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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
3.
Mercoledì 24 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti di Confindustria (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 10 11 12
Baretta Pier Paolo (PD) ... 8
Borghesi Antonio (IdV) ... 9
Brunetta Renato (PdL) ... 7 11
Cambursano Renato (Misto) ... 7
Duilio Lino (PD) ... 9 11
Giaretta Paolo (PD) ... 8
Panucci Marcella, Direttore generale di Confindustria ... 3 10 11 12
Polledri Massimo (LNP) ... 8
Rubinato Simonetta (PD) ... 12
Schettino Elio, Direttore area fisco, finanza ewelfare di Confindustria ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta antimeridiana di mercoledì 24 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di Confindustria.
È presente la dottoressa Marcella Panucci, nuovo direttore generale di Confindustria, alla quale diamo il benvenuto in questa veste di fronte alle Commissioni riunite, accompagnata dal dottor Luca Paolazzi, dal dottor Elio Schettino, dalla dottoressa Patrizia La Monica, dalla dottoressa Simonetta Pompei, dalla dottoressa Simona Finazzo e dal dottor Nazzareno Tentella, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola alla dottoressa Marcella Panucci per lo svolgimento della relazione.

MARCELLA PANUCCI, Direttore generale di Confindustria. Grazie presidente, onorevoli deputati e senatori. Vi ringrazio molto per l'invito a questa audizione che mi permette di svolgere alcune considerazioni sul disegno di legge di stabilità, che rappresenta un passaggio chiave per delineare le scelte di politica economica per il prossimo futuro.
Leggerò un testo breve, mentre depositeremo agli atti delle Commissioni un testo più corposo che contiene tutte le nostre considerazioni tecniche.
Per compiere una valutazione completa ed esaustiva, occorre aver chiaro l'obiettivo da raggiungere: mettere in sicurezza i conti pubblici e porre le premesse per far ripartire la crescita nel nostro Paese.
Per l'effetto congiunto dei problemi strutturali emersi con la bassa crescita nel periodo pre-crisi e della profondità della recessione del 2008-2009, l'Italia, nel primo decennio degli anni Duemila, è risultata il Paese dell'area dell'euro che è cresciuto al ritmo più lento, ovvero circa un terzo della media, meno della metà della Germania, quasi un terzo della Francia.
Negli ultimi venti anni abbiamo registrato un arretramento competitivo testimoniato da tre indicatori: l'aumento del costo del lavoro nettamente superiore all'incremento della produttività, l'elevato e persistente deficit nelle partite correnti dei conti con l'estero e la difficoltà dell'export a tenere il passo con l'aumento del volume della domanda nei mercati di riferimento.
Per rilanciare lo sviluppo italiano si deve intervenire sulla competitività e ciò deve rappresentare il punto di riferimento che ispiri tutte le decisioni di politica economica di oggi e degli anni a venire. Riconquistare credibilità presso i partner


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europei e i mercati finanziari è stata la priorità dell'azione del Governo Monti e in questo ultimo anno sono state adottate misure importanti e coerenti con questo obiettivo. Confindustria le ha sostenute e le sosterrà, perché senza l'equilibrio nei conti pubblici questo Paese non ha prospettive e perché la disciplina di bilancio costringe a ripensare e modernizzare il ruolo dello Stato.
Le politiche restrittive decise a livello europeo - come dimostrano le analisi del nostro centro studi e del Fondo monetario internazionale - rischiano, però, in assenza di interventi pro crescita anche a livello europeo, di creare una spirale negativa tra minor reddito e allontanamento degli obiettivi di finanza pubblica.
Affinché la stessa politica di risanamento dei conti sia efficace occorre, quindi, impiegare tutte le risorse disponibili per aumentare la competitività e la capacità di crescita del Paese. Con le manovre del 2011, la pressione fiscale complessiva nel nostro Paese è sensibilmente cresciuta, dal 42,5 per cento del 2011 al 44,7 per cento di quest'anno e aumenterà di quasi mezzo punto nel 2013. Con gli interventi in materia di gettito IMU (imposta municipale unica), giochi, accise e IVA si è anche avviato un percorso di diversa distribuzione del carico fiscale, che ha spostato il prelievo verso i consumi e i patrimoni. La pressione fiscale diretta, però, non è diminuita. In questo quadro va sottolineato, in particolare, l'elevato livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese, che ancora differenzia e penalizza il nostro Paese rispetto ai partner europei.
Infatti, nel 2011, il cuneo è risultato il secondo più elevato tra i 34 Paesi OCSE, pesando per il 53,5 per cento del costo del lavoro - considerando anche l'IRAP, il TFR e la trattenuta INAIL - contro una media OCSE del 35,4 per cento e dell'Unione europea a quindici del 41,9 per cento.
Inoltre, sempre per quanto riguarda le imprese, gli oneri fiscali e contributivi complessivi, cioè il total tax rate, nel 2012 tocca il 68,3 per cento dei profitti. Il total tax rate italiano si è ridotto negli ultimi anni, ma resta uno dei più elevati tra i Paesi industrializzati; è, infatti, più alto rispetto a quelli della Francia (65,7 per cento), degli Stati Uniti (46,7 per cento), della Germania (46,8 per cento), della Spagna (38,7 per cento) e del Regno Unito (35,5 per cento).
Pertanto, è proprio su questi aspetti che bisogna intervenire per rilanciare la competitività del Paese. Occorre tracciare un percorso di riduzione della pressione fiscale diretta sul lavoro dipendente e sulle imprese, concentrandosi su pochi, chiari obiettivi. Oggi, le risorse disponibili non consentono di incidere in modo sostanziale sul cuneo fiscale; ma, se la riduzione del cuneo venisse assunta come obiettivo con costanza, nel lungo periodo, senza disperdere le scarse disponibilità della finanza pubblica su troppi fronti, i benefici non tarderebbero ad arrivare.
Confindustria ritiene, pertanto, essenziale agire fin da subito, destinando alla riduzione del cuneo fiscale tutte le risorse che il rigore nella gestione dei conti pubblici e l'azione di contrasto all'evasione fiscale libereranno. Queste risorse, se sommate nel tempo, possono fare massa critica e riuscire davvero a riportare il cuneo sulla media dei Paesi europei.
Altrettanto prioritario, sempre per accrescere la competitività e, quindi, l'occupazione e le retribuzioni, è sostenere gli investimenti in innovazione delle imprese, disegnando un credito di imposta strutturale per le spese in ricerca e sviluppo. A questo fine, oltre che con una migliore riallocazione delle spese, le risorse possono essere reperite attraverso una razionalizzazione degli incentivi e dei sussidi esistenti che va, pertanto, portata a compimento in tempi rapidi.
Rispetto a queste priorità e, più in generale, a un recupero di competitività e crescita, il disegno di legge di stabilità non delinea interventi chiari e decisi. Le riduzioni delle imposte sono, infatti, quasi interamente coperte da aumenti di altre imposte e hanno un impatto comunque molto modesto sulla crescita.


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La riduzione delle aliquote IRPEF (minor gettito a regime di circa 6 miliardi di euro), al netto degli interventi su detrazioni e deduzioni, è di 4,8 miliardi di euro a regime. L'intervento si distribuisce su un amplissimo numero di soggetti, con effetti unitari modesti anche sul lavoro dipendente, senza ridurre la parte relativa al costo del lavoro del cuneo fiscale. Agendo, invece, sulla detrazione per lavoro dipendente e sull'IRAP, gli effetti positivi della riduzione del cuneo sarebbero ben più evidenti e rappresenterebbero una precisa scelta di rotta.
Sono sicuramente positivi la proroga e l'aumento dello stanziamento delle misure per l'incremento della produttività del lavoro, stanziamento che andrebbe, tuttavia, reso strutturale. Agire sulla produttività del lavoro è essenziale. Proprio in questi giorni stiamo lavorando a un accordo per rendere gli incrementi retributivi funzionali alla competitività del sistema produttivo, proseguendo così nel percorso avviato nel 2009 e nel 2011, per valorizzare la contrattazione aziendale come momento centrale per il recupero della produttività.
L'obiettivo è rafforzare le scelte già compiute con l'accordo del 28 giugno 2011, aggiungendo un ulteriore importante tassello al quadro di regole con questo definite, ossia la possibilità di incidere sulla parte economica, per la prima volta demandando al secondo livello di contrattazione e ancorando a parametri di produttività parte del salario definito nel contratto collettivo nazionale.
Questa misura, tuttavia, non è da sola sufficiente a consentire un recupero in termini di maggiore competitività e crescita, soprattutto perché è controbilanciata dai tanti interventi che finiscono per inasprire il prelievo fiscale sulle imprese. Infatti, nonostante la positiva riduzione di un punto del previsto aumento delle aliquote IVA, per raggiungere questo obiettivo e - contemporaneamente - ridurre l'IRPEF, si aggrava il carico fiscale direttamente o indirettamente sulle imprese. Ci riferiamo alla riduzione del coefficiente di deducibilità delle auto aziendali, che si cumula con l'analoga riduzione prevista come parte della copertura della riforma Fornero sul mercato del lavoro, e che pure andrà in vigore dal 1o gennaio prossimo; al rinvio degli effetti fiscali del riallineamento dei valori di partecipazione per banche e holding industriali; infine, alla stabilizzazione degli incrementi di accisa sui carburanti, introdotti temporaneamente per finanziare gli interventi di soccorso e ricostruzione seguiti al terremoto che ha colpito l'Emilia.
Molto preoccupante è anche la riduzione della dotazione finanziaria per l'erogazione dei rimborsi di imposta, che potrebbe rallentarli, accentuando così i problemi finanziari delle imprese. Questo fatto è tanto più grave nell'attuale fase di restrizione del credito bancario che sta minacciando la sopravvivenza stessa di molte aziende.
Andrebbe ripensata, rispetto alle possibili ricadute negative, la scelta di anticipare a livello nazionale l'introduzione di una financial transaction tax. Il processo, che porterà a una chiara e dettagliata proposta di questa tassa - armonizzata sia pure solo tra 10 dei 27 Stati dell'Unione europea - è appena all'inizio, e i punti da concordare sono tanti. Sarebbe, dunque, auspicabile che l'implementazione in Italia di una nuova tassa di questo tipo avvenisse di pari passo, e in coerenza con il processo europeo.
Riscontriamo luci e ombre anche sulla qualità dei tagli alla spesa. Un'azione più incisiva e strutturale di spending review è essenziale per reperire le risorse necessarie a ridurre in modo sostanziale il cuneo fiscale e contributivo. Al contrario, pur essendo presenti nel disegno di legge di stabilità misure positive di razionalizzazione della spesa pubblica e interventi condivisibili per incrementare i controlli e la trasparenza anche su regioni e enti locali, l'azione ancora è troppo timida e non strutturale. La riduzione delle spese appare, infatti, modesta (circa 3,8 miliardi di euro nel 2013) e, peraltro, quasi interamente pareggiata da maggiori spese (4 miliardi nel 2013, 3 miliardi nel 2015). Inoltre, manca un'analisi approfondita dei meccanismi attraverso i quali la spesa


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pubblica viene generata, per cui i tagli si traducono sostanzialmente in operazioni lineari; quelli operati sugli enti territoriali ammontano complessivamente a 2,2 miliardi di euro l'anno; in materia sanitaria sono pari a 600 milioni di euro nel 2013 e a un miliardo di euro dal 2014. Peraltro, i tagli alla spesa sanitaria finiscono per ricadere soltanto sui fornitori privati di beni e servizi, ma non toccano altrettanto incisivamente le inefficienze organizzative e l'articolazione delle strutture ospedaliere.
È, invece, necessario, soprattutto in questo settore, abbandonare la logica degli interventi tampone e ripensare complessivamente il sistema, secondo criteri di efficienza e innovazione. La sostenibilità nel tempo della copertura universalistica va perseguita non attraverso politiche di decurtazione degli acquisti, a danno di settori tecnologicamente importanti e competitivi, bensì attraverso lo sviluppo del secondo pilastro sanitario, sostenuto da adeguate politiche fiscali.
Infine, poiché non si interviene sui meccanismi di fondo, questi tagli, oltre che lineari, rischiano di essere anche temporanei, come già accaduto in passato, e di tradursi in una diminuzione della spesa per investimenti - come prospettato nella stessa relazione tecnica allegata al disegno di legge di stabilità -, e in un aumento della pressione tributaria e tariffaria locale.
Sempre a sostegno di politiche per la crescita e, in particolare, alla riduzione del cuneo fiscale contributivo andrebbero destinati anche i futuri risparmi nella spesa per interessi, per conseguire i quali è possibile far leva su due fattori: il primo è la credibilità come Paese. Infatti, per ridurre lo spread sui tassi occorre proseguire nel percorso delle riforme strutturali portate avanti da questo Governo (tempi della giustizia, tempi di pagamento della pubblica amministrazione, semplificazione burocratica, ordinamento fiscale più europeo e così via). Il secondo fattore è la riduzione del debito, anche attraverso le dismissioni patrimoniali. A questo fine, occorre che il Governo dia seguito agli impegni già assunti di provvedere a dismissioni che abbattano il debito per un importo pari a circa l'1 per cento del PIL all'anno.
Infine, per completare l'esame dei principali interventi del disegno di legge in esame, sul piano della crescita vanno valutate positivamente le maggiori risorse (circa 1,3 miliardi di euro) destinate alla realizzazione di alcune grandi opere. Al riguardo, occorre, però, evitare che i tagli agli enti locali, incidendo sulla spesa in conto capitale, finiscano per annullare gli effetti positivi di questa disposizione.
Per questo motivo, occorre rimodulare le regole del patto di stabilità interno, in modo da isolare e proteggere la spesa per investimenti, trasferendo e concentrando i vincoli del patto sulla sola spesa corrente. Da questo punto di vista, è, inoltre, positivo, con riferimento al Mezzogiorno e alle altre aree sottoutilizzate, che - contrariamente agli anni passati - non siano stati operati tagli massicci alle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione (ex FAS) dedicate agli investimenti. In più, il rifinanziamento del fondo di rotazione per il cofinanziamento dei fondi strutturali garantisce per il futuro la possibilità di utilizzare le risorse europee.
Delude, invece, l'assenza nel testo del disegno di legge di stabilità delle norme di attuazione della direttiva «Late Payments». Infatti, diversamente da quanto anticipato nel corso dell'incontro con le parti sociali, il Governo ha espresso soltanto un generico riferimento alla volontà di attuare la direttiva. A questo riguardo, è paradossale che si continui a prender tempo su un provvedimento tanto atteso dalle imprese, mentre si anticipa il recepimento di una direttiva che ancora non c'è, ovvero quella in materia di imposizione sulle transazioni finanziarie.
Rendere operativa la direttiva sui pagamenti e fissare termini inderogabili per la pubblica amministrazione è invece urgente e non rinviabile. Non si tratta solo di ristabilire un corretto rapporto tra amministrazioni pubbliche e fornitori, centrale in ogni Paese civile, ma soprattutto di mettere fine alla grave crisi di


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liquidità in cui versano le imprese, in una fase caratterizzata da forti restrizioni nell'accesso al credito.
In conclusione, Confindustria è più che mai convinta dell'urgenza di operare scelte chiare e coraggiose che favoriscano la competitività e la crescita. Anche la legge di stabilità, pur con spazi ristretti di manovra, deve contribuire, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse, a orientare la politica economica al perseguimento di tali obiettivi.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie a lei per la sintetica ed efficace relazione. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO BRUNETTA. Nel condividere nella totalità il ragionamento svolto dal direttore generale di Confindustria, non posso esimermi dall'evidenziare una contraddizione.
L'incipit del discorso del rappresentante di Confindustria parla di riacquistata o di maggior credibilità del nostro Paese nell'ultimo periodo, salvo poi declinare una serie di giudizi negativi in tema di politica economica, in particolare sulle politiche restrittive, fino al disegno di legge di stabilità, per passare attraverso l'aumento della pressione fiscale nell'ultimo anno (quasi 3 punti, da quasi 43 a quasi 45).
Tenendo conto poi che la politica economica di questo Governo è in perfetta continuità rispetto a quella del Governo precedente - pensiamo all'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, nonché alle manovre fatte a dicembre, ivi compresa quest'ultima - mi chiedo, al di là dei luoghi comuni, a cosa si riferisca l'aumentata credibilità. Forse si riferisce al cambio del Presidente del Consiglio, della compagine governativa, al cambio da un Governo legittimamente eletto rispetto a uno di tecnici? Ecco, sarei grato, senza amor di polemica, se l'esponente di Confindustria mi spiegasse questo aspetto.
Fatta questa premessa, concordo pienamente rispetto al resto della relazione, con particolare riferimento ai temi della pressione fiscale, della riduzione della pressione fiscale e del cuneo fiscale. Su questo, come relatore per il disegno di legge di stabilità - insieme in ogni caso alla mia parte politica - oggi abbiamo già espresso, in una conferenza stampa, una precisa indicazione strategica, che punta proprio alla riduzione del cuneo fiscale, che ricordo essere fatto di IRPEF, di IRAP e di contributi.
La pressione fiscale non è altro che il rapporto tra gettito complessivo e PIL, per cui riduzione del cuneo fiscale significa ridurre la tassazione sul lavoro, sulle imprese e gli oneri che gravano sui datori di lavoro e sui lavoratori.
Pertanto, concordo pienamente su questo e anche sul fatto che tutte le risorse rivenienti dall'operazione di risanamento debbano essere destinate alla riduzione del cuneo, vale a dire alla riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese: ogni risorsa, da questo punto, deve essere indirizzata a questo fine.

RENATO CAMBURSANO. Spero che il direttore possa rispondere alla domanda che sto per porle in tempo utile perché, purtroppo, alle 15 sono impegnato in Aula in una seduta di question-time.
Sentire il collega Brunetta interloquire con lei su questioni che attengono a valutazioni politiche mi sembra strano, anche perché presumo non sia un suo compito. Comunque, darà lei la risposta.
Giustamente, lei, direttore, ha evidenziato il problema principale di questo Paese che - dopo aver messo in ordine i conti - è quello di far ripartire la crescita. In questi anni abbiamo sentito tante parole magiche: crisi, crescita, sviluppo. Poi, sono arrivati anche i decreti cosiddetti «salva Italia», «cresci Italia», «semplifica Italia» e così via. Vi sono state tante iniziative legislative per andare verso la crescita. L'ultima, in ordine di tempo, è il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che, all'articolo 23, ha istituito il fondo per la crescita sostenibile per le aree a rischio di deindustrializzazione. Ora, all'esame del Senato c'è il decreto cosiddetto «sviluppo


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2», che riprende sostanzialmente gli stessi concetti. Sono state istituite le zone a burocrazia zero (ZBZ), che la legge di stabilità per il 2012 estendeva anche al nord. Allora, chiedo se tutti questi strumenti abbiano funzionato per favorire la ripresa della crescita. Inoltre, è sostenibile da parte di Confindustria un rifinanziamento di questi strumenti, ovviamente se hanno funzionato? Ciò sarebbe importante per andare finalmente verso la crescita, soprattutto nelle zone che hanno una forte tradizione industriale, ma che per ragioni di crisi stanno perdendo queste opportunità.

MASSIMO POLLEDRI. Vorrei porre tre domande al direttore di Confindustria, che ringrazio.
In primo luogo, visto che il vostro centro studi funziona, avete compreso la portata della manovra - forse, il Governo non ci ha fornito dati sufficienti - riguardo ai vantaggi e agli svantaggi modulati di IRPEF e di IVA? Insomma, vorrei sapere se vi emoziona l'idea della riduzione dell'IRPEF, che non si sa quanto impatti, tralasciando l'effetto delle detrazioni e deduzioni, che sarà un'amara sorpresa, e lo scambio con l'IVA.
Inoltre, il vostro presidente, in un consesso al nord, citato anche dal relatore, ha parlato dell'idea di togliere gli incentivi e utilizzarli per abbattere l'IRAP e altre cose di questo tipo. Pensate che questa sia una buona idea? Il relatore, tra l'altro, aveva rilanciato questa proposta.
In terzo luogo, sento spesso dire che ci vuole coraggio nel tagliare. Poi, però, se tagliamo sugli enti locali, questi non fanno più partire i lavori, quindi ci si lamenta. In ogni caso, vi siete accorti del fatto che il federalismo fiscale, con il bel meccanismo del costo standard, è stato messo nel cassetto da questo Governo? Vi dispiace questo?

PAOLO GIARETTA. La ringrazio dell'interessante contributo. Vorrei riprendere due temi trattati nella sua esposizione, che effettivamente appaiono alquanto singolari nella proposta del Governo.
Il primo è che si incominciano a utilizzare i dati emergenti dal lavoro del commissario straordinario per la revisione della spesa per giustificare degli eccessi di spesa nel settore pubblico, quindi per introdurre delle ulteriori riduzioni di trasferimenti. Il dato singolare è che queste riduzioni vengono ancora effettuate in modo del tutto lineare, in modo che, come avete sottolineato ad esempio per il settore sanitario, i tagli agiscono sia su organismi che hanno già fatto una riorganizzazione, una ricontrattazione delle forniture, d'intesa con i fornitori, sia su chi non ha fatto questo lavoro, generando una fortissima disparità per le aziende fornitrici, alcune delle quali hanno margini per un'ulteriore ricontrattazione, mentre altre li hanno esauriti.
L'altra questione singolare è che da tempo il professor Giavazzi, all'uopo incaricato dal Presidente del Consiglio, ha consegnato un rapporto su una possibile ridefinizione del sistema della contribuzione alle imprese, ma di questo lavoro non c'è ancora un recepimento negli atti normativi, anche se l'altro giorno il Ministro Grilli ha annunciato che, a breve, dovrebbe presentare al Parlamento delle proposte.
Ecco, vorrei sapere se avete fatto una valutazione dei risultati a cui è pervenuto il professor Giavazzi con la sua équipe e quanta parte della cifra da lui individuata ritenete sia effettivamente mobilitabile, senza danneggiare quel po' di politica industriale esistente nel nostro Paese, sempre nell'ipotesi che questa riduzione sia tutta concentrata in un'operazione di riduzione del cuneo fiscale.

PIER PAOLO BARETTA. Vorrei formulare due osservazioni. La prima è sulla produttività. Penso anch'io - come ho detto anche nella relazione di questa mattina - che è bene che l'intervento previsto dal disegno di legge diventi strutturale e non temporaneo. Aggiungo anche che non dovrebbe nemmeno essere dipendente dal raggiungimento di un eventuale accordo, perché è uno stimolo obiettivo che deve andare oltre la congiuntura immediata.


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Peraltro, ci sono molte partite che possono essere collegate all'eventuale utilizzo di quelle risorse destinate alla produttività, in tutte le forme anche integrative, anche riguardo al welfare o a un intervento più generale. In ogni caso, sarebbe già importante che diventasse strutturale - certo, c'è un problema di risorse - e che comunque non sia dipendente esclusivamente dal raggiungimento di un accordo.
Vengo alla seconda considerazione. Vorrei sapere se ho capito bene. Se le risorse dell'IRPEF andassero al cuneo fiscale e se le risorse Giavazzi andassero a ricerca e sviluppo o affini, voi considerereste questo riequilibrio della manovra non solo accettabile, ma condivisibile. Se, quindi, le risorse dell'IRPEF andassero al cuneo fiscale, ovviamente tenendo conto anche dei redditi da lavoro e non soltanto del risultato di impresa, questo riequilibrio troverebbe un vostro gradimento, al di là delle valutazioni politiche, nel senso che considerereste più equilibrata questa manovra. Ho capito bene?

LINO DUILIO. Innanzitutto, le faccio gli auguri per il suo lavoro, visto che è la prima volta che viene qui come direttore generale di Confindustria.
La prima domanda è relativa alla pressione fiscale. Vorrei sapere se dalle analisi condotte dal vostro centro studi, vi è qualche simulazione che consenta di prefigurare più puntualmente quali possano essere gli effetti di un eventuale - peraltro auspicabile - calo della pressione fiscale. Del resto, se ne parla molto da tempo, ma il problema è come riusciamo a realizzarlo, tenendo conto del quadro di compatibilità e della grossa area di evasione fiscale. Se avessimo fatto pagare sullo scudo fiscale, anziché una mancia, qualcosina in più, forse oggi avremmo qualche soldo in più nelle casse dello Stato.
Chiusa la parentesi e guardando avanti, mi interessa di più, strutturalmente, sapere se disponete di informazioni per cui, a seguito di questa auspicabile riduzione della pressione fiscale, l'incremento del reddito disponibile, che sia utilizzabile per la crescita della domanda - che poi ha effetti benefici sul PIL in termini di differenziali di crescita - si diriga deterministicamente verso beni di produzione nazionale e non necessariamente verso analoghi beni prodotti, invece, altrove.
Pongo questa domanda perché risulta, da qualche riflessione svolta, che potremmo anche andare incontro a una eterogenesi dei fini, e cioè incrementare il reddito disponibile - cosa peraltro auspicabile - senza ottenere l'effetto desiderato. Quindi, vorrei sapere se disponete di una qualche simulazione che ci conforti in questa direzione e che renda l'auspicabile incremento il più ravvicinato possibile.
Passo alla seconda domanda. In un'audizione fatta in questa sede, non ricordo se col Ministro dell'economia e delle finanze, ma comunque con un autorevole esponente del Governo, è emerso che sui 6 miliardi e oltre di euro stanziati per rimborsare alle imprese i crediti nei riguardi della pubblica amministrazione, pur «inseguendo» queste imprese - lo dico io con ironia -, è avanzata una cifra consistente, pari a 1-1,5 miliardi di euro, il che ci ha stupito molto e non siamo riusciti ancora a capire come mai si verifichi questo fenomeno.
Insomma, come mai succede che di fronte al coro che lamenta il mancato rispetto di tempi fisiologici da parte della pubblica amministrazione nei riguardi dei pagamenti nei confronti delle imprese, poi, sia pure relativamente a uno stanziamento che tutti abbiamo considerato non ottimale, ma era quello possibile, nei fatti esso non è stato utilizzato e tuttora rimane una cifra piuttosto consistente? Quindi, vorrei sapere se questo le risulta e per quale motivo accade.

ANTONIO BORGHESI. Vorrei fare solo una considerazione e porre una domanda. Si ha quasi la sensazione che gli industriali italiani abbiano alzato bandiera bianca. In pratica, nella mutazione che c'è stata, chi ha potuto ha delocalizzato, invece chi non ha potuto ha ceduto, o si è dedicato ad attività finanziarie anziché industriali, o si è nascosto nel sistema


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delle concessioni, dalle autostrade ai servizi pubblici locali e così via.
Sembra, quindi, che stia venendo meno la volontà del sistema industriale italiano di investire ancora in questo settore. Questa è una sensazione, mi piacerebbe sapere se avete delle valutazioni su questo aspetto. Certamente, la parte politica deve assumere interventi ben diversi per rendere possibili gli investimenti e quant'altro, ma c'è anche la sensazione che quello spirito imprenditoriale di cui siamo sempre stati orgogliosi stia venendo meno proprio nelle persone.

PRESIDENTE. Do ora la parola alla dottoressa Panucci per la replica.

MARCELLA PANUCCI, Direttore generale di Confindustria. Grazie, presidente. Procedo per ordine. Mi scuso se dimenticherò qualcosa; in tal caso, vi prego di richiamarmi ai vari interventi.
Onorevole Brunetta, la questione della credibilità non era una critica al precedente Governo, ma una constatazione legata all'abbattimento della spesa per gli interessi, dovuto a un abbassamento dello spread conseguente a un'azione di rigore dei conti pubblici e al prossimo raggiungimento del pareggio di bilancio.
Onorevole Cambursano, sulla crescita sicuramente ci sono stati diversi provvedimenti positivi, tuttavia ancora ci sono molte norme che vanno attuate. Come sa, Il Sole 24 Ore sta facendo un monitoraggio su questo e, sicuramente, avremo la possibilità di svolgere una valutazione di impatto più accurata quando le norme saranno tutte attuate.
Onorevole Polledri, su vantaggi e svantaggi della modulazione di IRPEF e IVA, abbiamo detto che non ci appassiona questo scambio, nel senso che riteniamo che abbia un impatto comunque modesto, anche se è indice di uno spostamento della tassazione dalle persone alle cose, il che è sicuramente positivo. Tuttavia, è poco incisivo. Di conseguenza, riteniamo che se si cominciassero ad accumulare le risorse investendole su una riduzione del cuneo fiscale - nel senso di quota lavoratore e quota imprese - l'impatto sarebbe più positivo sulla crescita.
Sulla questione di ridurre gli incentivi, purché ci sia una riduzione della pressione fiscale, la presa di posizione del presidente era chiara. Poi, il rapporto Giavazzi dà alcune indicazioni, che, però, andrebbero chiarite e rispetto alle quali andrebbe verificata la quantità di incentivi disponibili per questo scambio. Comunque, è uno scambio che si potrebbe fare o riducendo la pressione fiscale oppure utilizzando le risorse disponibili per il credito di imposta per investimenti in ricerca e innovazione. Insomma, si tratta di utilizzare la leva fiscale sempre a scopo di crescita.
Senatore Giaretta, lei parlava della metodologia utilizzata per realizzare la spending review. Leggendo la relazione tecnica allegata al provvedimento, si nota che in alcuni settori, anche in quello della sanità, la metodologia di analisi è stata selettiva. Tuttavia, forse per ragioni di tempo o di facilità di applicazione, i tagli si sono risolti in tagli lineari, svantaggiando quelle aziende sanitarie che avevano meccanismi di spesa più virtuosi e avvantaggiando le altre.
In merito al rapporto Giavazzi, va verificata l'entità degli incentivi. Certo, bisognerebbe andare avanti su quella strada per poi perseguire le finalità di cui abbiamo parlato.
Onorevole Baretta, la sua interpretazione della nostra posizione è corretta. Intendiamo questo riequilibrio come l'avvio di un percorso, perché ci rendiamo conto che le risorse attualmente disponibili, anche se utilizzate per ridurre il cuneo fiscale, non avrebbero un impatto immediatamente rilevante. Sarebbero, però, un segnale molto importante di un percorso che il nostro Paese vuole avviare e proseguire in maniera costante. Questo sarebbe necessario per riportarci sulle medie degli altri Paesi, perché non dimentichiamo che i punti percentuali di differenza tra noi e gli altri, per quel che riguarda il cuneo fiscale, sono moltissimi. Insomma, c'è un macigno sulle nostre imprese, quindi, se cominciassimo a riequilibrare


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questo aspetto sicuramente avremmo fatto un passo avanti significativo.
Onorevole Duilio, circa il calo della pressione fiscale, abbiamo dato dei suggerimenti nel documento che abbiamo lasciato alle Commissioni riunite. Non essendo possibile reperire risorse altrove, gli unici due strumenti sono una spending review strutturata e svolta periodicamente in maniera accurata da tutte le amministrazioni pubbliche - che sicuramente potrebbe fare emergere risorse che potrebbero essere meglio utilizzate per la riduzione della pressione fiscale - e la lotta all'evasione fiscale. Questi sono i due strumenti che abbiamo individuato e sui quali pensiamo che il Governo e il Parlamento debbano andare avanti in maniera rigorosa.
Onorevole Borghesi, mi costringe a darle una risposta molto decisa. Non sono assolutamente d'accordo con lei. Le imprese italiane non hanno alzato bandiera bianca. Se le imprese italiane lo avessero fatto, non saremmo qui a parlare né io, né i miei colleghi. Le imprese italiane continuano a investire, pur con le somme difficoltà di questo periodo e con l'assenza quasi totale di liquidità, e a fare il proprio lavoro. Questo fa sì che l'Italia possa ancora dire di essere il secondo Paese manifatturiero in Europa. Mi dispiace, ma non accetto questo suo rilievo.
Quanto alla domanda dell'onorevole Polledri, Confindustria è sempre stata favorevole al federalismo fiscale, se responsabile, controllato e serio. Invero, i provvedimenti attuativi non sono stati adottati, quindi è rimasto un ibrido difficile da capire e anche da applicare. Questo ha portato, purtroppo, ai risultati che vediamo. A ogni modo, la nostra posizione rimane sempre quella.

LINO DUILIO. Ero curioso di avere la vostra opinione sul discorso, che ci è stato fatto ad altissimo livello, che le imprese non chiedono i soldi, anche quando ci sono.

MARCELLA PANUCCI, Direttore generale di Confindustria. Lei chiedeva perché le imprese non hanno utilizzato, «tirato» i miliardi di euro che erano stati previsti. A parte che il pagamento avveniva in BOT, mancavano le indicazioni su come sarebbe avvenuto e quale sarebbe stato il tasso d'interesse applicato. Quindi, di fatto, non era possibile per le imprese aderire a questa iniziativa.

ELIO SCHETTINO, Direttore area fisco, finanza e welfare di Confindustria. Giusto per fare chiarezza, in genere il rimborso non avviene attraverso una richiesta dell'impresa, cioè vengono stanziate delle risorse e lo Stato paga. In questo caso, il meccanismo era particolare, perché l'impresa faceva richiesta per essere pagata, non in liquidità, ma attraverso l'emissione di BOT.
Peccato, però, che mancassero i decreti attuativi per quanto riguarda l'emissione dei BOT e il tasso di riferimento applicabile. In sostanza, se un soggetto è pagato in BOT, dovrebbe sapere anche qual è il tasso d'interesse che gli si applica. Peccato che tutto questo è stato stabilito con un decreto all'inizio di settembre. Quindi, è difficile per un'impresa fare una domanda se non ha un quadro di riferimento chiaro. Questo è il problema fondamentale. I 2 miliardi di euro a cui si fa riferimento riguardano solo una procedura particolare per cui l'impresa chiede di non essere pagata in contanti, ma in BOT con riferimento ad un determinato credito.
Tenga presente, poi, che quello dei ritardati pagamenti è un problema di liquidità per l'impresa e quindi un'impresa che aspetta più di due anni per essere pagata ha un problema di cassa, non patrimoniale, cioè di avere in bilancio i BOT.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre altre domande o svolgere ulteriori osservazioni.

RENATO BRUNETTA. Con grande simpatia, gentile dottoressa, se lei correla la credibilità all'andamento degli spread e questi vengono misurati in termini di rendimento


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medio dei titoli decennali o rendimento medio ponderato di tutti i titoli emessi, le devo dare una delusione, perché nell'anno di Governo Monti, rispetto all'ultimo anno del Governo precedente - prenda qualsiasi punto di riferimento, poi, il dottor Paolazzi le potrà dare dati esaustivi - il rendimento medio dei titoli decennali, presi come indicatore, è superiore.
Quindi, se lei correla la credibilità agli andamenti dello spread, purtroppo questa sua correlazione la porta a un risultato opposto. Mi aspettavo, invece, una risposta più articolata e complessa.

SIMONETTA RUBINATO. La mia osservazione non c'entra con l'audizione di oggi. Tuttavia, sentendo parlare di pagamenti alle imprese, mi sono tornate alla mente le osservazioni del professor Antonini nelle audizioni sul decreto-legge n. 174 del 2012 sul controllo degli enti territoriali.
Infatti, è stato rilevato anche dal professor Antonini che la copertura di poco meno di 2 miliardi di euro per la nuova procedura che viene introdotta per l'accompagnamento degli enti in cosiddetto «pre-dissesto», sarebbe trovata nel fondo a cui si attinge per il pagamento alle imprese. Cosa ne pensate?

MARCELLA PANUCCI, Direttore di Confindustria. La sua è una domanda che non richiede risposta: è intuitiva la nostra risposta. Apprezzo il chiarimento dell'onorevole Brunetta, anzi lo ringrazio per aver condiviso le nostre valutazioni sul disegno di legge di stabilità e anche le nostre proposte.

PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Panucci, anche per il suo stile diretto all'essenziale, e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

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