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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-IV Camera e 3a-4a Senato)
6.
Martedì 19 aprile 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 2

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Libia e nella regione mediterranea (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 2 3 7 9 17 20
Boniver Margherita (PdL) ... 9
Bosi Francesco (UdC) ... 11
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica ... 2 16

Dozzo Gianpaolo (LNP) ... 11
Farina Renato (PdL) ... 16
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 17 20
Livi Bacci Massimo (PD) ... 13
Mecacci Matteo (PD) ... 9
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 14
Parisi Arturo Mario Luigi (PD) ... 14
Pianetta Enrico (PdL) ... 16
Pistelli Lapo (PD) ... 15
Ramponi Luigi (PdL) ... 12
Tempestini Francesco (PD) ... 7
Tonini Giorgio (PD) ... 12
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - IV (DIFESA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 4a (DIFESA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 19 aprile 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Libia e nella regione mediterranea.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Libia e nella regione mediterranea.
Saluto i colleghi presidenti Dini, Cantoni, Cirielli, e tutti i colleghi presenti.
Ringrazio il Ministro Frattini per la consueta disponibilità a tenere sempre aggiornato il Parlamento, in particolare a seguito degli importanti incontri multilaterali cui ha preso parte.
Do la parola al presidente Dini.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Onorevoli colleghi, a mo' di introduzione vorrei sottolineare che gli ultimi sviluppi in Libia ci dicono che continuano i bombardamenti e gli scontri sul terreno, ma nell'insieme si è creata una situazione di stallo fra insorgenti e forze rimaste fedeli a Gheddafi.
Sembrano inoltre emergere posizioni discordanti e differenziate tra i Paesi partecipanti alla coalizione, i cosiddetti Paesi «interessati» di cui parla la risoluzione n.1973, sul da farsi. Alcuni di essi hanno suggerito di armare gli insorgenti, ma non tutti sarebbero disposti a fornire gli armamenti, come hanno dichiarato gli inglesi. Altri sembrano ritenere che sia necessario un intervento di terra per sconfiggere Gheddafi, mentre il comandante NATO chiede ai Paesi della coalizione di fornire ulteriori aerei adatti per condurre ground-attack necessari per far fronte alle tattiche usate dalle forze di Gheddafi, tattiche che includono nascondere carri armati e altre armi pesanti all'interno dei centri abitati.
Nell'insieme i bombardamenti, ai quali gli aerei italiani non partecipano, continuano giornalmente. Tuttavia, il Segretario generale della NATO Fogh Rasmussen ha dichiarato - cito - «la forza militare da sola non può dare una soluzione alla crisi».
Se l'obiettivo dichiarato dagli Stati Uniti, dal Consiglio europeo, dai singoli membri della coalizione, compresa l'Italia, è e rimane quello dell'allontanamento e della sconfitta di Gheddafi, quali altri mezzi, a parte quelli militari, la coalizione intende adoperare per raggiungere tale obiettivo e mettere fine alla crisi?
Lei, signor Ministro, fa parte del Gruppo di contatto e ha partecipato a tutti gli incontri che hanno avuto luogo dopo la


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nostra ultima audizione in Parlamento. Fra questi incontri, il Consiglio esteri dell'Unione europea in Lussemburgo, la riunione di Doha e la ministeriale NATO di Berlino del 14-15 aprile. Ci spieghi, quindi, come la coalizione e l'Italia intendono proseguire, in particolare quali altre misure si intende mettere in opera, al di là dell'azione militare, che a detta del Segretario Rasmussen non basterebbe.
Sappiamo delle iniziative in corso per convincere Gheddafi a lasciare il Paese, che però probabilmente cadranno nel vuoto se la comunità internazionale non è in grado di garantire in esilio la sicurezza personale di Gheddafi e dei suoi familiari. Ricordo che il mandato internazionale di arresto di Gheddafi per crimini da lui commessi entrerebbe in vigore il 15 maggio prossimo.
In queste condizioni, signor ministro, ci dica lei quali sono le ultime valutazioni della coalizione e quelle italiane e quali ulteriori iniziative e misure possono essere contemplate dalla coalizione.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte ai presidenti e agli onorevoli componenti delle Commissioni. Ci siamo incontrati già molte volte per riflettere sulla situazione in Libia. La giornata odierna è particolarmente felice perché, al di là dell'importante serie di incontri internazionali a cui ho partecipato e che sono stati richiamati, come tutti sapete è in corso la visita del Presidente del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Abdel Jalil, che ho ricevuto stamattina al Ministero degli esteri e accompagnato al Quirinale, dove il Presidente della Repubblica lo ha ricevuto a sua volta. Nel corso del pomeriggio sarà ricevuto a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio.
Partirei dalle riflessioni che abbiamo colto dal Presidente Abdel Jalil, accompagnato - immagino avrete l'occasione di incontrarlo con la sua delegazione nel corso della giornata - dal dottor Alì Al Isawi, responsabile per la politica estera, che io avevo già incontrato alcune volte, e dall'ambasciatore Shalgam che molti di voi ricorderanno, già Ministro degli esteri per un lungo periodo di tempo e ambasciatore della Libia in Italia.
L'incontro ha permesso in primo luogo di confermare un'impressione che aveva indotto il Governo italiano al riconoscimento del Consiglio nazionale: un'impressione di serietà e di determinazione nel perseguire alcuni obiettivi di tipo politico per il futuro della Libia. Obiettivi che sono stati racchiusi in un documento programmatico, che è stato pubblicato dal Consiglio nazionale, in cui è chiara la strada verso la proclamazione di un'Assemblea costituzionale libica che produca un primo risultato di coinvolgimento di tutte le forze politiche nazionali e delle forze tribali presenti sul terreno verso l'adozione di una Costituzione libica, la definizione di regole condivise per lo svolgimento di elezioni libere e democratiche, il rifiuto di ogni estremismo e di ogni fondamentalismo, la conferma della determinazione a contrastare l'islamismo radicale e il terrorismo, l'impegno fermo - definito dal Presidente Abdel Jalil stamattina una linea rossa - a prevenire i flussi di immigrazione clandestina verso l'Europa.
Sulla base di questi impegni politici che, lo ripeto, sono pubblicati in un documento programmatico, il Consiglio nazionale chiede il sostegno anzitutto politico della comunità internazionale e da atto del ruolo prioritario dell'Italia, che con Francia e Qatar ha riconosciuto il Consiglio, ma che ha aggiunto al riconoscimento misure molto concrete per gli aiuti umanitari, per l'assistenza sul terreno in alcuni settori importanti quale quello delle cure mediche, ma anche quello dei sistemi di radio-telecomunicazione, inclusa una prospettiva di collaborazione per il cosiddetto institution building, attraverso la rappresentanza diplomatica italiana a Bengasi.
Il Consiglio nazionale transitorio riconosce, quindi, il ruolo dell'Italia. Oggi è giunta la conferma esplicita e chiara di voler rispettare tutti gli accordi esistenti, primo tra tutti il Trattato di amicizia che


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è stato definito - a mio avviso molto giustamente - un trattato che lega due popoli, il popolo libico e il popolo italiano, un trattato che verrà nuovamente applicato appena le condizioni politiche lo consentiranno e che il Consiglio rispetterà in tutte le sue obbligazioni, ivi inclusi gli aspetti di collaborazione economica tra la futura Libia e l'Italia.
Ci è stato detto che l'intenzione molto chiara - che noi sosteniamo con forza - è quella di lavorare per l'integrità territoriale della Libia. La preoccupazione di molti è per l'attuale situazione di difficoltà che sta attraversando la fase puramente militare, a causa della resistenza violenta delle truppe pagate da Gheddafi. Non parlerei mai più, se permettete, di truppe fedeli a Gheddafi, ma di truppe pagate da Gheddafi, perché di questo ormai si tratta. L'azione messa in cantiere è quella ormai della violenza indiscriminata. Le loro stime sono di circa 10.000 morti e oltre 50.000 feriti. In alcuni casi abbiamo avuto le prove dell'uso delle bombe a grappolo, vietate dalla comunità internazionale. Evidentemente questo si aggiunge alla presenza, nelle strade e nelle piazze delle città sotto assedio, di carri armati e di batterie di missili pesanti che rendono estremamente difficile l'intervento della NATO dal cielo, perché nelle strade e nelle piazze non si può bombardare dagli aeroplani se non con la quasi certezza di colpire anche obiettivi civili.
Questo rende evidentemente immediata e urgente una riflessione internazionale sugli strumenti di autodifesa per contrastare queste forme di azione militare condotta dal regime e non facilmente contrastabili, come pure sta accadendo - anche oggi ci sono stati bombardamenti ulteriori delle forze NATO su Tripoli, Sirte, Misurata - laddove le forze in campo possono essere colpite perché lontane da obiettivi civili.
Abbiamo ascoltato descrizioni di quel che accade particolarmente a Misurata, che possiamo ormai definire una città martire per la resistenza all'assedio, ma anche nella regione delle montagne occidentali, dove altre città sono sotto assedio da giorni, con sofferenze gravissime. In questa situazione, evidentemente, il Consiglio nazionale di Bengasi rivolge un forte appello alla comunità internazionale, ed in primo luogo ai Paesi della coalizione, a mantenere e se possibile intensificare la pressione militare. Mantenere e intensificare vuol dire continuare quella forza di pressione che è una delle componenti della strategia complessiva di cui ovviamente abbiamo parlato stamani, ma anche nelle sedi degli incontri internazionali.
Io credo che, in primo luogo, l'appello e le riflessioni che abbiamo ascoltato meritino un incoraggiamento forte presso altri partner internazionali affinché altri Paesi riconoscano il Consiglio nazionale di Bengasi come unico interlocutore politico, visto che ripetutamente, anche nelle ultime sedi di vertici internazionali, il ruolo del regime è ritenuto non solo non più credibile ma incompatibile con una discussione che lo veda coinvolto nel definire il futuro della Libia.
In altri termini, il ripetuto appello della NATO, dell'ONU, dell'Unione europea, del Gruppo di contatto internazionale all'abbandono del potere e del Paese da parte del colonnello Gheddafi credo dovrebbe convincere ulteriormente ad aprire una fase di fiducia e di credito nei confronti del Consiglio transitorio nazionale di Bengasi, come d'altronde appare dal fatto che esponenti di primo piano, in questo caso il Presidente Abdel Jalil, ma anche il responsabile del Governo provvisorio, il dottor Jebril, sono stati invitati all'Unione europea.
Mi riferisco al Consiglio dei ministri degli esteri di Lussemburgo e al vertice ministeriale di Doha della settimana scorsa. Sia il dottor Jebril, sia il responsabile per la politica estera hanno parlato formalmente al tavolo del vertice internazionale. Sono segnali, a mio avviso positivi, che vanno incoraggiati.
Oltre alla componente militare vi è una questione importante, quella del sostegno economico al popolo libico e del venire incontro ai suoi bisogni primari. Mi riferisco alla necessità che affluiscano risorse


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nelle aree sotto controllo del Governo provvisorio di Bengasi, per l'acquisto di beni di primissima necessità.
Una questione importante, che richiede una risposta della comunità internazionale, è in quale modo consentire che una quota dei fondi congelati, che non sono di Gheddafi, ma del popolo libico - mi riferisco innanzitutto a quelli della Banca centrale di Libia - possano affluire sotto controllo internazionale, con un meccanismo su cui stiamo riflettendo, per far fronte all'acquisto di generi di primissima necessità che in alcune città della Libia sono più che mai indispensabili.
Su questo il Presidente Abdel Jalil è stato molto chiaro: loro si assumono un impegno a venire incontro alle esigenze di tutti i libici, compresi quelli che hanno sostenuto e che sostengono oggi il regime di Gheddafi, qualora siano in pericolo e qualora abbiano bisogno di medicine, di generi di prima necessità e di prodotti alimentari.
Il meccanismo finanziario che chiedono alla comunità internazionale assolverebbe alla funzione di intervenire laddove occorra, senza evidenti distinzioni tra chi è contro e chi è pro Gheddafi.
Il terzo aspetto estremamente importante è quello che costituisce forse il cuore della riflessione della comunità internazionale, ossia quale soluzione politica adottare? Il presidente Dini domandava giustamente come si pensa di indurre, e io aggiungerei forse anche di costringere, Gheddafi all'uscita di scena.
In primo luogo, lo si può attuare rafforzando la coesione internazionale sulla pressione militare e sulla pressione economica. Le sanzioni, come ci è stato riferito, cominciano ad avere effetti sul regime. Cominciano a verificarsi gravi mancanze di generi usati dal regime, come i prodotti petroliferi raffinati. A Tripoli comincia a scarseggiare la benzina e, se scarseggia per la popolazione civile, scarseggia anche per i mezzi del regime.
È soltanto un esempio, che dimostra, però, come le misure di embargo, le misure sanzionatorie economiche, comincino a toccare la capacità di resistenza di un regime che dispone comunque ancora di molte risorse e di mezzi militari, malgrado oltre il 30 per cento di essi sia stato neutralizzato e l'aviazione libica sia ormai da alcune settimane nell'impossibilità totale di operare.
Sono tutti risultati estremamente positivi, se solo pensiamo a che cosa sarebbe accaduto senza la missione internazionale. Noi ci chiediamo perché le forze di Gheddafi non siano state ancora distrutte. La risposta è che per farlo sarebbe stato necessario andare oltre la risoluzione n. 1973, forse con truppe di terra e con azioni mirate sulle città e, in particolare, su Tripoli, opzione che la comunità internazionale non ha, a mio avviso giustamente, ritenuto di adottare.
Questa pressione militare, anche se non ha distrutto la forza bellica di Gheddafi, ha impedito un bagno di sangue nelle città. La gratitudine del Presidente Abdel Jalil e dei suoi collaboratori è la gratitudine di chi aveva visto la propria città, Bengasi, o le città di Tobruk o di Misurata rase al suolo rapidamente in mancanza di un intervento, che ha, invece, scongiurato tale bagno di sangue.
È un primo dato che spesso riteniamo per scontato, ma che non lo era affatto all'inizio dell'iniziativa internazionale, quando sembrava che la riconquista da parte di Gheddafi non avrebbe trovato alcun ostacolo sul terreno. Essa si è, invece, fermata e, anzi, l'azione di forte contenimento che ogni giorno continua ne sta impedendo un'ulteriore avanzata.
Tornando alla soluzione politica, ci sono stati alcuni esercizi più o meno ufficiali compiuti formalmente dall'Unione africana. Come esito di tutti questi tentativi noi affermiamo oggi che non vi è ancora una via d'uscita politica definita, il che ha indotto, al vertice di Doha, la decisione di affrontare questo nodo nel prossimo gruppo di contatto internazionale, che sarà presieduto da me, qui a Roma, nella prima settimana di maggio e che avrà come primo obiettivo quello di definire un coordinamento di tutte le iniziative volte a ricercare la soluzione politica alla crisi.


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La mia proposta, che posso anticiparvi, perché è stata oggetto del mio intervento a Doha, sarà quella di raccogliere nel coordinamento delle Nazioni Unite e dell'Inviato speciale del Segretario generale dell'ONU tutte le iniziative che mirano alla ricerca di una soluzione politica.
Vi sono state una moltiplicazione di iniziative e una pluralità di incontri più o meno confidenziali di emissari del regime in diversi Paesi, tentativi che non sono andati ovviamente nella direzione che noi avremmo auspicato, ma che hanno dato l'impressione di un regime impegnato ancora come attivo interlocutore nella ricerca di una successione a se stesso.
Questo fatto non è accettabile. Io credo che le Nazioni Unite, fortemente determinate all'abbandono del potere da parte di Gheddafi, siano l'organismo con la credibilità e la forza di coordinamento necessarie per assumere tale impegno e noi speriamo che questa proposta sia una delle decisioni che prenderemo al gruppo di contatto a Roma.
Il secondo aspetto su cui si sta riflettendo è come avviare una transizione, definendo, da un lato, l'uscita di scena del colonnello Gheddafi e, dall'altro, la ricerca di interlocutori credibili anche in Tripolitania.
Si tratta di un aspetto molto importante, su cui il Comitato nazionale di Bengasi sostiene di avere ancora una volta le idee chiare. Essi hanno contatti, collegamenti e legami continui che, per motivi di sicurezza, non possono essere oggi esplicitati, anche in Tripolitania, dove evidentemente confidano, una volta compiuto il passo verso l'abbandono del potere, di poter trovare gli interlocutori giusti, che non mancano, a loro avviso, neanche in Tripolitania, per poter sviluppare il dialogo nazionale che preservi l'unità della Libia, obiettivo che loro vogliono e che noi vogliano ugualmente.
I temi su cui rifletteremo nelle prossime settimane sono, oltre a quelli del coordinamento e della soluzione politica, altri due.
Il primo è il tema di come affrontare la questione dell'autodifesa rispetto alle forme di azione armata pesante nelle città, che evidentemente precludono l'intervento della NATO, ma non, purtroppo, stragi disastrose di civili.
Se il nostro obiettivo era ed è quello di proteggere i civili, quali sono le alternative? La prima è un'azione di terra, che non è condivisa dalla comunità internazionale, o dalla larga maggioranza di essa, Italia inclusa. La seconda è un'azione di attacco armato aereo anche nelle zone urbane, ma l'Italia non può condividere tale prospettiva. Non condividiamo neanche l'idea che si possa correre il rischio di un danno collaterale tanto grave. Resta soltanto l'autodifesa degli stessi libici.
È un tema su cui dobbiamo aprire una discussione ampia, coinvolgendo i Paesi che sporgono obiezioni e quelli che sono già ora favorevoli, lasciando poi alle decisioni individuali, sulla base di un quadro generale condiviso, se procedere o meno e a quale tipo di fornitura di armamenti per autodifesa.
Il quadro generale deve essere affrontato, però, con maggiore profondità e con maggiore serietà di argomenti dall'una e dall'altra parte, cioè sia da chi nutre dubbi, sia da chi è favorevole.
Come sapete già, noi abbiamo espresso la disponibilità a un sostegno con strumenti di autodifesa che tocchino, per esempio, le comunicazioni, i sistemi radar, il disturbo alle frequenze e che includano ovviamente equipaggiamenti, ivi compresi strumenti di visione notturna. Molto spesso gli attacchi avvengono di notte e la popolazione non dispone di strumenti per vedere i cecchini appostati sui tetti.
Per quanto riguarda il resto, le armi vere e proprie, l'Italia ha espresso una sua perplessità, anche se io ho parlato di un'extrema ratio a cui si potrebbe ricorrere, ma ripeto che occorre una più approfondita riflessione, che sarà un altro dei temi del gruppo di contatto di Roma.
Il secondo argomento che credo sarà utile approfondire sarà proprio quello di come scongelare una parte degli assetti patrimoniali del popolo libico, permettere che essi arrivino sotto il controllo e il monitoraggio internazionale e fare sì che a


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ciò si aggiunga la possibilità, già sperimentata a titolo bilaterale dal Qatar, di acquisto da Bengasi di prodotti petroliferi della Cirenaica, venduti quindi al mercato internazionale.
Come garantire che gli incassi siano canalizzati sotto il controllo internazionale e come creare un conto trasparente è materia su cui io intendo, dopo l'incontro di Roma, investire formalmente il Comitato sanzioni dell'ONU per trovare una risposta con un meccanismo internazionale legale affidabile, ma che ci permetta di venire incontro a esigenze di primissima necessità.
Da ultimo, c'è l'aspetto umanitario. L'Italia è in questo in primissima linea. Ci siamo distinti nelle scorse settimane più volte per invii umanitari per nave, per il sostegno e la partecipazione ad azioni che hanno portato generi di prima necessità, come kit medici e sistemi tecnici di assistenza per gravi casi di traumi da esplosioni o per la cura di feriti gravi. In alcuni casi abbiamo evacuato dagli ospedali della Cirenaica e di Misurata feriti gravi trasportabili ma difficilmente curabili sul posto e, grazie alla generosità di regioni italiane, prima tra tutte la Lombardia, questi feriti gravi sono già in Italia.
Faremo di più. Aumenteremo il numero delle evacuazioni di feriti dagli ospedali, compresa Misurata. Medici italiani, con l'organizzazione di Emergency, che abbiano fortemente incoraggiato, e paramedici italiani sono negli ospedali di Misurata. Si sta riattivando un ospedale privato, oggi funzionante e con la presenza di medici italiani. C'è in corso, infatti, in questi giorni una gara di generosità per le numerose offerte di medici italiani volontari, per cui organizzeremo dei team ulteriori di medici specializzati anche per gli ospedali di città veramente martirizzate, come Misurata, tuttora sotto assedio, ma senza dimenticare la zona delle montagne occidentali con i villaggi sotto il tiro delle truppe di Gheddafi.
Sul piano umanitario, facciamo e faremo sempre di più. Stiamo lavorando con rapidità all'idea di una nave ospedale. Abbiamo promesso stamattina al Presidente Abdel Jalil di arrivare a 100 feriti gravi da evacuare verso l'Italia, dopo i 25 già trasportati, e di continuare a sostenere i frequentatori di corsi e di borse di studio per studenti libici i cui pagamenti sono stati interrotti dal regime di Gheddafi. In grandissima parte, infatti, gli studenti delle università italiane e americane si sono espressi contro il regime, e quindi hanno visto da un giorno all'altro tagliare il finanziamento alle loro borse di studio, che noi riprenderemo e garantiremo. Si tratta di alcuni degli esempi che dimostrano come il popolo libico e il popolo italiano continueranno a lavorare.
Abbiamo ascoltato parole di estrema gratitudine. Il Presidente Abdel Jalil ha voluto ricordare che io sono stato in assoluto il primo interlocutore non libico con cui hanno preso contatti. Ricordo bene - non avevano neanche i telefoni satellitari - che parlai al Presidente con un telefono italiano quando il primo team italiano, primo tra tutti di gran lunga, era arrivato a Bengasi: da un nostro telefono satellitare gli garantii l'avvio di una collaborazione investendo sulla prospettiva di una Libia democratica e libera, su cui ormai l'intera comunità internazionale converge.
Queste sono le grandi linee del nostro impegno e su questo, ovviamente, continueremo a lavorare per i prossimi impegni internazionali a partire dal gruppo di contatto di Roma. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro.
Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Mi pare che questa introduzione fotografi una difficoltà oggettiva. Il Ministro ci ha spiegato come essa si dipana sui vari fronti e questo ci conferma l'allarme sulle prospettive della situazione che è venuta a determinarsi.
Io non voglio fuggire da un confronto assolutamente costruttivo, ma debbo osservare che, come parte della comunità


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internazionale, la sensazione che suscita questa relazione è di una grande incertezza. Siamo di fronte a una guerra a bassa intensità, questo è il punto. A tale guerra, che ormai stagna sul campo, allo stato attuale non si riesce a comprendere bene quale alternativa si stia realmente costruendo.
Quanto alle possibili alternative e alle questioni che abbiamo di fronte, rilevo innanzitutto che a questa guerra di bassa intensità - come si è detto, richiamando correttamente la risoluzione n. 1973 dell'ONU - non si può dare una conclusione di forza e, quindi, da questo punto di vista è chiaro che il puro e semplice intervento aereo non è risolutivo, ma anzi prodromico, semmai, di ulteriori di ulteriori questioni.
D'altronde, resta avvolta nella nebbia anche la soluzione del sostegno attraverso la fornitura di strumenti di difesa - definiamoli così - tali da consentire al Governo provvisorio di poter esercitare un'azione di tutela e di autodifesa. Infatti, non comprendiamo bene in che termini la comunità internazionale decida di intervenire dal momento, oltretutto, che ci sono mezzi di autodifesa, ad esempio, come ci insegna quel minimo di conoscenze che abbiamo della materia, che comportano, e sono quelli peraltro efficaci, un consistente numero di ore di addestramento e, forse, anche la presenza di personale militare sul campo, di addestratori e quant'altro.
Anche questa mi pare una questione confinata in una sorta di limbo e di indecisione. Lei ha parlato di una extrema ratio. Cosa significa? Che ne stiamo valutando l'opportunità? Che abbiamo messo in atto delle misure preliminari rispetto alla definizione di questo punto?
Inoltre, al di là delle soluzioni che riguardano in forme anche radicalmente diverse l'utilizzo della forza, qual è l'iniziativa diplomatica su cui puntiamo? Condivido l'osservazione del Ministro che occorre in qualche modo centralizzare le questioni che riguardano una forma di esilio di Gheddafi. È chiaro, infatti, che una trattativa con Gheddafi condotta da più sponde non è certo la soluzione migliore. Tuttavia, anche in questo caso, in che termini e in che relazione tale questione si collega alle decisioni delle Nazioni Unite, che noi consideriamo assolutamente valide, ma che, nella pratica - almeno delle considerazioni emerse sulla stampa in tutte queste settimane - appaiono avere, a seconda degli interlocutori, una maggiore o minore validità? Intendo fare riferimento, in particolare, alla deliberazione delle Nazioni Unite riguardo alla possibilità di incriminare Gheddafi per crimini contro l'umanità.
Peraltro, rispetto a tutte queste possibili alternative, qual è lo stato dei rapporti all'interno della comunità internazionale? È verosimile pensare ancora a una divisione tra coloro i quali puntano a una presenza militare più attiva? Non più tardi dell'altro ieri il Primo ministro britannico Cameron ha svolto un intervento su ciò che si potrebbe e vorrebbe fare di più, senza escludere un intervento di terra: è vero e in che termini? Sarebbe interessante se potesse dirci darci maggiori ragguagli: esiste questa articolazione e in che termini c'è una posizione di freno della Turchia? Con quale panorama ci si confronta per cercare di affrontare il tema della fuoriuscita dalla fase di incertezza in cui la comunità internazionale, e mi pare anche il nostro Governo in questo contesto, si trovano a operare?
Siamo anche noi assolutamente convinti che non si possa pensare che questa fase di stallo e di logoramento si traduca, alla fine, nella costruzione di un confine tra Cirenaica e Tripolitania. Si tratterebbe, infatti, di una soluzione che per moltissimi versi - lo abbiamo già detto - non condivideremmo affatto. Vorremmo che il Ministro ci desse la possibilità di uscire da questo incontro con una sensazione che non sia quella di una incertezza incombente e di una difficoltà non solo nostra, per carità, ma della intera comunità internazionale. Vorremmo avere un filo intorno al quale costruire una prospettiva che vada un po' oltre, che ci consenta di misurare l'impegno così straordinario a


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poche centinaia di miglia da casa in modo meno problematico di quanto abbiamo potuto rilevare dall'audizione.

PRESIDENTE. Colleghi, non ho voluto contingentare i tempi perché speravo che, come d'abitudine, vi conteneste, ma sono costretto adesso a fissare il tempo in tre minuti. Grazie.

MARGHERITA BONIVER. Vorrei immediatamente dire che sono molto solidale e approvo moltissimo il ruolo, in molte occasioni anche evidentemente difficile, che su questa complicatissima vicenda ha assunto il nostro Governo e, in modo particolare, il Ministro degli esteri Frattini. È un ruolo ineccepibile, molto delicato, ovviamente, per il nostro passato coloniale, ma è anche di prestigio, come ci ha fatto capire il Ministro, per i nostri rapporti privilegiati con il Consiglio transitorio nazionale di Bengasi. Inoltre, è un ruolo improntato alla massima cautela, che sottoscrivo totalmente, così come sottoscrivo al 100 per cento la decisione che qualche giorno fa il Governo ha preso di non partecipare ai bombardamenti in Libia.
Detto questo, condivido, però, anche le osservazioni del presidente Dini e del collega Tempestini. Ci troviamo molto chiaramente in una situazione di stallo. Siamo, infatti, a un mese esatto dalla promulgazione della famosa risoluzione n. 1973 dell'ONU e, vedendo, ascoltando, leggendo e assumendo informazioni, credo che l'obiettivo primario, che era quello di proteggere i civili in Libia, mentre stiamo parlando non sia stato assolutamente centrato. Certamente, sarà stato di grande aiuto il fatto che i bombardamenti abbiano impedito ulteriori bagni di sangue, ma se vogliamo prendere per buona la cifra - e mi auguro che sia gonfiata - di 10.000 morti, si tratta già di un genocidio. Stiamo parlando di una tragedia umanitaria di proporzioni estremamente rilevanti, per non parlare poi delle decine di migliaia di feriti secondo le cifre del Consiglio transitorio nazionale.
Impressiona oltretutto l'assoluta difformità di strategia che in questo momento è dispiegata sotto gli occhi dell'opinione pubblica credo anche molto attonita: c'è una linea della Casa Bianca, c'è una linea di Sarkozy, c'è una linea Cameron, ci sono diverse linee minori da parte di altre nazioni importantissime. Si ha, quindi, l'impressione che non si sappia esattamente cosa fare.
Aggiungo anche i pasticci e il discredito - vorrei sottolineare - di cui è stata investita inconsapevolmente la Corte penale internazionale in seguito alla recente fuga dalla Libia di Moussa Koussa. Lo stesso fatto che Moussa Koussa si sia recato in Inghilterra e possa viaggiare liberamente, secondo quanto dicono le autorità britanniche, nonostante sia ricercato dalla Corte penale internazionale per Lockerbie e altri crimini, getta discredito su un organismo che dovrebbe essere più che prestigioso.

MATTEO MECACCI. La Corte penale internazionale con Lockerbie non c'entra niente!

MARGHERITA BONIVER. Comunque volevo sottolineare anche questa discrepanza e questa difficoltà che poi si riversa anche sulla famosa soluzione politica. Finora si tratta semplicemente di trovare un Paese africano che possa accogliere Gheddafi e i suoi familiari.
Tutto questo ha provocato sul versante della tragedia umanitaria l'esodo dal territorio libico di oltre 600.000 persone: 300.000 sono transitate verso la Tunisia dal confine tunisino e libico, e altre 300.000 sono andate in Egitto, mentre altre sono apparentemente in viaggio verso le coste meridionali dell'Europa.
Ci stiamo quindi preparando per accogliere questo esodo di proporzioni non ancora quantificabili, che dimostra la gravità estrema di questa situazione.
Credo che una soluzione politica che ancora non esiste o non si intravede sia il vero obiettivo da perseguire con tutta l'energia e con tutto il prestigio innanzitutto da parte dell'ONU, ma certamente anche con dei ruoli nazionali. In questo, ne sono convinta, l'Italia potrà essere molto compartecipe.


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Dobbiamo veramente cercare di chiudere questa situazione nel più breve tempo possibile. È infatti una situazione che per il momento non fa intravedere assolutamente nulla di positivo.

GIANNI VERNETTI. Ringrazio il Ministro per la puntuale e aggiornata relazione svolta. Esprimo due brevi considerazioni. Ritengo molto positivi i contatti con il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi perché mi pare che abbia dimostrato uno standing, una qualità politica e capacità di rappresentanza nelle sedi degli organismi internazionali, per cui, anche se non siamo ancora in grado di comprendere la vera e propria legittimazione democratica che avverrà nel momento opportuno, considero giusti i passi che il Governo italiano ha svolto in quella direzione.
Considero giusto anche il posizionamento con il quale abbiamo definito oggi il tema del Trattato tra l'Italia e la Libia, sospeso de facto anche se siamo pronti a riattivarlo con un Governo legittimato che sia in grado di ricostruire una Libia unita dopo l'uscita di Gheddafi.
Ritengo l'esilio di Gheddafi una strada che avrebbe senso tentare e vorrei capire dal Ministro se soprattutto in sede di Unione africana e in particolare - ho qualche difficoltà a dirlo - in Paesi che non hanno aderito alla Corte penale internazionale è possibile. Noi siamo dei grandi sostenitori di quell'organismo, ma naturalmente oggi un esilio è possibile solo in un Paese non compiutamente democratico. Certo è che il fatto stesso dell'esilio aiuterebbe una conclusione molto più rapida della transizione democratica, e quindi credo che questo sia un nostro interesse.
Sono molto favorevole al sostegno economico e vorrei sapere dal Ministro se esista la possibilità concreta che una parte degli asset congelati del Governo libico all'estero vengano trasferiti all'autorità provvisoria di Bengasi.
Per quanto riguarda l'emergenza umanitaria, ritengo che Misurata e Zliten siano vere e drammatiche emergenze umanitarie. Apprezzo le cose che ha detto il Ministro, ma vorrei sapere se la comunità internazionale stia studiando qualche azione maggiormente proactive. Se vogliamo creare un vero corridoio umanitario - non parlo di quella piccola barca di cui hanno dato conto i mezzi di informazione che ha evacuato una dozzina o una ventina di feriti gravi - serve un'azione diversa e, quindi, un supporto logistico di navi ospedale, di strutture e di assetti militari.
Se vogliamo alleviare la sofferenza della popolazione di Misurata, occorre una scelta più decisa. Il porto è ancora accessibile, quindi, vorrei sapere se vi sia qualche riflessione in questo senso. Sono favorevole a una decisione, ovviamente concordata, volta a prestare sostegno militare agli insorti, in coerenza con la risoluzione n. 1973, che parla di «fornire con ogni mezzo possibile aiuto e un'iniziativa per impedire il massacro della popolazione civile».
Visti i limiti che si ci si è dati all'azione militare per far rispettare la No fly zone, limiti anche condivisibili, credo che la soluzione debba essere quella di fornire sostegno economico al Governo transitorio e sostegno militare non agli insorti o ai ribelli, ma alle forze armate del Governo transitorio. Infatti, se lo riconosciamo come un Governo di transizione e gli riconosciamo un grado di legittimità, dobbiamo anche riconoscere che le forze armate non sono ribelli ai quali dare clandestinamente armi nella notte.
Come affermiamo che riattiveremo il Trattato Italia-Libia quando vi sarà una condizione legittimata democraticamente, dobbiamo anche riconoscere le forze armate di quel Governo transitorio e a queste dare aiuti militari senza nulla di clandestino ma con grande trasparenza, giacché si tratta di una scelta politica alla luce del sole.
L'ultima è una domanda che dovrebbe essere rivolta più al Ministro della difesa. Vorrei capire quale sia la scelta politica che sottende all'attuale utilizzo tecnico dei nostri mezzi aerei. Oggi l'Italia ha messo a disposizione quattro Tornado, quattro Eurofighter; si tratta di una parte importante


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della propria forza aerea, ma vorrei comprendere meglio le modalità tecniche di utilizzo conseguenti alla scelta di non bombardare.
Teniamo conto che oggi Paesi come Danimarca, Belgio, Inghilterra, Canada e Qatar hanno invece una presenza attiva dei propri mezzi aerei con operazioni militari mirate nella legittimazione internazionale della risoluzione n. 1973.

GIANPAOLO DOZZO. Ringrazio il signor Ministro per questa ennesima audizione. Non so, signor Ministro, se oggi sia una giornata felice. Un paio di mesi fa, Al Jazeera mostrava immagini che ci facevano credere che nel giro di due giorni gli insorti di Tripoli avrebbero mandato via Gheddafi, ma ciò non è successo. Non so se sia felice perché, dopo che Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno mostrato i muscoli, mi sembra che gli Stati Uniti vogliano defilarsi dalla contesa. Mi chiedo, dunque, quale sia la loro posizione.
Rispetto al mancato riconoscimento del Consiglio transitorio nazionale da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna ho la netta sensazione che occorresse usare maggior cautela. In questa situazione di stallo - dato che di stallo ormai si parla - oltre a eventuali future (ma non ne vedo) soluzioni politiche, mi chiedo in extrema ratio quale soluzione si debba adottare, perché, se continuiamo di questo passo, andremo avanti per mesi.
Ho infatti la netta sensazione, signor Ministro, che, a parte i mercenari pagati da Gheddafi, se una parte del popolo libico non fosse schierata a favore di Gheddafi, questa rivoluzione si sarebbe fatta subito. Credo che parte del popolo libico sia con Gheddafi, fatto di cui bisogna tenere conto.
Ci chiediamo, quindi, quanta parte del popolo libico sia con Gheddafi. In base alle notizie in nostro possesso sappiamo che sono molti. Procederei, quindi, con cautela per quanto riguarda tutta una serie di affermazioni fatte dall'inizio di questo conflitto ad oggi, che ricordo bene.
Se Gheddafi data la situazione - spero di no - avesse la meglio e rimanesse al suo posto, mi chiedo quale sarà la nostra posizione. È necessario infatti tenere conto anche di questa ipotesi.
La prego, signor Ministro, innanzitutto di essere - come sempre lo è stato - molto cauto riguardo a iniziative quali quelle cui faceva prima riferimento di forniture per autodifesa, perché ho brutti ricordi di forniture per autodifesa in luoghi dove adesso siamo presenti con missioni di peacekeeping. Mi riferisco alla concessione di armi da parte degli Stati Uniti a Paesi dove abbiamo visto a chi sono finite e cosa hanno fatto.

FRANCESCO BOSI. Tutti ci rendiamo conto della grande complessità di questa vicenda libica. Premetto di non avere nessuna simpatia per il personaggio, colonnello Gheddafi, anzi mi indignai quando fu accolto in Italia con grande giubilo, mentre poche settimane dopo è diventato un criminale. Conosciamo Gheddafi da molto tempo (ha cacciato gli italiani) e sappiamo che è un dittatore come lo sono tanti altri capi di Stato dell'area mediterranea e africana.
In campo internazionale siamo passati dalla risoluzione No fly zone, che è stata poi interpretata come licenza di bombardamento anche di posizioni civili, all'attuale situazione di guerra di bassa intensità, che tende a cronicizzarsi.
Mi domando perché lei abbia dichiarato che non c'è un'uscita politica. Forse ho capito male, ma questo mi ha lasciato perplesso. Se ho capito male mi rallegro, ma credo che non si siano viste grandi iniziative sul piano politico.
Sono contento che il rappresentante del Governo provvisorio sia qui a Roma, abbia preso impegni importantissimi che sicuramente ci tranquillizzano, ma a nessuno sfugge, come hanno già detto molti colleghi, che il Governo provvisorio di Bengasi rappresenti solo la Cirenaica. Chi conosce la Libia sa che la Tripolitania è una realtà e la Cirenaica è un'altra. Credo che in giro non ci sia più nessuno così ingenuo da pensare che Gheddafi non abbia un supporto di consenso popolare. È vero che pagherà anche l'esercito, ma gode anche di


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un consistente consenso popolare nella Tripolitania.
Di fronte a questi punti fermi qual è la soluzione politica? Che cosa può fare l'Italia per alimentare, supportare e portare a compimento una soluzione politica, visto che non ne vogliamo una militare e che abbiamo dissentito dalla Francia, quando essa ha assunto iniziative sotto questo aspetto molto forti?
Ci siamo messi nella condizione, a mio giudizio in maniera molto sensata, di dover ricercare lo sbocco politico, l'iniziativa politica. Si parla poco di ciò, mentre vorremmo approfondire questo tema e che ci si lavorasse di più.

GIORGIO TONINI. Signor Ministro, come hanno ricordato anche altri colleghi, è passato un mese dalla risoluzione n. 1973 e quasi un mese dall'ultimo confronto parlamentare. Mi permetto, dunque, di chiedere per il futuro una maggiore assiduità di monitoraggio della delicata crisi libica, anche perché in questo periodo il Governo ha preso due decisioni molto impegnative, che possono essere entrambe considerate un successo italiano.
La prima è stata quella di chiedere e ottenere un forte coinvolgimento della NATO, superando l'idea della coalition of the willing; la seconda il riconoscimento del Consiglio di Bengasi da parte del Governo italiano, unico Governo al mondo, insieme alla Francia e al Qatar.
Mentre la prima è stata un'iniziativa che tendeva a ricondurre nel gruppo, quindi in una logica multilaterale, un intervento militare, la seconda, sul terreno politico, è stata invece un salto in avanti. Usando una metafora ciclistica, si potrebbe parlare di una fuga solitaria da parte dell'Italia, per lo meno in un gruppetto di testa.
In particolare, il secondo passaggio è stato ed è molto impegnativo per il nostro Paese e, mi permetto di osservare che ci sarebbe stato bisogno di un passaggio parlamentare prima di arrivare a una decisione tanto impegnativa, che in linea di principio noi condividiamo, come ha già affermato il collega Tempestini.
Non abbiamo obiezioni di merito, anche se è evidente che questa iniziativa politica, che contiene elementi di coraggio, nonché di rischio per il nostro Paese, comporta poi provvedimenti conseguenti che è un po' difficile non considerare.
Signor Ministro, mi consenta di richiamare le affermazioni fatte dal generale Camporini - presentato peraltro non solo come già Capo di stato maggiore della difesa, ma anche come Consigliere del Ministro degli affari esteri per gli aspetti militari - in un articolo scritto pochi giorni fa per il sito dello IAI; egli definisce l'attuale linea del Governo italiano in Libia come «minimalismo autolesionista» e scrive che «in una posizione certamente assai scomoda - come quella dell'Italia - l'immagine che il Paese sta dando è quella di chi non sa che pesci pigliare, perdendo credito su tutti i fronti.»
Nessuna forza di opposizione si è espressa in tali termini in questo periodo. Cito ancora: «Nonostante questo ruolo essenziale per le operazioni giocato dal nostro Paese, continuiamo a interrogarci amleticamente se sia o meno opportuno partecipare attivamente alle missioni di bombardamento contro il potenziale blindato libico».
È un giudizio molto duro, che mi porta a chiederle chiarimenti. È evidente che la decisione politica che noi abbiamo assunto non è scontata e presenta aspetti coraggiosi e importanti. Mi chiedo, tuttavia, quanto tale decisione non debba comportare oggi una condotta conseguente in termini militari, senza la quale essa rischia di diventare incomprensibile anche sotto il profilo politico.

LUIGI RAMPONI. Signor ministro, prima di tutto, proprio riallacciandomi a quanto già affermato da altri colleghi, desidero esprimere il mio compiacimento per il comportamento del nostro Governo e dell'Italia in una situazione estremamente difficile, per ragioni geopolitiche e di nostri contatti precedenti con la Libia.
Il nostro Governo non si è comportato come la fama che di solito accompagna i commenti relativi al comportamento degli


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italiani in ambito internazionale. Esso ha assunto un atteggiamento assolutamente deciso in tutti i settori: nel settore militare ha dato la disponibilità immediata delle basi e dei mezzi; nel settore degli aiuti è stato il primo e di gran lunga il migliore di tutti; nel settore del riconoscimento si è comportato con un pragmatismo quasi inglese; nel discorso del coordinamento delle operazioni non è stato affatto passivo ed è riuscito, alla fine, a imporre che il coordinamento fosse affidato alla NATO.
Si tratta di un atteggiamento di estrema decisione e coerenza. Quando critichiamo il nostro Governo, dovremmo domandarci che cosa avremmo pensato se esso avesse agito come il Governo francese oppure quello inglese o ancora quello americano, il quale, dopo un primo tentennamento, ha lanciato cento missili e poi si è ritirato.
Per carità di Dio, il nostro è stato un comportamento del quale l'Italia, a prescindere dalle appartenenze politiche, può essere orgogliosa. Il fatto che la situazione difficile non consenta soluzioni immediate non è nuovo in ambito internazionale.
Vorrei porre al Ministro tre domande, a cui vorrei che mi rispondesse. In primo luogo, quali sono le ragioni, secondo lei, per le quali inglesi, francesi e altri ancora non riconoscono il Governo del Consiglio di Bengasi? Francamente non riesco a capire perché, dopo aver esercitato una funzione di estremo appoggio nei confronti di quel Governo, non lo riconoscano. Ciò naturalmente disturba il tentativo di un'omogeneizzazione e di una convergenza da parte di tutte le parti politiche nei confronti dello stesso Gheddafi.
La seconda domanda riguarda il ruolo di Lady Ashton. Quando abbiamo approvato lo Statuto, abbiamo anche celebrato la costituzione di un corpo degli esteri di carattere europeo e il ruolo di Lady Ashton. Tuttavia, dopo un primo pronunciamento, non è più comparsa. Credo che chi si occupa di politica estera debba legittimamente porsi una tale domanda.
Il terzo punto riguarda l'iniziativa dell'Unione africana, che è poi finita malamente. Il fatto che Gheddafi abbia approvato tale iniziativa e che, invece, il Governo di Bengasi non l'abbia approvata può denunciare un'intenzione dei Paesi dell'Unione africana non coerente con l'allontanamento di Gheddafi, come noi auspichiamo? Poiché loro hanno occasione di incontrarsi e vi siete rivisti a Doha dopo tale fallimento, vorrei sapere se l'Unione africana insiste sul fatto che Gheddafi debba rimanere.

MASSIMO LIVI BACCI. Cercherò di essere brevissimo. La prima domanda per il Ministro Frattini è su come funziona l'embargo. Veramente attraverso il mare non passa nulla? Soprattutto che cosa sappiamo sulle migliaia di chilometri di confini con sei Paesi, attraverso i quali non dovrebbe essere difficile rifornire di armi convenzionali il regime di Gheddafi? È una mia curiosità e vorrei sapere se il Ministro possiede informazioni e rassicurazioni su questo tema.
Il secondo punto, toccato anche dalla collega Boniver, riguarda la questione della protezione umanitaria delle popolazioni civili, che dovrebbe essere il primo compito della coalizione. È lodevole l'azione dell'Italia da lei ricordata. Noi tutti ci auguriamo che possa rafforzarsi in futuro, diventando un'azione con molte risorse.
Mi domando, però - ed è una domanda che le avevo già posto - se l'Italia non potrebbe assumere una leadership nell'ambito della coalizione nella gestione e nell'organizzazione del soccorso umanitario. Sarebbe un'opera che ci porrebbe anche in una luce molto favorevole con le popolazioni libiche e africane.
Mi domando se non si debbano veramente moltiplicare gli sforzi e cercare, nell'ambito della coalizione, di ritagliarci un ruolo di preminenza per quanto riguarda la gestione degli aiuti umanitari. Altri Paesi, come la Turchia, hanno compiuto o stanno compiendo sforzi notevoli, ma credo che l'Italia sia nella posizione e nelle condizioni di operare in maniera molto efficiente.
Infine, riprendo l'argomento della creazione in Libia di un presidio permanente o di più presìdi permanenti dell'UNHCR in


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coordinamento con l'Unione europea, con il gruppo di contatto e con altri Paesi per l'accoglimento delle domande di asilo da parte delle popolazioni alle quali noi vogliamo prestare soccorso umanitario, che sono proprio quelle più vulnerabili, ossia quelle della parte africana e subsahariana che vive in Libia.
Rischiamo, infatti, di subire altrettante perdite nella traversata del Mediterraneo, perché è già affondata una nave con 300 migranti a bordo, di un'altra si sa poco e sono centinaia e centinaia le perdite. Credo che questo sarebbe un compito che l'Italia potrebbe assumersi e mi domando se abbia una preferenza e se esistano piani in proposito.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Innanzitutto mi consenta, signor Ministro, di esprimerle la mia comprensione per la sua fatica. Mi rendo conto, se fossi al suo posto, della difficoltà delle scelte che sono di fronte al Governo e che dovrei affrontare. La sua fatica è anche la nostra ed è il motivo per il quale noi abbiamo accettato di confrontarci con il Governo, riconoscendoci nell'interesse e nell'impegno comune del Paese. Perché questo sia possibile, però, bisogna che noi ci aiutiamo e ci parliamo con il massimo di verità.
Da questo punto di vista, onestamente, dovrei solo riproporle le domande che le ha posto introduttivamente il presidente Dini e che non hanno avuto risposta. Al momento, salvo le sue conclusioni, esco da questa audizione con l'idea - che mi è stata trasmessa dai giornali - di un'Italia perplessa, e, quindi, preoccupato per il futuro e sconcertato per il presente.
In particolare, lei, definendo la nostra come una giornata felice, ci ha riferito le richieste del Consiglio nazionale di transizione. Circa un mese fa, quando ci vedemmo esattamente in questa sede, le dissi che mentre sapevamo molto - aggiungo, troppo - di Gheddafi, non sapevamo nulla del Consiglio nazionale di transizione. Non si tratta di una carenza di informazioni da poco perché questo Consiglio nazionale di transizione, innanzitutto, è stato nel frattempo da noi riconosciuto; in secondo luogo, nei nostri ragionamenti è considerato come il referente, l'interlocutore per lo svolgimento delle azioni che pensiamo di implementare. Una cosa è parlare di sostegno, un'altra di sostituzione e possiamo riconoscerci nell'una o nell'altra solo sapendo esattamente quanto forte è il braccio e quali sono le intenzioni che guidano il braccio del Consiglio nazionale di transizione, su cui, invece, non sappiamo nulla.
Sappiamo, purtroppo - e qui mi consenta anche di esprimerle un appunto - troppo della propaganda che non noi stessi contribuiamo ad alimentare. Lei ci ha descritto la situazione sul terreno misurandola con le cifre dei 10.000 morti e dei 50.000 feriti: ma se guardiamo la rassegna stampa, troveremo che 10.000 morti e 50.000 feriti erano esattamente la definizione all'inizio di marzo. Se fosse così, la nostra missione avrebbe raggiunto già il suo risultato perché a quei morti e a quei feriti non se ne sono aggiunti altri, ma sappiamo che non è così.
Sappiamo anche che difficilmente potrebbero essere chiamate forze armate, lo dico rivolgendomi al collega Vernetti, del quale condivido molte preoccupazioni, quelle che vediamo tutte le sere attraverso i televisori e che dovrebbero, appunto, realizzare l'azione del Consiglio nazionale di transizione. Le chiedo, almeno su questo, informazioni aggiuntive per continuare a ragionare assieme e, per quello che è possibile, anche decidere assieme.

FIAMMA NIRENSTEIN. Ringrazio il Ministro per la sua puntuale e precisa definizione dello stato della situazione.
A mio avviso, siamo partiti per affrontare questa missione per motivi fondamentalmente umanitari e questo è tuttora l'obiettivo a cui dobbiamo attenerci. In quello Stato c'era un dittatore, col quale c'erano rapporti più o meno complessi, a volte positivi e a volte negativi, il quale all'improvviso si è rivelato nel suo volto peggiore. Di fronte a una rivoluzione popolare si è messo a sparare sul suo popolo, nello stupore e nella indignazione internazionale.


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Questo è quello che ha portato sia alla risoluzione dell'ONU sia all'adesione dell'Italia alla guerra, se vogliamo chiamarla con il suo nome, che ha indotto vari Paesi a prendere parte a una coalizione che in un primo momento, secondo le parole di Obama, non le nostre, doveva buttare giù Gheddafi, ma a mano a mano si è resa conto di una serie di circostanze. Queste circostanze si sono complicate in maniera spaventevole.
In primo luogo, questo dittatore ha caratteristiche tali che fanno sì che la sua solidità sia molto maggiore di quella che ci aspettavamo; in secondo luogo, ci siamo messi a litigare tra di noi in maniera terribilmente pesante, ovvero l'Europa ha mostrato una serie di volti che d'un tratto sono venuti sotto i riflettori; in terzo luogo, Obama, che in queste ore ha dichiarato che non manderà i suoi aerei, mette la NATO in crisi. Di fronte a un atteggiamento di questo genere degli Stati Uniti, infatti, la NATO potrebbe non dico chiudere battenti, ma certamente dichiarare uno stato di crisi, non c'è nessun dubbio. Obama ci ha messo un'altra volta nei guai, se posso esprimermi in maniera molto diretta e molto semplice.
Ci sono tante iniziative che potremmo prendere oltre a quelle che prudentemente a mano a mano abbiamo adottato e che il Ministro ha descritto in tutti i loro vari passaggi, di carattere sia umanitario sia politico, ma se ci affrettiamo troppo in questa direzione, rischiamo che Gheddafi non vada via e di avere un'opposizione che si definisce variamente.
Vorrei avere maggiori informazioni sul colonnello Khoftar che è stato vent'anni in Afghanistan, capo delle truppe libiche estremiste islamiche e che è tornato per combattere la sua battaglia contro Gheddafi. Di personaggi di questo genere ce ne sono svariati.
Anche verso tutti i Paesi circostanti che hanno visto le loro rivoluzioni è bene mantenere una posizione prudente perché, dall'Egitto in poi, l'atteggiamento delle nuove forze emergenti è ancora molto dubbio. È bene, quindi, mantenere la nostra posizione di partenza, promuovere il più possibile la caratteristica umanitaria della nostra partecipazione, essere molto prudenti e imporre con la nostra forza delle condizioni ai ribelli ovunque essi si trovino e chiunque siano.

LAPO PISTELLI. Il massimo della collaborazione che il principale partito di opposizione poteva offrire è riassunto nel testo che abbiamo votato in Parlamento, col quale autorizziamo il Governo a prendere tutte le misure necessarie.
Il dibattito rende conto molto bene della difficoltà a tracciare delle linee nette sia per la situazione sul campo, ma mi permetto dire, avendo il privilegio di intervenire quasi per ultimo, anche per schierare e allineare le posizioni italiane sia di maggioranza sia di opposizione, che contengono numerose sfumature.
Nella sua relazione ampia, Ministro, come è ovvio, ha fuso assieme sia elementi di informazione e di descrizione sia elementi di valutazione politica che impegnano lei e il Governo rispetto alle scelte già assunte e da assumere. Vorrei fare soltanto una considerazione per estrarre questi ultimi elementi, quelli di valutazione politica che impegnano il Governo a oggi e per domani dal momento che lei ha tracciato una linea di campo molto netta: riconoscimento pieno del Consiglio di Bengasi, condanna piena del regime di Tripoli e obiettivo della integrità territoriale, che mi pare un obiettivo molto importante e senza sfumature.
Al tempo stesso, se si tolgono dal campo due aspetti su cui siamo tutti d'accordo, ossia come scongelare gli assetti finanziari e patrimoniali e come garantire la protezione umanitaria, lei ha individuato tre linee di azione: mantenimento e intensificazione della pressione militare, misure di autodifesa e soluzione politica fino ad arrivare a correggere un verbo usato dal presidente Dini dicendo che le sarebbe piaciuto potesse essere «indurre», ma che forse dovremmo utilizzare «costringere».
Rispetto a questo impegno molto netto di obiettivo, sì Bengasi, no Tripoli, integrità territoriale, a oggi prendo atto, però,


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con un minimo di preoccupazione che sull'intensificazione o il mantenimento della pressione militare il Governo dice di non bombardare, che non è possibile fare azioni ulteriori, per le misure di autodifesa lei parla di visori notturni, ma non di armi, per la soluzione politica vuole per ora ricondurre sotto il coordinamento dell'ONU le varie iniziative politiche assunte in ordine sparso. Visto che è vero, e non ho esitazioni a riconoscerlo, che il Consiglio transitorio gode di un rapporto speciale con l'Italia, ma che le chiede esattamente di andare molto oltre ciascuna di queste posizioni - non vuole una trattativa con Gheddafi, vuole essere più supportato sul piano militare, al punto da aver contestato in incontri bilaterali l'efficacia della guida NATO - per allentare la morsa sulle città, mi chiedo sui tre punti di impegno del Governo, aumentare e intensificare gli elementi di autodifesa e costringere anziché indurre Gheddafi, cosa si intende fare?

ENRICO PIANETTA. In una situazione così difficile e complessa, che addirittura tende allo stallo, credo che il punto centrale sia quello di favorire una capacità di coesione internazionale per rafforzare il Consiglio transitorio, isolare Gheddafi e, come ha detto adesso il collega Pistelli, mantenere l'integrità territoriale.
Credo che l'Italia non abbia espresso atteggiamenti di perplessità, ma sempre atteggiamenti di grande equilibrio e di grande prudenza. Credo che questo le permetterà di emergere sulla distanza.
Ora, se la coesione internazionale è l'elemento su cui giocare in modo da conseguire l'obiettivo, credo, signor Ministro, e ho apprezzato il suo intervento, che l'incontro di Roma dei premi di maggio per realizzare il coordinamento di tutta la comunità internazionale sia l'elemento da perseguire fortemente.
Vanno evitati certi protagonismi, come gli atteggiamento di perplessità e scarsa concordia circa l'azione internazionale di Brasile, India, Cina, Sudafrica. Un forte elemento di preoccupazione su cui l'Italia può lavorare molto è quello della posizione della Russia, che ha espresso critiche nei confronti dell'azione NATO in quanto incoerente con la risoluzione n. 1973. Credo che questo sia un elemento su cui perseguire a Roma un grande obiettivo e una grande capacità di coordinamento e di coesione.

RENATO FARINA. Mi limiterò a una sola osservazione: la risoluzione n. 1973 nella sostanza prevede il diritto di intervento in funzione di un dovere di protezione. Se si assume il diritto di intervento in quanto si sente il dovere di protezione dei civili, credo che analogamente vada spartito il dovere di protezione sulla conseguenza di questo intervento, ovvero sull'emergenza dei profughi e degli emigranti. Visto, allora, che l'intervento in Libia non è stato dell'Europa ma dei singoli Paesi, andrebbe presa sul serio una responsabilità riguardo alle conseguenze da parte dei vari Paesi. Diversamente, prevarrà la grave incoerenza per la quale la protezione dei civili varrà solo fino a quando si potranno affermare degli interessi.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Molto brevemente vorrei fare una proposta al Ministro. Abbiamo tutti affermato che siamo in una situazione di stallo, il segretario generale della NATO ha dichiarato che la soluzione militare da sola non porta all'allontanamento di Gheddafi, e quindi alla soluzione della crisi. Dobbiamo, pertanto, identificare altre iniziative.
Lei ha descritto, signor Ministro, l'iniziativa politica, ossia rafforzare la coalizione internazionale. Questo è un punto sottolineato anche da altri. Ha detto anche che comincia a mancare benzina, che le misure di embargo iniziano a funzionare, ma a tutt'oggi l'embargo verso la Libia riguarda soltanto l'importazione di armi e il blocco dei beni che si trovano all'estero della Libia. Non c'è altro.
Personalmente, ritengo, e già da tempo, che una misura efficace potrebbe essere quella di far dichiarare illegale dalle Nazioni Unite ogni transazione commerciale


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di esportazione o importazione di beni con il regime di Gheddafi, che oramai è illegale.
A mio avviso, un fronte internazionale unito condurrebbe molto probabilmente a un'ondata di defezioni e forse al ribaltamento del regime senza spargimenti di sangue, con o senza un esilio negoziato di Gheddafi.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e traggo alcune riflessioni da quanto ho ascoltato.
Credo che siamo tutti d'accordo nel lavorare per una rapida conclusione di questa fase che alcuni guardano con incertezza, altri con perplessità, altri definiscono situazione di stallo. Rendere più rapida questa fase di transizione è l'obiettivo di tutti. È obiettivo condiviso l'integrità territoriale, è obiettivo condiviso il sostegno economico ad una fase di transizione democratica, e questo sostegno economico, a mio avviso, si dovrà e si potrà esprimere in un meccanismo finanziario per un processo di controllo internazionale sullo scongelamento di quote degli assetti attualmente congelati.
Dobbiamo lavorare tutti - anche questa la traggo come una proposta e un'ipotesi condivisa - per mantenere ed accentuare una situazione di isolamento del regime di Gheddafi che tutto il mondo ha dichiarato di volere, salvo forse parole di simpatia di uno o due Paesi al mondo.
Molti hanno parlato di uno stallo militare. Certamente, da un punto di vista del risultato distruttivo che forse qualcuno immaginava, non ci siamo; ma se leggo le dichiarazioni di oggi del comando della NATO, esse parlano di azioni nella scorsa notte, di multipli attacchi contro il comando e contro i centri di sostegno del regime a Tripoli, a Sirte (la città di Gheddafi) e ad Aziziyah. La NATO non è ferma e non sta sospendendo le azioni dove si può colpire, ovviamente non in mezzo alle strade.
Vorrei dire a tutti coloro che hanno usato l'espressione «stallo militare» per trarne interrogativi che possiamo ragionare se vi sia o non vi sia e come scioglieremo lo stallo militare. Credo di poter uscire da questa audizione dicendo che ciò comunque non giustifica incertezze o ritorni indietro. Ad avviso di chi vi parla, anche ove vi fossero dubbi sulla rapidità dell'azione militare o sul successo ad oggi, credo che non vi dovrebbe essere alcun dubbio sul fatto che il regime di Gheddafi non possa più essere rilegittimato in alcun modo e che un ritorno indietro non si possa immaginare.
Questo riguarda la credibilità delle nostre scelte, non solo quella del Governo italiano, ma anche la credibilità di tutte quelle nostre riflessioni su libertà, democrazia, primavera araba. Io ritengo che qui vi sia un interesse ad essere credibili, un interesse nazionale ad essere attori positivi per partecipare alla transizione politica. La soluzione politica - concordo con il presidente Dini - è quella che ci porta fuori da una situazione di incertezza attuale, ma ovviamente dobbiamo ricordare che il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi ha detto con assoluta chiarezza a tutto il mondo che ricorderà chi nel momento di difficoltà gli è stato vicino e chi non lo è stato.
Non sono decisioni che si prendono con facilità, anzi si prendono con estrema difficoltà, e sono grato all'onorevole Parisi di averlo ricordato e riconosciuto. Trovarci fuori dalla partita politica della transizione avrebbe significato per l'Italia perdere completamente la considerazione in una partita che riguarda la centralità del futuro del Mediterraneo, essere fuori del tutto dalla transizione politica verso la nuova Libia e, se mi permettete, stracciare accordi di collaborazione economica che la nuova Libia rispetterà e che se fossimo stati fuori da questa partita avremmo visto evaporare nel giro di pochi giorni. Di questo si tratta.
Mi permetto di dire a chi ha toccato il tema delicatissimo dell'immigrazione che è dimostrando fiducia nella transizione verso la nuova Libia che noi ci garantiamo


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un futuro di maggior controllo migratorio, e non il contrario. Abbandonare questa posizione, dire che in fondo Gheddafi potrebbe ancora vincere, questo sì aprirebbe le porte verso i flussi migratori da parte degli uni e degli altri. È chiaro che fare una scelta di campo oggi ci permette di ascoltare le parole di Jalil, il quale afferma che la prevenzione contro l'immigrazione è per loro una linea rossa.
Come sapete, dall'inizio della crisi sono arrivati dalla Libia non più di 3.000 profughi rispetto ai 500.000 che sono andati via terra a cercare rifugio in Algeria, in Tunisia, in Egitto. È evidente che se noi ci garantiamo una collaborazione sin d'ora con chi avrà il controllo della Libia unita - ed è quello che noi vogliamo - noi ci garantiamo anche un controllo serio sui flussi migratori per il futuro. Sono ragioni di interesse nazionale, ne sono perfettamente convinto, anche se condivido le sollecitazioni alla cautela che sono state avanzate da molti, sulla possibilità di dare delle risposte in tempi rapidi.
Temi molto importanti sono quelli della coesione della comunità internazionale e questo è uno degli obiettivi del vertice che terremo a Roma. La posizione della Turchia, quella del Brasile, quella della Russia, sono certamente posizioni che teniamo in grande attenzione. Vi dico subito che a Roma inviteremo la Germania: un Paese che ha avuto grande difficoltà ad aderire alla coalizione internazionale, ma che sarà a Roma a dare il suo contributo come grande Paese europeo, e io credo che sarà un contributo positivo.
Lavoreremo con gli altri Paesi che hanno espresso perplessità ed è per questo che la mia proposta sarà quella di concentrare nelle mani delle Nazioni Unite il coordinamento unitario per la ricerca di una soluzione politica. Dico le Nazioni Unite perché, come qualcuno ha detto, l'Unione africana si è impegnata, ma è apparso a un certo punto chiaro che nella sua proposta non c'era l'indicazione precisa che Gheddafi non può essere un interlocutore seduto intorno al tavolo per discutere del destino della Libia. Questo punto è chiaro all'ONU, è chiarissimo all'Unione europea, è chiarissimo ovviamente alla Lega araba. L'Unione africana è stata richiamata da alcuni alla necessità di fare un passo avanti in questa direzione, poiché quel passo avanti non era stato compiuto. Credo che le Nazioni Unite potranno fare la sintesi, nella differenziazione, nella divergenza e anche nella diversità di sfumature.
Alcuni colleghi, in ragione del riconoscimento italiano del Comitato nazionale transitorio, hanno chiesto perché non bombardiamo e non forniamo le armi anche noi. Per quanto riguarda l'azione militare dell'Italia, io credo che il nostro contributo - lo dico con franchezza - sia stato e sia talmente insostituibile per cui non è aggiungendo uno, due o tre aerei che bombardano che l'Italia darà dimostrazione di aver fatto molto, anzi moltissimo. C'è un aspetto che ha determinato la non insistenza alla NATO, la non insistenza del Segretario Gates con il Ministro La Russa, la non insistenza con me dei nostri amici americani, che tutti comprendiamo, perché fa parte della nostra storia.
L'Italia è stata un Paese che ha compiuto malefatte durante la colonizzazione iniziata in Libia cento anni fa e io credo che l'immagine dell'Italia, oggi positiva e importante grazie al Trattato di amicizia, non si gioverebbe di un incidente collaterale di un aereo militare italiano che per sbaglio uccidesse civili libici. Sarebbe propaganda pura nelle mani del regime di Gheddafi.
Esiste anche questo argomento, oltre all'insostituibilità del contributo che noi già forniamo, che ci ha indotto a rispondere con chiarezza che siamo pronti a fare ciò che abbiamo fatto e che stiamo facendo e che ci ripartiamo i compiti in questa maniera.
Vogliamo lavorare anche sul tema dell'autodifesa. Non mi sottraggo alla domanda dell'onorevole Vernetti e dell'onorevole Pistelli su perché non forniamo le armi ai civili di Bengasi. La risposta è perché non c'è stato e non c'è un quadro internazionale che rassicuri sulla legittimità di tale azione. Ogni Paese poi potrebbe


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decidere. Sarebbe sbagliato, a mio avviso, a livello unilaterale, decidere ciò che si può e non si può fare.
Voi sapete che vi sono Paesi secondo i quali fornire armi - non parlo degli apparati per intercettazione o per il disturbo delle comunicazioni, né dei visori notturni - è illegale rispetto alla risoluzione n. 1973. Pensate mai che senza un'approfondita riflessione in sede interpretativa dell'ONU si possa decidere unilateralmente? È una delle ragioni per le quali noi abbiamo spiegato che la cautela non è semplice prudenza, ma è fondata sulla mancanza di un approfondimento innanzitutto del quadro internazionale. Non vogliamo neanche immaginare che un altro Paese sostenga che l'Italia compie un'azione illegale secondo la risoluzione n. 1973.
Il quarto tema affrontato è quello dell'impegno umanitario. Onorevole Vernetti e senatore Livi Bacci, posso affermare che l'Italia ha già acquisito un ruolo preminente sotto il profilo umanitario, non solo per ciò che ha già compiuto, ma anche per la circostanza, forse a tutti già nota, che essa assume il comando della missione umanitaria EUFOR.
La missione EUFOR Libia si è costituita, è stata adottata e avrà un comando italiano, una base operativa a Roma e alla testa un ammiraglio italiano. L'Italia riveste già, dunque, un ruolo preminente rispetto a tutti gli altri Paesi della coalizione e lo riempirà anche di risultati concreti.
Preciso subito all'onorevole Vernetti che la missione EUFOR, su richiesta dell'organismo dell'ONU per gli aiuti umanitari, può intervenire anche con un'assistenza di tipo protettivo ai convogli umanitari. È un compito che dipende dalla richiesta che l'ONU avanzerà. Non interveniamo spontaneamente, ma, ove richiesto, in cinque giorni la missione EUFOR è pronta a sostenere anche un corridoio umanitario in un'area della Libia che lo richieda.
Molti punti hanno riguardato l'embargo. Esso funziona, senatore Livi Bacci, e riguarda la missione marittima della NATO. Lei ha ragione: un controllo di embargo via terra imporrebbe forze di terra. È un tema su cui le Nazioni Unite non hanno assunto una decisione e l'hanno fatto intenzionalmente: laddove l'embargo è assoluto, il controllo forzoso sul mare è assistito da una missione NATO, mentre su terra non è assistito per la semplice ragione che ciò comporterebbe forze di terra. Siamo pronti a considerare forze di terra? L'Italia non lo è e io credo che sarebbe un rischio notevolissimo, nel cuore del mondo arabo, una presenza di forze militari occidentali anche solo per il controllo dell'embargo.
Tutt'altra questione è se le Nazioni Unite, nel loro ruolo di coordinamento, assumessero anche quello di verifica, di ispezione e di monitoraggio sul terreno per verificare il pieno rispetto della risoluzione n. 1973.
Quello affrontato dal presidente Dini è un tema chiave: come rafforzare la chiusura dell'embargo intorno al regime? Presidente Dini, anticipando un po' il suo auspicio, noi abbiamo adottato la settimana scorsa l'estensione dell'embargo a tutte le transazioni commerciali su tutti i prodotti petroliferi della compagnia di Stato e delle affiliate e dipendenti della holding della compagnia petrolifera libica.
In altri termini, l'aver sancito l'illegalità di tutte le transazioni è la ragione per la quale uno dei temi giuridicamente importanti che dovremo affrontare è se il Comitato sanzioni potrà autorizzare la Cirenaica, operazione che altrimenti contravverrebbe l'embargo, a vendere prodotti petroliferi a terzi per trarne sostentamento economico. Raccogliendo in anticipo questo auspicio, abbiamo decretato ciò. L'estensione ulteriore sarebbe, a mio avviso, fondamentale e credo che la si potrebbe realizzare, se in parallelo, nel vertice di Roma, decidessimo un meccanismo di conto monitorato internazionalmente attraverso il quale controllare il flusso per l'acquisizione di beni di prima necessità.
Tra le transazioni di prima necessità figurano l'acquisto di acqua potabile e di cibo. Se le bloccassimo completamente, ciò ovviamente determinerebbe un grave problema


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per la popolazione civile - pensiamo a Tripoli - ma, se parallelamente affermassimo che il flusso per l'acquisto di questi prodotti è internazionalmente monitorato, potremmo agevolmente affermare che tutto il resto è transazione illegale e da proibire.
In questo senso raccolgo la suggestione. È uno degli aspetti che dovremo affrontare in questo spirito di coordinamento. Ringrazio, in particolare, anche il presidente Dini per questa proposta, su cui ovviamente lavoreremo.
Chiudo le mie riflessioni comunicando che, se non ci sarà coordinamento internazionale, non realizzeremo la prospettiva politica a cui accennava l'onorevole Pistelli, perché il regime crederà che continuando a mandare emissari all'uno e all'altro Paese, aprirà una breccia nell'unità della coalizione, situazione che a livello politico non possiamo accettare.

PRESIDENTE. Signor Ministro, le pongo una semplice domanda: sappiamo da che porto si sono imbarcati i 700 arrivati a Lampedusa dalla Libia?

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Si sono imbarcati dal porto di Zuara. Il Comitato nazionale di Bengasi ci fornirà elementi e prove sull'organizzazione di tale traffico da parte del regime di Gheddafi, che ha dovuto fortunatamente evacuare quell'area, ma che aveva cominciato, come promesso e come annunciato da Gheddafi stesso pubblicamente, di organizzare, come strumento di pressione su di noi, il traffico di esseri umani.
L'aveva annunciato, aveva cominciato a farlo, ma fortunatamente la pressione militare e la pressione internazionale hanno fatto cessare tale azione e l'hanno limitata a un solo episodio quello che altrimenti sarebbe stato un altro strumento di guerra asimmetrica contro l'Occidente.

PRESIDENTE. Ringraziando il signor Ministro e tutti i colleghi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

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