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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione III
6.
Giovedì 19 febbraio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Zacchera Marco, Presidente ... 3

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica, sulle politiche per gli italiani all'estero nel 2009 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Zacchera Marco, Presidente ... 3 10 17 22
Centemero Elena (PdL) ... 13
Di Biagio Aldo (PdL) ... 13
Farina Gianni (PD) ... 14 20 21 22
Garavini Laura (PD) ... 3
Mantica Alfredo, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri ... 4 11 12 17 20 21 22
Narducci Franco (PD) ... 3 10 11 12 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sugli italiani all'estero

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 19 febbraio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCO ZACCHERA

La seduta comincia alle 12,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica, sulle politiche per gli italiani all'estero nel 2009.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Alfredo Mantica, sulle politiche per gli italiani all'estero nel 2009.
Desidero esprimere il mio profondo disappunto per l'assenza di numerosi colleghi, essendoci oltretutto lamentati per l'assenza del Governo!

FRANCO NARDUCCI. Lei sa benissimo, signor presidente, che a queste audizioni tutti i parlamentari dell'opposizione sono stati sempre compattamente presenti.

PRESIDENTE. Questo, infatti, l'ho detto in pubblico e in privato.
Prima di dare la parola al sottosegretario Mantica, ha chiesto di intervenire la collega Garavini.

LAURA GARAVINI. Grazie, presidente. Intervengo semplicemente per scusarmi, dal momento che in concomitanza dei lavori del Comitato si tiene l'audizione al Ministro Alfano presso la Commissione antimafia, dove io sono capogruppo, per cui non mi sarà possibile seguire l'audizione del sottosegretario Mantica, il che mi rincresce particolarmente. Ho però scritto alcune domande che volevo rivolgere al sottosegretario, il cui testo gli consegnerei volentieri.
Approfitto dell'occasione per ricordare che, ad esempio, il collega Porta è in missione e che, quindi, la sua assenza è chiaramente giustificata. Credo che altri colleghi ci raggiungeranno. Almeno da parte dell'opposizione c'è un'estrema attenzione a questa presenza e ritengo che questa audizione, da noi richiesta, sia quanto mai importante ed opportuna, anche alla luce degli sviluppi attuali delle politiche per gli italiani all'estero.

PRESIDENTE. Ringrazio veramente - non formalmente - per la sua presenza il sottosegretario Mantica, cui do il benvenuto.
Vorrei ricordargli brevemente i motivi per cui siamo qui. Noi abbiamo fatto una programmazione trimestrale dei lavori del Comitato, prevedendo una serie di audizioni, che si stanno svolgendo, e stabilendo una serie di priorità, tra cui: contribuire a stendere un testo, il più possibile condiviso, di riforma dei Comitati degli italiani residenti all'estero (COMITES) e del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE); sottolineare alcune problematiche concernenti la diffusione della stampa italiana nel mondo e, soprattutto, alcuni problemi relativi al settore della cultura e delle scuole italiane all'estero - che, come si sa, nella legge finanziaria hanno avuto


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alcuni problemi -; e analizzare alcune tematiche relative all'organizzazione consolare, sui quali si chiede al Governo di fornire delle risposte. Questi erano i temi che avevano indotto il Comitato a chiedere la sua audizione.
Do la parola al sottosegretario Mantica per lo svolgimento della relazione.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Grazie, presidente. Innanzitutto, vorrei dire che sarebbe opportuno, invece di fare queste audizioni di carattere generico - che non so quanto diventino produttive, nel tempo - fissare qualche punto in agenda, altrimenti ogni volta ripetiamo anche molte cose.
Prenderò spunto dalle domande dell'onorevole Garavini e dalla questione dei consolati per dare almeno alcune prime risposte concrete che, in questo momento, mi pare siano necessarie.
Sostanzialmente parliamo della fase attuale, seguita ai tagli attuati dalla legge finanziaria, di cui credo siate tutti edotti, perché ormai sono dati ufficiali di bilancio.
La questione dell'insegnamento della lingua italiana all'estero, alla fine di tutte le questioni e anche con il recupero dei sei milioni per l'assistenza, è la voce più deficitaria, quella su cui i tagli hanno inciso più pesantemente, nell'ordine di circa il 35 per cento.
Mi è stato chiesto quali siano stati i criteri seguiti nell'assegnazione delle risorse per l'insegnamento della lingua italiana all'estero: sono quelli dei tagli orizzontali, nel senso che non ci possono essere valutazioni diverse.
Si può anche immaginare, come si chiede nelle domande lasciate dall'onorevole Garavini, il coinvolgimento dei COMITES, dei CGIE e dei parlamentari nell'assegnazione delle risorse alle singole istituzioni, ma lo si può fare in una programmazione quinquennale di stampo sovietico. Solo così possiamo immaginare cosa assegnare nel 2016. Voglio così far notare che esiste anche un problema di tempi.
Vorrei poi ricordare che c'è una netta distinzione tra il Parlamento e l'Esecutivo, a mio parere. Non credo che si possa mai accettare - certamente io non lo accetterò - di aprire un dibattito sulle singole assegnazioni. Mi sembra doveroso sottolineare, invece, che la spinta rappresentata da questi tagli non è stata osservata da parte di nessuno. Questo mi preoccupa, perché il discorso che sto facendo ha un valore se partiamo dal ragionamento sui tagli e sulle strutture con cui insegniamo la lingua italiana.
Per fare un brevissimo riepilogo, noi abbiamo sostanzialmente tre istituzioni - o tre sistemi, se volete - che insegnano la lingua italiana.
Uno è quello degli enti gestori, che io chiamo «privato», non perché tali enti siano privati, ma perché, in termini di bilancio, sono soggetti a trasferimenti. Non sono, cioè, questioni che attengono alle istituzioni dello Stato. Quando si taglia sui trasferimenti, i tagli arrivano più pesantemente, dal momento che non vi sono vincoli come quelli rappresentati da dipendenti, contratti, funzionari, sedi eccetera.
Credo che il sistema degli enti gestori possa essere indicato - con una definizione accettabile da ogni parte, oserei dire - come «sistema privato» di insegnamento della lingua italiana. Esso è quello più facilmente sottoposto ai tagli orizzontali ed è quello che, nel complesso del sistema, ha ricevuto il famoso taglio del 35 per cento.
C'è poi un altro tipo di struttura, che chiamo «pubblica», nel senso che sostanzialmente riguarda strutture nelle quali insegnano docenti italiani dipendenti del Ministero della pubblica istruzione, che vengono mandati all'estero. Tale struttura è certamente gestita dal Ministero degli esteri di concerto con il Ministero della pubblica istruzione, eseguendo leggi, regolamenti e consuetudini del Ministero della pubblica istruzione. Questo è il settore che ha subito meno tagli.
Infine, c'è la terza area, quella degli istituti italiani di cultura, che ha una funzione diversa. Essi svolgono sul territorio


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una funzione di insegnamento della lingua italiana, anche se normalmente non si occupano di insegnamento in età scolare, bensì in età adulta.
Se questo è il pacchetto delle strutture, allora, un primo grande problema è che evidentemente i tagli incidono a macchia di leopardo, ossia gravano più pesantemente nelle zone dove prevale il privato e molto meno in quelle dove prevale il pubblico. Questa è una prima osservazione di carattere politico, che va al di là del taglio delle spese.
Il primo problema che noi ci siamo posti in questo momento, quindi, è stato di individuare tutte le aree di sovrapposizione o di maggior forza e di cercare un riequilibrio della presenza delle varie strutture, per avere una presenza più omogenea, compatibilmente con le strutture disponibili. Questo della flessibilità fra le diverse strutture, peraltro, è un tema di grande rilevanza.
Voglio ricordare ai parlamentari che l'allora Ministro degli esteri Beniamino Andreatta - quindi circa quindici anni fa - con una circolare, aprì la questione degli enti gestori e di un intervento di strutture più elastiche, più flessibili rispetto a quelle della scuola pubblica. Non dico che oggi sia giunto il momento di un'altra «circolare Andreatta», ma dico che forse è venuto il momento di affrontare anche il tema dell'equilibrio tra le diverse strutture e i diversi livelli di efficienza, evidentemente anche rapportandoli ai costi. Credo che non sfugga a nessuno la differenza di costo tra gli insegnanti mandati dall'Italia e altri magari assunti in sede.
Siccome i tagli sono quelli che sono e siccome non penso - non per essere pessimista, ma per fare un ragionamento obiettivo - che nel 2010 e nel 2011 avremo più soldi di quelli che abbiamo oggi dal bilancio dello Stato, noi dobbiamo rispondere a questa situazione.
All'interno della nostra struttura, lo faremo coordinando le tre grandi aree (pubblico, privato, istituto italiano di cultura) nella fase di razionalizzazione; con l'impegno, per quanto riguarda quest'anno, di recuperare qualche ulteriore fondo a livello di assestamento di bilancio, perché ci rendiamo conto che il problema, così com'è oggi, si manifesterà con la riapertura delle scuole a settembre. Intendo dire che, forse, molti chiuderanno i corsi attualmente in essere - parlo soprattutto degli enti gestori, ovviamente - e che il problema esploderà più pesantemente all'avvio dei corsi dell'anno scolastico 2009-2010.
Questo è il primo obiettivo. Non è facile raggiungerlo e non do per scontato che avverrà: posso solo dichiarare il mio impegno per il suo raggiungimento, almeno nel cercare questa prima soluzione in fase di assestamento di bilancio.
Il secondo obiettivo, evidentemente, è quello di un coinvolgimento più pesante del Ministero della pubblica istruzione nelle strutture che lo riguardano.
Non è un tema facile. Ci sono anche delle realtà nelle quali io credo che sarebbe magari opportuno, invece di fare le solite dichiarazioni generiche sul taglio ai corsi di lingua italiana e di piangere tutti, mettere in discussione anche alcune presenze storiche, sebbene abbiano un valore fondante. Vorrei sapere dai membri di questo Comitato qual è il significato, per esempio, della scuola italiana di Asmara nelle sue condizioni attuali, visto che insegna a tre bambini italiani.
Mi domando se invece di affermare genericamente l'esistenza di drammi, non si debba, anche da parte del Parlamento - che ha tutti gli strumenti e le conoscenze del caso - avviare scientemente un processo di razionalizzazione, per incrementare l'efficienza delle strutture che, a mio giudizio, ancora hanno molto da offrire in termini di efficacia, prima ancora di parlare di costi. Di questo sono profondamente convinto.
Come sempre, cambiare queste cose non è facile, ci sono tempi, regolamenti e procedure da rispettare, ma questa è l'unica strada che io credo noi possiamo percorrere, almeno per gli anni 2009, 2010 e 2011.
Lo stesso discorso vale, ovviamente, per tutte le altre spese attinenti gli italiani all'estero.


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Sull'assistenza giustamente non si lamenta nessuno, perché abbiamo sostanzialmente recuperato i livelli di assistenza del 2008. Le differenze non incidono sull'efficacia dei servizi che rendiamo. Direi che queste sono le due voci principali attorno a cui ruota il dibattito.
Un terzo discorso riguarda i consolati. Anche su questo credo che ci debba essere estrema chiarezza. I consolati fanno parte della rete diplomatica: non sono municipi all'estero, non sono di competenza né dei COMITES, né dei parlamentari italiani all'estero. I consolati sono una struttura ministeriale che, ovviamente, in questa situazione, saranno anch'essi oggetto di attenzione e di un piano di razionalizzazione. Quando il Governo avrà pronto il suo piano di realizzazione, lo comunicherà nei tempi e nei modi dovuti alle Assemblee parlamentari (Camera e Senato) e ai comitati.
A tale riguardo, avrei piacere di essere informato dal Parlamento su quante sono le sedi nelle quali il Governo deve riferire, perché al momento mi risulta che io debba intervenire cinque volte sulla razionalizzazione dei consolati: al Comitato italiani nel mondo del Senato; alla Commissione esteri del Senato; al CGIE; al Comitato italiani nel mondo e alla Commissione esteri della Camera.
Se facessimo una razionalizzazione anche dei tempi che passiamo a discutere dei consolati, credo che potremmo portare un sano contributo allo sviluppo democratico del Paese.
Torno ai consolati. Stiamo approvando un piano, le cui linee sono certamente chiarissime. Anche in questo caso parlo dei Paesi in cui c'è una presenza di italiani nel mondo, quindi, grosso modo, di trentasette Paesi e delle relative strutture diplomatiche.
Quando parlo dei consolati, non credo che vi interessi il consolato di Dubai o quello di Mumbai. Mi dispiace perché, per quanto riguarda la struttura diplomatica, sono importanti quanto quello di Buenos Aires, anche se svolgono funzioni diverse.
Precisato che stiamo parlando dei consolati che ritengo di vostro interesse, ossia di quelli dei trentasette Paesi nei quali c'è una forte presenza di italiani all'estero, i criteri con i quali stiamo affrontando questo argomento sono estremamente semplici. Non credo, salvo casi eccezionali, che verranno toccati o ridotti i consolati al di fuori dell'Europa. In gran parte - o, se volete, nel 90 per cento dei casi - il problema della razionalizzazione riguarda il territorio europeo.
Ringrazio l'onorevole Garavini di essere rientrata. Mi dispiace se ho già risposto alle sue prime due domande, ma farò poi un veloce riassunto. Venendo alla sua terza domanda, relativa alla possibile chiusura di consolati in Germania, credo che il problema della razionalizzazione - o, tradotto: riduzione - dei consolati si concentrerà in Belgio, Germania, Francia e Svizzera.
Penso che tale questione debba essere all'attenzione di questo Parlamento e di questo Comitato, perché è indubbio negare che in quei Paesi le strutture consolari risentono dei flussi di emigrazione, quindi non sempre corrispondono alla realtà di oggi, così come, nel tempo, credo che in questi quattro Paesi abbiano costruito autostrade e treni.
Formulo una domanda banale. Noi abbiamo un consolato a Losanna e uno a Ginevra, poi ce n'è uno anche a Lugano, che è però più lontano. Ebbene, tra Ginevra e Losanna ci sono otto minuti di treno (se non sono otto, sono dodici o quattordici: si tratta, comunque, di tempi ragionevoli). Non sto dicendo che i consolati di Losanna e Ginevra siano in discussione, ma che esistono realtà che devono essere corrette, anche alla luce degli attuali flussi.
Nei quattro Paesi citati occorre tener conto di diverse situazioni. Penso alla Germania, alla realtà dei Länder e alla rappresentanza al loro interno; o al fatto che in Svizzera c'è ovviamente un problema di rappresentanza presso la comunità italiana, quella francese, quella tedesca e via dicendo.
Stiamo valutando, al momento, la griglia dei criteri con cui affrontare il tema, dal nostro punto di vista. Un tema che so


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non interessare particolarmente i parlamentari, ma che, ad esempio, da noi pesa molto è se la sede sia o meno di proprietà.
Spiego la differenza: se ci si trova in una sede di proprietà, abolire il consolato non fa risparmiare l'affitto; se invece la sede è in affitto e costa 200 mila euro l'anno - dico per dire una cifra - è chiaro che c'è un elemento di giudizio diverso.
Ecco perché rivendico al Ministero e all'Esecutivo almeno la proposta di razionalizzazione, con un indirizzo molto preciso. Poi, come sempre, tutte le discussioni possono portare a qualche modifica, ma l'architettura del sistema viene proposta dal Ministero.
Ripeto, nelle considerazioni che stiamo facendo, entrano molte questioni, alcune delle quali sono strettamente legate a valutazioni interne come quella della proprietà delle sedi. C'è il problema dei contrattisti locali e dello spostamento; è inutile spostare il consolato A presso il consolato B, se poi quest'ultimo non ha le scrivanie o lo spazio necessari.
Questo piano non è una cosa che si stende facilmente, né tanto meno qualcuno poi eserciterà pressioni da «collegio locale».
Credo che vi farò una proposta, non dico perfetta, ma comunque legata a una logica molto precisa. Ve ne informeremo quando avremo deciso, perché non credo, anche in questo caso, di poter esporre un criterio.
Faccio un esempio che riguarda la Svizzera, così l'onorevole Narducci, intanto, fa i suoi conti. Riguardo alla Svizzera noi abbiamo due ipotesi di modello della struttura consolare. Non abbiamo ancora deciso quale delle due scegliere, quindi non mi chiedete quali consolati chiudono e quali aprono.
Una prima ipotesi, che ha un suo valore, può essere impostata sui poli di riferimento - noi l'abbiamo chiamata così - e prevede una struttura fatta solo di consolati generali. Ovviamente bisognerà poi decidere quali sono i consolati generali.
L'altra è un'ipotesi esattamente contraria e prevede una rete consolare sul territorio, con una presenza diffusa di agenzie consolari e con una riduzione di consolati generali.
Stiamo ancora studiando e valutando i pro e i contro, quindi è chiaro che in questo momento il lavoro è ancora in fase di impostazione.
L'unica altra cosa che vi posso garantire è che l'epoca del carciofo - chiudo oggi o chiudo domani - è finita: penso di venire a proporvi i piani di razionalizzazione e di implementazione del sistema dei consolati che si realizzeranno nell'arco di tre o quattro anni, ossia nei tempi necessari. Credo, però, che sia opportuno cominciare a parlarne oggi, perché è giusto che si affronti il problema nella sua interezza.
Non sono in grado, quindi, di dire se saranno chiusi Norimberga, Hannover o Saarbrücken. Direi che è più facile, però, che ne restino aperti altri. Nessuno ha deciso di chiudere Norimberga, Hannover e Saarbrücken, ma chi mi pone la domanda, sa esattamente quali sono gli altri consolati.
Vi ripropongo, allora, il seguente invito: se si decide o, comunque, si ritiene che si possano ridurre dei consolati in Germania, ognuno faccia il suo elenco e dica quali sono, secondo lui, le priorità dell'uno rispetto all'altro.
Credo che questi tre non siano nella top ten della classifica. Dico «top ten» non perché si parla di dieci consolati, ma per riferirmi alla testa della classifica. Diciamo che non giocano in serie A. Ripeto, non c'è nessuna decisione di chiusura, quindi potrei tranquillamente e serenamente rispondere che i consolati di Norimberga, Hannover e Saarbrücken sono aperti e, per il momento, restano aperti; e che nessuno ha mai pensato di chiuderli, il che è una cosa vera.
Vorrei precisare, invece, in merito a quanto leggo nell'appunto consegnato dall'onorevole Garavini: «Dal suo intervento in audizione al Senato pare di aver intuito la sua intenzione di rendere più partitici i comitati per gli italiani all'estero». Non ho capito da dove abbia preso questo spunto,


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onorevole Garavini. Francamente non credo di averlo detto, anche perché non ho questa intenzione.
Credo che lei faccia riferimento al fatto che a Saarbrücken - vede come sono informato - è stata presentata una lista denominata «Partito della Libertà». Peraltro, sono state presentate anche una lista di sole donne - e questo conferma una mia opinione - e altre due liste.
Il Partito della Libertà - o Popolo della Libertà: il 29 marzo mi spiegheranno di quale partito vado a far parte - si può presentare. All'uso del relativo simbolo, secondo la legge attuale e vigente, non osta nulla. La scelta sull'opportunità di presentare o meno un simbolo di partito sta alla sensibilità che può avere il presentatore della lista, ma a norma di legge - non solo di quella del 2003, ma anche di quella del 1985: come vede, siamo informati, perché ieri abbiamo esaminato a lungo questa questione, con il ministro Zuppetti - nulla osta a che si presentino i simboli di partiti italiani. Se non è stato fatto fino ad ora, non è la legge ad averlo impedito o suggerito, ma le valutazioni politiche dei singoli presentatori di lista.
Il Governo, applicando la legge, non ha in mano alcuno strumento per impedire che qualcuno scelga di presentare liste denominate «Popolo delle Libertà», «Partito Democratico», «Italia dei valori» o «Lega»: ognuno può fare quello che crede.
Devo dire che non è affatto mia intenzione quella di politicizzare la discussione in merito e che, quindi, respingo la sua interpretazione, ritenendola non autentica.
In ogni caso, invece, proprio per questo fatto di Saarbrücken, che costituisce un precedente, resto molto perplesso sul fatto che si cominci a pensare di scegliere i partiti come riferimento nelle elezioni. Tuttavia, lo ripeto, la legge lo consente nella maniera più chiara, più totale e più assoluta.
Alla domanda sugli orari dei COMITES di Losanna, che denuncia la riduzione degli orari di apertura del consolato, farò rispondere dal ministro Zuppetti, perché non sono preparato.
Vengo adesso alla domanda relativa ai tagli operati in sede di legge finanziaria. Ho accennato prima al problema dell'insegnamento della lingua italiana, che ci tocca molto e che ha subito tagli pesanti, ma ho anche spiegato le differenze fra enti gestori e scuole: tutte cose che lei conosce perfettamente, onorevole Garavini.
C'è un primo obiettivo, che traduco in impegno a cercare di recuperare qualcosa, in sede di assestamento di bilancio, perché ovviamente il problema non si pone adesso, ma si porrà molto più drammaticamente alla riapertura dei corsi per l'anno scolastico 2009-2010.
Credo che la domanda relativa a come si intenda garantire quello che qui si definisce «il prosieguo dei corsi di lingua e cultura italiana» si possa tradurre, sostanzialmente, in un quesito su come si intenda proseguire nel comparto degli italiani all'estero, tenendo conto che, per il prossimo biennio, non ci sono avvisaglie di bilanci con grandi voci di spesa.
Credo che su questo debba essere svolta con voi una considerazione comune, con grande chiarezza. Il Governo ha le proprie priorità e, al suo interno, chi è delegato agli italiani nel mondo si va a confrontare con altri ministri, ognuno dei quali, evidentemente, ritiene che la propria quota di spesa sia fondamentale e importante.
Sono convinto e ho qualche prova del fatto che si possa anche andare al Ministero dell'economia e delle finanze a chiedere, in una prima fase, non l'aumento - siamo onesti - ma il non-taglio, il mantenimento, dell'entità delle spese, magari mantenendolo al livello del 2008.
Tuttavia, siccome il clima generale del Paese è quello che conosciamo, sostenere di avere ragione e limitarsi a reclamare i soldi spettanti, a mio avviso, non è sufficiente. Intendo dire che si entra in una questione molto complessa: se ogni parte pensa di avere ragione, il discorso diventa quasi inutile, perché si riconsegna al Ministro dell'economia e delle finanze il potere di decidere quali tagli operare.
Credo che ci debba essere un doppio sforzo: il Governo, per parte sua, intende


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farlo e lo farà; tuttavia, credo che anche il Parlamento possa dare un contributo. Penso, ad esempio, al discorso delle scelte. Parlo del bilancio del Ministero degli esteri o, se volete, di altre voci di bilancio che riguardano o possono essere attinenti alla sua attività; o comunque di aree nelle quali c'è un'esperienza.
Stante questa situazione, bisogna fare delle scelte di priorità: non tutto è possibile. È come quando in famiglia si riducono gli stipendi e si comprende di non poter mantenere l'automobile, quindi, invece del 1.800, si decide di comprare un 900. Noi siamo nella stessa situazione.
Guardandomi in giro, ho visto che, nel tempo, si sono accumulate molte questioni che potrebbero essere messe in discussione. Siccome sono un provocatore nato e voglio anche essere contestato, vi devo dire che noi tutti viviamo, giustamente, nell'ipotesi che l'ente tale, l'assemblea tale, la ricerca tale, l'agenzia dell'ONU tale siano tutti intoccabili.
Non so se avete idea di quanti soldi il Governo italiano, quindi la comunità italiana, distribuisce in giro per il mondo. Lo ripeto: prese singolarmente, sono tutte attività assolutamente legittime e insindacabili, che certamente hanno grandi obiettivi. Se non si riesce a fare tutto, però, bisognerà porsi il problema di immaginare a che cosa rinunciare.
Questa, infatti, è la politica che ci si presenta davanti, quella di individuare le priorità. Io ritengo che siano una priorità gli italiani all'estero, l'insegnamento della lingua italiana, l'assistenza agli italiani indigenti e il funzionamento dei sistemi delle rappresentanze. Pertanto, devo andare a scoprire quali altre cose costano, ma hanno una priorità diversa, inferiore rispetto alla mia e devo avere il coraggio di metterle in discussione, altrimenti la partita non si apre nemmeno.
Senza carte alternative in mano, infatti, e andando solo ad implorare di difendere le proprie carte, si perde già in partenza. Né vale, lo dico con grande chiarezza, l'ipotesi di fare emendamenti alla legge finanziaria. Conosciamo le leggi finanziarie in cui era possibile tentare di giocarsi la spesa con gli emendamenti, ma comunque con gli emendamenti non si fanno le politiche, al massimo si fanno degli aggiustamenti. Non posso anticipare quello che ha in mente l'onorevole Tremonti, ma credo che l'emendabilità delle leggi di spesa non si realizzerà in Italia con la modifica di una legge di bilancio, ma sicuramente con la fiducia. Cancellerei dalle ipotesi delle attività parlamentari quella secondo cui gli emendamenti possono avere un ruolo.
La prima cosa, quindi, è la scelta delle priorità. Per quanto riguarda questa parte del Governo, questa è una priorità assoluta. Però mi dovete anche aiutare - se volete, se siete disponibili - a impostare un ragionamento e a svolgere un confronto su quali altre priorità io possa o debba mettere sul tavolo, per discutere.
Insisto ancora sul fatto che, guardando con molta attenzione e usando anche qualche parametro - faccio l'esempio delle scuole: il numero dei docenti, il numero dei discenti, i costi di prima e di dopo - sono convinto che sia possibile operare un po' di risparmi, un po' di recupero di efficienza, un po' di migliore qualità, in maniera significativa.
Voi conoscete la mia passione per l'Africa e capite che ho citato il caso della scuola di Asmara con un po' di dolore. Lì noi abbiamo una scuola che, seguendo l'ordinamento italiano (cinque anni di elementari, tre di medie, cinque di superiori), va dalle elementari al liceo e prevede l'esame paritario, con personale che viene mandato dall'Italia: dal preside, agli amministrativi, al professore di ginnastica e di educazione tecnica.
Ebbene, quella scuola è frequentata solamente da tre bambini di lingua italiana, perché la comunità italiana locale è oggi di ottocento persone, mentre quando la scuola è nata, la comunità era di 60 mila persone. Qualcuno dice che questo istituto è importante, perché gli altri alunni sono tutti bambini eritrei, figli della classe dirigente, e quindi si forma la futura classe dirigente eritrea.
È una valutazione assolutamente accettabile, ma mi domando se le scuole di


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eccellenza, francesi o tedesche, abbiano questa stessa struttura o siano, invece, configurate in un'altra maniera. Si potrebbe fare una scuola di eccellenza italiana ad Asmara, modificando le strutture attuali e magari inserendo questa scuola nel sistema educativo eritreo.
Mi domando perché la scuola italiana di Asmara debba essere gratuita per tutti, come previsto dalla legge italiana, essendo una scuola obbligatoria. In tutti i Paesi europei, le scuole sono gratuite per i soli cittadini del Paese - le scuole francesi, ad esempio, sono gratuite per i cittadini francesi a Roma, hanno un prezzo per i cittadini dell'Unione europea a Roma e hanno ancora un altro prezzo per i cittadini extra-europei - mentre le nostre sono gratis per tutti.
So che è un sacrificio affrontare il problema. Possiamo mantenere la scuola di Asmara, ma poi mi dovete dire se è giusto spendere quella somma - vi dirò la cifra esatta - che magari corrisponde a tutti i contributi agli enti di gestione della Germania.
Il lamentarsi ha un significato fin quando si vuole affrontare il problema. Io non ho problemi ad agire in questo senso: sono capace di farlo da solo. Tuttavia, se mi chiedete di continuo come uscire da questa situazione, io vi indico una strada. Qualunque decisione, quando si fa una scelta di priorità, quando si taglia, si dimostra dolorosa, ma in politica queste azioni si devono fare.
Se vogliamo mantenere tutto, la situazione diventerà, sic stantibus rebus, sempre più difficile e gli enti gestori verranno penalizzati molto di più: torno a dirlo e spiego così la situazione della scuola di Asmara per la terza volta. Essendo spese di trasferimento, infatti, i tagli si abbattono con maggiore velocità, semplicità e facilità sulle voci che non impegnano le strutture dello Stato italiano.
Evidentemente, è più facile e più immediato togliere mille euro a un ente gestore che non pensare di diminuire di un certo numero i professori della scuola di Buenos Aires, se non altro per farli rientrare in Italia.
Occorre fare una valutazione anche sulla flessibilità di queste voci, sul fatto che, continuando i tagli - così rispondo in parte a quanto accennato in precedenza - li si fa a macchia di leopardo, perché ciò dipende dalla presenza percentuale della parte pubblica e di quella privata o, se vogliamo parlare della scuola, dai professori di lingua italiana o dagli enti gestori.
Questi sono i temi sul tappeto che, evidentemente, hanno bisogno di un indirizzo politico da parte del Governo e di un dibattito e un confronto politico da parte del Parlamento.
Concluderei qui il mio intervento, per quanto riguarda l'esistente o, quanto meno, il dibattito sul bilancio. Se poi volete, visto che è stata posta anche una domanda riguardante i COMITES, possiamo trattare anche quell'argomento.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per la sua consueta franchezza.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO NARDUCCI. Capisco che la situazione non è facile e che si debba razionalizzare. Siamo tutti adulti, però, e sappiamo che razionalizzare, nell'accezione comune, significa quasi sempre chiudere, quindi c'è poco da razionalizzare.
L'ha fatto anche il Governo precedente, avendo contro i parlamentari eletti all'estero, che sicuramente non hanno accettato alcune decisioni, sebbene non tutte. Sicuramente nessuno ha protestato per la chiusura di Lipsia, così come non credo che scenderemo in piazza per protestare contro la chiusura della scuola di Asmara. Francamente, a quelle condizioni, credo che tutti siano d'accordo nel chiuderla.
Caro sottosegretario, lei ha la delega per gli italiani all'estero, che le è stata affidata dal Governo, quindi capisco che parlare ogni volta di questi problemi diventi anche assillante. Tra l'altro, ieri c'è stata un'audizione anche al Senato. Tanto per tornare all'argomento iniziale, credo che avremmo dovuto concertare meglio le due audizioni, anche per l'economia dei lavori, perché altrimenti questi incontri


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diventano una ripetizione di un elenco di cose.
Quando il Governo, qualsiasi Governo, non è in grado di garantire la regolarità degli arrivi degli insegnanti, non ad Asmara, ma a Zurigo, a Francoforte, a Parigi, dove ci sono decine di migliaia di italiani, per non dire centinaia di migliaia...

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Io accetto le domande, ma devono essere chiare. Non ho ancora visto le migliaia di bambini urlanti! Voglio sapere quali professori sono in ritardo, se sono della scuola obbligatoria o meno, perché vorrei capire di che cosa parliamo.

FRANCO NARDUCCI. Lei mi dica se dobbiamo solo fare domande o se possiamo esprimere anche dei pareri. Siamo in una audizione di un Comitato parlamentare per gli italiani nel mondo e ritengo di dover fare anche delle considerazioni!
Basti pensare al liceo italo-svizzero di Zurigo, che tra l'altro è ormai diventato più svizzero che italiano; a quanti problemi ci sono sempre stati per l'arrivo dei docenti; a quanti problemi ci sono, ogni anno, per l'arrivo dei docenti di ruolo, di lingua e cultura (non arrivano mai all'inizio dell'anno scolastico).
Lei dice, poi, che gli enti gestori sono una cosa privata.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi scusi, intervengo per precisare. Accettiamo l'accezione di privato, dando l'accezione di pubblico alla parte ...

FRANCO NARDUCCI. Sì, è evidente che è più facile fare tagli orizzontali sugli enti gestori, ma che cosa ha fatto lo Stato? Non dico il Governo di centrodestra o di centrosinistra, ma dico: lo Stato.
Nel 1993 ha privatizzato - semplicemente perché non ha avuto la forza di imporre ai sindacati determinate scelte - il rapporto di lavoro degli insegnanti e dei docenti; e ha mantenuto saldamente il controllo di tutta la parte didattica e metodologica, tant'è che gli insegnanti degli enti sono tenuti a fare le ottanta ore - spesso nemmeno pagati - della preparazione didattica insieme agli insegnanti di ruolo, dove ci sono i dirigenti scolastici.
Qui si tratta di privatizzare quello che non funziona e poi, quando viene il momento in cui le cose non vanno più bene, di dare in testa a chi si è impegnato.
Carissimo sottosegretario - lei sa che io la stimo, quindi la mia non è una polemica - ci rendiamo conto che ora i responsabili, che sono persone normali della società civile, degli enti gestori, sono tutti terrorizzati e restituiranno i corsi o li chiuderanno, perché lo Stato non garantisce assolutamente niente?
Sono loro che devono far fronte, nei confronti delle banche, con le proprie risorse private, nemmeno con quelle dell'ente, perché altrimenti la banca non dà loro nemmeno il fido. La situazione, secondo me, è veramente drammatica.
Non dobbiamo chiederci, poi, perché fare queste cose, altrimenti dovremmo chiederci anche perché i francesi, i tedeschi e gli spagnoli aprono le scuole, mentre noi non dovremmo farlo. Questa realtà, per l'Italia, ha significato - e significa tuttora - un ritorno economico incredibile. Non è che si fanno le cose così, quasi per hobby.
Voglio ribadire che i cittadini italiani nel mondo che hanno il passaporto italiano e la cittadinanza italiana, hanno diritto a determinati servizi, così come ce l'hanno i cittadini italiani in Italia.
Credo che quando noi, in varie sedi, poniamo i problemi dei servizi e dei diritti di cittadinanza e, quindi, anche delle sedi consolari, chiaramente siamo consapevoli che occorre alzare sempre il tiro, affinché la manovra non sia la peggiore possibile. Non ci si può nemmeno dire, però: «Voi che cosa volete? I consolati sono strutture del Ministero». Guardi che il Ministero risponde anche al Parlamento!


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ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi scusi, ma la domanda riguardava COMITES e CGIE.

FRANCO NARDUCCI. C'è questa moltiplicazione, evidentemente - e su questo condivido - però mettiamoci d'accordo sulle ipotesi di fondo di cui lei parla, in sede parlamentare. Sono convinto che in Svizzera non servano cinque consolati generali, ma che, al massimo, ne servano tre: uno per l'area tedesca, uno per quella francese e una per l'area di lingua italiana. L'abbiamo detto anche in altre sedi.
Servono, però, le agenzie di prossimità, perché lei non ha idea di cosa significhi andare, che so, da Arau a Basilea. Traffico, orari: in Svizzera si lavora quarantadue ore alla settimana. Le strutture dei consolati generali sono inadeguate. Lei è stato al consolato di Basilea: se lo immagina se lì tutti i giorni arrivassero mille persone?
Noi abbiamo avuto scene di persone che sono andate alle 3 di notte con la sedia e con il materassino davanti al consolato di Basilea per chiedere il visto Schengen. Che cosa vuol dire «razionalizzazione»?
Con il precedente Governo avevamo preteso e ottenuto - prima come CGIE e poi come parlamentari - la famosa mappatura della rete consolare. Ho letto che ieri avete concordato una nuova indagine. Io credo che si debba veramente smetterla di fare mappature e indagini - e condivido quello che lei dice - perché le cose si sanno: chiamiamole per nome e vediamo di agire con razionalità, tenendo conto degli interessi reali di questo Paese e anche degli interessi dei cittadini italiani all'estero.
L'attuale sede di Amburgo, se solamente trasferiamo lì l'archivio di Hannover, non sarà più adeguata, e una nuova sede costerà molto di più dei diciotto euro al metro quadrato che costa quella attuale.
Da una parte, quindi, sono d'accordo sul fatto che il tasso tecnologico, nello smaltimento delle pratiche, vada innalzato con più rapidità, arrivando al consolato digitale. Tuttavia, ciò non deve avvenire fra dieci anni, ma velocemente. Penso anche alla formazione per i dipendenti.
Lei sa quanti italiani vanno al consolato e ne tornano incavolati neri, perché vengono trattati male dai dipendenti? I dipendenti, a loro volta, hanno ragione, perché sono subissati, anche dal comportamento dei nostri connazionali, che divengono subito impazienti, perché fanno i confronti con l'amministrazione tedesca. Lo fanno sbagliando, perché per i 720 mila italiani in Germania non c'è l'equivalente di 15 mila persone, ma solo 220 persone - o forse qualcuna in più - che lavorano nelle dodici strutture consolari.
Tuttavia, credo che il Parlamento e la politica debbano avere la forza di risolvere i problemi tenendo conto degli interessi generali complessivi.
Hannover è un centro importante per l'Italia, anche da un punto di vista economico. Penso alla fiera, ai rapporti, alle importazioni. Dicevo ieri al sottosegretario Craxi che a Saarbrücken abbiamo praticamente il più grande importatore di vini italiani in Germania, nonostante si trovi sul confine con la Francia.
Il consolato è un interlocutore naturale, tant'è che la seconda carica dello Stato, Peter Müller, presidente del Bundesrat, ha detto che per lui è impensabile che si chiuda il consolato di Saarbrücken.
A Saarbrücken c'è la fiera della formazione, che si fa carico, tutti gli anni, dei problemi dell'apprendistato dei nostri ragazzi. I problemi sono complessi, quindi, e non credo che noi vogliamo «rompere», come si dice, ma solo affrontare veramente i problemi e dare un senso anche al nostro ruolo, che è quello di collegare queste grandi comunità con il Paese e con i suoi interessi reali.
Sulle altre cose non intervengo nemmeno, perché ci siamo confrontati più volte e credo che su molte di esse ci intendiamo.
Noi non vogliamo piangere, ma vogliamo che le cose diventino efficienti, vogliamo che non si perda assolutamente l'attenzione dell'Italia verso milioni di cittadini italiani all'estero. È chiaro che bisogna fare anche dei sacrifici, ma facciamoli


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tenendo conto che per il Paese questa è una risorsa e sicuramente non un costo.

ALDO DI BIAGIO. Intanto vorrei giustificare - visto che, in un certo senso, siamo stati chiamati in causa - i miei colleghi che oggi non sono presenti: il collega Picchi è in missione e il collega Angeli è in malattia. Proprio per questo, e per l'importanza di questa audizione, oggi io sono qui, pur non essendo abituato a presenziare in questa Commissione.
Svolgerò alcune valutazioni. Mi rendo conto della situazione derivante dalla legge finanziaria che, in qualche maniera, ha voluto tagliare importanti realtà settoriali del Ministero degli affari esteri.
Sono convinto, come lei ha detto giustamente, sottosegretario, che ci siano ancora spazi per operare delle razionalizzazioni e per migliorare l'efficienza delle strutture. Tuttavia, mi lasci esprimere alcuni giudizi.
Ho una sorta di preoccupazione. Cercherò di entrare nel merito di alcuni argomenti. Ho sentito delle riflessioni importanti, che condivido, per alcuni aspetti, ma, in ogni caso, vorrei esprimere la mia preoccupazione personale, in particolar modo per tutti i lavoratori che, in qualche maniera, prestano la loro opera in queste strutture.
A noi preoccupa, se dovesse essere confermata, la chiusura dei consolati di Saarbrücken, di Hannover e di Norimberga. Non le nascondo che le ho già inviato una nota per cercare di farla riflettere e per trovare delle soluzioni, magari facendo in modo che queste non siano scelte orizzontali, in un certo senso.
C'è anche una preoccupazione per tutto quel personale di ruolo che vedrà perso il proprio lavoro. Si parla di ventisei unità di personale di ruolo, in queste sedi, laddove già non si assiste più al classico turn over, per alcune posizioni. Mancano le sostituzioni, con ovvie preoccupazioni dei nostri connazionali. Il caso di Hannover, dove non ci sono stati sostituti, lo dimostra.
C'è un'ulteriore preoccupazione anche per il personale non di ruolo, a contratto. Tale preoccupazione, in qualche maniera, mi spinge a ribadire che la categoria dei nostri contrattisti è destinata a restare tale, senza la possibilità di avanzamento, né di carriera, né di passaggio di fascia.
Appare anche inammissibile, in un certo senso, che non si possa beneficiare del riordino giuridico, con l'esclusione dalle dinamiche meritocratiche sancite dal decreto Brunetta. Pur condividendo alcune sue riflessioni, queste preoccupazioni rimangono.
Per quanto riguarda questi consolati, vorrei solamente ricordare che sono consolati importantissimi, dove girano interessi economici notevoli, con un bacino d'utenza articolato, complesso, che trova in queste realtà un'affluenza di attività commerciali e di opportunità per il nostro Paese. Su questo, quindi, la inviterei ad un'ulteriore riflessione.
Le volevo sottoporre questa considerazione. Mi auguro che si possa evitare tutto questo; proponiamo, magari, un momento di riflessione con le differenti realtà e sviluppiamo un dialogo maggiore con la rete diplomatica e con l'amministrazione centrale. Ho cercato di sviluppare delle riflessioni su questo. La ringrazio.

ELENA CENTEMERO. Chiedo scusa per il ritardo, ma ero impegnata in un'altra Commissione. Farò delle domande a cui probabilmente lei, sottosegretario, ha già risposto in precedenza.
Innanzitutto, devo dire che noi stiamo vivendo questa razionalizzazione delle risorse non solo nell'ambito degli italiani all'estero, ma anche in altri settori. Si tratta di una razionalizzazione e di una riorganizzazione che ritengo necessarie, perché siamo chiamati ad una svolta.
Per quanto riguarda i lavoratori, questa è una realtà che noi stiamo vivendo anche in altri comparti del settore pubblico; penso a quello in cui opero io, che è quello della scuola e della formazione.
Mi chiedo e vorrei chiedere al sottosegretario, quando si è in un momento di svolta, di razionalizzazione, di riorganizzazione - partito sicuramente da un problema di carattere finanziario - quali debbano essere e quali siano i criteri che


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dobbiamo porre in atto per realizzare o per salvaguardare quelle iniziative di eccellenza e di qualità di cui lei parlava prima.
In quest'ottica, mi permetto di controbattere ad un elemento che ritengo estremamente importante: sono state fatte delle indagini conoscitive, per quanto riguarda l'insegnamento della lingua italiana all'estero e la scuola pubblica italiana all'estero - con «pubblica» intendo sia statale, sia paritaria - che mettano veramente in luce quali sono le risorse in termini di personale e quali le risorse finanziarie allocate, in base, però, a degli standard? Abbiamo un sistema di erogazione del servizio che risponda a standard di qualità e ad obiettivi? Abbiamo mai fatto delle verifiche per valutare se questi standard e questi obiettivi sono stati raggiunti?
Un'altra cosa che mi chiedo è se esista un'anagrafe delle scuole e degli enti gestori che risponda a determinati criteri e che permetta, ancora una volta, di valutare l'allocazione delle risorse. Esiste una verifica delle iscrizioni ai corsi di lingua e di cultura italiana? Quale tipo di servizio viene offerto da questi corsi? Si tratta solo di corsi di lingua, oppure ci sono dei servizi che possono essere offerti anche dalle scuole locali?
E ancora, perché nelle scuole italiane all'estero tutti - dal personale amministrativo ai docenti, ai dirigenti scolastici - devono provenire dall'Italia? Non sarebbe più opportuno poter utilizzare anche personale in loco? Quali sono le modalità di reclutamento? Sono ancora valide e attuali? Qual è la finalità della scuola italiana all'estero? Se noi parliamo di una scuola di eccellenza e di qualità, che tipo di scuola ci immaginiamo?

GIANNI FARINA. Mi scuso di essere arrivato in ritardo, ma gli impegni si accavallano.
Apro il mio intervento con una proposta: che la si smetta con una serie di continue audizioni, separate l'una dall'altra, che non producono alcunché. Sono una ripetizione continua di temi ormai conosciuti e straconosciuti.
Propongo, quindi, che la prossima audizione, debitamente preparata, veda insieme le Commissioni, i Comitati per gli italiani all'estero di Camera e Senato e una rappresentanza importante della presidenza del CGIE (non tutti i suoi sedici membri, come è accaduto in occasione dell'ultima audizione informale, dove si sono ripetute le solite questioni; penso, ad esempio, ai responsabili continentali, diciamo così), per sviscerare i temi e trovare delle proposte condivise.
È evidente, infatti, che i rappresentanti degli italiani all'estero - non parlo solo dei deputati, ma anche della collettività e degli organismi eletti - sono interlocutori, ma anche avversari dei Governi, in un certo senso: non del Governo, ma dei Governi. Sono sempre stato un critico acerrimo di tutta l'attività dei Governi passati, anche di quelli in cui mi sono riconosciuto. Anzi, anche quelli a volte hanno fatto dei guasti che abbiamo criticato severamente. Tuttavia, è l'approccio che manca.
Non cadrò subito nel tranello, caro senatore sottosegretario Mantica, della lotta tra i poveri.
Penso, ad esempio, alla questione di Asmara. Naturalmente, l'investimento è colossale, però mi sembra tanto un intervento da cooperazione e sviluppo. Verso Paesi come l'Eritrea, la Somalia e l'Etiopia, noi abbiamo una responsabilità storica e politica, non solo come Italia, naturalmente, ma anche come Unione europea.
Questo è un altro discorso di cui non parliamo mai. Anche per gli immigrati, non parliamo mai di questo, il che mi impone un grande dolore, perché c'è un limite culturale, un approccio sbagliato. Noi abbiamo la grande responsabilità di creare i gruppi dirigenti di quelle nazioni, altrimenti verranno sempre da noi. Le Lampedusa diventeranno cento, mille, se non assolveremo a quel compito ingrato. Probabilmente anche la scuola di Asmara rientra in questo discorso, ma non entrerò in quella polemica.


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Accenno al 1997, caro senatore. Eravamo in un periodo di cosiddetta «ristrutturazione consolare». C'era un Governo di centrosinistra. Il sottosegretario era Piero Fassino. Ci presentarono delle proposte. Noi ci arrabbiammo molto e tenemmo inchiodato il sottosegretario Fassino per una giornata intera a Parigi e poi, in seguito, a Chambéry, in occasione di una visita Italia-Francia, con il Presidente Prodi e l'attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ci ribellammo alle proposte presentate.
Io non sono contrario al cambiamento, perché il cambiamento è frutto di una necessità e della realtà che si va delineando.
Per quanto riguarda i consolati, su cui è intervenuto l'onorevole Narducci, a me interessa il servizio di prossimità, anche perché i nostri connazionali - che non chiamo più emigrati, perché sono una comunità stabilmente residente nel territorio da decenni - si confrontano con servizi locali di altissima qualità.
Il nostro connazionale passa da un servizio locale al nostro e li confronta. Viaggia in treno e si confronta con noi. Le accenno subito ad uno scandalo cui lei deve fare attenzione. Il Cisalpino attuale - la società controllata da Trenitalia e Ferrovie federali svizzere - è da mesi uno scandalo nazionale, che non fa onore all'Italia, che distrugge il nostro prestigio. È una vergogna nazionale, su cui nessuno dice qualcosa.
Noi dobbiamo intervenire e io attiro la sua attenzione su un argomento che è di estrema importanza per tutta la collettività che sta dal centro della Germania sino al confine di Chiasso e al confine di Domodossola.
Quando si prendono queste decisioni, si guarda alla storia - in questo caso dell'emigrazione - alla ricchezza collettiva, democratica, degli organismi elettivi, si va da loro, si fanno delle proposte, si raccolgono degli insegnamenti e si decide. In Francia noi decidemmo, assieme con l'allora Governo - dopo un dibattito aspro, difficile e complesso - di chiudere tre consolati, con l'accordo della comunità locale, indicando le soluzioni per la chiusura. Lo facemmo assieme.
È questo che io chiedo a lei, onorevole sottosegretario. Chiudiamo alcune sedi, rivediamo il ruolo dei consolati generali e valutiamo quanti, eventualmente, ne occorrano. Io ritengo che debbano essere nel minimo numero possibile, tanto per essere chiaro. Mi interessa, invece, il servizio di collettività, che è molto più importante e decisivo.
Anche per quanto riguarda la scuola, si tagliano i fondi senza un disegno. Io sono convinto che sia possibile ridurre, che ci sia troppo «grasso» in giro, che sarebbe possibile togliere, limare, senza però nuocere all'insegnamento. Anche questo andava già fatto, perché la normativa c'è e i controlli di qualità si possono e si dovevano fare.
L'incoraggiamento a una gestione unitaria - quindi a una possibile riduzione degli enti - e a un miglioramento della qualità si poteva e si doveva fare. Le istituzioni per fare questo c'erano, ma non l'hanno fatto.
Qual è, allora, la soluzione? È quella di tagliare e, poi, di cominciare a discutere e a ipotizzare? No, è vero il contrario. Occorre fare un'analisi vera, continuare nel finanziamento, raccogliere il bene della comunità. Io chiedo questo, non lancio accuse. Chiedo di vedere, verificare lo stato dell'arte, capire che cosa si può fare in ogni nazione.
Probabilmente occorre creare dei piani Paese veri, autentici, che diano un'indicazione precisa e occorre verificare quanto questo costa alla collettività nazionale e, quindi, allo Stato. Si è fatto il contrario, invece: questo è il problema, caro senatore. Sta tutto lì, nel mettere enti più o meno buoni - secondo me, tanti sono buoni, altri invece meriterebbero una verifica più attenta e seria - di fronte a un fatto compiuto. Così non va, perché così si distrugge anche il buono.
Mi dispiace se l'altra volta, quando il presidente ha convocato la riunione con il CGIE, non ho potuto essere presente, ma avevo una riunione impellente. Lei sa


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benissimo che cosa significa, in questo momento, far parte della Commissione giustizia.
Faccio solo un accenno ai COMITES e al CGIE. Faccio un appello accorato, sottosegretario, da deputato non di parte, che ha vissuto all'estero per una vita: non fate l'errore di presentare leggi che vanno a smantellare la democrazia partecipativa, che è nella storia dell'emigrazione italiana. Non fate questo errore, che sarebbe grave e colossale e produrrebbe danni alla Repubblica.
Mi riferisco al restringimento della rappresentanza, a quest'idea che si possano creare pochissimi COMITES, una sessantina in tutto il mondo, raggruppati non si sa come e dove.
Questo produrrebbe guasti terribili, nel rapporto con la nostra collettività; proprio perché andiamo a razionalizzare i consolati, abbiamo bisogno, al contrario, di allargare il consenso, quindi di creare COMITES che siano - nelle cittadine dove ci siano più di 3 mila, 4 mila o 5 mila abitanti - dei comitati cittadini unitari, non partitici, che rappresentino la collettività e che siano interlocutori del consolato generale, magari distante centinaia di chilometri.
Questa è la realtà. Non dobbiamo diminuirli, ma aumentarli - parlo dei COMITES, non del CGIE - e bisogna farne dei veri e propri organismi di consultazione e di proposta nel contesto locale. Solo così si mantiene il rapporto con la comunità, non c'è altra via: è nella storia dell'emigrazione.
Anche per quanto riguarda il CGIE, sono molto d'accordo sul fatto che si debba cambiare. Quell'organismo non va più, così com'è; sono io il primo ad esserne convinto (ci sono diciotto parlamentari), però il CGIE va cambiato per elevarne il contenuto qualitativo e l'operatività. In che modo?
Ho qualche dubbio sulla rappresentanza dei membri di nomina governativa che, naturalmente, possono portare un grandissimo contributo, ma non è detto che debbano avere un diritto di voto e un diritto di rappresentanza separato rispetto agli eletti dalla comunità.
Ho sempre sostenuto anche che questi debbano essere eletti direttamente dal popolo, in concomitanza con le elezioni dei COMITES, in ogni nazione, e che debbano rappresentare, sul posto, il punto di riferimento delle nostre istituzioni. Se facciamo questo, raggiungiamo degli obiettivi fondamentali, e così chiudo.
Il primo obiettivo è avere nel CGIE vere e proprie rappresentanze continentali. È lì che si gioca la politica. In Canada e negli Stati Uniti non si dicono le stesse cose che si dicono a Berlino, Bruxelles o Parigi. Ovunque c'è una comunità diversa, non migliore o peggiore delle altre, ma con problemi assolutamente peculiari. Quelle assemblee continentali, quindi, devono avere una fortissima operatività, mentre non ha senso avere un comitato di presidenza di diciassette o diciotto rappresentanti che si riunisce praticamente ogni mese. Se si scremano i periodo di ferie, infatti, quello è chiaramente il risultato.
Ci sono i responsabili continentali, veri e propri presidenti continentali, eletti sul posto, che dirigono, di fatto, con il segretario generale, questo organismo e hanno un rapporto vero con lo Stato, con la Repubblica, con il Governo del nostro Paese.
Siccome non ho potuto esprimere queste idee in precedenza, ho voluto farlo ora.
Se lei riesce, con il contributo della collettività - presenterò una proposta di legge al riguardo, naturalmente, sia per i COMITES, sia per il CGIE - a dare questo contributo di disponibilità, noi assolveremo un grande compito, quello di avvicinare il CGIE agli elettori e cittadini sul posto e di farne un interlocutore privilegiato di tutti i diciotto deputati in Parlamento e del Governo del nostro Paese.
Riflettiamo su questo, evitiamo di presentare fatti compiuti, che nuoceranno enormemente alla nostra collettività.
Queste erano le cose a cui volevo accennare, per dare un contributo non tanto tecnico, quanto in termini di idee.


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PRESIDENTE. Prima di passare alla replica del sottosegretario Mantica, lasciatemi dire due cose, una come presidente e, poi, una come parlamentare.
Come presidente, innanzitutto, vorrei dire che il sottosegretario Mantica ha ragione quando parla della molteplicità delle audizioni. Faccio presente che la Commissione esteri non ha mai convocato il sottosegretario Mantica per problemi inerenti gli italiani nel mondo, da quando c'è il Comitato, e che oggi è il Comitato ad audirlo su questo tema. Se poi lui, come sottosegretario, avendo altri compiti, viene per altri motivi, è cosa diversa.
Condivido, però, l'opportunità di fare audizioni comuni, per risparmiare tempo: cercheremo di metterci d'accordo con il Senato.
Mi rivolgo, invece, con molta franchezza, all'onorevole Farina, per dirgli che non può prendersela sulle audizioni. Se il Comitato si riunisce - oltretutto, una volta tanto, eravamo anche in tanti - e fa un elenco di audizioni da fare, di conseguenza quelle audizioni vengono organizzate. Non si può dire, poi, che le audizioni sono ripetute: se il Comitato le ha preventivate, mi sembra corretto effettuare le audizioni.
In secondo luogo, vorrei dire che sul Cisalpino - visto che sono deputato di Domodossola - stiamo facendo di tutto e che il Ministero degli esteri non c'entra niente, mentre la questione riguarda il Ministero delle infrastrutture. Il Cisalpino, comunque, è anche una società svizzera, quindi il problema che lo riguarda è anche di responsabilità svizzera. I vagoni rotti sono quelli della parte svizzera, oltretutto, quindi, una volta tanto, non abbiamo soltanto noi delle responsabilità.
Come deputato locale posso dire che si sta lavorando. Se però, poi, gli svizzeri hanno deciso di non far più fermare il treno in Italia, perché hanno il 51 per cento della società e hanno deciso di mettere i vagoni su un'altra linea svizzera, non è colpa soltanto dell'Italia.
Per quanto riguarda, invece, il discorso dei COMITES - e concludo il mio intervento, non come presidente, ma come parlamentare - io denuncio una certa ipocrisia da parte di alcune forze politiche, che sono contrarie a che si presentino i simboli dei partiti. Mi si deve spiegare perché, dato che, se non si presentano i simboli dei partiti, vanno a votare percentuali infime di elettori. Vorrei capire, allora, quali sono i criteri di rappresentanza di quei COMITES nei riguardi della comunità.
Diciamo, invece, che c'è chi, con i soldi pubblici, ha organizzato all'estero delle reti di interesse, delle reti sindacali, delle reti di patronato, delle reti di assistenza alle nostre comunità e che poi fa operazioni politiche, contando sul fatto che la gran parte della gente non partecipa alle elezioni, perché tanto sa che i giochi sono già fatti.
Quello che si contesta, secondo me, è un tentativo positivo, per fare in modo che, chi vuole, possa votare anche un simbolo di partito, avendo perlomeno un punto di riferimento. Guardate che i COMITES possono magari avere una logica nella città, ma poi votano anche quelli che sono lontani dalla sede.
Circa la riduzione del numero dei COMITES - e ho concluso davvero - secondo me essa è essenziale. Nessuno si sogna di ridurre in maniera notevole il numero dei COMITES extraeuropei, dove ci sono delle nostre comunità, ma una riduzione del loro numero in Europa mi sembra ancora più necessario. Mentre invece, forse, sui consolati c'è molto da ridire. O diamo degli altri ruoli ai COMITES o francamente mi sembra che siano un apparato burocratico che lascia un po' perplessi, anche considerato quanto costano. Questa è la realtà. Ciò premesso, mi scuso per essermi dilungato anch'io.
Do la parola al sottosegretario Mantica per la replica.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Io vorrei fare una replica - non datemi dell'arrogante - cercando almeno di individuare le cose che noi dobbiamo fare, in maniera concreta.
Anzitutto - è un po' anomalo che lo chieda il Governo, ma vent'anni di vita


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parlamentare mi pongono qualche problema - vi faccio presente le difficoltà che il Governo incontra nei rapporti con il Parlamento.
Vi faccio un esempio banale. Questo Comitato è un'emanazione della Commissione esteri. Al Senato, il Comitato per le questioni degli italiani all'estero non è in rapporto con la Commissione esteri, ma è altra cosa. Lo dico per vostra informazione, perché non solo vi trovo qui in quattro - e vi ringrazio per essere presenti - ma devo rifare questa audizione quattro volte.
Vorrei pregare, quindi - se possibile, è un appello amichevole - i parlamentari italiani di Camera e Senato eletti all'estero di trovare un sistema comune, perché altrimenti, prima ancora di pensare di venire in audizione, sono terrorizzato da quante volte dovrò partecipare alla stessa audizione. Per me, l'idea di parlare di consolati quattro volte - più all'interno del mio Ministero - e, magari, di andare a fare le verifiche, non è possibile e non è proficuo.
Si pone, pertanto, un primo problema che voglio sollevare al presidente e agli uffici. Se organizzate una riunione congiunta, in realtà riunite due Comitati di natura giuridica diversa. Se devo incardinare un disegno di legge alla Camera, questo viene assegnato alla Commissione esteri, la quale mi può dire che lavorerò con il Comitato. Al Senato, però, non posso farlo: lì dovrei considerare due sedi diverse, fino a quando non ci sarà una previsione regolamentare secondo cui solo il Comitato si interessa degli italiani nel mondo.
Vi invito a fare attenzione a isolarvi rispetto alle strutture parlamentari. Lo dico perché esiste un altro mondo parlamentare - trasversale a tutti i partiti, non è un problema di destra o sinistra - che tende a isolare gli italiani nel mondo e che, quando si dice che bisogna parlare di questo tema, normalmente pensa: «Oddio, ancora!». Vi prego di capire che questo non è un problema da poco.
I temi che riguardano i consolati, le scuole, la riforma dei COMITES eccetera, necessitano di meccanismi funzionali e veloci. Io voglio fare una riforma dei COMITES, qualunque essa sia - poi le rispondo, onorevole - in un anno. Tuttavia, se ogni volta che presento un emendamento devo andare in quattro posti, non mi basterà una legislatura.
Si pone, pertanto, un problema sollevato dal Governo. Io vengo a tutte le audizioni che volete - vi pregherei, però, per la prossima volta, di definire un'agenda precisa, così possiamo concentrarci su alcuni temi specifici - ma questo è un problema prioritario.
In secondo luogo, ringrazio l'onorevole Farina perché, nel suo accorato intervento, ha toccato alcuni punti nodali.
A proposito della storia di Asmara, lei, onorevole Farina, ha detto una cosa giustissima: ha fatto una scelta di priorità, dicendo che non avrebbe toccato quella realtà per determinate ragioni, il che è accettabilissimo. Quello che voglio dire, a proposito della metodologia, è che occorre uno sforzo per fare una discussione sulle priorità (ho citato la questione della scuola di Asmara, perché la conosco bene). È proprio questo che io chiedo: la forza e il coraggio di prendere un elenco di questioni e di fare delle scelte, che sono comunque dolorose. Del resto, anche quando si toglie un fondo, che so, alla ricerca meteorologica nell'emisfero australe - che non c'è, ma va bene lo stesso - lo si toglie comunque ad una cosa che serve. Tuttavia, la ringrazio.
Ribadisco che non si tratta solo di un criterio di priorità numerica, contabile e dal punto di vista economico; quando si parla di priorità, si fanno anche delle scelte di carattere morale. Peraltro, io insisto nel dire che almeno le scuole dell'obbligo italiane, all'estero, potrebbero essere pagate dai cittadini non italiani, ma questo è un altro discorso.
La terza osservazione risponde in parte anche all'onorevole Narducci. È vero che noi diamo dei servizi ai cittadini italiani, ma io - a parte l'altra grande verità, per cui forse dovremmo abituarci a considerare questa italianità nel mondo almeno divisa in tre grandi aree: il Sudamerica, gli


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anglofoni extracomunitari e gli europei, che sono realtà diverse - vorrei capire con voi cos'è un cittadino italiano nel mondo.
Si parla di insegnare la lingua. Ebbene, in Argentina si va a insegnare la lingua italiana a bambini che parlano lo spagnolo in casa, pur essendo cittadini italiani. L'insegnamento della lingua che si impartisce ai cittadini italiani argentini in prima elementare, quindi, è quello della seconda lingua, non più della prima. Quando arrivano a scuola, questi bambini non sanno nemmeno che cosa sia l'italiano. Vogliamo ragionare su che cosa sono oggi i cittadini italiani all'estero?
In Sudamerica è così, forse in Europa la situazione è meno caratterizzata in questo senso; tuttavia, credo che abbiamo in mente una figura di cittadino italiano - e dei servizi che chiede - che è storicamente vera, ma non più attuale.
Ho partecipato all'assemblea dei giovani e mi dispiace - lo dico senza offendere nessuno - che voi non abbiate partecipato. Esprimerò il mio pensiero, visto che parliamo tramite accorati appelli. Ebbene, sapete che durante quell'assemblea si è alzato un giovane sudamericano, il quale ha detto che, venendo in Italia, è rimasto colpito dalle autostrade e dagli aeroporti?
Tutti l'hanno guardato prendendolo per matto, giustamente. Egli, però, ha svolto un ragionamento interessante, dicendo che la cultura italiana che viene diffusa nel mondo è legata a Leonardo, Caravaggio, Raffaello, Verdi, e chiedendosi se in Italia ci siano anche dei concerti rock, una pittura moderna, l'innovazione tecnologica e le automobili. Era una provocazione, evidentemente. Se vogliamo parlare ai cittadini italiani giovani, dobbiamo sapere che essi vorrebbero conoscere anche i cantanti rock, il che interessa più di Caravaggio.
Secondo me, ha ragione l'onorevole Narducci, perché su questa figura del cittadino italiano nel mondo, costruiamo tutte le altre teorie: i servizi che gli dobbiamo dare, la scuola che gli dobbiamo dare eccetera. Io credo che dovremmo superare alcune vecchie questioni. Questo per quanto concerne i servizi.
Veniamo ora ai consolati. Credo di avervi dato alcune notizie in più, oggi, e mi auguro che esse possano girare (sarebbe stato forse più facile, se avessimo avuto una riunione più ampia). Da voi ho avuto non due esempi di che cosa si debba chiudere e aprire, ma due modelli di servizio. Da entrambi ho avuto la risposta che è meglio essere diffusi sul territorio, con le agenzie consolari, che non avere impianti enormi di consolati generali.
È una tesi che, come vi ho detto, anche in sede di Governo stiamo discutendo, in alternativa a un'altra tesi. Io non so se si chiami indagine conoscitiva o come altrimenti, ma vogliamo metterci d'accordo anche fra noi e voi - Governo e Parlamento - su che cosa sono i servizi, quando parliamo di consolati?
Continuo a sentire parlare di servizi, ma ogni tanto penso che noi siamo quelli che forniscono più servizi degli altri. Voi mi rispondete correttamente che non è vero, ma io vorrei fare questa verifica, perché discutere di reti consolari significa anche sapere che genere di servizi dobbiamo fornire. Questo, secondo me, è un tema rilevante.
Voi mi avete detto che le reti sono meglio dei consolati generali. Questo perché evidentemente avete in mente - giustamente - un sistema di servizio al cittadino che, a vostro giudizio, può essere svolto meglio da un'agenzia molto diffusa sul territorio, con due o tre impiegati (non so quanti ne abbia un'agenzia consolare).
Evidentemente, però, ci saranno anche dei servizi per i quali occorre andare ad un consolato generale. Qual è, allora, l'attesa del servizio? Che cosa intendiamo? Perché questo è un discorso serio che va fatto, su cui occorre confrontarsi e che, certo, viene supportato dalle statistiche quantitative. Io sto parlando di Europa, perché in questo momento la grande attenzione è focalizzata sulla rete consolare europea.
Certo le realtà sono diverse, però, detto questo, facciamo una discussione, per una


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volta, definendo per bene i termini dei servizi. Quando farete un'indagine conoscitiva - se mai la vorrete fare: almeno al Senato la vogliono fare, non so se voi aderirete - io vi pregherei anche di prestare attenzione alle reti consolari degli altri Paesi europei come Spagna, Francia eccetera, perché noi abbiamo la sensazione - dico noi intendendo «casa madre», Farnesina, Ministero - che c'è anche un'attesa verso i servizi, da parte dei consolati italiani, un po' diversa da quella degli altri, un po' più diffusa.
C'è, per esempio, la tesi di rafforzare la rete con consoli onorari. È un'ipotesi, è accettabile, è discutibile, ma poi trovare i consoli onorari, avendo gli italiani, non è facile.
Mi permetto di rifare la battuta che ho fatto al Senato - così cerchiamo di fare indagini conoscitive comuni - domandandomi perché, quando uno si rompe una gamba a Pavia non chiama il prefetto, mentre invece, se si rompe la gamba a Corfù, chiama il console. Perché, se succede un fatto a Pavia, si trova la soluzione, ma se il fatto succede a Corfù, prima di provare a risolverlo si chiama il console? Dai consoli si pretendono servizi che non esistono: il console non è obbligato ad andare all'aeroporto ad accogliere i parenti dell'infortunato. Ho letto sui giornali di persone che hanno dichiarato di essere state abbandonate dal console, perché non è andato all'aeroporto a prenderle. Adesso sto esagerando, e non voglio essere polemico, però definire i servizi e le attese è importante anche per capire il metro sul quale giudichiamo la funzionalità dei servizi che rendiamo.
Vorrei arrivare ora alla scuola. In virtù della mia delega sugli italiani nel mondo, io rispondo di questo complesso di servizi; tuttavia, le strutture della scuola obbligatoria non dipendono dal Ministero degli esteri, ma dal Ministero della pubblica istruzione, che decide le regole e i criteri di selezione.
Il Governo, inteso come Ministero degli esteri, cercherà un tavolo di confronto con il Ministero della pubblica istruzione. Tuttavia, a suo tempo - c'è stata anche una polemica in merito - ho già fatto presente che con la delega sugli italiani nel mondo non si diventa onniscienti, né si può rispondere su tutto.
Vorrei pregarvi di sollevare questo problema anche in sede di Commissione cultura. Quando non ci sono i controlli degli standard - non voglio aprire una polemica con un altro comparto della pubblica amministrazione - io vorrei discutere con gli ispettori o con i dirigenti.

GIANNI FARINA. Per questo occorrono una riforma e un'agenzia che unifichi...

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ha ragione, onorevole Farina. Anzitutto, io sono convinto che le leggi vadano applicate e che la gente debba lavorare, il che sarebbe già un grande passo avanti. Poi lei ha ragione: occorre affrontare questo argomento. Tuttavia, visto che noi possiamo decidere questo, occorrerebbe almeno far funzionare le cose secondo le leggi esistenti, che già sarebbe un grosso salto di qualità.

FRANCO NARDUCCI. Io parto dal presupposto che le scuole italiane all'estero funzionano e sono di qualità, tant'è che il Ministro spagnolo della difesa manda suo figlio alla scuola italiana di Madrid e il 60 per cento dei frequentanti della scuola di Madrid sono figli della borghesia spagnola. Non abbiamo così tante scuole, oltretutto...

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Onorevole Narducci, io vorrei discutere di questi argomenti con molta calma. Posso anche dirle che abbiamo fatto una verifica, da cui risulta che la richiesta dei passaporti italiani in Brasile serve anche a risparmiare i soldi del visto per andare negli Stati Uniti. Ma voglio evitare di cadere in queste cose.
Vi ho solo detto che rispondo di molte delle disfunzioni o mancate funzionalità, ma che non ho gli strumenti per intervenire, perché dipendono dal Ministero della pubblica istruzione: la carriera e i regolamenti


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sono fissati da loro. Lo affronteremo, ma è un problema da affrontare di concerto.
In secondo luogo, ha ragione l'onorevole Farina. Ci sono già molte questioni sul tavolo. Perché non andiamo a fare anche una battaglia sull'applicazione delle leggi esistenti?
Si dice che facciamo i tagli un po' «alla disperata», ma è anche perché tagliare da Roma i fondi, senza avere il parere - permettetemi, senza voler con questo offendere nessuno: non possiamo chiedere ai COMITES - ed un supporto adeguato nella valutazione da parte dagli altri funzionari dello Stato, evidentemente diventa più difficile ed è più facile fare errori.
Infine, vengo alla riforma dei COMITES. C'è molto tempo per parlare, onorevole Farina, però vorrei dirle una cosa. Io sto osservando da qui solo due elezioni di COMITES: una ad Atene e una a Saarbrücken. Non so che sensazione abbiate voi, ma per me - faccio politica dal 1956 e credo di aver fatto trenta campagne elettorali - vedere che si fa fatica a raccogliere cento firme...

GIANNI FARINA. Non è la regola...

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Io ne ho viste due: una ad Atene e una a Saarbrücken, che sono le uniche due in corso. Quella di Saarbrücken, che ha avuto più voti, ha raccolto 160 firme e quella che ne ha avuti di meno ne ha raccolte 120. Addirittura, ad Atene, qualcuno non è arrivato a cento.
A me non interessa se i COMITES siano tanti o pochi, ma vorrei trovare un sistema per aumentare il numero degli elettori, dei partecipanti. Noi abbiamo un problema non di numero di COMITES, ma di partecipazione alla vita dei COMITES. Registro che con questo sistema diminuiscono. Parliamo di come si possono aumentare queste partecipazioni.
Perché nei COMITES non ci sono mai i migliori rappresentanti della comunità italiana? Vorrei capire perché e vorrei capire se l'attuale compito dei COMITES è corretto o se vada migliorato, potenziato, se debba essere più politico.
Lei ha un'idea, io ne ho un'altra, anche se sono disposto a verificare. Però forse tutti e due abbiamo un obiettivo comune, ossia far aumentare il grado di partecipazione alla vita dei COMITES nella comunità italiana. Questo mi pare l'obiettivo.
Le nostre opinioni sulla riforma del CGIE e su come esso debba partecipare o trasformarsi non sono tanto distanti. La ringrazio, tra l'altro, se presenterà una proposta di legge, perché io aspetto di vedere le proposte in campo. Anche su questo c'è una notevole carenza di proposta: tutti aspettano la proposta del Governo, che è quasi pronta, ma io vorrei prima vedere le altre.
Faccia attenzione, onorevole Farina, se presento il disegno di legge del Governo, non è che le altre poi giochino lo stesso ruolo, in sede di Comitato ristretto. Se invece le vedo prima, può darsi che qualcuna di esse trovi un suo articolo inserito nel disegno di legge del Governo. È una scelta.
Chiudo dicendo che c'è un problema istituzionale di rapporto, di dialogo, di come si sviluppa il nostro discorso e vi pregherei di approntare un'agenda precisa, perché io sono disposto anche a venire qui più spesso, ma vorrei affrontare argomenti specifici, in modo da arrivare a una conclusione almeno su un argomento.
Per quanto riguarda la rete consolare - e chiudo - faccio tesoro delle due tesi coincidenti che sono state espresse: ne terremo conto nel valutare i criteri di razionalizzazione che stiamo impostando.

GIANNI FARINA. Possono valere in una realtà ma non in un'altra. Io faccio un esempio di una concentrazione forte di nostri connazionali: il consolato di Zurigo.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Posso farvi una domanda? Secondo voi, questo concetto della rete diffusa è applicabile in Francia? È un metodo che va bene anche per la Francia o per la Germania?

GIANNI FARINA. In Francia l'abbiamo già applicato, in qualche situazione, quindi


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non c'è problema. A Bordeaux abbiamo applicato quel metodo.

ALFREDO MANTICA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Voglio capire se, secondo voi, il modello rete diffusa può essere valido in tutta Europa. Questa è la mia domanda.

GIANNI FARINA. Certo, quasi ovunque in Europa; poi ci sono delle eccezioni, però io pongo un problema di partecipazione. Le faccio l'esempio concreto di Zurigo - così ci comprendiamo - che potrebbe valere per tanti COMITES in Europa, che sono vastissimi, anche sul piano della consistenza della comunità, naturalmente.
Un tempo, attorno a Zurigo, c'erano cinque COMITES (Sciaffusa, Winterthur, Glarona eccetera): erano i rappresentati veri della comunità locale, perché lì ci sono 10-15 mila nostri connazionali. Tali comitati sono stati tolti e si è creato il grande COMITES cosiddetto «di Zurigo».
Con che conseguenze? Che Sciaffusa è rappresentata da un eletto, Winterthur è rappresentata da un eletto e Glarona altrettanto. Abbiamo perso così totalmente il controllo e il rapporto con la comunità. Guardate, questo non è maggiore spesa, questo è rapporto vero con la comunità!
Naturalmente io sostengo che «partitizzare» gli organismi elettivi unitari consultivi sia una cosa sbagliata, ma questa è una mia opinione e può darsi che sbagli. Su queste cose confrontiamoci, perché non si tratta di un casus belli. Volevo solo dire questo: stiamo attenti a cosa proponiamo.

PRESIDENTE. Vorrei concludere dicendo semplicemente che, è vero, abbiamo impegnato il sottosegretario per un'ora e mezza, ma non è stato tempo perso, perché il confronto è stato comunque interessante e piacevole. Ringrazio gli intervenuti e auguro a tutti una buona giornata.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,45.

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