parte i 347 sbarcati questa notte - circa 500 persone. Gli altri clandestini sono stati progressivamente spostati negli altri centri.
L'aspetto dell'immigrazione clandestina - e concludo questo capitolo - per quanto significativo, importante e allarmante, è anche quello che mi preoccupa meno, perché è un fenomeno che io considero minore rispetto all'altro rischio, quello dell'emergenza umanitaria, sia in termini di numeri, sia in termini di impatto sulle nostre strutture, ma soprattutto perché, come ho detto, è ripresa - anche se faticosamente e lentamente - l'azione di cooperazione delle autorità tunisine.
Vorrei sottolineare un aspetto. L'accordo a cui ho fatto riferimento firmato dal Presidente Napolitano prevede anche l'attività di rimpatrio dei clandestini. Tale attività, come sapete, consiste nell'identificazione del cittadino, nell'ottenimento da parte delle autorità del suo Paese del visto di rimpatrio o di ingresso e nel trasferimento fisico del cittadino nel Paese di origine (non di provenienza, ma di origine).
L'accordo con le autorità tunisine prevede tutta questa attività in un termine massimo di due mesi, ma le autorità tunisine consentono i rimpatri di non più di quattro cittadini tunisini al giorno (e peraltro su voli di linea, ma questo è un dettaglio marginale). Lo ribadisco, consentono il rimpatrio di quattro cittadini tunisini al giorno e non di più, per una serie di valutazioni fatte dal Governo tunisino. Ora, se voi considerate che i tunisini sbarcati sono circa 6.000, questa attività di rimpatrio, se anche dovesse avvenire in tempi molto rapidi l'attività di riconoscimento e di concessione dei visti - cosa che non avviene - richiederebbe oltre tre anni.
Noi stiamo negoziando, quindi, una deroga a questa limitazione che consenta il rimpatrio di gruppi più numerosi di cittadini tunisini, anche per dare il segnale a quelli che stanno per partire o che


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intendono partire che non è automatico che si parta, si arrivi in Italia e si prosegua per la destinazione scelta.
Avevamo concluso il negoziato con il premier Ganouchi, che purtroppo, dopo due giorni, si è dimesso ed è stato sostituito da un altro premier, dunque ci tocca ricominciare da capo.
Il meccanismo di controllo e di cooperazione (ne parlavo proprio questa mattina con il Capo della polizia) tra le autorità tunisine e le autorità italiane sta riprendendo, soprattutto con le autorità militari tunisine, che hanno mantenuto una struttura - di cui fanno parte anche la Capitaneria di porto e la Guardia costiera - che fa quel che può. Evidentemente la situazione, soprattutto nel sud del Paese, nella parte interna che ha sbocco nei porti a sud del Paese, è totalmente fuori controllo. Questo determina un'enorme pressione su quelle coste e su quei porti che solo in parte oggi le autorità tunisine sono in grado di controllare.
Da qui, nonostante gli sforzi, le partenze avvengono con gruppi di persone che salgono su pescherecci comprati, sottratti o rubati, senza che ci siano peraltro a bordo le figure che tradizionalmente gestiscono questo traffico, i cosiddetti «scafisti».
Il secondo capitolo, che è quello che desta le maggiori preoccupazioni, non solo nel Governo italiano, ma nelle istituzioni internazionali, riguarda quella che è stata definita l'emergenza umanitaria. Si sono citati molti numeri basati su rapporti dell'intelligence, come abbiamo fatto noi, basati su valutazioni, su stime e informazioni le più generali, il che consente di capire anche quanto sia instabile e confusa la situazione.
Le stime più prudenti parlano di almeno 100.000 persone in fuga dalla Libia. L'UNHCR ieri ha parlato di 140.000 profughi, addirittura definendoli «profughi» e non semplicemente persone in fuga. Noi abbiamo informazioni dirette che parlano di decine di migliaia di persone che fuggono dalla Libia dirigendosi verso ovest, verso l'Egitto e verso est, al confine tunisino. Quello che ci preoccupa di più, naturalmente, è la pressione sul confine tunisino, poiché la Tunisia è a poche decine di miglia dall'Europa: non da Lampedusa, dall'Europa, ma questo dettaglio spesso sfugge ai miei colleghi Ministri dell'interno europei. Dunque, a poche decine di miglia dall'Europa abbiamo il Maghreb.
Due giorni fa la Libia ha chiuso il confine con la Tunisia, presidiandolo con l'esercito e impedendo quindi a coloro che si spostano verso est di passare in Tunisia. La segnalazione in mio possesso è che attualmente in Tunisia ci siano, accampate poco dopo il confine con la Libia, circa 60.000 persone e altrettante siano in Libia sul confine, non potendo passare.
Ciò è avvenuto negli ultimi tre o quattro giorni, il che significa che la situazione è grave e soprattutto che rischia di diventare drammatica, se non tragica, perché le autorità libiche non svolgono alcuna attività di supporto a queste persone, mentre le autorità tunisine lo fanno con il concorso della Mezzaluna Rossa e di associazioni umanitarie, ma si tratta di un sostegno ancora non organizzato. Si sono viste anche alcune scene in televisione.
La massa umana che si trova in Tunisia e in Libia preme e dovrà ricevere un'assistenza adeguata a partire da subito, altrimenti si può immaginare che cosa potrà succedere. È una vera e propria emergenza umanitaria, a cui finora la comunità internazionale non ha saputo dare una risposta adeguata. Si sono minacciati sanzioni, raid aerei e punizioni a tutti i livelli, ma l'emergenza umanitaria è lasciata per ora alla gestione delle autorità tunisine. Credo che questo sia un errore grave da parte delle autorità internazionali.
Come sapete, il Governo italiano ha istituito subito un'unità di crisi sulla situazione del Maghreb e proprio ieri sera si è tenuta una riunione dell'unità di crisi, nel corso della quale il Ministro Frattini e chi vi parla hanno sollecitato la decisione di far avviare all'Italia unilateralmente una missione umanitaria, proprio per venire incontro alle esigenze delle persone concentrate al confine tra Tunisia e Libia.
La decisione presa ieri sera è stata quella per cui l'Italia organizzerà da subito - è in corso in questi minuti una riunione a


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Palazzo Chigi - una missione umanitaria per portare viveri, nonché assistenza sanitaria e umanitaria a queste persone, realizzando sul posto un campo profughi che consenta loro di sopravvivere in condizioni decenti nei prossimi giorni, fino a che non sarà trovata una sistemazione.
Le persone interessate sono quasi tutte tunisine, ma non solo. Si può pensare che siano lavoratori che erano presenti in Libia e che stanno ritornando in Tunisia, ma, considerata la situazione di instabilità politica e istituzionale vigente in Tunisia e il fatto che molti scappano perché non ci sono lavoro o possibilità di sostegno, immagino che, perdurando la crisi libica ancora per molto tempo, le persone rientrate in Tunisia cercheranno a loro volta altre vie. La via più semplice e rapida per loro è quella di salire su una barca e venire in Italia.
L'emergenza umanitaria è, quindi, il capitolo più importante, perché riguarda decine di migliaia di persone a rischio per la propria sopravvivenza e ha un'implicazione anche sull'immigrazione clandestina: o si trova rapidamente una soluzione a questo problema, oppure io mi aspetto nelle prossime settimane un'emergenza di arrivi dovuta alla totale incapacità delle autorità locali di gestire il fenomeno e all'assenza grave e perdurante delle istituzioni internazionali da questo punto di vista.
Il Consiglio europeo è convocato, come sapete, per il 24 marzo, cioè fra troppo tempo. È di ieri la notizia che vi sarà una riunione straordinaria l'11 marzo. È una buona notizia, ma credo che la notizia migliore sia la decisione dell'Italia di assumere un'iniziativa senza aspettare l'avallo dell'Unione europea e delle organizzazioni internazionali, dimostrando ciò che va fatto, e subito. A un'emergenza si risponde con l'emergenza, ossia con iniziative immediate, non aspettando le procedure, le prassi e le decisioni che vengono prese nei consessi internazionali. Ha fatto bene, dunque, l'Italia ad assumere questa decisione.

GIORGIO LA MALFA. Questo intervento sarà in Tunisia o in Libia?

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. In Tunisia. In Libia non è possibile fare alcunché. Abbiamo preso accordi con le autorità tunisine e, quindi, l'operazione umanitaria, l'unità di cura e di emergenza che sarà inviata, sarà spedita in territorio tunisino.
La situazione, dal punto di vista della crisi umanitaria, presenta molti paralleli con ciò che è avvenuto nel 1989, con la caduta del muro di Berlino. Ci sono affinità, ma anche molte differenze, naturalmente. Dal punto di vista delle conseguenze sulla popolazione le due vicende sono molto simili.
Ricordo che allora - parlo degli anni successivi alla caduta del muro di Berlino - ci fu un esodo colossale, in tre anni, di 900.000 persone circa, le quali passarono dai Paesi dell'ex Unione Sovietica in Europa, principalmente in Germania, tutte richiedenti asilo e provenienti, peraltro, anche da Iran, Libano, Jugoslavia, Romania e Turchia.
Le persone concentrate sul confine tra la Tunisia e la Libia sono principalmente tunisine, ma non solo. Ci sono molti cittadini che provengono dai Paesi a sud del Sahara e che non hanno la possibilità di ritornarvi. Alcuni sono lavoratori che si trovavano in Libia e altri sono clandestini, che si trovavano nello stesso Paese.
Quello dell'emergenza umanitaria è l'aspetto ancora più preoccupante. Noi stimiamo che in Libia ci siano 1 milione 500 mila clandestini - qualcuno ne stima addirittura 2 milioni 500 mila - entrati in quel Paese nel corso degli anni, come ho ricordato prima, per l'incapacità della Libia di controllare i confini a sud, nel deserto. Questi clandestini stavano in Libia, tollerati, e svolgevano alcune attività che i cittadini libici non svolgevano.
La crisi in Libia sta ovviamente inducendo queste persone ad andarsene verso est o verso ovest; nessuno sta prendendo la direzione sud, cioè riattraversando il deserto per tornare nei Paesi di origine. Io mi aspetto che, non appena la situazione lo consentirà, essi riprenderanno la direzione nord, attraversando il Mediterraneo per venire in Europa.


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Si tratta del peggiore scenario tra quelli possibili, che prevede movimenti di forse 200.000 persone in fuga dalla guerra che cercano riparo dove è possibile. La chiusura del confine tra la Libia e la Tunisia accentua questo rischio. Il Governo italiano si è preparato, quindi, a subire il rischio di un impatto senza precedenti sulle nostre coste dovuto a ciò che sta avvenendo in questi Paesi.
Il terzo capitolo riguarda sempre gli eventi che si stanno verificando in questi Paesi. Abbiamo visto tutti ciò che è avvenuto in Tunisia e in Egitto e abbiamo notizie frammentarie su ciò che sta avvenendo in Libia.
Esiste una differenza sostanziale tra questi tre Paesi, che certamente voi conoscete. La Tunisia con la partenza di Ben Alì ha avuto una sostituzione al potere di altre persone, prima Ganouchi e adesso Caid Sebsi, che ha più di ottant'anni ed era stato ministro con Bourghiba; è una persona certamente con tutte le competenze per governare la Tunisia, ma non propriamente dotata dei poteri per gestire la crisi. Questa è la mia personale opinione.
Esiste, comunque, un sistema di governo. Lo stesso è avvenuto in Egitto, dove l'esercito ha preso il potere e ha garantito che entro sei mesi ci sarà la transizione. Esiste, pertanto, un controllo della situazione e con l'Egitto le operazioni, dal mio punto di vista, sono molto efficaci.
In questi giorni, infatti, è arrivato un barcone dall'Egitto, uno solo, con a bordo un'ottantina di egiziani, tra cui 11 minorenni. Sono stati identificati e il giorno dopo le autorità egiziane ci hanno consentito di rimpatriarli, esclusi i minorenni, che non rimpatriamo mai naturalmente, con un volo charter. Sono stati tutti riportati in Egitto grazie all'accordo bilaterale, ma soprattutto alla disponibilità delle autorità egiziane di continuare la collaborazione e la cooperazione di polizia tra i nostri due Paesi.
La Libia è il punto interrogativo. Gheddafi era dato per finito già dieci giorni fa, ma sta resistendo. La struttura della società libica, come sapete, è fondata su un centinaio di tribù. La tribù è la madre di tutto, come si legge. Attualmente la Libia è divisa in due, tra i cosiddetti «rivoluzionari» o «rivoltosi» e i cosiddetti «lealisti». È una situazione di stallo che nessuno è in grado di sapere quando si risolverà in un senso o nell'altro.
Il rischio, però, è che l'instabilità favorisca le infiltrazioni del terrorismo internazionale. Esiste un report di Europol, non classificato e che quindi posso citare, che parla della situazione del nord Africa, in relazione a instabilità politica e crimine organizzato, ed elabora scenari che vedono il collegamento tra la presente instabilità, il crimine organizzato e l'infiltrazione del terrorismo.
Non voglio prefigurare futuri scenari, ma esprimo solo la mia preoccupazione che quanto sta avvenendo in Libia possa portare a una situazione di governo del Paese molto più simile a quella esistente in Afghanistan o in Somalia rispetto a quella di un Paese amico dell'Occidente e dell'Italia. È un rischio grave e reale, dal mio punto di vista, e mi auguro davvero che la comunità internazionale si esprima e possa proporre un modello di transizione, con iniziative che conducano alla transizione dalla situazione attuale a un sistema di governo non simile ai modelli di democrazia occidentale, il che mi pare difficile in tali situazioni, ma almeno non ostile all'Italia, all'Europa e all'Occidente.
Il rischio che avvenga il contrario, invece, esiste. Esiste un'attività, che noi abbiamo rilevato attraverso la nostra intelligence, di associazioni vicine ad Al Qaeda nel Maghreb islamico, che utilizza questa situazione per fare proselitismo. Io credo che l'atteggiamento dell'Europa non possa continuare a essere solo sanzionatorio. Non ci si può limitare a minacciare sanzioni e basta, altrimenti l'impressione che viene data è che l'Europa sia il nemico e che, quindi, ci si deve rivolgere a qualcun altro.
È giusto minacciare sanzioni, l'ONU le ha approvate, però non può essere solo questa l'iniziativa. Occorre affiancare questa parte con la definizione di un piano straordinario di intervento, che il Ministro Frattini ha definito il «nuovo Piano Marshall», il quale possa consentire a quei


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Paesi, una volta ritrovata la stabilità, di procedere anche con gli aiuti europei a un rapido sviluppo economico.
Concludo con le iniziative che sono state assunte. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come sapete, il 26 febbraio ha deciso alcune sanzioni e il Governo italiano ha istituito subito un'unità di crisi per seguire 24 ore su 24 la situazione.
Per quanto riguarda la sicurezza e le competenze del Ministero dell'interno, io ho inviato subito un report alle autorità europee all'inizio di gennaio. Ho inviato al Commissario europeo Cecilia Malmström una richiesta di intervento che si articola in otto azioni. Il documento è stato sottoscritto dai Ministri dell'interno di Cipro, Francia, Grecia, Malta e Spagna, oltre che dell'Italia. Ho convocato tali ministri a Roma il 23 febbraio, creando il gruppo euromediterraneo tanto auspicato da Sarkozy e mai realizzato, almeno dal punto di vista della sicurezza. Il documento è stato sottoposto alla discussione del Consiglio giustizia e affari interni del 24 febbraio. È stato semplicemente preso atto che esiste una richiesta da parte dei sei Paesi, perché i tempi dell'Europa sono questi.
Tra le richieste avanzate vorrei, in particolare, segnalarne due. La prima è la trasformazione di Frontex da agenzia di puro coordinamento degli interventi, che assorbe tantissime risorse, ma che sul piano operativo non ha grandi capacità, in una vera e propria agenzia di gestione della crisi legata ai fenomeni migratori.
Oggi esiste la presenza di Frontex sullo scenario tunisino in aiuto all'Italia, che si concretizza nell'invio di tre funzionari a Lampedusa, i quali non parlano neanche l'italiano ed elaborano scenari, secondo quanto hanno riferito, su ciò che potrà avvenire. È un'attività certamente molto utile, ma sono arrivati il 20 febbraio, mentre l'Italia schiera dal 15 gennaio dodici unità navali e compie il pattugliamento aereo 24 ore su 24 sul canale, tutto naturalmente a spese del nostro Paese.
Abbiamo chiesto che Frontex gestisca il fenomeno migratorio, controllando le coste, prendendosi in carico i clandestini che arrivano, definendo un network europeo di centri per l'identificazione e l'espulsione in cui collocare i clandestini e procedendo all'identificazione e ai rimpatri dei clandestini stessi, tutte attività che oggi svolgono i singoli Paesi membri.
La seconda richiesta, sul fronte dei rifugiati, è relativa alla definizione del sistema europeo di asilo, un impegno contenuto nel programma di Stoccolma, che vede però l'ostilità aperta di alcuni Paesi, Inghilterra, Germania e Svezia in particolare. Si tratta di un'iniziativa assolutamente importante, che si fonda sul principio di sussidiarietà e di solidarietà tra i Paesi europei, con la definizione di un sistema unico per i richiedenti asilo e per l'accoglienza, attuando il cosiddetto principio del burden sharing.
Se l'Europa è solidale, deve esserlo anche da questo punto di vista, il che oggi non avviene. Come sapete, oggi i rifugiati che arrivano in un Paese devono stare in tale Paese e non possono, neanche quando hanno ottenuto lo status di rifugiato, recarsi in un altro Paese, perché, in base alla Convenzione di Dublino, quest'ultimo può rimandarli nel Paese di provenienza.
Queste sono due delle otto azioni che abbiamo chiesto alla Commissione europea. Attendiamo fiduciosi che l'Europa possa dare una risposta su tutte le nostre iniziative.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni. Vi prego di contenere il vostro intervento in tre minuti, in modo da dare modo al Ministro di rispondere.

MASSIMO LIVI BACCI. Grazie, signor Ministro, della sua relazione articolata. Vado rapidissimo per punti, seguendo l'ordine della sua esposizione.
Una prima questione riguarda il futuro dei clandestini, o meglio dei profughi, che rischiano di attraversare il Mediterraneo. È stato detto a mezza bocca, ma non ancora chiaramente, che non ci saranno respingimenti in mare. Sarebbe bene che il Governo su questo facesse chiarezza.


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La seconda questione è quella dei centri per i rifugiati. Credo che l'idea - lei non ne ha parlato - di concentrare a Mineo tutti i richiedenti asilo e quindi di effettuare poi tutte le procedure debba essere ben valutata, perché rischia di togliere flessibilità al sistema articolato delle tredici Commissioni territoriali che funzionano molto bene. Credo che debba essere molto ben valutato, che sia pericoloso farlo, ma che sia auspicabile prepararsi a rafforzare la capacità operativa di queste Commissioni territoriali.
Il terzo punto riguarda il rimpatrio. Relativamente ai tunisini, ci farebbe molto comodo se l'Italia avesse adottato la direttiva comunitaria dei rimpatri per quanto riguarda il rimpatrio volontario, che credo sarebbe possibile per molti di loro, magari dando qualche piccolo incentivo monetario. Se infatti rimangono due settimane in meno nei nostri centri di accoglienza, noi risparmiamo dei soldi che possiamo mettere in tasca a loro per farli ripartire.
Credo che questo debba essere opportunamente valutato. È stato fatto un errore colossale con la criminalizzazione dell'immigrazione irregolare, che noi continuiamo a pagare: lei lo sa bene e credo che il Governo dovrebbe prenderne atto.
Per quanto riguarda la missione umanitaria, bene ha fatto il Governo ad avviarla. Forse avrebbe dovuto annunciarla subito, ma lì ci sono state molte esitazioni, e mi fa piacere che il Ministro Maroni su questo abbia dato una spinta decisiva al Governo. Si tratta di una missione umanitaria unilaterale, ma mi chiedo perché si dovesse aspettare l'Europa o le Nazioni Unite piuttosto che prendere subito nelle mani l'iniziativa. Bene ha fatto, forse era bene annunciarla subito e non farsi precedere dalla Francia in questo, ma meglio tardi che mai.
La questione dei possibili futuri profughi dalla Libia è aperta, ma fortunatamente per ora non è stato avvistato nemmeno un barcone. Credo però che non sia utile diffondere panico nell'opinione pubblica, come è stato fatto nei giorni passati enunciando cifre prive di alcuna base.
La questione del milione o milione e mezzo di irregolari in Libia dipende dal fatto che la Libia, come tutti i Paesi che vivono sul petrolio, ha una grande presenza di manodopera straniera e Gheddafi nel suo panafricanesimo aveva fatto venire africani promettendo loro lavoro, cittadinanza e regolarità, per poi svegliarsi improvvisamente e togliere loro ogni prerogativa.
Sono dunque irregolari che però, se la Libia riprende a funzionare, ritroveranno lavoro nel Paese, che non sta in piedi senza immigrati stranieri che lo facciano funzionare.
Vorrei che il Ministro Frattini parlasse meno del Piano Marshall o lo facesse quando avrà dei soldi in tasca. Non essendoci un solo euro per la cooperazione, credo che queste affermazioni di Piano Marshall per il nord Africa siano del tutto campate in aria.
Vorrei infine evidenziare due punti. Sulle richieste fatte al Commissario Malmström, che sono tutte sacrosante, ben venga una legge europea sull'asilo e comunque una mossa unitaria dell'Europa sull'asilo, ricordandoci però che invocare il burden sharing significherà un raddoppio degli oneri per l'Italia: questa è la proporzione, giacché abbiamo il 14 per cento del PIL europeo, ma solo il 6 o 7 per cento dei rifugiati in Europa.
Sulla questione di Frontex dubito che i ventisette Paesi europei siano disponibili a cedere quella sovranità che dovrebbero cedere all'Agenzia, perché si tratta di cedere sovranità nei comportamenti di fronte all'immigrazione, cosa che considero per ora impensabile. Rafforziamo quindi Frontex, ma non illudiamoci che questo possa togliere dalle nostre spalle la gestione delle irregolarità ed eventualmente dei rimpatri, perché credo che questo non sia realistico almeno nel breve o medio periodo.

PRESIDENTE. Prego i colleghi di rimanere entro i tre minuti.

FRANCO MARINI. Signor presidente, sarò brevissimo. Mi scuso con il Ministro


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perché sono arrivato in ritardo e può darsi che abbia già fatto alcune considerazioni che intendo sottolineare.
Credo che in questi giorni, nei momenti che viviamo con questo problema così grande per il nostro Paese, sia assolutamente necessaria una valutazione del Governo su quale sia, nel Paese, la situazione di forza, di rapporti.
Presumo che il Governo rispetto a noi abbia qualche elemento in più, per cui vorrei sapere quale possa essere l'evoluzione, perché tutti i nostri ragionamenti sono legati allo sviluppo dei prossimi giorni. In un rapporto con il Parlamento dunque, qualora come spero avesse qualche elemento più di noi, dovrebbe comunicarcelo.

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Sta parlando della Libia?

FRANCO MARINI. Sì, certo, perché quello è il punto adesso. Tra l'altro, lo sbocco di un intervento militare non governato da noi ci vedrebbe marginali per ragioni oggettive, non per colpa del Governo, per i noti mezzi di Paesi alleati. Se dunque si arriva alla rottura, noi saremo messi ai margini: questa è la prima valutazione da fare.
Se dunque il Governo possiede elementi, vorremmo che ce li comunicasse. Siamo d'accordo sulla missione umanitaria che deve essere più forte possibile, perché dobbiamo dare un segnale avendo interessi straordinari non solo in Libia, ma in tutta la regione.
I soldi non ci sono, ma quando è necessario bisogna trovarli, e in questa direzione possiamo battere un colpo che sottolinei il ruolo dell'Italia per quanto accadrà dopo, per le difficoltà che avremo.
Volevo esprimere queste considerazioni, scongiurando l'ipotesi che la situazione precipiti e quindi debbano scavalcarci decisioni non governate da noi.

MARILENA ADAMO. Vorrei rivolgere una domanda brevissima, congratulandomi con il Ministro per essere entrato pienamente nel club degli eurotifosi.
Esprimo grande preoccupazione per i rifugiati neri, in particolare eritrei. Vorrei capire se vi sia infatti un'attenzione particolare, perché attualmente mi sembra il gruppo etnico maggiormente a rischio, anche per la presenza di mercenari.
Anche per la tradizione esistente sui rifugiati eritrei in Italia, vorrei sapere dunque se siano previsti un intervento particolare e una corsia preferenziale di accoglienza dei rifugiati di questo popolo.

STEFANO PEDICA. La ringrazio, signor Ministro, per l'attenta relazione che in parte ha soddisfatto il Gruppo dell'Italia dei Valori.
Lei conosce la nostra opinione sia sul Trattato di amicizia che sulla sua politica estera del Ministro Frattini, che non condividiamo dall'inizio del suo mandato fino a pochi giorni fa, quando sosteneva che Ben Ali fosse un amico e che tutto si sarebbe risolto nel giro di ventiquattro ore, mentre abbiamo visto quanto è successo in Tunisia.
Vorrei porle solo una domanda sulla tutela delle società italiane che operano in Libia ovvero sulle assicurazioni date come Governo. Ho avuto precedenti esperienze nel mio passato lavoro, per cui so che quando in Libia succede qualcosa le imprese italiane vanno via e tutto quanto era in cantiere sparisce in due minuti, perdendo milioni di euro.
In passato perdemmo miliardi per la totale razzia subìta nel giro di pochi giorni, per cui vorrei conoscere le assicurazioni del Governo su questo e sul rientro degli italiani che dovrebbero operare con quel Trattato di amicizia che abbiamo contestato fin dall'inizio perché sono soldi spesi male per aiutare le società italiane, ma vediamo poi cosa accadrà nel brevissimo tempo.

PRESIDENTE. Sono terminati gli interventi dei senatori che ora dovranno recarsi in Aula, dunque il Ministro potrebbe in questa prima fase rispondere ai loro quesiti. In seguito proseguiremo con gli altri undici interventi, sui tempi dei quali sarò inflessibile.


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ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Il senatore Livi Bacci mi ha posto una domanda sui cosiddetti «respingimenti», che sono stati effettuati non solo con la Libia ma anche con la Tunisia e non solo in questi due anni, ma anche negli anni precedenti.
Questi si basano sull'accordo bilaterale tra i Paesi: con la Libia quello firmato dal Ministro Amato nel dicembre del 2007, che prevede il pattugliamento delle coste libiche con sei motovedette con equipaggi misti, che hanno anche il compito, oltre che di essere un deterrente per evitare le partenze, di fermare le barche che partono e riportarle indietro, mentre con la Tunisia è avvenuta la stessa cosa e continua ad avvenire.
Dei 6.000 tunisini che sono partiti circa 600 non sono sbarcati in Italia perché le autorità tunisine sono intervenute e hanno preso in acque territoriali tunisine 11 barconi e li hanno riportati indietro. Questo è reso possibile dal fatto che la parte nord della Tunisia in cui si trova Tunisi è più a nord di Lampedusa, quindi le barche che arrivano a Lampedusa non partono dalla parte nord. Il porto di Tunisi non ha visto infatti alcuna partenza in questi due mesi non perché sia ipercontrollato (anche lì i controlli sono ridotti al minimo), ma perché da lì non partono.
Partono invece dai porti del sud, al confine con la Libia, e sono cittadini tunisini che vengono dall'interno. Per arrivare a Lampedusa devono percorrere oltre 250 miglia, e in questo tragitto le autorità tunisine sono riuscite a intercettarli talvolta anche su nostra segnalazione, ma sono attività minime.
Ho parlato prima dei rimpatri. È ovvio che le autorità tunisine stanno cominciando a dare di nuovo i visti di ingresso, ma prima di procedere ai rimpatri io intendo valutare se le condizioni politico-sociali in Tunisia consentano di poter rimpatriare persone.
È in atto un contenzioso tra l'Italia, l'Inghilterra, altri Paesi europei e la Corte europea dei diritti dell'uomo proprio sulla Tunisia dei tempi di Ben Ali, che veniva considerata, secondo me a torto, un Paese che non garantiva i diritti umani e che anzi effettuava la tortura di Stato. Questo ci ha impedito in molti casi di rimpatriare terroristi tunisini, condannati per terrorismo.

PIETRO MARCENARO. Li avete rimpatriati contro le sentenze di Strasburgo!

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Non è così, mai contro una sentenza.
C'è stato l'ordine di rimpatrio a fronte semplicemente di un'opposizione al rimpatrio da parte degli avvocati difensori, con una richiesta non prevista dalle norme dei trattati internazionali di sospendere il rimpatrio. Lo sospendo se una sentenza della Corte mi dice che non posso rimpatriarlo, ma se c'è un consiglio o un fax della Corte che dice al Governo italiano di non rimpatriarlo in attesa del giudizio, devo valutare come autorità nazionale di pubblica sicurezza se mettere in libertà un terrorista condannato per terrorismo (non posso tenerlo in carcere) o rimpatriarlo in Tunisia. Noi l'abbiamo fatto e io mi sono assunto la responsabilità.
Oggi la situazione dopo Ben Ali è molto diversa e quindi prima di procedere ai rimpatri intendo verificare attraverso gli strumenti che posseggo e il Ministero degli esteri che ci siano le garanzie per farlo.
Il centro dei rifugiati di Mineo, quello che abbiamo chiamato Villaggio della solidarietà - non mi dilungo sul progetto, ma posso consegnare a chi fosse interessato una presentazione che ho fatto ai quindici sindaci della zona - è un'operazione utile, in grado di definire un modello di accoglienza soprattutto per i nuclei familiari, che possiamo sviluppare e portare in Europa.
La preoccupazione che il senatore Livi Bacci ha sollevato esiste: occorre evitare che la concentrazione di 2.000 (non di più) richiedenti asilo non ancora rifugiati possa determinare un rallentamento nel processo delle domande da parte delle Commissioni territoriali.
Non deve essere così e non sarà così: in Sicilia ci sono due Commissioni territoriali, ma noi intendiamo continuare a far


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seguire l'iter delle domande già presentate dalle Commissioni territoriali competenti, evitando quindi di concentrare su due Commissioni territoriali il lavoro attualmente suddiviso in tredici. È quindi certamente necessario rafforzare la capacità operativa delle Commissioni territoriali.
I rimpatri volontari sono un'opportunità in questi anni pochissimo utilizzata, nell'ordine di poco di più di un centinaio di clandestini che hanno volontariamente accettato di rimpatriare, anche perché il contributo non viene dato direttamente a loro, perché altrimenti il clandestino tornerebbe nuovamente da noi, ma viene dato alle agenzie internazionali perché si occupino del reinsediamento di questi cittadini.
Oggi dubito che nella condizione in cui si trova la Tunisia sia possibile fare un'operazione di questo tipo e cioè trovare delle associazioni tipo l'OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) in grado di seguire queste operazioni in presenza di questa grave crisi umanitaria. È certamente uno strumento, ma oggi non credo che sia utilizzabile.
Sono convinto che dotare Frontex di una struttura europea sia la strada giusta. Ci sono già dei voli di rimpatrio congiunti gestiti da Frontex e pagati dai vari Paesi e non c'è contrarietà da parte della Commissione europea. Il passaggio da un'istituzione che coordina a una che gestisce è lungo, complesso e difficile, ma è coerente con il disegno di un'Unione europea fatta di popoli e non di ventisette Stati che mantengono ancora barriere ai confini.
Il senatore Marini mi chiedeva della Libia. La situazione è assolutamente complessa, complicata e in continua evoluzione, ci sono iniziative o meglio valutazioni su ciò che sta avvenendo che però io lascerei per competenza al Ministro degli esteri, non essendo io in grado di farle adeguatamente. Mi occupo infatti di ciò che avviene quando qualcuno parte dalla Libia, non di ciò che avviene lì.
Per quanto riguarda la tutela delle società italiane in Libia, proprio ieri sera ne abbiamo valutato, anche alla presenza del Ministro dello sviluppo economico Romani, la situazione, che è attentamente tenuta sotto controllo. Come ho detto prima, la Libia è sostanzialmente divisa in due zone: nella zona a ovest (Tripoli) non ci risultano particolari problemi e addirittura quasi tutte le società italiane continuano le loro attività, poiché non ci sono rischi particolari; nella zona a est, invece, i problemi ci sono, ma la situazione è seguita attentamente e siamo in diretto contatto con le principali società.
Sono stati evacuati quasi tutti gli italiani, tranne un centinaio, che hanno chiesto di rimanere, e stiamo procedendo all'evacuazione anche di cittadini europei ed extracomunitari (accennerò poi alla questione degli eritrei). Al riguardo, stiamo negoziando con le autorità cinesi il rimpatrio dei numerosissimi cinesi presenti in Libia. A noi è stato chiesto di occuparci di una quota di circa 6.000 cittadini cinesi, ma sono stati coinvolti anche gli altri Stati europei (Cipro, Grecia), per un totale di oltre 20.000 cinesi presenti. Naturalmente ho risposto in maniera affermativa, ma ho posto come condizione che ci siano dei piani di rimpatrio dei cittadini cinesi, gestiti dalle autorità cinesi, con un numero di voli sufficiente a rimpatriare i cittadini stessi.
Mi è stato garantito che ciò avverrà e, non appena avremo il piano di rimpatrio dei cittadini cinesi dagli aeroporti italiani, procederemo all'evacuazione degli stessi.
Quella degli eritrei è una questione molto delicata che mi è stata sottoposta dal CIR (Consiglio italiano per i rifugiati) e che stiamo valutando: si tratta cioè di procedere al trasferimento in Italia di profughi eritrei presenti lì, già definiti come profughi o ipotizzati come tali, sapendo che se li portiamo in Italia diventano profughi a tutti gli effetti. Stiamo valutando la situazione. Io non sono contrario in linea di principio, trattandosi appunto di una comunità ben precisa, ben individuata, i cui appartenenti certamente hanno i requisiti per essere considerati rifugiati. Se le condizioni, attualmente o nei prossimi giorni, non garantiranno la loro sicurezza, non ho obiezioni a procedere al trasferimento in Italia.


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PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Penso che siamo stati ospitali con i nostri colleghi senatori. Passiamo ora agli interventi dei deputati.

MARGHERITA BONIVER. Naturalmente comincio ringraziando il Ministro Maroni per la sua corretta e cruda esposizione dei fatti, di quello che sta succedendo e di come il Governo si sta attrezzando. Apprezzo moltissimo questo piano per andare incontro all'emergenza ai confini fra Tunisia e Libia, zona dalla quale arrivano immagini francamente molto inquietanti. Oltretutto, rimane irrisolto il motivo per il quale questa massa enorme di persone, quasi tutti lavoratori in Libia, stanno fuggendo da quel territorio.
Chi, in realtà, li perseguita? Non credo che vengano bombardati e forse non sono nemmeno minacciati dai libici. Per quale motivo, allora, c'è stato - e anche con una grande accelerazione - questo esodo immane? Evidentemente questa è la vera e corretta fotografia di quello che sta succedendo in Libia, di cui noi ancora stiamo capendo troppo poco.
L'unica cosa certa è l'instabilità, dunque la possibilità che quel Paese si spacchi in due, ed esiste addirittura l'ipotesi di un ritorno della monarchia. Si parla probabilmente ancora a vanvera di un'ipotesi di esilio per Gheddafi, ma evidentemente se Gheddafi resiste la situazione sarà ancora più complicata. Nel frattempo, come il Governo ha correttamente e con lungimiranza decretato, c'è una vera e propria emergenza umanitaria.
Mi conforta quello che lei dice circa il rapporto con le autorità transitorie tunisine, con le quali evidentemente dobbiamo continuare una piena e solidale collaborazione. Io sono convinta che questo progetto di allestimento di un campo ai confini fra Tunisia e Libia sia il modo migliore e più concreto per dimostrare, da parte italiana, quella vicinanza e quella solidarietà che è nel nostro interesse assicurare a questi Paesi, che sono palesemente in transizione.
So che lei modestamente è stato reticente su quello che potrebbe avvenire un domani proprio con la Libia, ma io apprezzo moltissimo quello che lei fa. Io credo che sia assolutamente necessario - Piano Marshall sì o no - fare in modo che l'Europa e l'Italia colgano questa straordinaria occasione, questo vento di libertà che sta spazzando questi Paesi e, soprattutto, i lati positivi che certamente ci saranno.

MARIO TASSONE. Signor Ministro, ho seguito con molta attenzione la sua informativa, relativa alle sue competenze, rispetto ai fatti che si stanno verificando nel nord Africa.
Sottolineo un dato soprattutto culturale. Siamo partiti con la politica dell'intercettazione, dei respingimenti - mi riferisco alla fase non recente dell'emigrazione proveniente dai Balcani, - e siamo arrivati alla configurazione del reato di clandestinità, al quale ovviamente come gruppo dell'UDC ci siamo opposti. Vorrei evidenziare che noi verifichiamo un suo impegno (cospicuo, a dire la verità) a fronte di un'assenza di una politica e di una strategia complessive. Non parlo soltanto del nostro Paese e non saremmo obiettivi se addossassimo responsabilità esclusive al nostro Governo. Tuttavia, non c'è dubbio che ci sono stati errori di valutazione e affidamenti eccessivi nei confronti di Gheddafi, nella speranza che anche quei Governi autoritari e dittatoriali, sia pure rivestiti di un certo progressismo, potessero controllare l'area, soprattutto con riferimento al fondamentalismo islamico.
Su Frontex ed Europol, signor Ministro, lei sa - ci siamo confrontati in una precedente audizione svolta dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Politiche dell'Unione europea - che non nutro eccessiva fiducia: o cambiamo il sistema oppure Europol e Frontex rimangono solo delle sigle che possono impressionare coloro che non sanno cosa c'è dietro. Occorre un po' di ordine, anche per capire quello che si sta facendo.
Per il resto, mi dicono che il dibattito è stato già affrontato in una trasmissione televisiva, dunque noi ci troviamo a commentare in un momento successivo quanto è stato detto, appunto, in trasmissioni


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televisive. Credo quindi che sia sempre fondamentale dare il nulla osta come Parlamento.

GIORGIO LA MALFA. Ho molto apprezzato la puntualità della relazione del Ministro dell'interno. Svolgerò alcune brevissime considerazioni.
In primo luogo, dai dati che ha riferito oggi, mi sembra che il Ministro valuti la situazione, dal punto di vista quantitativo, in modo leggermente meno allarmante rispetto alle valutazioni dei primi giorni, quando parlava di 300-350.000 possibili arrivi sulle nostre coste da quei Paesi. Le cifre che ha riferito oggi, per quanto preoccupanti, mi sembrano meno gravi.
Signor Ministro, credo che a una domanda del senatore Livi Bacci lei non abbia risposto, ma a mio avviso bisognerebbe farlo. Il senatore osservava che se noi chiediamo all'Europa il burden sharing dei rifugiati rischiamo di dovercene assumere un numero più alto.
Infine, svolgo una considerazione di ordine politico. Condivido la necessità di coinvolgere l'Europa e di aumentarne la sensibilità. Mi limito a osservare che questo è un Governo che, rispetto all'Europa in generale e nell'Europa, ha problemi di credibilità molto forti - lo rilevo con dolore - e dunque non possiamo aspettarci dall'Europa una forte considerazione delle nostre esigenze, con una condizione governativa così debole come la nostra.
Mi rendo conto che questo esula dal tema odierno, ma è una valutazione che mi sento di fare.

ROBERTO ZACCARIA. Dei tre profili che si incrociano nella relazione del Ministro, vale a dire politica estera, immigrazione e sicurezza, affronto gli ultimi due. Del resto, il Ministro stesso ha anticipato che si sarebbe soffermato prevalentemente su questi aspetti.
Anch'io apprezzo il taglio dell'intervento del Ministro, ma devo dire - è già emerso da alcuni interventi - che ci sono tre grandi temi sullo sfondo, ossia i respingimenti, la politica dei flussi e il reato di immigrazione clandestina, che, di fronte alla dimensione dell'attuale emergenza, possono apparire più contenuti, ma non lo sono.
Peraltro, signor Ministro, noi, come gruppo del Partito democratico, abbiamo criticato non tanto i respingimenti, ma le modalità degli stessi; abbiamo svolto al riguardo anche interventi parlamentari e presentato mozioni. Per quanto riguarda la politica dei flussi, abbiamo presentato una risoluzione perché non viene più attuata una programmazione né triennale né annuale dei flussi, e la materia è governata in maniera non chiaramente decifrabile. Infine, il reato di immigrazione clandestina, come gli altri, è stato oggetto di politiche propagandistiche che hanno certamente nociuto a questa materia.
Voglio dire con chiarezza che se si correggessero seriamente questi tre nodi, che nel suo intervento odierno appaiono ovviamente molto sfumati, che noi consideriamo importanti, credo che potremmo fare un lavoro comune di fronte all'emergenza che ha il perimetro che lei ha tratteggiato.
Condivido molte delle considerazioni del senatore Livi Bacci, una delle quali è stata ripresa dall'onorevole La Malfa, su cui lei credo risponderà.
Quando affrontammo il tema di Frontex, nella sua audizione presso le Commissioni affari costituzionali e politiche comunitarie, le dissi che mi pareva giusto puntare a centri europei di identificazione. Certamente sarebbe ancora più opportuno realizzarli sul posto, ma comunque agli ingressi d'Europa - dalla Grecia a Malta all'Italia e alla Spagna - bisognerebbe organizzare dei centri europei, anche se localizzati nel nostro territorio. Lei disse, all'epoca, che si trattava di un'idea utopistica, ma che su di essa si poteva riflettere. Io continuo a crederci. I suoi accenni a Frontex e alla sua trasformazione mi confermano che questa è una linea possibile.
Certamente, in quella chiave bisognerà anche rivedere i princìpi di Dublino. Credo, però, che il Parlamento europeo abbia cominciato a riflettere sull'argomento. È più semplice trovare un sito europeo di accoglienza che non un sito nucleare, dunque io lavorerei in questa direzione, che mi pare molto costruttiva.


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MARCO ZACCHERA. La Libia ha molti beni in Italia, diretti e indiretti, non soltanto legati alla famiglia Gheddafi, ma anche in termini di investimenti. Il Governo pensa non soltanto, in questo momento, di tenerli bloccati, ma anche di attaccarli (non dico in conto spese, ma questo è il significato)? Si tratta, infatti, di beni che possono anche sostenere una parte delle spese, come il Ministro ha giustamente osservato che dobbiamo fare.

FERDINANDO ADORNATO. Svolgerò alcune brevi osservazioni. Come lei sa, signor Ministro, nell'ambito di un giudizio complessivamente negativo sul Governo, noi apprezziamo il suo modo di lavorare, che consente anche un dialogo proficuo, e non soltanto formale. Da questo punto di vista, plaudiamo all'iniziativa, assunta giustamente e potremmo dire in «contropiede», che dà un certo smalto all'azione generale del governo del Paese.
Non condividiamo, invece, il tono - non la riguarda solo come Ministro, ma come Governo nel suo insieme - complessivamente rivendicativo e lamentoso dell'Italia nei confronti dell'Unione europea. Dico questo non perché non sia giusto pretendere quello che lei ha detto in diverse occasioni, ma perché, secondo noi, la questione richiede un duplice sguardo: il primo è uno sguardo di emergenza - e su questo non ci sono obiezioni da fare rispetto a quanto è stato detto - mentre l'altro però è uno sguardo di visione. Il punto che noi porremmo all'Unione europea (non solo come Italia, ma come Paesi dell'area euro mediterranea, come lei l'ha definita) è quello dell'assenza totale di una politica per il Mediterraneo da parte dell'Unione europea. Questo è il punto vero, direi oscenamente vero se pensiamo al futuro e agli sbocchi possibili che la situazione attuale può avere e se pensiamo al fatto che gli Stati Uniti ci sono, che Obama, col discorso del Cairo, secondo molti analisti ha incoraggiato quello che si è si è determinato, mentre l'Europa è muta e assente, quasi pensando che il Mediterraneo non le appartenga.
Da questo punto di vista, la inviterei a considerare se alcune delle culture o delle ideologie che sono circolate anche in Italia negli ultimi decenni non abbiano favorito questa sensazione che la parte sud dell'Europa fosse da abbandonare. Si tratta di una grande questione che riguarda il futuro del ventunesimo secolo.
Infine, noi insistiamo - anche questo non riguarda lei in prima persona - in ogni occasione perché il Governo e il Parlamento assumano politicamente l'iniziativa della revoca del Trattato di amicizia con la Libia. Non siamo così sprovveduti da non capire che in una situazione del genere non è operativo, ma in politica estera conta il diritto, non il fatto. Questo Trattato esiste e va revocato.
A mio avviso, coloro che pensano che da questa vicenda possa sorgere una storia ancora più negativa, con riferimento al fondamentalismo islamico, come ipotesi del futuro e dello sviluppo di questi Paesi - io non sono tra questi e, non avendo la palla di vetro, non vedo perché vivere con preoccupazione ora un grande movimento di popolo che chiede democrazia - a maggior ragione dovrebbero essere favorevoli a una revoca del Trattato. Se, infatti, i nuovi poteri di quell'area corrispondessero a queste fosche previsioni, il Trattato risulterebbe operativo. L'Italia oggi ha una sola strada: non quella di approfittare del fatto che tanto nessuno se ne accorge, al solito, ma quella di andare in Parlamento e di revocare il Trattato di amicizia con la Libia.

FIAMMA NIRENSTEIN. La ringrazio, signor Ministro, per la relazione estremamente «energetica», pratica, piena di idee e di un afflato ideale che ho particolarmente apprezzato.
Vorrei fare una considerazione pratica e una teorica. La considerazione pratica ricalca quella espressa dalla collega Margherita Boniver, come al solito molto acuta: le spaventevoli immagini che ci arrivano dal confine fra la Tunisia e la Libia dipendono dal fatto che ancora non si sa che cosa succederà con Gheddafi.
La risposta è molto semplice. Gheddafi è ben asserragliato in una fortezza e circondato


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da armati. È stata reperita ieri - la notizia è uscita sul Guardian - una quantità gigantesca di gas mostarda che era stata accumulata nel deserto. I suoi aerei ancora si sollevano in volo; ieri io stessa ho sentito le registrazioni delle torri di controllo. Gheddafi può, quindi, avvelenare ancora una grande quantità di suoi concittadini. La situazione è terribile e, mentre Hillary Clinton sostiene che siamo pronti a qualsiasi evenienza, ciò non si concretizza in una soluzione in vista. Mi domando se sia in vista agli occhi del Ministro.
Svolgo ora una considerazione di carattere teorico. Siamo di fronte a una rivoluzione epocale, gigantesca. Rispetto agli sbarchi, possiamo effettuare tutte le previsioni che vogliamo sui numeri, ma in realtà non sappiamo in quanti sbarcheranno, non ne abbiamo un'idea. Può benissimo esserci una limitazione dovuta a contingenze geopolitiche che ancora non sono in vista, così come invece può succedere che le cateratte si aprano completamente e che veniamo sommersi. Sono valide entrambe le ipotesi.
D'altra parte, noi non abbiamo una bussola di riferimento rispetto ai Paesi di provenienza. È la prima volta nella storia che capita: con chi parliamo, con chi trattiamo i rientri, quali sono i nostri interlocutori in questo momento?
L'unica possibilità che abbiamo è quella di trasformare il rischio in opportunità, come sempre succede nei periodi di crisi, sia nella vita, sia nella politica. Quando si è in una situazione di crisi, si cerca di trasformarla in un'opportunità, il che significa chiarire meglio le condizioni e non tanto le sanzioni che noi poniamo a questi Paesi.
Ho visto un magnifico decalogo di Tarek Heggy, una delle personalità più significative fra i rivoluzionari egiziani, il quale afferma che il suo Paese dovrà essere di nuovo preso in considerazione in base a determinate condizioni, tra cui sono comprese la condizione di vita delle donne, la maniera di trattare i dissidenti e la libertà di stampa. Anche noi dobbiamo cominciare a pensare in termini di condizioni e non di sanzioni, il che restituirebbe anche senso di identità e forza al nostro rapporto con l'Europa.
Quanto all'immigrazione possiamo benissimo proporci, in un momento così difficile, un migliore screening dell'immigrazione. È vero, abbiamo già tanti sistemi, ma questo screening prima di tutto deve essere dentro di noi. Quanto questi immigrati sono pronti veramente ad accettare il rapporto con noi? A me viene sempre in mente un dato: a Parigi ci sono 200.000 persone che vivono in famiglie poligamiche. È un dato che non mi esce dalla mente ed è questo il vero rischio dell'immigrazione. Gli altri sono tutti problemi che possiamo affrontare.

MATTEO MECACCI. Sarò breve sul punto dell'immigrazione clandestina, come l'ha definita lei, Ministro. Dai dati che lei ci ha fornito, in particolare sugli immigrati che sono arrivati in Italia nel 2009, soprattutto dalla Libia, risulta che la gran parte erano provenienti da Paesi dell'Africa subsahariana. Si tratta, cioè, persone che godono, ai sensi della nostra legge di diritto internazionale, del diritto d'asilo. Queste persone, che poi noi nel 2009 e 2010 abbiamo iniziato a respingere, avevano quanto meno la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale nel nostro Paese.
Siamo ora in una situazione in cui arrivano i tunisini, che evidentemente sono in una condizione molto diversa da quella dei rifugiati che arrivano dall'Eritrea, dal Darfur o dal Congo, i quali giustamente vengono accolti e per i quali vengono espletate le procedure per valutare l'esistenza o meno dei requisiti necessari. Mi auguro che ciò significhi che la politica dei respingimenti indiscriminati in mare sia messa tra parentesi.
Abbiamo svolto un dibattito in Parlamento in cui il Governo è stato battuto su una mozione che chiedeva proprio alle autorità italiane di sospendere i respingimenti fino a che non ci fossero garanzie in Libia del minimo rispetto di condizioni umane e di rapporti con l'UNHCR. Spero, dunque, che questo aspetto sia messo tra parentesi.
L'altra questione è di carattere più generale e politico. Ministro, lei, come altri ministri, ha dato l'idea in questa informativa


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di un sostanziale isolamento dell'Italia a livello internazionale, in sede europea e di Nazioni Unite, dove le sanzioni citate sono state prese nel giro di dieci giorni con una decisione unanime del Consiglio di sicurezza dell'ONU, il che non è mai accaduto, nonché con la decisione di deferire Gheddafi e le autorità libiche alla Corte penale internazionale. Ricordo, tra parentesi, come lei sa benissimo, che in Italia non disponiamo ancora delle norme interne per cooperare con la Corte penale internazionale, il che assume un chiaro significato politico di disponibilità a Gheddafi, ad Al-Bashir e ad altri, ma non mi soffermo su quest'aspetto.
Voglio semplicemente rilevare che, se un giorno si dichiara la necessità di avere il Piano Marshall e il giorno dopo si afferma che l'Unione europea non deve ingerire negli affari interni della Libia perché se ne deve occupare Gheddafi, è difficile andare in sede di Unione europea e sostenere le posizioni che lei giustamente ha esposto e che sono iniziative politiche importanti.
Esse comportano, peraltro, le conseguenze che anche il senatore Livi Bacci ricordava. L'Italia non è un Paese che in questo momento si fa carico all'interno dell'Unione europea della gran parte dei rifugiati politici. Soprattutto, come lei ricordava, se siamo di fronte a eventi paragonabili a quelli del 1989, dei 900.000 che arrivarono nei Paesi europei dall'Est Europa e da altri Paesi, dobbiamo chiederci: quanti arrivarono in Italia? Di quanti si presero carico i tedeschi e gli altri Paesi europei? Cerchiamo di tenere in considerazione tutto e di evitare atteggiamenti di ostilità verso le istituzioni internazionali che poi ci portano solo danni.

CLAUDIO D'AMICO. Ringrazio il Ministro per la sua presenza ed esprimo totale apprezzamento e sostegno alle misure che sta adottando e alla linea che sta seguendo. Stiamo dimostrando che il nostro Paese non si comporta come uno struzzo, che di fronte ai problemi mette la testa sotto terra, ma interviene. È giusto intervenire anche con la missione in loco; è importante esserci, anche autonomamente, se le altre istituzioni di cui noi facciamo parte sono inefficienti o latitanti.
Mi riferisco in modo particolare all'Unione europea, ma non solo, perché noi facciamo parte anche di altre organizzazioni, come l'OSCE, che in passato ha dato indicazioni su alcuni dei temi in discussione adesso e che sarebbe utile far intervenire anche ora.
Volevo sottolineare anche alcuni aspetti che sono stati toccati da numerosi colleghi sui rimpatri, sui respingimenti, quando possibile, e sul reato di immigrazione clandestina. Volevo rivolgere il mio apprezzamento alla politica dei rimpatri e dei respingimenti, quando possibile ovviamente, nonché al reato di immigrazione clandestina, che abbiamo introdotto e che serve molto anche come monito per chi vuole immigrare clandestinamente, affinché sappia che in Italia non ci sono le porte aperte. È importante dare un segnale nei confronti di coloro che possono entrare in Italia come clandestini. Do, quindi, un grande sostegno alle iniziative che si stanno conducendo.
Per concludere, vorrei toccare due punti. Sul burden sharing bisogna insistere e ampliarlo. Non limitiamoci solo all'Unione europea. Come ho ricordato prima, facciamo parte di numerosi organismi, tra i quali l'OSCE. Voglio leggere proprio una risoluzione dell'OSCE approvata all'Assemblea parlamentare lo scorso anno, una piccola frase che il Ministro conosce, a testimonianza dell'operato degli organismi sovranazionali: «L'Assemblea parlamentare dell'OSCE ha approvato all'unanimità e ha invitato gli Stati partecipanti all'OSCE a negoziare gli uni con gli altri accordi e procedure che consentano una condivisione più equa del flusso di rifugiati che sono stati o che saranno accolti, anche tenendo presenti criteri quali la prossimità geografica, la vicinanza culturale al Paese di origine e la densità di popolazione del Paese di destinazione, in modo da garantire le migliori prospettive di vita a tutti, compresa la popolazione dei Paesi ospitanti, nonché la possibilità per i richiedenti asilo e per i rifugiati di riprendere la loro vita e di ritornare in patria,


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al centro del proprio contesto sociale e culturale, il prima possibile, una volta che sia cessato ogni pericolo».
Su questo punto penso che si potrebbe iniziare a sentire anche Paesi non dell'Unione europea, ma dell'OSCE, come la Turchia, che è un Paese musulmano. Per il citato concetto di prossimità culturale, si potrebbe chiedere a qualcuno degli eventuali profughi che dovessero arrivare e a cui venisse accordato il diritto di protezione di essere ospitato da Stati come la Turchia.

MARIO BARBI. Signor Ministro, mi risparmio i riferimenti polemici alle politiche del passato, al reato di immigrazione clandestina e ai respingimenti effettuati talvolta con disinvoltura. Apprezzo, invece, che il Governo si accinga a fronteggiare una situazione di cui non abbiamo la possibilità di prevedere effettivamente dimensioni e ampiezza, in relazione ai movimenti di popolazione e agli arrivi sul nostro territorio, collegati alle vicende di grande rilievo in corso nei Paesi della costa sud del Mediterraneo.
È certamente una notizia importante quella che lei ci fornisce sulla missione umanitaria in Tunisia. In merito le chiederei di darci anche alcuni elementi di informazione in più: che ampiezza e che entità avrà e quale impegno comporterà, sia in termini di risorse umane, sia in termini finanziari? Questo è il primo punto.
In riferimento a questa missione e alle considerazioni che lei ha svolto relative alla comunità internazionale e all'Unione europea, lei ci ha parlato di un'iniziativa, che lei stesso ha assunto, con i Paesi dell'Unione europea rivieraschi del Mediterraneo e dei punti messi nell'occasione per iscritto con richieste rivolte all'Unione europea.
In relazione a tale iniziativa, anche questa a mio avviso molto appropriata, vorrei chiederle quale seguito pensa di darle e se essa possa assumere anche i caratteri propri di forme previste dal trattato. Penso alla cooperazione rafforzata. Non ho il trattato sotto gli occhi, ma è certamente una dimensione che merita di essere sviluppata e alla quale occorrerebbe dare un rilievo e una prospettiva, in cui il nostro Paese, indipendentemente dal grado di autorevolezza del nostro Governo, sul quale effettivamente oggi si può discutere, meriterebbe di svolgere un ruolo propositivo e attivo.
Sempre in collegamento alla questione internazionale, penso alla vicenda del coinvolgimento delle Nazioni Unite sul piano umanitario: che cosa stiamo facendo, che cosa pensiamo di fare?
Svolgo due ultime osservazioni. Si è fatto riferimento alle vicende in corso nell'Africa settentrionale come al 1989 del Mediterraneo. Non credo che il paragone sia molto sensato. Quando caddero il muro di Berlino e i regimi comunisti dell'Europa dell'est, crollò un sistema che aveva altri presupposti e altre ambizioni. Non è la sede giusta su cui ragionare di questo tema, ma mi pare che il paragone non abbia molto senso.
A proposito del trattato con la Libia, vorrei fare un'osservazione: mi pare che, tanto più dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza, se qualcuno ha violato quel trattato, siano proprio il Governo libico e il leader della rivoluzione Gheddafi, il quale ha violato l'articolo 6 del trattato medesimo. Giustamente noi possiamo e dobbiamo denunciare tale trattato, nel senso di chiederne la sospensione e non la revoca, ai sensi della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, la quale, all'articolo 60, prevede proprio questa eventualità.

LAPO PISTELLI. Signor Ministro, ho apprezzato molto il tono del suo intervento di stamattina e le voglio segnalare soltanto un paio di note «a piè di pagina», anche perché mi riconosco largamente nelle domande già poste dai colleghi.
Proprio perché dobbiamo uscire, come il Ministro Frattini ha proposto e chiesto in Parlamento, da una gestione «propagandistica» di una vicenda storica molto seria, la inviterei a verificare ciò che stanno scrivendo in questi minuti i giornali online su questa audizione. A fronte del suo tono moderato, che ho ascoltato con le mie orecchie, i titoli che emergono sono i seguenti: «rischio Somalia», «rischio


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Afghanistan», «200.000 in arrivo». Il tono diventa un altro. Questo dimostra quanto sia importante gestire con cautela numeri e messaggi. Esiste un'abitudine ad ascoltare un dato tipo di messaggi, che evidentemente si fa fatica a cambiare.
Lo preciso con riferimento a due considerazioni, una specifica e una generale. Quella specifica riguarda i numeri. Ho preso appunti sulle cifre che lei ha citato, la valutazione di 100.000 persone dell'intelligence, di 140.000 dell'UNHCR, di 60.000 e 60.000 alle due frontiere. Esiste un collegamento, che mi permetto di chiamare «magico», che io non ho colto, nel momento in cui lei sostiene che, per effetto di quanto potrebbe succedere, potrebbe esserci un esodo verso nord e la cifra diventerebbe di 200.000.
Non ci stiamo giocando ovviamente al lotto questi numeri, però uno dei motivi per i quali non regge il paragone con il 1989 sta nella differenza fra una migrazione via terra e una via mare: 200.000 persone non viaggiano sui canotti, ci vuole la quinta flotta americana per portarle, e soprattutto non si riesce a capire come quelle persone, come lei le ha giustamente raccontate e così come le vediamo con i nostri occhi, senza mezzi, senza denaro, spogliate dalla polizia o dall'esercito, in emergenza umanitaria potrebbero comodamente avventurarsi all'attraversamento del mare.
Lo rilevo giusto per avere una commisurazione fra i messaggi che inviamo fuori e quelli che ci scambiamo. Le chiedo se potesse approfondire il tema, se ci sono elementi, altrimenti diventa un'altra cifra un po' «scatenata»: noi approntiamo un piano per 10.000 persone, lei ci comunica che chi arriva intende ricongiungersi anche in Francia e in Germania e poi a un dato punto spunta questo numero angosciante, perché 200.000 persone sarebbero effettivamente una vera e propria emergenza.
La seconda considerazione di carattere generale, invece, è relativa al Piano Marshall. Non spariamo sulla Croce rossa e, quindi, evitiamo le ironie sull'ennesimo Piano Marshall, che è come il Piano casa. È stato annunciato per ogni parte del mondo. Se il povero Marshall fosse vivo e chiedesse i diritti d'autore, sarebbe ricchissimo.
Mi limito a una considerazione. Condividiamo con forza, perché la geografia aiuta innanzitutto per fare politica estera, il fatto che il Mediterraneo sia la porta sud dell'Europa. Sul Mediterraneo ci siamo prevalentemente non baloccati, ma organizzati con una discussione di carattere istituzionale: l'Europartenariato, Barcellona, il blocco del processo di pace israelo-palestinese, la politica di vicinato, l'Unione per il Mediterraneo, tutta una visione architettonica istituzionale. Il tema vero per un Piano Marshall, ma anche per un Piano Maroni o Frattini, possiamo chiamarlo come vogliamo, è quello di offrire concretamente non soltanto piattaforme di dialogo, ma anche strumenti per cambiare i sistemi-Paese, come abbiamo fatto, in quel caso, dopo il 1989 nell'Est europeo.
Numericamente ormai oltre l'80 per cento degli assi di aiuto che a diverso titolo l'Europa rivolge all'esterno vanno sulla frontiera orientale, non più sul sud. È difficile che siano Copenaghen, Riga, Vilnius o Varsavia a chiedere una politica per il Mediterraneo. Se non lo fanno Roma, Madrid e Parigi, difficilmente in sede europea tale politica sarà intrapresa.
Tutto ciò ci riporta a un tema, che però lascio sullo sfondo. Sono contento anch'io nel dare il benvenuto al Ministro Maroni nel club degli europeisti. È ovvio, però, che, se per 360 giorni l'anno ci si lamenta dell'Europa, è un po' complicato poi che negli ultimi cinque giorni essa scopra il Mediterraneo e noi. Anche in questo caso occorre un po' di coerenza nei messaggi.
Ministro, l'inviterei, per la parte che lei può avere, ma soprattutto invito il Ministro degli affari esteri, a lavorare affinché non ci sia soltanto la gestione dell'emergenza, che comunque è necessaria, ma proprio una virata strutturale dell'Europa sui propri assi di intervento, che muova dall'oriente verso il sud. Huntington o non Huntington, è questa una delle faglie sulle quali si gioca la politica dei prossimi decenni.


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PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Maroni per la replica.

ROBERTO MARONI, Ministro dell'interno. Vi ringrazio per gli interventi, i commenti, le critiche e le sollecitazioni. Cercherò di rispondere a tutte quelle che sono state avanzate, cominciando da quelle poste dall'onorevole Boniver che sollecita l'Italia e l'Europa a cogliere l'occasione di un intervento che non sia solo per l'emergenza umanitaria. È un intervento che anch'io ritengo necessario - condivido in pieno questa richiesta - perché stiamo parlando di un'area che si trova a pochi chilometri dalle nostre coste.
Il Maghreb è la parte sud del Mediterraneo e ha con l'Europa un rapporto quotidiano, la maggior parte del quale passa dall'Italia, quindi è interesse principalmente del Governo italiano ma del Paese Italia e dell'Europa cogliere l'occasione di ciò che sta avvenendo non per interferire negli affari interni dei Paesi, ma per fare in modo che questi Paesi si dotino di Governi non ostili, anzi auspicabilmente amici e collaborativi.
Il rischio che si formino Governi e istituzioni ostili c'è, così come il rischio evidenziato dall'onorevole Tassone del fondamentalismo islamico. Non ho approfondito questo tema non perché lo consideri minore, ma perché non ho elementi sufficienti per fare il quadro della situazione. Abbiamo segnali sia preoccupanti, sia incoraggianti al riguardo che si basano però su dichiarazioni fatte dall'una e dall'altra parte.
Come ho detto nella mia relazione, rimango convinto che una situazione di permanente instabilità come in Libia, di transizione come in Egitto e di scarso controllo come in Tunisia, di fronte a un'Europa che minaccia solo sanzioni esponga al rischio che si aprano spazi forse non per le organizzazioni terroristiche, ma certamente per chi rappresenta il fondamentalismo islamico ed è fortemente presente in quell'area, pensiamo ai fratelli musulmani.
Questa mia valutazione rafforza l'impegno che l'Italia e l'Europa devono esprimere. L'Italia ha un ruolo fondamentale perché può essere capofila di un'iniziativa internazionale e in particolare europea, e la missione umanitaria che abbiamo deciso va esattamente in questa direzione. Abbiamo mostrato che cosa deve fare la comunità internazionale oltre che minacciare sanzioni: deve intervenire per mostrare l'aspetto di amicizia a questi cittadini, a questi popoli in fuga da scenari di guerra, e dimostrarsi pronta a intervenire per sostenerli.
L'onorevole La Malfa pone la questione che il burden sharing possa penalizzarci. Non so se ci penalizzi perché non ho fatto calcoli su vantaggi o svantaggi, ma ritengo che il sistema europeo comune di asilo sia un fatto di civiltà e che l'Europa non possa essere Unione europea e avere ventisette sistemi diversi che impediscono a un rifugiato di andare dall'Italia in Svezia o viceversa, ricongiungendosi con la sua comunità.
Non è un problema di numeri o di costo economico, anche se c'è anche quell'aspetto, che però considero la preoccupazione minore. Credo che l'Europa debba dare questo segnale. Peraltro il sistema europeo di asilo è previsto nel programma di Stoccolma ed è prevista anche la data entro cui deve essere approvato, ovvero il 2012.
Siamo ben lontani da questo per i veti che ho elencato, ma la ratio, oltre all'attuazione del principio di sussidiarietà e di solidarietà a vantaggio dei rifugiati in primo luogo, è che in caso di emergenza, in caso di crisi umanitaria, gli Stati che subiscono questa crisi debbano essere aiutati dagli altri Paesi.
Penso all'Italia e soprattutto ai piccoli Paesi come Malta che non sono in grado di reggere flussi così rilevanti. È stato fatto un passo in avanti piccolo ma significativo grazie all'iniziativa dei Paesi del Mediterraneo guidati dall'Italia ovvero Cipro, Grecia e Malta, che un anno e mezzo fa chiesero l'attuazione del principio del burden sharing con la conseguenza che nel programma di Stoccolma per la prima volta si parla di Mediterraneo dal punto di vista della sicurezza, cosa mai avvenuta prima, dell'immigrazione clandestina, del rischio terrorismo, e si attua il principio del burden sharing anche se su base volontaria.


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È meglio che niente anche se non è sufficiente. L'unica applicazione concreta e completa è stata il trasferimento di settanta rifugiati da Malta in Germania. Credo che questa sia una richiesta giusta, che interviene nei momenti di difficoltà, di crisi, di emergenza e attua un principio di solidarietà che è uno dei princìpi fondamentali del sistema sociale europeo. Non vedo francamente obiezioni per cui alla libera circolazione di uomini, di cittadini e di merci si debba derogare in caso di rifugiati, cosicché non possano liberamente circolare neanche nell'area Schengen.
L'onorevole La Malfa e altri intervenuti hanno parlato del rapporto tra il Governo e l'Europa e della scarsa credibilità del Governo. Ciascuno è libero di fare ovviamente la valutazione che ritiene, ma dal mio punto di vista di Ministro dell'interno devo dire che questa credibilità non solo c'è, ma è stata rafforzata proprio in seguito a questa crisi.
Ho ricordato che il 25 febbraio c'è stato il Consiglio giustizia e affari interni (GAI). Dodici giorni prima del Consiglio GAI chiesi di mettere all'ordine del giorno la crisi nel nord Africa ma la presidenza di turno mi rispose che non era possibile metterlo all'ordine del giorno perché le regole europee prevedono che questo si faccia quindici giorni prima del Consiglio. Siamo però riusciti a ottenere la discussione durante la colazione dei Ministri perché l'agenda era già chiusa.
Il giorno prima ho riunito a Roma i Ministri dell'interno di Spagna, Francia, Grecia, Cipro e Malta che sono venuti perché hanno ritenuto importante e utile questa iniziativa del Governo italiano e del Ministro dell'interno italiano. Alcuni di questi Ministri disattendono spesso i meeting internazionali in cui trovo spesso i sottosegretari, ma in quest'occasione hanno voluto partecipare di persona, consapevoli della gravità di quanto sta avvenendo o rischia di avvenire.
Qui infatti non abbiamo parlato di Algeria e di Marocco perché la situazione sembra essere sotto controllo, ma «la situazione è sotto controllo» sono le parole che pronunciò il Ministro dell'interno libico venuto in Italia alla Conferenza euromediterranea di Napoli l'8 febbraio quando gli chiesi come andasse in Libia, e tre giorni dopo è scappato a Bengasi. La preoccupazione c'è.
Questa è la strada che vogliamo seguire. Abbiamo costituito questo gruppo permanente non limitato all'occasione del 23 febbraio, ma realizzando un coordinamento e un collegamento tra i Ministeri di questi sei Paesi per monitorare la situazione e scambiarci informazioni. Faremo una nuova riunione entro la fine del mese di marzo o i primi del mese di aprile a Cipro, ed è il faro acceso su ciò che avviene nel Mediterraneo nell'interesse non solo nostro, ma di tutti i Paesi europei. Questa nostra vocazione, questa nostra iniziativa è stata discussa e approvata nell'ambito del Consiglio dei Ministri dell'interno del 24 febbraio. Tutto ciò è avvenuto anche, a mio avviso, grazie alla credibilità che il Governo italiano ha a livello europeo.
L'onorevole Zaccaria ha affrontato il tema dei respingimenti, dei flussi e del reato di immigrazione clandestina. Come ho detto nella mia relazione, la parte relativa all'immigrazione clandestina è importante, ma non è quella che mi preoccupa di più.
La combinazione di queste e di altre misure ci ha consentito di ridurre da 37.000 a poco meno di 4.000 gli sbarchi e gli ingressi clandestini nel corso del 2010, per cui credo che questi strumenti abbiano avuto un'utilità.
Esiste anche il problema dei cosiddetti overstayer, coloro che entrano regolarmente attraverso gli aeroporti e poi si trattengono oltre il periodo loro consentito, ma questa è un'altra questione.
Per quanto riguarda i respingimenti continuo a ritenere che l'azione che abbiamo messo in atto sia assolutamente conforme a tutti i trattati internazionali e alle direttive. Le nostre azioni sono state valutate anche dalla magistratura italiana, che ha aperto inchieste che non hanno portato a conclusioni per noi negative. Sono state aperte valutazioni nei vari consessi europei, ma non mi risulta


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ad oggi che ci sia una posizione di censura consistente da parte degli organismi preposti.
Ricordo che i cosiddetti respingimenti si svolgono sempre e comunque nel rispetto delle norme internazionali, che prevedono che il Paese da cui il barcone è partito s'incarichi di riportarli. Questo è avvenuto anche prima del 2009 e adesso con la Tunisia perché circa seicento cittadini tunisini partiti sono stati ripresi dalle autorità tunisine. Trattandosi di un'azione conforme a tutti i trattati internazionali, non vedo perché si debba interrompere o correggere questa impostazione.
Sul reato di immigrazione clandestina c'è un dibattito ancora in corso, che deve essere e sarà aggiornato su mia iniziativa nel Governo con un provvedimento specifico a seguito dell'entrata in vigore della direttiva europea n. 115 del 24 dicembre 2010, a seguito della sentenza della Corte costituzionale che stabilisce limitazioni non all'ingresso clandestino, ma al mancato temperamento dell'ordine, e di altre sentenze di altri organi che danno un'interpretazione che credo debba essere legittimamente corretta. Come ho già annunciato, su questo fronte ci sarà un'iniziativa del Governo.
Condivido la richiesta di centri europei di accoglienza, di cui avevamo già discusso con l'onorevole Zaccaria e che credo Frontex debba e possa fare, scegliendo l'ubicazione. Questo concorso europeo alla gestione dell'immigrazione oggi non si realizza probabilmente perché la competenza è lasciata agli Stati membri. Uno sforzo ulteriore appare però necessario e spero che questa emergenza umanitaria possa consentire all'Europa di spingersi in questa direzione.
Rispondo ora alle sollecitazioni avanzate dall'onorevole Zacchera. La Libia ha beni in Italia che sono principalmente partecipazioni azionarie in società e in gruppi. Ne stavamo discutendo ieri sera, ma credo che il Governo non possa intervenire bloccando le partecipazioni azionarie. Non mi compete ma so che ci sono valutazioni in corso perché altri Paesi hanno preso iniziative di congelamento, ma congelare i conti correnti e i depositi bancari è diverso dall'essere in presenza di partecipazioni azionarie e penso che la Consob debba esprimere la sua opinione in merito.
Condivido tutte le considerazioni dell'onorevole Adornato tranne l'accusa di aver usato un tono lamentoso nei confronti dell'Unione europea. Noi abbiamo posto delle questioni e ho scritto una lettera avanzando richieste per otto azioni sulle quali l'Europa non ha ancora risposto.
Lamento quindi il fatto che l'Unione europea, la Commissione europea, le istituzioni europee non siano in grado di dare una risposta quando c'è un'emergenza. Semplificando ho detto che l'Unione europea non può fare decreti legge e in caso di emergenza occorre adottare un provvedimento d'urgenza; non si può programmare una riunione fra un mese che prenderà decisioni da attuare dopo un altro mese, che forse saranno operative dopo altri tre. Se non si interviene subito, non ha senso.
Abbiamo inviato una missione umanitaria perché il Governo italiano ha deciso rapidamente, mentre l'Europa finora, per bocca di Lady Ashton, ha solo minacciato interventi militari.
Condivido, invece, le altre questioni che ha posto e soprattutto l'intervento dell'Europa non sull'emergenza per cui non ha gli strumenti, ma sulla visione: è lì che dobbiamo investire prendendo spunto da quello che è successo, perché è vero che c'è stata un'assenza della politica europea nel Mediterraneo, ma adesso si sta muovendo qualcosa.
Ho suggerito al Presidente Berlusconi di riprendere la proposta formulata dal Presidente Sarkozy nel gruppo euromediterraneo a livelli di Capi di Stato e di Governo, non solo di Ministri dell'interno, perché sarebbe una risposta adeguata alle sfide che abbiamo di fronte, l'emergenza umanitaria ma soprattutto quello che avverrà nei prossimi decenni. Il sistema istituzionale che si stabilirà nei Paesi del nord Africa dipende evidentemente anche dall'azione o dall'inazione dell'Unione europea e dell'Europa.


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È vero, onorevole Nirenstein, che all'inizio tutti hanno dato per certa la caduta di Gheddafi mentre la realtà è oggi ben diversa perché esiste questa situazione di stallo e nessuno è in grado di prevedere cosa determinerà e quanti rifugiati giungeranno. Frontex ha parlato di 2,5 milioni di clandestini in Libia, ma la Lega araba ha stimato che almeno il 10 per cento dei clandestini in Libia cercherà uno sbocco altrove.
Noi ci basiamo su queste valutazioni anche se mi auguro che non parta nessuno e si ristabiliscano le condizioni perché i lavoratori in Libia possano tornare a lavorare. Oggi però questa condizione non c'è e ammassare 60.000 persone più 60.000 sulla linea di confine senza dare una prospettiva comporta alcuni rischi.
L'onorevole Pistelli chiedeva quante barche possano occorrere: oggi è arrivato un barcone di quindici metri con 370 persone a bordo e in pochi giorni sono arrivati a Lampedusa 57 barconi. Mille di questi barconi con 370 persone a bordo farebbero 370.000, quindi basterebbero 500 barche per trasportare 200.000 profughi.
Ne sono arrivati 57 in una settimana per cui non sottovaluterei il rischio, e proprio perché non lo sottovaluto in Italia abbiamo cominciato a organizzare attraverso le Prefetture un monitoraggio di tutti i siti che potrebbero temporaneamente ospitare un numero elevatissimo di rifugiati e di profughi per essere pronti nella malaugurata ipotesi che succeda quello che non ci auguriamo.
Si può discutere su tutto, ma nel caso di un afflusso massiccio l'Italia deve essere pronta a dare la prima necessaria assistenza chiamando alla solidarietà tutte le regioni. È un monitoraggio preventivo che abbiamo effettuato per evitare di trovarci impreparati, ma naturalmente dobbiamo intraprendere iniziative come la missione umanitaria per prevenire questo fenomeno. Ma se non riusciremo a prevenirlo perché la forza della disperazione sarà tale da produrre un ingentissimo flusso, ci stiamo attrezzando per essere pronti a gestire un'emergenza umanitaria simile a quella che ha gestito la Germania con la caduta del muro di Berlino.
Si possono fare raffronti - e io l'ho fatto - o non essere d'accordo perché i tempi e i motivi sono diversi. Io noto molte similitudini, ma anche una profonda differenza rispetto a ciò che è accaduto allora: al di là dei profughi, quello che riuscì all'Europa fu di esportare gradualmente, con qualche difficoltà, in quei Paesi, il modello occidentale di democrazia (democrazia rappresentativa, elezioni, partiti, Parlamenti e Governi). Qui siamo di fronte a un altro mondo, soprattutto in Libia.
Come ho detto e come sapete, la società libica si basa su un sistema tribale, composto da oltre cento tribù. Non c'è il sistema dei partiti o della rappresentanza come noi la intendiamo. In quel caso, dovremo fare uno sforzo prima di tutto di comprensione di che cosa può succedere, prima di intervenire. In questo, il paragone con la caduta del muro di Berlino viene meno, ma lo scenario cambia in peggio.
Sono totalmente d'accordo - e non potrebbe essere diversamente - con l'onorevole D'Amico e, soprattutto, lo ringrazio per le iniziative che sta prendendo a livello di OSCE, attraverso le proposte che ha avanzato e che sono state adottate e approvate. Questo è un fatto importante, perché nasce una dimensione che va oltre l'Unione europea e coinvolge Paesi che sono interessati a queste vicende fuori dall'Unione stessa.
La Turchia, a cui si è fatto riferimento, è un Paese chiave da tanti punti di vista, compreso quello del contrasto all'immigrazione clandestina, perché da lì passano flussi importanti verso l'Europa. L'aspetto singolare è che questi flussi non si fermano in Grecia, pur essendo i due Paesi contigui, ma proseguono a volte verso l'Italia, perché arrivare in Grecia non vuol dire arrivare in Europa, pur essendo la Grecia nell'area Schengen. Per andare negli altri Paesi, infatti, queste persone dovrebbero arrivare in Grecia, uscire dall'Europa e rientrarvi, quindi preferiscono arrivare direttamente in Italia.


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La questione turca, quindi, interessa direttamente l'Italia e non solo la Grecia. La Commissione europea sta negoziando un accordo bilaterale - è il primo - tra Unione europea e Turchia, anche riguardo ai rimpatri dei cittadini extracomunitari non turchi, che partono dalla Turchia. La Turchia subordina questo accordo ad aperture sul suo ingresso in Europa.
È una questione molto seria e delicata che per ora è nella fase di stallo.
Infine, onorevole Barbi, per quanto riguarda la missione umanitaria, alle 12,30 si riunisce alla Farnesina il gruppo di lavoro per definirne i dettagli. Ieri sera abbiamo deciso che vi parteciperanno la Croce rossa italiana, la Protezione civile, i Vigili del fuoco, con una dotazione immediata di 5 milioni di euro, ma c'è un fondo a cui si potrà attingere, che sarà naturalmente alimentato con le risorse che saranno necessarie.
Ho parlato ieri con alcuni rappresentanti delle regioni che si riuniscono oggi con il Ministro Fazio, i quali mi hanno segnalato la disponibilità delle regioni a partecipare a questa missione umanitaria sotto l'aspetto che loro interessa di più, quello della gestione della componente sanitaria, della fornitura di medicinali, avendo le regioni competenza pressoché esclusiva su questo punto.
Quanto al coinvolgimento delle Nazioni Unite sul piano umanitario, io me lo auguro. Non possiamo essere noi a obbligare le Nazioni Unite, ma mi auguro che l'iniziativa unilaterale presa dall'Italia stimoli l'intervento di altri Paesi dell'Unione europea e delle Nazioni Unite. Abbiamo fatto da apripista e spero che venga il sostegno di tutte le organizzazioni internazionali.
L'ultimo punto, tra i più delicati, riguarda la revoca del Trattato che è stata chiesta. Io sono interessato, per la funzione che svolgo, più all'altro trattato, quello firmato dal Ministro Amato nel 2007, che prevede il controllo delle frontiere. Questo trattato, di fatto, è inapplicato perché le autorità libiche non fanno più quello che dovevano fare.
Sul Trattato di amicizia, valuto solo che è stato approvato con la legge 6 febbraio 2009, n. 7, che reca, al primo punto: «Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Trattato di amicizia tra Italia e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista fatto a Bengasi il 30 agosto 2008».
Se ci fosse un'iniziativa del Parlamento in questo senso credo che non guasterebbe, ma non voglio esprimere la mia opinione nel merito perché non è un trattato che è stato gestito da chi vi parla. Mi interessa che l'altro trattato, quello bilaterale, rimanga perché il controllo - quando riprenderà e spero che riprenda presto - sulle coste libiche è fondamentale per contrastare l'immigrazione clandestina.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro, per questo preziosissimo contributo ai lavori parlamentari.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,55.

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