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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)
1.
Martedì 23 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti dell'Istat (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
Occhiuto Roberto, Presidente ... 10 13 16
Baretta Pier Paolo (PD) ... 11
Brunetta Renato (PdL) ... 11 13
Cambursano Renato (Misto) ... 10
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 13
Duilio Lino (PD) ... 10
Giovannini Enrico, Presidente dell'Istat ... 3 13 16

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Occhiuto Roberto, Presidente ... 16 18
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 20 23 24 26 27 29
Barbi Danilo, Segretario confederale della CGIL ... 16 27
Baretta Pier Paolo (PD) ... 27
Brunetta Renato (PdL) ... 24
Cambursano Renato (Misto) ... 26
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 24
Duilio Lino (PD) ... 25
Marchi Maino (PD) ... 26
Petriccioli Maurizio, Segretario confederale della CISL ... 18
Proietti Domenico, Segretario confederale della UIL ... 20 29
Varesi Paolo, Segretario confederale della UGL ... 23

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 29 36 45 49
Baccini Mario (PdL) ... 41
Baretta Pier Paolo (PD) ... 36
Boccia Francesco (PD) ... 40
Bonfrisco Anna Cinzia (PdL) ... 43
Brunetta Renato (PdL) ... 37
Cambursano Renato (Misto) ... 38
Causi Marco (PD) ... 42
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 43
Duilio Lino (PD) ... 39
Fugatti Maurizio (LNP) ... 42
Giorgetti Alberto (PdL) ... 44
Grilli Vittorio, Ministro dell'economia e delle finanze ... 29 40 45
Moroni Chiara (FLpTP) ... 44

Audizione di rappresentanti della Corte di conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 49 56 58 59
Calvisi Giulio (PD) ... 57 59
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 58
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 49 58 59
Meloni Maurizio, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 59
Occhiuto Roberto (UdCpTP) ... 56
Romano Massimo, Consigliere della Corte dei conti ... 58

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 59 65 66 67 68 69
Bonfrisco Anna Cinzia (PdL) ... 65
Borghesi Antonio (IdV) ... 68
Brunetta Renato (PdL) ... 66 68
Cambursano Renato (Misto) ... 68
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 65
Rossi Salvatore, Vice direttore generale della Banca d'Italia ... 59 67 68

ALLEGATO: Documentazione trasmessa dal Ministro dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli ... 71
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5A (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di martedì 23 ottobre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,45.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Istat.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'Istat.
Ringrazio naturalmente il presidente, professor Giovannini, per aver risposto al nostro invito. Ricordo che abbiamo un calendario serrato di audizioni; ci sarà spazio, come sempre, per le domande, però vi invito sin d'ora a garantire il rispetto dei tempi.
Do la parola al presidente Giovannini.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'Istat. Grazie, presidente. In questa audizione, svolta a poca distanza da quella dedicata alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF), mi concentrerò inizialmente sull'illustrazione delle più recenti informazioni di carattere congiunturale, dalle quali emergono segnali alquanto contraddittori sul futuro del ciclo economico.
Successivamente, verranno presentate una valutazione complessiva dell'effetto sul bilancio pubblico degli interventi di consolidamento fiscale effettuati nell'ultimo anno ed alcune evidenze sull'effetto atteso delle principali proposte contenute nel disegno di legge, in particolare quelle che riguardano le modifiche delle aliquote IVA e di quelle IRPEF, cui si accompagnano una revisione del sistema delle detrazioni e deduzioni.
Infine, verranno presentati alcuni dati di contesto relativi a due argomenti riguardanti la vita dei cittadini nei centri urbani, sui quali il disegno di legge propone specifici interventi: il sistema di trasporto pubblico locale e il risparmio energetico derivante dalla riduzione dell'illuminazione pubblica nelle ore serali.
Con l'occasione, vorrei sottolineare la soddisfazione dell'Istituto per l'attenzione dimostrata dal Governo per la riforma del sistema statistico nazionale, l'avvio del censimento continuo della popolazione e delle abitazioni e la copertura delle esigenze finanziarie dell'Istat. Infatti, le norme inserite nel decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, e le proposte per lo stanziamento di bilancio dell'Istituto, consentono non solo di rispondere alla crescente domanda di statistiche ufficiali provenienti dalle autorità europee e nazionali, ma anche di innovare profondamente il funzionamento della statistica pubblica, allo scopo di migliorarne l'efficienza e la qualità del servizio fornito alla società.
Veniamo ora all'esame della congiuntura economica. Poco meno di un mese fa, in occasione dell'audizione presso queste


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Commissioni riunite per la valutazione della Nota di aggiornamento del DEF, avevamo documentato come l'economia italiana stia attraversando una delle fasi recessive più lunghe della sua storia e come, in conseguenza di un quinquennio di forte difficoltà, il reddito disponibile delle famiglie a prezzi costanti si collochi sui livelli del 2001 in termini assoluti e su quelli della prima metà degli anni Novanta in termini pro capite.
Inoltre, si segnalava come l'analisi della congiuntura rivelasse alcuni primi, seppur timidi, segnali positivi. Ulteriori segnali incoraggianti, ancorché non univoci, sono emersi anche dalle ultime settimane: peraltro, la cautela nell'interpretazione di questi dati è d'obbligo, vista la difficoltà di destagionalizzare, in una fase congiunturale incerta come l'attuale, i dati relativi al mese di agosto.
In ogni caso, in tale mese è proseguita la tendenza positiva della produzione industriale e del fatturato dell'industria, con una crescita più forte sul mercato interno rispetto a quello estero. Anche per gli ordinativi totali, l'andamento congiunturale è stato positivo: ad agosto la produzione delle costruzioni è aumentata del 5,3 per cento rispetto al mese precedente; si tratta della prima variazione positiva da gennaio.
Valori positivi si riscontrano anche nel commercio con l'estero. Sempre ad agosto si rilevano aumenti congiunturali sia per le importazioni sia per le esportazioni. L'aumento dell'export è più sostenuto per le vendite verso i Paesi extra Unione europea rispetto a quelli dell'Unione europea.
In termini tendenziali, i volumi esportati sono aumentati del 2,8 per cento e questi mostrano andamenti nettamente differenziati tra i flussi verso l'area dell'Unione europea, in calo persistente dal quarto trimestre del 2011, e quelli verso l'area extra Unione europea, in forte aumento nel secondo trimestre del 2012 e con una tendenza al rallentamento nei mesi successivi.
Nei primi sei mesi di quest'anno, un'impresa esportatrice su due ha incrementato le vendite dei propri prodotti all'estero rispetto allo stesso periodo del 2011. La quota di imprese che migliorano la propria performance è più elevata nelle imprese di medie dimensioni, in quelle con una minore propensione all'export che operano nei comparti dell'offerta specializzata, e soprattutto in quelle attive sui mercati extra Unione europea.
Nella documentazione predisposta dall'Istat è riportata una serie di dettagli proprio per cogliere gli elementi di successo di queste imprese esportatrici, visto che le esportazioni sono la componente più dinamica della domanda complessiva.
Segnali di sofferenza permangono dal lato delle famiglie. Nel secondo trimestre il potere d'acquisto delle famiglie si è ridotto dell'1,6 per cento rispetto al trimestre precedente e del 4,1 per cento rispetto al secondo trimestre del 2011.
Nel secondo trimestre di quest'anno, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari all'8,1 per cento, valore che rappresenta il minimo storico assoluto.
La predisposizione delle famiglie consumatrici a operare ulteriore riduzioni del tasso di risparmio per attenuare gli effetti della compressione dei redditi sui propri modelli di consumo è uno dei fattori di rischio dell'attuale situazione economica. L'eventuale prevalere di comportamenti precauzionali indotti da un peggioramento marcato e prolungato della percezione e delle attese sull'evoluzione del reddito potrebbe, infatti, generare ulteriori effetti depressivi.
L'indagine sul clima di fiducia dei consumatori indica, per il terzo trimestre del 2012, un ulteriore deterioramento dei giudizi relativi alla situazione reddituale e alla capacità di ricostituzione del risparmio: è ancora aumentata la quota di chi dichiara di erodere il risparmio o di indebitarsi, mentre è diminuito il peso di chi si considera in condizioni di quadrare il bilancio e anche di coloro che riescono a risparmiare.
Il mercato del lavoro presenta ancora segnali negativi. Dopo un biennio di riduzione dell'occupazione seguito da un moderato recupero nel 2011, nel primo semestre


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del 2012 il numero di occupati è tornato a diminuire. In termini congiunturali nel mese di agosto il numero di occupati presenta una riduzione dello 0,3 per cento, dovuta esclusivamente alla componente femminile. Il tasso di disoccupazione si posiziona al 10,7 per cento, dopo una crescita sostenuta a partire dalla seconda metà del 2011. L'indicatore resta più elevato per la componente femminile e quella giovanile si attesta al 34,5 per cento.
Nel secondo trimestre dell'anno il tasso dei posti vacanti si è attestato intorno allo 0,5 per cento del totale delle posizioni lavorative, con una riduzione di quattro decimi di punto rispetto a un anno prima. Va però segnalato come qualche segnale maggiormente positivo viene dalle aspettative sulla futura tendenza dell'occupazione, che a settembre mostrano un lieve miglioramento nel settore manifatturiero, nel turismo e nei servizi di informazione e comunicazione.
Nei mesi estivi, la dinamica dei prezzi al consumo, risentendo dei rincari del prezzo del petrolio, ha confermato ritmi di crescita ancora superiori al 3 per cento e appena più contenuti rispetto a quelli registrati nel primo semestre del 2012. Il fatto che, nonostante la recessione, l'inflazione non rallenti significativamente è uno degli elementi che mostrano che evidentemente i nostri mercati dei prodotti non sono sufficientemente reattivi.
Nei prossimi mesi è probabile che si verifichi un rallentamento del ritmo di crescita dei prezzi per tutte le principali componenti. Nel quadro di una contenuta riduzione delle spinte provenienti dai costi energetici, l'evoluzione tendenziale sconterà anche un confronto statistico favorevole, data l'accelerazione dell'inflazione nello stesso periodo del 2011, dovuta all'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA deciso a settembre dello scorso anno.
D'altra parte, per i prodotti destinati al consumo finale non alimentare, la crescita su base annua dei prezzi alla produzione è stata abbastanza contenuta, anche se a settembre i produttori di beni di consumo appaiono relativamente più inclini ad aumenti futuri dei listini rispetto all'inizio dell'estate, quando a prevalere erano le intenzioni di riduzione dei prezzi.
Nella seconda parte del 2012, la contrazione dell'attività economica dovrebbe segnare un rallentamento rispetto alla prima metà dell'anno, portando la riduzione annua del PIL al 2,3 per cento, con un «effetto trascinamento» sul 2013 pari all'1,2 per cento.
Tale previsione incorpora una leggera riduzione della produzione industriale nel mese di settembre e variazioni congiunturali positive nei mesi di dicembre e gennaio. Consumi e investimenti dovrebbero registrare ancora variazioni congiunturali negative negli ultimi due trimestri dell'anno in corso, sebbene di intensità inferiore a quanto registrato nei trimestri precedenti. Un aumento dovrebbe riguardare le esportazioni, mentre le importazioni dovrebbero ricominciare a crescere nel quarto trimestre.
Per il 2013 le principali istituzioni nazionali e internazionali prevedono per l'Italia ancora, nella media dell'anno, una riduzione del PIL. Questo scenario previsivo è, tuttavia, soggetto a un elevato grado di incertezza. Permangono i rischi legati al peggioramento atteso della congiuntura internazionale, soprattutto a causa del rallentamento della crescita nei Paesi asiatici, mentre per l'area euro vi sono indicazioni contrastanti. L'indicatore che cattura le aspettative delle imprese tedesche è migliorato, riflettendo la riduzione del grado di incertezza e l'allentamento delle tensioni nei mercati finanziari. Gli indici anticipatori dell'OCSE indicano ancora la prosecuzione in una fase negativa; e i dati relativi alle altre economie europee non segnalano modifiche rilevanti nella fiducia degli operatori economici.
Secondo le previsioni elaborate congiuntamente a inizio ottobre dai IFO, INSEE e Istat, il PIL dell'area euro dovrebbe continuare a contrarsi nella seconda metà dell'anno, per poi registrare un andamento stagnante nel primo trimestre del 2013.
Un elemento importante che vorremmo sottolineare - al di là del fatto che negli Stati Uniti l'andamento ciclico risulta più


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dinamico di quello europeo, ma il maggiore fattore di rischio è l'evoluzione in senso restrittivo della politica fiscale - è che le analisi condotte recentemente dal Fondo monetario internazionale sembrano indicare un più forte impatto di manovre restrittive di tipo fiscale in una fase come l'attuale. Questo evidentemente è un elemento che va tenuto presente nel disegno delle future politiche pubbliche.
Veniamo agli interventi proposti nel disegno di legge di stabilità per il 2013. In termini complessivi, il disegno di legge si traduce in una riduzione netta di entrate, nel biennio 2013-2014, rispetto al quadro tendenziale, pari a 3,4 miliardi di euro - circa un decimo di punto di PIL -, e in una contrazione netta delle spese per circa 500 milioni di euro. Esso prevede misure espansive - pari a quasi 13 miliardi di euro nel 2013, 10 nel 2014 e 9 nel 2015 - e misure restrittive - per poco più di 10 miliardi di euro nel 2013, 9,8 nel 2014 e 9 nel 2015 -. Di conseguenza, le misure comportano per il 2013 un maggior ricorso all'indebitamento netto della pubblica amministrazione rispetto al tendenziale indicato nella Nota di aggiornamento al DEF per 2,9 miliardi e lasciano sostanzialmente invariati i saldi negli anni successivi.
Il peggioramento del saldo nel 2013 risulta coerente con le indicazioni programmatiche contenute nella Nota di aggiornamento al DEF. Negli anni successivi, l'indebitamento è previsto ridursi all'1,5 per cento e all'1,4 per cento senza modifiche rispetto al quadro tendenziale.
Tali andamenti confermano, per il 2014, le indicazioni programmatiche contenute nella Nota di aggiornamento del DEF, che non individuava per tale anno una necessità di manovre aggiuntive, mentre per il 2015 indicano un indebitamento netto superiore di un decimo di punto in termini di PIL. Complessivamente, nel triennio 2013-2015 si propone di reperire maggiori risorse per circa 29 miliardi di euro, composte per circa il 63 per cento da maggiori entrate e per il 37 per cento da tagli di spesa.
L'aumento di entrate è ottenuto prevalentemente mediante la riduzione delle agevolazioni IRPEF per i redditi superiori a 15.000 euro, l'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, gli aumenti di gettito delle accise sul carburante, l'aumento degli acconti sulle riserve tecniche per le imprese di assicurazioni e la riduzione di agevolazioni per l'acquisto di beni aziendali.
Il taglio delle spese è ottenuto principalmente mediante una riduzione delle spese degli enti territoriali, interventi di razionalizzazione nel settore sanitario e nel settore degli enti di previdenza.
Le risorse disponibili vengono impiegate per finanziare interventi espansivi che complessivamente ammontano a poco meno di 32 miliardi di euro nel triennio, di cui 22 miliardi di riduzione di entrata e quasi 10 miliardi di aumento di spesa. Nel documento predisposto dall'Istat sono richiamati naturalmente i principali interventi: la riduzione delle aliquote IRPEF, la proroga della detassazione dei salari di produttività, il contenimento dell'aumento delle aliquote IVA, già previsto per la metà del 2013, a un punto percentuale anziché due.
Tenendo conto della riduzione delle aliquote IRPEF e della rimodulazione di deduzioni e detrazioni, si ha un minor gettito complessivo stimato in 2,1 miliardi di euro nel 2013, 5,3 miliardi nel 2014 e 4,6 miliardi nel 2015.
Le misure proposte potrebbero beneficiare i redditi più bassi, anche se, per una valutazione puntuale, bisognerebbe tener conto della specificità delle deduzioni. Inoltre, per una valutazione più ampia degli interventi sulle imposte, occorre valutare puntualmente anche gli effetti sui diversi panieri di spesa dell'incremento dell'IVA e della specificità delle deduzioni.
Per quanto riguarda le misure di incremento di spesa, esse sono relative per 5,6 miliardi di euro, nel triennio, alle voci di parte corrente, e per 4,2 miliardi alle spese in conto capitale.
Farò adesso, visti i tempi stretti, alcune considerazioni su taluni specifici interventi previsti nel disegno di legge di stabilità.


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Prima di questo, però, vorrei sottolineare che, nel paragrafo 3.2 del documento predisposto dall'Istat, cerchiamo di dare una valutazione complessiva delle manovre di finanza pubblica attuate nell'ultimo anno. In particolare, eseguiamo un'analisi degli scarti tra quello che era stato previsto e quello che è stato realizzato.
Vorrei sottolineare a tale proposito che, in assenza degli interventi realizzati nell'ultimo anno, il peggioramento del bilancio sarebbe stato ancora più forte e difficilmente sostenibile, ma il fatto che gran parte dello scostamento tra quadro programmatico e realizzazioni sia dovuto alle diverse prospettive di crescita rende evidente come il proseguimento del percorso di deciso e duraturo risanamento fiscale non possa essere realizzato senza un'attenta valutazione del rischio che le manovre di consolidamento vengano riassorbite dal peggiore andamento del quadro macroeconomico.
Poiché quest'ultimo non è indipendente dalle caratteristiche delle manovre, gli interventi proposti e quelli futuri devono essere disegnati con grande attenzione, al fine di minimizzare l'effetto negativo sulla crescita di breve termine e, soprattutto, di aumentare il potenziale di sviluppo a medio termine.
Le recenti analisi svolte dal Fondo monetario internazionale indicano al riguardo il rischio di «avvitamento» derivante dalle forti riduzioni dell'indebitamento pubblico in presenza di una congiuntura economica negativa.
In particolare, come evidenziato dall'ultimo World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, recenti analisi di confronto internazionale per i Paesi avanzati degli errori di previsione della crescita effettuati nel periodo 2010-2011 indicano la presenza di una sistematica sottostima dell'impatto delle misure di contenimento dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione sulla crescita economica.
In base a questi risultati, i moltiplicatori fiscali effettivi sperimentati nei paesi avanzati durante l'ultima crisi sono da due a tre volte maggiori di quelli abitualmente utilizzati nell'analisi economica. Ciò implica che per ogni punto percentuale di PIL di contenimento del disavanzo fiscale la crescita economica di breve termine verrebbe ridotta da poco meno di un punto percentuale fino a più di un punto e mezzo. Questo si deve alle condizioni cicliche delle economie nelle quali l'aggiustamento di bilancio è stato implementato e al limitato ruolo di supporto alla crescita della politica monetaria dovuto alle persistenti difficoltà nel sistema finanziario internazionale.
Veniamo adesso alla valutazione di alcuni interventi puntuali, partendo dall'aumento delle aliquote IVA.
Come sappiamo, la previsione è di una riduzione di un punto dell'incremento delle due aliquote del 10 e del 21 per cento. In questo caso, l'impatto rispetto all'assenza di incremento sarebbe pari allo 0,83 per cento per i beni e servizi a IVA ordinaria e dello 0,91 per cento per quelli su cui grava l'aliquota del 10 per cento.
Complessivamente, quindi, la manovra interesserà i prezzi di beni e servizi relativi a quasi l'80 per cento della spesa per consumi. In particolare, il previsto incremento riguarda per intero la divisione di spesa delle bevande alcoliche e tabacchi, l'abbigliamento e le calzature, mentre ha un'incidenza superiore al 95 per cento per i trasporti, le comunicazioni, i servizi ricettivi e di ristorazione.
Sulla base delle elaborazioni effettuate a partire dagli indici elementari di prodotto del paniere e dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo, l'impatto della manovra ammonterebbe a otto decimi di punto percentuale su questo indice complessivo. Naturalmente, nel caso in cui fosse stata confermata la maggiorazione di aliquota di due punti l'impatto sarebbe stato pari a circa 1,5 punti percentuali.
L'impatto maggiore sulla crescita dei prezzi al consumo per effetto dell'aumento di un punto di IVA si registrerebbe, come ho detto, per bevande alcoliche, abbigliamento


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e calzature, trasporti e comunicazioni, mentre gli alimentari subirebbero una crescita dei prezzi dello 0,5 per cento.
In termini di tipologia dei prodotti, l'effetto maggiore si registrerebbe per i prezzi dei beni, in particolare per i beni energetici, mentre i prezzi dei servizi risulterebbero accresciuti di sei decimi di punto percentuale.
In termini distributivi, le primissime analisi che siamo riusciti a condurre, non per classi di reddito ma per classi di consumo, indicano un profilo abbastanza piatto tra le diverse classi di consumo, quindi l'effetto sarebbe naturalmente negativo, ma con una distribuzione tra le diverse classi di consumo non così differente.
Veniamo adesso alla variazione delle aliquote IRPEF e le nuove disposizioni su deduzioni e detrazioni. In questo caso abbiamo considerato l'effetto congiunto dei provvedimenti relativi alle modifiche delle aliquote del primo e del secondo scaglione IRPEF, la modifica degli oneri deducibili che interessa i contribuenti con reddito complessivo superiore ai 15.000 euro, e la modifica delle detrazioni che riguarda anch'essa i contribuenti con reddito complessivo maggiore di 15.000 euro, e prevede una franchigia di 250 euro per la maggior parte delle spese detraibili al 19 per cento e un limite superiore di 3.000 euro al totale delle detrazioni.
L'impatto sulle singole famiglie dipende dall'effetto combinato dei diversi aspetti dell'intervento, dal livello e dalla composizione delle fonti di reddito familiare e dall'ammontare di deduzioni e detrazioni spettanti in base alla normativa preesistente.
Sulla base del modello di microsimulazione dell'Istat, peraltro in fase di revisione e affinamento, la riduzione di imposta media per famiglia, inclusiva di quella relativa alle addizionali regionali e comunali, è pari a circa 240 euro.
In particolare, le misure considerate comportano un beneficio medio di 340 euro l'anno per il 77,7 per cento delle famiglie e un aggravio di 290 euro per il 7,4 per cento delle famiglie, mentre il rimanente 14,9 per cento avrà un effetto sostanzialmente nullo.
Disaggregando i risultati per tipologia familiare, tipo e numero di redditi percepiti, e quintili di reddito familiare equivalente, i risultati sono i seguenti: gli effetti complessivi dell'intervento sono di entità compresa tra lo 0,5 per cento e lo 0,8 per cento del reddito familiare disponibile e risultano maggiori per il ceto medio e per quello medio-alto. I meno avvantaggiati sono i redditi agli estremi della distribuzione, cioè quelli più alti e quelli più bassi. In valore assoluto, invece, il beneficio risultante dalla riduzione delle aliquote è massimo per i redditi individuali superiori a 28.000 euro e si amplifica per le famiglie con più percettori di reddito, mentre è di importo minore per chi guadagna meno di 28.000 euro e per le famiglie con una sola fonte di reddito. Infine, è del tutto inefficace per i redditi più bassi già inclusi nella no tax area in base alla normativa vigente, che invece sarebbero evidentemente colpiti dall'aumento dell'IVA.
In termini familiari, solo una minoranza di famiglie dovrebbe sperimentare un aggravio di imposta. In questo gruppo la frequenza di chi è penalizzato cresce al crescere del reddito - in particolare, sarebbe il 2,4 per cento delle famiglie che appartengono al primo quinto della distribuzione e invece il 13,5 per cento delle famiglie nell'ultimo quinto della distribuzione - e ciò a causa dei maggiori importi medi delle spese deducibili e detraibili che caratterizzano le famiglie con redditi più alti. Inoltre, le famiglie con figli, in particolare se minori, risultano avere benefici inferiori rispetto alla media del quintile di appartenenza. Il risultato dipende dal più alto rapporto tra il numero di persone che generano spese deducibili e detraibili e il numero di percettori che caratterizza queste famiglie. Le modifiche all'IRPEF penalizzano i primi e attribuiscono vantaggi solo ai secondi attraverso la riduzione delle aliquote.


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I benefici della riduzione delle aliquote rispecchiano, accentuandoli, i limiti dello schema generale dell'imposta, basato sul reddito personale e non su quello della famiglia, come abbiamo già segnalato nell'ultimo Rapporto annuale dell'Istituto. Lo svantaggio relativo delle famiglie con figli risulta più evidente se questi sono di minore età o comunque sono ancora impegnati negli studi e non economicamente autosufficienti, poiché si lega al fatto che la cura dei figli riduce la probabilità di occupazione delle madri e, per quelle occupate, costituisce un ostacolo al conseguimento di maggiori guadagni.
L'Istat è a disposizione per simulare gli effetti di modifiche che il Parlamento eventualmente decidesse di apportare al disegno di legge di stabilità.
Veniamo, infine, ad alcuni interventi che interessano le condizioni di vita nei centri urbani.
Il primo punto è il trasporto pubblico locale. Il disegno di legge interviene per migliorare la qualità del trasporto pubblico locale, istituendo un fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale.
In effetti, i dati relativi alla disponibilità, alla domanda e alla qualità dei servizi di trasporto pubblico locale mostrano una forte disomogeneità territoriale. In Italia poco meno di un quarto della popolazione dichiara di servirsi del trasporto pubblico locale, con differenziali ampi tra le regioni del Nord, dove l'utilizzo è mediamente superiore, e il Mezzogiorno, dove l'utilizzo scende a valori intorno al 17 per cento. I differenziali sono fortemente accentuati in funzione della dimensione demografica dei comuni, con punte di utilizzo pari al 68 per cento nelle aree metropolitane.
La domanda di trasporto, definita in termini di passeggeri annui trasportati dai mezzi pubblici, si attesta intorno ai 228 passeggeri per abitante e nell'ultimo decennio ha presentato una variazione media annua pari all'1,4 per cento. L'offerta di trasporto pubblico locale riferita al totale dei mezzi di trasporto è di poco inferiore ai 4.800 posti-Km per abitante, un ammontare in crescita del 9,7 per cento dal 2000.
Mettendo in relazione le variazioni dell'offerta con quelle della domanda, si osserva come, ad eccezione delle ripartizioni meridionali, dalla metà degli anni 2000 la domanda di mobilità dei comuni capoluogo di provincia cresca più velocemente dell'offerta, quindi abbiamo un chiaro squilibrio che richiederebbe degli investimenti in questo settore.
Considerando i giudizi su alcuni aspetti del servizio offerto, i residenti dei comuni di media dimensione e dei centri più piccoli sono quelli che si dichiarano nel complesso maggiormente soddisfatti del trasporto pubblico locale, mentre i meno soddisfatti sono i residenti delle aree metropolitane: nei comuni centrali di questi grandi agglomerati urbani la metà dei cittadini si dichiara molto o abbastanza soddisfatta della velocità delle corse e della loro frequenza, circa il 40 per cento della puntualità e una quota nettamente inferiore della possibilità di trovare posto a sedere e della pulizia delle autovetture. Tra i residenti dei comuni delle periferie, questi stessi aspetti sono maggiormente apprezzati da circa la metà degli utenti, con punte del 60 per cento di soddisfazione espressa per la velocità delle corse, mentre la pulizia delle vetture, anche in questo caso, si manifesta come un fattore critico. Rispetto agli abitanti dei poli centrali delle aree metropolitane, invece, la soddisfazione è inferiore soprattutto per il giudizio sugli oneri economici - solo il 32 per cento è soddisfatto del costo del biglietto, nove punti percentuali in meno rispetto al valore medio nazionale -.
Infine, la riduzione dei costi per l'illuminazione. Al fine di risparmiare risorse energetiche e di razionalizzare e ammodernare le fonti di illuminazione in ambienti pubblici, le disposizioni di cui all'articolo 7, commi 25 e 26, dispongono che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono stabiliti standard tecnici di tali fonti di illuminazione e misure di moderazione


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del loro utilizzo, nonché l'individuazione della rete viaria ovvero delle aree urbane ed extraurbane nelle quali sono adottate le misure dello spegnimento e dell'affievolimento dell'illuminazione e quelle che invece da tali misure sono escluse.
Tale intervento ha sollevato dubbi nell'opinione pubblica rispetto al potenziale effetto che una riduzione dell'illuminazione pubblica nei centri abitati nelle ore notturne può comportare per la sicurezza dei cittadini. Secondo l'indagine Multiscopo condotta dall'Istat nel 2009 su tale argomento, il 27,4 per cento dei cittadini afferma che la zona in cui abita è scarsamente illuminata. Livelli insoddisfacenti di illuminazione sono segnalati in modo particolare nel Lazio - 38,5 per cento -, in Campania - 30,9 per cento - e in Liguria - 30,2 per cento.
Dall'indagine emerge, poi, una certa limitazione alle attività quotidiane dei cittadini derivante dall'insufficienza di illuminazione e dalla conseguente percezione dei cittadini di scarsa sicurezza nel circolare per le strade. In particolare, il 28,9 per cento degli intervistati dichiara di provare poca o nessuna sicurezza quando esce da solo ed è buio, e l'11,6 per cento evita del tutto di uscire dopo il tramonto, sia solo che accompagnato. La sensazione di insicurezza rispetto all'uscire dopo il tramonto è più diffusa tra le donne - 37 per cento contro il 20,1 degli uomini - ed è maggiore nel sud del Paese, soprattutto in Campania - 41,6 per cento, rispetto alla media italiana del 20,9 per cento -.
Il fenomeno della limitazione nelle uscite serali è più alto nelle aree metropolitane, nei quartieri sia centrali che periferici. Caso particolare è il Veneto, che presenta una percentuale maggiore rispetto sia alla media italiana che a quella delle altre regioni del nord-est: evita infatti di uscire quando è buio, perché ha paura, il 26,4 per cento dei veneti contro il 23,3 per cento dei residenti nel nord-est.
Sperando che queste informazioni possano essere utili alle vostre deliberazioni, resto naturalmente a disposizione per i vostri quesiti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI ROBERTO OCCHIUTO

PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO CAMBURSANO. Grazie, professor Giovannini. È molto interessante, a proposito della riduzione delle aliquote per i due scaglioni più bassi, l'affermazione contenuta nel documento predisposto dall'Istat, secondo il quale il 77,7 per cento delle famiglie ne avrebbero un beneficio di 340 euro medi all'anno, mentre solo il 7,4 per cento ne avrebbero un aggravio. Il mio primo commento, condiviso dal collega, è stato: «allora s'ha da fare!». Perché evidentemente le percentuali giocano a favore di questo intervento, salvo poi voltare pagina e vedere tutti gli aspetti negativi o meglio da riequilibrare, per arrivare a quel risultato.
In primo luogo, le chiedo - soprattutto qualora l'orientamento del Governo sia quello di non intervenire, a far data dal primo luglio, sull'aumento di un punto percentuale dell'aliquota IVA e concentrare le attenzioni, invece, sulla riduzione dell'aliquota IRPEF - se la soluzione dei problemi evidenziati nella sua relazione, soprattutto con riferimento alle famiglie con figli minori o con un solo reddito, possa essere quella di intervenire sulle deduzioni e sulle detrazioni.
In secondo luogo, le domando - anche se è difficile da quantificare rispetto alla generalità degli italiani o comunque interessa maggiormente gli italiani che oggi faticano di più - se è possibile fare una comparazione tra i due effetti, meno negativi e positivi, dell'aumento dell'aliquota IVA e della riduzione dell'aliquota IRPEF.

LINO DUILIO. Chiedo scusa ma, essendo arrivato in ritardo, stavo dando una scorsa veloce al documento da voi predisposto. Vorrei solo integrare la domanda del collega Cambursano richiamando, in particolare, questo saldo netto tra IRPEF


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e IVA con riferimento specifico al tema degli «incapienti», che evidentemente, pur non essendo toccati discorso dalla riduzione dell'IRPEF, avendo un reddito molto basso, sono tuttavia toccati - eccome - dall'aumento dell'IVA, perché consumano.
Mi interessava dunque capire questo saldo netto, perché le confesso che io - e credo anche qualche collega - ho parecchie perplessità su questa vicenda. Grazie.

PIER PAOLO BARETTA. Svolgerò alcune considerazioni, ovviamente senza entrare nel merito delle possibili soluzioni. In primo luogo, ricorrendo ad una metafora, questa luce in fondo al tunnel di cui si parla sembra risentire ancora dei provvedimenti sulla riduzione dell'illuminazione alla quale lei ha appena accennato.
Vi è un quadro generale con le stime sul PIL che lei ha richiamato e, contemporaneamente, il rischio, per ricorrere ad un termine da lei utilizzato - dell'«avvitamento» di un insieme di provvedimenti, non soltanto italiani, ma adottati a livello internazionale, sull'effetto recessivo che può avere una certa impostazione di politica economica, che se è giustificata dal punto di vista della logica strettamente finanziaria, appare però ormai bloccata rispetto alle possibilità di una inversione di tendenza.
In questo quadro, è interessante notare allora, a maggior ragione, l'effetto delle osservazioni che lei ci ha offerto: da un lato, c'è un leggero miglioramento della produzione, ma all'interno di questo quadro; dall'altro, c'è ancora un peggioramento della condizione delle famiglie e dell'occupazione. Emerge, quindi, nelle difficoltà finanziarie, un'evidente questione sociale, a cui deve corrispondere un disegno anche di intervento.
Questi dati che, elencati in questo modo, sono di carattere generale, appaiono confermati e suffragati dagli effetti negativi sulle categorie più svantaggiate: le famiglie con figli, i titolari di redditi bassi e gli «incapienti», a cui veniva fatto riferimento poco fa. Tali soggetti, in alcuni casi, non hanno un aggravamento, in altri non hanno beneficio. Ora, al di là della considerazione che non avere beneficio in questo momento corrisponde a un aggravamento, complessivamente il quadro che abbiamo disponibile, in una situazione di difficoltà generale della quale teniamo conto, non ci permette di registrare un intervento orientato sulle condizioni di emergenza. Mi riferisco alla famiglia, ai redditi più bassi, insomma ai soggetti che complessivamente risentono di più di questa condizione.
La ringrazio di aver detto che l'Istat è disponibile, anche nelle prossime ore, a studiare gli effetti di possibili discussioni che noi faremo.
Il leggero miglioramento dei dati sulla produzione, che lei ha constatato, pur nel quadro generale negativo, lo considera, alla luce delle informazioni che ha, stabile? Ritiene che su questi dati si possa contare perlomeno nel medio periodo, o che possano essere suscettibili di una ricaduta negativa alla luce di una congiuntura internazionale ancora difficile o dell'osservazione che lei ha svolto sull'effetto di «avvitamento» delle manovre? Questo è fondamentale perché, come abbiamo visto, questo leggero miglioramento non ha ancora effetti sulla questione sociale.
Si tratta, allora, di capire se una politica economica e una politica di intervento possano far ricavare in automatico, come oggi appare, risanamento finanziario, miglioramento della produzione e, di conseguenza, miglioramento sociale. Non è detto che sia così. Può darsi che occorrano, invece, interventi e politiche ad hoc che, pur affrontando tutti e tre i temi, non li mettano in una conseguenza logica secondo la quale il primo obiettivo risolve il secondo e il secondo risolve il terzo. In questo senso, a me pare che abbiamo del lavoro da fare nelle prossime settimane.

RENATO BRUNETTA. Grazie per la puntuale relazione e l'analisi. Le chiederei, se fosse possibile, anche un altro esercizio, oltre a quello fatto, legato al disegno di legge di stabilità.
Professor Giovannini, noi siamo in crisi da almeno cinque anni, se riconduciamo l'inizio dalla vicenda alla crisi dei subprime


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negli Stati Uniti. In questi cinque anni necessariamente le politiche economiche sono state tutte improntate a processi di consolidamento, vale a dire manovre restrittive tendenti a ridurre la spesa, aumentare la pressione fiscale e conseguire risultati virtuosi di bilancio o quantomeno correggere i tendenziali.
Tutto questo ha prodotto una redistribuzione «feroce» del reddito per le famiglie, ma anche per le imprese. L'ultima manovra o, se non vogliamo chiamarla «manovra», l'ultima legge di stabilità, con le sue alchimie del più e del meno, del chi favorisce o sfavorisce, si inserisce tuttavia in un processo che ha già profondamente intaccato la distribuzione del reddito. Quindi, professor Giovannini, l'ulteriore sforzo che le chiederei è di collocare il disegno di legge di stabilità, con i suoi più e meno, non tanto e non solo nell'ultima fase - cosa che lei correttamente ha fatto - ma all'interno di un ciclo che ormai è un ciclo lungo.
La riflessione che dovremmo fare tutti è: se o quanto questo disegno di legge di stabilità inverta i processi negativi, o che noi consideriamo tali, in atto ormai da cinque anni.
Ricordo alcuni dati, che bisognerà aggiornare velocemente. Per il periodo dal 2008 al 2014 il Governo precedente aveva fatto manovre per 265 miliardi di euro, sempre nelle componenti tagli, tasse e spesa cumulate. A ieri il Governo Monti ne ha fatte per altri 65 miliardi, ovviamente in incremento, quindi dal 2008 al 2014 siamo in presenza di circa 330, e oltre, miliardi di euro di manovre, in gran parte costituiti di tagli e tasse.
Questo ha cambiato e sta cambiando profondamente il panorama della distribuzione del reddito nel nostro Paese.
Giungo, quindi, a una considerazione puntuale: non è con un punto di IRPEF in meno o un punto di IVA in più che si cambia o si inverte il quadro - questa è la riflessione amara che stiamo facendo - compreso il tema delle deduzioni e delle detrazioni, ma anche il tema della spending review, di cui poco si parla ma che aleggia nella distribuzione del reddito nel nostro Paese.
In secondo luogo, ho trovato assolutamente corrette le considerazioni di chi si chiede se questo tipo di politica economica in atto nei Paesi occidentali - in particolare in Italia, in Europa, nei Paesi sottoposti alla crisi dell'euro - non sia una politica economica sbagliata, sia dal punto di vista della crescita - vale a dire che, come lei ha detto, ogni manovra di consolidamento ha degli effetti più che unitari in termini negativi sul reddito - sia soprattutto in termini di trasmissione della politica monetaria. In altre parole, noi abbiamo bisogno come dell'aria che la politica monetaria in questa fase svolga il suo ruolo; ricordo che politica monetaria significa immissione di liquidità nel sistema, in maniera tale da far «bere» le imprese e permettere alle famiglie di consumare.
Gli effetti precauzionali derivanti dalla crisi portano sia le imprese che le famiglie a non investire e a non consumare, quindi a sterilizzare la trasmissione della politica monetaria. Da un lato, le politiche restrittive portano all'«avvitamento» - come lei l'ha chiamato - e dall'altro le politiche restrittive di consolidamento portano alla sterilizzazione della trasmissione della politica monetaria. Insomma, due errori che si sommano.
Mi chiedo fino a quando continueremo con questa linea, che distribuisce malamente il reddito e impedisce la soluzione della crisi. Non mi farei condizionare da un disegno di legge di stabilità che definirei di tipo «minimalista», da un lato, ma anche estemporaneo dall'altro: non è con uno spruzzo di diminuzione di IRPEF, un aumento di IVA e un taglio di deduzioni e detrazioni più o meno trasversale, con qualche cattiveria distribuita più o meno equamente ad alcuni gruppi o classi sociali, che si ha una visione strategica di quello che sta succedendo, di quello che è successo e, soprattutto, non è in questo modo che si può guardare al futuro con un minimo di speranza in più. Grazie.


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AMEDEO CICCANTI. Parto da una constatazione molto banale: si distribuisce la ricchezza, non la povertà, quindi leggo in questa manovra - seppur con qualche preoccupazione che le dirò - un'idea di migliorare i fattori di competitività di questo Paese. Si tratta di una questione un po' diversa dalla distribuzione della ricchezza all'interno del sistema economico e sociale del Paese. Se non miglioriamo questi fattori di competitività che produrrebbero ricchezza è chiaro che, per quanto si potrà affrontare il problema della distribuzione, certamente i risultati saranno conseguenti.
Sono preoccupato di una questione: quando lei dice che il Fondo monetario internazionale e l'OCSE prevedono per il 2013 una recessione, con un calo dello 0,7 per cento del PIL, rispetto al - 0,2 che avevamo previsto nella Nota di aggiornamento del DEF, questo ci fa rivedere anche i saldi di finanza pubblica. Tuttavia, quando qui viene affermato, diversamente da quanto si prevedeva nella Nota di aggiornamento, che un'impresa esportatrice su due ha incrementato le vendite dei propri prodotti all'estero rispetto al 2011, che c'è un aumento dell'export più sostenuto nei Paesi dell'Unione europea - l'area di mercato più competitiva rispetto a quella mondiale -, mentre nell'ultimo semestre dell'anno scorso avevamo ottenuto un successo sui Paesi emergenti - area meno competitiva - questo mi fa pensare che noi abbiamo recuperato una competitività significativa che ci dovrebbe far ben sperare per il 2013, 2014 e 2015.
La luce in fondo al tunnel di cui tante volte si è parlato io la vedo in questi termini: il nostro è un Paese che ha cominciato a irrobustirsi per la sfida globale.
Il problema della distribuzione della ricchezza è conseguente. La mia preoccupazione riguarda questo dato di recessione dello 0,7 per cento: quanto è fondato questo dato? Esso si basa, da quanto ha riferito lei nella relazione, sugli elementi di incertezza percepiti dagli operatori economici, ma non mi sembra che abbia una base concreta. È vero, c'è un rallentamento dell'economia mondiale e del commercio mondiale che era stato previsto già nella Nota di aggiornamento. Questo quadro, però, peggiora i dati riportati in quella Nota: cosa è successo in questi ultimi due mesi?

PRESIDENTE. Do ora la parola al presidente Giovannini per la replica.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'Istat. Grazie mille. Trattandosi di molte domande, cercherò di essere breve nelle risposte.
Alla domanda se si può fare il saldo tra IVA e IRPEF rispondo che noi non siamo ancora in grado di farlo precisamente, per la semplice ragione che sull'IRPEF abbiamo un modello di microsimulazione basato sulle classi di reddito, mentre siamo riusciti a simulare l'impatto dell'IVA sulle classi di consumo, e non sulle classi di reddito. Non c'è ancora una piena integrazione - poiché questo richiede uno sforzo statistico che stiamo realizzando, ma che non abbiamo ancora completato - per poter fare la somma algebrica delle due componenti.
Come è stato ricordato, possiamo dire tranquillamente che l'aumento dell'IVA colpisce anche gli incapienti, quindi si tratta di un effetto netto.

RENATO BRUNETTA. Scusi, presidente, IRPEF, IVA, deduzioni e detrazioni...

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'Istat. Certamente, mi riferisco a tutto il «pacchetto» di interventi. Noi riusciamo a fare calcoli riferiti a IRPEF, deduzioni e detrazioni sulle classi di reddito e all'IVA sulle classi di consumo. Stiamo lavorando per integrare questi due aspetti, per questo non ci siamo azzardati, nel documento che abbiamo predisposto, a tentare di fare il saldo, che pure, come abbiamo visto sui giornali, qualcuno ha tentato di fare, e cercheremo anche di capire meglio come hanno fatto, visto che noi non ci siamo riusciti.


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Dal punto di vista complessivo, qual è la finalità di questa operazione? Nel passato si è molto discusso, non solo in Italia, sul rapporto tra imposizione fiscale diretta e indiretta. Nel momento in cui, attraverso la globalizzazione, i redditi vengono generati ovunque, è chiaro che è difficile riuscire a basarsi solo sull'imposizione diretta, quindi avrebbe senso spostarsi sull'imposizione indiretta per cogliere chi spende in Italia, anche se ha realizzato i propri redditi all'estero.
Questo elemento che ha occupato il dibattito, anche importante sul piano concettuale e teorico, negli ultimi anni, mi sembra sia stato messo da parte oggi in questa discussione, tutta incentrata, invece, sull'impatto di breve termine sulla crescita.
Invito a ripensare questi due aspetti, anche perché riuscire a essere persistenti nei messaggi che si vogliono dare - le Camere stanno discutendo anche il disegno di legge delega sulla riforma fiscale - mi sembra un elemento importante, soprattutto per le aspettative degli operatori. Questo è un Paese che si sta avviando a un trasferimento di imposizione dalle imposte dirette alle indirette o no? Invito a riflettere complessivamente su questi aspetti.
Sul breve termine, la simulazione che abbiamo fatto con un modello econometrico complessivo ci dice che una manovra come quella che è immaginata non ha effetti eclatanti sulla crescita, in parte perché le misure hanno carattere compensativo, in secondo luogo perché dimensionalmente alla fine stiamo parlando di cifre relativamente piccole. Dunque, se si pensa che facendo un'operazione di questo tipo effettivamente si rilancia la crescita, i nostri dati non sembrano indicare che ci si possa aspettare chissà quale effetto.
Diverso è il discorso, come diceva l'onorevole Baretta, di dire che ci rendiamo conto che c'è una sofferenza particolare da parte di certe categorie di famiglie e vogliamo cercare di alleviarla. Qui gli indicatori sul clima di fiducia e così via - anche se non abbiamo i dati di distribuzione del reddito aggiornati a ieri - ci dicono che c'è una percentuale molto elevata storicamente di famiglie che o si indebitano o traggono dal risparmio, non a caso il tasso di risparmio è ai minimi storici.
Questo è un segnale di chiara difficoltà. Supponiamo per un attimo di avere grandi risorse a disposizione e di voler trasferire tutto questo alle famiglie. L'effetto sarebbe di un rimbalzo immediato sui consumi? L'onorevole Brunetta a questo riguardo ha toccato un punto importante, cioè l'attitudine psicologica degli operatori, in un momento nel quale l'incertezza è molto forte. Se anche ci fossero le risorse e le concentrassimo tutte sullo stimolo ai consumi, questo, in questa situazione anche internazionale e di clima complessivo, produrrebbe un rimbalzo forte sui consumi? Il dubbio è forte perché - e qui rispondo anche alla domanda dell'onorevole Baretta - la trasmissione dalla produzione alle famiglie passa attraverso l'occupazione, passa attraverso salari più elevati grazie alle ore lavorate che crescono e che, quindi, fanno crescere il monte salari e il reddito disponibile.
Noi siamo in una situazione in cui nelle industrie abbiamo il 30 per cento di capacità inutilizzata; siamo a un livello molto basso rispetto al picco storico. In questa situazione, immaginare un effetto di trasmissione rapido tra la produzione e il miglioramento delle condizioni delle famiglie non è un'idea praticabile. Quindi, se anche la congiuntura internazionale non peggiorasse, se anche l'Europa cominciasse a crescere, se anche la domanda in Italia riprendesse, la trasmissione sull'occupazione e quindi sulle famiglie sarebbe lenta.
Questo mi porta a rispondere ad una delle questioni sollevate dall'onorevole Brunetta e presente anche negli altri interventi. Se anche riprendessimo la crescita, questa sarebbe sufficiente ad assorbire il capitale umano che abbiamo e quindi a risolvere tutti i nostri problemi? Il dato del calo dello 0,7 per cento del PIL stimato, per esempio, dal Fondo monetario internazionale presuppone una ripresa in corso d'anno, ma visto che il trascinamento del 2012 è così negativo, la media


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d'anno sarebbe ancora negativa. Tutti prevedono che verso la metà del 2013 ci sia una ripresa, ma questa ripresa è comunque contenuta. La vera domanda è quella che poneva l'onorevole Brunetta allorché chiedeva come facciamo ad assicurare nel medio termine una crescita sufficientemente robusta non solo per assorbire la disoccupazione ma anche per riequilibrare una distribuzione del reddito che si è squilibrata.
Questa è una domanda alla quale è molto difficile rispondere, ma che - mi sembra si colga anche dagli articoli che si leggono a livello internazionale - sta emergendo forte tra gli economisti, perché il rischio è quello di avere anni di crescita molto contenuta, insufficiente per risolvere i problemi di un Paese.
È come se fossimo di fronte a una situazione simile a quella del climate change, cioè l'economic climate change, in cui abbiamo bisogno di politiche di risk mitigation, cioè stimolare la crescita, ma anche risk adaptation. Cosa succede se nei prossimi dieci anni abbiamo una crescita insufficiente a risolvere tutti i nostri problemi? Mi riferisco soprattutto ai Paesi sviluppati, perché dobbiamo ricordare che il pendolo della storia si è spostato o si sta spostando verso i Paesi asiatici. Credo che queste domande, che certamente non possono essere risolte con questa legge di stabilità, richiedano una riflessione più a medio termine, di cui il tema della distribuzione del reddito è solo un pezzo della storia.
Sulla luce in fondo al tunnel si sono fatte tante battute, tra cui una abbastanza carina dice che sono le luci di posizione del tir della Cina che si sta fermando in galleria. Questa è una delle incertezze che in questo momento fanno propendere alcune organizzazioni internazionali ancora per un quadro pessimistico per i Paesi dell'Ovest, perché il rallentamento dei motori della crescita internazionale potrebbe effettivamente far perdere anche quel filo di spinta sulle imprese esportatrici e così via, sulla domanda interna. Ecco perché l'incertezza domina ancora molto.
Dobbiamo anche dirci che lo sforzo fatto in Europa nelle ultime settimane per ridurre le instabilità sui mercati finanziari era una precondizione per ridurre l'incertezza.
I costi sono molto alti e le soluzioni scelte sono le migliori in assoluto. Probabilmente molto altro bisogna fare per dare il senso di un'Europa compatta e soprattutto omogenea nella direzione di spinta.
L'ultima considerazione che volevo svolgere è che il tema del risk management rispetto alle politiche complessive rischia di cambiare anche il lessico della politica. Capisco perfettamente che non è un lessico facile da trasmettere, ed è in ciò che la lungimiranza della politica dovrebbe costruire una narrative, come dicono gli inglesi, capace di convincere fino in fondo.
L'Europa in tale ambito è ancora contraddittoria, ed è proprio questo che molti operatori internazionali segnalano, ossia la contraddittorietà delle posizioni che vengono assunte in Europa e la mancanza di un chiaro messaggio su dove si vuole andare.
In questo senso credo che l'Italia possa portare un forte contributo per l'orientamento delle politiche europee, soprattutto perché, dimostrando di essere in grado comunque di svolgere - come si suol dire - i compiti a casa, ha forse una credibilità maggiore.
Aggiungo un'ultima considerazione sull'irrobustimento del Paese e sulla competizione globale. Abbiamo visto più volte che le nostre imprese esportatrici sono capaci di compiere grandi risultati. Il problema è che il settore delle imprese esportatrici è relativamente piccolo rispetto al resto dell'economia.
Quanto al tema della domanda interna e del rilancio degli investimenti che possono nascere, se si ha un'aspettativa ragionevole di crescita, è un tema che chiaramente le imprese esportatrici da sole non riescono a risolvere. Dobbiamo anche riconoscere che noi abbiamo un livello di importazioni bassissimo e che, se dovessimo ricominciare a crescere, le importazioni


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ricomincerebbero a crescere, con un effetto di contenimento della domanda estera netta complessiva.
Su questo, rinvio al nostro Rapporto annuale, dove abbiamo mostrato che alcune debolezze del sistema economico italiano nel suo complesso, nel ridisegno delle cosiddette catene globali del valore, fanno sì che un aumento delle importazioni oggi produca un effetto complessivo inferiore al passato, in quanto importiamo dall'estero molto di più prodotti intermedi. Di nuovo, quindi, le esportazioni da sole non ci possono portar fuori dalla situazione in cui siamo.

PRESIDENTE. Professor Giovannini, noi la ringraziamo molto per il contributo che ha portato alle Commissioni e anche per la disponibilità che ci ha offerto ad assisterci, qualora necessario, nel prosieguo dei lavori della Commissione.
A questo proposito, sarebbe auspicabile che il saldo fra la manovra sull'IRPEF e l'IVA che l'Istat ci ha comunicato di non essere ancora nelle condizioni di poterci fornire, ci possa essere offerto in pochi giorni.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'Istat. In pochi giorni non è possibile. È un lavoro di ricerca complesso. Ma se si tratta di simulare alcune proposte con i modelli che abbiamo, siamo naturalmente a disposizione.

PRESIDENTE. Grazie tante, professore.
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Chiediamo, per cortesia, ai rappresentanti dei sindacati di essere sintetici nell'esposizione, al fine di poter rispondere alle domande dei colleghi, atteso che alle ore 11 si terrà l'audizione del Ministro Grilli.
Sono presenti Danilo Barbi e Mauro Beschi della CGIL, Maurizio Petriccioli della CISL, Domenico Proietti e Marco Abatecola della UIL, Paolo Varesi, Fiovo Bitti e Claudia Tarantino dell'UGL.
Do la parola ai rappresentanti della CGIL.

DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Credo che sia in distribuzione un nostro documento che abbiamo depositato.
Il nostro giudizio della manovra presentata dal Governo è negativo e auspichiamo che vi siano interventi di modifica di fondo da parte del Parlamento. La nostra valutazione è che la manovra, pur partendo dalla premessa di aver raggiunto il tendenziale pareggio di bilancio, continui a essere una manovra depressiva e contrassegnata anche da un dato livello di «pasticcio» e di improvvisazione.
Personalmente, ho avuto modo di far parte della delegazione che è stata ricevuta a Palazzo Chigi, il pomeriggio precedente il Consiglio dei ministri in cui venne comunicato a tutte le forze sociali ed economiche che l'obiettivo della manovra era di evitare qualunque aumento dell'IVA. Nella notte, poi, abbiamo visto che si è verificato uno sviluppo, «un'improvvisazione» diversa.
La manovra rimane, però, completamente dentro una linea di politica economica insoddisfacente. Guardando le previsioni economiche dello stesso Governo nel giro di dieci mesi, si può toccare con mano come la previsione macroeconomica sia stata del tutto sbagliata.
Durante la presentazione del decreto-legge cosiddetto «salva Italia», in Parlamento, lo stesso Presidente del Consiglio svolse una valutazione che stimava un calo del PIL, nel 2012, dello 0,4 per cento, con consumi stabili, e un calo dell'1,5 per cento degli investimenti lordi. Lo stesso Governo, dieci mesi dopo, a settembre, nella Nota di aggiornamento del DEF,


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parla di una caduta del PIL nell'anno 2012 di almeno il 2,4 per cento, di un calo dei consumi interni non deflazionati del 3,3 per cento e di un calo degli investimenti fissi lordi dell'8,3 per cento.
Siamo, quindi, di fronte al fatto che le complessive manovre del Governo hanno prodotto una fase di recessione molto significativa. Non è vero, secondo tutte le informazioni che noi abbiamo, che ci siano notizie positive in arrivo, né sul lato dell'occupazione, né su quello della produzione, né su quello dei consumi. Non c'è alcun indicatore reale, purtroppo, che vada in questa direzione. Ci vorrebbe una politica di sostegno della domanda e degli investimenti, perché ormai è evidente che, senza di essa, il Paese tenderà a protrarre uno stato di depressione e di recessione.
Entro nel merito del disegno di legge in esame con alcune osservazioni. La nostra prima valutazione è che noi, in particolare, come Italia, non siamo un Paese adatto all'operazione sull'IVA. C'è un punto di fondo da valutare. Se, per esempio, paragoniamo la struttura del nostro Paese con quella di altri Paesi, come la Germania, in cui sono state attuate politiche di scambio, ad esempio tra la tassazione sui redditi e quella sui consumi, dobbiamo svolgere alcune considerazioni. In primo luogo, gli incapienti fiscali in Italia sono 10,5 milioni su 56 milioni di abitanti, mentre in Germania sono 6 milioni su 100 milioni di abitanti. In quel Paese, quando è stata compiuta l'operazione sulla tassazione dei redditi e dei consumi, è stato effettuato anche un intervento sulla parte più povera della popolazione con buoni acquisto. Senza di esso, ovviamente, qualunque intervento si attui, esclude una parte del Paese da alcun vantaggio fiscale e, invece, procura un aggravio dei prezzi al consumo che rischia di diventare significativo.
Va da sé, come ha rilevato prima anche il presidente dell'ISTAT Giovannini, che il precedente aumento dell'IVA - secondo i calcoli dell'Istat - ha prodotto un aumento secco dello 0,8 per cento sull'inflazione italiana.
In secondo luogo, e anche in questo noi non siamo la Germania, l'Italia è un Paese molto esposto al moltiplicatore inflattivo, perché ha un sistema commerciale, un sistema di trasporti e un sistema economico complessivo che moltiplica l'inflazione. Noi non siamo, dunque, il Paese adatto per compiere questa operazione.
Anche l'operazione che è stata compiuta sull'IRPEF, secondo noi, non coglie nel segno, perché non si fa carico di una pressione fiscale che è aumentata soprattutto sui redditi fissi, ossia salari e pensioni, del nostro Paese. I dati di contabilità lo indicano, senza che noi insistiamo su questo aspetto. Il fiscal drag colpisce soprattutto i redditi fissi e, quindi, una politica sull'IRPEF, sulle semplici aliquote, non è una politica giusta, non è una politica che sostiene la domanda, a maggior ragione se le operazioni attuate su deduzioni e detrazioni, di fatto - per buona parte dei redditi medio-bassi - se le rimangiano.
La tradizionale richiesta unitaria di CGIL, CISL, UIL e UGL è che si aumentino, invece, le detrazioni per la produzione del reddito, che sono, sicuramente, indirizzate a chi paga almeno le tasse sul primo reddito.
Da ultimo, come CGIL, abbiamo avanzato anche una proposta di tipo straordinario, cioè la detassazione o tassazione separata delle tredicesime, in quanto gli attuali vincoli europei di contabilità hanno stabilito, per la prima volta, che alcune misure una tantum non entrano nei calcoli finanziari. In questo modo è stato costruito il fondo cosiddetto «salva Stati», che, come spesa straordinaria, non viene conteggiato. Potrebbe essere quindi introdotto un intervento straordinario sulle tredicesime, che potrebbe inviare un segnale e imprimere anche una spinta ai consumi.
Il resto della manovra riguarda ancora il taglio su sanità, scuola ed enti locali. Vorremmo ricordare che, a questo punto, secondo i nostri calcoli, nella legislatura il Fondo sanitario nazionale, con questi ultimi tagli, sarà ridotto di quasi 30 miliardi di euro. Stiamo parlando di un imponente


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taglio della spesa pubblica, che spesso sfugge alla discussione. Nella legislatura, noi parliamo di un taglio della spesa pubblica che ormai viaggia intorno ai 147-148 miliardi di euro, di cui almeno 30 nel settore della sanità.
Le alternative esisterebbero. Noi pensiamo, per esempio, che bisogna aprire una discussione più ampia su forme di tassazione patrimoniale. L'abbiamo affermato diverse volte. Se andiamo a prendere i dati dal punto di vista della ricchezza media, vediamo che l'Italia è il Paese più ricco dei 17 Paesi dell'euro. Come sapete, invece, sul piano dell'occupazione e dei redditi medi, l'Italia è messa molto diversamente.
Ci sono alcuni spazi che non si vuole considerare politicamente. Si introduce la financial transaction tax, una tassa che noi introduciamo non in anticipo, perché in realtà quasi tutti i Paesi d'Europa interessati - nove - l'attueranno nel 2013. All'ultimo Consiglio europeo è stata avanzata la proposta che la financial transaction tax parta il 1o gennaio 2013, ufficialmente. Non si capisce, però, perché noi la introduciamo allo 0,5 per cento sui due prodotti: sui prodotti «normali» si può fissare anche allo 0,1 per cento, se si anticipa.
Allo stesso modo, non si capisce perché il prelievo sulle rendite finanziarie nel nostro Paese debba essere solo del 20 per cento, e sappiamo tutti, da pochissimo. Il 20 per cento è il più basso prelievo sulle rendite finanziarie di tutti i 17 Paesi dell'euro. Il Governo spagnolo ha superato la tassazione separata sulle rendite finanziarie e l'ha considerata nel reddito personale, così tassando in modo progressivo il reddito con l'ultima manovra di aggiustamento. Il Governo inglese ha portato il prelievo dal 28 al 30 per cento sulle rendite, mentre Francia e Germania sono al 27 per cento. Non si capisce perché da noi le rendite finanziarie, al netto dei titoli pubblici, siano tassate al 20 per cento.
Si possono avanzare proposte alternative. Per noi il punto è che la manovra, comunque, deve essere cambiata e l'aspetto più grave che vediamo, per concludere, è l'aumento dell'IVA. Noi pensiamo che l'aumento dell'IVA abbia in Italia un effetto particolarmente depressivo della domanda, di aumento dell'evasione e dell'inflazione e, quindi, è la misura che giudichiamo più criticamente della parte fiscale della manovra, a carte date.
Ovviamente pensiamo che ci vorrebbe una linea più espansiva e che bisognerebbe sostenere la domanda e gli investimenti, ma ci sembra pressoché impossibile. Di sicuro va evitato a ogni costo l'aumento dell'IVA.

PRESIDENTE. Do la parola al rappresentante della CISL, Maurizio Petriccioli.

MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale della CISL. Noi siamo chiamati a esprimere un giudizio e a porre alcune questioni sul disegno di legge di stabilità. Come CISL, abbiamo depositato un documento scritto che ci permette di entrare nel merito delle situazioni specifiche di nostro particolare interesse.
Non voglio qui offrire giudizi sulla manovra economica che il Governo Monti ha compiuto in generale. Mi limito a esprimere un giudizio un po' più articolato, con alcune specifiche osservazioni su alcune parti.
È strano che, da un lato, si presenti una delega fiscale senza parlare di IVA e IRPEF - e del modo di cambiare il sistema fiscale del nostro Paese - e poi, dall'altro, che all'interno del disegno di legge di stabilità si inseriscano misure fiscali che, di fatto, provano a creare alcuni elementi di cambiamento. È un po' strano, un po' anomalo.
Per quanto ci riguarda, noi facciamo parte, come CISL, di coloro che pensano che nel mondo moderno bisogna prendere atto che i redditi non vengono generati solamente dal lavoro e che, quindi, c'è una necessità di ragionare attorno allo spostamento della pressione fiscale, anche diversamente dal lavoro e dall'impresa. Mi riferisco alle rendite finanziarie e alle rendite in generale, ma mi riferisco anche alle imposte indirette.
Quando siamo chiamati a valutare il cambiamento che si verifica con una riduzione


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- seppure di un solo punto - dell'IRPEF sulle prime due aliquote, noi lo vediamo come un segnale importante.
Mi permetto di osservare che, secondo me, questa inversione di tendenza non deve essere taciuta. Al limite, bisogna affermare che è un intervento piccolo, che non è in grado di rilanciare i consumi, né di portare a tutte le classi di reddito un beneficio e che, quindi, probabilmente, questo intervento non si tradurrà in una manovra di grossa spinta alla crescita e al rilancio. Se, però, devo esprimere un giudizio sulla riduzione dell'IRPEF, affermo che, per fortuna, finalmente si comincia ad accendere una discussione attorno a questo tema.
Analogamente, dal momento che nelle ultime ore la politica sta cercando di vedere dove mettere le mani per cambiare qualcosa nel disegno di legge di stabilità, io osservo, a queste Commissioni riunite, che noi speriamo che non venga toccata la riduzione dell'IRPEF. Speriamo che ciò non accada, perché il rischio, come mi pare di capire leggendo i giornali, è che si vada a un alleggerimento di questo sgravio, al fine di togliere il punto di IVA previsto per il 2013.
Ovviamente, non mi sfugge il fatto che, nel nostro sistema fiscale, vi sia la certezza che, in assenza di una misura sociale o fiscale - penso all'imposta negativa di compensazione per chi è incapiente o ha un reddito basso, tale da non poter portare a detrazione o a deduzione le proprie spese - l'aumento dell'IVA colpisca proprio queste classi di reddito e che si corra il rischio di aprire maggiormente una questione sociale che nel nostro Paese è già presente. Condivido anch'io l'opinione che, purtroppo, non ci sono segnali forti di natura economica. L'occupazione diminuisce, come i consumi. Gli indicatori parlano di questo.
Ho voluto soffermarmi su questo aspetto, ma segnalo alle Commissioni una questione che ci preoccupa molto di più delle franchigie, che per alcune parti sono già state cambiate, ed è il tetto dei 3.000 euro delle spese e degli oneri detraibili. Nella lettura dell'articolato del disegno di legge, della relazione illustrativa e della relazione tecnica, noi non siamo stati in grado di comprendere se i 3.000 euro sono il tetto sul quale deve essere applicata l'aliquota e se, quindi, di fatto sono detraibili solo 570 euro, oppure se i 3.000 euro sono la quota intera che può essere detratta, che, a quel punto, ovviamente, si attesterebbe su un ammontare di 15.000 euro.
Questa domanda per noi è veramente essenziale, perché riguarda più di 20 milioni di persone, secondo le nostre stime, che ci fa sostenere che una chiarezza su questo tema comporterebbe un cambiamento di giudizio sulle misure fiscali che sono state adottate.
Ribadisco, ben venga il fatto che finalmente si introduca una maggiore tassazione sulle rendite e che si alleggeriscano le aliquote sul lavoro, così come che si ripristini per gli anni 2013 e 2014 un finanziamento con un fondo sulla produttività. Noi non possiamo immaginare che tutto il tema della crescita ruoti attorno alla produttività, ma, certamente, il miglioramento della produzione e della produttività aziendale, insieme al miglioramento delle condizioni complessive di produttività e di competitività del Paese, sono assolutamente essenziali.
Alcuni segnali di miglioramento della produzione, nella direzione soprattutto delle imprese che si occupano di export esiste, a onor del vero. Credo che poter implementare il salario attraverso il riconoscimento di una detassazione sulla produttività sia una via praticabile, che noi giudichiamo positivamente. Eventualmente, segnaliamo che, ancora una volta, non si tratta di un intervento strutturale e che, quindi, è sottoposto ogni anno a una revisione nelle diverse leggi di stabilità che vengono varate. Il giudizio è molto negativo.
La richiesta che avanziamo con estrema chiarezza alle Commissioni riguarda, invece, la parte legata al pubblico impiego e alla scuola. È una richiesta che tende a segnalare alle Commissioni quasi un'invasione di campo, perché si entra nel merito - alla faccia della congruità - di


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un tema legato all'organizzazione degli orari e del lavoro: mi riferisco alla scuola. Si tratta di elementi tipici delle relazioni sindacali: si interviene, si decide, si ottengono risparmi, che avete anche voi visto e che potete giudicare.
È un po' lo stesso ragionamento del pubblico impiego. Il relatore Brunetta, che mi sta davanti, conosce la questione. Almeno era stata concordata una certezza sulla indennità di vacanza contrattuale, che oggi viene eliminata. Questo è un punto importante che noi chiediamo che le Commissioni possano ripristinare. Pubblico impiego e scuola sono due elementi assolutamente importanti.
Non vediamo cambiamenti, invece, sui tagli lineari che sono stati apportati agli enti locali.
Mi sembra che sulla sanità, invero, ci sia un cambiamento. Da questo punto di vista, c'è l'introduzione, probabilmente anche con gli effetti della Commissione Bondi, di un tentativo di intervenire con i costi standard, evitando tagli lineari diretti. Sugli enti locali si riscontra, invece, ancora una manovra composta di tagli lineari.
Ci sono due ultimi punti per noi importanti. Probabilmente, quando si è scritto il testo in esame, se mi permettete una battuta, eravamo «su scherzi a parte»: o il problema degli esodati c'è, o non c'è. O il Governo riconosce che aver varato una riforma pensionistica senza una transizione è stato sbagliato, oppure non se la può cavare creando un fondo con 100 milioni di euro.
Lo stesso INPS, alcuni giorni fa - l'abbiamo letto tutti - denunciava numeri per noi insufficienti. Sarebbero 8.900 le persone che non sono ancora state riconosciute. Si stimava la cifra necessaria in 490 milioni, ma nel fondo troviamo 100 milioni: allora non servono. O si stabilisce che il problema c'è e vi si rimedia, oppure è inutile mettere uno specchietto per le allodole.
Concludendo, io credo che ci dovrebbe essere maggiore consequenzialità tra gli incarichi che il Governo affida - mi riferisco in questo caso alla relazione Amato - e le operazioni che compie nelle leggi di stabilità. Non voglio fare il rappresentante di una lobby, ma credo sia corretto segnalare che la relazione Amato illustra bene come i fondi dei patronati siano fondi che vengono dai contributi dei lavoratori. La relazione spiega che sono violati princìpi costituzionali quando si apportano tagli in quella direzione. Per la prima volta siamo in presenza di un taglio che non è riferito a un periodo, ma si tratta di 30 milioni di euro strutturali che intervengono come taglio sul fondo patronati. Perché ciò quando l'INPS e l'INAIL demandano sempre più servizi ai patronati stessi? È una domanda che vi pregherei di porvi.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

PRESIDENTE. Do la parola al rappresentante della UIL, Domenico Proietti.

DOMENICO PROIETTI, Segretario confederale della UIL. Anche la UIL è molto grata alle due Commissioni per l'opportunità di essere audita. Abbiamo anche noi consegnato un testo scritto, il che mi consente di essere piuttosto rapido.
Questo disegno di legge di stabilità è figlio della visione della politica economica dell'attuale Governo, una politica economica finalizzata esclusivamente a perseguire il risanamento di bilancio, mentre noi pensiamo che l'opera assolutamente necessaria di risanamento del bilancio debba essere, contemporaneamente, finalizzata a promuovere la crescita per rompere la tenaglia della recessione.
La composizione di questo disegno di legge di stabilità, in particolare, sembra porre all'inizio, o così sembrava, il tema di una diminuzione delle tasse. La UIL crede che la leva fiscale sia lo strumento principale per mettere in campo una nuova politica economica orientata alla crescita, ma il modo con cui il Governo fa uso delle tasse, con riferimento alla riduzione della


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prima e della seconda aliquota IRPEF, al contemporaneo aumento dell'IVA e al contemporaneo aumento delle franchigie e del tetto alle deduzioni e alle detrazioni, vanifica per gran parte dei contribuenti italiani quest'apparente prima riduzione delle tasse, che pure noi abbiamo salutato, all'inizio, positivamente.
Voglio anch'io sottolineare che c'è un modo un po' strano di procedere. Io ho ascoltato e visto nei giorni scorsi le prese di posizione dei partiti e dei Gruppi parlamentari che hanno chiaramente palesato la completa non conoscenza di ciò che il Governo si apprestava a fare nel disegno di legge di stabilità. Voglio anch'io sottolineare che nell'incontro promosso dal Governo con le parti sociali, martedì 9 ottobre scorso, abbiamo ascoltato tutto tranne che i contenuti della legge di stabilità.
Sarebbe bene che almeno il Governo tecnico operasse in maniera leggermente più coerente, anche non facendo passare una settimana, come, di fatto, è avvenuto, tra l'annuncio e la pubblicazione del testo, settimana durante la quale si sono rincorse le voci e le stime più differenti. Questo aspetto non giova al Paese, non giova all'elemento di credibilità che la politica nel suo insieme deve recuperare.
Noi pensiamo che le risorse messe in campo con la riduzione dell'IRPEF possano essere meglio mirate e indirizzate a sostegno dei redditi e che si possa lavorare attraverso un aumento delle detrazioni dei redditi per lavoro dipendente e dei redditi assimilati, ossia anche dei pensionati, il che consentirebbe di avere un intervento mirato e un ritorno positivo immediato anche sul sistema dei consumi, a beneficio del nostro sistema produttivo.
L'aumento dell'IVA, così come è strutturato, si spalma su tutti, anche su coloro che non avrebbero benefici dalla riduzione delle aliquote IRPEF.
Una riflessione specifica deve essere svolta sul discorso della franchigia e del tetto alle deduzioni. Il Ministro Grilli in questi giorni ha affermato che è necessario trovare un miliardo di euro, se si vuole mettere in discussione questa vicenda.
Io ho ascoltato, prima di entrare, una parte della relazione svolta dal presidente Giovannini. Ho partecipato ai tavoli che furono insediati dal precedente Governo, uno presieduto dal professor Giovannini e un altro dall'attuale sottosegretario Ceriani. È stato svolto un lavoro prezioso di ricognizione e di mappatura del nostro sistema tributario. Sulle agevolazioni fiscali, in particolare, la Commissione Ceriani ha individuato 720 voci diverse per un ammontare di 253 miliardi di euro.
Se si vuole compiere un intervento selettivo e mirato - e c'è molto da dislocare - si deve aprire questo capitolo e non proporre un taglio lineare di un miliardo di euro, che va a penalizzare, ancora una volta, i lavoratori dipendenti e i pensionati. Questo è un approccio concreto e serio che noi pensiamo che il Parlamento possa intraprendere.
Giudichiamo, invece, gravissimo che l'eventuale modifica del regime delle detrazioni e della franchigia possa essere considerata retroattiva al 2012. La certezza del diritto e, soprattutto, il nuovo patto che bisogna stipulare tra contribuente e Stato si deve fondare sulla certezza. Quale credibilità ha lo Stato nel momento in cui, come noi sosteniamo, deve continuare a compiere una lotta forte all'evasione fiscale, se non rispetta le regole contenute nello Statuto dei contribuenti? Sotto questo punto di vista, noi chiediamo al Parlamento che sia posto rimedio - se venisse confermata questa iniziativa - perlomeno sulla retroattività.
Pensiamo anche - procedo molto più velocemente - che bisogna ripristinare la clausola di salvaguardia sulla tassazione del TFR. Troppo spesso questo tema è stato penalizzato in questi anni. Noi chiediamo che la legge di stabilità riconsideri le proprie valutazioni.
È positivo anche il fatto - noi sottolineiamo le iniziative importanti, quando ci sono, perché il nostro è sempre un giudizio di merito sui provvedimenti dei Governi e mai un giudizio pregiudiziale - di aver rimesso una posta di bilancio significativa sulla detassazione del premio di produttività. È molto importante. Noi pensiamo


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che questa debba essere una disposizione finalmente strutturale e che non possa essere legata al raggiungimento o meno dell'accordo con le parti sociali. Voglio sommessamente ricordare che esiste un buon accordo, stipulato dalle parti sociali nel giugno del 2011, che ha prodotto risultati positivi. Siamo impegnati, lo riferisco con altrettanta chiarezza, a migliorare quell'accordo; lo stiamo facendo in queste ore, però non ci può essere una sorta di spada di Damocle o di alibi per il Governo di ritirare queste risorse. Sono convinto che noi perverremo a una buona intesa, ma queste risorse vanno mantenute e rese strutturali.
Siamo favorevoli e, quindi, giudichiamo positivamente l'introduzione della tassa sulle transazioni. Mi permetto, però, di sottolineare alle Commissioni che è sbagliato estenderla agli investimenti previdenziali, in particolare agli investimenti dei fondi pensione, che, come sappiamo, non hanno natura speculativa e debbono poter essere messi al riparo da questa nuova tassa, che nell'insieme, invece, giudichiamo utile.
Le ricadute che ci possono essere sui tagli a regioni ed enti locali non devono assolutamente significare un aumento della fiscalità locale. Ci sono margini per intervenire, come dimostrano anche le cronache di queste settimane, affinché si compiano risparmi reali e non si aumenti la pressione fiscale.
Sul settore sanitario si continua a tagliare e noi pensiamo che non sia più possibile. Crediamo che l'intervento che viene effettuato sugli enti previdenziali, che può essere razionalizzato all'interno di un piano industriale del nuovo super-ente e attraverso la definizione di una nuova governance - so che il Parlamento è impegnato nella Commissione lavoro a svolgere quest'attività - possa imprimere anche in questo caso un'accelerazione.
Voglio aggiungere una considerazione sui patronati. Noi dobbiamo sfatare la leggenda metropolitana in base alla quale i patronati sarebbero una forma di finanziamento. I patronati sono emanazione di grandi soggetti collettivi di questo Paese. Venivano ricordate adesso le conclusioni di Amato, ma io voglio sottolineare anche recentissimi indagini demoscopiche svolte da autorevolissimi istituti indipendenti, che hanno dimostrato l'alto indice di gradimento dei servizi dei patronati e l'ottimo rapporto tra benefici e costi.
Compiere un intervento strutturale di taglio è sbagliato. Se vi capita, passate da un qualsiasi sportello di patronato. A qualsiasi ora del giorno ci sono decine e decine di persone che chiedono aiuto e assistenza. Questi tagli rischiano di creare una grande difficoltà a tali istituti.
Naturalmente, noi siamo profondamente contrari anche al taglio che viene apportato alla scuola pubblica. Oltre a tutti i risvolti contrattuali - che sono stati richiamati e che condivido - questo è un taglio sbagliato, che va rimosso.
Infine, sui cosiddetti esodati noi pensiamo - voglio sempre prendere per buone le intenzioni - che l'istituzione del fondo sia positiva, anche se è ridicolo il finanziamento che è stato stanziato. Bisogna ampliarlo, ma soprattutto bisogna cambiare la natura del fondo, che il disegno di legge di stabilità prevede come natura assistenziale, mentre il fondo deve avere una natura previdenziale. Sotto questo punto di vista, io credo che l'ottimo lavoro svolto dalla Commissione lavoro della Camera possa trovare un inserimento, se c'è la volontà politica. Non ci si dica che non ci sono le risorse. I dati dell'altro ieri dell'INPS dimostrano che il nostro sistema era in perfetto equilibrio, grazie agli interventi attuati precedentemente, prima dei provvedimenti del Ministro Fornero, e che le risorse che sono state sottratte al sistema previdenziale per non tagliare altre poste di bilancio, in parte, vanno rimesse dentro il sistema, risolvendo il problema degli esodati e ristabilendo un principio di flessibilità, l'unico sistema che ci consente di fornire risposte alle persone.
Io credo, e concludo veramente, che il Parlamento abbia l'occasione, attraverso questa discussione, di provare a segnare una svolta nella politica economica del Governo. Dobbiamo coniugare la sacrosanta


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esigenza di risanamento con una prospettiva di crescita e le proposte che noi abbiamo cercato di indicare sono un contributo in questa direzione.

PRESIDENTE. Do la parola a Paolo Varesi, segretario confederale dell'UGL.

PAOLO VARESI, Segretario confederale della UGL. Approfitterò della precisione con cui i colleghi hanno toccato i maggiori temi per essere piuttosto rapido, limitandomi solo ad alcune considerazioni di carattere generale.
Si corre il rischio di apparire retorici. Ci rendiamo conto che gli obiettivi che questa legge di stabilità vuole raggiungere sono importanti non soltanto per il Governo, ma anche per il Paese; tuttavia esiste il timore che si sia entrati in una sorta di ideologia di bilancio, nel senso che il rigore di bilancio è diventato l'obiettivo primario, al di là degli effetti che produce nel Paese.
I colleghi che mi hanno preceduto hanno offerto uno spaccato molto interessante - che poi è davanti agli occhi di tutti - di che cosa, soltanto nell'ultimo anno, sia successo attraverso una serie di misure sicuramente necessarie, ma attuate senza tener conto del fatto che il Paese è composto di famiglie, lavoratori e persone, molti dei quali hanno sempre e soltanto svolto il proprio dovere anche rispetto al fisco.
Vi è quindi una caduta del reddito delle famiglie molto significativo, come riferiva anche il professor Giovannini. Il ricorso al risparmio come fonte di reddito è diventato ormai ordinario. Il tasso di disoccupazione cresce enormemente, con una forte contrazione della ricchezza, una forte polarizzazione del reddito - che non riesce a essere distribuito - e, soprattutto, una situazione di depressione delle famiglie, che è quella che ci preoccupa molto. Non ci preoccupa la necessità di fornire una risposta a un cambiamento più generale: l'aspetto che ci preoccupa è che le misure che sono state promosse, in realtà, non hanno stimolato un cambiamento nei comportamenti e nei consumi, ma hanno indotto a una forte depressione. Ci preoccupa lo scoraggiamento delle classi più giovani, delle famiglie, di persone che stanno ormai ai margini della società e che rischiamo di perdere definitivamente.
Per questo motivo siamo ancora più preoccupati delle misure fiscali che sono state introdotte. Ci aspettavamo un segnale di speranza. Il Ministro Grilli, all'indomani dell'approvazione del disegno di legge di stabilità da parte del Consiglio dei ministri, aveva parlato di un forte salto di qualità e della volontà del Governo di dare una prospettiva in termini di riduzione della pressione fiscale.
A noi non sembra che ciò avvenga, perché la misura della retroattività sulle detrazioni e sulle deduzioni è un segnale che spaventa, non soltanto per il metodo con cui viene presentato, ma soprattutto per i meccanismi che vengono introdotti, che colpiscono soprattutto le famiglie meno abbienti.
Il tetto di 15.000 euro come riferimento di aliquota ci sembra troppo basso. Capiamo che si pone la necessità di reperire risorse, ma 15.000 euro di reddito, che consentono addirittura la tassazione sulle pensioni di guerra e sulle pensioni di invalidità appaiono, e sono, una cifra che viene letta come una beffa, come un accanimento nei confronti proprio delle persone meno abbienti.
Da alcuni dati che abbiamo raccolto risulta che i consumi dei beni di lusso non sono calati, tutt'altro. Il problema della disoccupazione e dell'occupazione non ha riguardato i lavoratori che hanno la fortuna di lavorare in aziende o boutique che producono beni di lusso, che, invece, si sono moltiplicate nelle città, a dimostrazione che la polarizzazione della ricchezza è un tema cui dovremmo guardare non in termini di rivalsa, ma di riequilibrio sociale.
Analogamente, il taglio delle prime due aliquote IRPEF che è presentato al 2014 sembra più una beffa che un tentativo di compensare la retroattività delle detrazioni.
Voglio dedicare un'ultima considerazione alla questione dei patronati e dei


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CAF, che è già stata affrontata dal collega Proietti. Noi siamo stati per tutto il 2011 chiamati a implementare la cosiddetta compliance. In realtà, le organizzazioni sindacali sono state chiamate a compiere ancora un passo in avanti, nel tentativo di fare sistema con lo Stato e con l'Agenzia delle entrate, perché le persone fossero disposte in modo diverso nei confronti del fisco, partecipassero in modo diverso e, soprattutto, affinché i patronati e i CAF - che sono spesso l'anello di congiunzione tra i bisogni fiscali delle persone e i bisogni sociali dello Stato - si aprissero e compissero un percorso che noi abbiamo implementato, investendo anche alcune risorse e cercando di svolgere la nostra parte.
Oggi, la risposta in termini di misura è un taglio di 30 milioni di euro proprio su questi settori per il 2013 e di ulteriori 30 milioni di euro nel 2014. È un grosso passo indietro, che non ci aspettavamo e che critichiamo fortemente.
Io credo che questa manovra, come è emerso anche questa mattina, non abbia alcun effetto sulla crescita. Noi ci aspettavamo non che si sostituisse ad altre misure, ma che ci fosse un segnale che ponesse il tema della crescita a medio termine - come ha affermato anche l'onorevole Brunetta - come un tema principale a cui guardare con attenzione, così come riteniamo che questa manovra non anticipi il problema della produzione del reddito e della sua ridistribuzione. Ciò ci induce a esprimere un giudizio negativo.
Le organizzazioni sindacali sono spesso chiamate a grosse sfide. Il Governo l'ha fatto apertamente, anche recentemente, con riferimento al tema della produttività del lavoro. Io credo che, se alcuni anni fa potevamo essere accusati di essere conservatori dello status quo ante, adesso stiamo fornendo una grossa risposta in termini di responsabilità, pur senza tradire i nostri compiti, le nostre idee e la nostra cultura. Quello della produttività sta diventando il tema principale, e ci aspettiamo che il finanziamento che è stato annunciato in favore di questa venga confermato.
Ci aspettiamo anche, però, che il Governo stia fuori da una dinamica che deve appartenere alle parti sociali. Recentemente, c'è stato invece un tentativo di forzare il contenuto dell'accordo, che abbiamo ritenuto irresponsabile e sicuramente fortemente criticabile.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO BRUNETTA. Ringrazio gli amici e colleghi del sindacato. Era da tanto tempo che non mi trovavo in sintonia con loro, come in questa occasione.
Al di là dei contenuti e dei giudizi, sui quali ampiamente concordo, vorrei proporre loro un metodo. Dal momento che il Governo ha fatto tutto da solo, dal momento che il Governo ha raccontato agli amici del sindacato contenuti diversi da quelli che poi ha introdotto, dal momento che il Governo non ha concordato nulla e non ha neanche spiegato alla sua maggioranza - proporrei di chiamarla maggioranza e non partiti - le proprie intenzioni e i propri obiettivi all'interno di questa legge di stabilità, la proposta che io avanzo alle parti sociali è molto semplice. Mi rivolgo adesso al sindacato e mi rivolgerò poi ai datori di lavoro. Propongo di fare del Parlamento il luogo della riflessione e dell'elaborazione della legge di stabilità, in maniera tale che le forze di maggioranza possano avere il confronto e il supporto delle parti sociali ampiamente intese, con riferimento al terzo settore e così via e che la proposta che verrà dalla maggioranza abbia il necessario confronto e, auspicabilmente, il consenso delle parti sociali. Dal momento che il Governo non l'ha fatto, lo facciamo noi.

AMEDEO CICCANTI. Volevo rivolgere una domanda al segretario confederale della CGIL Danilo Barbi. Io dedico una particolare attenzione al tema dell'imposta patrimoniale. Ho posto queste questioni in diverse occasioni al Presidente del Consiglio Monti, il quale ha sostenuto che abbiamo difficoltà per quanto riguarda la


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componente della ricchezza mobiliare, nel senso che si può parlare di ricchezza immobiliare in quanto è più facilmente aggredibile, ma per quella mobiliare, diversamente dalla Francia, non abbiamo una struttura tale che ci consenta di poterla aggredire.
Ne ho parlato con il Ministro Grilli, il quale ha risposto che esiste già la patrimoniale, tramite l'IMU. I partiti anche della maggioranza, tra cui alcune componenti del PD, sono sensibili a questo discorso della patrimoniale, altre no. Ho sentito il senatore Morando che, per esempio, sostiene la stessa tesi del Ministro Grilli. Nell'UdC c'è addirittura un giudizio conforme a quello del Ministro Grilli.
Io, pur facendo parte dell'UdC, ho una particolare attenzione sul tema e vorrei capire, secondo voi, dove dovrebbe essere indirizzata questa patrimoniale. Noi abbiamo un plafond di ricchezza patrimoniale immobiliare di circa 5.600 miliardi di euro, in base al rapporto dell'Agenzia del territorio, su un complesso di ricchezza di 9.000 miliardi di euro, rispetto a un debito pubblico di 2.000 miliardi. Abbiamo, quindi, come qui veniva ricordato, una consistenza di ricchezza su cui poter agire, ma su cui diventa difficile intervenire.
Oggi c'è, peraltro, una deterrenza in più con la cosiddetta Tobin tax che dovremmo inaugurare con questa legge di stabilità e che ci indica di aggredire anche una parte dei capitali finanziari.
Io vorrei conoscere meglio l'idea del segretario Barbi, che ne ha parlato.

LINO DUILIO. Riprendo quanto affermava il collega Brunetta, per associarmi. In verità, mi associo anche ad una lamentazione che potremmo, come parlamentari, portare alle organizzazioni sindacali e non solo, per il fatto che da un po' di anni a questa parte, ritenendo comprensibilmente che il potere si sia spostato sugli esecutivi, si attribuisca poca importanza alla presenza dei sindacati in Parlamento, e non quella che, a nostro parere, meriterebbe. Ne è riprova anche il fatto - ringraziandovi ed esprimendo tutta la stima nei vostri confronti - che i vostri segretari generali ormai sono un'apparizione piuttosto rara in Parlamento.
Lo rilevo non tanto per polemizzare, il che non avrebbe alcun senso, e, lo ripeto, apprezzando non solo per oggi, ma anche per le occasioni precedenti, quello che ci venite a riferire, quanto per ribadire ciò che sosteneva il collega Brunetta. Io penso che, rispetto alla complessità dei problemi che abbiamo alle spalle e che avremo davanti e per parecchi anni - perché non credo che nessuno pensi che noi potremo uscire da questa situazione in quattro e quattr'otto - elaborare e confrontarsi in Parlamento su alcune misure, per quanto complicate, potrebbe essere utile in definitiva al nostro Paese.
In questo senso pongo due domande molto rapide. Recentemente, il 24 settembre scorso per l'esattezza, è stato presentato un opuscolo dell'OCSE dedicato all'Italia, opuscolo che ci è stato mandato ed è intitolato: «Italia - Dare slancio alla crescita e alla produttività». È piuttosto interessante ed è stato presentato, in presenza del Presidente del Consiglio dei ministri, dal capo degli economisti dell'OCSE. Tra le diverse proposte che vi figurano è evidenziato uno dei dati strutturali e dolenti della nostra situazione economica, che attiene al trend relativo alla produttività. Essendo tutti consapevoli del fatto che, se noi non riusciamo a rilanciare la crescita del nostro Paese, dovremo sempre confrontarci sui più e sui meno all'interno di un dato che, se va bene, registra una costanza - parlo del PIL rispetto all'anno precedente - e, se va male, addirittura è in diminuzione, chiaramente decidere i più e i meno diventa una questione piuttosto intricata.
Si riferisce in questo rapporto che il tasso di crescita della produttività italiana è il più basso dei Paesi dell'OCSE, questione che, ahimè, ci accompagna da molti anni. Mentre la produttività relativa del lavoro è migliorata in altri Paesi dell'Europa del sud in seguito alla crisi, questo dato è praticamente rimasto invariato nel


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nostro Paese e interessa, peraltro, la maggior parte dei settori della nostra economia.
Trattandosi di una questione di particolare pregnanza, io vorrei sapere da voi, se possibile - dal momento che questo problema ci accompagna da molti anni e che ci accompagnerà per molto tempo, pur consapevole del limitato tempo che abbiamo a disposizione - se su questo tema il sindacato intenda esprimersi, perché si affronti una problematica che, se non viene risolta, diventa distribuzione di povertà.
L'ultima domanda riguarda, all'interno di questo discorso, il settore pubblico. Io sono convinto, da sempre - è il mio pallino, per alcuni versi - che si potrebbe fare molto di più nel settore pubblico, perché si vada a colpire sprechi e inefficienze e si possa accrescere la produttività. Ci vorrebbe una sorta di piano industriale per il settore pubblico che lanci una sfida, così come avvenne, a suo tempo, quando lanciammo la sfida di abbassare il mostro dell'inflazione dal 18-20 per cento a livelli molto bassi, operazione che riuscì grazie anche al sindacato, che acquisì meriti storici.
Anche sul discorso della pubblica amministrazione vorrei sapere se l'idea di un piano industriale condiviso anche a livello politico - in sede parlamentare - vi convinca o meno.

PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi che devono ancora intervenire di essere molto sintetici, altrimenti non abbiamo spazio per le ulteriori domande e le relative risposte.

MAINO MARCHI. Vorrei dire a Danilo Barbi della CGIL - poiché ho sentito che considera la disposizione più grave del disegno di legge di stabilità l'aumento dell'IVA in quanto questo è un Paese che, per la struttura dei suoi redditi, non è adatto a manovre di questo genere sull'IVA - che in precedenti manovre, penso alla cosiddetta spending review, l'obiettivo fondamentale del Governo è stato proprio quello di azzerare un aumento, già previsto per legge, di due punti dell'imposta dal 1o ottobre 2012 al 30 giugno 2013 e di ridurre quello previsto per il 2014. In quell'occasione, però, non ho sentito un particolare apprezzamento da parte della CGIL sul raggiungimento di tale obiettivo. Mi domando perché adesso si afferma, invece, che la questione dell'IVA è quella principale.
A Maurizio Petriccioli della CISL vorrei chiedere se ritiene migliore l'intervento sull'IRPEF, così come è stato proposto dal Governo, cioè una misura spalmata su tutti i redditi - dal momento che le aliquote nelle prime fasce di reddito riguardano tutti - o, invece, interventi più mirati, come sono stati proposti, come un aumento delle detrazioni per la produzione del reddito o un intervento straordinario sulle tredicesime.
A Domenico Proietti della UIL vorrei chiedere se, qualora ai comuni si continuassero ad apportare tagli - perché questo non è il primo - si possa ipotizzare che almeno per quelli di medie dimensioni - che hanno servizi sociali rilevanti - si possano mantenere i servizi e avere tagli nei trasferimenti senza aumentare o le tariffe o le tasse. Credo che, a quel punto, o si è dei maghi, o da qualche parte bisogna pur intervenire.

RENATO CAMBURSANO. La legge di stabilità sta effettivamente compiendo un miracolo. Anche l'onorevole Brunetta è in sintonia con le organizzazioni sindacali nel difendere, il che è positivo, la centralità del Parlamento.
A parte questa considerazione, pongo una domanda secca al rappresentante della CGIL Barbi. Lei ha fatto riferimento alla circostanza, espressamente prevista, che quanto versato o quanto dovrà versare l'Italia per il fondo cosiddetto «salva Stati» sia fuori dal pareggio di bilancio. Lei afferma, se ho inteso bene naturalmente, che altrettanto si potrebbe fare per le tredicesime.
Credo che questo possa essere un azzardo piuttosto robusto, che mai avrebbe il consenso da parte dell'Unione europea, visto e considerato che non vi è stato il


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consenso neanche con riferimento alla cosiddetta golden rule, cioè rispetto agli investimenti. Figuriamoci che cosa accadrebbe sulle tredicesime.

PIER PAOLO BARETTA. A parte le questioni di metodo nei rapporti col Governo, che sono state ampiamente toccate dai colleghi, è evidente che il Governo ha compiuto un'operazione di un certo tipo, scambiando un po' di IVA e un po' di IRPEF.
Ci sono impostazioni articolate tra i sindacati, il che è comprensibile e non mi stupisce, ma il punto è che, se ragioniamo sulla parità dei saldi, l'opzione che dovremmo attuare, come Parlamento, nelle prossime ore, è piuttosto netta. Se riusciamo a immaginare, e questo è l'oggetto della discussione, un qualche aggiustamento dei saldi condiviso e concordato con il Governo, l'operazione si muove in maniera più articolata.
Vedo la proposta che avanza il collega Brunetta, cioè di utilizzare i prossimi giorni anche in un rapporto più stringente, concretizzabile su alcuni punti che vorrei sottoporre alla vostra attenzione: uno è quello citato da Domenico Proietti, cioè il piano delle detrazioni.
Io non credo che siamo in grado, in pochi giorni, di compiere operazioni approfondite, però penso che un modo per ridurre l'impatto del tetto e della franchigia e riconsiderare il tema della retroattività sia quello di andare a vedere se nelle 700 voci identificate ci siano agevolazioni fiscali che possono essere lasciate al loro destino, salvando la stragrande maggioranza delle altre.
Quanto ad un secondo punto, considero inequivocabilmente necessario che un ritocco delle detrazioni sia attuato con l'accordo delle parti sociali.
Un ulteriore punto è la questione degli esodati, che avete affrontato tutti voi. Come avete visto, noi abbiamo rinunciato a un'impostazione che modifichi il disegno di legge, ma ci poniamo il problema della definizione delle platee. La definizione quantitativa delle necessità, oltre i 100 milioni di euro del fondo, deriva dall'identificazione il più obiettiva possibile delle platee, che trova nei sindacati un contributo assolutamente essenziale. Queste questioni, tra le più generali, sono su un terreno che io vi inviterei, se non adesso, nei prossimi giorni, ad approfondire.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Per quanto riguarda la questione del rapporto col Parlamento, noi abbiamo sempre cercato di avere il massimo rispetto, ovviamente. Non so se si può affermare lo stesso dell'attuale Governo. Da questo punto di vista, non saprei.
Siamo disponibili a una discussione, anche in questa fase apertissima, con l'insieme delle forze parlamentari, almeno per quanto ci riguarda, anche se in quest'occasione mi sembra del tutto evidente che la scelta compiuta dal Governo sia stata incoerente. Anch'io ero presente quando il Ministro Grilli e il Presidente del Consiglio Monti ci hanno spiegato, esattamente alle 17,40, come si sarebbe svolta la manovra mentre, poi, alle 2 di notte ne hanno varata un'altra.
Per quanto ci riguarda, sulla discussione di merito siamo disponibilissimi a confrontarci con tutte le espressioni parlamentari, anzi, come ho affermato fin dall'inizio, auspico che in questo caso il Parlamento, proprio perché mi sembra che non ci sia un condizionamento politico, intervenga vigorosamente.
A proposito della vicenda degli esodati, che veniva citata da ultimo, ho capito benissimo la considerazione dell'onorevole Baretta, ma noi insistiamo su un punto, come prima affermava giustamente il rappresentante della UIL. La legge su questo punto ha sbagliato, perché è intervenuta in modo sommario. Al di là degli obiettivi per noi giusti o sbagliati che ha proposto, ha sbagliato nella metodologia. Affrontando il tema e non mettendoci mano, di fatto, o ammettendo solo che la legge è stata sommaria, non si risolverà mai il problema. Questa è la nostra opinione.


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Ciò premesso, siamo sempre disponibili, anche nel frattempo, a fare meglio, perché parliamo di persone reali, che hanno subìto ingiustizie giuridiche e materiali molto forti.
Quanto alle discussioni sulla produttività, è vero ciò che è stato sostenuto: noi siamo impegnati in una discussione e non abbiamo problemi, però vorrei svolgere una discussione di un dato tipo. Dentro questa crisi, il tema della produttività specifica è un tema molto complesso del nostro Paese. In merito vorrei fare una battuta, perché approfondire la discussione è un'altra questione. Per noi, dentro una crisi di questa natura, se tutti i Paesi migliorano la loro produttività e nessuno aumenta la domanda aggregata, se tutti aumentano le loro esportazioni e nessuno aumenta l'occupazione, la manovra non funzionerà. C'è un elemento illogico in tutto ciò.
Se tutti attuano le stesse politiche, il risultato finale non è la ripresa economica, ma l'aumento di una pura produttività. Senza aumento della domanda aggregata aumenta la disoccupazione in Europa. La discussione può poi vertere su qual è il Paese che se la gioca meglio rispetto ad altri Paesi. Questa è la discussione che abbiamo di fronte, secondo noi. Noi pensiamo che anche la politica europea debba cambiare profondamente, perché con l'attuale politica dell'austerità la crisi non si risolverà.
Ci veniva chiesto della patrimoniale. Noi pensiamo che si tratti di una politica di indirizzo dello sviluppo e non di una politica di ritorsione sociale. Anche questa discussione noi pensiamo, onestamente, che sia una questione antica.
Uno Stato che si rispetti deve gestire le ricchezze di un Paese per assicurarsi che vengano impiegate maggiormente in una politica di sviluppo. Il sistema fiscale italiano, storicamente, al di là di presentare un'altissima evasione - il che ha prodotto anche la conseguenza di aumentare i patrimoni, come è ovvio, perché l'evasione che abbiamo non è un'evasione marginale o patologica, ma anche un'evasione per arricchirsi -, ha un prelievo generale sulle ricchezze per così dire «ferme» - nonostante l'IMU, che, non a caso, viene introdotta come una sorta di patrimoniale, però diffusa non sulle concentrazioni o sulle rendite - più basso di quello degli altri Paesi. È un'evidenza: il prelievo sui guadagni finanziari era il 12,5 per cento, mentre la media dei 27 Paesi, oggi, è del 25 per cento. Se guardiamo i grandi Paesi d'Europa, vediamo che la Spagna, nella manovra di aggiustamento, ha compreso nella ricchezza anche le rendite finanziarie, che tassa cumulandole al reddito, e non in modo marginale, fino al 52 per cento. Noi siamo al 20 per cento e siamo fermi da un anno. È questo che produce la concentrazione di una ricchezza che viene poco investita. Noi poniamo un problema di politiche dello sviluppo, non solo di politica dell'uguaglianza, che dentro la crisi è ancora più grave. La patrimoniale generale si può fare ma, perché non abbiamo l'anagrafe dei patrimoni mobiliari? Scherziamo! Se non la vogliamo avere, non l'abbiamo, ma, se la volessimo avere, potremmo averla benissimo. Basterebbe porla come fatto obbligatorio e la discussione finirebbe: se non si ottempera, si è evasori.
Svolgo una battuta che, di solito, viene apprezzata. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha pubblicato su Internet i redditi dei membri del Governo: il Ministro Cancellieri ha 23 immobili e paga un tot di più, mentre il Presidente Monti ha 10 milioni di euro in un fondo finanziario su cui non paga nulla. Mi dovete spiegare il motivo. Mi si deve spiegare, se il punto è il patrimonio, perché un patrimonio immobiliare deve essere tassato e uno finanziario no, perché a me tale logica è totalmente incomprensibile. Se, poi, mi si risponde che il prelievo sul patrimonio immobiliare viene portato sulla prima casa, quando siamo l'unico Paese al mondo che ha il 78 per cento della popolazione che abita nella casa di proprietà, ne emerge una sorta di tassa sul macinato, non una patrimoniale sulla concentrazione della ricchezza. Siamo seri!
La concentrazione della ricchezza finanziaria esiste. Stando ai dati della relazione


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tecnica allegata al disegno di legge di stabilità, voi lo sapete quanto vale il mercato dei prodotti finanziari derivati in Italia? Pongo una domanda ai parlamentari. In un anno, l'ammontare dei derivati in Italia è superiore alla ricchezza del Paese, ammontando a circa 8.600 miliardi di euro, secondo la relazione tecnica con riferimento alle disposizioni sull'introduzione della financial transaction tax. Sono 8.600 miliardi di euro di derivati, in un anno, in Italia. Siamo quindi un Paese che ha una certa ricchezza finanziaria: in un momento di crisi, io credo che si debba chiedere un contributo anche alla ricchezza finanziaria. Ciò fa bene anche perché chi ha soldi li deve investire in attività più produttive - per l'intero del Paese - della finanza. Il problema, per me, è questo.
Sulla questione dell'IVA, noi siamo sempre stati contrari, in Italia, alla politica di spostamento - come si dice - dalle persone alle cose, per i due argomenti che ho citato: il moltiplicatore inflattivo e il grande numero di incapienti rispetto alla popolazione. Sono due argomenti di merito. Se fossi in Germania, sosterrei che si può attuare tale politica, ma come hanno fatto in Germania, ossia concedendo buoni acquisto ai 6 milioni di incapienti: in Italia la situazione è diversa.
Per questo motivo, noi siamo contrari e pensiamo che, se si compie questo intervento, la nostra proposta alternativa vale fin dal decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto «salva Italia». È da quel decreto che si è avviato il processo. Il Ministro dell'economia e delle finanze sostiene che, poiché non è previsto un aumento doppio dell'IVA, abbiamo ridotto l'aumento. Le persone normali non ragionano così. Credo di aver risposto a tutti.

PRESIDENTE. Vedremo a quanto ammonteranno le transazioni speculative l'anno prossimo.

DOMENICO PROIETTI, Segretario confederale della UIL. Credo che il prelievo sugli enti locali sia già molto alto e che bisogna avere il coraggio di rivedere l'insieme degli enti locali. Naturalmente, c'è un problema di riordino istituzionale, di accorpamento dei comuni, dopo le regioni, ma si può tagliare subito? Pensiamo a quante aziende municipalizzate sulla mobilità esistono in Italia. Ci sono alcuni margini su cui si può oggettivamente intervenire.
Svolgo una valutazione politica generale. Ho colto con grandissima condivisione la proposta dell'onorevole Brunetta, ripresa, poi, dall'onorevole Baretta, l'altro relatore sul disegno di legge di stabilità. Noi pensiamo che il Parlamento sia una sede fondamentale non solo per questa legge di stabilità, ma anche, complessivamente, per il Paese e, in questi mesi, abbiamo ricercato una costante interlocuzione col Parlamento. Sulla vicenda degli esodati, se abbiamo potuto ottenere alcuni risultati che abbiamo avuto, lo dobbiamo alla sensibilità e all'ascolto avuto dal Parlamento. Senza di questo, il Governo sarebbe fermo ancora ai 60.000 che il Ministro Fornero ha sbandierato per sette od otto mesi.
La proposta che avete avanzato trova da parte nostra piena condivisione. Siamo, nei modi e nelle forme che riterrete opportuni, a disposizione per fornire contributi e approfondimenti.

PRESIDENTE. Ringraziando i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, del Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli.
Do subito la parola al Ministro Grilli, ringraziandolo per aver accettato il nostro invito.

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio il presidente


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e gli onorevoli membri delle Commissioni riunite. Quello della legge di stabilità, come sapete, rappresenta un appuntamento importante per il Governo, per il Parlamento e per l'Italia, vista ormai la rilevanza che questa legge ha in ambito europeo e nella cornice degli impegni nazionali rispetto al quadro rafforzato di vigilanza sulle finanze pubbliche.
Questa legge, presentata in successione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, che abbiamo discusso insieme un paio di settimane fa, rappresenta lo strumento con cui sono disposte le misure necessarie a realizzare gli obiettivi programmatici indicati nel documento di programmazione approvato con deliberazione dalle Camere lo scorso ottobre.
Il disegno di legge di stabilità per il 2013 è stato adottato in continuità con la logica di prudenza fiscale che ha caratterizzato l'azione del Governo sin dal suo insediamento. Tale logica va di pari passo con l'urgenza di imprimere nuovo slancio alla crescita economica, migliorare la competitività e garantire maggiore equità. Altrettanto rilevante appare il proseguimento del percorso di razionalizzazione della spesa e delle strutture organizzative della pubblica amministrazione. In questo ambito a luglio è stata completata la prima fase del processo di spending review attraverso il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012, ed è stato altresì disposto un secondo insieme di misure per la revisione della spesa da attuare nel corso dei prossimi esercizi finanziari.
L'insieme di interventi disposti dal Governo consente all'Italia di conseguire già nel 2013 il proprio obiettivo di medio periodo (il cosiddetto MTO), pari al saldo strutturale di bilancio in pareggio, così come previsto dagli accordi assunti con l'Europa e in risposta alle rinnovate turbolenze dei mercati finanziari internazionali, fornendo, peraltro, ulteriori garanzie sulla sostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo periodo. Al contempo, è assicurato il finanziamento di alcune spese indifferibili, in parte dovuto all'impatto di eventi naturali avversi.
Il disegno di legge di stabilità propone una riallocazione delle risorse di bilancio senza determinare effetti correttivi sull'indebitamento netto. Nel 2013, in particolare, le misure prevedono l'allocazione di circa 3 miliardi di euro del margine indicato nella Nota di aggiornamento del DEF tra la previsione tendenziale e l'obiettivo programmatico del bilancio in pareggio. Risulta, invece, sostanzialmente nullo l'effetto complessivo sull'indebitamento netto nel corso dei due esercizi successivi.
In questo quadro, la legge di stabilità consente di ridurre e redistribuire il carico fiscale, in particolare sulle famiglie, ponendo maggiore attenzione agli aspetti relativi all'equità del nostro sistema tributario, con una revisione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, nonché la riduzione, nel secondo semestre del 2013, delle aliquote IVA di un punto percentuale rispetto a quanto previsto nello scenario tendenziale. Parliamo delle aliquote del 21 e del 10 per cento, che sono diminuite, in questo caso, dal 23 al 22 e dal 13 al 12 per cento. Inoltre, la legge consente di favorire la produttività del lavoro tramite la proroga della detassazione dei contratti di produttività; di riqualificare la composizione della spesa con un incremento delle risorse stanziate per le spese in conto capitale più che compensato da una riduzione di quelle correnti; di favorire lo sviluppo, ponendo particolare attenzione al tema delle infrastrutture, a cui è assegnata la maggior parte delle nuove spese in conto capitale; di rafforzare gli interventi in campo sociale.
Passando alla riduzione del carico fiscale, gli interventi di riduzione del peso fiscale sulle famiglie e le imprese forniscono una prima risposta all'urgenza del rilancio dell'economia nel breve, oltre che nel lungo periodo. L'effetto complessivo netto delle misure sulle entrate comporta, infatti, un alleggerimento della pressione fiscale nel 2013 e negli anni successivi rispetto allo scenario tendenziale.


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A sostegno della domanda interna, le misure sulle entrate determinano una redistribuzione del carico fiscale, determinando al contempo un più elevato livello di equità nel nostro sistema. A tal fine, la legge di stabilità propone di intervenire sulla struttura delle due più importanti imposte del nostro sistema tributario, l'IRPEF e l'IVA.
Le modifiche introdotte, ispirate da un principio di equità e di solidarietà, sono volte a salvaguardare primariamente le fasce più deboli della nostra società, ferma restando l'irrinunciabile esigenza di garantire l'invarianza dei saldi di finanza pubblica.
In tale ambito, va considerato che la riduzione di un punto percentuale di IRPEF, a nostro parere, è preferibile alla riduzione di un ulteriore punto dell'IVA, poiché la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro mediante il calo dell'IRPEF produce effetti di incentivo sul mercato del lavoro sia dal lato dell'offerta, sia dal lato della domanda, favorendo tutte le imprese domestiche. Secondo noi anche dal punto di vista della progressività questo è un intervento da giudicare più efficace.
L'alleggerimento della pressione fiscale in termini di imposizione diretta garantisce una migliore redistribuzione della ricchezza nazionale, contribuendo all'aumento pro capite del reddito disponibile e della conseguente capacità di acquisto anche in funzione della propulsione della domanda interna.
Il disegno di legge di stabilità dispone la riduzione di un punto percentuale delle aliquote marginali IRPEF per i primi due scaglioni di reddito, agevolando i consumi delle famiglie con un reddito più basso. L'aliquota per il primo scaglione passa, quindi, dal 23 al 22 per cento e quella per il secondo dal 27 al 26 per cento.
Sono, altresì, rideterminate le deducibilità e detraibilità di taluni oneri, indicate rispettivamente agli articoli 10 e 15 del testo unico delle imposte sui redditi, fissando una franchigia pari a 250 euro nei confronti dei contribuenti con un reddito complessivo superiore ai 15.000 euro, nonché fissando un limite massimo annuale nella misura di 3.000 euro all'ammontare delle spese e degli oneri detraibili. Tali disposizioni non si applicano comunque, come ho accennato, ai soggetti titolari di reddito complessivo non superiore a 15.000 euro. Inoltre, sono escluse dall'applicazione di tali limitazioni le principali spese aventi un più rilevante impatto sociale. Tra queste sono da annoverare quelle relative alle spese mediche e di assistenza specifica necessaria nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione; le spese riguardanti i mezzi necessari all'accompagnamento, alla deambulazione, alla locomozione, al sollevamento e per i sussidi tecnici e informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e le possibilità di integrazione dei soggetti portatori di handicap e, infine, le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana. Sono esclusi ancora i contributi previdenziali e assistenziali, quelli versati alle forme pensionistiche complementari, nonché le spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e risparmio energetico. Parliamo dell'IVA ridotta del 36 per cento e di quella per il risparmio energetico del 55 per cento.
Entrando più in dettaglio sugli effetti di questa riduzione dell'IRPEF, possiamo osservare che le misure adottate coinvolgono circa 30,8 milioni di contribuenti, su una platea complessiva di 41,5 milioni di soggetti IRPEF. In particolare, i contribuenti favoriti dalle disposizioni introdotte sono circa 30,3 milioni, con un beneficio medio pro capite di 160 euro. Il beneficio medio pro capite massimo si realizza per i contribuenti con un reddito complessivo tra i 25.000 e i 45.000 euro. Per i contribuenti con un reddito complessivo superiore a 45.000 euro il beneficio medio si riduce progressivamente.
È importante avere presenti alcuni dati. Quando guardiamo all'impatto del beneficio della riduzione delle aliquote, come ho accennato, il beneficio della riduzione - teniamo separato per un secondo il maleficio possibile della modifica delle deduzioni e detrazioni - coinvolgono circa 30


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milioni di contribuenti. Il valore medio di questa riduzione di aliquota è di circa 160 euro e il valore massimo è nelle fasce di reddito tra i 25.000 e i 45.000 euro, dove il valore è di circa 220-230 euro.
A fronte di questa riduzione delle aliquote abbiamo introdotto alcune limitazioni nelle detrazioni e deduzioni. L'importante, a questo punto, è verificare l'impatto netto, ossia, a fronte di un beneficio di riduzione di aliquota, quanto di tale beneficio è più che compensato da questa ridotta capacità di dedurre o detrarre.
Non abbiamo effettuato stime, ma siamo andati a prenderci i dati dalle banche dati dell'Agenzia delle entrate. Possiamo affermare che dei 40 milioni di contribuenti 30 hanno sicuramente un effetto positivo. Chi non ha un effetto positivo, ma potenzialmente negativo sono circa 490.000 dei 40 milioni. In questo caso, circa il 99 per cento dei nostri contribuenti ha un effetto positivo.
Se guardiamo anche per fasce di reddito, vediamo che per le fasce di reddito fino a 30.000 euro ha un effetto negativo lo 0,8 per cento, ragion per cui, anche in questo caso il 99,2 per cento ha un effetto positivo. Ovviamente, se saliamo per fasce di reddito, e andiamo a vedere, per esempio, le fasce di reddito oltre i 200.000 euro, ha un effetto negativo circa il 9 per cento. Oltre i 200.000 euro il 91 per cento ha, dunque, un effetto positivo e il 9 per cento un effetto negativo.
Se guardiamo la fascia tra i 60.000 e i 70.000 euro, vi è il 4 per cento di chi ha un effetto non positivo della combinazione tra riduzione di aliquote e riduzione della possibilità di dedurre o detrarre. Questo 4 per cento, che comincia a essere presente dai 60.000 ai 70.000 euro, arriva fino al 9 per cento, quando si raggiungono i 200.000 euro.
Per fasce di reddito, anche in questo caso, poiché abbiamo tenuto esclusi da qualsiasi revisione delle deduzioni e detrazioni i redditi fino a 15.000 euro, lo zero per cento di questa fascia subisce un aggravamento e, quindi, il 100 per cento ha un contributo positivo; dai 15.000 ai 20.000 euro il 98,5 per cento ha un effetto positivo e l'1,5 un effetto negativo e via proseguendo.
Il primo punto importante è che, quando si va ad analizzare il contributo positivo e negativo, quando si nettizza, stiamo parlando di una larghissima maggioranza di nostri contribuenti che ottengono un effetto positivo. Stiamo parlando del fatto che sul totale dei nostri contribuenti il 98,8 per cento gode di un favore dalla combinazione dei due.
Come ho accennato, la disposizione viene distribuita in modo diverso a seconda delle fasce di reddito. È chiaro che le fasce di reddito oltre i 200.000 euro sono quelle più penalizzate, ma anche in questa fascia circa il 90 per cento ha un effetto positivo.
Questo è il primo fattore di cui tenere conto. Ovviamente, in dimensione siamo coscienti che si parla di una riduzione di un punto delle aliquote IRPEF e non di numeri grandissimi. Stiamo parlando di benefici di circa 160 euro in media all'anno, però anche nettizzando, secondo le nostre banche dati puntuali, dichiarazione dei redditi per dichiarazione dei redditi, siamo al 98-99 per cento dei nostri contribuenti che traggono un beneficio netto positivo.
È anche interessante vedere la composizione di come vengono distribuiti questi vantaggi sui tipi di recipienti di reddito. Il vantaggio complessivo è del 54 per cento a favore dei contribuenti con reddito da lavoro dipendente prevalente, il 34 per cento a favore dei pensionati, il 10 per cento a favore di soggetti con redditi da lavoro autonomo, d'impresa e di partecipazione prevalente, il restante 2 per cento a favore di titolari di altri redditi.
Parliamo, invece, di IVA. Per le medesime finalità è disposta la riduzione dell'aumento dell'IVA previsto per il periodo dal 1o luglio del 2013. Le aliquote, infatti, vengono fissate dal 1o luglio 2013 nella misura dell'11 e del 22 per cento, in luogo del 12 e del 23 per cento attualmente previsti nella nostra legislazione, con un conseguente risparmio per i contribuenti di 3,3 miliardi di euro.


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La riduzione dell'aumento dell'imposta sul valore aggiunto previsto a legislazione vigente mira ad alleviare l'effetto regressivo derivante dalla diversa incidenza sostanziale dell'imposta medesima, che prescinde dalla valutazione del livello di possibilità economica di ciascun contribuente.
Anche in questo caso citiamo dati importanti sull'IVA. Ci sembra che dobbiamo tenere in conto due aspetti fondamentali, quando si pensa all'IVA e agli effetti sia di progressività, sia di equità.
Nel nostro sistema circa il 50 per cento dei consumi è non soggetto a IVA o soggetto a IVA «super-ridotta», cioè del 4 per cento. Circa il 50 per cento dei nostri consumi non è quindi toccato né dal rialzo, né dal ribasso. Sono consumi che sono sempre stati esenti.
La parte che riguarda la riduzione delle aliquote dell'1 per cento, qui proposta, riguarda l'altro 50 per cento del paniere dei consumi. È nostra opinione, e non solo nostra, che il 50 per cento su cui vanno a giocare le due aliquote più alte sia un 50 per cento dei consumi meno rilevante per le fasce di reddito più basse. Sappiamo che la parte esente con aliquota ridotta riguarda la gran parte dei consumi del supermercato. Gran parte dei consumi su cui si rivolgono le famiglie con i redditi più bassi fanno, dunque, parte di quel mondo di consumi che non è toccato né al rialzo, né al ribasso, dalle misure in esame. Stiamo abbassando di un punto le aliquote più alte, rideterminandole all'11 e al 22 per cento, in un paniere di consumi che, penso che ciò sia ovvio e presumibile, è quello più tipico dei redditi più alti. Da questo punto di vista e anche secondo le nostre stime, questo tipo di intervento è valido. Limitarlo all'1 per cento, decidendo di abbassare, invece, le aliquote IRPEF, è un intervento che ha un contenuto di progressività. La stessa imposta IVA, secondo le nostre simulazioni e non solo, è un'imposta progressiva, non regressiva.
Da aggiungere a questa - secondo noi - importante analisi dei due panieri del 50 per cento, colpiti e non colpiti, c'è anche il fatto che l'IVA è un'imposta che viene pagata da tutti, evasori compresi. Chi evade l'IRPEF, la evade, ma non evade l'IVA. Se vogliamo anche contare un ulteriore aspetto di equità sulla manovra più contenuta sull'IVA rispetto a quella sull'IRPEF, c'è anche il fatto che i soggetti beneficiari di riduzione delle due aliquote alte sono non solo e, soprattutto, i redditi più alti, ma anche gli evasori.
Secondo noi, la combinazione di ridurre meno l'IVA e ridurre l'IRPEF per le due aliquote più basse ha un impatto positivo dal punto di vista sia della ridistribuzione e dell'impatto sulla domanda, sia dell'equità del sistema.
Al finanziamento della manovra concorrono, insieme alla riduzione della spesa pubblica di natura corrente, le misure di maggiore entrata disposte nell'ambito dello stesso provvedimento. Tra queste, in linea con la decisione presa dal Consiglio Ecofin dell'Unione europea il 9 ottobre in Lussemburgo, è prevista l'istituzione di un'imposta di bollo sulle transazioni finanziarie nella misura dello 0,05 per cento delle operazioni di acquisto e di vendita dei titoli azionari e degli strumenti finanziari assimilati emessi da soggetti residenti a prescindere dalla loro quotazione. L'imposta è dovuta su tutte le operazioni (stipula del contratto, chiusura e negoziazione) su strumenti finanziari derivati, a eccezione di quelli aventi a oggetto i titoli di Stato di Paesi appartenenti all'Unione europea e aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni. Su questa imposta, come voi sapete, il Governo italiano si è dichiarato favorevole a quel meccanismo di cooperazione rafforzata per trovare insieme a 11 Paesi dell'Unione europea un impianto comune su questo tipo di tassa. È una tassa sulle transazioni, non sul possesso e, quindi, non è una tassa sugli investitori di lungo periodo.
Tuttavia, è una tassa delicata, perché, come sappiamo dal lungo dibattito sulla cosiddetta Tobin tax in campo sia teorico, sia di politica economica, è una tassa che, se mal concepita e, soprattutto, mal pesata, può portare a un'evaporazione della base imponibile. Noi sappiamo che i capitali


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in oggetto sono molto mobili e che, quindi, fino a che si rimane all'interno di una tassa ragionevolmente piccola, la base imponibile rimane nel Paese. Di fronte ad aumenti, e in ciò sta anche il problema del coordinamento insieme ad altri Paesi, la base imponibile può spostarsi verso altri Paesi.
Come altro elemento dal lato delle entrate è prevista una riduzione dal 27,5 al 20 per cento delle percentuali di deducibilità dei costi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni, nonché il differimento dei termini per il riconoscimento del riallineamento dei valori fiscali di alcune poste, come avviamento e altre attività immateriali nel caso di operazioni straordinarie, ai maggiori valori civilistici.
In particolare, per le imprese di assicurazione, il disegno di legge di stabilità prevede l'aumento della misura dell'acconto sulle riserve tecniche dello 0,5 per cento per il periodo d'imposta 2012 e dello 0,45 per cento per gli esercizi successivi.
Per quanto riguarda - penso che sia importante vederli tutti insieme - gli interventi a valore fiscale, come ho accennato, c'è stato un intervento importante sulla riduzione delle aliquote IRPEF, nonché un intervento sulla riduzione di un punto delle aliquote IVA. Abbiamo anche introdotto, però, un'ulteriore disponibilità di risorse di circa 1,6 miliardi di euro per la riduzione della tassazione sui salari legati alla produttività. Nel loro complesso, sia la parte di riduzione dell'IRPEF, sia questa vanno nella direzione di ridurre il cuneo fiscale e di cercare di avere effetti positivi dal lato dell'offerta, che, però, in questo caso vadano al di là della semplice riduzione fiscale e siano anche di incentivo ad aumentare la produttività. Come sapete, questi ultimi 1,6 miliardi sono in attesa di un accordo tra le parti sociali, attraverso il quale possa essere garantito il collegamento di questi incentivi fiscali al raggiungimento di un aumento della produttività delle nostre imprese.
Dal lato della spesa, come ho già avuto modo di ricordare, il disegno di legge di stabilità opera una complessiva ricomposizione a favore delle spese in conto capitale, al cui finanziamento si provvede soprattutto tramite l'avvio del secondo capitolo di attività di revisione della spesa pubblica, la spending review. Le nuove misure confermano l'azione avviata dal Governo con i precedenti provvedimenti, tra cui, da ultimo, il decreto-legge n. 95 del 2012, finalizzato a razionalizzare la spesa pubblica e migliorare l'efficienza delle amministrazioni, mantenendo inalterata la qualità dei servizi per i cittadini.
Nel triennio 2013-2015, i risparmi attesi da queste norme ammontano a 10 miliardi di euro, con una correzione a regime di 3,5 miliardi.
In particolare, le nuove misure prevedono che, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, gli enti previdenziali e assistenziali adottino interventi di razionalizzazione per conseguire risparmi complessivi non inferiori a 300 milioni di euro a partire dal 2013.
Per il settore sanitario nell'ambito dell'attività di spending review svolta dal Commissario straordinario il disegno di legge di stabilità ha previsto misure correttive dei costi, e correlativamente di riduzione del livello di finanziamento del Sistema sanitario nazionale, per complessivi 600 milioni di euro nel 2013 e un miliardo di euro a decorrere dal 2014.
Nello specifico, si prevede una riduzione del 10 per cento, dal 1o gennaio 2013, dei corrispettivi e corrispondenti volumi d'acquisto relativi a contratti in essere per l'acquisto di beni e servizi - con esclusione dei farmaci e dei dispositivi medici - e la riduzione del tetto di spesa di dispositivi medici del 4,8 per cento per il 2013 e del 4,4 per cento a decorrere dal 2014.
Per gli enti territoriali si è rivisto il contributo di regioni, province e comuni alla riduzione della spesa pubblica mediante la rideterminazione degli obiettivi loro assegnati nella misura di circa 2,2 miliardi per ciascun anno e, in particolare, di circa un miliardo per le regioni a statuto ordinario, di 500 milioni per le


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regioni a statuto speciale, di 500 milioni per i comuni e di 200 milioni per le province.
Per le amministrazioni centrali dello Stato, infine, è stata data attuazione alle misure di riduzione della spesa dei ministeri già previste e approvate dal Parlamento nel decreto-legge n. 95 del 2012 sulla base delle proposte delle stesse amministrazioni, in una logica di condivisione degli obiettivi e di maggior responsabilizzazione delle stesse strutture dello Stato.
Ulteriori misure di razionalizzazione della spesa riguardano le operazioni di acquisto degli immobili per finalità istituzionali, legate all'evidente sussistenza di esigenze indilazionabili e indispensabili per il funzionamento delle amministrazioni interessate; la limitazione per gli acquisti di arredi e mobilio per gli anni 2013 e 2014; la preclusione dell'acquisto e della stipula di contratti di leasing aventi ad oggetto autovetture fino a tutto il 2014; la limitazione del ricorso alle consulenze, con particolare riguardo a quelle in materia informatica, che devono avere carattere eccezionale, specifico e temporaneo, senza possibilità di rinnovo, nonché l'ampliamento del ricorso al mercato elettronico da parte delle amministrazioni pubbliche e all'utilizzo obbligatorio di strumenti informatici di acquisto per talune categorie di beni o al di sopra di una determinata soglia di valore.
Tra le spese in conto capitale le nuove risorse sono destinate prevalentemente a finanziamenti di interventi per le opere infrastrutturali. Tali risorse ammontano complessivamente a circa 4 miliardi di euro per il triennio 2013-2015. Tra le principali misure ricordo la prosecuzione della realizzazione del sistema MOSE, il finanziamento di studi, progetti, attività e lavori preliminari e definitivi per la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, la prosecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria della rete ferroviaria inseriti nel contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Rete ferroviaria italiana, nonché la prosecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria della rete stradale inseriti nel contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANAS. Sono, inoltre, stanziate ulteriori risorse per 400 milioni di euro dal 2015 da destinare al finanziamento e completamento di altre opere infrastrutturali.
Tra le spese correnti abbiamo destinato al finanziamento del trasporto pubblico locale circa 0,5 miliardi di euro all'anno, finalizzati all'istituzione, a partire dal 2013, di un apposito fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, alimentato da un incremento della compartecipazione regionale al gettito delle accise sul gasolio e sulla benzina.
Abbiamo affermato che riteniamo questa manovra combinata di IRPEF, IVA e detassazione dei salari legati alla produttività già a forte carattere sociale, ma abbiamo anche costituito un fondo di circa 900 milioni di euro per il 2013 per finalità, secondo noi, degne di considerazione. Tra queste l'aspetto sociale è un aspetto importante e, quindi, abbiamo previsto misure da dedicare in materia sociale alle famiglie e ai giovani. Riteniamo che un'attenzione debba essere prestata anche alle università e che ulteriori fondi debbano essere destinati per i territori colpiti dal sisma della città de L'Aquila.
Devo aggiungere che nelle misure a sostegno delle famiglie più svantaggiate rientra il capitolo della cosiddetta «carta acquisti». Su questo stiamo lavorando e penso che, in questi giorni, spero entro la fine della settimana, riusciremo a sbloccare circa 180 milioni di euro, che sono oggi nella nostra Tesoreria e che derivano da contributi privati che, fino a oggi, non si sono riusciti a utilizzare. Penso che riusciremo a mettere questi aggiuntivi 180 milioni, oltre ai 900 milioni già previsti, in linea per il rifinanziamento della carta acquisti.
Come si può evincere dall'esposizione sintetica delle misure contenute nella legge, si tratta, a nostro parere, di una manovra articolata, che vuole rispondere alla sfida di far ripartire l'economia, utilizzando tutti i margini di manovra, seppur


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limitati, al momento disponibili, ovviamente tenendo sempre in mente di non pregiudicare l'equilibrio strutturale di bilancio.
Il Governo ha operato scelte, a nostro modo di vedere, molto oculate, alla conclusione di un'analisi approfondita. In presenza di situazioni degne di maggior tutela, ma anche concorrenti, si è optato per soluzioni in grado di raggiungere un beneficio il più possibile esteso per tutto il Paese.
Dal complesso delle misure il Governo si attende un impatto positivo in termini di aumento della crescita del nostro prodotto interno lordo. Le misure di alleggerimento del prelievo fiscale, oltre a rispondere a una logica di maggiore equità, mirano sia a sostenere la domanda interna, sia a stimolare l'offerta. Tramite le riduzioni delle aliquote fiscali si introducono elementi di riduzione della pressione fiscale sul lavoro. Anche la sterilizzazione per un punto percentuale delle aliquote IVA, ordinaria e ridotta, contribuirà a evitare effetti negativi sui consumi.
Vale la pena ricordare che le misure proposte con il disegno di legge di stabilità rappresentano un passo non trascurabile verso un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. Un ulteriore avanzamento in questa direzione sarà ottenuto con l'attuazione della riforma fiscale, tramite la legge-delega, che mira a costituire un nuovo patto tra fisco e contribuenti e conferire maggiore certezza al nostro sistema tributario, limitando i fenomeni di erosione fiscale e proseguendo nell'azione di contrasto all'evasione e all'elusione.
Meno immediati potranno essere gli effetti sulla crescita di misure rivolte a migliorare l'efficienza della spesa pubblica, ma tali effetti, ne siamo certi, saranno più evidenti nel medio-lungo periodo.
Le prime valutazioni sulla base degli esercizi di simulazione con i modelli econometrici del Ministero mostrano che gli effetti del pacchetto delle misure proposte nel disegno di legge di stabilità sono chiaramente positivi, anche se non particolarmente marcati (circa lo 0,1 per cento del PIL).
In conclusione, con riferimento a un tema di cui si è discusso sia in Europa, sia a Tokyo, alla riunione del Fondo monetario internazionale, stiamo vivendo un momento di grande instabilità dei cosiddetti moltiplicatori economici. La crisi, iniziata dal 2008, ha provocato alcuni cambi strutturali nei meccanismi di credito, finanziari, modificando quelli che venivano normalmente usati come i moltiplicatori attraverso i quali calcolare l'impatto di misure economico-finanziarie sull'economia.
Di ciò risente, ovviamente, anche il nostro modello, come tutti gli altri. In questo momento è veramente difficile avere certezze sugli impatti, soprattutto sulle loro dimensioni. Bisogna usare molto giudizio e molta analisi. Anche su questa base noi riteniamo che l'impatto di queste nostre proposte sarà positivo, non solo nel medio, ma anche nel breve periodo.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER PAOLO BARETTA. La ringrazio, Ministro, per la sua disponibilità ad essere presente, oggi, presso le Commissioni riunite.
Svolgo una prima considerazione. Noi, in questi giorni, ci siamo parlati pubblicamente su un punto importante, che è quello del rispetto complessivo dei saldi. Sia lei, sia il Presidente del Consiglio avete ribadito questo aspetto. Per quanto ci riguarda, molti di noi hanno esplicitamente affermato che questo è un punto di partenza da condividere, altrimenti non si riesce a ragionare nemmeno sul merito o sulle opinioni eventualmente differenti.
A questo proposito, dobbiamo approfondire - magari non del tutto oggi, poiché abbiamo ancora alcuni giorni davanti - che cosa intendiamo per saldi, alla fine di questa discussione. Lei stesso, nei giorni scorsi, in un'intervista importante che ha rilasciato al quotidiano Avvenire, ha par


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lato della disponibilità di un possibile utilizzo di risorse. Alcuni suoi colleghi del Governo, in particolare il sottosegretario Polillo, hanno esasperato il concetto, addirittura sui risparmi degli interessi da riduzione dello spread.
Aggiungo che, nei mesi scorsi, è stato svolto un lavoro, che già nel precedente Governo era iniziato, sulla valutazione delle stime delle detrazioni, arrivando anche a una stima sia quantitativa, sia qualitativa delle detrazioni che potrebbero entrare in un'eventuale discussione, anche se non definitiva e approfondita.
Questo cosiddetto studio Giavazzi, di cui molto si parla, o non c'è - nel senso che si valuta che non sia congruo - nel qual caso tanto vale chiudere la pratica e non mantenere aperta un'illusione ottica, oppure, se c'è, anche in misura ridotta di aspettative possibili, tutto può concorrere a una ridefinizione dei saldi che può consentirci di avere una disponibilità complessiva rispetto alla manovra, complicata, che stiamo affrontando.
Passo alla seconda considerazione. Il problema, in via di principio, come anche lei ha rilevato, non è tanto se sia buono o non buono il fatto di ridurre le tasse. Ridurre le tasse è un fatto buono ed è chiaro che, avendo voi scelto l'intervento sull'IRPEF, la riduzione delle aliquote è un sistema rigido, nel senso che è diffuso per tutti e, quindi, comporta i vantaggi a cui lei ha fatto riferimento, ma anche delle questioni che vanno viste. Ad esempio, per quanto riguarda i calcoli che lei ha fatto sui contribuenti, noi sappiamo che la fascia degli incapienti non è considerata nei contribuenti e, quindi, è evidente che, essendo esclusa da qualsiasi beneficio, è la parte più esposta alle condizioni di difficoltà e questo riduce l'impatto positivo.
Aggiungo anche che, al di là dei calcoli, il peso che è stato messo sulle detrazioni per il combinato tetto-retroattività-franchigia rappresenta, probabilmente, uno dei punti su cui più si vede un aspetto di carattere problematico, sul quale probabilmente, nei prossimi giorni, sarà opportuno intervenire. Non mi dilungo su questo, perché, ovviamente, essendo relatore al disegno di legge di stabilità, devo tener conto della sintesi, non solo delle opinioni però, mi pare che questo sia un punto aperto nella discussione, e vorrei che, anche lei, confermasse che, al di là del ragionamento sui saldi, questo sia un punto aperto.
Concludendo, vorrei sapere se ci sia un motivo per il quale la tassazione sulle transazioni, a cui lei ha fatto riferimento, sia fissata allo 0,05 e non allo 0,04 o allo 0,06. Può essere un'opzione, ma vorrei sapere se vi sia un motivo che impedisce di valutarne l'opportunità o sia questo un terreno disponibile.
Lei conosce bene, infine, la vicenda concernente la scuola. Noi abbiamo apprezzato il comportamento del Presidente della Camera e della Commissione bilancio nell'affrontare la questione del contenuto proprio del disegno di legge di stabilità. Lei sa che molti di noi hanno pensato che fossimo al limite del contenuto proprio e solo il valore finanziario ha impedito che si insistesse, però, resta il fatto che l'aspetto ordinamentale sia francamente rilevante.

RENATO BRUNETTA. Grazie, signor Ministro. Ho molto apprezzato la disponibilità del Governo e sua, in particolare, a discutere a fondo su questa legge di stabilità, anche perché - lo dico con un po' di malizia - questa discussione non c'era stata prima, né con la sua maggioranza che sostiene questo Governo, né con le parti sociali, come abbiamo appena sentito. Se, quindi, non si è fatto prima, si deve fare dopo, e il dopo non può che avvenire in Parlamento.
Questa è la prima valutazione. La seconda valutazione è che il giudizio che la mia parte politica dà di questa legge di stabilità non è positivo, per una semplice ragione: che, signor Ministro, questa è l'ultima «finanziaria» di questa legislatura. La chiamo finanziaria, perché le prime tre precedenti si chiamavano finanziarie; quella dello scorso anno si chiamava legge di stabilità, ma era stata appoggiata al Senato con alcune regole di stralcio e di ammissibilità diverse: invero il


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giudizio della mia parte politica su questa legge di stabilità è negativo, perché rappresenta una totale continuità nei confronti del passato, senza tener conto dell'effetto cumulato rispetto a questi cinque anni.
Sono cinque anni di crisi, sono cinque anni di manovre, di tagli, per cui dal 2008 - e lei lo sa bene perché in altra veste è stato l'artefice di tutta questa sequenza - tra leggi finanziarie e manovre correttive noi abbiamo sottoposto il Paese a uno stress assolutamente rilevante, per cui il giudizio che si poteva dare del primo decreto della primavera-estate del 2008 non è lo stesso che si dovrebbe dare adesso, perché c'è stato un cumulo di impatti, di tagli, di analisi e di redistribuzione che ha assolutamente stressato il Paese. Ricorderò alcune cifre: 260 miliardi di euro nel Governo precedente, dal 2008 al 2014; i primi 60-65 miliardi di euro del Governo Monti; ulteriori effetti correttivi. Mi pare che manchi in questa legge di stabilità la percezione dell'impatto non solo di questa legge, ma anche del fatto che questa legge di stabilità arrivi dopo altre quattro e dopo diversi decreti correttivi, che si sono aggiunti alle leggi di stabilità precedenti.
Gli impatti dell'ultima legge sulle famiglie e sulle imprese non sono gli impatti marginali di quest'ultima legge, ma sono l'effetto cumulato di tutti i richiamati provvedimenti assieme. È qui che il giudizio deve allargarsi, e lo dico anche con un po' di autocritica: è stata questa, in tutti questi anni, la politica economica corretta per gestire la crisi o era corretta i primi anni e non era corretta negli ultimi anni, ivi compreso questo? È questa la strategia più corretta per la sostenibilità della finanza pubblica? È questa la strategia più adeguata per la corretta trasmissione della politica monetaria verso l'economia reale, come ci ricorda sempre il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi?
Su questo, noi avremmo grandi dubbi e mi interessa relativamente poco entrare nel merito dei più e dei meno, anche data l'entità limitata della manovra stessa, perché rischiamo di «ingaglioffirci» sui più o sui meno, rispetto a un'entità correttiva di poco conto: stiamo quindi ragionando di briciole che arrivano dopo un quinquennio di stress e, forse, non abbiamo bene in testa la strategia per il futuro.
Il giudizio che do su questa legge di stabilità è negativo, in questa versione, perché è troppo «continuista», senza tener conto di quello che è successo, è troppo continuista senza tener conto del futuro, è troppo continuista nel senso dello stress che il nostro Paese ha subìto, al pari degli altri.
Per questa ragione approfitto della disponibilità del Governo e sua, in particolare, a ridiscuterla, guardando più al futuro, piuttosto che al passato.

RENATO CAMBURSANO. Parto, innanzitutto, da quello che già diceva il collega Baretta, circa la quantificazione di un eventuale risparmio sul costo del debito fatta da qualche suo sottosegretario, pari a 5 miliardi di euro. Intanto bisogna raggiungerli questi risparmi, ma, qualora ciò fosse possibile, credo che il segnale forte che noi dovremmo dare all'Europa sia quello di utilizzare, semmai, questo risparmio sul costo del debito per la riduzione del costo del lavoro, che è l'obiettivo principale che noi dovremmo immaginare. A tal proposito, vorrei conoscere il suo parere.
Prima di lei, Ministro - e intanto grazie della relazione -, abbiamo audito anche il presidente dell'Istat, il quale ci diceva (leggo testualmente) che «la riduzione d'imposta media per famiglia, inclusiva di quella relativa alle addizionali regionali e comunali, è pari a circa 240 euro. In particolare, le misure considerate comportano un beneficio medio di 340 euro l'anno per il 77,7 per cento delle famiglie e un aggravio di circa 290 euro per il 7,4 per cento» soltanto, mentre, per il resto delle famiglie, le misure sarebbero senza alcun effetto, né positivo né negativo. Proseguiva, poi, dicendo cose abbastanza scontate, e cioè che dipende inoltre dal reddito familiare, cioè da quante persone lavorano, da quanti sono i figli minori.


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Lei, signor Ministro, comparava gli effetti positivi e negativi dei due interventi sull'IRPEF e sull'IVA, e mi sono permesso di chiedere al presidente dell'Istat se fosse possibile compararli, ma la risposta è stata negativa, in quanto non ha a disposizione gli strumenti.
Mi pare, invece, che, finalmente, dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia delle entrate ciò sia ritenuto possibile. Se questo è possibile, vorremmo sapere come intervenire sulle riduzioni e sulle detrazioni per rendere più efficaci gli interventi a favore delle famiglie con redditi inferiori e, soprattutto, con figli minori come componenti. Poi, c'è il grande capitolo degli incapienti.
La considerazione o valutazione finale - che rientra un po' in quello che diceva il relatore Brunetta - ce l'ha fornita sempre l'Istat, citando il Fondo monetario internazionale, laddove si è affermato che ad ogni punto percentuale di PIL di contenimento del disavanzo fiscale - al netto degli effetti del ciclo economico - la crescita economica, che è l'obiettivo che tutti noi dovremmo avere in evidenza, di breve termine, verrebbe ridotta da poco meno di 1 punto percentuale fino a 1,5 punti percentuali.
Se, quindi, continuiamo ad accanirci sul contenimento - come, peraltro, per rispetto delle leggi europee dobbiamo fare sul disavanzo - è ovvio che non veniamo fuori dalla spirale della riduzione della crescita economica che, invece, è l'obiettivo che dovremmo avere.

LINO DUILIO. La prima domanda che vorrei farle, signor Ministro, è relativa allo Statuto del contribuente. Siccome anche in questa legge di stabilità, come in occasioni precedenti e a prescindere dalle colorazioni delle maggioranze in circa dodici anni, si è vulnerato questo Statuto - mi pare quasi cinquecento volte per ragioni evidentemente finanziarie - vorrei sapere se lei non consideri devastante continuare su questo terreno.
Ciò, infatti, va ovviamente a «rovinare» il rapporto di fiducia e di stima del cittadino nei riguardi dello Stato. Nel momento in cui stiamo cercando di costruire un clima di compliance fiscale, in cui tutti siano chiamati a una correttezza nei riguardi dello Stato, lo Stato dichiara di cambiare le regole con effetto retroattivo, per cui tutti i progetti che uno ha fatto vanno in fumo.
Credo che questo produca dei danni declinabili anche sul piano finanziario, molto superiori a quanto in termini netti di cassa - nell'immediato - si possa ottenere. Vorrei sapere la sua opinione e, se non creda che, forse, questo principio si debba elevare a rango costituzionale, perché penso che non sia il caso di continuare su tale strada.
Per quanto riguarda la seconda domanda sono stato anticipato dal collega Cambursano. Il presidente dell'Istat ha detto che non era in grado di dirci quali siano gli effetti netti tra IRPEF e IVA perché, mentre l'Istituto dispone di informazioni per quanto riguarda l'IRPEF, non dispone di informazioni per quanto riguarda le classi di consumo. Sono curioso, quindi, e andrò a guardare i dati per capire come abbia fatto l'Agenzia delle entrate a fare una disaggregazione analitica, in particolare per quanto inerisce alle classi di consumo, al fine di arrivare a una conclusione che l'Istat ha detto di non essere in grado di darci nemmeno tra qualche mese.
Le potrei citare - ma avrà a sua disposizione la relazione che ci ha lasciato il presidente dell'Istat - laddove in modo abbastanza analitico si valuta l'impatto dell'aumento dell'IVA. Lei la chiama «riduzione», io lo chiamo aumento dell'IVA, nel senso che, essendo previsto che aumenti di due punti, se aumenta di uno lei la considera una riduzione, ma per il cittadino evidentemente è l'aumento di uno, e in questo senso si pone il problema di un saldo netto tra la manovra sull'IRPEF e la manovra sull'IVA.
Qui io mi limito a dire quello che è stato detto dal presidente dell'Istat, ma la mia domanda su questo è un'altra: questa operazione che qualcuno ironicamente assimila al detto napoletano «facite ammuina», secondo voi, è da perseguire perché


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ha effetti virtuosi sulla distribuzione del reddito - per quanto minimi considerata la situazione in cui ci troviamo -, oppure perché ha effetti virtuosi sulla crescita del reddito? Ovviamente, le due cose sono collegate e considero legittimo avere qualche perplessità sia sull'una sia sull'altra.
Terza e ultima domanda. Lei avrà letto su Il Sole 24 Ore che un suo collega, che l'ha preceduto al Ministero, ha scritto un articolo un po' controcorrente per quanto riguarda la storia degli aiuti della BCE, dichiarando che abbiamo bisogno che le banche tornino a fare il loro mestiere, cioè di prestare i soldi alle imprese e alle famiglie (la trasmissione bancaria o finanziaria di cui ogni tanto parla autorevolmente anche il collega Brunetta; e io sono d'accordo che sia la benzina nel motore). Forse, sarebbe bene che noi chiedessimo gli aiuti alla BCE prima di essere costretti a farlo, perché adesso lo farà la Spagna, dopodiché la speculazione rischia di aggredire l'Italia. Poiché stiamo molto meglio, forse sarebbe opportuno valutare cosa comporterebbe questa cosa, in modo che le banche tornino a fare il proprio mestiere.
Vorrei sapere se lei ritenga assolutamente eccentrica e da escludere un'opinione del genere e che, quindi, eventualmente gli aiuti si chiederanno quando sarà inevitabile oppure, invece, che potrebbe essere originale, forse un po' creativo e magari eccentrico farlo prima.

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Intervengo solo per chiarire, prima di procedere oltre. Visto che ci sono state due domande, di seguito, su una cosa che ritengo di non aver detto, vorrei evitare la continuazione della domanda.
Quando ho parlato di effetti netti era sempre IRPEF su IRPEF, cioè la riduzione delle aliquote rispetto al contenimento delle deduzioni e delle detrazioni. Quando ho fatto la nettizzazione sulla banca dati nostra del fisco, era su quello. Innanzitutto, i dati Istat sono le famiglie, quindi è una banca dati diversa, perché io parlo di contribuente, quindi è anche difficile metterle insieme, ma sono d'accordo sul concetto espresso dal presidente Giovannini: mentre sull'IRPEF è facile, perché riduco l'aliquota, guardo le dichiarazioni e posso quantificare esattamente l'impatto, sull'IVA è un procedimento molto più complesso, perché devo fare delle ipotesi sulle politiche di prezzo, cioè sulla traslazione o meno di questo 1 per cento e, soprattutto, sapendo che questo 1 per cento più o meno va su un pezzo soltanto del paniere, e devo fare delle ipotesi sui comportamenti di consumo, su come cambiano. Quindi, si tratta sicuramente di stime e non si può arrivare a risultati precisi.
Molto sta, quindi, nel contenuto delle tue ipotesi iniziali: puoi provare tutto e sostanzialmente il contrario di tutto, a seconda di come fai queste ipotesi. Abbiamo solo detto che, visto che una parte rilevante del paniere dei consumi, soprattutto quello che noi riteniamo più tipico delle famiglie a basso reddito, è esente da questo tipo di «su e giù», pensiamo che bisogna contare anche questo nella progressività ed equità della manovra.

FRANCESCO BOCCIA. Grazie, signor Ministro, per la disponibilità per questa audizione. Non ripeto cose che hanno già toccato i miei colleghi, ma sulla Tobin tax, aggiungendomi quindi a Baretta, vorrei chiederle se non ritenga necessaria una distinzione dell'aliquota rispetto alla tassazione dei derivati, cioè se non sia possibile per i derivati applicare un'aliquota superiore allo 0,05 per cento.
Tornando, invece, al tema centrale di questa manovra, che lei ora ha ripreso con l'ultimo suo intervento, restiamo un po' interdetti per la differenza della sua valutazione, che ha ripetuto anche qui, oggi, chiedendoci di valutare sul lato, sia della domanda, sia dell'offerta l'impatto sul reddito disponibile. Chiediamo al Governo di fare una valutazione seria proprio sulle tabelle che l'Istat ha oggi presentato qui in audizione, perché siamo consapevoli del fatto che nel triennio ci siano 203 miliardi di euro di manovre cumulate - 49 miliardi


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nel 2012, 73 nel 2013 e 81 nel 2014 -, 4 punti di PIL che ci hanno consentito di spostare il baricentro delle politiche europee in Italia, e ne siamo consapevoli e le abbiamo votate. L'effetto di queste manovre impatta sulle famiglie a cui faceva riferimento l'Istat e, io, davvero rimando il Governo e il Ministero dell'economia e delle finanze a una valutazione attenta degli effetti complessivi, che secondo l'Istat sono di entità compresa fra lo 0,5 e lo 0,8 del reddito familiare disponibile e, oggi, non un analista esterno, ma il presidente dell'Istat ci dice che l'impatto, in una gaussiana, minore ce l'hanno i milionari e coloro che sono rimasti davvero indietro, cioè i poveri. Dentro la fascia centrale, quella più danneggiata è la fascia del ceto medio-basso.
È evidente che non stiamo parlando di una manovra che cambia i connotati del fisco italiano, perché lo ha richiamato anche lei, ma anche il combinato disposto di IRPEF e IVA non aumenta il reddito disponibile di una fascia della popolazione italiana.
Chiudo, signor presidente, chiedendo al ministro se ritenga che il tema dell'articolo 8, comma 21, del disegno di legge di stabilità, che disciplina un inedito fondo libero per la Presidenza del Consiglio dei ministri, pari a 900 milioni di euro per l'anno 2013 - senza che vi siano autorizzazioni legislative di spesa - sia giustificabile in un momento come questo, sapendo che abbiamo chiesto a un comparto come la scuola sacrifici che, francamente, non sono tollerabili, semplicemente perché è un comparto che a quei 203 miliardi di manovre cumulate ha dato già un contributo importante.
Siccome il sacrificio chiesto alla scuola è molto serio e, francamente, non lo consideriamo sostenibile, ci chiediamo se sia possibile che venga coperto da un fondo che riteniamo inutile, che è stato, in questo momento, appoggiato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e che non ha alcun punto di riferimento rispetto alle valutazioni che abbiamo fatto.

MARIO BACCINI. Il collega Brunetta ha spiegato molto bene la nostra posizione, che dovremmo assumere anche durante questa situazione. La discussione, che abbiamo auspicato si svolgesse prima della presentazione di questo provvedimento, oggi, la ritroviamo tutta anche in Parlamento, signor Ministro, nelle Commissioni bilancio riunite congiuntamente di Camera e Senato.
Voglio fare soltanto due considerazioni: intanto una riflessione positiva sulla riduzione dell'aliquota IRPEF, perché ritengo che sia una misura che dà una forma di speranza ed enfatizza anche l'aspetto più sociale della nostra manovra. L'intervento del Governo, a mio parere, deve e può essere migliorato, come anche lo stesso Governo ha affermato in questi giorni, e ciò può essere fatto a saldi invariati, soprattutto per ridurre e riequilibrare l'impatto sociale della manovra stessa.
Volevo soffermarmi particolarmente su questo aspetto, perché ritengo che entrare con decisione nell'economia sociale di mercato - come convinzione anche politica - in questo momento storico sia una delle possibilità che abbiamo per superare la crisi. Credo che recuperare risorse, soprattutto per quanto riguarda le regioni con una decisa adozione dei costi standard, sia una linea che dobbiamo perseguire.
Per quanto riguarda l'aumento dell'IVA sulle prestazioni delle cooperative sociali, dal 4 al 10 per cento, mi permetto di sottolineare che questo è un ulteriore appesantimento della spesa privata, con oneri aggiuntivi per gli enti locali. Ritengo che sia necessario apprezzare le azioni meritorie del Governo e una serie di iniziative che questo sta svolgendo, ma vorrei sottolineare che non dobbiamo allentare la protezione sociale nel nostro Paese: i problemi del precariato, i problemi della disoccupazione, la lotta alla povertà e all'esclusione finanziaria diventano un obiettivo prioritario.
Consiglierei al signor Ministro anche di recuperare le risorse disponibili, non solo tramite la spending review, con lo snellimento del nostro «Sistema Paese», puntando


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ad esempio sulle concessioni. Ritengo, a questo proposito, che il suo Ministero possa andare a verificare la rispondenza reale tra gli oneri delle società oggetto di concessioni, per esempio gli aeroporti, e come tali risorse vengono restituite allo Stato, e se l'accordo tra Stato e concessionari sia rispettato nelle opere da realizzare.
Sugli stanziamenti per il finanziamento degli istituti di patronato, ridotti di 30 milioni di euro, signor Ministro, bisognerebbe capire l'effetto negativo, sul piano sociale, che potrebbe causare questo ulteriore ridimensionamento.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Ministro, noi non voteremo questa legge di stabilità, però faremo un intervento più soft rispetto a quelli che la voteranno, ma sono stati molto pesanti in alcuni interventi, ma, poi, un conto sono le parole e un conto è il voto finale.
Lei ha cercato di far capire - anche nei giorni scorsi - che questa manovra, alla fine, non ha un appesantimento in termini di pressione fiscale. Fatti due conti e tenendo conto della diminuzione dell'IRPEF, dell'intervento sulla produttività dei salari, dell'IVA, delle deduzioni e detrazioni, dell'intervento sul TFR, della stabilizzazione delle accise, dell'intervento «brutto» sulle pensioni di guerra, di quello sulle auto aziendali e di quello sull'agricoltura, a noi risultano 2,5 miliardi di euro di maggiori tasse.
Il Governo dice che sull'IVA era previsto un aggravio di 2 punti, che ha diminuito a 1 punto e, quindi, questo è un fattore positivo, e ciò è vero. Sappiamo, però, che l'aumento dell'IVA era una clausola di salvaguardia all'interno di una legge delega, che prevedeva tutta un'altra serie di interventi, e, nel frattempo, non era previsto l'intervento sull'IMU, che c'è stato; non erano previsti gli interventi sulle pensioni di anzianità, che ci sono stati, quindi era uno scenario completamente diverso.
Questo per dire che questa legge di stabilità, comunque, porta maggiori tasse per 2,5 miliardi di euro, e questo è quello che sentiranno i cittadini. Il Documento di economia e finanza 2012, ad aprile scorso, affermava che il PIL sarebbe calato dell'1,3 per cento nel 2012. L'ultima Nota di aggiornamento del DEF parla del 2,4 per cento e la relazione stessa dichiara che ciò è dovuto a un appesantimento dell'aggravio fiscale, che c'è stato per tutta una serie di manovre.
Vorrei sapere se crediate che, alla fine, questa manovra possa portare ancora effetti negativi sul PIL e che questa non sia realmente la strada per la crescita.

MARCO CAUSI. Vorrei chiederle se questo intervento previsto nella legge di stabilità sulle detrazioni IRPEF - tramite il meccanismo della soglia massima e della franchigia - non le sembri contraddittorio con quanto il Governo ha chiesto a noi come Parlamento nella cosiddetta delega fiscale.
Nel disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale, infatti, il Governo ci ha chiesto una delega che gli è stata accordata dalla Camera, e che, adesso, sta proseguendo il suo iter al Senato: all'articolo 2, comma 7, di tale provvedimento il Governo è delegato a introdurre, tramite decreti legislativi, norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali - le tax expenditures - che appaiono in tutto o in parte ingiustificate e superate.
Questo intervento sul sistema delle detrazioni fatto nel disegno di legge di stabilità un po' contraddice un altro possibile percorso che il Governo stava praticando, che è quello di intervenire sulle tax expenditures con interventi mirati, motivati, non «all'ingrosso», non in modo lineare, dentro al procedimento della delega fiscale.
La inviterei a una riflessione su questo, perché è un'altra strada possibile, quindi non contraddice la possibilità di ottenere dei risparmi tramite l'intervento sulle donazioni, ma lo si fa in un altro modo, con un altro percorso peraltro già avviato.
Da questo punto di vista è necessaria una riflessione sul sistema dell'IRPEF, perché, come sappiamo, la struttura dell'IRPEF dipende non soltanto dall'aliquota


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marginale, ma dalle aliquote marginali effettive, che derivano dal combinato fra detrazioni e aliquote.
Intervenendo solo sulle aliquote ma non sulle detrazioni normali, cambiano anche le aliquote marginali effettive. Non potremmo, mentre procede - credo in poco tempo - il lavoro puntuale mirato sulle tax expenditures ex delega fiscale, fare qui un lavoro che prenda aliquote marginali e sistemi di detrazione, ridisegnandoli in modo equo?

AMEDEO CICCANTI. Signor Ministro, le parlo come deputato del Parlamento, pur essendo relatore del disegno di legge di bilancio e capogruppo dell'UdC in Commissione, perché mi sento di fare una critica politica. Questa legge di stabilità, sostanzialmente, pecca su uno dei tre pilastri che Mario Monti, al suo esordio come Presidente del Consiglio dei ministri, aveva indicato: rigore, crescita, equità.
Sull'equità francamente, in questo anno, si sono visti timidi tentativi, molto minori di quelli relativi alla crescita, ma anche minori di quelli sul rigore. Ci siamo soltanto fermati sul primo pilastro e, poi, a decrescere sugli altri due. Questa legge di stabilità anzi appesantisce questo aspetto dell'equità.
Mi chiedo perché la parte dei cosiddetti incapienti sulla questione della riduzione dell'IRPEF non sia stata coperta, per esempio, con la social card, che pure rientrava nei programmi di questo Governo. Sugli interventi concernenti la scuola non abbiamo avuto una grande attenzione in queste audizioni, e mi auguro che, adesso, nella replica lei focalizzi di più l'aspetto della scuola. Abbiamo sempre sostenuto - non soltanto perché eravamo all'opposizione del precedente Governo - che la scuola non sia una spesa, ma sia un investimento: un insegnante di lettere o di matematica che si trova a dover aumentare, al pari dell'insegnante di educazione fisica, di sei ore l'orario di lavoro francamente rende meno incisiva la sua attività professionale.
Un'altra questione, signor Ministro, concerne il Patto di stabilità interno, che non figura ancora tra gli interventi che più volte questo ramo del Parlamento ha rivendicato affinché si prendesse in considerazione. Le cito solo un esempio: noi abbiamo 50.000 scuole; sono state censite dal punto di vista del rischio sismico 5.000 scuole; abbiamo un problema di rischio sismico che potrebbe benissimo essere affrancato dal Patto di stabilità interno, consentendo di utilizzare quelle risorse che i comuni e le province hanno a disposizione. La vicenda di San Giuliano di Puglia è stata un monito per tutta l'opinione pubblica e per la classe politica, ma siamo fermi lì.
L'ultima considerazione riguarda il cosiddetto piano dismissioni. Lei è stato un protagonista di questa iniziativa, ma non vediamo ancora l'alba di tale intervento. Sugli interventi fiscali concernenti l'evasione in Svizzera vorremmo sapere a che punto siamo, perché non è pensabile che solo una parte del Paese stia pagando questa crisi, questa recessione. I ricchi - scusi l'espressione, non ho una cultura marxista - quando piangeranno? Ci sono stati cinque anni di politiche fiscali pagate solo da una parte del Paese!

ANNA CINZIA BONFRISCO. Torno sulla domanda del collega che ha introdotto prima il tema della Tobin tax. Lei è consapevole più di chiunque altro che l'accordo su regole comuni solo tra undici Paesi determinerà certamente il rischio di evaporazione, come lei ha già individuato, ma vorrei sapere se nella specifica individuazione del peso della tassazione sia possibile, secondo lei, immaginare un distinguo, a mio avviso auspicabile - mi consenta questo termine - punitivo sulle transazioni legate a strumenti di finanza derivata, dai quali dobbiamo il più velocemente possibile uscire, puntando invece a un meccanismo premiale, al contrario, per le banche del territorio più vicine al sistema economico tipico delle piccole e medie imprese e, quindi, del nostro territorio.
Questo è in linea, peraltro, con le proposte tedesche che riguardo alla vigilanza vorrebbero addirittura vedere - secondo


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me giustamente - escluse le banche del territorio dalla vigilanza europea. Vorrei chiederle, quindi, se nell'ambito di questa tassazione sia possibile premiare gli sforzi di queste banche del territorio e la notevole importanza che rivestono nel tessuto economico del nostro Paese.

ALBERTO GIORGETTI. Ringrazio il Ministro Grilli per il suo intervento. Una considerazione molto semplice e banale: se non ricordo male, Ministro, questo Governo nasce in un certo contesto politico e istituzionale, in cui la principale risposta che avrebbe dovuto dare il Governo Monti era - nei confronti dell'Europa - di una tenuta del sistema Paese, che altrimenti, in virtù di problematiche connesse anche a livello di opinione pubblica allo spread e ad altri dati, avrebbe rischiato di scivolare in una situazione probabilmente irrecuperabile.
Queste erano le premesse, che, poi, via via sono state messe in discussione dalle forze politiche, ma su cui sostanzialmente il Governo nasce, e lei bene lo rappresenta.
Una sola battuta: vorrei sapere qual è la percezione dell'Europa, qualcosa di più puntuale, se lei ritiene, come informazione rispetto a questa manovra e rispetto agli impegni che l'Italia sta assumendo, perché credo che altrimenti nel dibattito dei prossimi giorni, ma è una mia impressione, potremmo trovarci ancora una volta in una condizione di valutazioni interne alla Commissione di temi che sono assolutamente interessanti - e quindi si può spostare una leva da una parte o dall'altra giocando su alcuni aspetti -, ma il rischio è quello di fare un lavoro che ha poca efficacia rispetto alle questioni fondamentali per cui il Governo Monti è stato chiamato ad operare. Vorrei, quindi, capire meglio quale sia la reale percezione dell'Europa su questa manovra.
Vorrei sapere, inoltre, come si preparino gli altri Paesi che hanno attraversato una fase di difficoltà evidentemente superiore alla nostra con le manovre di bilancio per il 2013, ovvero che tipo di manovre si stiano costruendo, perché credo che per i nostri lavori potrebbe essere molto interessante, sapendo che non possiamo fare altro che stare all'interno di un coordinamento costante, che è quello dei Paesi dell'area dell'euro che affrontano la crisi e che hanno deciso di attivare una serie di strumenti che riguardano il cosiddetto Fondo salva Stati e altri interventi, che danno oggi una discreta condizione di stabilità per il nostro debito.
Credo che questi due elementi possano essere sicuramente utili, per me, ma anche per le Commissioni riunite per avere una cornice di riferimento, su cui muoversi nei prossimi giorni.

CHIARA MORONI. Ringrazio il Ministro per la sua disponibilità. Non ripeterò molte cose dette dai colleghi, se non alcuni velocissimi punti. Uno per tutti, citato anche da molti colleghi, è la questione della scuola, che certamente è stata molto penalizzata in questi anni e che è una risorsa su cui investire.
Ricordo che un insegnante, in Italia, guadagna 1.500 euro netti, laddove la retribuzione ha un valore non solo economico, ma anche sociale rispetto all'investimento che uno Stato fa per l'istruzione dei suoi giovani e delle nuove classi dirigenti. Mi permetto di sollecitare solo una provocazione rispetto all'aumento dell'orario e, quindi, all'eventualità anche che gli insegnanti possano usufruire di ferie durante l'anno scolastico, che considero inapplicabile per evidenti ragioni, visto che si bloccherebbe la didattica durante tale anno; credo quindi che su questo si debba fare una riflessione rivedendo le norme previste per la scuola.
Il secondo punto evidentemente è rappresentato dalle pensioni di guerra e, complessivamente, esprimo un giudizio dubbioso (lo diceva l'onorevole Ciccanti) rispetto al tema dell'equità. Siamo tutti consapevoli della necessità del rigore, l'abbiamo ribadita in tutti questi mesi sostenendo le manovre del Governo, ma siamo anche tutti consapevoli della necessità di equità e anche di crescita.
Mi permetta solo di fare una provocazione: rispetto all'importo complessivo


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della riduzione dell'IRPEF di un punto, chiedo se questo ammontare fosse messo per abbassare il cuneo fiscale, quanta occupazione potrebbe determinare e quindi quanta crescita e quanto lavoro creerebbe, soprattutto per i giovani, che non credo siano schizzinosi, Ministro, ma credo che oggi in Italia non trovino un lavoro.
Dobbiamo quindi occuparci di creare occupazione, crescita ed equità. Il combinato disposto della riduzione delle detrazioni e della riduzione dell'IRPEF probabilmente non le garantisce.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Grilli per la replica.

VITTORIO GRILLI, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie dei commenti, tutti nello spirito - penso quello giusto - di capire come possiamo fare tutti insieme il bene del nostro Paese.
Vorrei partire da una considerazione di inquadramento europeo, come chiesto dall'onorevole Alberto Giorgetti, che non ho fatto all'inizio, ma credo che molti di voi avranno letto sulla stampa - non solo italiana - che il giudizio complessivo su questa legge di stabilità è molto positivo. La filosofia sottostante, che è un ribilanciamento a saldo zero, ovviamente per quanto riguarda i saldi finali, ma con una riduzione fiscale che dia più peso a una riduzione delle imposte dirette e meno di quelle indirette, va assolutamente nella direzione auspicata e, per questo, c'è un orientamento assolutamente positivo.
Posso dire, rispondendo ad alcune domande, compresa quella dell'onorevole Moroni, in merito al cuneo fiscale e a come si possa fare di meglio con questo tipo di interventi, che già la riduzione delle aliquote IRPEF va in parte in questa direzione, perché, siccome questa va anche a ridurre i redditi da lavoro dipendente, in parte va sul cuneo come, ovviamente, anche l'intervento citato di 1,6 miliardi di euro va sul cuneo.
Il dibattito che abbiamo avuto e che, forse, si può ancora avere, concerne il fatto se le riduzioni sull'IRPEF possano essere ancora più focalizzate sul lavoro dipendente, piuttosto che sul lavoro tout court, e c'è un dibattito sulla income tax. Ci abbiamo ragionato e in questo momento abbiamo deciso di fare questa proposta, che riduce le imposte non solo al lavoro dipendente, ma a tutti.
All'interno di queste sfaccettature l'impostazione viene ritenuta quella giusta, e ribadirei che, siccome è stato chiesto come ci poniamo rispetto agli altri Paesi che hanno un po' di problemi, in qualsiasi altro Paese che avesse portato un'ipotesi di riduzione fiscale questa non sarebbe stata vista benissimo. Penso che sia grazie alla credibilità del nostro Paese, del Parlamento, del Governo, dei nostri cittadini, degli sforzi fatti e della convinzione degli sforzi fatti che questo iniziale, piccolo (molti di voi hanno detto molto piccolo, e su questo siamo d'accordo, gli spazi sono quelli) atto di inversione di tendenza è stato giudicato positivo.
Se non avessimo raggiunto questo grado di credibilità anche grazie ai grandi sacrifici che abbiamo fatto in questi ultimi diciotto mesi, sarebbe stato difficile giustificare all'Europa che stiamo cercando di invertire una tendenza, cercando di ridurre il prelievo fiscale. Ci avrebbero immediatamente detto: «no, continuate a migliorare i saldi!».
Da questo punto di vista, si può negare che negli ultimi diciotto mesi siano state fatte importanti, pesanti, manovre di correzione dei nostri conti pubblici e che queste abbiano avuto un peso rilevante sui nostri concittadini, sulle nostre famiglie? Non si può negare, ovviamente, e questo è il costo di aver messo di nuovo in sicurezza il nostro sistema Paese, i nostri mercati finanziari, che sono una imprescindibile condicio sine qua non per far ripartire tutto il resto.
Anche l'analisi dell'Istat che voi mi avete ricordato traccia un quadro di questo. Per rimettere in sicurezza il sistema negli ultimi diciotto mesi e forse di più, è stato necessario introdurre nel nostro sistema di finanza pubblica correttivi grossissimi, e questi, ovviamente, non possono essere neutrali. Quando si corregge di 5


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punti di PIL - se ricordo bene - in aggregato, negli ultimi 4-5 interventi di diversi Governi, non si può pensare che questo non abbia un impatto sulle famiglie, anzi, purtroppo, sappiamo che è così.
Oggi, noi abbiamo una legge di stabilità che, per la prima volta in questi diciotto mesi è neutrale, anzi nel 2013 ha un effetto netto positivo. Oggi, abbiamo circa 3 miliardi di euro di maggiori spese soprattutto dovute, purtroppo, al terremoto e ad altre cose e, per la prima volta in diversi anni, questa è una legge di stabilità praticamente a saldo zero: non chiediamo al Paese ulteriori sacrifici nel suo complesso.
Quello che questa manovra - piccola rispetto alle precedenti - di circa 10 miliardi di euro fa è di cercare di cambiare la composizione attraverso cui quei saldi, inviolabili, vengono raggiunti e cercare di ricomporre. La proposta qui contenuta è cercare di migliorare la qualità, piccola perché, se parliamo di centinaia di miliardi di euro di manovre cumulate, qui parliamo invece di 10 miliardi, quindi è chiaro che anche qui la quantità ovviamente fa la qualità; però c'è una qualità implicita che è cercare di invertire una tendenza, cercare di dire che riusciamo a raggiungere i saldi con una combinazione tra riduzione di spese e riduzione di imposte diversa, quindi secondo noi più equa.
Spero, quindi, di essere riuscito almeno a porre sul tavolo ulteriori asset di conoscenze che noi abbiamo per quanto riguarda gli effetti combinati della riduzione di aliquote e della riduzione della libertà di deduzioni e detrazioni e di aver posto sul tavolo almeno elementi di ulteriore giudizio per il Parlamento, di vedere come una larghissima parte - quasi il 99 per cento - dei nostri contribuenti abbia un effetto netto positivo.
Penso inoltre di averlo fatto avendo in mente sia questa indicazione generale, che sia meglio riassestare il sistema per ragioni di equità anche di contrasto all'evasione - riducendo più le dirette e meno le indirette - e anche di aver concentrato quelle poche risorse in misure che possano migliorare anche la nostra produttività, riducendo il cuneo fiscale. È chiaro che parliamo di cunei fiscali molto importanti, ma quando abbiamo risorse all'interno di un ombrello di 10 miliardi, ovviamente, anche qui è un segnale: non può essere la risposta definitiva, che spero che questo Paese possa dare negli anni a venire.
Ci sono poi delle domande specifiche, sulle quali cercherò di essere il più esauriente possibile. Una domanda generale riguarda la tassazione delle transazioni finanziarie. Qui c'è un numero magico che è lo 0,05 per cento piuttosto che lo 0,04 piuttosto che lo 0,06. Se siamo all'interno di queste variazioni veramente marginali, ovviamente nessuno può dire che c'è un impatto differente. Volevo però ricordare che, in linea con il dibattito europeo e al di là delle valutazioni sulle variazioni marginali, il detonatore della crisi finanziaria è stata la grande espansione delle transazioni su un certo tipo di prodotti finanziari cosiddetti «derivati» (una denominazione che copre un'ampia gamma di prodotti), ed è quindi necessario cercare di «punire» quest'area più di altre. Abbiamo quindi introdotto una tassazione mirata a colpire, non tanto i derivati, quanto le transazioni. L'imposta riguarderà soprattutto certi tipi di investitori professionali, quelli che fanno tante transazioni, perché l'investitore normale che ne fa una all'anno o il cassettista che non ne fa sostanzialmente non ha di questi problemi.
Bisogna però ricordarsi che questi sono investitori istituzionali in grado di spostare la transazione dalla piazza finanziaria su cui si paga un'imposta ad altre piazze come Londra oppure Hong Kong o Singapore. È necessario, quindi, stare attenti quando si decide di aumentare l'imposta su questo tipo di investimenti che sono mobilissimi, in quanto gli investitori professionali che oggi operano a Milano quando trovano un ambiente che non gli piace, vanno altrove velocemente. Per questo richiamo l'attenzione perché, se parliamo di margini, è un conto, se parliamo di un tentativo giusto moralmente, sicuramente, ma impraticabile, per cui se su


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certi investimenti che sono quelli più mobili mettiamo delle imposte troppo alte rispetto al resto del mondo, la base imponibile sparisce. Penso che questo non sia esattamente quello che vogliamo fare.
Qualcuno ha ricordato il cosiddetto «studio» o proposta Giavazzi. Qui posso dire che le cifre ormai sono diventate un po' delle etichette (questi 10 miliardi). Per fare bene il lavoro, la Presidenza del Consiglio ha costituito una commissione ad hoc a cui è stato invitato anche il professor Giavazzi; ci sono i vari ministeri competenti e, sotto la guida della Presidenza del Consiglio si è sostanzialmente arrivati a una chiusura dell'analisi.
Nei prossimi giorni la Presidenza del Consiglio renderà pubblico il rapporto con il dettaglio di quello che, secondo noi, siamo riusciti a ricavare da quell'impianto. Posso forse anticipare che non sono 10 miliardi, ma si parla di cifre inferiori che in ogni caso devono essere poste a un oculato giudizio, perché quando si guardano queste cifre, anche se poi «smagrite», ci sono interventi delicati che il Parlamento può sempre decidere di introdurre, come il trasporto pubblico locale, i sussidi agli autotrasportatori, i contratti di servizio per le ferrovie, il Fondo per lo spettacolo, il Fondo per l'editoria. Nulla è intoccabile però, ovviamente, ci vuole un giudizio.
Su questo posso dire che la Presidenza del Consiglio, il Governo, renderà pubblica quanto prima la nostra analisi su cosa c'è, e poi, ovviamente, le fattibilità politiche spetteranno al Parlamento.
L'altra questione da più interventi sollevata è quella riguardante la scuola. Vorrei ribadire che questa legge di stabilità sui saldi dei vari comparti non fa nulla. Anche sulla scuola la cosiddetta spending review votata da questo Parlamento prima dell'estate scorsa ha approvato per diversi comparti dei saldi, compresa la scuola. Qui non innova niente: il saldo di quanto si deve intervenire come riduzione delle spese nel comparto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è già predeterminato e qui non c'è alcuna decisione aggiuntiva di tagliare di più o di meno in nessun comparto.
Qui questo è stato fatto per evitare dei tagli magari fatti di fretta e senza un'analisi specifica dei ministri e delle amministrazioni competenti e si è dato, dal momento della spending review al momento della presentazione della legge di stabilità, del tempo ai vari ministeri e alle amministrazioni per approfondire come dettagliare quei tagli aggregati che questo Parlamento ha già deciso.
Qui c'è, quindi, una proposta delle amministrazioni competenti su come articolare non il quantum, ma il come il quantum che il Parlamento ha già deciso. Da questo punto di vista penso che il Ministro Profumo abbia già parlato con voi su come ridefinire l'intervento nella sua precisione e, come Ministro dell'economia e delle finanze, non ho molto da aggiungere. Non abbiamo fatto nulla sui comparti e poi le amministrazioni competenti devono definire la loro articolazione.
Sugli incapienti, anche qui l'intervento è piccolo, e ovviamente quando si parla di riduzioni dell'IRPEF purtroppo gli incapienti non sono all'interno di questo, però siamo assolutamente coscienti che è un problema e per questo la social card è stata uno dei programmi introdotti dal Ministero dell'economia e delle finanze. All'inizio questa non era stata molto apprezzata e capita, ma, avendo permesso la carta acquisti di rendere operativo l'ISEE, è stato, secondo me, un esercizio ora apprezzato e messo a regime. Per questo ho detto che noi stiamo cercando - e spero entro questa settimana di riuscire - di rendere operativi 180 milioni di euro che non sono qui, ma ci sono arrivati da donazioni private che non sono riuscite ancora a essere messe in linea, quindi sono in addizione ai 900 milioni di questo fondo, un fondo che, in realtà, onorevole Boccia, ha dei precedenti seppur con nomi diversi.
Di questo fondo suggeriamo talune potenziali destinazioni, che hanno secondo noi un merito, però bisogna ricordare che, ovviamente, il Parlamento è sovrano nel


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decidere se quelle siano le destinazioni giuste o si debbano ridurre, ma è un fondo una tantum, cioè solo 2013, quindi non può essere usato in qualsiasi caso, quindi non per finanziare o sostituire coperture permanenti. Ci piacerebbe avere un fondo permanente, ma non è così.
Quello delle dismissioni è un altro punto importantissimo, perché come Ministero dell'economia e delle finanze i nostri due criteri direttivi macro sono l'annullamento del deficit con il bilancio in pareggio - ci siamo sostanzialmente riusciti - e la riduzione veloce del debito - ancora non ci siamo riusciti. Il piano dismissioni del nostro patrimonio pubblico è una componente fondamentale, su cui ci siamo impegnati da mesi. Vorrei ricordare che il 25 ottobre prossimo si svolgerà un seminario a cui le due Commissioni bilancio sono invitate, in cui porteremo a fattor comune i risultati delle nostre analisi dal punto di vista delle quantità, delle qualità, degli strumenti che già ci sono e di quelli che forse bisognerà ancora mettere in campo per dare a noi stessi e al mondo la certezza che ci sia un programma pluriennale di dismissioni, che possa aiutare questa riduzione del debito pubblico. In questo siamo impegnati e rinvierei poi tutti alla discussione in questo nostro seminario.
Statuto del contribuente. Lei ha ovviamente ragione: essere in cattiva compagnia non è una scusa, per cui dire che facciamo qualcosa perché l'hanno già fatta sempre gli altri non è una bella giustificazione. Anche noi ci siamo chiesti se sia giusto continuare con la retroattività e anche sullo Statuto dei contribuenti siamo molto impegnati. Forse bisogna renderlo più operativo e anche più comprensibile allo stesso contribuente. Dal punto di vista del pagamento dell'IRPEF abbiamo un meccanismo molto complicato, laddove io stesso e credo molti di voi ragioniamo per cassa su quanto pagheremo quest'anno di tasse, però, in realtà, la competenza sotto questa cassa è complicatissima, perché un anno si pagano gli acconti dell'anno successivo, le tasse di quest'anno, i saldi dell'anno precedente. È una confusione anche difficile da spiegare, però il nostro sistema è fatto così, fino a quando non riusciremo a renderlo migliore. Qui c'è un problema proprio di copertura, e il nostro giudizio era - nel 2013 - quello di poter partire tutti insieme con un impatto di circa 8,7 miliardi nel 2013, che giustificava questo sostanziale raddoppio, perché, se anche prendiamo il 2012 come riduzione delle detrazioni, si raddoppia a 2 miliardi. Secondo noi questa composizione di avere tutto in piedi, subito, ci dava una giustificazione nel continuare in questo cattivo vezzo di non rispettare lo Statuto del contribuente.
È chiaro che, come noi abbiamo anche riflettuto, si può decidere che il cambiamento di detrazioni e deduzioni parta dal 2013, e in quel caso ci sarà 1 miliardo di euro in meno e bisognerà decidere se rimpiazzarlo o ridurre le riduzioni fiscali. È una scelta, ma noi abbiamo ritenuto di proporlo nella sua completezza, ed è una riflessione che noi stessi abbiamo fatto e penso che sia importante proporla anche in questa sede.
Vengo agli effetti sulla domanda e sull'offerta. Secondo noi, questa combinazione tra riduzione IRPEF e questi 1,6 miliardi per la detassazione dei salari legati alla produttività ha questo doppio valore. Le quantità sono limitate, però hanno un vantaggio dal punto di vista sia della domanda sia dell'offerta. In questo momento ci sembra che la domanda sia anche questa: sebbene sappiamo che stimoli congiunturali di domanda non sono quelli che cambiano il PIL potenziale, in questo momento di grande sofferenza per le aziende italiane che si rivolgono sul mercato interno è forse importante anche dare questo.
Aver ridotto l'IRPEF sulle due prime aliquote ci dà anche l'idea che l'impatto sui consumi sarà molto forte, perché le prime fasce di reddito sono quelle in cui la propensione al consumo è sostanzialmente il 100 per cento, quindi da una parte riteniamo che ci sia un impatto positivo sulla domanda, dall'altra ridurre il cuneo fiscale ha anche degli effetti positivi sull'offerta.


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Prima di affrontare l'ultimo punto chiedo scusa se eventualmente mi fossi dimenticato di altro. Alcune riflessioni lamentavano che non vi fosse abbastanza equità, ma nei limiti di questi 10 miliardi noi ci siamo sinceramente impegnati a introdurre elementi di equità sia nella scelta della curva dell'IRPEF, che del tipo di deduzioni che sono state lasciate, sia alla salvaguarda dai 15.000 euro in giù da qualsiasi cambiamento, quindi ci siamo impegnati nel limite di queste risorse.
È chiaro che ci piacerebbe averne di più, ma oggi non sono a disposizione. C'è stata una domanda sulla BCE, sull'opportunità di chiedere o non chiedere aiuto, ma qui rinvierei a quello che abbiamo sempre detto finora, ovvero che, avendo raggiunto il bilancio in pareggio a livello strutturale, siamo in una posizione molto diversa da quella di altri Paesi, non abbiamo bisogno di fondi in questo momento e riteniamo che come Paese negli ultimi diciotto mesi abbiamo già firmato un nostro impegno Paese a fare tante cose che stiamo mettendo, adesso, in moto.
In questo momento, quindi, andare a chiedere aiuto alla BCE non è una cosa utile o necessaria. Spero di aver risposto a tutto.

PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione trasmessa dal Ministro dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli (vedi allegato).
Nel ringraziare il Ministro, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti della Corte dei conti.
Do quindi la parola al presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, con il quale ultimamente abbiamo avuto numerose occasioni di incontro.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. È un vero piacere oltre che un onore. Con la Nota di aggiornamento del DEF, il Governo ha adottato per il 2013 un obiettivo di indebitamento meno stringente di quello incorporato negli andamenti tendenziali.
Il valore programmatico del saldo, in quota di PIL, è stato infatti abbassato a - 1,8 per cento, contro il - 1,6 per cento della legislazione vigente. Una scelta assunta in considerazione di un avanzo atteso di due decimi di punto dell'indebitamento strutturale, eccedendo l'obiettivo di saldo zero concordato in sede europea.
Con la legge di stabilità si dà ora seguito a quell'annuncio, definendo una manovra che amplia di 2,9 miliardi l'indebitamento del 2013 a sintesi di maggiori impieghi per 13,1 miliardi e del reperimento di nuove risorse per 10,2 miliardi.
In coerenza con gli obiettivi programmatici assunti con la Nota di aggiornamento, la legge di stabilità non modifica invece i valori di indebitamento del successivo biennio, limitandosi a una ricomposizione del bilancio per un ammontare di circa 10 miliardi. La parte più rilevante delle nuove misure si concentra sul lato delle entrate: il saldo della manovra deriva infatti da minori entrate nette per circa 2,4 miliardi e maggiori spese nette per 0,5 miliardi. Un'impostazione dettata dalla scelta di affidare la politica di riduzione della spesa anche a strumenti specifici non rientranti nella legge di stabilità come la spending review.
L'intervento sulle entrate è quello che contiene gli elementi di maggiore novità rispetto alle attese e alle intenzioni manifestate in precedenza dal Governo. Vengono ridotte di un punto le prime due aliquote IRPEF e viene eliminato uno dei due punti di aumento dell'IVA, già previsti a partire da luglio 2013 dalla legislazione vigente di cui al decreto-legge n.138 del 2011.
Per dare parziale copertura a queste misure e con effetto retroattivo al 2012, dunque in deroga allo Statuto del contribuente, viene ridotta per i redditi superiori a 15.000 euro, una franchigia sulle deduzioni


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e sulle detrazioni, e viene posto un tetto alle spese ammesse in detrazione. Ulteriori strumenti di copertura sono individuati dal lato delle imposte indirette, stabilizzando l'incremento delle accise sui carburanti introdotto per finanziare gli aiuti alle popolazioni terremotate dell'Emilia-Romagna introducendo un'imposta del 5 per mille sulla transazione finanziaria - la cosiddetta Tobin tax - e portando dal 4 all'11 per cento l'aliquota IVA sulle prestazioni fornite dalle cooperative sociali.
Nei valori nominali e nel confronto con il quadro tendenziale, la manovra sulle entrate si traduce in un aumento del reddito disponibile e, per il solo 2013, in una riduzione della componente fiscale dell'inflazione. La politica di bilancio appare nuovamente orientata dopo anni verso l'alleggerimento del carico fiscale. Lo sgravio è concentrato sulle famiglie che, nell'ultimo quinquennio, hanno visto il proprio potere di acquisto ridursi di oltre il 5 per cento.
Nel confronto con la soluzione alternativa - più volte annunciata prima del varo della legge di stabilità - di rinunciare del tutto all'aumento delle aliquote IVA, la manovra prescelta produce effetti indiretti meno espansivi sul reddito disponibile delle famiglie, ma va apprezzata perché muove in direzione di una struttura impositiva caratterizzata da un minor peso della tassazione sui redditi rispetto a quella degli scambi. Al di là dei suoi potenziali effetti sulla domanda di consumo, la riduzione delle aliquote IRPEF può inoltre aprire spazi per un recupero della competitività.
La manovra dal lato delle entrate dovrebbe produrre uno sgravio netto commisurato a poco più di 2,3 miliardi nel 2013, a oltre 3,7 miliardi nel triennio 2013-2015. Si tratta di un effetto finale che a sua volta discende da alcuni importanti provvedimenti di riduzione delle imposte, solo in parte compensate da misure di aggravio fiscale.
La manovra complessiva sulle entrate, infatti, riguarda ben diciassette tipologie di intervento. A tre sole, ma di dimensioni rilevanti, va riferita la prevista riduzione di prelievo - parziale sterilizzazione dell'aumento dell'IVA, riduzione delle prime due aliquote IRPEF e detassazione del salario di produttività -. Le maggiori entrate, invece, sono riferite, principalmente, alla franchigia sulle spese deducibili e detraibili ai fini IRPEF, alla stabilizzazione dell'incremento delle accise sui carburanti e all'introduzione della Tobin tax.
Tra provvedimenti di sgravio fiscale e interventi di inasprimento di imposte e tasse, le entrate movimentate si commisurano complessivamente a oltre 15 miliardi nel 2013, mentre superano i 40 miliardi nel triennio.
La manovra fiscale interessa prevalentemente le famiglie, sulle quali nel 2013 si concentra il 100 per cento degli sgravi e il 57 per cento degli inasprimenti impositivi.
L'imposta principalmente coinvolta dagli interventi è l'IRPEF, con il 62 per cento delle riduzioni di prelievo e il 42,1 per cento degli aumenti sempre nel 2013.
Con riguardo all'IVA, l'aumento di un punto delle aliquote ordinarie intermedie - con decorrenza luglio 2013 - costituisce uno sgravio, cioè un più contenuto aumento, se misurato rispetto al quadro tendenziale, già definito alla luce dei provvedimenti varati nella seconda metà del 2011.
Quanto all'IRPEF, la decorrenza fin dal 2012 dell'intervento sulle spese deducibili e sulle quelle detraibili - introduzione di una franchigia pari a 250 euro sulle deduzioni e istituzione di un tetto di 3.000 euro sulle detrazioni, fatta eccezione per le spese mediche - determina un'anticipazione degli effetti sia dal lato della competenza al 2012, sia dal lato della cassa al 2013. Una previsione questa che, come in altri casi contemplati dallo stesso disegno di legge, in deroga all'articolo 3 dello Statuto dei diritti del contribuente, disattende il principio della non retroattività delle norme tributarie.
Nell'avanzare prime valutazioni sull'impianto della manovra fiscale, l'apprezzamento in termini aggregati deve essere temperato avendo riguardo sia al possibile


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impatto redistributivo che ad alcuni specifici rischi e incertezze connaturate alle modalità di intervento.
Avendo riguardo al 2013, la scelta «più IVA meno IRPEF» si basa su importi pressoché equivalenti, pari a poco più di 5,4 miliardi, frutto da un lato della riduzione delle prime due aliquote IRPEF e della detassazione del salario di produttività, e, dall'altro della riduzione di un solo punto delle aliquote IVA rispetto alla legislazione vigente e dell'introduzione della franchigia per spese detraibili e deducibili e del tetto alle spese detraibili.
Sulla base dei dati delle dichiarazioni dei redditi presentante nel 2011, può essere avanzata qualche considerazione sugli effetti della manovra per classi di contribuenti.
In linea generale, la soluzione proposta appare sfavorevole per i contribuenti IRPEF collocati nelle più basse classi di reddito complessivo - 20 milioni di soggetti fino a 15.000 euro -. Il taglio delle aliquote IRPEF, che non tocca i 10 milioni di incapienti, avrebbe risultati limitati anche per i restanti 10 milioni, mentre l'aumento delle aliquote IVA inciderebbe in misura significativa.
Per contro dovrebbe risultare positivo il saldo per i 15 milioni di contribuenti che dichiarano un reddito medio basso - da 15.000 a 29.000 euro - e gli sgravi derivanti dal taglio delle aliquote IRPEF dovrebbero essere in grado di assorbire sia i nuovi limiti agli oneri deducibili, e soprattutto per tale tipologia di contribuenti agli oneri detraibili, sia il maggiore carico fiscale determinato dall'aumento dell'IVA.
Infine, l'intervento dovrebbe infine rivelarsi non vantaggioso per i 6,7 milioni di contribuenti dichiaranti un reddito medio-alto e alto. La franchigia e il tetto complessivo alle detrazioni e, soprattutto, la franchigia agli oneri deducibili supererebbero i benefici della riduzione delle aliquote IRPEF. E gli aumenti IVA si scaricherebbero su un livello di consumi relativamente elevato.
Restano da evidenziare alcuni rischi e incertezze che sembrano emergere dalle caratteristiche dei provvedimenti proposti.
Si fa riferimento in particolare al rischio di emersione di ulteriori aumenti impositivi generati dallo stesso disegno di legge di stabilità. È il caso in particolare di inasprimenti - IMU e tariffe - che le amministrazioni locali potrebbero delineare per compensare gli ulteriori tagli di spesa o i nuovi aggravi derivanti dal disegno di legge in esame.
Si fa riferimento, inoltre, al rischio di un deterioramento della tax compliance sia in conseguenza del depotenziamento del contrasto di interessi prodotto dai tagli a detrazioni e deduzioni di spese in settori ad elevato rischio di evasione, sia per le ricadute negative che la deroga ai princìpi dello Statuto del contribuente potrebbe produrre sulla trasparenza e sulla lealtà nel rapporto fisco/contribuente.
Infine, occorre tener conto dell'incertezza circa la natura degli oneri detraibili e deducibili su cui opereranno i tagli del disegno di legge - franchigia e tetto alla spesa complessivamente detraibile -.
Pur trattandosi di un intervento di dimensioni complessive limitate - appena lo 0,4 per cento delle minori entrate riconducibili alle 720 agevolazioni censite dalla Commissione Vieri Ceriani - va chiarito se siano interessati dalla manovra interventi agevolativi suscettibili di revisione o soppressione, o invece elementi strutturali dell'assetto dell'IRPEF che, insieme alle aliquote e agli scaglioni, configurano l'equilibrio dell'imposta.
Quanto allo specifico regime degli oneri deducibili e detraibili che scaturisce dall'intervento previsto, va segnalata, da un lato, l'ulteriore complessità del sistema che ne deriva e, dall'altro, l'insorgenza di talune incoerenze, come quelle relative alla franchigia di 250 euro applicata anche a oneri deducibili, che costituiscono prestazioni obbligatorie per legge, oneri collegati al possesso di immobili, ovvero che sono reddito imponibile per il percipiente, assegno al coniuge separato o divorziato.
L'intervento avrebbe, forse, potuto giustificare una più organica revisione della materia anche per rimuovere disparità presenti nel sistema, quali, ad esempio, il diverso regime di deducibilità e di detraibilità


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per le varie erogazioni liberali ammesse: detraibili le erogazioni liberali per ONLUS, le associazioni di promozione sociale, gli istituti scolastici e così via, deducibili le erogazioni liberali a favore delle università ed enti di ricerca e via discorrendo.
Più in generale, va osservato che la complessiva manovra fiscale implica trasformazione e innovazioni di tale portata da richiedere una più attenta analisi costi/benefici e, in particolare, un'accurata verifica degli effetti attesi di natura distributiva. Per tali ragioni, ad avviso della Corte, alcune delle trasformazioni proposte avrebbero trovato lo strumento attuativo più appropriato nella delega fiscale piuttosto che nella legge di stabilità, meno adatta a interventi di riordino di carattere strutturale.
Nelle amministrazioni centrali, il peggioramento del saldo, oltre alle misure di alleggerimento delle entrate, è dovuto, nel 2013, ad aumenti della spesa complessiva, in crescita di poco più di 500 milioni di euro. Si tratta di una variazione da ricondurre soprattutto al rifinanziamento di interventi di parte capitale destinati a investimenti e opere infrastrutturali: MOSE, TAV, RTI, ANAS, e a trasferimenti diversi.
Sul fronte corrente, al netto dei consistenti risparmi nei trasferimenti agli enti territoriali, si conferma il sostanziale blocco delle spese di personale, mentre solo apparente è la crescita della spesa per consumi intermedi: al netto delle somme destinate al fondo fitti passivi, funzionali al processo di dismissione degli immobili in uso all'amministrazione attraverso i fondi creati dalla società di gestione di risparmio del Ministero dell'economia e delle finanze, tale spesa continua a ridursi nel triennio di programmazione.
Con riferimento alle modalità di riduzione della spesa delle amministrazioni centrali, il disegno di legge di stabilità esplicita senza effetti sui saldi le scelte adottate dai singoli ministeri al fine di conseguire risparmi sulle operazioni finali disposte con il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.
In proposito, va evidenziata una novità di segno positivo. La maggior parte delle amministrazioni ha proceduto a individuare interventi legislativi destinati alla contrazione della spesa articolati, più che in passato, in riduzioni di spese non rimodulabili, oltre che in versamenti alle entrate. Anche nel caso delle spese rimodulabili, le riduzioni discendono da scelte discrezionali.
L'intervento delle amministrazioni contribuisce a una più equilibrata distribuzione dei tagli tra spesa corrente e spesa in conto capitale, soprattutto considerando che i tagli lineari intendevano, di fatto, concentrarsi prevalentemente sulla spesa in conto capitale, come indicato anche nella tabella prevista dalla documentazione che abbiamo predisposto.
La maggiore riduzione delle spese non rimodulabili è da attribuire al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, essenzialmente per interventi di contenimenti della spesa per il personale. I risparmi previsti eccedenti l'obiettivo attribuito al ministero restano, comunque, assegnati al settore. Il contributo alla riduzione dell'indebitamento appare meno evidente per numerose altre tipologie di intervento.
Il concorso delle amministrazioni locali al riequilibrio dei conti pubblici è, invece, anche nel caso del disegno di legge di stabilità consistente e rafforza quanto anticipato con il decreto-legge n. 95 del luglio 2012. Del totale delle riduzioni di spese disposte dal provvedimento, circa il 75 per cento è posto a carico di tali enti. Si tratta di 2,8 miliardi di euro nel 2013, che salgono 3,2 miliardi e oltre dal 2014.
Più limitata è, tuttavia, la correzione netta: nel 2013, considerando gli interventi per il trasporto pubblico locale e altre misure specifiche, le maggiori risorse previste per il fondo per gli enti a rischio dissesto, per i lavori socialmente utili e così via, il taglio alle spese per il complesso delle amministrazioni locali si riduce a poco più di un miliardo di euro.


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Nel biennio successivo, la correzione rimane, invece, superiore ai 2,7 miliardi di euro annui.
Secondo quanto riportato nella Nota tecnica illustrativa allegata al disegno di legge di stabilità, la riduzione delle spese correnti si accompagnerà a una riduzione dei pagamenti in conto capitale - investimenti fissi e trasferimenti - per circa un terzo della riduzione della spesa. Viene, così, corretta la valutazione contenuta nell'allegato 3 del disegno di legge che imputa alla spesa corrente l'intero ammontare dei tagli previsti per gli enti territoriali.
Rimangono immutati, rispetto al quadro tendenziale, i saldi di bilancio e il contributo del settore all'indebitamento netto. Un risultato che sembra non considerare che, almeno per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, alle misure di contenimento delle spese non si accompagna un corrispondente taglio delle risorse attribuite.
Il confronto tra il quadro tendenziale, presentato in occasione del DEF 2012, e il quadro programmatico tratto dalla Nota tecnica illustrativa, consente di apprezzare il rilievo della correzione richiesta con i provvedimenti adottati a partire dalla scorsa primavera. Si tratta di 7,2 miliardi di euro, nel 2013, e di oltre 10,6 miliardi a partire dal 2014.
Il contemporaneo operare delle disposizione riguardanti il patto di stabilità interno e il settore sanitario, solo in parte attenuate, come si diceva, da alcuni interventi su specifici settori di spesa, portano a una riduzione della spesa complessiva delle amministrazioni locali superiore, in termini assoluti, al 3 per cento rispetto al dato tendenziale del DEF; una riduzione che, pur in presenza di previsioni di crescita molto più contenute, consente di confermare l'obiettivo del DEF in termini di incidenza della spesa delle amministrazioni locali sul PIL.
Per le regioni, il disegno di legge di stabilità dispone un'ulteriore riduzione di 1,5 miliardi di euro, un miliardo per le regioni a statuto ordinario, della spesa rispetto a quanto già previsto nel decreto-legge n. 95 del 2012 attraverso la modifica del patto di stabilità interno.
Diversamente dal provvedimento del luglio scorso, tuttavia, non è prevista una corrispondente riduzione dei trasferimenti a favore delle regioni a statuto ordinario. Con tali ultimi interventi, la correzione della spesa richiesta alle regioni, a partire dal decreto-legge n. 98 del 2011 per l'esercizio 2010, raggiunge gli 8,2 miliardi di euro al netto della sanità, un importo di particolare rilievo tenendo conto che, guardando la spesa non sanitaria del 2011, il taglio previsto ne rappresenta oltre il 15 per cento.
Una specifica attenzione meritano i criteri di riparto tra le regioni a statuto ordinario della suddetta riduzione. Guardando alla ripartizione in quote che deriverebbero da tre ipotesi diverse di riparto, emergono alcuni elementi di rilievo. Risultati molto differenti si ottengono, infatti, se ci si basa sull'analisi della spesa effettuata dal commissario straordinario o se, come previsto dall'articolo 16, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012, ci si riferisce alle partizione tra regioni dei pagamenti per consumi intermedi al 2011, o ancora se si guarda quella decisa dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome in attuazione dei tagli previsti sui fondi 2012.
La forte differenza nei risultati porta a sottolineare, da un lato, la difficoltà di definire una metodologia di calcoli degli eccessi di spesa a partire dai dati di cassa; dall'altro, la distanza tra queste misure e quelle ritenute compatibili con la gestione degli enti da parte delle stesse regioni.
Il provvedimento non interviene sui meccanismi che governano il patto di stabilità interno degli enti locali, i cui obiettivi sono stati definiti nella legge di stabilità per il 2011. Esso richiede, invece, un contributo aggiuntivo a tutti gli enti, non solo a quelli soggetti al patto, attraverso un'ulteriore riduzione delle risorse a essi attribuite con il fondo sperimentale di riequilibrio per gli enti locali e le regioni a statuto ordinario e con i trasferimenti per gli enti di Sicilia e Sardegna.


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Il concorso dei comuni - quantificato nel decreto-legge n. 95 del 2012 in 2.000 milioni di euro, per il 2013 e 2104, e in 2.100 milioni di euro dal 2015 - cresce di 500 milioni di euro annui alle province, con risparmio ulteriore di 200 milioni annui, che porta il taglio complessivo a 1.200 milioni, per il biennio 2013-2014, e a 1.250 milioni dal 2015.
Il taglio dei fondi produce un risparmio effettivo di spesa per lo Stato per la mancata erogazione delle risorse, mentre per le autonomie locali l'effetto è rimesso ai singoli enti attraverso la riduzione delle spese per consumi intermedi. Non si tratta, quindi, di una limitazione imposta a determinate spese, così come i vincoli introdotti dall'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 o quelli che concernono la spesa del personale. In attuazione di tale disposizione normativa, ciascun ente locale dovrebbe, dunque, procedere a una riprogrammazione della spesa corrente destinata al proprio funzionamento, avendo come unico vincolo il saldo finale rilevante ai fini del patto.
Ciò potrebbe consentire comportamenti tesi a reperire ulteriori risorse attraverso la leva fiscale senza incidere sui livelli di spesa. La misura, inoltre, non è supportata da uno specifico sistema di monitoraggio e da meccanismi sanzionatori, come l'obbligo del risultato che nasce con il patto di stabilità. Da nasce qui l'importanza del sistema dei controlli previsti dal decreto-legge n. 174 del 2012, attualmente all'esame del Parlamento.
Il meccanismo di riparto della riduzione di risorse, come indicato nel decreto-legge n. 95 del 2012, deve essere deliberato dalla Conferenza unificata alla luce delle analisi della spesa introdotta dal commissario straordinario per la spending review, dei costi rilevati per i singoli settori merceologici, dei dati raccolti per la determinazione dei fabbisogni standard e dei potenziali risparmi di ciascun ente. In mancanza della delibera, entro la fine del mese di ottobre, il Ministro dell'interno dovrebbe provvedere con proprio decreto alla distribuzione del taglio in proporzione alle spese sostenute nel 2011 per consumi intermedi rilevati attraverso il sistema SIOPE.
Le due metodologie appaiono ispirate da logiche diverse atteso il loro diverso fondamento: l'individuazione dei fabbisogni effettivi e dei possibili eccessi di spesa, nel primo caso; un taglio proporzionale alla spesa corrente per consumi intermedi, che si basa sul presupposto che tali erogazioni rappresentano un indicatore dell'inefficienza gestionale, nel secondo.
Va osservato che, in quest'ultima ipotesi, gli enti con livelli di pagamenti più elevati vedranno ridursi in maniera più significativa le risorse a disposizione e ciò indipendentemente dal fatto che tali livelli di spesa possano essere connessi a più elevati flussi di entrata, ovvero a più elevati standard quali-quantitativi dei servizi finali resi.
Nell'ambito degli interventi individuati per approssimare alla categoria economica dei consumi intermedi, sono incluse, infatti, alcune voci di bilancio in cui non è facilmente distinguibile la parte di spesa giustificata esclusivamente dalle esigenze funzionali dell'ente e la parte che riflette, invece, il servizio reso ai cittadini direttamente dall'ente locale o attraverso l'acquisto dello stesso sul mercato. Si pensi ai contratti con aziende esterne per i servizi pubblici di interesse generale o alle spese per le mense e per i servizi scolastici in genere.
Passerò, quindi, alla trattazione delle norme sul trasporto locale e degli incarichi di consulenza e farò dei cenni agli interventi sulla spesa sanitaria.
Vanno ricordate, in particolare, le disposizioni che rapportano il trasporto locale e la disciplina degli incarichi di consulenza. A partire dal 2013, si avrà l'istituzione del nuovo Fondo nazionale per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario nelle regioni a statuto ordinario. La dotazione del fondo sarà, successivamente, alimentata dalle compartecipazioni all'accisa sul gasolio e sulla benzina. A un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è, inoltre, affidata la revisione dei


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decreti di riparto del fondo basato sul rapporto tra ricavi da traffico e costi del servizio e sui processi di razionalizzazione intrapresi dalle regioni per rendere più efficiente ed economica l'offerta del servizio.
Le regioni dovranno, quindi, procedere a una riprogrammazione del servizio orientata a una rimodulazione dello stesso in funzione della domanda e alla sostituzione di modalità diseconomiche, un'attività che dovrà portare a una revisione dei contratti di servizio con le aziende di trasporto.
Il rispetto dell'equilibrio economico e l'appropriatezza della gestione sono condizioni indispensabili per ammettere la regione all'intera quota del fondo spettante. In caso contrario, è prevista una sorta di «piano di rientro» con eventuale commissariamento dell'intero processo di riprogrammazione e la decadenza dei direttori generali degli enti e delle società regionali che gestiscono il servizio.
Certamente positiva, infine, è la disposizione che esplicita l'applicazione della disciplina degli incarichi di consulenza, già prevista appunto per lo Stato, alle società strumentali, società controllate direttamente o indirettamente dall'amministrazione pubblica, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazioni di servizi a favore di detta amministrazione superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, eliminando le incertezze che caratterizzavano l'applicazione normativa a tali soggetti anche a causa del non chiaro riferimento al conferimento degli incarichi contenuti nell'articolo 18 del decreto-legge n. 112 del 2008.
Il disegno di legge dispone, inoltre, restrizioni aggiuntive sulla spesa del settore sanitario: si tratta di 600 milioni di euro per il 2013, e di 1.000 milioni di euro per il 2014 e il 2015. Tale risultato è ottenuto attraverso l'aumento, dal 5 al 10 per cento, del taglio dei corrispettivi e dei corrispondenti volumi d'acquisti di beni e servizi, con esclusione dei farmaci e dei dispositivi medici, e un'ulteriore riduzione del tetto previsto per i dispositivi medici. Si tratta di spese già interessate, a valere sugli anni 2013 e 2015, da interventi disposti con i decreti-legge n. 98 del 2011 e n. 95 del 2012.
Secondo la relazione tecnica, la riduzione dei prezzi di beni e servizi, con esclusione dei farmaci e dei dispositivi medici, del 10 per cento a decorrere dal 2013 e per tutta la durata dei contratti, comporta un risparmio su base annua di circa 500 milioni di euro, mentre la norma che riduce il tetto alla spesa per dispositivi medici dal 4,9 al 4,8 per cento del finanziamento del servizio sanitario nazionale, comporta una riduzione di spesa su base annua di 100 milioni di euro, per il 2013, e di circa 500 milioni di euro a partire dal 2014.
In entrambi i casi, i risparmi vanno, quindi, ad aggiungersi a quanto già previsto da precedenti manovre di settore, ponendo obiettivi sempre più ambiziosi.
Nel caso degli acquisti di beni e servizi, i decreti-legge n. 98 del 2011 e n. 95 del 2012 e il disegno di legge di stabilità 2013 prevedono un contenimento della spesa per circa 1.700 milioni di euro, per il 2013, e poco meno di 2.000 milioni di euro a decorrere dal 2014, pari a circa l'8 per cento della spesa del 2011.
Ancora più netto è il taglio della spesa per i dispositivi medici. I tre provvedimenti hanno previsto riduzioni per complessivi 1.250 milioni di euro per il 2013, somma che sale a 1.750 milioni nel 2014, rispettivamente, il 18 e poco meno del 25 per cento degli attuali livelli di spesa.
Nella relazione tecnica, la determinazione di detti tagli è ricondotta alle analisi svolte dal commissario straordinario per la spending review.
L'esame delle spese non sanitarie nel 2011, circa 12.600 milioni di euro, distintamente per aziende sanitarie e aziende ospedaliere, avrebbe portato a rilevare un eccesso di spese, rispetto al valore mediano, di circa il 26 per cento del totale. Anche l'analisi svolta a partire dai dati dei prezzi di riferimento rilevati dall'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici avrebbe evidenziato differenze mediamente pari al 20 per cento.


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Il combinato disposto di quest'elaborazione giustificherebbe, secondo la relazione tecnica, un contenimento della spesa del 20 per cento circa, ovvero circa 2.500 milioni di euro, computabili con la complessiva riduzione di 2.000 milioni di euro annui disposti dall'insieme delle manovre sopracitate.
Anche l'analisi della spesa del settore dei dispositivi medici, pari a 7 miliardi di euro nel 2011, avrebbe fatto emergere un prezzo di acquisto mediamente superiore di circa il 33 per cento al parametro di riferimento, evidenziando spazi di risparmio di circa 2.300 milioni di euro, compatibili con gli obiettivi posti a regime con le manovre dell'ultimo anno.
Su alcuni aspetti è necessario soffermarsi nelle valutazioni delle misure per il settore sanitario. Va, innanzitutto, osservato che, se la metodologia di quantificazione utilizzata mira a evidenziare la presenza di inefficienza e distorsione nella gestione degli acquisti, la scelta di operare una riduzione indistinta del finanziamento del servizio sanitario nazionale a cui contribuisce lo Stato potrebbe produrre effetti indesiderati.
L'onere della riduzione sarebbe distribuito omogeneamente in base a criteri di riparto del fabbisogno, facendo perdere di rilievo alle modalità di determinazione degli eccessi di spese e penalizzando le realtà più virtuose. In secondo luogo, non può essere trascurato che le correzioni apportate alla previsione della spesa sanitaria in base ai risultati più recenti e alle manovre introdotte a partire dal decreto-legge n. 98 del 2011, hanno condotto a una rilevante correzione dell'andamento della spesa, «caricando» il quadro programmatico di obiettivi di contenimento di rilievo.
La spesa del 2013 è stata prevista in riduzione di poco meno di 7,3 miliardi di euro rispetto a quanto previsto nella relazione presentata dal Governo il 4 dicembre 2011.
Un rischio limitato se si guarda ai saldi complessivi, giacché le regioni sono chiamate a coprire eventuali disavanzi sanitari tramite l'attivazione dei meccanismi automatici previsti dalla legislazione vigente.
Non può essere, tuttavia, sottovalutata la crescente difficoltà proprio per le avverse condizioni economiche per le regioni di recuperare tali maggiore entrate nonché il rischio che detto meccanismo, se posto a garanzie di obiettività troppo accelerati, possa compromettere percorsi di risanamento strutturale. Come sottolineato dalla Corte già nel Rapporto di coordinamento del 2012, certamente è auspicabile accelerare il processo di riduzione dei disavanzi strutturali delle regioni in piano di rientro e in questa direzione stanno già muovendo le amministrazioni territoriali e centrali impegnate nel monitoraggio del settore, ma è necessario che ciò avvenga nel rispetto di quanto previsto dagli stessi piani.
Va, inoltre, considerato che, con il rientro dai disavanzi, si produrrebbero riduzioni della pressione fiscale aggiuntiva attivata nelle regioni in squilibrio, certamente auspicabile in questo momento, ma non un beneficio netto per i conti. Perché questo si realizzi, è necessario che il processo incida anche sul livello di spesa delle regioni oggi in equilibrio.
Lascio, allegate al documento da noi predisposto, delle schede di approfondimento con riguardo al fondo per i contratti di locazione, alle misure in materia di istruzione scolastica e universitaria e all'impatto delle riduzioni del fondo di riequilibrio, nonché alla copertura del disegno di legge di stabilità.

PRESIDENTE. Grazie, soprattutto per aver posto l'accento sui tagli agli enti locali, aspetto trascurato nelle precedenti relazioni.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROBERTO OCCHIUTO. Anch'io ringrazio il presidente Giampaolino per la consueta chiarezza e anche per la franchezza, anche quella consueta, della relazione che ci ha illustrato.
Una prima domanda riguarda la parte fiscale della manovra, la Corte dei conti


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osserva che la complessiva manovra fiscale implica trasformazioni, innovazioni - leggo testualmente - di tale portata da richiedere una più attenta analisi costi/benefici e, in particolare un'accurata verifica degli effetti attesi di natura distributiva e, per tali ragioni - continua nella sua relazione - alcune delle trasformazioni proposte avrebbero trovato più opportuno spazio nella delega fiscale anziché nella legge di stabilità.
Le chiederei di specificare meglio quali sarebbero, nel complesso delle iniziative di carattere fiscale, quelle che, a suo giudizio, avrebbero dovuto essere allocate più nella delega fiscale che nella legge di stabilita: cioè deduzioni, detrazioni o, più complessivamente, l'intera manovra sull'IRPEF.
Una seconda domanda riguarda, invece, la parte più originale rispetto al resto delle audizioni: quella legata agli enti locali, alle regioni e, in particolare, alla spesa sanitaria di queste ultime. Nella parte finale della sua relazione, presidente, lei ha messo in evidenza come la spesa per il 2013 sia stata rivista in riduzione di circa 7,3 miliardi di euro: una cifra importante, chiaramente, rapportata a quanto previsto nella relazione al Parlamento presentata dal Governo a dicembre 2011.
A tale proposito, mi pare di capire, quindi, ma su questo le chiederei un chiarimento, che la Corte dei conti rappresenti la preoccupazione che un taglio così ingente al fondo sanitario, che pure è assai consistente nel nostro Paese - pari a 112 miliardi di euro - pure ridotto di 7,3 miliardi, come lei ha evidenziato, non possa generare anche una riduzione dei livelli essenziali di assistenza, soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro. Mi pare di capire che, a suo avviso, è utile che alcune regioni sottoposte a piano di rientro proseguano le azioni previste dal piano, ma che il combinato disposto in sostanza di quelle azioni con la riduzione ulteriore prevista nelle ultime manovre potrebbe avere un effetto rilevante proprio in ordine ai livelli essenziali di assistenza.

GIULIO CALVISI. C'è, attualmente, come saprà, una norma che fa molto discutere il Paese. Noi parlamentari di tutti gli schieramenti politici in questi giorni siamo sottoposti a un e-mail bombing, riceviamo e-mail da tutta Italia a proposito della norma sulla scuola, che aumenta il monte ore settimanali da 18 a 24.
Nella precedente audizione, il Ministro Grilli - riguardo un'osservazione formulata da un collega, forse l'onorevole Duilio - asseriva che i risparmi di spesa previsti con questa norma per il personale della scuola rientrano già nei risparmi di spesa che, in virtù di norme che il Parlamento aveva già approvato in precedenza - immagino si riferisse alla spending review - erano in qualche modo dovute e obbligate. Il Ministro dell'economia e delle finanze si sarebbe limitato a un'opera di coordinamento, mentre le amministrazioni interessate hanno avanzato le loro proposte di rimodulazione della spesa interna tenuto conto dell'obiettivo di saldo da realizzare fissato dalla legge.
Lei ha fatto qui un'affermazione molto interessante, sulla quale le chiederei un approfondimento. Sostiene, infatti, che la maggiore riduzione delle spese non rimodulabili nella classifica generale tra tutte le spese dei ministeri sia da attribuire al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca essenzialmente per interventi di contenimento della spesa per il personale. I risparmi previsti eccedenti l'obiettivo attribuito al ministero restano, comunque, assegnate al settore. Significa che, nel rimodulare la spesa - mi corregga, presidente Giampaolino - il Ministero dall'istruzione, dell'università e della ricerca è andato anche oltre, cioè sono stati molto bravi nel predisporre ipotesi di risparmi che sono andati anche oltre gli obiettivi fissati dalla legge.
Inoltre, nell'allegato sulle misure in materia di istruzione scolastica e universitaria, sostenente una posizione ancora più precisa, e cioè che particolarmente incisive in tali direzione appaiono le misure dettate nel settore dell'istruzione scolastica in attuazione all'articolo 7 del decreto-legge n. 95 del 2012, volto ad assicurare, a decorrere dal 2013, una riduzione


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della spesa non rimodulabile in termini di saldo netto da finanziare, pari a 182 milioni di euro nel 2013, 172 milioni nel 2014, e 236 milioni nel 2015. C'è, inoltre, il dato sull'indebitamento netto.
Le riduzioni proposte dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base delle quantificazioni contenute nella relazione tecnica, superano ampiamente l'obiettivo in termini di saldo netto da finanziare, 240 milioni di euro nel 2013, 721 milioni nel 2014 e nel 2015, e anche i dati sull'indebitamento netto superano ampiamente le previsioni.
La domanda è molto secca: in pratica, ci ha dato la copertura per abrogare la norma che aumenta il monte ore settimanale per gli insegnanti? Credo che trovi giustificazione nel dato molto interessante che lei ci ha riportato, che non dico corregga, ma precisa meglio quanto prima dichiarato nel corso dell'audizione dal Ministro Grilli. Io invito, quindi, i relatori, Baretta e Brunetta, a considerare seriamente questi calcoli che la Corte dei Conti ci ha portato come copertura di una delle norme più contestate in questo provvedimento della legge di stabilità.
Ho esagerato. Mi risponderà.

PRESIDENTE. Do, quindi, la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Quanto alla domanda se tutte queste disposizioni che riguardano le norme fiscali non avrebbero, appunto, potuto trovare una loro più consona sistemazione nella delega fiscale piuttosto che in questa legge di stabilità, rispondo ricordando che evidentemente la necessità di raggiungere con immediatezza dei risultati avrà fatto preferire questo strumento legislativo rispetto a quello di là ancora da venire proprio delle deleghe.
Vorrei che, in proposito, anche il collega Romano fornisse elementi di maggiore dettaglio.

MASSIMO ROMANO, Consigliere della Corte dei conti. La riflessione che la Corte propone all'attenzione delle Commissioni muove dalla considerazione che, nel novero degli oneri deducibili e detraibili previsti attualmente dall'ordinamento ai fini della determinazione IRPEF, esistano previsioni di contenuto sociale, economico di rilievo notevolmente diverso.
Valga un esempio per tutti: le spese di istruzione, che costituiscono un onere detraibile, vengono a subire un limite alla detraibilità, appunto, che potrebbe risultare non coerente con altri tipi di oneri, cui pure l'ordinamento riconosce la detraibilità. In altri casi, come in quello, ad esempio, di alcune deduzioni, vi sono delle misure - penso all'assegno al coniuge, che costituisce, proprio nell'inventario della Commissione che si è occupata degli oneri deducibili e detraibili, una misura per evitare le doppie imposizioni -.
L'introduzione di una franchigia di 250 euro, ancorché in parte bilanciata da una detrazione di imposta per il percipiente, costituisce un elemento di anomalia nel sistema della determinazione delle imposte sul reddito. Vorremmo, quindi, in proposito, sottolineare l'esigenza di una ponderazione, forse non agevolmente compatibile con il disegno di legge in esame, per puntare a una risistemazione un po' più organica della materia degli oneri detraibili e deducibili.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Risponderò alla domanda in materia di spesa sanitaria dell'onorevole Occhiuto, il quale, giustamente, mette in rilievo come sottolineassimo, rispetto a un processo ordinato di rientro dei disavanzi sanitari, la complessità del percorso di aggiustamento e di riduzione dei costi avviato in questi mesi e che vede una riduzione della spesa sanitaria, o almeno l'obiettivo di riduzione spese sanitaria, di oltre 7 miliardi di euro.
Pur consapevoli che un'accelerazione di questo processo è del tutto auspicabile, ciò che abbiamo messo in rilievo nella relazione è proprio questo duplice fenomeno: da una parte, una forte pressione proprio nell'ultimo anno, che porta addirittura, nel 2013, a prefigurare una riduzione della spesa sanitaria in valore nominale; dall'altra,


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il fatto che quest'accelerazione, che in qualche maniera fa parte delle misure di miglioramento dei saldi, naturalmente dovrebbe mettere in funzione, nelle regioni in piano di rientro, una riduzione della pressione fiscale attivata proprio a fronte dei disavanzi.
Da un lato, quindi, quest'accelerazione può, se non compatibile con un ordinato rientro dei disavanzi, compromettere una programmazione e un ottenimento dei risultati strutturali; dall'altro, è da mettere in rilievo che un rientro dei disavanzi nelle regioni di squilibrio strutturale dovrebbe, innanzitutto, determinare una riduzione del prelievo fiscale aggiuntivo, quindi nel momento in cui si scontra con il miglioramento dei saldi, bisogna tener conto che una parte di questo gettito, quello attivato per coprire i disavanzi strutturali, verrebbe meno.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Siamo grati che abbiate apprezzato questa nota aggiuntiva di approfondimento.

MAURIZIO MELONI, Presidente di sezione della Corte dei conti. Un'ultima riflessione sulla domanda relativa alle spese del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il pensiero sostanziale della Corte per quanto riguarda il Ministro dell'istruzione è già contenuto nella documentazione da noi predisposta, dove si asserisce che la maggiore riduzione è da attribuire, appunto, al ministero essenzialmente per interventi di contenimento e anche che i risparmi previsti, come lei ha sottolineato, eccedono l'obiettivo attribuito dal ministero, ma restano comunque assegnati al settore.
Quanto alla disposizione - molto controversa e che sarà oggetto di decisione nel rispetto della sovranità del Parlamento - che riguarda la variazione della disciplina dell'orario di lavoro dei docenti, penso che possiamo riferirci esclusivamente alla scheda di approfondimento. Lei parla di segnalare al relatore, onorevole Brunetta, questa considerazione: io credo che il pensiero della Corte sia nella scheda d'approfondimento, che fornisce tutte le necessarie informazioni, tenuto conto delle quali spetterà al Parlamento adottare compiere le proprie scelte. Altre considerazioni non mi pare che possano essere fatte, anche perché è una materia che incide su una categoria di personale molto ben organizzato.

GIULIO CALVISI. Giusto, sono giuste le vostre considerazioni. Comunque, io parlo di più con l'onorevole Baretta, l'altro relatore, che è anche mio compagno di banco.

PRESIDENTE. Ringrazio la Corte dei conti per il consueto contributo offerto ai nostri lavori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 14,35.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti della Banca d'Italia.
Sono presenti il vice direttore generale della Banca d'Italia, dottor Salvatore Rossi, e le sue collaboratrici, la dottoressa Paola Ansuini, la dottoressa Raffaela Giordano e la dottoressa Maria Rosaria Marino.
Do subito la parola al dottor Rossi per lo svolgimento della sua relazione.

SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Ringrazio il presidente e le Commissioni bilancio della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica per avermi invitato a quest'audizione.
Ho avuto modo, tre settimane fa, di discutere in questa stessa sede la Nota di aggiornamento del Documento di econo


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mia e finanza 2012, lo scenario macroeconomico e lo stato dei conti pubblici. Non ritornerò, quindi, su questi aspetti, salvo che per rammentare come l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche sia ora previsto per quest'anno al 2,6 per cento del PIL, 0,9 in termini strutturali, e come l'avanzo primario sia stimato aumentare di quasi 2 punti di PIL, raggiungendo il 2,9 per cento. I dati disponibili sugli andamenti in corso d'anno segnalano la necessità di una costante e attenta verifica dei conti negli ultimi mesi dell'anno.
È cruciale assicurare che l'indebitamento netto si collochi sotto la soglia del 3 per cento del PIL, come concordato a livello europeo. Gli interventi inclusi nel disegno di legge di stabilità implicano, nel 2013, un aumento dell'indebitamento netto di 2,9 miliardi di euro, che corrisponde allo 0,2 per cento del PIL. Nel biennio seguente l'effetto sul disavanzo è, sostanzialmente, nullo. Nel 2013, si prevede che le spese aumentino di mezzo miliardo e che le entrate si riducano di 2,4 miliardi di euro; nel biennio successivo, sia le spese sia le entrate si ridurrebbero entrambe di 1,1 miliardi nel 2014, e, rispettivamente, di 400 e 300 milioni di euro nel 2015.
Il ridimensionamento del bilancio pubblico, sebbene modesto, dà un segnale apprezzabile. Ridurre simultaneamente la spesa pubblica improduttiva e la pressione fiscale in generale è necessario per rilanciare la crescita economica. Nel seguito di questo mio intervento discuterò brevemente, dapprima, le misure sulle spese previste dal disegno di legge di stabilità, per poi soffermarmi sui principali interventi riguardanti il prelievo fiscale. Concluderò con alcuni commenti di carattere generale.
Sono programmate riduzioni della spesa - per un importo di 3,8 miliardi di euro nel 2013, di 3,9 miliardi di euro nel 2014 e di 3,7 miliardi di euro nell'anno successivo - che riguardano prevalentemente gli enti territoriali e la sanità. Per le amministrazioni locali si prevedono tagli, rispetto agli andamenti tendenziali, per 2,2 miliardi di euro l'anno nel triennio 2013-2015, escludendo il comparto sanitario, sul quale tornerò tra un momento; i risparmi si aggiungono a quelli già introdotti dalla spending review prevista dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
Nel triennio, la spesa primaria delle amministrazioni locali, al netto dei trasferimenti alle altre amministrazioni pubbliche e della spesa sanitaria, si contrarrebbe, in media, all'anno di circa il 4 per cento in termini reali in base alle previsioni ufficiali sull'andamento dell'indice dei prezzi al consumo. In rapporto al PIL, quindi, essa passerebbe dal 7,6 per cento, previsto per quest'anno, al 6,6 per cento nel 2015.
Vi è il rischio che molti enti decentrati, per compensare gli effetti sulla quantità e sulla qualità dei servizi forniti, inaspriscano l'imposizione fiscale locale. L'evidenza finora disponibile con riferimento alle aliquote dell'IMU deliberate dai comuni suffraga la rilevanza di questo rischio. In prospettiva, sarebbe opportuno completare il processo di decentramento dotando gli enti di una sufficiente autonomia impositiva, a fronte, però, di entrate trasferite dal centro che siano circoscritte a finalità perequative e siano definite ex ante. Inoltre, la maggiore autonomia si dovrebbe accompagnare con adeguate forme di responsabilizzazione e di trasparenza. In questa direzione muove il recente decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali.
I risparmi programmati nel settore sanitario, 600 milioni di euro l'anno prossimo, un miliardo di euro sia nel 2014 sia nel 2015, rafforzano gli interventi disposti nel luglio 2011 e poi ancora nello scorso luglio. In termini reali, quindi dedotta l'inflazione, la prevista riduzione della spesa sanitaria corrente nel triennio appare cospicua, quasi 1,5 punti l'anno.
Per evitare che ne risentano i servizi erogati ai pazienti, sono indispensabili significativi recuperi di efficienza nel settore sanitario. Il fatto che, in alcune aree del Paese, si spenda di più per fornire servizi


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di qualità inferiore rispetto ad altre aree suggerisce che è possibile migliorare considerevolmente l'allocazione e l'uso delle risorse. Vanno in questa direzione provvedimenti come quello approvato dal Governo a metà settembre sulla riorganizzazione dei servizi sanitari. Per i ministeri, la manovra non determina risparmi aggiuntivi a quelli già individuati con il provvedimento di spending review, che ricordo sono pari a 1,5 miliardi di euro nel 2013, e a 1,6 miliardi di euro l'anno nel biennio successivo.
La spending review - è un concetto che credo di aver già avuto modo di esprimere tre settimane fa - deve ora trasformarsi in un vero e proprio metodo di lavoro permanente delle amministrazioni, che preveda verifiche, revisioni regolari e sistematiche dei piani di spesa a livello sia centrale sia locale. Questo è e sarà il cuore dell'azione di finanza pubblica. I rimanenti interventi di riduzione delle spese previsti dal disegno di legge di stabilità riguardano una pluralità di settori, ma producono risparmi di entità contenuta, e quindi non mi soffermerò su di essi.
Mentre i risparmi incidono, sostanzialmente, sugli esborsi di natura corrente, le maggiori erogazioni previste nel disegno di legge di stabilità, che ammontano a 4,3 miliardi di euro nel 2013, 2,8 nel 2014 e 3,2 nel 2015, riguardano, per circa il 40 per cento, le spese in conto capitale, che erano molto diminuite negli anni precedenti.
Veniamo alle entrate. È proposta la riduzione di un punto percentuale delle aliquote dei primi due scaglioni dell'IRPEF. La disposizione determinerebbe una perdita di gettito valutata a regime in circa 6 miliardi, di cui 4,3 miliardi nel solo 2013. Lo sgravio, però, sarebbe in parte compensato da una rimodulazione delle detrazioni e delle deduzioni e dall'assoggettamento a tassazione di alcune pensioni di guerra. Lo sgravio si riduce, quindi, da 6 a 4,6 miliardi di euro nel complesso; nel solo 2013, da 4,3 a 2,1 miliardi di euro.
L'attuale regime di tassazione del reddito delle persone fisiche fu modificato l'ultima volta nel 2007. Esso si caratterizza per aliquote marginali «effettive», nel senso che tengono conto delle detrazioni per redditi da lavoro e per carichi familiari, decisamente elevati, tanto per cominciare, nel confronto internazionale. Per i lavoratori dipendenti, sono superiori al 40 per cento già a partire da redditi di poco inferiori a 30.000 euro a causa della presenza di aliquote legali alte, ma anche della progressiva e rapida riduzione al crescere del reddito delle detrazioni di imposta.
Anche le aliquote medie effettive - finora abbiamo parlato delle marginali - sono alte nel confronto internazionale. Il cuneo fiscale sul lavoro, in particolare, ossia l'incidenza sul costo del lavoro della somma di IRPEF, contributi sociali a carico del lavoratore e a carico del datore di lavoro, al netto degli eventuali assegni familiari, è molto maggiore di quello medio degli altri Paesi dell'area dell'euro. Nel documento che depositiamo agli atti, troverete alcune cifre desunte da rapporti dell'OCSE.
Inoltre, l'elevata elasticità al reddito di questa imposta acuisce il fenomeno del drenaggio fiscale, che conoscete bene come quel fenomeno per cui, avendo aliquote che si applicano su importi nominali, essendo gli importi nominali, per esempio nel caso dei redditi da lavoro dipendente, crescenti a seguito dei recuperi dell'inflazione, questo fatto in sé determina lo scatto di aliquote superiori, e quindi un aumento della pressione fiscale.
Nel periodo 2008-2011, questo fenomeno ha accresciuto gli incassi di oltre 9 miliardi di euro, più di mezzo punto percentuale di PIL. Quest'anno, sulla base del tasso di inflazione indicato nella Nota di aggiornamento che abbiamo discusso tre settimane fa, si può stimare un ulteriore aggravio per i contribuenti di oltre 3 miliardi di euro dovuto a questo fenomeno.
Le misure contenute nella legge di stabilità, quindi, per l'insieme di queste ragioni, vanno a incidere su un quadro che, certamente, abbisogna di importanti ripensamenti. Esse riducono lievemente le aliquote marginali effettive e, con esse,


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l'effetto distorsivo che discende dall'attuale regime di tassazione e compensano una piccola parte del drenaggio fiscale dell'ultimo quinquennio.
Inoltre, la riduzione delle aliquote relative ai primi due scaglioni d'imposta determina una leggera diminuzione del cuneo fiscale sul lavoro. Se si cerca di valutare l'effetto di stimolo sull'offerta di lavoro che da questa riduzione del cuneo discende, quindi l'effetto di stimolo sulla propensione degli inoccupati a ricercare un lavoro e sulla propensione degli occupati ad aumentare le ore lavorate, si ritrova un effetto positivo, ma decisamente limitato data l'entità contenuta dello sgravio. Su tutti questi aspetti, comunque, che sono costretto, per brevità, solo a menzionare, nel documento che ho depositato ci sono approfondimenti tecnici.
Naturalmente, lo sgravio non arreca benefici ai contribuenti con redditi inferiori alla soglia di esenzione dall'imposta, che dipende, come sappiamo, dalla tipologia del reddito e dalla presenza di familiari a carico. Le misure riguardanti l'IRPEF rappresentano un primo passo verso l'attenuazione dell'elevato prelievo tributario sui redditi da lavoro, che costituisce uno dei fattori che penalizzano la competitività dell'economia italiana. Questo è un punto su cui più volte abbiamo discusso in passato. Nei prossimi anni, si dovrà proseguire in questa direzione utilizzando i proventi derivanti dal recupero di basi imponibili erose, dal contrasto all'evasione fiscale, dal contenimento della spesa pubblica.
In generale, un regime fiscale con aliquote più basse e un sistema di detrazioni e di deduzioni più semplice riduce le distorsioni, accresce la trasparenza, stimola lo sviluppo economico. Gli interventi delineati si muovono in questa logica e occorre proseguire lungo questa strada riconsiderando una per una tutte le agevolazioni fiscali, detrazioni e deduzioni, domandandosi se siano ancora utili, un metodo non dissimile da quello della spending review dal lato della spesa.
Veniamo alla detassazione delle componenti retributive collegate alla produttività. Il disegno di legge di stabilità prevede il rifinanziamento delle misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro che erano state introdotte nel 2008, fissando un onere massimo di 1,2 miliardi di euro nel 2013 e di 400 milioni di euro nel 2014. La definizione delle modalità di attuazione di tali misure è demandata a un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi entro il 15 gennaio prossimo.
Le misure attualmente in vigore, definite nella legge di stabilità dello scorso anno, prevedono la riduzione del carico IRPEF sulle componenti della retribuzione collegate alla produttività e introdotte sulla base di accordi o contratti aziendali o territoriali. Quest'incentivo intende favorire la diffusione della contrattazione decentrata e l'obiettivo di quest'operazione è duplice: allineare la dinamica dei redditi alla performance dell'impresa e alle condizioni locali del mercato del lavoro; stimolare l'efficienza aziendale e la produttività.
Nostre stime basate sull'indagine campionaria che conduciamo ogni anno tra le imprese industriali e dei servizi non finanziari indicano che, nel 2011, il 62 per cento, quindi quasi due terzi, dei dipendenti delle imprese con almeno 20 addetti, quelle tra le quali conduciamo la nostra indagine, ha usufruito del provvedimento. Questa percentuale sale tra le imprese esportatrici e tra quelle medio-grandi.
Le risorse in gioco sono, peraltro, limitate, pari a due decimi del costo del lavoro complessivo nel 2011, e può convenire concentrarle su alcune basi imponibili, anche se così facendo si va un po' contro il principio generale che prima ricordavo secondo cui è meglio avere aliquote più basse per tutti e ridurre il numero delle agevolazioni.
È importante che questo incentivo, come altri destinati al sistema produttivo, sia sottoposto, nel corso del tempo, a un'analisi attenta che ne valuti l'efficacia rispetto agli obiettivi che si propone. Se inserito nell'ambito di un accordo tra le parti sociali per lo sviluppo della produttività, occorre che sia stabile nel tempo.


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Quanto all'IVA, è dimezzato il previsto aumento di due punti percentuali delle aliquote, ridotta e ordinaria, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella seconda metà del 2013, in modo da allinearlo a quello di un solo punto già disposto a partire dal 2014. La legislazione vigente prevede, infatti, un aumento di 2 punti percentuali delle aliquote del 10 e del 21 per cento dal 1o luglio 2013 e una loro riduzione di un punto percentuale dal 1o gennaio 2014.
Le misure proposte nel disegno di legge di stabilità, di fatto, eliminano l'incremento temporaneo di un punto percentuale previsto per la seconda parte del 2013, che comporterebbe costi amministrativi per l'impresa e, ove traslato sui prezzi, distorcerebbe il profilo temporale dei consumi delle famiglie. La disposizione comporta una perdita di gettito di 3 miliardi e 300 milioni di euro nel 2013. Nel documento depositato è presente un lungo brano in corpo minore, in cui si ripercorre la storia molto complicata - la materia è complicata in sé - di questa vicenda.
Gli effetti redistributivi di variazioni della struttura dell'IVA dipendono da quale aliquota è modificata. I cambiamenti in quella ordinaria, infatti, incidono maggiormente sulle famiglie con redditi più elevati; quelli nelle aliquote ridotte incidono più marcatamente sulle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli. Questi effetti possono, peraltro, essere influenzati da modifiche nei comportamenti dei consumatori, delle quali è difficile tenere conto nelle stime.
Utilizzando i dati dell'indagine ISTAT sulla spesa per consumi delle famiglie del 2010, è possibile fornire qualche indicazione sull'effetto redistributivo delle misure proposte. Le aliquote del 10 e del 21 per cento, che sono quelle coinvolte dalle norme di cui discutiamo, incidono, rispettivamente, sul 25 e sul 23 per cento della spesa per consumi del complesso delle famiglie. Queste percentuali, che valgono per tutte le famiglie, risultano pari a circa il 24 e il 15 per cento - la seconda decisamente si abbassa - per le famiglie del primo decile di spesa equivalente, cioè per le famiglie che hanno i livelli di consumo più bassi. Risultano, invece, pari a circa il 22 e il 32 per cento, per cui la seconda si alza molto - per le famiglie del decile più elevato, cioè per quelle con livelli di consumo più alti.
L'aumento di due punti percentuali di queste aliquote previsto dalla legislazione vigente determinerebbe, nel secondo semestre del 2013, un incremento dell'incidenza dell'imposta valutabile in circa l'1 per cento della spesa del complesso delle famiglie. Questo 1 per cento, per il primo decile, quindi le famiglie che consumano meno, quelle più povere, diventa pari allo 0,8 per cento, mentre, per le famiglie del quinto decile, diventa pari all'1,1 per cento e il tutto in percentuale della spesa per consumi.
Va, però, tenuto conto del fatto che, se si va a misurare quest'incidenza sul totale dei redditi, siccome le famiglie più povere hanno una propensione al consumo più alta, in quanto consumano una quota relativamente maggiore del loro reddito, l'incidenza diventa, invece, diversa, va nell'altra direzione. Tutto questo è l'effetto di un aumento di 2 punti. La riduzione dell'incremento delle aliquote a un punto dimezza questi effetti, quindi ha anche l'effetto di riavvicinare i due risultati per le famiglie più povere e per quelle più ricche. In realtà, come abbiamo detto, la distribuzione è valutata sul totale della spesa per consumi.
Eliminare questo picco temporaneo delle aliquote dell'IVA, che si sarebbe registrato a legislazione vigente nella seconda metà del 2013, era una scelta obbligata. Come già rilevato, è invece confermato l'aumento permanente di un punto percentuale di quelle aliquote. Questa è, invece, una scelta politica. Conviene rammentare, a questo proposito, come, da un lato, l'imposizione sui consumi, quindi le imposte come l'IVA, hanno, rispetto ad altre fonti di prelievo tributario, effetti meno distorsivi sull'economia - questo è un principio generale - però, dall'altro lato, non possiamo dimenticare che l'evasione dell'IVA è in Italia particolarmente ampia.


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La base imponibile non dichiarata nel 2010 è di poco inferiore al 30 per cento di quella teorica. Si tratta di oltre 2 punti di PIL di imposte evase, per cui quando si fa una scelta di questo tipo va rafforzato il contrasto a comportamenti non conformi alle norme di legge, soprattutto nella prospettiva del 2014, in cui l'inasprimento dell'IVA è previsto garantire un gettito di 6,5 miliardi di euro, dando quindi un contributo fondamentale alla riduzione del deficit di bilancio programmata per quell'anno.
Veniamo all'imposta sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin tax. Dal 1o gennaio 2013 è prevista un'imposta di bollo sulle transazioni in titoli azionari e in strumenti partecipativi emessi da residenti e sul valore nozionale delle operazioni in strumenti derivati effettuate da una controparte residente. Imposte come la Tobin tax, se hanno, come nella loro origine storica, l'obiettivo di contenere gli eccessi speculativi e destabilizzanti della finanza, sono tanto più efficaci quanto più la loro applicazione è diffusa geograficamente perché è molto facile, da parte di operatori e investitori finanziari, spostarsi su mercati in cui l'imposta è assente.
La misura introdotta nel nostro ordinamento si inquadra nell'ambito di un'iniziativa a livello europeo, non estesa a tutti i Paesi. L'aliquota è fissata allo 0,05 per cento, quindi 0,5 per mille. Nel caso degli scambi di azioni, si tratta di un quarto dell'analoga imposta francese, del 2 per mille, e metà di quella indicata nella proposta della Commissione europea per l'introduzione di una financial transaction tax europea, pari all'1 per mille. Il gettito di quest'imposta italiana è ufficialmente stimato in poco più di un miliardo di euro. Questa stima sconta una forte riduzione delle transazioni, soprattutto di quelle in derivati, anche a seguito di fenomeni di elusione e di delocalizzazione.
L'esclusione dalla base imponibile delle transazioni in obbligazioni societarie, se evita ripercussioni sui costi del finanziamento delle imprese attraverso questi strumenti, che in questa fase congiunturale hanno acquisito un peso più rilevante che in passato, può, però penalizzare - questo è un effetto generale - il ricorso al capitale di rischio rispetto all'indebitamento, laddove il rafforzamento patrimoniale delle imprese è, invece, uno degli obiettivi prioritari per la competitività del nostro sistema produttivo. Sarà opportuno, quindi, valutare eventuali affinamenti di quest'imposta alla luce delle azioni intraprese dagli altri Paesi, innanzitutto, e poi dell'esigenza di evitare fenomeni di disintermediazione del sistema finanziario italiano a favore dei sistemi finanziari di altri Paesi.
Concludo con qualche riflessione più generale. Il disegno di legge di stabilità presentato nei giorni scorsi dal Governo giunge dopo numerosi interventi di politica economica approvati nell'ultimo anno e si muove all'interno di un quadro programmatico per la finanza pubblica definito nel Documento di economia e finanze così come aggiornato con la Nota di aggiornamento di tre settimane fa. Il fronte principale su cui si giocano oggi la sostenibilità del debito pubblico italiano e il rapporto con gli investitori finanziari internazionali è, come sappiamo bene, quello delle riforme strutturali e delle politiche per la crescita economica. Mantenere, però, il saldo del bilancio pubblico lungo la traiettoria concordata con i partner europei è una precondizione della stabilità.
Il disegno di legge di stabilità aumenta lievemente il disavanzo del 2013, come abbiamo visto, di poco meno di 3 miliardi, portandolo all'1,8 per cento del PIL, anche se in termini strutturali non verrebbe comunque meno l'impegno che abbiamo preso al pareggio. Nel biennio successivo, il disegno di legge non modifica i saldi del quadro tendenziale, si lasciano emergere lievi disavanzi strutturali ancorché nei margini di tolleranza concessi dalle regole europee.
Come ho già avuto modo di segnalare in una recente audizione, questo restringe gli spazi di sicurezza che sarebbero opportuni in un contesto di incertezza sulle prospettive di crescita e di volatilità dei mercati. Potrebbe essere prudente prevedere, eventualmente in primavera, quando


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sarà riconsiderato il profilo programmatico e qualora la ripresa dell'economia già si preannunciasse o si manifestasse, contenuti e misure correttive auspicabilmente connesse con il processo di revisione della spesa, tali da assicurare il pareggio in termini strutturali anche dopo il 2013.
Resta l'esigenza generale di una revisione organica del sistema fiscale cogliendo l'occasione offerta dal disegno di legge di delega attualmente in discussione in Parlamento. Sappiamo e ci ripetiamo ogni volta, ma è bene continuare a ripetercelo, che la maggiore sfida per il futuro sta nel riavviare la crescita economica. Il bilancio pubblico può favorirla: abbassando la pressione fiscale sui contribuenti in regola anche grazie a una forte azione di contrasto all'evasione fiscale; ripensando la composizione del prelievo e la struttura delle imposte; accrescendo l'efficienza nella produzione dei servizi pubblici.
Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

AMEDEO CICCANTI. Vorrei conoscere, direttore, il suo pensiero, in merito al discorso delle transazioni finanziarie, sulla diversificazione delle banche di investimento dalle banche commerciali. Vorrei, cioè, sapere se anche nel sistema di ristrutturazione a livello europeo dell'erogazione del credito attraverso le banche, con le iniziative che si stanno definendo anche a seguito del vertice del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, questo problema è stato mai posto, per cui le nostre banche commerciali hanno transazioni finanziarie di derivati alla pari delle banche di investimento.
Cosa pensa la Banca d'Italia di un'azione incisiva, a livello europeo, perché si cominci a differenziare la banca che fa speculazione finanziaria rispetto dalla banca che, invece, agisce anche nell'economia reale, come dovrebbe agire, anziché darsi alla speculazione finanziaria?

ANNA CINZIA BONFRISCO. Dottor Rossi, stamane ho rivolto la medesima domanda al Ministro Grilli, ma sono certa di poter ricevere da lei una risposta ancor più dettagliata nella sua articolazione.
La stessa introduzione alla domanda del collega Ciccanti consente a me di chiedere, proprio nell'ambito di questa riflessione e di questo ripensamento, cosa pensa la Banca d'Italia rispetto all'impostazione della tassa sulle transazioni che sappiamo e tutti riconosciamo far correre un grande rischio a quei Paesi, solo 11, che si sono accordati su regole comuni, che potrebbe comportare l'evaporazione del gettito stimato.
Lo spiegava molto bene anche il presidente della Consob rispetto alle operazioni di borsa, ieri, in un suo intervento alla Scuola normale superiore di Pisa. Il presidente Vegas metteva in guardia anche dall'indebolimento di un processo già faticoso nel nostro Paese di patrimonializzazione delle aziende e dell'accesso al mercato regolamentato che si appesantisce di un ulteriore balzello.
A me interessa sapere, oltre a quanto chiedeva il collega Ciccanti, come la Banca d'Italia giudica l'applicazione di questa tassa nella medesima misura e con la medesima impostazione alle banche e agli investitori istituzionali che vivono delle transazioni e che, giustamente, si vogliono colpire in questo caso, così come a quelle banche del territorio, di vocazione italiana, tutta bancaria. La nostra storia bancaria è, infatti, legata a quello che oggi definiamo retail, la natura stessa della nostra raccolta di denaro da mettere a disposizione per le imprese e per l'attività economica.
Non si può, invece, nell'applicazione di questa tassa, tenere conto, oltre che del valore di questo modello di fare banca, anche del fatto che sono persino aumentati gli impieghi delle banche del territorio verso il tessuto economico del nostro Paese, prevalentemente composto da piccole e medie imprese? Esiste una possibile modulazione differente che valorizzi il nostro sistema bancario o, invece, andiamo


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verso una tassazione che evoca scenari interessanti, ma che finiremmo per pagare solo noi e non altri?

PRESIDENTE. Vorrei fare anch'io una valutazione. Innanzitutto, in tema di lieve riduzione delle tasse, per la prima volta, tra tutte le audizioni, ho sentito l'argomento del fiscal drag, passato un po' di moda, ma che opportunamente il dottor Rossi ha ricordato e anche quantificato. Credo che sia un elemento da tenere presente per valutare l'andamento dell'inflazione che, come ci ha ricordato l'ISTAT oggi, tende a essere stabilmente sopra il 3 per cento, per cui comincia a diventare un dato significativo.
Per quanto riguarda le amministrazioni locali, lei ha ricordato che l'unico vero intervento cospicuo dal lato della spesa da parte della legge di stabilità è sull'aggregato delle amministrazioni locali. Attenzione, si tratta di un intervento sulla spesa quantificato in termini nominali; la stima della riduzione della spesa primaria delle amministrazioni locali in termini reali del 4 per cento annuo su base pluriennale, mi sembra evidente che sia un'ipotesi abbastanza irrealistica.
Subito dopo, peraltro, lei fa riferimento al rischio concreto che molti enti decentrati, per compensare gli effetti sulla quantità e qualità dei servizi forniti, in realtà aumentino le imposte perché si tiene conto del saldo. Temo, quindi, che non si tratti di una modesta riduzione di spesa, ma di un concreto aumento della tassazione. Se cumuliamo questi effetti impliciti con quelli del fiscal drag, temo che la riduzione complessiva in termini nominali non ci sarà.
Inoltre, abituato a leggere le relazioni della Banca d'Italia, non vorrei avere capito male, ma proprio all'inizio della sua relazione lei ha affermato che i dati disponibili sugli andamenti in corso d'anno, per quanto riguarda la dinamica dei conti pubblici, segnalano la necessità di una costante e attenta verifica dei conti negli ultimi mesi dell'anno e che è cruciale assicurare che l'indebitamento netto si collochi al di sotto della soglia del 3 per cento del PIL, come concordato a livello europeo.
In relazione a quest'accento, che ultimamente mi è sfuggito rispetto alla dinamica dei conti, anzi mi sembrava che ogni mese l'andamento del fabbisogno fosse, in qualche modo, esaltato, vorrei capire se la Banca d'Italia ritiene che esista qualche elemento di rischio concreto rispetto a qualche dimensione che in questo momento a noi sfugge.

RENATO BRUNETTA. All'amico, direttore Rossi, vorrei porre un quesito di carattere generale. Tutta la sua analisi, ma anche quella di chi l'ha preceduto, si è sviluppata sull'impatto microanalitico dei provvedimenti contenuti nella legge di stabilità, fatto certamente doveroso perché fa capire gli effetti delle misure in termini di funzionamento e redistributivi e il loro impatto, con le relative simulazioni. Pensiamo alle difficoltà che emergono per quanto riguarda la valutazione dell'impatto degli incrementi dell'IVA sui vari scaglioni e sulle varie tipologie di consumi e così via.
Ricordo che stamane il Ministro Grilli ha affermato che l'IVA la pagano anche gli evasori. Lei ha parlato di una grande evasione dell'IVA: per questa via, anche la sua dimensione «redistributiva» rispetto all'IRPEF ha una sua sterilizzazione parziale dovuta, appunto, alla grande quantità di evasione, della quale bisognerebbe capire in quale area, in quali settori, per quali tipologie di consumi avviene. Questa è una faccia della medaglia.
Data, però, la scarsa entità della «manovra», è utile, indispensabile, segnaletica dal punto di vista dei comportamenti, ma rispetto a quanto abbiamo visto nel passato in termini di manovre, di tagli e così via, siamo in un'ottica «minimalista», interessantissima, complessa, ma minimalista.
Ecco, invece, la domanda sul lato delle politiche macroeconomiche: è questa la legge di stabilità necessaria in questo momento nel nostro Paese, alla fine di un quinquennio di sangue, sudore e lacrime, per usare un'espressione popolare, in ragione


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dell'esigenza fondamentale che abbiamo di recuperare un sentiero di crescita che, purtroppo, abbiamo perso da tantissimo tempo e negli ultimi tempi è stato accentuato dalle politiche economiche di tipo restrittivo imposteci a livello europeo?
Il rischio è che - ho già usato questo stesso termine di Machiavelli - ci «ingaglioffiamo» su più e meno, legati alle poste in gioco, cosa doverosa, necessaria, ma perdiamo di vista la strategia per il futuro di collocare il nostro Paese, la nostra economia, la nostra società e le nostre imprese su un sentiero di crescita. È questo il provvedimento qualitativamente e quantitativamente più adatto in questa fase, dopo cinque anni di sangue, sudore e lacrime, per garantirci le migliori condizioni per la crescita una volta rispettati - lo dico e lo ribadisco - i vincoli di bilancio e il pareggio di bilancio per 2013, sui quali ci siamo impegnati nei confronti dei nostri partner europei?
Non vorrei che la microanalisi ci facesse perdere di vista la strategia. In fondo, questo è l'ultimo strumento che abbiamo a disposizione. A gennaio del prossimo anno il Governo entrerà negli affari correnti, anche se, per carità decreti se ne possono sempre fare. Mi pareva che il presidente temesse derive di spesa di fine anno, ma il punto non è tanto questo: strategicamente, è questa l'ultima legge di stabilità di una legislatura e che poi ci porta verso la crescita oppure è l'ultima legge di stabilità di un quinquennio, ahimè, perduto?

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Rossi per la replica.

SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. L'onorevole Ciccanti, se capisco bene, evocava la Volcker Rule, quindi l'approccio americano a una distinzione e a una diversità di trattamento regolamentare tra banche di investimento e banche commerciali e si chiedeva se in Europa si stia ponendo lo stesso problema e, se no, perché.
Le banche di investimento sono un fenomeno americano, sono nate lì ed è lì che hanno generato, accanto a cose buone, tante cose cattive, come questi cinque anni di crisi hanno dimostrato. Non mi stupisce, da osservatore di questa realtà, che a porsi il problema dell'attività di investimento separata dall'attività tradizionale di banca siano stati gli Stati Uniti d'America e non l'Europa.
Per quello che concerne noi italiani in particolare, alla fine, dal punto di vista operativo, conta il cosiddetto trading proprietario, ossia l'attività di trading sui mercati che le banche fanno per proprio conto e non per conto della clientela. Questo tipo di attività da noi è fortemente regolamentato, diversamente da quel che accadeva negli Stati Uniti d'America. Anche questo spiega il fatto che il dibattito su una eventuale Volcker Rule europea non abbia mai veramente preso quota, in Italia in particolare.
Senatrice Bonfrisco, sulla Tobin tax lei mi rivolge, sostanzialmente, due domande. Innanzitutto, mi chiede se non riteniamo questa tassa rischiosa per il Paese e per il sistema. In relazione a quanto ho affermato, in effetti un rischio è implicito perché, appunto, se consideriamo quest'imposta sulle transazioni secondo il suo spirito originario, come dicevo, di tagliare gli eccessi della finanza che hanno provocato i guai che conosciamo, quest'operazione deve essere la stessa in tutto il mondo. La finanza moderna, dopo la rivoluzione tecnologica, la globalizzazione e così via, è globalizzata, per cui è veramente molto facile eludere qualunque steccato si eriga su base nazionale o anche continentale. Introdurre, allora, imposte di questo tipo su base locale, anche se ha una motivazione interessante e condivisibile, implica però il rischio di una disintermediazione del mercato e del sistema finanziario nazionale.
Per questo ho concluso il mio intervento dedicato a questo tema suggerendo di valutare eventuali affinamenti di quest'imposta, innanzitutto alla luce del comportamento degli altri Paesi. Fino a questo momento, l'imposta è prevista in Francia,


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Regno Unito e Italia con un disegno dell'imposta diverso nei tre casi, quindi già con una difformità.
Peraltro, lei mi ricordava il nostro panorama bancario diversificato, con le grandi banche e le banche locali che hanno acquisito meriti nei confronti della clientela loro prossima in questi anni critici. Potremmo usare lo strumento fiscale per premiare o punire, se interpreto bene le sue parole. Fermo restando che siamo sempre al confine tra il tema politico e quello tecnico e nella scelta politica, naturalmente, non voglio e non posso entrare, posso cercare di dare un contributo di chiarimento tecnico su come funzionano le cose.
Usare lo strumento fiscale per fare quello che lei immagina ha, a sua volta, dei rischi di distorsione del mercato, quindi sarebbe un'ipotesi da valutare attentamente.
Il presidente Giorgetti è d'accordo con me sul fatto che il fiscal drag vada ricordato.

RENATO BRUNETTA. Anche se, con questi chiari di luna, la sua effettività nel pubblico impiego è molto limitata.

SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Intanto, le cifre sono grandi e, comunque, sono quelle che citavo.
Il presidente Giorgetti notava che l'unico intervento di riduzione della spesa previsto da questa legge di stabilità grava sugli enti decentrati: preciso solo che si tratta di un intervento in aggiunta alla spending review, poi naturalmente le manovre andrebbero valutate complessivamente.
Mi chiede anche un chiarimento sul mio passaggio riguardante la chiusura dell'anno in termini di saldo del bilancio pubblico. Come ho già illustrato tre settimane fa e ripetuto oggi, non abbiamo motivi di allarme. Notiamo che il profilo del fabbisogno finanziario, che è, come è noto, un importante indicatore di come vanno le cose in corso d'anno, e il profilo delle entrate tributarie sono tali per cui si può, certamente, rispettare l'impegno di restare sotto il 3 per cento quest'anno se c'è una accelerazione del gettito negli ultimi mesi, accelerazione peraltro nell'ordinario comportamento stagionale. Il mio, dunque, era solo un invito a buttarci un occhio attento, a fare attenzione che effettivamente questo succeda.
Normalmente, non ci sarebbe neanche bisogno, forse, di esercitare un'esortazione di questo tipo. Non deludere i nostri partner europei su questo primo obiettivo di stare sotto il 3 per cento quest'anno è talmente importante che bisogna raddoppiare l'attenzione.

RENATO CAMBURSANO. Non si esclude una manovra correttiva?

ANTONIO BORGHESI. Nella vostra relazione scritta non la escludete.

SALVATORE ROSSI, Vice direttore generale della Banca d'Italia. Bisogna che il Governo guardi, ma sicuramente lo farà perché è il Governo per primo consapevole di quest'importanza e di quest'esigenza, come vanno le variabili in corso d'anno e prenda le misure che riterrà opportune.
Vengo all'amico Renato Brunetta, che mi rivolge, però, una domanda a cui mi è quasi impossibile rispondere. Posso sottolineare alcune parti che ho esposto perché sono sicuro che, da economisti, concordiamo. Ho affermato che ormai sappiamo tutti che il primo obiettivo è rilanciare la crescita in una prospettiva, appunto, strategica. Rilanciare la crescita è un'operazione molto complicata perché non c'è un pulsante da premere, non si cresce per decreto, appunto, come da tanti è stato ricordato.
La professione economica - io mi inscrivo in questa professione - si è convinta da tempo che sono le riforme strutturali ciò che smuove, sblocca i meccanismi di crescita in Italia assieme a una riduzione della pressione fiscale. Per quanto concerne l'aspetto macroeconomico c'è questo. Poi, naturalmente, si declina «microeconomicamente» e lì arrivano le scelte politiche, come d'altro canto


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le vicende di questi giorni dimostrano perché la pressione fiscale si può ridurre in mille modi diversi, su una categoria di più, su un'altra categoria meno: sono scelte politiche.
L'effetto macroeconomico, alla fine, è lo stesso. Abbiamo assistito, nel corso degli ultimi due anni, a una serie di interventi di politica economica. In particolare, nel corso di quest'anno vi sono stati numerosi e incisivi, adoperato come aggettivo neutrale, interventi di politica economica. Possiamo, naturalmente, discutere sulla loro efficacia, sul loro significato politico e non sarò io ad impostare una discussione di questo tipo, ma sono stati aperti una serie di cantieri.
Noi economisti della Banca d'Italia e la Banca d'Italia in più occasioni pubbliche, in audizioni parlamentari, ma anche in discorsi pubblici del governatore, abbiamo espresso valutazioni tecniche su questi interventi di politica economica e spesso ci siamo ritrovati ad affermare - io stesso l'ho dichiarato un paio di volte in questa mia relazione - che è un primo passo, che va nella direzione giusta, ma è un primo passo. Altri passi devono seguire. Questo è, sinteticamente, il nostro pensiero.
Se la legge di stabilità, se questo specifico strumento legislativo sia o meno adeguato in questo quadro strategico, certamente non spetta a me dirlo.

PRESIDENTE. Ringrazio la Banca d'Italia e il dottor Salvatore Rossi per il suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.


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