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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione III
1.
Giovedì 31 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, Presidente ... 3

Audizione dell'ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale, sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio e le priorità dell'Italia per la 63a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Pianetta Enrico, Presidente ... 3 8 12
Boniver Margherita (PdL) ... 9
Colombo Furio (PD) ... 10
Narducci Franco (PD) ... 8
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 11
Tempestini Francesco (PD) ... 10
Terzi di Sant'Agata Giulio, Direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale ... 3 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 31 luglio 2008


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle 8,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dell'ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale, sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio e le priorità dell'Italia per la 63a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione dell'ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale, sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e le priorità dell'Italia per la 63a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
L'ambasciatore Terzi sta per assumere - ed è in questa veste che lo vogliamo ascoltare - le funzioni di rappresentante permanente dell'Italia presso le Nazioni Unite a New York. Lo ringrazio calorosamente per la disponibilità che ha voluto offrire al Comitato con la sua presenza, poiché si appresta a breve ad assumere questo importante incarico alle Nazioni Unite.
Invito l'ambasciatore a svolgere la sua relazione sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio e le priorità dell'Italia in occasione della sessantatreesima sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Non c'è dubbio che gli obiettivi del Millennio rappresentano una grande sfida, un grande impegno per l'umanità e soprattutto per gli organismi che vi presiedono, in particolare le Nazioni Unite. Non c'è dubbio, inoltre, che raggiungere gli obiettivi del Millennio significa anche creare le condizioni per poter raggiungere obiettivi di pace, obiettivi che poi sottendono la promozione dei diritti umani. Mi fa piacere, dunque, che oggi sia presente il presidente del Comitato dei diritti umani della Commissione esteri, l'onorevole Furio Colombo.
Ricordo all'ambasciatore che ha a disposizione quindici minuti per svolgere la sua relazione. Dopodiché i colleghi potranno svolgere considerazioni e porre quesiti.
Ribadendo l'immenso piacere che abbiamo ad averla qui, le do la parola.

GIULIO TERZI DI SANT'AGATA, Direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale. Signor presidente, la ringrazio molto perché per me è un grande onore essere al penultimo giorno del mio ruolo di direttore generale del ministero ed avere la possibilità e l'opportunità di un incontro diretto con gli onorevoli membri del Parlamento e, in particolare, del Comitato


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permanente che è delegato ad approfondire la questione degli obiettivi del millennio.
Oltre ad essermi gradito, questo incontro mi è particolarmente utile, perché effettivamente, come ha detto il presidente, per certi versi esso è propedeutico all'attività preparatoria, che svolgerò a partire dal 20 agosto, di tutta quella complessa serie di iniziative e di attività, ma anche di definizione di policy a livello di amministrazione degli esteri, che sono previste a New York dal 22 al 26 settembre.
Quindi, vi ringrazio. Credo che il lavoro di questo Comitato sia di particolare rilevanza per il Governo, ma soprattutto per il Ministero degli esteri.
Dirò subito che la mia visione sulle tematiche estremamente complesse degli obiettivi del millennio, e soprattutto sul dibattito che si è sviluppato alle Nazione Unite a partire dal vertice del 2000 per poi arrivare a questa revisione di medio termine che ci troviamo dinanzi, è una visione di insieme, come responsabile dell'attività «onusiana», in tutti i suoi aspetti trattati all'Assemblea generale, al Consiglio di sicurezza, al Consiglio dei diritti umani e alla post-conflict Peace-building Commission, ossia la Commissione per la ricostruzione della pace.
Vi sono, alla Farnesina, altre due direzioni generali che vorrei menzionare e che vorrei sottoporre all'attenzione del Comitato, che hanno competenza diretta sulla questione della cooperazione economica e finanziaria: mi riferisco al Ministro Giandomenico Magliano e, sulla cooperazione allo sviluppo in quanto tale, al Ministro Elisabetta Belloni.
La mia breve relazione questa mattina è quella di un generalista che guarda soprattutto alla preparazione dell'Assemblea generale, più che una relazione dettagliata riguardo alla nostra politica di cooperazione allo sviluppo, che naturalmente è estremamente rilevante in questa materia.
Consentitemi di dire che la sfida dello sviluppo e l'approccio richiesto nell'affrontarla sono indubbiamente mutati negli ultimi dieci anni. Siamo stati abituati per anni a vedere una sorta di contrapposizione tra un mondo ricco, abitato da un miliardo di persone, e un mondo povero di 5 miliardi di persone: una contrapposizione che ha fatto sì che la cooperazione allo sviluppo sia stata tradizionalmente affrontata soprattutto nei suoi aspetti e nei suoi valori quantitativi, ovvero nella valutazione dell'ammontare degli aiuti umanitari, strutturali, finanziari da destinare ai Paesi in via di sviluppo. Ed è questa la concezione originaria degli obiettivi di sviluppo del millennio.
Oggi - e a maggior ragione nel 2015 - dovremmo, invece, prendere atto del fatto che una simile concezione, se non è in via di superamento, è perlomeno da affinare considerevolmente, poiché la maggior parte di quei 5 miliardi di persone - circa l'80 per cento dell'umanità, che vive in regioni come l'America latina, l'Asia o l'Europa orientale e centrorientale - si sviluppa molto più rapidamente di quanto non avvenga in regioni e continenti ben individuabili, in particolare l'Africa subsahariana e alcuni Paesi dell'Asia.
La vera sfida dello sviluppo è, perciò, oggi nella difficoltà di intaccare la povertà estrema, cioè di intaccare la povertà di quello che è stato definito l'ultimo miliardo della popolazione mondiale, la cui realtà assomiglia singolarmente, secondo alcuni studi - citerò soltanto quello di Paul Collier, economista di Oxford - alla realtà del XIV secolo: un mondo fatto di guerre interetniche, di epidemie, di analfabetismo.
Il rapporto delle Nazioni Unite sugli obiettivi del millennio per il 2007 ha mostrato come, al di là di alcune aree del mondo in cui sono stati fatti progressi significativi, in generale la situazione a metà strada verso il 2015 non è positiva. Anzi, in termini reali è in via di arretramento, soprattutto con riguardo all'Africa subsahariana. Senza una netta inversione di tendenza, dunque, non sarà possibile raggiungere gli obiettivi nella data prevista. Basti pensare che quel


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miliardo che vive in Paesi bloccati nel sottosviluppo è al 70 per cento proprio in Africa, in zone dove l'aspettativa di vita non supera i 50 anni e dove il tasso di mortalità infantile è al 14 per cento, dove il 36 per cento dei bambini presenta sintomi di malnutrizione cronica, dove il reddito pro capite è cresciuto a ritmi appena percettibili negli ultimi trent'anni.
È come se questo miliardo di persone fosse bloccato su un treno in salita che lentamente arretra e rischia di scivolare indietro.
Di questo passo, se nei prossimi decenni il divario di sviluppo continuerà a separare soprattutto questo miliardo di persone dagli altri 5 miliardi della popolazione mondiale, si creerà, come dice Collier, una vera e propria trappola di una parte dell'umanità nei confronti dell'altra.
Se è vero che molti Paesi in analoghe condizioni di partenza sono riusciti, negli ultimi vent'anni, a sconfiggere l'estrema povertà per ampi strati della popolazione, ci si chiede perché alcuni ci riescano, mentre per altri la condizione resta così drammatica. Per anni si è parlato genericamente di questa situazione e di come poterla scardinare con strumenti nuovi di carattere economico e finanziario, ma soprattutto politico.
Sembra, quindi, che si debba accettare un'impostazione nuova, in un certo senso affinata rispetto alle teorie che sono circolate sinora, che differenzi meglio quella pluralità di ostacoli che frenano lo sviluppo, che affronti le cause intrinseche dell'instabilità regionale, che individui - ad esempio - i fattori di mancanza di risorse naturali, di mancanza di governance, la corruzione e l'inefficienza dell'autogoverno, che individui meglio quali sono le condizioni geografiche e i mutamenti climatici, i conflitti endemici che interferiscono sulle capacità di sviluppo. Per cercare una risposta, occorre veramente accettare a livello globale le molteplici complessità di questo problema.
In poche parole, bisogna capire come un approccio quantitativo, che ha supportato la definizione del Millennium Development Goals, possa essere accompagnato da una architettura qualitativa degli aiuti, che si appoggi, ad esempio, su una ricostruzione veramente efficace dei Paesi falliti, secondo la nuova dottrina della costruzione della pace, del peacebuilding, che mira a creare solide strutture di Governo nel rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.
Tutto questo, a nostro avviso, dovrebbe inquadrarsi in una forma di partenariato più globale, con responsabilità precise, impegni concreti di entrambe le parti, sia della comunità dei donatori sia dei Paesi beneficiari, secondo quell'importante concetto - anche questo è diventato un elemento di particolare evidenza negli ultimi anni - di responsabilità condivisa (mutual accountability); un partenariato che possa guidare la definizione delle politiche, al di là delle contrapposizioni che, purtroppo, abbiamo visto ancora recentemente nel corso dell'ultimo round negoziale di Doha, e che possa portare i Paesi beneficiari e i Paesi donatori a definire delle politiche condivise, già nella fase di formazione di queste politiche.
Per questo motivo, riteniamo che sia indispensabile il ruolo delle Nazioni Unite, dei suoi organi principali, dell'Assemblea generale, dei suoi vertici, dei fondi, delle agenzie e dei programmi. Poiché le Nazioni Unite sono un'organizzazione universale e costituiscono il foro naturale per la definizione di politiche e strategie globali.
Ovviamente, la rilevanza degli obiettivi del millennio va oltre l'ambito delle Nazioni Unite e si estende ad altri fora di cui l'Italia è parte autorevole, come ad esempio il G8. Questo è un aspetto significativo in vista della presidenza italiana: la ricerca di una soluzione, anche all'interno del G8, per questo miliardo di persone demunite e con oggettive capacità di agganciarsi al trend di sviluppo del resto dell'umanità. È anche questo un tema particolarmente influente sul G8, soprattutto quando esso ricerca - e lo ricercherà soprattutto la presidenza italiana - delle formule nuove anche sotto


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il profilo della composizione dell'outreach. Noi riteniamo, infatti, che anche le tematiche di sviluppo, che sono legate all'ambiente, all'energia, al commercio internazionale, giustifichino - e, anzi, debbano incoraggiare - una ricerca di composizioni nuove.
Si è parlato in questi giorni non soltanto di mantenere la struttura dei G5 come aggiuntiva di un dialogo con i G8 originari, ma anche di trovare nel G8 formule più elastiche, più flessibili, che associno, ad esempio, Paesi come l'Egitto, l'Arabia Saudita o altri grandi Paesi del continente africano.
È proprio su questa tematica, dell'individuazione del ruolo di altre istanze internazionali, nelle quali l'Italia ha un peso rilevante, che sarà importante seguire e preparare la linea della presidenza italiana del G8, come linea che sostiene, anche essa, il perseguimento oggettivo degli obiettivi del millennio.
Gli obiettivi del millennio, nella loro strutturazione, sono ben noti a questo Comitato. Credo che i documenti siano stati ampiamente diffusi. Non credo, dunque, che sia necessario soffermarmi sugli otto temi essenziali che sono: sradicare la povertà estrema e la fame, rendere universale l'educazione primaria, promuovere l'eguaglianza di genere, ridurre la mortalità infantile e via elencando, sino all'ottavo che è quello di sviluppare una partnership globale per lo sviluppo.
All'interno di queste grandi categorie, vi sono delle definizioni di percorso che riguardano il tasking che i Paesi che aderiscono sono impegnati a seguire. Per fare un esempio, l'obiettivo numero uno del millennio - sradicare la povertà estrema e la fame - si suddivide in tre target specifici, ovvero: dimezzare tra il 1990 e il 2015 la percentuale di persone il cui reddito è inferiore a un dollaro al giorno; raggiungere la piena e produttiva occupazione; dimezzare tra il 1990 e il 2015 la percentuale di persone che soffrono la fame. Ho citato questo esempio perché questa suddivisione in target riguarda ognuno degli otto obiettivi ed è la linea guida, il modo in cui la comunità internazionale intende tracciare il percorso per tutti i Paesi membri dell'ONU, nella certezza che vi siano delle politiche coerenti di sviluppo.
La sessantatreesima UNGA (Assemblea generale delle Nazioni Unite) è dominata da questo tema. Innanzitutto, per una iniziativa che ha avuto la sua origine in una idea del Primo ministro britannico di dedicare la giornata del 25 settembre alla discussione delle politiche sugli obiettivi del millennio, idea ripresa poi in modo ufficiale e fatta propria dal Segretario generale delle Nazioni Unite, che l'ha inserita nel calendario ufficiale del dibattito dell'agenda. Inoltre, anche perché, attorno a questa idea di caratterizzare in modo così marcato la sessantatreesima UNGA con gli obiettivi del millennio, si è poi sviluppata una serie di iniziative di gruppi di Paesi o di singoli Paesi, che tendono, in eventi collaterali e di sostegno al dibattito principale, ad ampliare e a rendere ancora più corale la partecipazione di tutta la comunità internazionale a questo obiettivo.
Per parte italiana, ci siamo inseriti, direi autorevolmente, in questo percorso. Stiamo mettendo a punto un side event dedicato al contributo che gli enti locali e le municipalità possono dare alle politiche nazionali nel perseguimento degli obiettivi del millennio; credo che tra poco - lo anticipo in questa sede perché credo che sia di particolare interesse per questo Comitato - riusciremo a rendere noti i dettagli di un evento in via di organizzazione per il 24, che riguarda, appunto, il contributo delle municipalità, iniziativa che viene portata avanti congiuntamente dal Governo italiano e dal comune di Milano, insieme ad alcune altre municipalità di qualificati Paesi in via di sviluppo.
Tale quadro della sessantatreesima UNGA, dunque, è di estremo interesse per la nostra partecipazione. Il Parlamento italiano dovrebbe essere presente, come tradizionalmente è stato deciso, con una piccola delegazione di osservatori parlamentari. Credo che anche questo sia un progetto in via di definizione, ma ci


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sarà comunque la possibilità di una osservazione diretta di tutta questa fase di lavori, nel corso dell'Assemblea.
Quanto alla posizione italiana in rapporto agli obiettivi del millennio, il fatto che ci troviamo piuttosto indietro per quanto riguarda il rispetto degli impegni quantitativi è una constatazione abbastanza ovvia. Ai sensi di quanto concordato dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002, infatti, il rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo nel 2006 avrebbe dovuto essere pari allo 0,33 per cento, mentre la percentuale italiana si è attestata allo 0,20, per scendere poi allo 0,19 per cento nel 2007. Nonostante la riduzione in termini percentuali dell'aiuto pubblico allo sviluppo, si nota comunque un suo lieve aumento in valore assoluto.
A questi impegni di carattere generale, che abbiamo assunto nelle sedi istituzionalmente competenti a livello internazionale, si aggiungono degli impegni più specifici assunti in sede UE, tra i quali la nostra partecipazione ai finanziamenti della Commissione dedicati allo sviluppo. Si tratta di impegni che - lo ricordo ancora una volta - sono collegati a dei parametri quantitativi ma, in modo sempre più consistente, anche ad una valutazione di qualità di questo aiuto.
Vi è un livello qualitativo che si fa strada, come concezione, che viene affermato in modo sempre più evidente anche dai consigli europei, dai consigli di sviluppo e dalle diverse istanze comunitarie.
Anche in ambito G8, a partire dal 2005, l'aspetto dello sviluppo e il riferimento al Millennium Development Goals appare particolarmente marcato. L'Italia si è sempre attivata perché ciò avvenisse in modo definito e sempre più preciso. Abbiamo alcune priorità italiane nel Millennium Development Goals: sicuramente i tre obiettivi legati alla sanità, ossia i goal 4, 5 e 6, soprattutto tramite il sostegno al Fondo Globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria (nel solo 2007 sono stati erogati ben 410 milioni di euro). Abbiamo degli interessi italiani per quanto riguarda le tematiche di genere e per quanto riguarda le tematiche della formazione; sosteniamo con impegno considerevole lo Staff College delle Nazioni Unite a Torino e il Centro di formazione OIL.
Come dicevo, gran parte dell'APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo) italiano resta comunque destinato al raggiungimento del primo degli otto obiettivi, che è anche il più generale, ovvero la lotta contro la povertà e la fame. Questo si collega all'azione che il nostro Paese sostiene nell'ambito del polo agricolo romano delle Nazioni Unite (FAO-IFAD), specialmente in questa congiuntura nella quale l'aumento dei prezzi e l'emergenza alimentazione è tornata ad essere un argomento centrale.
Ancora una volta, si tratta di un tema da vedere in collegamento alla prossima presidenza italiana del G8. Riteniamo, da parte del Ministero degli affari esteri, che sarebbe certamente importante poter sostenere un aumento complessivo dell'impegno italiano sul fronte della cooperazione allo sviluppo. L'onorevole Boniver, come sottosegretario al Ministero degli affari esteri, sa quanto questo argomento sia complesso e quanto impegno abbia richiesto il Governo. Effettivamente, il Governo italiano insieme agli altri principali Governi europei vive la difficoltà non soltanto di mantenere dei tassi di crescita realisti, ma anche di contabilizzazione dell'aiuto pubblico allo sviluppo; ad esempio, ci rendiamo conto sempre più che alcuni fattori legati alla cooperazione decentrata, legati al contributo che per esempio gli enti locali danno, non sono successivamente riflessi nella contabilità OCSE-DAC. Questo, però, è un argomento complicato, sul quale ci sono delle percezioni, ma è molto difficile fare delle analisi documentate e di carattere econometrico.
Ho già accennato, nel corso di questa breve illustrazione di avvio, al ruolo del G8, che sicuramente si accompagna a quello delle Nazioni Unite, ma in qualche modo rientra complessivamente sotto questo ombrello di attività che l'Assemblea


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generale intende promuovere. Ho accennato anche ai concetti di partnership globale e di mutual accountability, sui quali vorrei tornare, proprio per testimoniare come nel dibattito internazionale e nel dialogo anche fra i diversi raggruppamenti di Paese delle Nazioni Unite questi concetti si stiano veramente consolidando e come convenga, per parte nostra, sostenere questo trend concettuale, perché esso è strettamente collegato a quello della governance e dello stato di diritto.
Vorrei concludere mettendo in evidenza la rilevanza dell'azione italiana per quanto riguarda la cancellazione del debito dei Paesi più poveri. Quello compiuto negli ultimi anni, con la cancellazione quasi totale del nostro credito nei confronti di questi Paesi, è stato un gesto che ci ha portato avanti anche sul piano del conseguimento di medio termine degli obiettivi di sviluppo. Siamo, in questo campo, tra i Paesi che hanno dato il contributo più significativo per quanto riguarda la cancellazione. Abbiamo seguito una politica di cancellazione del 100 per cento dei Paesi altamente indebitati. A partire dal 2001 l'Italia ha cancellato ben 3,18 miliardi di euro di debito dei Paesi definiti Heavily Indebted Poor Countries.
Oggi 33 di questi 41 Paesi hanno beneficiato di iniziative di cancellazione del debito parziale o totale. Tuttavia, il debito residuo, nei confronti di altri Paesi diversi dall'Italia, ammonta ancora indicativamente a 1,37 miliardi di dollari.
Naturalmente, vi sono, anche in questo campo, delle particolari attenzioni che bisogna prestare al modo in cui la cancellazione del debito viene effettuata.
La prima di tutte è quella di evitare che si creino degli effetti sostitutivi o delle utilizzazioni della maggior solvibilità internazionale dei Paesi che hanno beneficiato della cancellazione del debito che determinino quella che potremmo chiamare, anche in questa sede, una sorta di spirale negativa; occorre evitare che i Paesi che hanno ottenuto questo beneficio possano ritornare a pratiche non particolarmente sane dal punto di vista finanziario o che addirittura i Paesi che concedono i crediti possano utilizzare questi ultimi per incoraggiare tali pratiche non completamente corrette. Questo è un aspetto di policy che deve essere seguito con particolare attenzione.
Desidero, infine, concludere queste mie brevi note ribadendo come da parte del Ministero degli affari esteri, e mia personale, sia particolarmente importante una riflessione con il Comitato permanente. Mi auguro di poter ottenere indicazioni utili alla missione che sto per iniziare a New York. Da parte mia è viva l'aspettativa di poter collaborare anche a New York direttamente con i parlamentari di questo Comitato. Mi auguro che possano venire all'Assemblea generale o, in altre occasioni, alle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore per l'ampia e completa illustrazione che ci ha fornito. Senza dubbio il riferimento ad una situazione in via di arretramento rispetto agli obiettivi del 2015 ci preoccupa. Infatti, direi che il punto fondamentale è riuscire a trovare le modalità che possano condurre alla concreta realizzazione degli obiettivi prefissati.
Ringrazio l'ambasciatore per l'accenno che ha fatto all'impegno dell'Italia su questo fronte. Non c'è dubbio che questo Comitato vorrà avere con lei una continua collaborazione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO NARDUCCI. Signor presidente, ringrazio l'ambasciatore Terzi per questa esaustiva e ampia relazione, anche se il tempo limitato non ha consentito di andare ancora più a fondo.
Noi abbiamo avuto già, nelle Commissioni riunite affari esteri e agricoltura di Camera e Senato, l'audizione del presidente dell'IFAD, Lennart Båge. Tale audizione è stata molto importante ai fini di una messa a fuoco ancora più approfondita degli obiettivi del Millennio.


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A me pare - ma vorrei sentire il suo parere in merito - che ci sia un avvitamento un po' marcato della crisi e non soltanto per il fallimento di quest'ultimo incontro di Ginevra sugli accordi di Doha e dell'Organizzazione mondiale del commercio; da una parte c'è la crisi finanziaria e dall'altra parte, con il precedente Governo era stato fatto uno sforzo enorme per cercare di riportare la partecipazione dell'Italia a raggiungere gli obiettivi del Millennio, ma adesso sappiamo tutti che, anche a causa della manovra di finanza pubblica, dobbiamo fare i conti con minori disponibilità di risorse finanziarie.
Tuttavia, credo che questo ritorno ad accordi negoziati su un piano bilaterale tra gli Stati, piuttosto che attraverso la forma del multilateralismo sia preoccupante da un punto di vista politico. Credo che questa sia una spinta veramente pericolosa se non le si pone un freno, se non si ritrova il dialogo e la possibilità di tenere sul tavolo negoziale questi temi che interessano tutta l'umanità, come la crisi alimentare, la siccità, il clima eccetera. È importante non cedere all'egoismo degli accordi bilaterali; basti pensare al Messico che da esportatore di mais verso gli Stati Uniti, ora è dovuto diventare (dico «dovuto» perché questo è il gioco del commercio) importatore del mais dagli Stati Uniti, all'interno del Nafta.
Credo che da parte di tutti Governi - a cominciare dall'Italia che avrà la Presidenza del G8 - ci debba essere un interesse forte, vero per cercare di riportare queste tematiche all'interno del multilateralismo, come approccio per affrontare i problemi. Credo, infatti, che il benessere dei Paesi ricchi sia minacciato fortemente dalla povertà dei Paesi poveri. Basti pensare alle invasioni delle nostre coste da parte di persone disperate che non arretrano nemmeno di fronte alla certezza che potrebbero morire.
Essendo il Governo chiamato a questo importante ruolo nel futuro prossimo, credo che si debba veramente fare uno sforzo nella direzione che ho indicato. Vorrei sentire da parte dell'ambasciatore, anche nell'ambito dell'ONU, un suo giudizio su quello che si può fare.

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, naturalmente anche io ringrazio l'ambasciatore e gli auguro buon lavoro. Avrà un compito decisamente complesso soprattutto per due fattori. Innanzitutto, perché la riforma delle Nazioni Unite è ben al di là dell'essere un fatto compiuto. Dopo quasi un decennio di discussione sulla riforma del Consiglio di sicurezza, stiamo praticamente al punto di prima; questo non è un fatto negativo per l'Italia, però ci sono sempre i fantasmi della possibilità che ci sia un allargamento e una nostra esclusione. Credo, dunque, che questa sia una questione da affrontare molto seriamente.
In secondo luogo, anche fare politica estera con mezzi del tutto insufficienti, quali sono quelli sia del Ministero sia della cooperazione allo sviluppo, è un compito assolutamente arduo.
Vorrei, però, menzionare una questione che l'ambasciatore non ha menzionato, ma che certamente arriverà sul suo tavolo a breve tempo, ossia la preparazione e lo svolgimento dell'evento monstre Durban 2 che avrà luogo, credo, nel 2009 o nel 2010. Se sarà un replay di quello al quale io ho assistito nel 2001 nella bella cittadina sudafricana, è un evento non soltanto assolutamente inutile, ma particolarmente dannoso. Mi riferisco alla imponente conferenza dell'ONU su razzismo, xenofobia e via dicendo, che nel 2001 era diventata una vera e propria platea per mettere sotto accusa l'Occidente, con riferimento alla questione della schiavitù e della richiesta del risarcimento. L'altro grande bersaglio, come è ovvio in tutti questi grandi eventi ONU che riguardano i diritti umani, era Israele e nient'altro.
Adesso è cambiato il Segretario generale e quindi il nuovo Segretario forse potrà avere un timbro diverso; tuttavia, se si dovesse ripetere una conferenza dello stesso tipo caratterizzata dal malevolo impegno del 2001, credo che sarebbe


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un enorme spreco. Mi auguro che lei, insieme ai suoi colleghi dei Paesi europei o non europei, possa veramente vigilare affinché non ci sia questa ripetizione.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor presidente, innanzitutto rivolgo i miei auguri all'ambasciatore per il delicatissimo incarico che va a ricoprire.
Lo dico perché naturalmente il ruolo internazionale dell'Italia in questo momento, a nostro - o almeno a mio - giudizio, è un ruolo che è ancora tutto da definire. Penso che il prestigio di questo Paese nella rete internazionale si realizzi essenzialmente nel modo in cui si risolvono le grandi questioni di policy che ci sono, non difendendo posizioni puramente di standing. Io penso, ad esempio, che sulla questione del G8 ci sarebbe da fare una riflessione seria su quali siano i veri nostri interessi.
Questa naturalmente è una questione che vedremo nel futuro, avendola iscritta all'ordine del giorno.
Sul punto, ho apprezzato molto la sua relazione, perché tra le righe colgo alcuni elementi. In questa materia, dal mio punto di vista, ci sono due rischi. C'è una trappola della retorica che è abbastanza insopportabile, vi sono alcune enfatizzazioni che non servono a niente, e di fatto coprono sostanziali inefficienze e incapacità di governance. Questo è tipico anche di tante strutture delle Nazioni Unite la cui crisi è sotto gli occhi di tutti; ne abbiamo un esempio in questa stessa città. La trappola retorica, dunque, va evitata.
L'altra è la trappola quantitativa. Come ha detto l'ambasciatore, tornandoci più volte, il problema fondamentale, accanto alla ovvia considerazione che il problema quantitativo è fondamentale, è quello di come spendere e di come far sì che i circuiti della spesa diventino virtuosi. Io credo che, in generale, siamo molto lontani. È stato fatto un accenno alla questione della contabilità: questo può riguardare il bilancio nostro, ma in generale riguarda il bilancio delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni. Da questo punto di vista, penso che, volendo affrontare con spirito di servizio la questione del Millennium, come Comitato possiamo trarre questo spunto, questa indicazione, dalle osservazioni dell'ambasciatore. Mi riferisco al concetto di un partenariato più globale, centrato su impegni reciproci più precisi, e a tutte le questioni che sono intorno alla tematica della cancellazione del debito. Sono tutti temi che, a mio parere, riguardano l'approccio qualitativo. Io penso che su questo, come Comitato, dobbiamo ringraziare l'ambasciatore, perché ci ha indicato una pista che dobbiamo seguire.

FURIO COLOMBO. Vorrei esprimere all'ambasciatore Terzi l'augurio più caro che quanto sta per fare sia all'altezza di quello che ha già fatto fino ad ora, nella sua attività e nella sua vita.
Vorrei anche sollevare per un istante un problema che in realtà tormenta le istituzioni internazionali come tormenta i Governi: l'oscillazione continua fra scenari troppo grandi di fatti positivi e grandiosi, e scenari troppo grandi di situazioni paurose e di tregenda. L'opinione pubblica oscilla fra questi due scenari e in mezzo, all'improvviso, sorgono fatti, conferenze, eventi e cerimonie, nelle quali si promettono ampie soluzioni e non si trovano piccole risposte.
Mi serve come esempio, se parliamo per un istante del Medioriente, esclusivamente per proporre un'analogia: siamo capaci di fare all'improvviso straordinarie conferenze che ci promettono anni di pace, entro pochi anni, nel Medioriente, ma non siamo capaci - mi riferisco ai Governi e alle organizzazioni internazionali che li rappresentano - di liberare un solo ostaggio, il caporale Shalit. Non riusciamo a fare quell'unica cosa, ma siamo pronti a partecipare con vigore e parole vibranti ad eventi che ci promettono, appunto, grandi soluzioni.
Io credo che per quanto riguarda il percorso italiano, s in America, alle Nazioni Unite o nella vita italiana, su un versante politico o su un altro (questo


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non è un carattere differenziante), ci si dovrà - lo auguro con tutto il cuore - sforzare di concentrarsi su alcune piccole operazioni che si possono realizzare davvero. Altrimenti, ci si avvolge in grandi nubi di progetti o promesse, che vanno addirittura al di là della parola «Millennio», che già in sé è grandiosa, e che promettono l'impossibile.
Se questo fosse metodologicamente l'impegno, sarebbe un bellissimo modo di operare, che lo distinguerebbe dagli altri, che purtroppo sono tutti simili nella loro grandiosità generica.

FIAMMA NIRENSTEIN. Innanzitutto, vorrei fare i miei più sentiti auguri all'ambasciatore Terzi, che sa quanto essi siano sentiti, per questo suo nuovo incarico che è difficilissimo, così come lo è l'ONU, che ha una serie di facce e controfacce che sono quelle più problematiche per il nostro pianeta. Non ho qui purtroppo modo di elencarle, ma ho speso parecchio tempo a farlo in passato, nei miei libri.
Vorrei fare una sola osservazione, che si trasforma in una domanda. Il mondo che è funestato dalla fame, anche dalla fame più estrema, molto spesso è funestato anche da regimi dittatoriali e dalla difficoltà enorme di far pervenire gli aiuti che vogliamo inviare attraverso delle barriere di acciaio e talora di vetro, che si travestono, anche ideologicamente, in maniera tale da conquistare la nostra pietà, non la nostra fiducia, che tuttavia non sappiamo come sostanziare.
Mi domando allora se, fra i meccanismi previsti in questa grande operazione che ci è stata qui così ben descritta, ve ne siano di quelli che, dato che abbiamo esperienze che gli aiuti non sempre arrivano, o che vengono spesso usati in maniera anche terribilmente lontana dal modo in cui presupponiamo che debbano essere usati, possano consentire di attraversare queste barriere.

PRESIDENTE. Do la parola al Direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale, per la replica.

GIULIO TERZI DI SANT'AGATA, Direttore generale del Ministero degli affari esteri per la cooperazione politica multilaterale. Vorrei ribadire brevemente la mia fortissima gratitudine per le preziose indicazioni che mi sono state fornite, indicazioni estremamente importanti.
Vorrei riprendere molte delle osservazioni fatte dagli onorevoli Narducci, Tempestini, Boniver, Colombo e Nirenstein nei dettagli, ma credo che il segnale di fondo, reale, sia l'indicazione di un'azione italiana presso le Nazioni Unite, a tutto campo, ma ispirata alla concretezza e alle operazioni realizzabili.
Forse si tratta di piccole cose, come diceva l'onorevole Colombo, ma fattibili, che devono tenere in grande evidenza i valori di riferimento. Come diceva Churchill, infatti, le grandi cose si rifanno sempre a concetti semplici, come libertà, dignità, onore, diritti della persona. Su questi concetti semplici, possiamo lavorare attraverso meccanismi pragmatici. Per esempio, in ECOSOC si possono trovare dei collegamenti più diretti con le IFI: si era provato anni fa ad individuare tali meccanismi; un altro esempio è la task force istituita dal Segretario generale a margine del vertice FAO di Roma.
Vorrei ricordare ancora i grandi valori di riferimento per le Nazioni Unite. Per quanto riguarda, ad esempio, gli aiuti umanitari, abbiamo episodi vergognosi di sequestro e di taglieggiamento di questi aiuti, di strumentalizzazioni degli stessi, come abbiamo visto in Somalia; sui diritti umani vediamo le discussioni bloccate in alcuni importanti organismi delle Nazioni Unite. E mi collego alla questione della Conferenza preparatoria di Durban e all'azione che noi italiani stiamo svolgendo insieme ad altri europei, per evitare, nel modo più fermo, che si ripetano strumentalizzazioni di contesti nei quali esistono invece obiettivi prioritari da raggiungere. Purtroppo, invece, vediamo spesso ribaltare - ma questo non avviene solo a Durban, avviene qualche volta anche nel Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra e può avvenire anche in ECO


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SOC a New York - queste priorità su altri aspetti di natura politica complessiva di talune crisi regionali.
Per quanto riguarda le piccole operazioni concrete da realizzare, credo che sia molto importante l'invito rivolto ad impegnarci seriamente, perché effettivamente questa è una linea di continuità della Farnesina e della rappresentanza a New York, affinché si individuino delle soluzioni ai rischi di arretramento che stingono gli obiettivi del Millennio.

PRESIDENTE. Signor ambasciatore, noi la ringraziamo e continueremo senz'altro - come lei ha detto - questo percorso di collaborazione. Le auguriamo buon lavoro. La sua grande esperienza rappresenta una garanzia di continuità rispetto all'impegno ed alla tradizione degli illustri Ambasciatori che l'hanno preceduta in questo impegnativo incarico.

La seduta termina alle 9,40.

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