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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione III
14.
Mercoledì 28 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pianetta Enrico, presidente ... 3

Audizione del Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Elisabetta Belloni (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Pianetta Enrico, presidente ... 3 10 12 18
Barbi Mario (PD) ... 10 11
Belloni Elisabetta, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri ... 4 11 12 14 17
Tempestini Francesco (PD) ... 14 17
Touadi Jean Leonard (PD) ... 12
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 11 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Comitato permanente sugli obiettivi di sviluppo del millennio

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 28 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ENRICO PIANETTA

La seduta comincia alle ore 15,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Elisabetta Belloni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo presso il Ministero degli affari esteri, ministro plenipotenziario Elisabetta Belloni.
È presente anche il consigliere Francesco Paolo Venier. Rivolgo ai nostri ospiti a nome del Comitato e mio personale un saluto e un ringraziamento per la loro disponibilità.
Il ministro Belloni è venuto più d'una volta presso il nostro Comitato e anche presso la Commissione, quindi conosce le regole e l'importanza per il nostro Comitato di poterla ascoltare.
Vorrei fare una piccola ricognizione, ricordando che nel dicembre del 2011 sono state adottate le linee guida e gli indirizzi di programmazione per il triennio 2012-2014, che, come abbiamo evidenziato più d'una volta, documentano carenza di risorse a dono e insufficienza di strumenti finanziari alternativi, e prevedono conseguentemente una riduzione del numero dei Paesi prioritari.
Queste linee guida hanno rinviato a una verifica da parte del Comitato direzionale nella prima metà del 2012, previo chiarimento da parte del MEF, circa l'utilizzabilità dei residui. Dopo le linee guida, cito anche - e credo che sarà oggetto di approfondimento - le novità che sono state rappresentate dagli esiti del Forum di Busan sull'efficacia degli aiuti, a cui ho partecipato con il ministro Belloni e il collega Barbi.
Questo mi pare che sia un elemento importante, innovativo, come pure la presenza nella compagine ministeriale del Ministro per la cooperazione e l'integrazione.
Come Comitato, abbiamo affrontato recentemente un esame istruttorio per quanto riguarda la relazione sull'attuazione della politica di cooperazione e sviluppo per l'anno 2010, e il Comitato ha apprezzato la strutturazione, ma al tempo stesso ha evidenziato il ritardo per quanto riguarda questa relazione e anche la bassa prestazione italiana in termini di percentuale del PIL, come ho ricordato poc'anzi, oltre a una prevalenza del metodo multilaterale, perché come sappiamo questa parte assorbe circa il 75 per cento delle risorse. Questo è un altro elemento che abbiamo voluto particolarmente evidenziare.
Oltre a questa relazione, il Comitato ha anche avviato un lavoro sulla proposta di Regolamento comunitario, che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo, in cui è emerso il ruolo che l'Italia gioca nella politica europea per la cooperazione allo sviluppo.


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Da ultimo, voglio riconsiderare e ribadire l'importanza di tutte le sfide che ormai si affacciano sul Mediterraneo in ragione di quella che può essere un'evoluzione politica, istituzionale, economica e sociale, e quindi anche questa è un'area di particolare interesse, a cui peraltro anche la stessa Commissione affari esteri sta riservando molta attenzione, tanto che sta per iniziare un'indagine conoscitiva su quest'area così importante.
Fatta questa brevissima rassegna, con molto piacere do la parola al ministro Belloni per illustrare le considerazioni successive rispetto alle relazioni del 2010 e anche fare delle valutazioni in ragione dei temi che ho voluto sinteticamente evidenziare, in modo tale che il nostro Comitato possa avere una visione ampia per poter continuare la nostra attività. Grazie, ministro.

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Grazie, presidente. Come sapete, io vengo sempre molto volentieri in questo contesto, anche perché sono convinta che da questo dialogo tra Istituzioni, Amministrazione da una parte e Parlamento dall'altra, si tragga sempre un reciproco beneficio.
Questa riflessione congiunta - lo ripeto in tutte le occasioni in cui vengo - ha portato, almeno per quanto concerne la mia diretta responsabilità, dei significativi miglioramenti gestionali, perché proprio grazie al lavoro che il Parlamento ha svolto a seguito delle proposte del Comitato alcune criticità anche piuttosto significative nella gestione della Direzione generale sono state risolte. Non mancherò quindi mai di sottolineare il contributo che questo dialogo ha portato.
Venendo qui oggi riflettevo con il mio collega su alcuni miglioramenti che avremmo potuto cominciare ad apportare nella metodologia di presentare la relazione al Parlamento. Condividiamo infatti che sia troppo pesante, che dovrebbe poi essere più incisiva nel messaggio che deve emergere dalla relazione stessa e, con un certo rammarico, notavo che la prossima relazione, cioè quella relativa al 2011, verrà discussa fra due anni. Il tema della tempestività dell'esame di questa relazione rimane quindi una criticità, come avete rilevato e rileva anche il Ministero degli Esteri.
Per quanto ci concerne - e tengo a sottolinearlo - abbiamo accelerato l'invio della relazione, come sapete, e abbiamo fatto dei progressi da questo punto di vista. La legge stessa prevede che anche il MEF presenti una sua relazione, che viene esaminata congiuntamente alla nostra. È quindi importante che le due amministrazioni adottino la stessa metodologia e che quindi accelerino la presentazione della relazione anche se credo che il punto più critico rimanga la tempistica dell'esame da parte del CIPE.
Ho partecipato alla riunione del CIPE che ha autorizzato l'invio al Parlamento della relazione, dove il dibattito si è esaurito in pochissimi minuti. Visto che se ne parla appena, tanto vale che la relazione venga trattata al momento della sua presentazione, a beneficio dei lavori che il Parlamento è chiamato a svolgere.
Lo dico con convinzione in un momento in cui il tema della riforma della cooperazione riprende attualità, poiché disporre anche degli strumenti di valutazione che vengono forniti dall'amministrazione diventa certamente più importante e più significativo.
Non entro nel merito della relazione, che da un lato ha perso di attualità e dall'altro è stata già ampiamente esaminata da tutti voi. Tengo però a sottolineare alcuni punti, che rappresentano da un lato novità, dall'altro il proseguimento di un percorso che in maniera molto determinata l'Amministrazione degli esteri ha voluto intraprendere.
Credo innanzitutto che debba essere sottolineato il continuo sforzo ancora in corso (ma certamente i progressi ci sono stati) in termini di aumentata capacità di indirizzo e di definizione delle politiche di cooperazione, come si rileva nella relazione ma molto di più nelle linee guida che nel corso degli ultimi anni abbiamo affinato e approvato, cercando di rendere


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sempre più conformi gli indirizzi di cooperazione alle strategie emergenti nel contesto internazionale, e sempre più conformi e corrispondenti agli indirizzi di politica estera e quindi alla tutela degli interessi nazionali.
Le ultime Linee guida approvate a dicembre, in un momento particolarmente critico che ha coinciso con il cambio di Governo, non presentano modifiche sostanziali rispetto all'anno precedente. Io ho assunto la responsabilità di non apportare significativi mutamenti, perché ritengo che si debbano adottare delle nuove linee solo nella misura in cui si è veramente convinti di poterle attuare.
Poiché le risorse a disposizione hanno continuato a diminuire e, come vi segnalerò, sono diminuite anche per l'esercizio finanziario 2012, non ho ritenuto giusto ampliare o introdurre nuove priorità, laddove è del tutto evidente che a malapena riusciremo a mantenere gli impegni che avevamo definito per il triennio.
Questo è un tema particolarmente delicato perché, come è stato accennato, fra gli elementi di novità vi è certamente la figura del Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale, che non ha mancato, come credo sia giusto, di segnalare alcune priorità certamente corrispondenti agli interessi nazionali e alle strategie che emergono a livello internazionale.
Credo, tuttavia, che si debba dire onestamente che per ampliare le priorità o per introdurre nuovi elementi di strategie di cooperazione è necessario essere consapevoli dell'esigenza delle risorse necessarie per attuare le nuove linee, risorse che sono finanziarie ma anche professionali e umane, perché i maggiori impegni devono essere conformi non solo alle capacità finanziarie, ma anche alle procedure previste ed alla buona amministrazione, che prevede sempre più valutazione, capacità di controllo e capacità di monitoraggio.
Il quadro finanziario è il secondo elemento sul quale volevo attirare l'attenzione, e certamente è un quadro finanziario aggravato, anche se - vi stupirete - per il 2011 abbiamo aumentato la percentuale di aiuto pubblico allo sviluppo, cioè siamo passati dallo 0,15 per cento del PIL del 2010 allo 0,19 del 2011. Questo incremento tuttavia deve essere analizzato con una certa attenzione in quanto è dovuto a una percentuale molto elevata di fondi messi a disposizione dal Dipartimento della Protezione Civile per l'emergenza connessa alla Primavera araba e l'assistenza ai rifugiati.
In percentuale, questo è anche dovuto a un ulteriore affinamento delle capacità di calcolo dell'aiuto pubblico allo sviluppo da parte della nostra Direzione generale. Ne abbiamo già parlato in altra occasione ed è evidente che il percorso che abbiamo intrapreso di maggior capacità di rilevazione statistica e di sensibilizzazione di tutte le Amministrazioni, sia Enti locali che Ministeri, nel trasmettere i dati dell'aiuto pubblico allo sviluppo ha fatto sì che si possa calcolare meglio e quindi in maniera quantitativamente maggiore l'aiuto pubblico allo sviluppo.
Su questo punto, poiché lei, presidente, vi ha fatto specifico riferimento, credo che una parola vada spesa sulla percentuale di aiuto pubblico allo sviluppo devoluta al canale multilaterale e al canale bilaterale. Rimane fortemente squilibrata la percentuale di aiuto pubblico allo sviluppo gestita dal Ministero degli Esteri rispetto a quella gestita dal Ministero dell'economia e finanze.
Il dato si attesta a oltre il 70 per cento a favore del MEF e a circa un 20 per cento al Ministero degli Esteri, tenendo presente che la parte di aiuto pubblico allo sviluppo attribuita nella legge di bilancio al MEF è in larga misura, ma non esclusivamente, utilizzata per spese obbligatorie, quindi non comprimibili, e questo spiega il perché della forte riduzione di quella componente che invece è modulabile, cioè più facilmente soggetta a forti riduzioni per esigenze di bilancio.
Va anche detto, però, che nell'ambito della quota del Ministero degli esteri bisogna distinguere fra la componente di contributo multilaterale obbligatorio - una cinquantina di milioni in tutto - e la


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parte del multilaterale che noi chiamiamo contributo volontario o contributo finalizzato (o multi bilaterale).
Ritengo che una riflessione vada fatta soprattutto nell'ottica di quelli che dovranno essere i nuovi assetti della cooperazione nei prossimi anni, laddove si deve tenere in adeguata considerazione che la percentuale dell'aiuto pubblico allo sviluppo che attualmente è gestita dal Ministero degli esteri e che viene devoluta al multilaterale ha anche un forte potenziale di attrazione del bilaterale e di utilizzo delle risorse bilaterali italiane.
Sempre più sulla scena internazionale i grandi donatori utilizzano il contributo volontario o il contributo finalizzato (o il contributo multi bilaterale), quindi non quello obbligatorio, per programmi che corrispondono e sono in linea con le priorità della loro cooperazione bilaterale. Ne abbiamo già parlato in occasione di precedenti incontri e io credo che il nostro Paese debba equipaggiarsi senza trascurare il bilaterale puro, ma essere anche in grado di utilizzare lo strumento multilaterale per la promozione di strategie che rispondono al proprio interesse nazionale.
Questo discorso diventa particolarmente rilevante laddove si pensa al contributo italiano all'Unione europea, che è pur sempre un contributo multilaterale.
Per dare un'idea della forte riduzione dei fondi a disposizione della cooperazione del Ministero degli Esteri, ricordo che, prendendo in considerazione gli ultimi anni, nel momento di massima disponibilità finanziaria, cioè il 2007, la Direzione generale gestiva circa 1 miliardo e 300 milioni, mentre nel 2012 abbiamo a disposizione solo 196 milioni, quindi registriamo una riduzione dell'85 per cento dei fondi a disposizione del MAE.
Di questi 196 milioni bisogna poi tenere presente che meno di 50 sono contributi obbligatori, quindi di disponibilità finanziarie vere per interventi di cooperazione abbiamo circa 132 milioni, di cui 70 sono attribuiti grazie al cosiddetto «decreto missioni», e il resto sostanzialmente corrisponde agli impegni pluriennali già assunti e alle spese di funzionamento.
Questo significa che non vi sono fondi - è una delle cose che ho avuto maggiore difficoltà a spiegare anche al Ministro Riccardi - per la programmazione, e questo mette in evidenza anche perché ho insistito a dicembre a non modificare le Linee guida, perché non vi sono materialmente fondi per la programmazione, non essendo i 70 milioni del decreto missioni, - che poi hanno subito anche una decurtazione di 7 milioni come sapete benissimo - fondi programmabili sulla base di linee guida indipendenti dal decreto stesso. Nel senso che è il decreto che definisce le aree nelle quali possono essere utilizzati i fondi messi a disposizione.
Questa decurtazione così significativa ha inciso moltissimo anche sulle spese di funzionamento, che sono passate da una cinquantina di milioni nel 2007 a 16 milioni nel 2012, con una diminuzione del 66 per cento.
Rispetto al momento in cui approvavamo nel 2007-2008 (a valere soprattutto sul volume di risorse del 2007) un numero di progetti molto consistente, abbiamo avuto invece una caduta verticale delle risorse umane e dei fondi per le spese di funzionamento e per l'attuazione dei progetti stessi, con conseguenti gravi criticità nell'operatività della Direzione generale.
Per citare alcuni esempi di casi in cui non siamo riusciti a mantenere gli impegni assunti a causa della riduzione dei fondi, ricordo ancora una volta i più significativi: il Fondo Globale per la lotta contro AIDS, tubercolosi e malaria, la Convenzione di Londra sugli aiuti alimentari, gli impegni al G8 di Muskoka sulla salute.
Il segnale di inversione di tendenza dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano, appena verranno pubblicati i dati OCSE relativi al 2011 (cioè lo 0,19 rispetto allo 0,15 del 2010), naturalmente potrebbe comportare come effetto l'impressione che l'Italia abbia effettivamente messo in atto un graduale piano di rientro. Lo dico con una certa preoccupazione perché, se il dato apparentemente è positivo, è altrettanto vero che vi è una certa casualità nell'aumento di questa percentuale. La Primavera araba è il motivo principale di


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tale dato nel 2011. Sebbene siamo tutti consapevoli dell'esigenza di contenimento della spesa pubblica, non abbiamo però segnali di un piano vero e proprio di incremento del volume dell'aiuto pubblico allo sviluppo.
Credo, quindi, che a livello internazionale avremo il compito di spiegare adeguatamente, magari anche con qualche correttivo nel volume dell'aiuto pubblico allo sviluppo nel 2012-2013, ai partner, sia tra i Paesi in via di sviluppo che fra i donatori, le motivazioni delle cifre in corso di pubblicazione.
La riflessione sulle nuove tendenze dell'aiuto pubblico allo sviluppo e più in generale sullo sviluppo ha avuto un momento significativo nella riunione di Busan. Non spetta a me in questa sede commentarne gli esiti, e certamente la relazione dell'onorevole Pianetta e dell'onorevole Barbi - che hanno partecipato all'evento di Busan - vi ha dato tutti gli elementi necessari.
Considero Busan come un momento molto significativo, in cui l'OCSE ha saputo riproporsi in maniera moderna e certamente lungimirante sulla scena internazionale come organizzazione e foro di dibattito e di dialogo sulle grandi tematiche dello sviluppo, riuscendo certamente a porre sul tavolo negoziale la definizione quanto mai oggi necessaria dell'equilibrio sul tema sviluppo che deve crearsi fra donatori, Paesi in via di sviluppo e Paesi emergenti.
Questo dibattito sull'efficacia dell'aiuto ha da un lato costituito per noi motivo di soddisfazione, perché alcuni princìpi promossi dall'Italia e tutti quelli ai quali l'Italia si era adeguata, dall'approccio olistico alla complementarietà delle attività di cooperazione, al riconoscimento dei nuovi attori, ci vedono certamente su un binario adeguato.
È tuttavia evidente che Busan (e parlo quindi del post Busan) ha aperto gli occhi a tutti i donatori, ma anche ai Paesi in via di sviluppo e ai Paesi emergenti, sulla necessità di rivedere le politiche di cooperazione alla luce dell'esigenza di prendere atto dei nuovi soggetti di cooperazione, dei nuovi obiettivi che la cooperazione si deve porre e anche delle nuove modalità per il reperimento delle risorse, senza in questo modo negare il valore dell'aiuto pubblico allo sviluppo, ma certamente sancendo una volta di più il concetto del beyond aid, cioè dell'andare oltre l'aiuto pubblico allo sviluppo.
Quando dico «senza negare l'aiuto pubblico allo sviluppo», intendo promuovere una riflessione per chiarire cosa si intenda oggi per processo di sviluppo con l'intervento di fondi pubblici. Rimango convinta (e ne abbiamo parlato anche in altre occasioni) che, in un momento in cui è evidente a tutta la Comunità internazionale l'esigenza di riconoscere i nuovi attori e quindi anche le nuove modalità di reperimento di risorse, il ruolo dello Stato e quindi dell'aiuto pubblico allo sviluppo deve essere affermato, ovviamente sulla base di un nuovo approccio, con una maggiore capacità che lo Stato dovrebbe acquisire di indirizzo strategico, di messa a sistema delle risorse nazionali e di maggiore capacità di identificare i settori e le priorità verso i quali indirizzare le proprie politiche di sviluppo.
Dico tutto questo perché sono perfettamente consapevole dell'importanza del dibattito che in sede parlamentare in Italia sta prendendo piede sulla riforma della cooperazione, e mi auguro che questa riflessione a livello internazionale sul ruolo dell'aiuto pubblico allo sviluppo e sulle nuove modalità per inserire in un contesto nazionale le risorse degli altri attori di cooperazione allo sviluppo non prescinda dalle tendenze che emergono su questi concetti a livello internazionale.
Parlare di obiettivi oltre il 2015 è un esercizio estremamente complesso, che non può prescindere dal dibattito che ha preso fortemente avvio all'OCSE e avrà immediate ripercussioni anche in sede onusiana. La prossima settimana parteciperò a uno di questi esercizi a Parigi in sede OCSE, ma già dai documenti che vengono distribuiti è evidente la marcata evoluzione delle tematiche di cooperazione a livello internazionale.


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Come Direzione generale abbiamo avviato un esercizio per attualizzare il nostro «piano nazionale sull'efficacia dell'aiuto», esercizio al quale abbiamo associato la struttura del Ministro Riccardi, il cui contributo sarà certamente utile a questa riflessione, per rendere più trasparente e più coerente e quindi più accountable il nostro aiuto. È però del tutto evidente che sarà fondamentale da parte nostra riuscire a comprendere e captare le tendenze che emergono in questi contesti internazionali.
Credo che il seminario con il Direttore del Centro per lo sviluppo dell'OCSE che l'onorevole Pianetta ha presieduto la scorsa settimana abbia fornito tutti gli elementi necessari per questa riflessione, laddove è emerso chiaramente come in sede OCSE questo concetto del beyond aid e direi beyond the Millennium Development Goals sia ormai ampiamente affermato.
L'enfasi, che è emersa anche in quell'occasione, che però non è stata altro che la sintesi del dibattito che è di attualità in tutti i fori internazionali, posta sul concetto di ownership da parte dei Paesi riceventi non fa altro che convincerci sempre più dell'importanza di utilizzare al meglio le risorse che gli stessi Paesi in via di sviluppo hanno a disposizione per il loro processo di sviluppo, e quindi del ri-orientamento delle politiche di sviluppo che si sta affermando un po' ovunque sugli investimenti nell'institution building e nel capacity building dei Paesi in via di sviluppo.
Si tratta, quindi, di una presa d'atto dell'esistenza di una nuova geografia della povertà, di una nuova crescita economica, che non è più un fattore per la lotta alla povertà o forse non è più l'unico fattore di lotta alla povertà. Ma vi è ampia consapevolezza dell'esigenza di considerare come fattori di sviluppo, e quindi anche di lotta alla povertà, altri elementi, quali certamente le problematiche globali, dall'ambiente all'energia, alle grandi epidemie e al rispetto dei diritti umani, alla lotta alla diseguaglianza. Nel seminario della scorsa settimana abbiamo ad esempio evidenziato come le politiche di coesione sociale diventino oggi dei misuratori dello sviluppo e della lotta alla povertà.
Queste rapide riflessioni ci fanno comprendere quanto ormai i Millennium Development Goals, incentrati molto sulle condizioni materiali, da certi punti di vista siano completamente superati, e quanto invece oggi nel dibattito internazionale lo sviluppo abbia come obiettivo sempre di più la qualità di vita delle popolazioni, quindi un ri-orientamento verso nuovi indici di sviluppo umano e la sostituzione dei Millennium Development Goals con i cosiddetti SDG, cioè gli indicatori di sviluppo sostenibile.
Mi auguro che questo dibattito venga partecipato appieno nel momento in cui viene avviata una riflessione sulla riforma della cooperazione in l'Italia, una riforma che tutti auspichiamo, che è sempre più urgente, ma che dovrà veramente essere in grado di recepire gli orientamenti che la comunità globale internazionale sta acquisendo. Mi riferisco non già solamente a quella dei Paesi donatori, ma sempre più a quella dei Paesi emergenti e degli stessi PVS, che sono appunto attori loro stessi dei processi di sviluppo.
Due parole brevemente su G8 e G20 sempre più correlati, dove l'Italia si è focalizzata su due tematiche specifiche: la sicurezza alimentare e la salute globale. Sulla sicurezza alimentare una volta tanto siamo on track, e con i fondi che siamo riusciti a mettere a disposizione siamo stati in grado di dimostrare il mantenimento degli impegni assunti in questo settore.
Bisogna però tenere alta l'attenzione su quello che sta emergendo con l'attuale presidenza americana del G8, che intende lanciare al prossimo vertice di Camp David un'iniziativa per aumentare la produttività agricola nei Paesi dell'Africa subsahariana. Partecipiamo molto attivamente come Direzione generale a questi contesti. La presidenza USA propone azioni comuni per creare un contesto favorevole agli investimenti, per ridurre i rischi di impresa, incentivare la diffusione dei meccanismi


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assicurativi e per aprire i mercati a una maggiore offerta di servizi finanziari.
Tutto questo a nostro avviso comporterebbe o comporta un forte rischio di diminuzione del peso delle agenzie onusiane che hanno sede a Roma e una diminuzione del ruolo che il nostro Paese potrebbe svolgere nel raggiungere le piccole comunità, le piccole imprese, i coltivatori. L'approccio americano, al contrario, tende ad avvalersi delle grandi multinazionali per il conseguimento degli obiettivi proposti in tema di sicurezza alimentare.
Devo dire che le nostre osservazioni sono state finora pienamente recepite in fase redazionale dal G8. È tuttavia importante che si mantenga alta l'attenzione e ci sia soprattutto un nostro contributo qualificato nel partecipare alle riunioni preparatorie della policy, che dovrebbero portare a breve al lancio dell'iniziativa americana.
Due parole invece sull'Unione europea. Conoscete il dibattito attualmente in corso nell'Unione europea. Le cifre che l'Unione europea mette a disposizione per lo sviluppo sono di tutto rilievo e per il 2012 si parla di circa 1,5 miliardi di euro per attività di cooperazione dell'Unione Europea finanziate dall'Italia (questa è soltanto la nostra quota). È quindi evidente che dovremmo essere sempre più in grado di orientare le politiche europee per quanto riguarda lo sviluppo.
Ho già lamentato tante volte in quest'aula il fatto che non siamo sufficientemente presenti a Bruxelles per partecipare a tutti i tavoli a livello di tecnici di cooperazione, e continuo a farlo perché nulla è cambiato rispetto a quanto ci siamo detti di recente.
Dai negoziati tuttora in corso per l'approvazione del nuovo ciclo finanziario dell'Unione europea sta emergendo la possibilità di aumentare ulteriormente la dotazione finanziaria per le attività di cooperazione. Gli strumenti della cooperazione dell'Unione europea sono numerosi e non è questa la sede per elencarli, ma vorrei semplicemente soffermarmi sull'azione italiana di controllo sugli strumenti e indicarvi dove tale azione si concentri in questo momento.
La Cooperazione Italiana in raccordo con le altre amministrazioni dello Stato continuerà a impegnarsi, come già abbiamo fatto nel corso del triennio 2012-2014, nella valorizzazione e quindi, nella misura del possibile, nell'aderenza delle iniziative finanziate dall'Unione europea alle nostre priorità. Cerchiamo in sintesi di svolgere questa attività attraverso la partecipazione ai processi di definizione e di attuazione delle politiche di cooperazione dell'Unione europea.
Cercheremo di proseguire nell'impegno a promuovere le priorità della cooperazione italiana nell'ambito del processo di modernizzazione della politica di cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea, ma cercheremo anche di portare il nostro contributo all'attuazione dei programmi finanziati dall'Unione europea in ambito dei cosiddetti processi dell'Unione europea di divisione del lavoro, dei quali abbiamo già parlato anche in quest'aula, e di programmazione congiunta, laddove ritenuta possibile in un novero di Paesi individuati dall'Unione europea.
Questo impegno, che è già stato avviato, ha portato a risultati non trascurabili, innanzitutto in relazione al valore totale dell'aggiudicazione a soggetti italiani di contratti di forniture di beni, servizi e sovvenzioni finanziati dal Fondo europeo di sviluppo (FES) nel 2010. Si è registrato in sintesi un significativo incremento dal 4 all'11 per cento.
In relazione al processo di audit per ottenere l'autorizzazione alla cooperazione delegata, di cui abbiamo parlato la scorsa volta, purtroppo l'Unione europea ancora non ci ha comunicato ufficialmente che l'Italia ha superato l'esame ed è stata ritenuta idonea a ricevere in gestione i relativi fondi. Vi sono dei problemi tecnici interni che non riguardano la nostra posizione: però anche di recente ci è stato comunicato che non vi sono motivi ostativi. Auspichiamo quindi che in occasione dei prossimi incontri a livello di Governo si possa finalmente avere conferma formale


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che l'Italia è autorizzata ad avviare l'esercizio della cooperazione delegata.
È del tutto evidente, anche in questo caso, che un'eventuale riforma della cooperazione non potrà trascurare le capacità che deve avere la cooperazione italiana di partecipare a tutti i contesti ed i fori europei in cui si definiscono le linee di attuazione delle politiche europee e la definizione dei programmi europei.
Ciò è vero anche per quanto riguarda la partecipazione agli altri contesti multilaterali, quindi onusiano o delle istituzioni finanziarie internazionali di competenza del MEF. Il ruolo che il nostro Paese deve svolgere sul tema della cooperazione allo sviluppo in Europa rimane certamente molto più rilevante non solo per il volume di risorse che l'Italia mette a disposizione, ma anche perché nel contesto europeo il nostro interesse nazionale deve essere maggiormente riflesso e quindi tutelato e promosso.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la chiarezza e la completezza del suo intervento, che ha toccato tutti i temi relativi a questo argomento, e anche per aver voluto sottolineare, partendo da Busan, la prospettiva collegata all'innovazione di quanto riguarda la cooperazione, con particolare attenzione agli aspetti della coesione sociale, dello sviluppo sostenibile. Questi sono quindi le modalità i temi a cui dovremo prestare particolare attenzione.
Do quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MARIO BARBI. Il tema si fa paradossalmente sempre più vasto da un lato, mentre dall'altro si fa sempre più ristretta la coperta delle risorse disponibili. Diviene più vasto perché i riferimenti a Busan, all'Unione europea, all'OCSE e quindi a questo aggiornamento del paradigma di approccio al tema della cooperazione richiederebbero una seduta in sé, quindi diamo il tema per acquisito e per scontato anche se vorrei capire meglio in che senso si ritenga superata l'individuazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio e la loro sostituzione con questa idea di sviluppo sostenibile.
Posso capire che vi sia un bisogno di aggiornamento e di chiudere delle pratiche, però la cosa mi convince fino a un certo punto, mentre per un verso non mi convince. Lo sradicamento della povertà, che è la pietra angolare degli Obiettivi di sviluppo del millennio, continua e continuerà purtroppo a rimanere per un periodo ancora assai lungo l'inevitabile punto di riferimento, anche se naturalmente dovremo declinarlo, aggiornarlo, pensare che lo sviluppo umano debba avvenire in un quadro di «addomesticamento» della crescita economica, di attori che intervengono a titolo diverso e con finalità e obiettivi diversi (il settore privato, il profitto insieme alle organizzazioni umanitarie, alle ONG).
Dovremmo trovare la misura per il passaggio e la ridefinizione, altrimenti sembra che archiviamo una cosa come se l'avessimo realizzata, mentre la ridefiniamo in ragione dell'esperienza che abbiamo fatto, anche perché non riscriveremo il Trattato sull'Unione europea con la finalità della cooperazione indicata nello sradicamento della povertà perché in ambito ONU e OCSE abbiamo bisogno di dire che gli Obiettivi di sviluppo del millennio sono superati. Desideravo evidenziare questo solo per individuare un punto di riferimento generale, che merita a mio avviso di essere tenuto fermo e comunque di essere problematizzato.
Incidentalmente, sempre sul tema la povertà, è davvero curioso che noi ci troviamo con grandissimi Paesi, attori nuovi riconosciuti della cooperazione allo sviluppo in senso mondiale, che hanno profonde sacche di povertà al loro interno, al contrasto delle quali l'Unione europea se non noi direttamente opera, e allo stesso tempo sono Paesi con programmi nucleari importanti, detentori di armi nucleari e di programmi di armamento importanti. Forse qui una riflessione andrebbe fatta e anche a livello di Unione


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europea sul modo di rapportarsi a questi Paesi nell'offerta e nell'attuazione di programmi di cooperazione.
La ringrazio molto della relazione, signor ministro, ma abbiamo una qualche consuetudine quindi è scontato, e vorrei sapere se possiamo entrare ancora più nel dettaglio del rapporto con l'Unione europea e di come rendere efficace e raccordare questo importante contributo che diamo sia al FES sia al bilancio, per la cooperazione, in modo da creare quella sinergia che valorizzi il nostro contributo e riconosca anche le nostre priorità e i nostri interessi.
Glielo chiedo anche avendo curiosità specifiche. Per quanto riguarda ad esempio il Fondo europeo di sviluppo ho preso visione della relazione sull'attività di banche e fondi a carattere multilaterale, in cui sono elencati numerosi dati e informazioni anche sugli appalti, che però mi pare che attualmente l'Unione europea non dia più nella ripartizione per Paese, per non suscitare questo genere di valutazioni.
Questa relazione descrive il Comitato esecutivo o Comitato direzionale, in cui c'è un rappresentante italiano di cui non so il nome, mentre mi piacerebbe conoscere il nome del rappresentante italiano del FES, e forse si potrebbe anche immaginare una qualche interazione più frequente, più di flusso e meno a consuntivo sulle cose che questo Comitato esecutivo fa e le questioni che in questo vengono trattate. Magari si potrebbe anche interagire in modo utile.
Vale forse anche per il Comitato che assiste la Commissione per la cooperazione, laddove questi Comitati hanno una funzione di rilievo e richiedono una presenza costante, un'idea di chi partecipa, un coordinamento del Paese che partecipa e di chi lo rappresenta in questa sede perché ci sia una continuità e un'interazione con gli altri Paesi, perché si possa esercitare in modo efficace e indirizzato un'influenza sulle scelte che la Commissione pone all'esame di questi comitati che sono deputati ad assisterla. Le chiederei quindi di sapere qualcosa di più sulle modalità di funzionamento.
Mi limito a queste due domande senza togliere spazio ai colleghi perché abbiamo tempi limitanti, ma su queste questioni potremmo utilmente interagire. Certo le linee guida sono state adottate in un periodo davvero curioso, a cavallo di Busan, del cambio di Governo e della definizione del quadro finanziario dell'Unione europea, per cui non si poteva trovare un periodo meno felice per avere un quadro di riferimento stabile.
In questa divisione del lavoro europeo da quanto ho letto mi pare che vi siano dei Paesi facilitatori e dei Paesi di supporto. Noi saremmo Paese facilitatore, che vuole dire leader, soltanto per l'Albania. Vorrei sapere se sia ancora così.

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Ed Etiopia.

MARIO BARBI. Questo è già un passo avanti. Dal rapporto del 2010 risultava soltanto l'Albania, ma l'Etiopia è un passo avanti non irrilevante, e altri Paesi in cui eravamo cofacilitatori. Vorrei sapere se possiamo darci degli obiettivi in questo campo. Il più 0,4 per cento corrisponde a 600 milioni nel 2010 e tutti relativi alla Primavera araba?

GIANNI VERNETTI. Ringrazio il ministro Belloni per l'ampia, comprensiva relazione che ha svolto. Quattro domande puntuali. Vorrei avere un quadro sullo strumento del credito d'aiuto, perché, data la scarsità di risorse sull'iniziativa a dono, mi pare uno strumento che andrebbe quanto più valorizzato e potenziato, se possibile.
Iniziative su diritti umani e democrazia: mi pare sempre più un crescente filone di impegno, di riorientamento della cooperazione allo sviluppo di molti Paesi europei e dell'Occidente «democratico». Vorrei sapere se abbiamo nuovi programmi e progetti in questo senso.
Vorrei in terzo luogo chiederle un approfondimento sull'integrazione con iniziative private e con la cooperazione decentrata, perché in tempi di scarsità è


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opportuno integrare. L'altro giorno, presso il quotidiano La Stampa è stato presentato questo finanziamento di 600 mila euro per un piccolo ospedale pediatrico nello Stato de facto del Somaliland, iniziativa apprezzabile che dimostra come quanto più in momenti di difficoltà integrando con l'iniziativa privata e con la cooperazione decentrata si fa massa critica.
Oggi, l'Italia contribuisce al 13 per cento del bilancio dell'Unione europea, ma mi chiedo, ministro, se, sebbene non si tratti di artifizi contabili, si possa valorizzarlo politicamente. L'obiettivo rimane lo 0,70 per cento del PIL italiano, ma, se contribuiamo per il 13 per cento al bilancio dell'Unione, contribuiamo anche al 13 per cento del bilancio della ingente cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea. Credo che un'evidenziazione simbolica nelle relazioni che vengono svolte sarebbe estremamente utile.

JEAN LEONARD TOUADI. Non so quanto tempo abbiamo, ma la relazione è stata molto ricca e ha suscitato in noi alcuni interrogativi.
Lei sostiene che esista una nuova geografia della povertà, che corrisponde poi a una nuova geografia della ricchezza, i famosi Paesi emergenti, quindi c'è una ridefinizione delle priorità geografiche sotto questo punto di vista. Questa veloce crescita di Paesi che fino a ieri erano collocati nella geografia della povertà in genere non porta con sé un miglioramento delle condizioni di vita della gran massa della popolazione, anzi c'è una forbice che si allarga sempre di più tra i nuovi ricchi di questi Paesi e i meno abbienti, senza formazione di una classe media in grado di ridurre significativamente la povertà.
Nel caso dell'Africa, in Paesi come la Guinea equatoriale o l'Angola, in cui si rilevano altissimi tassi di crescita, si rileva un aumento della povertà, direi anche di nuovi poveri, quindi è difficile utilizzare questo come un parametro per ridefinire le aree geografiche della povertà. Forse possiamo agire su questi Paesi e condizionarli. Questo meccanismo di redazione dei documenti di povertà che accompagnavano i pass non ha funzionato, perché loro stessi dovevano presentare progetti per la riduzione della povertà, ma qui c'è un problema che dobbiamo affrontare.
L'altra questione che volevo porre riguarda il Mediterraneo, che rimane prioritario nella nostra cooperazione. L'analisi ci fa capire come sia difficile - ieri ne abbiamo avuto contezza nell'incontro con l'Ambasciatore del Marocco - isolare il nord del continente africano dall'area immediatamente vicina, vista la porosità delle frontiere, la pressione migratoria e l'intensificarsi degli scambi economici e commerciali. Forse l'approccio novecentesco di isolare l'Afrique blanche dal resto dell'Africa dovrebbe tenere conto delle nuove dinamiche dell'immigrazione che preme su questi Paesi e di tanti altri problemi.
Le politiche di coesione sociale come misuratori dello sviluppo potrebbero essere oggetto di una seduta spiritica questo pomeriggio, ma è interessante dal punto di vista teorico, anche se sono d'accordo con l'onorevole Barbi che dopo aver presentato i Millennium goals rischiamo ancora una volta di entrare in una dinamica di mobilitazione su questi nuovi obiettivi, senza riuscire a calibrare cosa si vada a porre in essere e come misurare l'efficacia di questo.

PRESIDENTE. Do quindi la parola al Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, ministro Elisabetta Belloni, per la replica.

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Grazie, spero di non dimenticare nessuno dei punti sollevati.
L'onorevole Barbi più che una domanda ha fatto delle riflessioni assolutamente condivisibili. Naturalmente il tempo è limitato e certo non era mia intenzione creare uno iato fra una fase e quella successiva.
Per quanto riguarda i Millennium Development Goals, intendevo dire che oggi ci si domanda se manchi qualcosa nella


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misurazione dei progressi conseguiti - non vi è ancora una risposta, quindi lascio aperta la soluzione - e se è possibile, anche se mi sentirei di escluderlo, che si ritorni a una struttura analoga a quella che aveva fatto partorire i Millennium Development Goals, che misuravano il progresso sulla base di parametri di condizioni materiali, della cui validità nessuno dubita anche se forse sono parziali.
Adesso vi sono altri fattori, forse impercettibili, laddove il dibattito presieduto dall'onorevole Pianetta dell'altro giorno sulla coesione sociale ha fatto rilevare come ad esempio in alcune situazioni il progresso economico e il conseguimento di alcuni degli obiettivi elencati nei Millennium Development Goals abbiano fatto emergere forti criticità sociali, che hanno creato instabilità o disequilibri. Emerge quindi l'esigenza di ampliare e integrare maggiormente la visione del 2000, come appare anche naturale alla luce del mutamento sulla scena internazionale, ma le osservazioni dell'onorevole Barbi sono assolutamente condivisibili.
Le linee guida a dicembre hanno rappresentato una mia forzatura, di cui ero assolutamente consapevole, ma da quando ho assunto la Direzione generale ho cercato di imprimere anche un'impronta di rigore, che significa più controllo e più trasparenza. Avete letto ad esempio sui giornali le attività da me promosse con la Guardia di Finanza, avete preso atto di una certa regolarità anche nel riferire e, poiché avevamo assunto l'impegno di approvare a dicembre di ogni anno le linee-guida della Cooperazione, anche per il 2012 abbiamo voluto rispettare la scadenza pur nella consapevolezza che il contesto politico (mi riferisco al cambio di Governo) avrebbe comportato una successiva revisione.
L'onorevole Barbi quindi ha perfettamente ragione, tanto che nella prima parte della delibera si diceva che le Linee guida sarebbero state riformulate o integrate nei primi mesi del 2012. Questo esercizio è già in corso anche con il contributo del Ministro Riccardi - e qui rispondo all'ultima domanda - che ha giustamente attirato l'attenzione sull'esigenza di non trascurare tra le priorità alcune aree, quali quella del Sahel, per l'interrelazione che c'è fra l'esigenza di avere come priorità lo sviluppo della sponda sud del Mediterraneo e tutta l'area a sud, quindi il Sahel e tutta l'Africa.
Questa esigenza di non separare l'Africa è talmente sentita che in ambito europeo, nell'ambito del nuovo regolamento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (DCI) si sta fortemente affermando una nuova visione dell'Africa come un unicum, e quindi si parla di programma panafricano, che dovrebbe consentire molto più facilmente l'attuazione di programmi a livello regionale. È certamente questa la tendenza da noi condivisa. Ciò non toglie che la proiezione immediata italiana è nella sponda sud del Mediterraneo e che nei rapporti bilaterali con quei Paesi indubbiamente la priorità, almeno in termini di politica estera, rimane.
Il rapporto con l'Unione europea. Credo che questo tema meriterebbe forse un'audizione a sé, perché il dibattito sul regolamento DCI è molto esteso a Bruxelles e vi sono alcune riflessioni in corso. Vi è una grande aspettativa da parte della presidenza danese di arrivare a giugno con un accordo. Forse ci riusciranno, non lo so, ma certamente il dibattito è molto partecipato.
Si pone ora il problema di come l'Italia vi contribuisca. Ricorderete che in questa sede avevo lamentato di non avere strumenti per consentire alla cooperazione a Bruxelles di seguire attivamente anche a livello tecnico le materie di competenza.
Poiché siamo assolutamente consapevoli dell'importanza di seguire con particolare attenzione e professionalità le questioni di cooperazione europea, nell'ambito della recente riforma del Ministero degli Esteri abbiamo soppresso un ufficio e ne abbiamo creato uno nuovo all'interno della nostra Direzione generale, con competenza in materia di politiche di cooperazione allo sviluppo dell'Unione Europea. Si tratta tuttavia di una struttura con sede a Roma, composta da bravissimi funzionari


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che però non possono seguire giornalmente e a livello tecnico presso gli Uffici europei di Bruxelles l'iter dei vari provvedimenti UE.
La volta scorsa avevo raccontato che quando avevamo ritirato dalla rappresentanza di Bruxelles l'esperto di cooperazione, gli inglesi e i francesi avevano aperto un ufficio di 7 diplomatici ciascuno e di 130 esperti.

FRANCESCO TEMPESTINI. Non c'è una funzionaria a Bruxelles?

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Noi abbiamo un solo diplomatico (più un collaboratore amministrativo) che segue la cooperazione, la dottoressa Tonon: è una funzionaria validissima della Rappresentanza, cui competono vari incarichi: si occupa anche del dossier cooperazione, ma evidentemente non è sufficiente avere un diplomatico per seguire tutta la materia dal punto di vista tecnico e di esperto di cooperazione.
Ci vogliono i tecnici della cooperazione, che, come giustamente ricordava l'onorevole Barbi, vanno nel Comitato, conoscono i dossier agricoli e sanitari, e soprattutto sono in grado di intervenire sulle strategie. Quando prima parlavo di politiche di definizione della strategia e di attuazione, intendevo dire che ci vogliono i «sette diplomatici», ai quali accennavo prima, che fanno la strategia e i «130 esperti» che fanno l'attuazione dei progetti.
Adesso esagero, e sono perfettamente consapevole che non è nemmeno concepibile arrivare ad una struttura organizzativa tanto ambiziosa, ma nel momento in cui si mette mano a una riforma forse prevedere fin dall'inizio per legge come strutturare la nostra capacità di essere presenti in fase di definizione e di attuazione delle politiche di cooperazione a Bruxelles può essere un elemento su cui riflettere. In caso contrario ci troveremmo assolutamente scoperti.
Il Ministero degli esteri (come mi auguro perché è la mia amministrazione di riferimento), o qualsiasi altra struttura che la riforma vorrà introdurre dovrà prevedere e formare le figure professionali in grado di incidere anche a livello UE. Non è possibile pensare di affidare ad un solo funzionario, che per alcuni anni è assegnato a Bruxelles e che ha anche altri compiti, la trattazione anche del dossier della cooperazione: bisogna prevedere presenze costanti per la fase di attuazione e la fase di definizione della strategia. Altrimenti non ne usciamo perché è lì che si gioca la grande competizione.
Per quanto concerne il tema dei dati relativi agli appalti e la loro pubblicazione, è vero che l'Unione europea è molto reticente perché poi tutti vanno a fare i soliti conteggi e anche noi abbiamo fatto i nostri con i dati che vi ho fornito, che tutto sommato sono più positivi di quanto ci si possa immaginare, ma quello che è sempre più determinante in Europa - e questo vale moltissimo anche per la Banca mondiale, che ha moltissimi fondi a disposizione, e anche per le Nazioni Unite - è la capacità di incidere sulla programmazione, perché - ad esempio - se i francesi riescono a proporre dei programmi fantastici nel settore dell'acqua, dove hanno un valore aggiunto nazionale e hanno le tecnologie adatte, è ovvio che vincano le gare.
Lo stesso dovremmo essere in grado di fare sempre più anche noi italiani, incidendo sulla programmazione. Questo parlando in termini di ritorno, ma, cercando di essere un pochino più nobili, anche in termini di capacità di incidere veramente secondo le nostre buone filosofie sui processi di sviluppo dei Paesi che sono per noi prioritari. Qui vengo alla domanda sulla divisione del lavoro. Mi riservo di farvi sapere esattamente dove siamo facilitatori e dove abbiamo altri incarichi, ma come sempre bisogna avere uno sguardo globale. Per essere facilitatori o per avere il lead in certi Paesi dobbiamo disporre di strutture adeguate, dobbiamo avere la gente, dobbiamo avere la capacità di interlocuzione con i locali.
Abbiamo invece purtroppo chiuso un numero significativo di UTL e dobbiamo


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continuare a farlo, perché non ci sono i fondi. Non si può dunque chiedere all'Italia di essere facilitatore quando non abbiamo le risorse. Siamo finalmente riusciti grazie a voi, perché è un lavoro che abbiamo fatto insieme, a regolarizzare il contratto di una cinquantina di esperti presso la nostra Direzione generale, ma continuo a denunciare che la loro età media è 63 anni. Non si può fare il facilitatore ad esempio in Etiopia senza le risorse umane e professionali in grado di farlo, perché la competizione a livello europeo è fortissima: ci confrontiamo con tutti i nordici che per tradizione hanno investito per anni in cooperazione e continuano a farlo, con i tedeschi che hanno una macchina da guerra, che tra l'altro è interessatissima ad iniziative congiunte con la nostra cooperazione, e via dicendo.
I tedeschi ci chiamano spesso per fare progetti congiunti, ma non sempre disponiamo delle risorse per dare seguito ai progetti che ci vengono proposti. Per avere i lead in Etiopia o in Albania dovremmo avere un'UTL adeguata. L'altro giorno qualcuno si meravigliava perché in Libano abbiamo in tutto 20 persone, quando soltanto il credito d'aiuto ammonta a 75 milioni di euro, per cui 20 persone per quello che diamo in Libano sono niente! Si tratta di persone che restano per tre mesi, poi tornano, dobbiamo bandire le gare, poi ci sono i ricorsi. Possibile che non ci sia un ruolo dei cooperanti (ritorno al discorso della riforma) tra i dipendenti statali?
Insisto su questo, perché le poche - rispetto al numero di esperti esterni reclutati - irregolarità che abbiamo rilevato sono dovute anche al fatto che tali esperti non sono tenuti ad un'etica comportamentale istituzionale e che spesso non sono semplicemente a conoscenza delle procedure e delle regole. Si tratta di persone che noi prendiamo sul «libero mercato». Un conto è avere un professionista che è tenuto a rispondere alla propria amministrazione di quello che fa, un conto è rivolgersi a un freelance che per tre mesi viene prestato alla cooperazione: sono figure ben diverse, per quanto professionalmente valide.
Sarei felicissima di poter avere più Paesi nell'ambito della cooperazione delegata sotto responsabilità italiana, e devo dire che anche la nostra esperienza negli anni fa sì che la domanda per affidare a noi la leadership in certi settori sia molto forte (nel settore sanitario è fortissima, nel settore agricolo ugualmente). A volte però siamo costretti a declinare.
È importante quindi investire sul fattore umano e professionale, e, siccome si parla di riforma, non pensiamo soltanto al volume, ma pensiamo anche alle capacità gestionali! Sinceramente ci siamo sforzati, però ci sono dei limiti oggettivi perché il numero delle persone è diminuito: abbiamo perso fra le 200 e le 300 persone in questi ultimi tre anni, abbiamo chiuso sei UTL (Niamey, l'India, il Pakistan e poi lo abbiamo riaperto, il Marocco, Pechino, il Salvador, stiamo chiudendo il Guatemala).
Si deve potere disporre delle risorse per completare il lavoro. Ciò vale anche per la cooperazione delegata. Sembra che abbiamo superato l'esame, ancora come già detto. Siamo in attesa della comunicazione ufficiale. Pare vi sia un problema interno alla Commissione, perché gli inglesi, attraverso un accordo di cooperazione delegata, hanno a loro volta delegato l'esecuzione di un progetto, senza che l'istituto della sub-delega sia stato esplicitamente previsto. La Commissione sta ragionando a livello giuridico se sia concepibile l'autorizzazione per una sub-delega. Si tratta di un problema rilevante anche per l'Italia vista l'esigenza di potere ricorrere a nostra volta alla sub-delega.
È evidente - a causa delle esigue risorse umane - che siamo interessati a conoscere l'esito della riflessione in corso da parte dell'ufficio giuridico della Commissione poiché non escludiamo che anche l'Italia debba o voglia, appena conclusosi l'iter di autorizzazione, ricorrere alla subdelega avvalendosi delle regioni piuttosto che delle università statali. È anche evidente che dovremmo rinforzare la nostra


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capacità esecutiva diretta per potere utilizzare adeguatamente la cooperazione delegata.
Il credito d'aiuto è una risorsa che sta diventando sempre più importante, anche perché il Fondo rotativo è capiente. I fondi ci sono, vi è sempre un dibattito molto difficile con il MEF per ottenere l'autorizzazione a disporre dei fondi, e qui torniamo a un discorso che di nuovo diventa molto rilevante per la riforma, cioè il rapporto fra le amministrazioni e la coerenza delle politiche delle diverse amministrazioni detentrici di fondi.
Nel caso specifico del credito di aiuto, l'ultima parola spetta al Ministero degli esteri, che può decidere, ma il fondo rotativo è gestito dal MEF, quindi noi normalmente inviamo le indicazioni delle nostre priorità a quell'amministrazione, con la quale cerchiamo sempre di raggiungere un'intesa.
Attualmente la disponibilità del fondo rotativo è di 2 miliardi e 600 milioni di euro, quindi è piuttosto consistente. Abbiamo una serie di crediti d'aiuto in vari Paesi del mondo, che stanno diventando oggi lo strumento più importante a nostra disposizione. Il credito d'aiuto è tuttavia molto più complesso rispetto al dono, perché prevede un negoziato, prevede un accordo tecnico piuttosto articolato, prevede al 99 per cento delle gare - e sappiamo tutti quanto sia difficile e lungo in Italia fare le gare. Sono gare che la cooperazione affida in gestione ai PVS che fungono da stazione appaltante. Ciò anche nel rispetto del principio della ownership, anche se l'Italia ne mantiene il controllo. Dobbiamo quindi avere un adeguato meccanismo di controllo giuridico. Spesso i tempi dell'istruttoria sono lunghi - non mi vergogno a dirlo - perché il nostro ufficio giuridico è composto da due persone e, se considerate i contenziosi che abbiamo, le rendicontazioni, le gare, i controlli e le pubblicità dei bandi, le verifiche sulle gare, i ricorsi degli esperti, gli arbitrati e quant'altro si comprende che due persone non possono farcela in tempi rapidi.
Il credito d'aiuto è un importantissimo strumento, sempre più attuale da certi punti di vista perché ha una componente di responsabilizzazione del Paese in via di sviluppo che è molto in linea con i princìpi della ownership e dell'institution building del Paese ricevente, ma da parte nostra richiede consistenti risorse umane e maggiori capacità gestionali. Non è un caso che sia così capiente, perché nel corso degli anni, quando c'era la disponibilità a dono, non è stato interamente mai usato perché era molto più facile gestire il dono piuttosto che il credito d'aiuto. Oggi siamo costretti a usarlo, però non nascondo che facciamo fatica.
Non facciamoci grandi illusioni sulla cooperazione decentrata: le cifre che la cooperazione decentrata mette a disposizione per la cooperazione sono esigue. Non ho il dato preciso qui, ma posso farvelo avere (credo che nel complesso le regioni stanzino poco più di 10 milioni all'anno). Ricordo che in una Conferenza Stato Regioni che si era svolta al Ministero degli Esteri, quando era Ministro Franco Frattini, il presidente Errani annunciò che in tre anni tutte le Regioni italiane avevano finanziato progetti per un ammontare di circa 50 milioni. Adesso, analogamente ai nostri fondi, pare che tale disponibilità sia diminuita. Non parliamo quindi di grandi cifre.
È però giusta la sua osservazione, onorevole Vernetti. In un momento di scarse risorse noi stiamo facendo uno sforzo enorme attraverso i tavoli interistituzionali per mettere a sistema le risorse. È ovvio che laddove è possibile cerchiamo di aggregare le risorse per avere maggiore impatto e garantire maggiore efficacia agli interventi. In tale esercizio le regioni e più in generale la cooperazione decentrata ci offre massima collaborazione. Questo vale anche per il rapporto che abbiamo instaurato con le università e con Confindustria.
Per quanto riguarda il partenariato pubblico-privato, la tendenza a livello internazionale è oramai consolidata, basti pensare alle nuove iniziative che gli americani stanno promuovendo nel settore agricolo, nell'ambito della sicurezza alimentare G8. La legge n. 49 rende tuttavia


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veramente difficile il partenariato pubblico-privato, per cui cerchiamo degli escamotage.

GIANNI VERNETTI. Anche con fondazioni non profit come quella che citavo prima?

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Non è possibile. Si tratta di un'iniziativa promossa anche dal precedente Governo e molto valida a cui voglio dare seguito. Dovremmo ricorrere all'UNOPS perché l'ente esecutore è una ONLUS non riconosciuta che ai sensi della legge non può ricevere direttamente fondi pubblici. Tuttavia l'UNOPS può contribuire attraverso un nostro finanziamento alla parte strutturale dell'ospedale gestito dalla ONLUS in questione. Si tratta di progetti che richiedono impegno e, configurandosi un partenariato pubblico/privato, vi è l'esigenza di attenersi ad una legge che di per sé non lo prevede.
La nuova legge - torniamo al discorso della riforma - certamente dovrà esaminare questo aspetto, e mi auguro fortemente che nel fare questo il legislatore abbia ben presente anche l'esigenza di definire criteri trasparenti e stringenti per il partenariato pubblico-privato, perché non credo che tale settore possa essere lasciato totalmente deregolato.
Credo che debba essere quindi riconosciuta con serenità l'esigenza di definire criteri molto precisi e procedure altrettanto chiare. Questo non significa non promuovere il partenariato pubblico-privato: lo fanno gli altri donatori, lo possiamo fare anche noi, ma con regole chiare.
Un altro tema che non abbiamo toccato è il rapporto fra la cooperazione militare e la cooperazione civile, che certamente deve essere affrontato nel contesto della riforma. Ho sempre lavorato con i militari, già da quando mi occupavo di unità di crisi, e lo sto facendo tuttora, perché riconosco il contributo che possono dare, soprattutto nella gestione delle emergenze.
Come sapete, su questo la legge è assolutamente restrittiva. Ormai i tempi sono maturi per affrontare questi temi con nuovo spirito.

FRANCESCO TEMPESTINI. Se lei potesse fare un bilancio dei vostri rapporti con Confindustria...

ELISABETTA BELLONI, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. Con Confindustria, grazie al tavolo interistituzionale, abbiamo degli ottimi rapporti. Proprio adesso il Ministro Terzi è stato in Vietnam, dove le autorità vietnamite hanno portato su un piatto d'argento un progetto, che abbiamo elaborato con UNIDO e con Confindustria per la promozione delle piccole e medie imprese, e per creare delle partnership, delle joint-venture fra imprese italiane e imprese vietnamite.
Confindustria secondo me ha fatto dei progressi, ma non bisogna nascondere che anche l'imprenditoria italiana - non voglio essere critica - ha avuto per decenni un approccio alla cooperazione non sempre lungimirante.
Da due o tre anni stiamo facendo uno sforzo per far comprendere alle imprese italiane, tramite Confindustria, che il valore aggiunto della cooperazione è quello di permettere lo start-up di determinate attività, che poi dovrebbero consentire alle industrie dei due Paesi di fare attività congiunte, quindi di creare occupazione e progresso. Lentamente lo stanno capendo.
L'altra cosa che stiamo cercando di promuovere è una maggiore consapevolezza sul fatto che la vera competitività dell'imprenditoria italiana si deve giocare sul valore aggiunto che l'impresa italiana può dare in certi programmi, e non già sull'affidamento di un progetto piuttosto che un altro, ovviamente a gara. Dovremmo essere in grado di promuovere di nuovo, in sede di Unione europea e di Banca mondiale quei progetti in cui siamo in grado di offrire imprese veramente competitive.
Dico sempre a Confindustria che, se si è veramente competitivi, si può perdere


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una gara, ma certo se ne vincono altre. Per sottolineare il contributo che la cooperazione può apportare in questo settore, cito gli incentivi che cerchiamo di dare perché vengano fatti nei PVS degli studi di fattibilità. Se siamo in grado di produrre dei buoni studi di fattibilità, poi l'impresa italiana ha maggior facilità a vincere le gare dove c'è un finanziamento esterno, ad esempio della Banca mondiale. È faticoso, ma il percorso è abbastanza avviato.

PRESIDENTE. Questa audizione è stata veramente importante non soltanto per la cornice generale, ma anche per una serie di temi operativi e concreti che il ministro ha evidenziato come possibili inserimenti all'interno di una possibile riforma, proprio per dare un inquadramento e una capacità operativa senza lasciare smagliature o interpretazioni difficili da gestire.
Desidero soltanto sottolineare un elemento che ci aveva già fornito in una precedente occasione, riferito alla mancanza di personale presso l'Unione europea, perché, se non si dà un indirizzo, non si partecipa, non si compartecipa all'inizio delle varie prospettive, altri Paesi svolgendo questa funzione ci mettono in difficoltà.
Da questo punto di vista, è importante garantire con la presenza di nostro personale un'incidenza che possa avere possibilità non soltanto di ritorno, elemento ovviamente importante, ma anche di prospettiva e di inserimento a priori da parte nostra.
In quanto legislatori, al di là della considerazione relativa alla nostra cooperazione nel 2010 e nel 2011, ci sono stati dati spunti estremamente importanti, di cui dovremo fare tesoro, valutandoli al fine di inserirli in quella che, come auspichiamo, sarà una possibile riforma della cooperazione, per rendere la nostra cooperazione più adeguata ai tempi attuali, soprattutto alla luce della nuova impostazione post Busan in merito alla coesione sociale e alle nuove povertà.
A nome del Comitato, desidero quindi ringraziare il ministro Belloni per tutto l'apporto che ha voluto darci. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,45.

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