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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione II
15.
Mercoledì 25 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3

Audizione del sottosegretario per la giustizia, professor Salvatore Mazzamuto, e del dottor Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia, sull'attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 4 8
Palomba Federico, Presidente ... 10 18 21 22 24 27
Bernardini Rita (PD) ... 19
Birritteri Luigi, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia ... 4 9 12 15 17 18 23 24 25
Brandolini Sandro (PD) ... 23
Calvisi Giulio (PD) ... 24
Cavallaro Mario (PD) ... 16 17
Contento Manlio (PdL) ... 12
Costa Enrico (PdL) ... 9
Ferranti Donatella (PD) ... 22
Mazzamuto Salvatore. Sottosegretario di Stato per la giustizia ... 3 27
Melis Guido (PD) ... 19
Molteni Nicola (LNP) ... 11
Monai Carlo (IdV) ... 14
Napoli Angela (FLpTP) ... 10
Picierno Pina (PD) ... 22
Pugliese Marco (Misto-G.Sud-PPA) ... 20
Ria Lorenzo (UdCpTP) ... 13 22
Rossomando Anna (PD) ... 13
Samperi Marilena (PD) ... 11
Scandroglio Michele (PdL) ... 23
Scelli Maurizio (PdL) ... 15
Tenaglia Lanfranco (PD) ... 8 9
Tidei Pietro (PD) ... 18
Torrisi Salvatore (PdL) ... 21 25
Trappolino Carlo Emanuele (PD) ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 25 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 14,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario per la giustizia, professor Salvatore Mazzamuto, e del dottor Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia, sull'attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del sottosegretario per la giustizia, professor Salvatore Mazzamuto, e del dottor Luigi Birritteri, capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia, sull'attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.
Ricordo che il 23 dicembre scorso, facendo seguito a una richiesta unanime di tutti i rappresentanti dei gruppi in Commissione e di molti deputati appartenenti ai diversi gruppi, ho chiesto al Ministro di essere sentito in merito all'attuazione della delega in materia di geografia giudiziaria, ovvero di delegare un sottosegretario per l'audizione. Più in particolare, come avete potuto leggere nella lettera che, ovviamente anche su vostra richiesta, ho scritto, abbiamo chiesto al Ministro di poter ascoltare anche i membri della commissione ministeriale costituita per l'attuazione della delega.
Prima di dare la parola al sottosegretario Mazzamuto per la sua relazione, preciso ai colleghi che, per evitare che intervengano in sequenza più deputati del medesimo gruppo, darò loro la parola alternando i gruppi, a prescindere dall'ordine di iscrizione, di modo che, alla fine della seduta, avremo ascoltato la voce di ciascun gruppo presente.
Do ora la parola al sottosegretario per la giustizia, Salvatore Mazzamuto.

SALVATORE MAZZAMUTO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Vorrei svolgere solo una breve premessa, per poi cedere la parola al dottor Birritteri.
Questa audizione - vi informo, intanto, che ho concordato un'altra audizione presso la Commissione giustizia del Senato per martedì prossimo alle ore 12 - è stata voluta dal Ministro, d'intesa con la Commissione, per affermare un principio, ovvero che già nella fase di studio e di elaborazione dello schema di attuazione della delega è opportuno un primo confronto, affinché possiamo recepire i vostri


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suggerimenti ed evitare che la Commissione si ritrovi a dover esprimere un parere su un prodotto già confezionato. Resta inteso, tuttavia, che siamo pronti a recepire anche in sede di parere ulteriori determinazioni, sollecitazioni, suggerimenti o critiche che dovessero pervenire da voi. Ci muoviamo, quindi, nel massimo rispetto della Commissione e del suo lavoro, sia nella fase di elaborazione che nella fase di stesura del parere. Qualche giorno fa qualcuno mi ha chiesto se stiamo lavorando nella logica della «scatola chiusa» per poi porre l'alternativa «prendere o lasciare». Ebbene, vi vogliamo rassicurare che non stiamo operando in questa logica.
Cederei dunque la parola al dottor Birritteri, che più di ogni altro, in questo momento, ha l'onere di dedicarsi a questo delicato compito, per una breve relazione che non tolga troppo spazio alle vostre domande.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Birritteri.

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Innanzitutto vi ringrazio di avermi concesso il privilegio di esporre il mio lavoro dinanzi a questa onorevole Commissione. Sintetizzando al massimo le difficoltà e i problemi connessi a un intervento sicuramente epocale e atteso da tanti anni, debbo subito dirvi che, dal punto di vista tecnico, vi sono alcune ragioni che consigliano una riduzione degli uffici di primo grado, in aggiunta alle valutazioni politiche, che peraltro non mi competono, già espresse nella delega assegnata al Governo.
In particolare, una ragione è relativa al numero dei nostri dipendenti, oltre che alla nota situazione delle risorse economico-finanziarie a sostegno della giustizia. Infatti, siamo passati dagli oltre 51.000 dipendenti che, a metà degli anni Novanta, erano al servizio dei circa 7.500 magistrati all'epoca effettivamente operanti sul territorio, a meno di 38.000 risorse umane disponibili, a fronte di un numero crescente di magistrati, considerato che l'organico è salito a 10.151 unità e che vi sono circa 9.000 magistrati attualmente operanti in tutta Italia. Vi sono, quindi, due curve che proseguono verso direttrici diverse. Ciò farà sì che, nel corso dei prossimi anni, a parte la difficoltà economico-finanziaria di gestire i circa 3.000 edifici dove sono allocati i 2.300 uffici giudiziari di cui si compone l'intero panorama nazionale, avremo severissimi problemi a garantire i servizi minimi, se non si implementano le risorse umane. Difatti, con l'attuale ritmo di pensionamento - del resto, sappiamo che a ogni stormir di fronde in materia previdenziale piovono domande di pensione da parte di coloro che hanno già maturato il diritto - siamo arrivati a una media compresa tra i 1.200 e 1.300 pensionamenti all'anno, che ridurrà i dipendenti a 35.000, al termine del blocco delle assunzioni che, nel pubblico impiego, è previsto per il 31 dicembre 2014 (tuttavia, sarei ben facile profeta se prevedessi che, verosimilmente, esso sarà ulteriormente prorogato).
Pertanto, stiamo cercando di recuperare risorse attraverso i bandi di mobilità esterna. In particolare, stiamo lavorando con il Dipartimento della funzione pubblica per essere autorizzati a disporre le mobilità verso il Ministero della giustizia non soltanto dagli altri ministeri (obiettivo che risulta, per molti versi, difficile e improduttivo, perché i flussi e le ambizioni spingono i dipendenti pubblici a migrare dal nord verso il sud, mentre si registrano le maggiori percentuali di scopertura proprio negli uffici del centro-nord). Speriamo, quindi, che il Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione ci autorizzi - in merito a tale aspetto c'è una interlocuzione aperta tra il Ministro della giustizia e il Ministro Patroni Griffi - a spostare presso il Ministero della giustizia dipendenti degli enti locali. Fino ad oggi non è stato possibile effettuare quest'operazione, perché sarebbe costosa per l'amministrazione statale. Infatti, mentre la mobilità da un Ministero a un altro è un'operazione a


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costo zero (perché si spegne una partita stipendiale con un Ministero e la si accende nell'altro), nel caso di trasferimento da enti locali spetterebbe al Ministero assumersi una partita stipendiale. Peraltro, non tutti gli enti locali erano sottoposti al Patto di stabilità e, quindi, questo poteva essere persino un mezzo surrettizio per violare il divieto di assunzioni nel pubblico impiego; infatti, spostando una risorsa del comune verso il Ministero della Giustizia, il comune avrebbe potuto assumerne un'altra, ragion per cui nel comparto del cosiddetto «settore pubblico allargato» si sarebbe arrivati a un aumento di risorse umane, che attualmente non è consentito.
Fatta questa premessa, come sapete, lo schema di decreto legislativo sulla revisione degli uffici del giudice di pace è già stato approvato in prima lettura. I parametri scelti sono riferiti a un bacino di utenza classificato in 100.000 abitanti come unità minima dell'ufficio del giudice di pace e, sulla base dei carichi di lavoro medi di ciascun giudice di pace, si è ottenuto il risultato di eliminare quelli con minore efficienza. L'intervento è stato radicale e molto profondo: su 681 giudici di pace astrattamente sopprimibili abbiamo proposto di sopprimerne 674, lasciandone sopravvivere soltanto 7, oltre ai 165 uffici circondariali.
La ragione per cui abbiamo operato così rapidamente è contenuta nella stessa legge. Devo dire, d'altronde, che abbiamo agito con una rapidità e semplicità straordinaria rispetto all'intervento necessario sui tribunali e sulle sezioni distaccate, che presenta profili di complessità incomparabili con quelli dell'ufficio del giudice di pace. A ogni modo, quando nacque l'idea della delega, si decise di far confluire in una norma dello Stato un'esperienza positiva maturata già da anni presso la regione Trentino-Alto Adige, laddove, sulla base di un accordo stipulato con il Ministero della giustizia, la regione e gli altri enti locali si fanno carico delle spese e del personale degli uffici del giudice di pace: questo meccanismo funziona egregiamente.
L'intervento è stato profondo, perché la legge prevede l'obbligo giuridico della salvezza dell'ufficio del giudice di pace soppresso, a condizione che il comune o il consorzio di comuni interessati - è possibile, infatti, organizzare un consorzio di comuni per riaccorpare o scorporare gli uffici del giudice di pace soppressi - si faccia carico delle spese e del personale. Al Ministero è riservata l'assegnazione del giudice di pace, nonché la formazione, che necessariamente deve essere omogenea, essendo la giustizia un servizio nazionale che non può sopportare disfunzioni dal punto di vista della formazione, dell'organizzazione e dell'uso dei sistemi informatici. La profondità dell'intervento si fondava proprio su questo.
Per quanto riguarda, invece, la soppressione, il riaccorpamento e il riordino dei tribunali e delle sezioni distaccate imposti dalla legge-delega, l'allora Ministro Palma nominò un gruppo di studio, di cui anch'io faccio parte, che, peraltro, si riunirà proprio fra un paio d'ore. Vorrei, tuttavia, tranquillizzarvi sulla missione di questa commissione, che è una struttura meramente consultiva di cui si avvale il Ministro e che ha un mandato preciso, cioè identificare - alla luce dei criteri della delega - il modello del tribunale ideale nel variegato mondo dei tribunali e delle sezioni distaccate. Dopodiché, fatta questa valutazione, il gruppo non ha il compito di formulare alcun elenco dei tribunali che dovranno essere soppressi o meno, né si spingerà a farlo; la commissione, inoltre, non affronterà il tema della valutazione politica in ordine alle esigenze territoriali, alle infiltrazioni della criminalità organizzata, ai profili infrastrutturali e così via. Queste espressioni non sono mie, ma sono contenute nella legge-delega, attraverso la quale saranno elaborati alcuni criteri di base che identificheranno il tribunale ideale.
Se dovessi dire qual è il tribunale ideale dal punto di vista della resa statistica, della bontà e della prevedibilità delle decisioni, potrei subito dire che le statistiche dicono che i migliori risultati si ottengono nei tribunali di medie dimensioni,


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in cui vi è un numero di giudici addetti compreso tra i 30 e i 60. Questi sono, infatti, i tribunali in cui si registrano le migliori statistiche ed i più bassi indici di impugnazione e di riforma delle decisioni, e dove funzionano le sezioni specializzate, che consentono ai giudici di formarsi su un determinato settore e di poter rispondere con una produttività più elevata rispetto a quella del giudice di un piccolo tribunale, dove nella sezione civile, che è promiscua, ci si deve occupare delle successioni, degli appalti pubblici, del lavoro e di altre fattispecie variegate che impediscono, appunto, la specializzazione. Analogamente avviene nel settore penale. Tra l'altro, veniamo dall'esperienza evolutiva, che ha dato ottima prova di sé, delle procure distrettuali antimafia, in cui la struttura investigativa nei confronti della criminalità organizzata dimensionata nelle sedi delle DDA (Direzione distrettuale antimafia), ha dato certamente delle risposte di maggiore efficienza.
Nella Commissione ministeriale sono rappresentate tutte le categorie interessate. Vi sono rappresentanti del DOG (Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi), del DAG (Dipartimento per gli affari di giustizia) e dell'ufficio legislativo, nonché i componenti della magistratura e dell'avvocatura. Su indicazione del presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, è stato infatti designato l'avvocato Conte, che è il presidente del consiglio dell'Ordine di Roma; tuttavia, spesso vi partecipa anche l'avvocato Pompeo, che, per sua delega, è un rappresentante degli ordini minori.
Per dare il senso del tipo di indagine che si sta svolgendo, rendo noto che la commissione ha preso in considerazione, su 165 tribunali, i 103 ai quali, trattandosi di tribunali provinciali, non è possibile apportare alcuna modifica, salvi l'ampliamento o la restrizione delle loro portate, aspetto che pure ha una sua importanza nel lavoro che sarà fatto. In sintesi, il tribunale provinciale non può subire modifiche poiché è previsto che nei capoluoghi di provincia - o, per meglio dire, nei capoluoghi di provincia alla data del 30 giugno 2011 - devono permanere il tribunale con la correlativa procura. Ciò nonostante, la delega consente di ampliare o restringere le competenze territoriali di questi tribunali per riequilibrare il rapporto. Si pensi, per esempio, al caso di Perugia, che ha un tribunale capoluogo di corte d'appello molto esteso, per cui nulla vieta nella legge di pensare a una redistribuzione più ragionevole delle competenze tra i tre tribunali provinciali che dovranno rimanere, di cui due provinciali e uno no. Tra l'altro, il tribunale di Perugia, ha anche il problema dell'articolo 11 del codice di procedura penale rispetto a quello di Roma, della legge Pinto e così via; insomma, staremo a vedere anche questo tipo di impatto.
La Commissione, quindi, ha svolto un ragionamento, al quale ho dato scrupolosa esecuzione con la Direzione generale della statistica. Considerato che il legislatore ha stabilito di salvare i 103 tribunali provinciali, eliminando da questi i 5 tribunali metropolitani (Milano, Napoli, Roma, Torino e Palermo), è stata calcolata la media di resa di ciascun tribunale, e ciò ha permesso alla commissione di giungere ad una conclusione utile per svolgere una riflessione. A questo proposito, ho letto alcuni commenti sulla stampa che non sono stati ben calibrati. Infatti, l'unica cosa che ha accertato la commissione è che, in media, un tribunale provinciale - non considerando, ovviamente, quelli metropolitani che avrebbero alzato in modo innaturale la media e che hanno, d'altronde, un ordinamento diverso, anche dal punto di vista giudiziario, rispetto ai tribunali provinciali - ha un bacino di utenza di 363.769 abitanti. Il carico di lavoro medio per questo ufficio è di 18.094 affari, sia civili che penali; la produttività nazionale media di un magistrato è di 638,4 affari; la dimensione media degli uffici giudiziari provinciali è di 28 magistrati.
Ora, sulla base di questi parametri, la commissione di lavoro si sta limitando a costruire un modello di riferimento che poi sarà necessariamente calibrato sulle varie realtà territoriali. Ovviamente, essendo


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già stata mossa la prima pedina - essendo stato stabilito che il bacino di utenza per il giudice di pace, che è giudice di prossimità, è di 100.000 abitanti - i numerosi tribunali che hanno un bacino di utenza notevolmente inferiore (abbiamo, infatti, tribunali con un bacino di utenza di 20, 40, 60, 80.000 abitanti) dovranno essere attentamente valutati, non necessariamente in senso soppressivo, bensì utilizzando i criteri della delega di cui alle lettere d) ed e) relativi al riaccorpamento.
Altra questione estremamente complessa riguarda le sezioni distaccate. A questo proposito - se la Commissione consente e se non sto abusando troppo del tempo che mi ha concesso il presidente - vorrei smitizzare il rilievo dato al tema della sezione distaccata. Desidero ricordare, infatti, che a norma dell'articolo 48 dell'ordinamento giudiziario, la sezione distaccata è già autonomamente disarticolabile per iniziativa del presidente del tribunale. È notizia di questi giorni - peraltro, il provvedimento è stato anche impugnato presso il TAR, che ha accordato una sospensiva - la decisione del presidente del tribunale di Milano, forse eccessivamente estensiva nella lettura della norma dell'ordinamento giudiziario, che ha accentrato su Milano, con un atto di natura amministrativa, gli affari civili e penali delle tre maggiori sezioni distaccate che gravitano nell'ambito di quel circondario.
La Commissione esprimerà anche su questo aspetto il suo parere. A ogni modo, vorrei che si ricordasse che la sezione distaccata non è un'entità autonoma e indistinta rispetto al tribunale cui pertiene. L'unica differenza è l'obbligo di rispettare la competenza territoriale della sezione distaccata che è tarata su uno o più comuni su cui la stessa fa capo. Per il resto, dal punto di vista dell'organico amministrativo e dei magistrati, dei provvedimenti decisori e delle tabelle per la ripartizione degli uffici giudiziari, la sezione distaccata altro non è che - il professor Mazzamuto mi perdonerà l'espressione forte - una pertinenza o, per meglio dire, un'appendice giuridica e tecnica dello stesso tribunale. Difatti, il presidente del tribunale può autonomamente richiamare i dipendenti delle sezioni distaccate presso la sede centrale, mentre per ottenere un qualsiasi altro distacco deve rivolgersi al Ministero, se è in ambito extradistrettuale, oppure al presidente della sua corte d'appello, se rientra all'interno del medesimo distretto.
Dal punto di vista giuridico, quindi, non esiste l'entità «sezione distaccata», se non nella realtà della competenza. D'altronde, non c'è un presidente, né un organico di magistrati della sezione distaccata. Infatti, con la collaborazione preziosa del Consiglio superiore della magistratura (CSM), abbiamo dovuto quotare i magistrati addetti alle sezioni distaccate esaminando tabella per tabella. In questo modo, abbiamo scoperto che ci sono circa 490 magistrati togati addetti alle sezioni distaccate, di cui circa 220 a tempo pieno e gli altri addirittura a tempo parziale. Insomma, il magistrato può gestire il suo ruolo nella sede centrale del suo tribunale e poi, magari, essere impiegato a tempo parziale nella sezione distaccata presso la quale collabora.
Detto questo, i lavori della commissione stanno proseguendo. Il plafond astratto dei tribunali sopprimibili, che è pari a 57 tribunali su 165, scende a 46-47 in base a quella che è stata efficacemente definita la «regola del tre»; vi sono, cioè, tribunali non provinciali, quindi astrattamente sopprimibili, che, però, diventano insopprimibili: non si sa quali siano, ma si sa che in ogni corte d'appello bisogna mantenere almeno tre tribunali. Pertanto, si adotta una norma di favore rispetto alle corti d'appello di dimensioni più piccole. È il caso della Basilicata o del Molise, diverso da quello del Piemonte, dove ci sono 17 tribunali astrattamente tutti sopprimibili, o di alcune sedi di corte d'appello, come Messina, dove ci sono 4 tribunali, di cui 3 molto piccoli, ma dove se ne potrà sopprimere solo uno. Non sappiamo quale sarà soppresso (Barcellona, Patti o Mistretta), ma 2 su 3, per obbligo di legge, dovranno necessariamente salvarsi.


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La commissione sta utilizzando come fonti tutti i lavori svolti sul tema dell'ordinamento giudiziario negli ultimi 15 anni, nonché le preziose elaborazioni del Consiglio superiore della magistratura, che si è espresso in più di una delibera in ordine alle dimensioni ideali che deve avere un ufficio giudiziario, intendendosi per tale il combinato disposto di tribunale e relativa procura. Ascoltiamo, ora, la voce dell'avvocatura. Peraltro, so che anche il Consiglio nazionale forense ha istituito un gruppo di studio per verificare la revisione. Naturalmente, siamo disponibili a fornire i dati e ad accogliere tutti i suggerimenti e le indicazioni.
Concludo ricordando che la delega consente di considerare anche le difficoltà di tipo geografico, come l'insularità, la difficoltà di collegamenti e quelle infrastrutturali, nonché il caso dei tribunali di montagna. Insomma, vi sono tanti elementi di cui il gruppo di studio non è chiamato a occuparsi proprio perché esso non ha espropriato né il Governo, né il Ministero della giustizia delle necessarie valutazioni politiche a riguardo. Questa Commissione serve solo - ripeto - a individuare i criteri di massima del tribunale ideale. Grazie.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Birritteri, sia per la chiarezza sia per l'estrema sintesi. Credo che possiamo formulare tutte le domande che vogliamo, senza riuscire a estorcere indicazioni sul tribunale che sarà eliminato o meno, che poi forse è una delle questioni che interessano maggiormente i nostri commissari. A ogni modo, ho redatto l'elenco, molto lungo, dei deputati che hanno chiesto di intervenire. Nell'interesse di tutti, vi prego di evitare interventi, limitandovi alle sole domande, per consentire ai nostri ospiti di rispondere oggi stesso. Questo consentirà a tutti di formulare domande e ricevere risposte. Vi chiedo, quindi, di attenervi a questa norma per evitare che vi sia sempre qualcuno - come accade anche per le interrogazioni - che non ha tempo a sua disposizione. Intanto, seguirò l'ordine che vi ho esposto prima.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LANFRANCO TENAGLIA. Grazie, presidente. Attenendomi alla sua indicazione, formulo sinteticamente alcune domande. In primo luogo, vorrei chiedere, in merito alla questione della mobilità interministeriale, se è completamente esclusa o, viceversa, valutabile la possibilità di utilizzo a tempo parziale o definitivo del personale delle Commissioni tributarie. Invece, riguardo ai giudici di pace, vorrei sapere se rispetto al criterio di scelta da lei indicato - ovvero numero di abitanti e pendenze - sono state fatte eccezioni in positivo o in negativo.
Inoltre, in merito alle spese, è intenzione del Ministero pubblicare in tempi rapidi sul sito le spese pregresse degli uffici del giudice di pace, in modo da consentire ai comuni una valutazione trasparente della decisione di mantenere o meno l'ufficio? Sempre riguardo alle spese, è prevista un'eccezione al criterio generale di rispetto del Patto di stabilità per le spese degli uffici dei giudici di pace in relazione ai comuni che decidessero di conservare questo ufficio? E, in caso di risposta negativa, perché?
Inoltre, anche se la delega non lo prevede, avete valutato la possibilità di interventi, anche legislativi, sull'ordinamento dei nuovi uffici e, in particolare, sulla scelta, sui criteri, sulle funzioni e sull'attribuzione della direzione del nuovo ufficio del giudice di pace? Insomma, esso rimane in capo al presidente del tribunale o no?
In merito a ulteriori interventi, sezioni distaccate e tribunali, credo che la delega contenga una scansione temporale inderogabile, per cui occorre affrontare prima la questione delle sezioni distaccate e poi quella dei tribunali. Il Ministero condivide questa interpretazione della legge? Inoltre, la legge-delega contiene la previsione della necessità di valutare la soppressione, in concreto, sezione distaccata per sezione distaccata, secondo criteri. Non prevede, insomma, una soppressione indiscriminata


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delle sezioni distaccate. Vorrei, quindi, conoscere l'orientamento del Ministero su questo aspetto. Del resto, mi pare che i criteri debbano essere meglio specificati perché credo che il criterio principale sia quello relativo al rapporto di sopravvenienza di durata media fra sezioni distaccate e sede centrale.
Infine, il ragionamento che sta facendo la commissione ministeriale sul «tribunale modello» - uso questa espressione per semplificare - non mi sembra contenga un accenno né alla durata media dei procedimenti - che reputo un criterio fondamentale e discriminante, più di quello del carico di lavoro in capo a un soggetto -, né a come questi criteri (quello territoriale, delle sopravvenienze, delle difficoltà geografiche o relative a eventi naturali) debbano essere integrati tra di loro. In particolare, è rilevante il criterio relativo agli eventi naturali perché, per esempio, io provengo da una regione in cui si è verificato un terremoto che ha interessato, tra l'altro, anche gli uffici giudiziari di due delle sedi provinciali, L'Aquila e Chieti.
Inoltre, vorrei sapere se è stato valutato un altro aspetto che non è stato citato, ovvero se rientra nella possibilità di deroga geografica ai circondari dei tribunali anche la deroga ai circondari di corte d'appello; è possibile, cioè, ritagliare pezzi di circondario non solo dentro le corti d'appello, ma anche fra corti d'appello limitrofe?

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Certamente. Questo è pacifico.

LANFRANCO TENAGLIA. Ne prendo atto, anche se non era stato specificato. Inoltre, nelle sedi dei tribunali credo sia possibile il mantenimento di una sezione distaccata. Vorrei conoscere l'orientamento del Ministero su questo punto. Inoltre, sono possibili e prevedibili compensazioni per le sedi che perdono un ufficio giudiziario? Questo è, infatti, un elemento fondamentale anche per attutire l'impatto.
Da ultimo, il decreto contenente misure di liberalizzazione prevede una notevolissima riforma della competenza giudiziaria, relativa alla nuova competenza in materia di diritto d'impresa. Avete valutato la ricaduta di questa modifica sull'organizzazione, sull'organico e sulla geografia giudiziaria? In caso affermativo, vorrei sapere quali sono state le ragioni. In caso negativo, dovremmo discutere del merito di quel provvedimento, altrimenti la finalità giusta di quella riforma rischia di essere un boomerang per quegli stessi procedimenti che rischiano di durare più del doppio rispetto a quando avviene adesso.

ENRICO COSTA. Anch'io terrei a porre alcune domande. In merito all'accorpamento delle procure, di cui si parla nella delega, come si intende procedere? Invece, riguardo ai confini delle corti d'appello - l'onorevole Tenaglia fa la stessa domanda - mi pare di capire che sono modificabili.
Inoltre, in merito al concetto di «tribunale modello», lei ha fatto riferimento al numero di magistrati, di abitanti e di cause pendenti, ma non all'estensione territoriale, che è un criterio presente perché coglie un aspetto importante. È individuata anche nel tribunale modello, eventualmente, una distanza massima tra un comune e il tribunale? Questo può anche essere un suggerimento ed un parametro utile e interessante.
Ancora, si pensa di trasformare gli uffici soppressi in sezioni distaccate? E poi, le singole specificità infrastrutturali, indicate nella delega, come dovranno essere valutate? Infatti, è chiaro che, sulla carta, possono essere individuati parametri oggettivi, mentre le singole specificità infrastrutturali dovrebbero essere valutate tramite il confronto con gli enti locali - province o regioni - che hanno una conoscenza più approfondita di questi aspetti.
Riguardo alla questione del personale, con la riorganizzazione si vuole far fronte alla carenza, ma come si può affrontare anche lo sbilanciamento di personale tra uffici giudiziari del sud e del nord? C'è,


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insomma, il rischio che la riorganizzazione non risolva il problema.
Infine, per quanto riguarda i giudici di pace, ho letto con attenzione tutti i punti che motivano e spiegano il percorso logico su cui si è fondata questa drastica riduzione degli uffici. La legge delega, alla lettera l) - che tratta, appunto, dei giudici di pace - contiene un rinvio alla lettera b) dell'articolo 1. Tuttavia, quest'ultimo fa riferimento all'estensione del territorio, alle specificità territoriali e alle situazioni infrastrutturali. Non vedo, però, esercitato questo aspetto della delega nella bozza di decreto legislativo che affronta il tema dei giudici di pace. Ritengo, invece, che questo sia fondamentale perché ci sono giudici di pace che hanno come riferimento territori molto ampi e altri più ristretti, che presentano situazioni infrastrutturali diverse. Questo è un aspetto che potremmo valutare in Commissione in sede di parere e, ciò nonostante, potremmo anche cominciare a ragionarci già in questo contesto.

FEDERICO PALOMBA. Vorrei porre alcune brevissime domande. In merito ai 674 giudici di pace soppressi, sono stati eliminati solo gli uffici o sono state sollevate anche dall'incarico le persone che ricoprivano il ruolo? Per esempio, se l'ufficio del giudice di pace di Villacidro è soppresso, quel giudice di pace è accorpato presso l'ufficio del giudice di pace di Cagliari? Insomma, si tratta solo di una soppressione di uffici o anche di una riduzione del personale?
Vengo alla seconda domanda. Do per scontato che fra i 103 tribunali provinciali ci siano quelli relativi sia alle province statali che a quelle regionali. In Sardegna, per esempio, vi sono due province regionali, Tempio e Lanusei, per cui i relativi tribunali restano. Peraltro, sono sei in tutta la Sardegna da sempre. La domanda consequenziale è questa. Considerato che vi sono sedi distaccate che operano presso due capoluoghi di provincia non coperti dal tribunale, si può sperare che quelle sedi distaccate siano lasciate, ancorché non tribunali, bensì insistenti in capoluoghi di provincia - come nel caso del Sulcis-Iglesiente e del Medio Campidano - non coperti da tribunale?

ANGELA NAPOLI. Vorrei porre alcune domande e fare una breve valutazione. Tra i criteri che hanno portato alla soppressione degli uffici di giudice di pace vi è anche quello della produttività. Vorrei, allora, sapere come è considerata questa produttività. A questo proposito, non porto l'esempio di Taurianova, il mio comune di residenza, in provincia di Reggio Calabria, dove è stato soppresso il giudice di pace, altrimenti entrerei nella logica del campanilismo. Mi riferisco, invece, agli uffici di Corigliano e di Rossano. A Rossano ci sono 1.085 procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2011, con 6 giudici di pace; a Corigliano Calabro ci sono 1.941 procedimenti pendenti al 31 dicembre, con 2 giudici di pace. Le popolazioni sono di oltre 42.000 abitanti a Corigliano e di 49.000 a Rossano. È vero, quindi, che è stato rispettato il criterio della produttività - questa è la prima domanda - per i giudici di pace?
Per quanto riguarda, invece, la soppressione e la rivisitazione dei tribunali, mi riallaccio a una domanda posta dall'onorevole Costa rispetto alla garanzia di una valutazione per i tribunali che risiedono nei territori dove ci sono le corti d'appello. Faccio sempre riferimento alla Calabria, laddove la corte d'appello di Catanzaro è competente per ben quattro province. Allora, si terrà conto di questo rispetto alle province che saranno interessate dalla soppressione dei tribunali?
Infine, mi permetto una brevissima valutazione. Durante la dichiarazione di voto sulla relazione predisposta dal Ministro Severino in Aula, ho dato atto al Ministro della bontà dell'idea di operare una rivisitazione della geografia giudiziaria lontana dai campanilismi ed esclusivamente sulla scorta delle reali esigenze e prerogative del sistema giustizia. Tuttavia, non vorrei - lo dico in questa sede - che quei buoni intendimenti inseriti nella relazione del Ministro Severino subissero pressioni politiche di qualsiasi natura o di qualsiasi parte, facendo venire meno l'esigenza di


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efficienza del sistema giustizia, che ha portato alla formulazione della legge delega della quale oggi stiamo discutendo.

NICOLA MOLTENI. Comincio dalla questione relativa ai giudici di pace. Con la soppressione di 674 sedi dei giudici di pace, siete convinti che i comuni, nello stato in cui si trovano oggi, per i tagli e per i vincoli interni ed esterni al Patto di stabilità, siano in grado di potersi fare carico delle spese del personale e delle sedi? A questo proposito, mi riallaccio, tra l'altro, a quanto diceva il collega Tenaglia in merito alla possibilità di sottrarre queste spese dal Patto di stabilità.
Riguardo alle sezioni distaccate, vi sarebbero 46-47 tribunali potenzialmente sopprimibili. Mi sembra che sia un dato ricavabile da alcune considerazioni che sono state fatte, ma credo che tutti siamo abbastanza interessati ad avere qualche notizia in più.
Non ha parlato, inoltre, di tempi. Il Ministro Severino, nella relazione svolta alla Camera, ha detto che entro marzo-aprile dovremmo ricevere qualcosa. Non si è ben capito, però, se avremo una mappatura o una proposta. Ecco, penso che sia assolutamente importante capire i tempi in cui si arriverà a questa definizione. Rispetto a ciò, sia io che il collega Costa, oltre, forse, ad altri colleghi, vista la complessità della questione - non a caso, sia il dottor Birritteri sia il sottosegretario hanno aperto i rispettivi interventi parlando di una riforma epocale; credo che le riforme epocali, se tali sono, debbano essere fatte in maniera estremamente oculata e attenta - abbiamo chiesto al Governo, nel decreto-legge cosiddetto «milleproroghe», di prendere in considerazione l'ipotesi di una proroga della delega, che scade ad agosto del 2012. L'emendamento è stato votato con un pasticcio istituzionale clamoroso; è stato, quindi, bocciato ed è oggi all'attenzione del Presidente della Camera. Non ritiene opportuna - proprio alla luce del fatto che stiamo parlando di una riforma epocale - una proroga per analizzare in maniera più attenta e adeguata la situazione?
Ringrazio il dottor Birritteri, che è stato estremamente chiaro. Tuttavia, oltre al dottor Birritteri, che ha una funzione specificamente consultiva - sia per il ruolo che ricopre, sia anche in qualità di componente della commissione ministeriale, che, per sua stessa ammissione, è stata definita, appunto, puramente consultiva - vorremmo anche sentire il Governo, al quale spetta il potere decisorio finale. Ritengo che il sottosegretario possa dire qualcosa di più rispetto alle semplici premesse con cui ha aperto il proprio intervento.
Da ultimo, visto che uno dei criteri è rappresentato dal fatto che ogni corte d'appello dovrà contenere almeno tre tribunali, dalle ultime considerazioni del dottor Birritteri mi è parso di capire che vi possa essere il rischio di una sorta di «discriminazione» tra nord e sud. Insomma, alla fine, saranno maggiormente penalizzate le corti d'appello del nord o quelle del sud? Quale parte di territorio subirà le soppressioni maggiori?

MARILENA SAMPERI. La razionalizzazione dell'allocazione degli uffici giudiziari, nell'ottica di una rifunzionalizzazione della giurisdizione e della massima efficienza del sistema, è un obiettivo a cui non possiamo non aderire. Tuttavia, il semplice fatto che nella legge-delega si scelgano le province come dimensione in cui collocare i tribunali è una contraddizione rispetto a un processo di razionalizzazione, perché le province non si caratterizzano per omogeneità di dimensione geografica, per connotazioni orografiche, per consistenza demografica o per sistemi di viabilità, che sono estremamente variabili nel tempo. Un'ulteriore contraddizione nasce, peraltro, dagli ultimi provvedimenti assunti da questo Governo che eliminano la dimensione provinciale.
Faccio questa premessa per dire che, forse, l'ambito di modifica delle circoscrizioni giudiziarie e delle corti d'appello dovrebbe essere tenuto in maggiore considerazione, proprio a seguito delle premesse che ho svolto. Ecco, questo potrebbe essere un modo per riequilibrare irrazionalità


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evidenti delle corti d'appello, sia nell'ambito provinciale che in quello regionale, oltre alla presenza dei tre tribunali.
Chiedo, allora, se rientri tra le intenzioni del Governo dare maggiore rilievo al mutamento dell'ambito circoscrizionale, anche in virtù del principio di efficienza che vede sia nel sottodimensionamento che nel sovradimensionamento dei tribunali un elemento di grande inefficienza.
Il fatto, per esempio, che i tribunali metropolitani escano fuori da questa media è indice di questo orientamento. Infatti, questi, come quelli che insistono su province con più di un milione di abitanti, sono sicuramente sovradimensionati, per cui necessiterebbero di un intervento di scorporo di territorio e di ridefinizione delle circoscrizioni, altrimenti si renderebbe il provvedimento anomalo e poco razionale. Vorrei sapere, quindi, se il Governo ha intenzione, in primo luogo, di tenere conto di questo criterio in modo preponderante, viste le contraddizioni che esistono all'interno della norma e, in secondo luogo, di tenere fede agli impegni assunti con l'approvazione degli ordini del giorno che sono stati approvati insieme a questa legge.

MANLIO CONTENTO. Dottor Birritteri, vorrei chiederle se, in relazione a questa ipotesi teorica, qualcuno si sta preoccupando di che cosa succederebbe se venisse messa in pratica. Se, per esempio, le infrastrutture riferite ai tribunali, quindi i luoghi fisici, non sono idonei ad applicare il modello teorico, cosa succede? Siccome la delega ha tra i riferimenti di principio quello della spending review e quindi della razionalizzazione della spesa, se questo modello teorico non viene «verificato» nella pratica, il risultato potrebbe essere quello che di dover poi buttar giù trenta pareti, trovare un altro immobile per metterci la procura, spostare un tribunale e via discorrendo. Insomma, potremmo scoprire di aver fatto un mezzo disastro. Mi permetto di suggerire, quindi, che - oltre ai modelli teorici - forse sia il caso di preoccuparsi di valutare questi aspetti.
L'altra questione delicata riguarda i principi di delega. Ipotizziamo che il principio sia quello di preservare - perché così è scritto nella legge - i tribunali situati nei capoluoghi di provincia. Cosa succede quando, nel costruire questo modello teorico, ci si rende conto che, salvaguardando uno di questi tribunali, si dovrebbe sopprimere, per esempio, una sede di tribunale situata in area montana e che l'accorpamento territoriale, pur consentito da quei criteri, non permette di soddisfare le esigenze di trasferimento poiché magari si tratta di luoghi poco raggiungibili? Questi elementi vengono valutati sulla base del modello teorico anche in questa direzione oppure no?
Vengo alle ultime questioni, che forse esulano da questo, sebbene vi siano connesse. Abbiamo deciso la proroga relativa alla magistratura onoraria perché stiamo approvando la riforma. Secondo un atto di sindacato ispettivo presentato oggi, stiamo assistendo alla distribuzione nelle sedi di tribunali. Ci saranno, peraltro, i concorsi per i magistrati che andando avanti. Se il disegno è quello di concentrare, qualcuno si dovrà preoccupare di evitare che il Consiglio superiore della magistratura...

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. È stato già fatto. Su indicazione di una lettera del Presidente della Repubblica, la delibera originariamente adottata è stata revocata dal CSM e non sono stati assegnati uditori giudiziari ai tribunali potenzialmente sopprimibili.

MANLIO CONTENTO. Questa è una buona notizia. Ho solo un'ultima domanda. Sul piano del funzionamento della magistratura onoraria sappiamo che sono previsti limiti di età, per esempio 72 anni rispetto ai 75 del magistrato. Sta accadendo, però, che con la proroga questi magistrati scadono a febbraio, a marzo o ad aprile di quest'anno. Che senso ha che scadano, aggravando la situazione dei carichi sugli altri che rimangono, quando sarebbe sufficiente, nel provvedimento


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adottato al Senato, fare in modo che la scadenza coincida con la fine dell'anno in corso? Chiarire questo elemento potrebbe evitare degli aspetti negativi.

LORENZO RIA. Signor presidente, l'audizione è stata impostata nei termini da lei definiti all'inizio. Infatti, mai come questa volta, i colleghi si sono tutti attenuti a porre domande, evitando di fare interventi. Credo, peraltro, che i quesiti dei colleghi che mi hanno preceduto coprano tutte le domande possibili, per cui mi limiterò a riprenderne qualcuna.
È interessante, innanzitutto, la questione del Patto di stabilità per quei comuni che intendano mantenere i giudici di pace. Si tratta di stabilire, cioè, se le spese di cui i comuni dovrebbero farsi carico possono essere escluse dal Patto di stabilità, perché questo favorirebbe certamente il mantenimento delle sezioni dei giudici di pace. In questo ambito, potremmo avanzare una proposta come Commissione.
L'altro aspetto che bisognerebbe prendere in considerazione riguarda l'estensione di una provincia. Non si può valutare, infatti, solo il numero degli abitanti, ma anche l'estensione complessiva di una provincia, per esempio la distanza del comune più lontano rispetto al capoluogo. Un altro parametro da tenere in conto potrebbe essere il numero massimo dei comuni, perché vi sono province, magari estese, con pochi comuni e province in cui vi è un numero di comuni molto grande, cosa che crea problemi anche in termini di mobilità. Anche la questione delle infrastrutture, segnalata dal collega Contento, mi sembra interessante. A questo proposito, mi risulta che vi siano strutture di sezioni distaccate realizzate di recente, ma anche sedi allocate in strutture fatiscenti. Pertanto, occorre senz'altro fare un esame preventivo rispetto alle sedi.
Non avrei aggiunto altro, se l'intervento del collega della Lega non me lo avesse sollecitato. Mi riferisco ai tempi, rispetto ai quali noi dell'UdC accogliamo con grande soddisfazione la notizia che l'emendamento con cui si chiedeva una proroga sia stato bocciato in I Commissione. Pensiamo, infatti, che i tempi previsti nella delega debbano essere considerati sufficienti. Vi chiediamo, quindi, se rispetterete i tempi contenuti nelle legge delega, visto che il vostro lavoro deve precedere il decreto attuativo. La nostra - ripeto - è una sollecitazione a stare nei tempi, proprio perché vogliamo che questa riforma epocale finalmente si raggiunga.

ANNA ROSSOMANDO. Si è ridotto il numero delle mie domande perché chi mi ha preceduto ne ha già svolte diverse alle quali mi associo. Vorrei fare, quindi, solo alcune precisazioni.
In primo luogo, sulla questione dell'estensione dei territori e dei parametri utilizzati, occorre sottolineare anche il criterio del numero di comuni che fanno capo ai capoluoghi di provincia ed eventualmente alle sedi di tribunali con procura, che sono, quindi, in astratto, sopprimendi. Chiedo se sarà effettuato un raffronto tra queste due grandezze. In secondo luogo, chiedo se si terrà conto della questione degli insediamenti produttivi, che, pur essendo menzionata nella legge delega, non è stata sufficientemente sottolineata. Infatti, ciò ha molto a che vedere con il tipo di carico in senso sia quantitativo che qualitativo, essendo omologabile al criterio delle particolari situazioni di presenza criminale sui territori.
Avrei, inoltre, alcune questioni di carattere più generale. Senza voler fare polemica, lei, dottor Birritteri, ha accennato al problema della mobilità, ovvero del modo in cui poter implementare il personale giudiziario, esponendo i dati che, con molta competenza e franchezza, ci ha rappresentato. Vorrei sapere se e in che modo vi ponete la questione secondo cui, evidentemente, non basta rivedere le circoscrizioni giudiziarie per risolvere il problema della carenza di risorse umane. Credo che anche la collega Napoli abbia toccato questo problema.
Un'altra osservazione riguarda il criterio di valutazione della modernità e dell'efficienza delle strutture di cui il tribunale è dotato. L'onorevole Contento ha riportato l'esempio di valutazione dell'impatto


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in concreto. Vi sono dei tribunali, che non sono sedi di provincia, che, per esempio, hanno proficuamente in corso un processo di informatizzazione, con un know-how e una struttura che ha un suo valore economico.
Inoltre, vorrei sapere se si pensa di tener conto e di agevolare proposte positive di accorpamenti che si stanno discutendo sui territori. Vorrei, poi, richiamare l'attenzione sull'orientamento in merito alle sezioni distaccate. Infatti, è evidente che la fattibilità, l'accettazione e anche l'impatto di questo provvedimento tiene fortemente insieme la questione della sede di tribunale con quella delle sezioni distaccate. Per i territori, che - come sapete - stanno animatamente discutendo di questi problemi, questo può cambiare anche il tipo di accettazione e di impatto.
Intervengo brevemente sulla questione del giudice di pace. Siccome penso che anche i tecnici abbiano un'anima, vorrei dire che l'impianto del giudice di pace come giudice di prossimità corrispondeva, evidentemente, a un'esigenza contenuta nella parola stessa. Ora, la proposta che al momento è sottoposta al parere del CSM e che poi arriverà a noi, è molto drastica da questo punto di vista. Siamo consapevoli della necessità di una riduzione, tuttavia quella proposta sembrerebbe mettere in discussione la ragione stessa dell'istituzione del giudice di pace e l'impianto che è stato alla base della stessa. Vorrei, quindi, sapere se si intende cambiare direzione di politica giudiziaria sotto questo aspetto.
Vi è, poi, anche l'importante questione, sollevata da alcuni colleghi, relativa alla valutazione del Patto di stabilità per i comuni.
Più in generale, vorrei porre una domanda politica. Lei, con molta franchezza, ha esposto la «regola del tre» in relazione alle corti d'appello. A questo proposito, faccio solo un esempio di carattere generale. Come gli altri colleghi, non prendo in esame questioni che riguardano singoli tribunali, ad esempio, del Piemonte. Tuttavia, il caso del Piemonte in senso generale è esplicativo. Torino, come provincia, ha 2,5 milioni di abitanti. Per comodità dividiamo abitualmente la regione in «Piemonte 1» e «Piemonte 2». È evidente che dal punto di vista delle dimensioni territoriali, della popolazione e quant'altro, l'area metropolitana è di poco superiore al Piemonte 2. Se stiamo a quella regola, però, basterebbe soltanto la provincia di Torino per assorbire quel criterio. Chiedo, quindi, se c'è la possibilità di una rivalutazione di questo punto perché, oltretutto, sembra non rispondere a tutti gli altri criteri enucleati nella legge-delega, nonché a quelli sottolineati dai colleghi. Mi riferisco, in particolar modo, a quello proposto dal collega Contento sulla fattibilità, sulla valutazione di costi e benefici e sul cosiddetto «impatto concreto».
In conclusione, se è possibile vorrei aggiungere ai criteri che lei ha enunciato - il carico medio, la produttività e il numero dei magistrati - anche quello di una maggiore specificazione in merito a quanto entra, quanto è pendente e quanto esce, altrimenti non ci capiamo. Per il momento, avrei finito.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FEDERICO PALOMBA

CARLO MONAI. Pur non essendo membro di questa Commissione, approfitto per sollecitare una riflessione su alcuni temi che considero abbastanza critici.
Innanzitutto, credo che la legge 14 settembre 2011, n. 148, laddove stabilisce il principio che tutte le spese di organizzazione amministrativa e giudiziaria dei giudici di pace debbano ricadere sugli enti locali, sia abbastanza vessatoria e iniqua. Capirei, infatti, che un discrimine fosse fissato per i maggiori costi dovuti al fatto che una certa amministrazione giudiziaria è periferica piuttosto che centralizzata, ma, essendo l'amministrazione della giustizia una delle prerogative statali, non si capisce per quale motivo, senza alcun tipo di compensazione, tutto sia scaricato sulle spalle dei comuni, che devono farsi carico di spese che magari incidono sul Patto di


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stabilità. Invito, quindi, la Commissione a riflettere sull'opportunità di un emendamento all'articolo 1, comma 2, della legge n. 148, che quantomeno riconosca ai comuni l'onere delle spese aggiuntive, lasciando allo Stato quello dei costi che comunque graverebbero su di esso, qualora ci fosse la concentrazione degli uffici giudiziari in sedi circondariali.
In secondo luogo, laddove vi sono comuni che hanno già speso, insieme allo Stato e alle regioni, risorse per sedi importanti di giudice di pace che funzionano bene e che potrebbero essere anche accorpate in maniera di prossimità piuttosto che concentrate a livello provinciale, perché non valutiamo l'effettiva convenienza di mantenere sedi in quei territori, forse anche collinari o montani, che vedrebbero depauperata in maniera incisiva non solo la presenza della giustizia, ma anche quella dello Stato, in un momento in cui, forse, di Stato c'è più bisogno nelle zone periferiche che in quelle più popolose?
Peraltro, il criterio dei 100.000 abitanti è un'invenzione del Governo e non è contenuto nella legge delega. Anche questo criterio, quindi, deve essere riparametrato, perché non è accettabile che, sulla base del criterio demografico, si faccia strame di una realtà territoriale marginale dove il giudice di prossimità è uno dei baluardi dei servizi pubblici erogati alla comunità di riferimento.
Con riferimento ai tribunali, riporto l'esempio di Tolmezzo, ma ve ne sono tanti altri in tutta Italia. Tolmezzo si trova in una zona montana; ha un tribunale con pochi giudici; è sede, però, di un carcere di massima sicurezza. Ora, al tempo in cui fu costituito il carcere, si ebbe una sorta di compensazione non scritta da parte del Governo, per cui si costituiva il carcere di massima sicurezza a fronte del fatto che ci sarebbe stato il tribunale. Adesso il carcere rimane, ma il tribunale sembra debba essere soppresso. Anche in questo caso, non dobbiamo usare la stadera dell'economo, visto anche che non è detto che vi siano le economie di spesa. Infatti, solo il fatto che è necessario accompagnare tutti i detenuti da Tolmezzo a Udine per qualunque udienza, già di per sé crea diseconomie (si pensi all'utilizzo dei cellulari, della Polizia giudiziaria, della Polizia penitenziaria e così via). Insomma, consideriamo con maggior attenzione la storia di realtà che necessitano di una presenza giudiziaria e, ovviamente, prediligiamo il dato dell'efficienza: se le sedi piccole funzionano bene, pur non avendo i 100.000 abitanti, per quale motivo dobbiamo sopprimerle?

MAURIZIO SCELLI. Vorrei ringraziare il professor Mazzamuto e il dottor Birritteri che ci hanno risposto permettendoci di interloquire su un problema fortemente avvertito dalla popolazione. Nelle ultime settimane siamo stati parecchio in ansia. Pertanto, la mia, più che una domanda, è una raccomandazione, affinché la commissione ministeriale, avente una funzione meramente consultiva, eviti di diramare notizie o anticipazioni soprattutto riguardo alla sorte dei tribunali. Occorre tenere conto, infatti, che vi sono tribunali all'esterno dei quali sono appese lenzuola con la scritta «giù le mani dal tribunale», perché magari qualcuno ha suggerito all'amico dell'amico che quella sede è nella lista di proscrizione.

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Non c'è nessuna lista.

MAURIZIO SCELLI. Bene, questa è una risposta importante. Vengo alla seconda osservazione. I parametri vanno benissimo. Vorrei, però, sapere se possono essere, in qualche modo, integrati o supportati da altri criteri. Per esempio, il collega Monai faceva giustamente riferimento all'esistenza di un carcere di massima sicurezza. In Italia, ce ne sono tre che ricadono nell'ambito dei tribunali a rischio, Tolmezzo, Spoleto e Sulmona: vorrei sapere se questo criterio può supportare l'eventuale carenza di altri tipi di parametri.
In terzo luogo, le chiedo se una realtà come quella abruzzese - mi riferisco, in


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particolare, al fronte aquilano: L'Aquila è ridotta malissimo e tra le grandi strutture crollate la notte drammatica del 6 aprile 2009 c'era anche il tribunale -, che ha bisogno di essere supportata in ambito provinciale, debba addirittura assistere a una soppressione o a una riduzione dei tribunali che fanno parte del circondario per mantenere fede a quello che dispone la legge, cioè che i tribunali provinciali restano.
In conclusione, vorrei chiedere se può essere presa in considerazione la revisione del perimetro territoriale. Infatti, vi sono tribunali ai quali la competenza territoriale sottrae la cognizione di alcune cause che ricadono a 30 chilometri di distanza; invece, per il solo fatto che si cambia provincia, chi deve esercitare un proprio diritto deve andare a 60 chilometri di distanza, pur avendo a 30 chilometri il tribunale più vicino. Insomma, bisogna rivedere i perimetri di tipo territoriale, cercando di identificare i parametri stessi anche nelle province limitrofe. Non ho altro da aggiungere, grazie.

MARIO CAVALLARO. Il mio sarà in gran parte un intervento adesivo dipendente, come direbbe un processualista, perché gran parte delle questioni sono state trattate.
Per quanto riguarda i giudici di pace, mi pare evidente leggendo la bozza del provvedimento, che si confida molto nell'ipotesi di una partecipazione del sistema delle autonomie locali. Tuttavia, proprio l'esempio evocato di una regione mi fa pensare che sarebbe opportuna - questa è una domanda, ma soprattutto una sollecitazione politica al Governo e al Ministro - una interlocuzione con le regioni. Fra l'altro, un altro dei punti di cui si è già parlato, cioè quello della rimodulazione del Patto di stabilità, è stato affrontato, in parte, da alcune regioni, che hanno rimodulato il Patto interno di stabilità verso le autonomie locali, liberando alcune risorse. Pertanto, ritengo necessaria una triangolazione, come reputo essenziale che le regioni intervengano non soltanto con atti amministrativi, ma anche con leggi regionali.
Sotto questo aspetto, faccio seguito a quanto diceva la collega Rossomando, a proposito dello snaturamento della figura originaria del giudice di pace come giudice di prossimità. Infatti, la verità è che il taglio totale e lineare di tutti i giudici che non hanno sede presso i circondari dimostra che si vuole costituire - salvo che vi sia il pagamento da parte delle autonomie locali - un giudice di primo livello, che corrisponde tendenzialmente allo stesso territorio del circondario. Premettendo che credo che ciò non sia contenuto né nella legge delega né nell'idea che ho di giurisdizione del giudice di pace, pongo una domanda politica. Anche se questo fosse, non è necessario che il sistema delle autonomie locali - e soprattutto quello regionale - sia coinvolto istituzionalmente in questo dibattito, emettendo provvedimenti di natura legislativa nei quali ci si faccia carico, per esempio, del costo del sistema dei giudici di pace, magari affidando loro alcune competenze? Penso all'ipotesi affacciata a suo tempo della delibazione delle leggi regionali, delle controversie che hanno per oggetto le leggi regionali e quant'altro. Non mi dilungo ulteriormente.
Se questa è l'idea del Ministero e del Governo, a questo punto, sarebbe necessario indicare in maniera non generica, ma analitica, i costi degli eventuali interventi. Occorre, cioè, una procedura di «interpello». I comuni hanno 60 giorni - è bene chiarire il termine perché molti enti lo hanno già chiesto a noi - che, ovviamente, ancora non decorrono. Peraltro, questo termine è particolarmente vessatorio, perché un ente locale, per quanto grande possa essere - si tratta quasi sempre di enti territoriali medi - ha bisogno di un tempo maggiore e, in ogni caso, può prendere un provvedimento in 60 giorni, solo se esso è preceduto da una fase istruttoria e da una fase di consultazione, strutturata in maniera forte e dialogica. In passato, in occasione di esperienze di soppressione o di riarticolazione


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territoriale, sono state costituite commissioni, con interpelli rivolti al mondo delle autonomie locali. In questo caso, non lo si è fatto fino alla fase della stesura della bozza. Tuttavia, credo che, a partire da questa fase in poi, tale lavoro debba essere svolto, con riferimento ai giudici di pace.
Un'altra valutazione riguarda le sezioni distaccate. Anche su questo aspetto, dall'esposizione soprattutto del dottor Birritteri ho capito che si rafforza l'idea che le sezioni distaccate non siano tanto un'articolazione autonoma, bensì un'autorganizzazione amministrativa del tribunale, che è quindi circondariale. Sotto questo profilo, siamo legislatori strani perché prendiamo come base dell'organizzazione giudiziaria un perimetro che non esiste più. Difatti, mentre dichiariamo che quello delle province non è più interessante come perimetro istituzionale, diciamo anche che questo è essenziale per l'articolazione della giustizia, il che potrebbe lasciare qualche dubbio sulla lucidità costituzionale del legislatore. A ogni modo, domando al Ministro se si intenda operare attraverso un rafforzamento della natura infradistrettuale delle tabelle e della potestà autorganizzatoria. Insomma, perché devono essere il Governo, il Ministro e il Parlamento, per quanto ciò rientri nella loro competenza, a sopprimere o a riarticolare i tribunali? Quel tipo di organizzazione potrebbe, infatti, essere stabilito a livello distrettuale, sempre attraverso il concorso dei soggetti istituzionali competenti.
Molte delle domande poste - le difficoltà orografiche, organizzative, economico-sociali e quant'altro - in nessun modo possono avere risposta attraverso il criterio del «tribunale ideale», che mi ricorda il disegno della città ideale di Tommaso Campanella, sul piano filosofico. Vi sono domande che possono avere una risposta soltanto sul piano pratico. Peraltro, quanto affermava l'onorevole Contento fa parte di quei calcoli. Per questo, mi sono preoccupato di sapere se la commissione faccia o meno questi calcoli. Insomma, sopprimendo una sezione distaccata, poniamo l'esigenza ineludibile di realizzare un nuovo plesso di tribunale oppure, sopprimendo un giudice di pace, «mandiamo a maravalle» un palazzo che è stato ristrutturato avantieri, con 4 milioni di euro di costi? Se non lo fa la commissione, lo farà il Ministero o il Ministro. Siccome, ad oggi, non c'è stato un percorso nel quale, istituzionalmente, sia stata fatta questa verifica e le disposizioni sono...

LUIGI BIRRITTERI. Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Questa verifica viene fatta nel tavolo congiunto con l'Agenzia del demanio.

MARIO CAVALLARO. Bene. Ho un'ultima considerazione. La questione del concorso economico, che per i giudici di pace è scritta in maniera inequivoca, francamente, mi sembra abbia attenuato molto l'applicazione del criterio della lettera b), visto che non mi sembra sia stato tenuto in conto, se non in maniera del tutto residuale, non essendovi traccia di una valutazione diversa. Non faccio esempi, ma nella mia regione ci sono solo i giudici di pace circondariali. Quindi, direi che non è stato tenuto altro conto. Questo stesso criterio è ipotizzabile per i tribunali o per le sezioni distaccate? Il Ministero ritiene di poter attuare la stessa disposizione, anche se magari in via interpretativa? È praticabile o no, che un comune, una somma di comuni, o una provincia, magari prima di essere soppressi, e assegnino qualche risorsa alla struttura del tribunale? Io direi di sì.
Vengo all'ultima domanda. Si parla molto anche di un riordino delle circoscrizioni. Tuttavia, salvo casi particolarmente evidenti, spesso il riordino richiede una fase istruttoria e concertativa che coinvolge diverse competenze e partecipazioni per poter riconfigurare una dimensione territoriale diversa. Questo percorso è stato fatto, sarà fatto o è previsto? Al momento, credo di no. Pertanto, è chiaro che, pur essendo questa una delle ipotesi persino elettive, nella pratica si finirà per aprire e chiudere, specie se consideriamo


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- come tutti noi sappiamo - che la norma relativa ai tre tribunali è asistematica e che, quindi, creerà, nella fase applicativa, diverse ulteriori difficoltà, generando un problema di confronto che il Governo e il Ministro dovranno avviare in vista dell'adozione del provvedimento definitivo.

PRESIDENTE. Avverto i colleghi che alle 17 dobbiamo concludere l'audizione. Ci sono ancora sei iscritti a parlare; poi daremo spazio alle risposte.

PIETRO TIDEI. Sarò brevissimo nel formulare le domande. Tra i criteri adottati mi pare che manchi il costo che il cittadino sopporta per accedere al servizio giustizia. Non so se avete valutato bene questo aspetto, visto che tutto è considerato a senso unico. Tuttavia, il cittadino sopporterà dei costi, soprattutto dopo la chiusura di alcuni tribunali in sedi disagiate, nelle isole, in montagna o altrove, che credo dovranno essere valutati, altrimenti risparmiamo da una parte e aggraviamo il costo dall'altra.
In secondo luogo, lei ha parlato, esprimendo una sua valutazione, delle dimensioni ottimali di un «tribunale-tipo», che abbia un numero di magistrati tra 30 e 40.

LUIGI BIRRITTERI. Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Il riferimento era più tecnico. Infatti, i dati statistici dimostrano che i tribunali che in Italia hanno il miglior rapporto tra domanda di giustizia e rendimento sono quelli compresi tra 30 e 60 giudici.

PIETRO TIDEI. Vorrei contestarle proprio questo dato perché contravviene a quanto è scritto sia nel Libro verde sulla spesa pubblica, sia nello studio del CSM, che individuano il numero in 20 e non in 30. Questo è un dato che volevo segnalarle e che contraddice quanto lei diceva.
In terzo luogo, nella valutazione del dimensionamento dei tribunali la Commissione ha estrapolato i tribunali metropolitani, considerati «tribunali extra». Tuttavia, chi conosce Roma o Napoli probabilmente sa che il problema dei «megatribunali» è costituito dal fatto che sono diventati ingestibili. Per esempio, Roma ha quasi 500 magistrati. Vorrei, allora, sapere se non le sembra utile, anziché guardare alla soppressione di alcuni tribunali fuori dal capoluogo di provincia, implementarli con pezzi di questi «megatribunali»? Questa sarebbe, forse, la cosa migliore perché il problema di Roma non è quello del tribunale piccolo di provincia, essendo un tribunale con quasi 500 magistrati.
Inoltre, è vero che le corti di appello ci portano fuori tema; tuttavia, io credo che esse rappresentino un problema drammatico. A Roma, per esempio, la situazione più ingestibile della giustizia sta nella corte d'appello. Chiedo, in proposito, se non pensiate che, per la corte d'appello del Lazio, sia possibile individuare due sezioni staccate, una a nord e una a sud di Roma, migliorando enormemente il servizio.
Inoltre, sopprimete quasi tutti i giudici di pace. Ebbene, immaginate che cosa accadrebbe per l'ufficio del giudice di pace di Fiumicino, dove lavorano 50.000 persone solo in aeroporto, con tutto quello che consegue in termini di contenziosi in un aeroporto come quello. Com'è possibile pensare che scompaia il giudice di pace in quella sede? A me sembra assurdo e incredibile pensare che per l'aeroporto di Fiumicino si debba andare al giudice di pace di Civitavecchia.
In conclusione, vorrei sapere se tra i criteri adottati c'è anche quello relativo alla verifica degli edifici dei tribunali e delle procure, per accertare se essi siano di proprietà o in affitto, se sono nuovi oppure obsoleti e così via. Riferendomi ad alcuni tribunali e procure del Lazio, vi sono alcuni edifici che sono stati costruiti di sana pianta: si tratta di uffici moderni, funzionali, di proprietà del Ministero. Ora, se sopprimete uno di questi tribunali e lo aggregate a un altro, si corre il rischio che quell'altro dovrà sostenere la spesa per creare nuove sedi, mentre resterebbero inutilizzati edifici nuovi che verrebbero abbandonati. Non pensate che questo sia un costo che la collettività dovrà comunque


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sopportare? Credo che nelle valutazioni vada considerato anche questo aspetto.

RITA BERNARDINI. Dagli interventi che abbiamo ascoltato in questa audizione risulta evidente che il Governo tecnico adotterà scelte profondamente politiche nel ridisegnare il sistema, decidendo la soppressione dei tribunali minori. Peraltro, ognuno aggiusta i criteri come meglio crede, a parte il fatto che se ne aggiungono sempre di nuovi. Per parte mia, non ho mai creduto al governo tecnico, ma riconosco piena dignità di governo politico al Governo Monti.
A ogni modo, mi pare lei abbia confermato che l'elenco dei tribunali da sopprimere ancora non esiste. Vorrei chiederle, allora, se il Governo, una volta che avrà disegnato questa mappa, intende esporre, punto per punto, quali siano state le ragioni di una scelta piuttosto che di un'altra. Credo che ognuno di noi, se non è stato amministratore, abbia comunque ricevuto dei dossier anche molto dettagliati. Personalmente, ho ricevuto quello del sindaco di Nicosia, che è un piccolo centro, certo. Ciò nonostante, a leggerlo, non mi sembrano folli le considerazioni che vi sono scritte. Peraltro, lo avrete ricevuto anche voi perché vi è stato indirizzato. Insomma, credo che la trasparenza della politica, obiettivo che dobbiamo sempre di più perseguire come obiettivo, richiederebbe che, una volta che le scelte sono state compiute, motivarle in Commissione giustizia o, ancora meglio, direttamente in Assemblea. Grazie.

GUIDO MELIS. Ho tre domande laconiche, visto che moltissime osservazioni sono state anticipate da altri. La prima riguarda il tema dell'accesso. Gli studi sul rendimento delle istituzioni pubbliche ci dicono che, oltre ai costi vivi che lei ci ha enunciato (numero del personale, dei magistrati, impiegati, personale, costi e quant'altro), c'è anche il costo sociale delle istituzioni, che è quello che ciascun cittadino deve sostenere per accedere, come suo diritto, alla rete delle istituzioni pubbliche. Mi domando se la commissione abbia preso in considerazione questo aspetto poiché, nella sua esposizione così ricca, mi sembra non vi abbia accennato, a meno che non mi sia sfuggito.
Approfitto per introdurre un argomento, quello degli elenchi dei giudici di pace, così come sono stati già resi noti. In quel caso è stato applicato un criterio di taglio selvaggio, che si basa sulla presenza dei tribunali, che poi vuol dire concentramento nei capoluoghi di provincia, visto che i tribunali sono per lo più, a loro volta, concentrati nei capoluoghi di provincia. Ebbene, permettetemi di dire che questo è un criterio antico, che non tiene conto delle differenze sostanziali e della geografia economica e sociale dell'Italia, che non è più quella amministrativa. Questo è un tema che ormai tutti riconoscono come valido. Invece, si ricorre ancora a una carta geografica che sembra quella del 1865.
Faccio l'esempio che conosco meglio, cioè la Sardegna. Siamo sicuri che conviene eliminare uffici dei giudici di pace da determinate zone centrali che sono distanti dai capoluoghi, concentrandoli nei tribunali, costringendo la gente a fare un'ora e mezza di strada, visto che la Sardegna è una regione con uno scarsissimo sviluppo della rete ferroviaria? Siamo sicuri che questo sia conveniente, anche se i numeri potrebbero dirci che quei giudici di pace non hanno un grande contenzioso? Del resto, questo non è del tutto vero perché in alcune zone, come Ozieri, che è una delle sedi soppresse, i numeri sono confortanti.
Con riferimento, poi, al tema delle sezioni autonome di tribunale, ad Olbia si può sopprimere la sezione autonoma di tribunale? E a Tortolì? Si tratta di zone - mi riferisco soprattutto ad Olbia - ad altissima, concentrazione demografica e anche ad altissima concentrazione di reati che devono essere giudicati tempestivamente. Per esempio, Olbia ha un contenzioso tre volte superiore a quello di Tempio, che, invece, è sede di tribunale per antiche tradizioni. Bisognerebbe entrare più nel merito e fare delle scelte concrete,


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tenendo presenti i fatti reali e non basandosi su criteri astratti. Nel provvedimento avverto che c'è una certa astrazione, che forse è stata necessaria perché la bozza è stata predisposta molto in fretta. Occorre, pertanto, intervenire dando più concretezza a questo provvedimento.
Mi collego a quanto ha detto l'onorevole Tidei, precedendomi. Penso che spesso più che concentrare convenga decentrare, ovvero che queste sedi distaccate delle istituzioni giudiziarie possano essere potenziate, disaggregando pezzi di territorio dalle sedi più oberate e spostandoli verso le sedi che risultano oggi meno impegnate. Credo che questo potrebbe essere un criterio valido quanto quello del concentramento.
L'ultima osservazione - mi scuso se è fuori tema - riguarda le sezioni autonome delle corti d'appello. Sono firmatario, con oltre venti altri deputati, di una proposta per istituzionalizzare come corte d'appello la sezione di Sassari che - come lei sa, dottor Birritteri - ha ormai oltre vent'anni di vita e buoni rendimenti. Mi sembra, quindi, che, per molteplici ragioni, ciò potrebbe essere fatto senza spesa alcuna, come il presidente attuale della sezione autonoma ha dimostrato in maniera tassativa, anche attraverso i numeri. Mi domando - la domanda è rivolta al sottosegretario - qual è l'atteggiamento del Governo rispetto a queste piccole riforme che si possono far subito, come dicevano i vecchi socialisti di una volta, senza grandi costi. A volte, piuttosto che le riforme epocali, è meglio puntare sulle cose concrete che si possono fare senza costi. Grazie.

MARCO PUGLIESE. Sono qui come ospite, in quanto sono membro della Commissione finanze. Tuttavia, considerata la delicatezza e l'importanza dell'argomento, mi sono precipitato per capire come la commissione valutante stia lavorando rispetto alla riorganizzazione poiché, a oggi, non ho ancora avuto risposta a un'interrogazione a mia prima firma, rivolta al Ministro Severino e sottoscritta da altri colleghi della mia componente politica, relativa alle modalità che intende adottare nell'attuazione della legge delega. Addirittura, viste le preoccupazioni che provengono da tutti i colleghi, chiederei al sottosegretario se siamo ancora in tempo per ritirare e annullare questa legge delega.
Le parole del dottor Birritteri mi fanno fortemente preoccupare. Lei ha detto che questa è una riforma epocale, ma questa è la riforma epocale della morte delle aree interne. Lei ha detto che ha preso come modello organizzativo l'esempio del Trentino. Ma si rende conto che se noi applicassimo l'esempio del Trentino per industrializzare il Paese, quindi anche il sud, a questo punto saremmo tutti occupati? La regione che proprio non doveva essere presa come progetto pilota era proprio il Trentino.
La mia preoccupazione - ripeto - è che, ad oggi, non ho avuto ancora risposta alla mia interrogazione indirizzata al Ministro. A ogni modo, per chi come me vive nelle aree interne e si batte politicamente contro il «capoluogocentrismo», è impossibile una riforma che non tenga conto di tutto l'indotto che gira intorno ai tribunali e alle procure della Repubblica. Peraltro, i miei colleghi già hanno esposto tutte le preoccupazioni. Inoltre, con quali criteri, dottor Birritteri, dice che dobbiamo abolire 46-47 tribunali o procure? Quali sono i criteri di valutazione o di virtuosità? Abbiamo comuni di provincia che sono molto più virtuosi, da un punto di vista economico e finanziario, di celerità dei processi e di informatizzazione, rispetto ai tribunali di capoluogo, che distano a volte fino a 150 chilometri.
La proroga presentata dai colleghi della Lega non è stata approvata ed è stata dichiarata inammissibile. Personalmente mi spingo oltre, chiedendo addirittura se siamo in tempo per ritirare il provvedimento, eliminando le norme in esso contenute. A di là del presidio di legalità, che è fondamentale per il territorio delle aree interne, vi troverete contro, dottor Birritteri, presidenti di tribunali, giudici, avvocati, carabinieri e Guardia di finanza, senza considerare tutto l'indotto commerciale che oggi il tribunale fa vivere nei


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piccoli comuni. Sono, quindi, totalmente contrario a questa riorganizzazione. A oggi, il Ministero non ha ancora risposto - ripeto - all'interrogazione presentata dalla mia componente politica.
In conclusione, trovo anche poco professionale che questa Commissione si faccia soppiantare da un'altra commissione, denominata commissione di tecnici-politici, che sta realizzando la riorganizzazione dei tribunali, scavalcando il sacrosanto lavoro di voi parlamentari che rappresentate il territorio. Con questo ho concluso.

PRESIDENTE. Rammento solo che questa è una delega contenuta nella legge di conversione del decreto-legge dell'agosto dello scorso anno.

SALVATORE TORRISI. Per rafforzare alcune considerazioni che sono state già sviluppate dai colleghi che mi hanno preceduto, mi pare di poter dire che, fermi restando la delega e il convincimento, prevalente anche in Commissione, dell'opportunità che si provveda a una razionalizzazione degli uffici giudiziari, probabilmente lo spirito di chi ha approvato quella delega era di procedere a un riordino, ma non a una soppressione piena - come, invece, è stata interpretata dal Governo - degli uffici dei giudici di pace e delle sezioni distaccate. Forse, non si è compreso neppure che il numero «tre» non teneva conto delle particolarità di molti territori del nostro Paese.
Dalle affermazioni e dalle riflessioni che sono state svolte in questa sede, noto che quasi tutte le forze politiche esprimono perplessità e rilievi sulle modalità di attuazione della legge delega. Insomma, tutti siamo d'accordo sul fatto che in Italia un riordino degli uffici giudiziari è necessario per migliorare il funzionamento della giustizia. Tuttavia, il modo in cui è stata attuata questa legge delega suscita grande inquietudine. Debbo dire, infatti, che sono veramente preoccupato perché essa prevede un discrimine.
Il Governo - non me ne vogliano i rappresentanti, né il direttore, né l'attuale sottosegretario - immagina una giustizia tutta concentrata sulla città capoluogo. Credo che questo sia assolutamente sbagliato come principio. Un presidio di giustizia nei territori che rappresentano un bacino di cittadini significativo è importante perché questo è uno dei servizi più importanti che lo Stato deve fornire. Ipotizzare che il servizio giustizia sia ridotto solo a un fatto puramente economico significa commettere un errore clamoroso, al quale probabilmente dovremmo porre riparo negli anni a venire.
Fermiamoci, quindi, e avviamo una riflessione seria. D'altronde, nello stesso provvedimento, in merito allo schema che riguarda la soppressione degli uffici del giudice di pace, il Governo cade in una grande contraddizione, perché, pur riconoscendo che il giudice di pace svolge un ruolo importante, lo fa tuttavia diventare un servizio a carico dei comuni. Ebbene, si tratta di una previsione illogica. Aveva un senso riordinare, o sopprimendo alcune sedi degli uffici del giudice di pace - che, sul piano oggettivo del carico del lavoro, non avevano necessità di esistere - o accorpando le sedi vicine, compiendo, cioè, più un'attività nel merito del funzionamento delle sedi, che un'operazione di taglio lineare che riguarda tutte le sedi del giudice di pace, per concentrarle sulla città capoluogo.
Infatti, se per ipotesi i comuni non si facessero carico di questo servizio, per l'esperienza che abbiamo nei nostri territori sappiamo benissimo che una concentrazione nel capoluogo di tutte le sedi dei giudici di pace porterebbe a un disagio per i cittadini, fino ad arrivare ad una sorta di denegata giustizia, ovvero a una difficoltà di accesso alla giustizia. Allo stesso modo, sappiamo anche - e questo vale sia per le sedi dei giudici di pace, ma anche per le sezioni distaccate dei tribunali - che oggi le nostre sedi giudiziarie, nella stragrande maggioranza del territorio nazionale, non sono sufficienti per dare il servizio cui sono preposte. Pertanto, immaginare dall'oggi al domani o comunque in tempi celeri una concentrazione nel capoluogo delle competenze dei giudici di pace dislocati


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nel territorio oppure di tutte le sezioni distaccate oserei dire che significa non conoscere la condizione effettiva in cui si trovano i nostri tribunali.
Faccio, pertanto, appello al Governo perché su questa materia così importante, che riguarda il futuro della nostra giustizia, si possa effettuare una riflessione più costruttiva con il Parlamento. È vero che la legge delega è stata votata da tutti, ma è anche vero che, probabilmente, si è andati oltre. Con la legge delega si voleva riordinare, riorganizzare e chiudere gli uffici giudiziari che non davano un efficace servizio. Invece, l'impostazione che oggi mette in campo il Governo è quella di concentrare la giustizia tutta nel capoluogo, nella sede distrettuale. Credo che questo sia un clamoroso errore e, pertanto, mi auguro che si creino le condizioni per un dibattito più efficace.

PINA PICIERNO. Interverrò molto brevemente. Sento la necessità di evidenziare un forte disagio rispetto ai criteri che sono stati evidenziati. La mia preoccupazione riguarda, in particolare, i territori che sono gravemente infiltrati dalla criminalità organizzata. Penso alla mia Caserta, ma non solo. Si tratta, infatti, di zone dove c'è bisogno di più Stato e - come tutti sapete benissimo - un tribunale o una sezione distaccata rappresenta, in quei territori difficili, un importante presidio di legalità e di presenza dello Stato. Vorrei, quindi, capire se sono previsti criteri particolari o siano adottate attenzioni speciali per questi luoghi. Per esempio, rispetto ai criteri evidenziati, la sezione distaccata di Carinola, che è un tribunale che insiste in un territorio davvero molto complicato, dovrebbe essere soppressa. Chiedo, allora, se siano previste delle compensazioni. La mia personale opinione è che, in presenza di queste condizioni ambientali, si debba avviare una revisione dei criteri che hanno portato alla soppressione di questi presidi di legalità. Questo - ripeto - soprattutto in un territorio molto difficile come il mio. Vorrei sapere, quindi, cosa intende fare il Ministero rispetto a questi aspetti particolari. Grazie.

PRESIDENTE. Abbiamo dieci minuti a disposizione e ci sono ancora cinque interventi. Facciamo una divisione di tempi. Onorevole Ferranti, confido nel suo buon esempio.

LORENZO RIA. Presidente, forse è il caso di terminare con le domande, dopodiché ci aggiorniamo per le risposte. Se abbiamo dieci minuti per cinque interventi, credo sia difficile concludere.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei soltanto dire che le domande sono state poste tutte, quindi i temi sono stati già affrontati. Personalmente, vorrei dire al dottor Birritteri, che forse non lo sa, che questa norma, quando è stata approvata, nell'ambito della manovra di agosto, ha avuto la pecca di non essere stata discussa. Si tratta, cioè, di una norma che è stata inserita con un emendamento nella manovra di agosto e non è stata discussa in Commissione, né nelle sedi opportune, ragion per cui presenta alcune incongruenze interne che ne renderanno più difficile l'attuazione. In particolare, la norma è stato proposta al Senato, ma non è stata mai discussa. Viceversa, alcune proposte di legge, calendarizzate già in Commissione, prevedevano la revisione delle circoscrizioni e avrebbero potuto risolvere molti dei problemi che oggi sono stati messi sul tavolo.
Comunque, ringrazio sia il dottor Birritteri che il sottosegretario di averci dato l'occasione di un primo intervento. A questo proposito, vorrei rappresentare che, in occasione dell'approvazione in Aula, fu approvato dal Governo anche l'ordine del giorno Zaccaria n. 9/4702/139, con il quale esso si impegnava ad avviare ogni occorrente attività volta alla predefinizione dei contenuti dei futuri decreti legislativi di riorganizzazione delle distribuzioni sul territorio degli uffici giudiziari e a predisporre, al contempo, un autonomo disegno di legge delega da presentare alle Camere secondo le procedure urgenti previste dai regolamenti, in termini tali da consentire l'adozione entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione.


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Il punto focale di questo ordine giorno - che, quindi, è un impegno assunto dal Governo, è il fatto che, considerato che non c'è stata una discussione parlamentare, c'è necessità assoluta di avere un'interlocuzione con il Parlamento, che non può concludersi oggi, sulla predefinizione dei contenuti dei criteri. Ecco, voglio evidenziare questo aspetto.
Vorrei, poi, soffermarmi su altri due aspetti. In primo luogo, credo che questo sia un momento molto importante per la ridefinizione e razionalizzazione dei territori giudiziari e anche delle corti d'appello, con una modalità che non si rivelino vecchie. Il nostro timore è che ci si agganci a parametri territoriali, in parte superati, per cercare, attraverso la soppressione o selezione, di creare gli unici punti di riferimento negli uffici giudiziari. Invece, per chi, nelle varie proposte di legge, aveva proposto la revisione delle circoscrizioni, questa era, doveva essere e sarà l'occasione per una razionalizzazione delle risorse, sia umane che materiali.
Per esempio, in merito alla questione dei tre tribunali nel distretto vorrei dire che stabilire il numero minimo di tre è un principio assurdo, in relazione ad alcune regioni. Occorre, quindi, una sollecitazione all'esito dei lavori della Commissione, alla luce degli scambi che ci dovranno essere con il Parlamento, a rivedere questo criterio. Infatti, si creano equiparazioni assurde tra i territori (per esempio tra il Molise, la Lombardia, la Sicilia e così via), anche in relazione a quei parametri del modello di ufficio giudiziario che lei ha posto in essere. Ripeto, quindi, la mia premessa: la legge delega non è il frutto di un dibattito, quindi presenta punti dolenti che, forse, potrebbero essere rivisti prima che sia portata ad attuazione.

SANDRO BRANDOLINI. Io sono di Cesena e ho presentato numerose interrogazioni in merito ai problemi del mio territorio. Il sottosegretario Caliendo mi aveva detto che la revisione delle circoscrizioni avrebbe permesso di risolvere i problemi della mia provincia. Ho poi scoperto che Cesena rientra pienamente nei parametri per poter chiudere l'ufficio del giudice di pace. A questo punto, non so cosa aspettarmi per la sezione distaccata.
Cesena ha 195.000 abitanti. Se aggiungiamo i 12.000 abitanti di Bagno, dove si chiude l'ufficio del giudice di pace - ritengo giustamente, anche se il sindaco, mio amico, mi sollecita a farlo mantenere aperto -, si arriva ad un numero di 207.000 abitanti. Negli ultimi due anni il carico per i 4 giudici di pace è di 3.600 pendenze civili, 460 penali, per un totale di 4.060, con una media di 1.015 a testa. Ciò nonostante, avete previsto la soppressione dell'ufficio di pace. Vorrei sapere, allora, qual è il criterio seguito. Dalla lettura della vostra relazione, avevo capito che ciò non fosse previsto ed avevo già provveduto a comunicarlo. Leggendo l'allegato, scopro che l'ufficio del giudice di pace di Cesena viene soppresso. Non capisco il perché e le chiedo di saperlo. Peraltro, dottor Birritteri, insieme ad un gruppo di deputati e di senatori abbiamo richiesto un incontro con lei, che speriamo di poter avere nei prossimi giorni, per approfondire meglio la questione.

CARLO EMANUELE TRAPPOLINO. Nella sua relazione il dottor Birritteri ha fatto riferimento, come esempio, al tribunale di Perugia. Tuttavia, siccome il tema interessa più complessivamente l'Umbria, sarei interessato a capire in quale prospettiva lo abbia citato. Vorrei, poi, sapere se nella revisione delle circoscrizioni si tenga conto dei confini istituzionali, regionali e provinciali oppure si possa andare oltre.

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. La geografia giudiziaria è costituita sull'unità di base del circondario.

MICHELE SCANDROGLIO. L'onorevole Ferranti, intervenuta prima, dimostra la necessità di dare attuazione all'ordine del giorno Zaccaria n. 9/4702/139, accolto dal Governo, che si era impegnato ad affrontare una discussione sui criteri. Tuttavia,


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non vi è stato alcun dibattito. Siccome ciascuno di noi è portatore di un'esigenza del territorio - nessuno si straccia le vesti per il fatto che ciascuno sia portatore di un interesse -, invito il Governo a dare corso a questa discussione, nonché ad accettare l'emendamento secondo il quale, se la riforma non sarà approvata ad agosto, potrà esserlo ad ottobre, comunque dopo avere svolto una discussione compiuta. Grazie.

GIULIO CALVISI. Chiedo, in primo luogo, se vi siano speranze di modificare le norme del decreto legislativo concernenti i giudici di pace, salvando almeno le sedi che hanno un carico giudiziario, sia civile che penale, superiore a quello della sede di tribunale. In Sardegna vi sono i casi emblematici di Olbia e di Tortolì. In particolare, Olbia - come ricordava il collega Melis - ha un carico pendente tre volte superiore a quello di Tempio; Tortolì di due volte maggiore rispetto al tribunale di Lanusei. Peraltro, il giudice di pace di Olbia ha un carico penale e civile superiore anche a quello dei giudici di pace di Nuoro e di Oristano. Ora, mentre si mantengono le sedi di Oristano, Nuoro, Lanusei, e Tempio, quella di Olbia viene cancellata.
In secondo luogo, chiedo se questo criterio, che troverei ancora più irrazionale per le sedi distaccate, potrà essere applicato quando si predisporrà, con il secondo decreto legislativo, la riorganizzazione e il riordino delle circoscrizioni giudiziarie. Inoltre, avete pensato alle isole minori, come Pantelleria e La Maddalena? A questo punto, se si è parlato di Pantelleria, Lampedusa o di altre isole, poniamo anche il problema dell'isola de La Maddalena.
Formulo queste domande perché, con tutti i problemi che questa riorganizzazione comporta, si corre il rischio di scaricare le spese della giustizia sui cittadini, con una sorta di tassa occulta, oltre a quello, paventato dal collega Melis, di riordinare le circoscrizioni giudiziarie e gli uffici del giudici di pace sulla base di uno schema antico di organizzazione dell'amministrazione dello Stato, oggi superata dall'evoluzione dalla società. Infatti, per esempio, in Sardegna vi sono realtà sulla costa che hanno un peso sociale ed economico maggiore di quelle a cui dovrebbero afferire in quanto sedi di circondari. Dottor Birritteri, le chiedo, pertanto, se avete svolto una valutazione di questo genere e se c'è la speranza che, nella traduzione concreta dei decreti legislativi, si tenga conto anche di questi criteri. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la loro replica.

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. Visti il numero, la quantità e la qualità delle domande, mi riserverei, se è possibile, di rispondere dopo avere letto il resoconto stenografico della seduta. Per il momento, mi limiterei ad alcune precisazioni di fondo sui temi più caldi che sono stati sollevati. Dal mio punto di vista, di tipo tecnico, la religione alla quale si ispira questo intervento è circoscritta a quanto ci ha «comandato» di fare il legislatore delegante. Ribadisco che ci muoviamo all'interno della delega, senza cambiare una virgola di quello che è stato nella stessa stabilito, anche perché non potremmo fare altrimenti. Ciò vale sia per i tribunali provinciali che per la delega sui giudici di pace, che è tecnicamente diversa da quella che presiede alla soppressione dei tribunali. Peraltro, il Parlamento ha voluto una delega ulteriormente diversa per le sezioni distaccate che, in linea teorica, potrebbero essere soppresse tutte, visto che la lettera d) della delega, testualmente, recita «procedere alla soppressione, ovvero alla riduzione».
Visto che l'onorevole Pugliese mi ha attribuito affermazioni che non solo non ho fatto, ma non mi sarei mai potuto permettere di fare, voglio ribadire che ho detto semplicemente che, dal punto di vista tecnico, la delega consente di intervenire solo su 47 tribunali rispetto ai 165 esistenti. Non ho detto altro. La delega


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prevede il plafond degli uffici sopprimibili. Allo stesso modo, il legislatore ci impone di intervenire su 681 uffici del giudice di pace sugli 846 effettivamente esistenti senza toccare, ovviamente, quelli del circondario.
Tuttavia, le mie parole vogliono essere di forte rassicurazione. Mi dispiace, peraltro, che non si conosca il modo con cui il dipartimento lavora. È ovvio, infatti, che la struttura tecnica terrà in considerazione tutte le esigenze del territorio, ascoltando tutte le voci dell'autonomia locale. D'altra parte, sono già pronti i tavoli distretto per distretto e regione per regione, laddove ci saranno queste necessità. Insomma, saranno ascoltate tutte le indicazioni.
Con riferimento ai giudici di pace, l'intervento è stato più radicale perché, di fatto, si ha un fenomeno che tecnicamente possiamo definire di trasferimento sugli enti locali della responsabilità di gestire il giudice di prossimità. Per esempio, Fiumicino - non ricordo chi vi ha fatto cenno - ha un carico medio pro capite di 300 affari l'anno, con 55.000 abitanti. Con questo voglio dire che i conteggi sono stati fatti sulla base di dati statistici che, se vi interessano, ritengo utile fornirvi, in modo che possiate avere contezza di questo intervento. Mi preme dire, però, è che tutto ciò che è stato detto (le distanze tra un tribunale e un altro, le distanze chilometriche tra i territori e quant'altro) riguarda i criteri previsti dalla delega su cui stiamo operando. Difatti, stiamo lavorando con attenzione sulla base del mandato della delega che, per noi, è tassativo, essendo impossibile andare oltre, ma anche del mandato del Ministro. Il Ministro ha affermato in Parlamento che si terrà conto di tutte le esigenze territoriali, dopo che la commissione consultiva avrà rassegnato le sue conclusioni in termini di modello ideale, che il Ministro - è fin troppo chiaro - potrebbe anche disattendere.
Lo stesso avverrà sui decreti relativi al giudice di pace. Infatti, quando mi si chiede di esprimere un parere tecnico - visto che solo questo posso dare in questa sede - sul fatto che si possano mantenere o meno i giudici di pace soppressi, posso dire che attualmente non è stato soppresso nessun giudice di pace; è stata fatta solo una bozza del decreto legislativo, che deve essere sottoposta al parere del CSM e, contestualmente, delle Commissioni parlamentari; dopodiché, il Governo potrà recepire o meno i pareri - come è scritto in tutti i testi sulla legislazione delegata - accogliendo o meno i singoli punti. Insomma, a mio ricordo si è operato sempre così.
Pertanto, non sono scaduti i termini per questa Commissione di esprimere le sue valutazioni in ordine all'eventuale recepimento di una modifica dello schema di decreto legislativo. Di fatto, l'unico decreto legislativo che conterà sarà quello che andrà al Consiglio dei Ministri in seconda lettura, dopo i pareri previsti dalle Commissioni. Siamo, quindi, nel pieno della possibilità di apportare tutte le modifiche necessarie, facendo sentire la voce di tutti. Per di più, nel mio dipartimento lavorano a questo progetto quasi 50 persone, l'intero Ufficio piante organiche e più di un magistrato; a ciascuno di questi magistrati verrà, poi, affidata la specifica cura territoriale di specifiche zone del Paese. Siamo pronti - ripeto - ad ascoltare tutti, eseguendo la delega nei termini in cui il Governo sceglierà politicamente di utilizzarla.

SALVATORE TORRISI. Ci sono due estremi nella delega.

LUIGI BIRRITTERI, Capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia. La delega prevede degli estremi sulla base della necessità scritta alla lettera a), ovvero ridurre il numero degli uffici giudiziari di primo grado; ridurre o sopprimere le sezioni distaccate; ridurre il numero degli uffici di giudici di pace; consentire alle autonomie locali di subentrare. Poi, le risposte politiche sui pareri e sull'eventuale differimento del termine all'esercizio della delega non competono a me. Personalmente, ho il dovere giuridico di dirvi che non possiamo esercitare la


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delega entro settembre; dobbiamo fare il possibile affinché la delega venga esercitata entro il termine di scadenza, dopo il quale non si può più esercitare.
Occorre, poi, valutare il programma. Il nostro lavoro tende a risparmiare fatiche inutili. Non spetta a me stabilire se è giusto o meno che vi siano tre tribunali in ogni corte d'appello in un Paese in cui alcune di queste gestiscono 5 milioni di abitanti e altre 900.000 o 360.000. Questa è una scelta del legislatore, alla quale siamo vincolati. Per parte mia, eserciterò le mie modeste capacità tecniche a sostegno di uno schema di decreto legislativo fondato su indici di - vi assicuro - autentica ragionevolezza, che presupporranno non soltanto di ascoltare il territorio, ma anche di recarsi sui singoli territori.
In ordine al problema dei locali, sappiate che l'Agenzia del demanio non consentirà mai di dismettere un locale di una sede sopprimibile per occuparne, acquistarne o prendere in locazione un altro. Su questo, abbiamo già un tavolo tecnico aperto con il direttore Scalera, neonominato all'Agenzia del demanio, per assicurare che il conto complessivo determini - come è doveroso che sia e come impone la delega - un risparmio della spesa. Ciò, in termini di Agenzia del demanio, si fa attraverso un'operazione molto semplice: noi dichiariamo quali locali, vincolati ai compiti di giustizia, vogliamo restituire al demanio e quali intendiamo utilizzare nelle sedi che andremo a «ingrossare». Dopodiché, il Demanio valuterà cosa potrà mettere nelle sedi cedute e quali ci potrà assegnare. Al termine di questa operazione, l'intervento si fa solo se il saldo è positivo; in caso contrario, si ripensa e si ricostituisce.
Inoltre, si possono tranquillamente riaccorpare pezzi di territorio, anche sottraendoli dai tribunali provinciali. Facevo l'esempio di Perugia soltanto perché è emblematico di una situazione particolare, con un distretto relativamente circoscritto e tre tribunali piccoli, che sostengono il tribunale di Perugia, che è, però, molto grande.
Colgo l'occasione per chiarire un aspetto che prima ho omesso sull'impatto sulla domanda di giustizia. Questi calcoli non vengono fatti sulle pendenze perché l'arretrato che c'è in un tribunale può derivare da mille ragioni (dall'incapacità del presidente del tribunale a gestire il contenzioso, dal fatto che una collega magistrato è incinta e blocca il ruolo, da una difficoltà a coprire posti vacanti e quant'altro). Quello che conta e che quindi abbiamo misurato - come la delega ci impone - è la domanda di giustizia, ovvero l'indice di sopravvenienza. Sulla base di questo stabiliamo, infatti, se un tribunale sta nei parametri per «sopravvivere». Poi, onorevole Pugliese, siamo fortemente consapevoli che in Italia vi sono delle diversità geografiche, economiche, orografiche, culturali, di impatto di criminalità organizzata e quant'altro rispetto alle quali, fatta la valutazione tecnica, spetterà alla politica stabilire se un tribunale che abbia parametri medio-bassi debba sopravvivere per ragioni sociali, di sicurezza, di controllo di legalità o altro. Questo, però, è totalmente estraneo dalla mia valutazione.
Faccio un ulteriore esempio relativo al tipo di attività che ho svolto nei 24 anni passati nella magistratura penale siciliana. Ovviamente, sarò in condizioni di dire tecnicamente come si fa a misurare l'impatto della criminalità organizzata - come impone la delega - su quel territorio. Bisognerà, innanzitutto, individuare quanti dibattimenti si fanno in periferia che provengono dalla DDA. Tuttavia, ciò non basta, visto che moltissimi dibattimenti - gli onorevoli deputati avvocati lo sanno bene - vengono definiti con l'abbreviato in sede di tribunale in corte d'appello, pur appartenendo a infiltrazioni della criminalità su un certo territorio. Per fare un esempio concreto, l'impatto della criminalità organizzata nella zona di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano, non sarà misurato solo sulla base di quanti dibattimenti si fanno in materia di criminalità organizzata presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ma anche di quanti se ne fanno presso il tribunale di Napoli


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nel corso di giudizi abbreviati che fanno riferimento all'impatto della criminalità organizzata dei Casalesi. Ecco, porto un esempio che riguarda la camorra e non più direttamente cosa nostra.
Tutto questo - insieme all'impatto economico, alla logistica e così via - sarà scrupolosamente vagliato. D'altronde, il mandato che ho ricevuto è di attribuire il massimo del rilievo e dell'importanza ai suggerimenti che vorranno provenire dal Parlamento, compreso quello, se ci sarà una maggioranza in tal senso, di abolire la legge delega o di modificarla, il che si tradurrebbe per me - consentitemi la battuta - in un risparmio di lavoro.

SALVATORE MAZZAMUTO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sul piano delle valutazioni politiche del Governo, vorrei dire che se il legislatore delegante, sulla scorta della complessità della materia, ritenesse opportuno spostare in avanti il termine, ci atterremo, ovviamente, alla volontà del Parlamento. Se, invece, il termine rimarrà quello attuale, è nostra intenzione dare attuazione alla delega.

PRESIDENTE. Ringrazio il Governo della sensibilità mostrata nel partecipare a questo primo incontro con noi. Interloquirò con la presidente affinché stabilisca i contatti con il Governo, che si è già riservato di ritornare dopo aver avuto il resoconto stenografico, per fissare una nuova seduta.
Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 17,05.

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