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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
4.
Mercoledì 24 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti del Forum del Terzo settore e di rappresentanti dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 8 9 10
Barbieri Pietro, Presidente della Federazione italiana per il superamento dell'handicap ... 9
Brunetta Renato (PdL) ... 10
Castronovo Giuseppe, Presidente dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra ... 7 9
Guerini Giuseppe, Presidente di Confcooperative-Federsolidarietà ... 6
Menetti Paola, Presidente di Legacoopsociali ... 6
Olivero Andrea, Portavoce del Forum del Terzo settore ... 3
Serio Roberto, Segretario generale dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra ... 8

Audizione di rappresentanti dell'ANCE (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 10 12 13
Brunetta Renato (PdL) ... 13
Buzzetti Paolo, Presidente dell'ANCE ... 10
Campana Giuliano, Vice Presidente dell'ANCE con delega all'area tributaria, economico-fiscale ... 12

Audizione di rappresentanti dell'ABI, di rappresentanti di Assonime e di rappresentanti dell'ANIA (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 13 16 20 22 25
Abete Luigi, Presidente di Assonime ... 16 26
Baretta Pier Paolo (PD) ... 23
Brunetta Renato (PdL) ... 23
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 23
Duilio Lino (PD) ... 24
Minucci Aldo, Presidente dell'ANIA ... 20 27
Polledri Massimo (LNP) ... 28
Sabatini Giovanni, Direttore generale dell'ABI ... 13 25
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 24 ottobre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Forum del Terzo settore e di rappresentanti dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti del Forum del Terzo settore e di rappresentanti dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
Do la parola ai nostri auditi.

ANDREA OLIVERO, Portavoce del Forum del Terzo settore. Grazie per averci invitato a questa audizione. Noi abbiamo la necessità di fare presente alle Commissioni riunite che vi è un forte disagio da parte nostra rispetto alle scelte e alle decisioni assunte dal Governo attraverso il disegno di legge di stabilità, in quanto vediamo riprodotti, ancora una volta, alcuni attacchi al nostro mondo, in particolare al terzo settore italiano. Lo sottolineiamo ora come premessa, poi nel mio intervento e in quello di alcuni colleghi entreremo nel merito delle questioni.
Riteniamo che altra modalità si dovrebbe adottare nei confronti di organizzazioni sociali che stanno lavorando in una condizione di grave difficoltà, come quella che tutti conosciamo, di crisi, per mantenere una forte coesione sociale nel Paese.
Purtroppo, una serie di provvedimenti che sono stati assunti negli ultimi mesi, a partire dalla soppressione dell'Agenzia per il terzo settore, e anche le disposizioni inserite in questa manovra mettono in seria difficoltà le nostre organizzazioni, a tutti i livelli, e anche i soggetti che sono all'attenzione delle nostre organizzazioni, cioè le fasce più deboli e fragili all'interno della società.
Vengo subito alle questioni che intendo sottolineare e che richiamo per sommi capi; su alcune di queste interverranno dopo di me i presidenti di Federsolidarietà, l'organizzazione della cooperazione sociale, di Legacoopsociali e della Federazione italiana per il superamento dell'handicap (FISH).
Sollevo subito una questione rispetto all'articolo 12, commi 1 e 2, del disegno di legge di stabilità, questione di cui già si è molto dibattuto pubblicamente e che noi ribadiamo: l'effetto combinato delle manovre sull'IVA e sull'IRPEF assume rilievi di tipo paradossale, in particolare creando gravissimi inconvenienti per i cosiddetti «incapienti».
Rispetto a questa questione chiediamo che si pongano in essere dei correttivi ampi perché l'esito di un provvedimento


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che il Governo stesso ha dichiarato debba essere in qualche modo volto a garantire equità, in particolare a favore delle fasce deboli, rischia oggi di porre invece le persone più deboli e fragili in condizioni di forte penalizzazione.
In particolare, l'aumento dell'IVA colpisce maggiormente quanti sono in difficoltà, e non sono pochi, e spinge - cosa che abbiamo rilevato negli ultimi mesi con grande preoccupazione - o rischia di spingere fasce di popolazione che sono oggi in condizioni di povertà relativa (e sappiamo che questa è aumentata enormemente negli ultimi tre anni) in condizioni di povertà assoluta.
Sappiamo perfettamente - anche studi ormai consolidati ce lo confermano - che quando si passa dalla povertà relativa a quella assoluta il costo sociale per invertire la rotta e riportare le persone in una condizione di pieno esercizio della cittadinanza è altissimo, assai più ampio di quanto comporterebbe adottare piccoli provvedimenti per evitare che questo accada.
Noi auspichiamo la revisione della disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 12 del disegno di legge di stabilità, cioè la riduzione dell'IRPEF, chiedendo che non si applichi questa norma nei confronti dei soggetti titolari di reddito complessivo superiore a 40.000 euro, intendendo limitare la spesa fiscale a carico dello Stato derivante dall'abbassamento delle due aliquote IRPEF e ponendo un limite reddituale all'applicazione dell'agevolazione, quindi concentrando l'impegno fiscale effettivamente solo sui redditi più bassi. Ad oggi, ci si trova nella condizione paradossale che guadagnano di più quanti sono in condizioni reddituali maggiori.
Per quanto riguarda l'articolo 12, commi 4 e 10, del disegno di legge di stabilità, cioè la franchigia e il tetto alle deduzioni e detrazioni, osserviamo che queste disposizioni incidono fortemente su molti ambiti, tra i quali anche quelli delle agevolazioni al mondo del terzo settore.
Il terzo settore, come ho già detto, è stato a più riprese toccato e oggi vive largamente grazie a donazioni di somme - molte volte di importo limitato - da parte dei cittadini e anche di prodotti in natura a favore dei vari banchi alimentari, banchi farmaceutici, forme queste che verrebbero fortemente disincentivate dall'applicazione di queste nuove norme.
Stante l'elenco delle misure e dei regimi che determinano erosione fiscale contenuto nelle conclusioni del gruppo di lavoro sull'erosione fiscale, presieduto dall'attuale sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Vieri Ceriani, questo taglio alle erogazioni liberali del terzo settore ha un impatto modesto, circa 130 milioni di euro e l'introduzione delle norme - più franchigia e meno tetto - non azzererebbe l'importo ma lo ridurrebbe di un'importante quota parte.
Per recuperare risorse, la cui entità, commisurata al fabbisogno statale, non è certamente rilevante, si mette in ginocchio un intero sistema che con quelle poche risorse riesce a fare tanto, riesce a moltiplicarle, e credo di non dover spiegare a voi quale sia l'apporto del terzo settore, della sussidiarietà, nel produrre risorse nell'interesse della collettività.
Sappiamo benissimo che incidere oggi su questi strumenti vuol dire, in qualche misura, togliere l'ultima possibilità di finanziamento del nostro mondo, dal momento che lo Stato ha già scelto, in questi anni, di tagliare abbondantemente le risorse per il terzo settore e, più in generale, per gli ambiti sociali.
Chiediamo che si ripensi il provvedimento e (come vedrete nel testo che abbiamo depositato) di proporre alcuni emendamenti affinché, quanto meno, si evitino danni maggiori, limitando la portata del provvedimento per le organizzazioni del terzo settore.
Quanto ai commi 14 e 16 dell'articolo 12 del disegno di legge di stabilità, che dispongono l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali (sul quale, naturalmente, torneranno i colleghi), è necessario non cadere nella trappola che è stata indicata da taluni, ovvero che la disposizione sarebbe conseguente all'apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea con riferimento alla disciplina


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dell'IVA. Questo non risponde al vero: vi è stata una richiesta di chiarimenti e credo che siamo ben lungi da un'infrazione.
Bisogna, invece, valutare nella sostanza le conseguenze di un simile provvedimento sul sistema sociale italiano, sull'aumento dei costi e sull'ulteriore riduzione dei servizi; non dimentichiamo che il Fondo nazionale per le politiche sociali negli ultimi anni è stato quasi cancellato e vi sono tagli evidenti in ambiti strategici, quali l'assistenza domiciliare o la tutela di famiglie e anziani.
In più, in questi anni la cooperazione è stata la parte del terzo settore che ha più investito strategicamente nella logica dello sviluppo di un'idea di economia civile e di impresa sociale; oggi, innalzare in modo così repentino l'IVA danneggia fortemente il sistema imprenditoriale e sociale italiano che ha scommesso su se stesso e su una nuova idea di terzo settore in grado di produrre lavoro e ricchezza e di generare un valore aggiunto per la comunità.
Non è un intervento strategico e, anche in questo caso (peraltro, a fronte di ricavi non particolarmente elevati), crediamo si arrechi un danno piuttosto esteso al nostro mondo, sia di natura economica - con conseguenze occupazionali di non basso profilo - sia culturale, perché si disincentiva l'idea dell'impresa sociale, del concorrere, da parte del mondo del terzo settore, alla produzione di una ricchezza economica, oltre che sociale.
Per quanto riguarda l'articolo 6, comma 1, lettera a), del disegno di legge di stabilità, in materia di razionalizzazione e riduzione della spesa nel settore sanitario, segnaliamo la pesantezza e l'inaccettabilità di tale disposizione, che aggrava al 10 per cento il taglio del 5 per cento - già disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012, recante la cosiddetta spending review - per la spesa di acquisti di beni e servizi degli enti sanitari. Concordiamo, naturalmente, sul combattere gli sprechi, ma ribadiamo che non possono esservi tagli lineari; in particolare, un taglio indiscriminato di questo genere non può che tradursi, per i servizi sociali e socio-sanitari, in un'ulteriore e pesante riduzione dei servizi resi ai cittadini, in particolare ai più deboli tra essi.
Continuiamo a ribadire che procedere a tagli repentini di questa natura senza riforme strutturali porta alla cancellazione di servizi, non alla riduzione degli sprechi nei servizi resi; purtroppo, l'elemento è questo, quindi vi pregheremmo di essere molto attenti. Naturalmente, tutto questo è giustificato nel testo che vi abbiamo consegnato.
Per quel che concerne l'articolo 12, comma 17, del disegno di legge di stabilità, in materia di pensioni di guerra, c'è chi, dopo di noi, ne parlerà in maniera molto più opportuna.
Quanto all'articolo 13 del predetto disegno di legge, concernente la determinazione dei fondi speciali e delle tabelle, ricordo che il Fondo nazionale per le politiche sociali, inizialmente previsto dalla legge n. 449 del 1997, negli ultimi anni ha subìto una pesante contrazione riducendo gli specifici trasferimenti agli enti locali per la gestione di servizi a favore di persone con disabilità, anziani, famiglie e minori, come altri fondi.
Nella convinzione che la contrazione delle risorse a favore del welfare e delle politiche di protezione sociale sia un elemento di freno per lo sviluppo, oltre che di disequità, chiediamo di prevedere un finanziamento aggiuntivo del predetto fondo e sottolineiamo le modalità in cui ciò andrebbe fatto. Sappiamo che si tratta di un elemento sul quale non vi sarà molta attenzione, anche se ricordiamo che lo stesso Governo ha manifestato a più riprese la necessità di procedere: lo hanno recentemente dichiarato il Ministro della salute e, in più occasioni, il sottosegretario al welfare, Cecilia Guerra, ritenendo la dotazione attuale del fondo del tutto insufficiente.
Soprattutto, occorre valutare attentamente il fatto che la cancellazione del fondo è la cancellazione dell'unica parte del sistema di welfare che, negli ultimi dieci anni (dall'applicazione della legge n. 328 del 2000 a oggi), ha prodotto la nascita di servizi svolti dalle pubbliche


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amministrazioni, con l'ampia costruzione di processi di sussidiarietà. In pratica, lo Stato ha tagliato i costi tagliando anche quelli relativi agli ambiti dell'intervento sussidiario.
Se il presidente lo consente, lascio la parola ai colleghi per eventuali integrazioni.

GIUSEPPE GUERINI, Presidente di Confcooperative-Federsolidarietà. Ringrazio il presidente, i relatori e gli onorevoli presenti per l'attenzione che ci stanno dedicando.
Cercherò di essere molto sintetico, visto che il collega Olivero ha già illustrato la questione, sottolineando tre elementi dell'impatto dei commi 14 e 16 dell'articolo 12. Il primo non è l'IVA sulle cooperative sociali ma l'IVA sulle prestazioni socio-assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali. È importante concentrarci sulle prestazioni, perché ciò pesa sui servizi acquistati prevalentemente da pubbliche amministrazioni - comuni, aziende sanitarie locali e così via - e, in parte meno rilevante, sulle famiglie. Si rischia di non generare il gettito atteso, previsto dal disegno di legge di stabilità, perché, in realtà, i comuni e le stazioni appaltanti non hanno le risorse per far fronte all'ampliamento di tali costi, saranno costretti a ridurre i servizi e, pertanto, le entrate saranno minori di quelle stimate.
Non solo, rischiamo anche di tagliare i servizi e, così facendo, di perdere occupazione; dall'occupazione che si perde deriva un minore gettito fiscale e contributivo per le casse dello Stato. La norma è, quindi, di scarsa efficacia dal punto di vista della contabilità dello Stato.
Inoltre, vorrei svolgere qualche ultima considerazione sull'annunciata procedura di infrazione a livello europeo. Confermo, con documenti qui presenti (che, ovviamente, possiamo lasciarvi), che alla data del 19 ottobre scorso non risulta aperta alcuna procedura di infrazione ma solo un progetto pilot, cioè una richiesta di informazioni da parte della Commissione.
Il nostro Paese ha una grande occasione per fare delle buone politiche europee su questo tema: domani, infatti, ricorre un anno dalla presentazione, da parte della Commissione europea, della comunicazione sull'imprenditorialità sociale nei ventisette Stati membri. Fra le undici azioni chiave per migliorare la capacità imprenditoriale del terzo settore produttivo, del cosiddetto «non profit», rientra l'individuazione di azioni, anche dal punto di vista fiscale, per migliorare la capacità imprenditoriale di questi soggetti. La seconda azione, aperta lo scorso 19 ottobre dalla Commissione europea, è la consultazione sulla revisione del Trattato per quanto concerne l'IVA con un Libro bianco che, fra le altre cose, prevede di rivedere i regimi IVA agevolati.
Mettiamo insieme le due sensibilità della Commissione europea e portiamo in Europa la buona prassi dell'esperienza italiana.
Vi sono oltre 12.000 imprese sociali che lavorano sotto forma di cooperative sociali; per dirla con un motto, come possiamo far diventare più imprenditoriale il terzo settore? Facendogli fare attività d'impresa, trattandolo da impresa. La leva dell'IVA è un classico esempio di come un'azione di tipo fiscale ne sostenga una di tipo imprenditoriale, anche per le organizzazioni non profit.

PAOLA MENETTI, Presidente di Legacoopsociali. Ringraziando per l'ascolto e per l'attenzione, vorrei aggiungere qualche considerazione a quanto è stato già detto dai colleghi sulla previsione dell'articolo 6, comma 1, lettera a), che innalza al 10 per cento la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi in campo sanitario.
Sappiamo che in questi ambiti vi sono sprechi ed episodi non commendevoli, che vanno combattuti rigidamente; tuttavia, in questo ambito rientrano anche attività quali l'assistenza domiciliare (sia a carattere sociale sia l'assistenza integrata socio-sanitaria), la gestione di semiresidenze e residenze per disabili e non autosufficienti ed altri, rispetto ai quali è ampiamente condiviso che i servizi resi da imprese e da cooperative sociali in particolare hanno consentito un forte recupero della spesa


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pubblica. Per la pubblica amministrazione, infatti, sono convenienti dal punto di vista del costo ed efficienti dal punto di vista degli output che producono.
Rispetto a questa norma, considerato anche che si tratta di attività che hanno già subìto rilevanti tagli alle risorse e che, pertanto, vedono livelli tariffari, che di norma sono previsti nei contratti, fermi da tempo e non aggiornati, tagli di questo genere significano inevitabilmente una riduzione delle prestazioni. Qui si pone un problema ulteriore: la norma parla di riduzione degli importi e delle prestazioni, ma nei servizi alle persone la riduzione delle prestazioni non può avvenire sulla base di dinamiche esclusivamente quantitative e, soprattutto, al di fuori di un confronto di merito fra i diversi soggetti che hanno una responsabilità a intervenire in tale ambito.
Oltre al problema della sostenibilità di questa norma, ne poniamo anche uno sulla sua concreta applicabilità in questo settore, segnalando che già la previsione contenuta nel decreto-legge sulla cosiddetta spending review ha determinato una condizione di grave confusione nei territori di questo Paese. Noi, che siamo per l'efficienza e per la lotta allo spreco, ma che pensiamo anche che non si debbano inopinatamente e indiscriminatamente tagliare i servizi essenziali alle persone, pensiamo che sia possibile modulare queste norme in modo da avere maggiore riguardo sia per i servizi sia per l'occupazione che essi garantiscono.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai rappresentanti dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra.

GIUSEPPE CASTRONOVO, Presidente dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra. Ringrazio vivamente il presidente e i relatori; seguivo l'onorevole Brunetta già quando era un brillante ministro e ora, quale parlamentare, sarà un brillante rappresentante del popolo. Ringrazio le Commissioni riunite per averci dato la possibilità di esporre le ragioni degli invalidi di guerra e dell'intera Confederazione delle associazioni combattentistiche.
Io sono presidente dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra, che conta ancora, purtroppo, 120.000 vittime. Nel 1946 eravamo 750.000, perché la seconda guerra mondiale ha colpito le popolazioni civili come mai era accaduto in precedenza; la prima guerra mondiale, per esempio, si è combattuta nelle trincee e fra gli eserciti, e la popolazione civile era stata toccata solo minimamente. Oggi nel mondo siamo 22 milioni di vittime civili di guerra, come in Afghanistan o in Siria, dove vengono colpiti anche i bambini.
Chi parla ha perduto la vista a nove anni, e il bambino che era con me, dell'età di sette anni e mezzo, ha perduto una mano perché, fortunatamente, l'ordigno che ci ha colpiti era piccolo. Con l'Associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra - sotto l'aspetto pensionistico siamo assimilati ai mutilati ex militari, pertanto parlo anche a nome loro - vogliamo dire che mai, nella storia italiana e nella storia dei Parlamenti degli Stati europei, le pensioni di guerra erano state toccate. Per il loro miglioramento sì, ma da ventiquattro anni le pensioni di guerra non vengono ricordate dallo Stato e non hanno ricevuto alcun miglioramento perché non blocchiamo treni, abbiamo sempre un alto senso dello Stato, dell'Italia e della patria.
Signor presidente, signori commissari e signori relatori, oggi siamo profondamente addolorati nel sentirci dire che le pensioni di guerra debbono essere tassate, in contrasto con quanto previsto dal testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978, che afferma inequivocabilmente che la pensione di guerra si dà a titolo di risarcimento danni. Presidente e commissari tutti, io non ho potuto fare il magistrato, nonostante avessi conseguito (perdonatemi, ma non è presunzione né megalomania) una laurea piena entro il termine dei quattro anni, perché il presidente della commissione esaminatrice mi scrisse una lettera gentile e formale dicendo che non


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potevo partecipare al concorso perché ero cieco. Come la mia, vi sono tante altre situazioni.
Grazie all'Unione italiana ciechi abbiamo conquistato tante altre cose, ma nel 1962, quando mi ero appena laureato, queste cose non c'erano e abbiamo dovuto subire molto. Oggi le pensioni di guerra sono 179.000, e molte di queste - 48.000 - sono le cosiddette «pensioni dirette», dalla prima all'ottava categoria. Le altre sono collaterali e pensioni indirette per le vedove e i congiunti, che sono molto basse, intorno ai 200-300 euro al mese; quando questi 300 euro si aggiungono a un reddito di 13.000 euro, si superano i 15.000 euro previsti dalla norma che il Governo ha proposto e i titolari sono, pertanto, soggetti al pagamento dell'imposta. Chi pagherà saranno solo i grandi invalidi di guerra.
Stamattina, il Presidente Fini ha ricevuto me e un grande invalido vittima civile di guerra, cieco, senza mani e senza una gamba. Vi ho portato il libro in cui parla della sua vita; vorrei regalarlo al presidente ma mi procurerò anche altre copie da dare a tutti voi.
Presidente, signori relatori, alle gravi mutilazioni si è aggiunta anche la vecchiaia, e voi non sapete cosa sia la cecità; quando entriamo in una camera d'albergo, non troviamo il sapone per cinque centimetri, non troviamo altre cose, e queste sono tutte sofferenze e umiliazioni con noi stessi. Per esercitare l'autonomia, abbiamo bisogno dell'accompagnatore; chiunque altro si orienta, è libero, ma se - Dio ce ne liberi - accade qualcosa, se io non ho un braccio che mi porta fuori rimango qui dentro, come in ogni altra circostanza.
Ora, immaginate cosa può fare un anziano, non vedente, grande invalido senza gambe e senza braccia. Chiedo a tutti i membri delle Commissioni riunite di accogliere questo appello, pregandoli calorosamente di non mortificare gli invalidi di guerra: abbiamo fatto sacrifici immensi e lo Stato è responsabile della nostra invalidità, per questo è stabilito che la pensione è un risarcimento danni non soggetto a tassazione.
Il nostro segretario generale leggerà alcune sentenze della Corte costituzionale, dove si precisa che la pensione di guerra non costituisce reddito e non è assolutamente tassabile.
Ancora una volta, vi prego di non darci un simile dolore e una simile mortificazione; in occasione del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia siamo stati invitati dal Presidente della Repubblica, e siamo stati orgogliosi di questa Patria e di questo Stato; oggi, appena qualche mese dopo, ci sentiamo dire dal Governo che dobbiamo pagare l'IRPEF per le nostre pensioni, che sono frutto di immensi sacrifici.

PRESIDENTE. Lei si sta rivolgendo al Parlamento, che spero sia più sensibile del Governo che, non si sa come mai, ha inserito la norma; francamente, noi non lo abbiamo capito.
Do ora la parola al segretario generale dell'Associazione, che vorrebbe aggiungere qualcosa.

ROBERTO SERIO, Segretario generale dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra. Vorrei aggiungere alcune questioni perché si corre il serio rischio - che la Commissione deve assolutamente scongiurare - che, per l'ennesima volta, in questo Paese si approvi una norma incostituzionale.
Sono passati settant'anni dalla guerra; gli ex militari cominciano ad avere novant'anni, i civili tra i settanta e gli ottanta, e si rischia di approvare una norma incostituzionale, che fra qualche anno verrà dichiarata tale, ma nel frattempo si saranno messe le mani nelle tasche di tante persone che moriranno. I numeri dicono che queste persone, purtroppo, stanno scomparendo: nel 2004 il numero dei pensionati era pari a 330.395, nel 2011 era già sceso a 179.000 e, ovviamente, la percentuale di coloro che vengono a mancare è esponenziale man mano ci si allontana dagli anni della guerra.
L'incostituzionalità della norma è evidente sotto due profili. Innanzitutto, è incostituzionale per violazione dell'articolo


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53 della Costituzione; l'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978 stabilisce che «la pensione, assegno o indennità di guerra costituiscono atto risarcitorio, di doveroso riconoscimento e di solidarietà, da parte dello Stato nei confronti di coloro che, a causa della guerra, abbiano subìto menomazioni nell'integrità fisica o la perdita di un congiunto».
Se mai il primo articolo non fosse abbastanza chiaro, l'articolo 77 del citato decreto stabilisce che le somme corrisposte a titolo di pensione o assegno d'invalidità, per la loro natura risarcitoria non costituiscono reddito e sono, pertanto, irrilevanti ai fini fiscali, previdenziali e assistenziali.
L'articolo 53 della Costituzione, che è quello che verrebbe violato dall'approvazione della norma in oggetto, stabilisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in relazione alla propria capacità contributiva. La capacità contributiva, però, non è data da un risarcimento, ma dal reddito, e l'entità delle pensioni non è stabilita in relazione a un pregresso trattamento retributivo ma a una menomazione che si è subìta, alla perdita delle gambe o delle braccia, che non è certo capacità contributiva.
Vorrei svolgere un'ultima analisi in questo senso: si viola non solo l'articolo 53 ma anche l'articolo 3 della Costituzione, perché nel momento in cui il Governo ha giustamente ritirato la previsione di assoggettare all'IRPEF le pensioni di invalidità e le indennità, riconoscere un trattamento deteriore alle pensioni di guerra rende incostituzionale il provvedimento anche sotto l'ulteriore principio di eguaglianza. In questo senso, pertanto, chiediamo la completa soppressione dell'articolo 12, comma 17, del disegno di legge di stabilità.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per aver portato l'argomento in questa sede.

GIUSEPPE CASTRONOVO, Presidente dell'Associazione nazionale vittime civili di guerra. Come ho detto, vi sono ancora 120.000 vittime civili di guerra, ma ci hanno azzerato il contributo. La nostra associazione assiste gli invalidi anche a domicilio, manda il suo personale all'Unione italiana ciechi, all'Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità, all'Istituto per la ricerca, la formazione e la riabilitazione - onlus (I.RI.FO.R), che è un ente di formazione, e ad altri enti. Voglio solo evidenziare che c'è una presa di posizione verso le organizzazioni che, con sacrifici, impegno, amore e grande correttezza, portiamo avanti in favore dei nostri assistiti.

PRESIDENTE. Ringrazio l'Associazione nazionale vittime civili di guerra. Siete stati i più rapidi a chiedere l'audizione e siete gli unici ufficialmente presenti; altre associazioni hanno fatto richiesta ma non hanno potuto partecipare, anche se hanno parlato attraverso la vostra voce.
Do ora la parola al dottor Barbieri, presidente della Federazione italiana per il superamento dell'handicap, che vorrebbe aggiungere qualcosa.

PIETRO BARBIERI, Presidente della Federazione italiana per il superamento dell'handicap. Ringrazio per l'audizione e, facendo seguito a quanto gli amici e i colleghi del Forum del Terzo settore hanno introdotto, vorrei semplicemente rafforzare alcune tematiche.
Ci troviamo di fronte a un disegno di legge di stabilità che interviene sulle politiche a favore dei servizi nei territori con l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali e con l'aumento al 10 per cento del taglio già disposto dal decreto-legge sulla cosiddetta spending review per la spesa per acquisti di beni e servizi degli enti sanitari. Si tratta di interventi pesanti sui servizi sociali e socio-sanitari del territorio, che, come è già stato ricordato, sono fondamentali. Oggi molte persone in giro per il Paese stanno manifestando o facendo scioperi della fame proprio in virtù del fatto che quello che era accaduto in precedenza - vale a dire la riduzione del taglio del Fondo nazionale per le politiche sociali - aveva già messo in luce una riduzione di servizi gigantesca che rischia di rimandare


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a casa le persone e far ricadere esclusivamente sulle famiglie il peso della condizione della disabilità, della non autosufficienza, della salute mentale, delle dipendenze e via discorrendo.
Questa, invece, è un'occasione imperdibile per cercare di invertire la tendenza che abbiamo avuto negli ultimi anni, a partire non solo dall'abrogazione di norme come quella sull'IVA, che penalizza e restituisce un gettito fiscale assente o scarso, ma anche della spending review, con la possibilità di modularla anche in base alle tipologie di servizi. Le grandi strutture e i grandi ambiti di appalti sanitari sono in grado di ritirare o, meglio, di compensare quel genere di intervento, ma non le strutture piccole - comunità per le dipendenze, per la salute mentale, case famiglie per la disabilità e via discorrendo - che rischiano, invece, di essere semplicemente annullate e di dover chiudere.
Inoltre, sarebbe auspicabile anche un rilancio verso un rifinanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali: abbiamo bisogno di linfa, altrimenti i comuni rischiano di chiudere tutti i servizi a causa dei tagli che hanno subìto in questo periodo. Grazie.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per il contributo che avete dato ai nostri lavori.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

RENATO BRUNETTA. Vorrei rassicurare gli amici convenuti rispetto alla loro presenza qui e alla loro audizione, che è stata espressamente richiesta dai due relatori perché inizialmente non era prevista. Questo ha colmato una carenza di incontri che il Governo ha manifestato non solo con questa categoria benemerita, ma anche con i rappresentanti di altri settori; difatti, non ha ascoltato loro, ma non ha ascoltato neanche la maggioranza che lo sostiene né le parti sociali.
In questa sede di audizioni da parte delle Commissioni riunite, abbiamo detto più volte che, se non l'ha fatto il Governo, lo farà il Parlamento, ed è esattamente quello che, grazie al nostro presidente, stiamo facendo, con tutto il tempo, tutta la calma e tutta la determinazione che questo importante passaggio della vita politica e della politica economica merita.
Sinceramente non riesco a capire quale perversa mentalità abbia scritto le norme di cui si sta trattando. Lo dico e spero che venga riportato dalle agenzie e sui giornali domani e penso di interpretare in questo anche gli amici correlatori, che ho qui vicino a me: perversa mentalità, perché quando voi parlavate io mi sono vergognato personalmente. Pur non essendo l'autore di queste norme, mi sono vergognato come parte dell'istituzione parlamentare, mi sono personalmente vergognato.
Mi sono vergognato anche di dovervi costringere a queste perorazioni, cui non sarebbe stato giusto costringervi. Pertanto assicuro tutto il nostro impegno - penso di parlare a nome di tutti - non solo per ripristinare la normale considerazione nei vostri confronti, ma anche per ripristinare quei fondi e quelle risorse ingiustamente tagliate nel tempo. Non dico altro, saranno i fatti a dimostrare tutto questo.

PRESIDENTE. Diciamo che i relatori hanno firmato una cambiale impegnativa, venite a riscuoterla tra dieci o quindici giorni, però credo che abbiano effettivamente interpretato il sentimento della Commissione. Grazie ancora.
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ANCE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ANCE.
Do quindi la parola al presidente dell'ANCE, Paolo Buzzetti.

PAOLO BUZZETTI, Presidente dell'ANCE. Buonasera a tutti, grazie per


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averci invitato. La nostra opinione è che questo disegno di legge di stabilità, così come è scritto, rischia di produrre un ulteriore effetto depressivo sul settore delle costruzioni, tanto per cambiare, visto che mi sembra che questo accada poco negli ultimi anni.
La situazione, infatti, è drammatica: non ci sono i pagamenti alle imprese, c'è una difficoltà di credito bancario, grazie anche all'IMU e alla patrimoniale sulla casa si è fermato il mercato immobiliare, e devo dire che questo pareggio di bilancio nel 2013 sta letteralmente sfasciando il sistema imprenditoriale. Capisco tutto, ma mi sembra che il rigore sia sinceramente eccessivo.
Ci permettiamo quindi di dire che, quando si afferma che c'è un aumento di risorse del 17 per cento nei tre anni (3,3 miliardi), questo ai fini della risposta al problema della crescita del Paese non produce assolutamente nulla.
Per carità, non contestiamo la destinazione delle risorse nel breve periodo (per il sistema MOSE, per gli interventi di manutenzione da parte di Anas e Ferrovie dello Stato), però essa non produce occupazione e vera spinta di ripresa del settore, tanto più che è bilanciata dai 2,2 miliardi di euro di irrigidimento del Patto di stabilità interno per gli enti locali. Mi chiedo se non sia possibile, pur nel rispetto dei parametri e delle politiche generali, fare una politica meno di rigore su un settore in cui le imprese stanno chiudendo, con casi estremi ormai già drammatici in Sicilia, ma un po' dappertutto.
Sempre con spirito propositivo, poiché non ci arrendiamo alla situazione, vorremmo suggerire alcune cose. Chiediamo se non sia possibile definire una specie di golden rule interna, un Patto di stabilità interno in attesa delle decisioni a livello europeo, che consenta, dato che stiamo insistendo molto sulle opere pubbliche, ai comuni che hanno dei progetti pronti sul piano degli interventi contro il dissesto idrogeologico o degli interventi antisismici - ma che non possono spendere a causa del Patto di stabilità interno - di escludere dal Patto le relative risorse. Questo si potrebbe fare in alcuni casi di questo tipo e non sarebbe assolutamente sbagliato.
Non vi tedio con le importantissime cifre che abbiamo in materia di dissesto idrogeologico e su come si potrebbero prevenire tali fenomeni, so che siamo tutti d'accordo solo che bisognerebbe cominciare a farlo, come anche per la messa in sicurezza delle scuole. Preferiremmo che delle risorse fossero destinate a queste funzioni e a questi obiettivi.
Sarebbe opportuno anche prevedere la destinazione ai comuni di altri 3 miliardi di euro di gettito IMU. Noi abbiamo infine rappresentato nel documento che lasciamo agli atti un'analisi dettagliata, finora non smentita, sulla quale sicuramente riteniamo di aver ragione, della politica perseguita da molti anni nei confronti delle opere pubbliche, che solo negli ultimi quattro anni ha comportato la diminuzione del 44 per cento dei fondi destinati alle infrastrutture.
Questo significa deindustrializzare un settore e pertanto poniamo un problema «politico» chiedendo, come faremo anche in sede di campagna elettorale ai candidati, quand'è che i dissesti del territorio e gli importanti interventi infrastrutturali di manutenzione saranno posti in primo piano e considerati una priorità del Governo.
Adesso, se il presidente lo consente, lascerei la parola al vice presidente Campana su una serie di proposte puntuali, anche di carattere fiscale, che si potrebbero adottare. Il nostro giudizio complessivo è questo, ma in questa chiave propositiva cerchiamo di produrre il più possibile suggerimenti, e stiamo proponendo, ad esempio, un patto di garanzia per i mutui alle famiglie sull'acquisto della prima casa, come esiste in tutti i Paesi e tenuto conto che tale strumento sta facendo risalire il mercato americano; trovo, comunque, veramente inammissibile che in una condizione così difficile si debba trovare una norma come quella che abbassa da 4.000 a 3.000 euro il tetto della detraibilità del 19 per cento degli interessi passivi connessi ai mutui ipotecari per l'acquisto della prima casa.


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C'è quindi un'intenzione studiata a tavolino di impedire al settore di avere un funzionamento fisiologico. Mi spiace dirlo in questi termini (e siamo anche concitati dal tempo), però devo dire che dissentiamo completamente dal fatto che non ci sia una possibilità di una politica di minor rigore e di maggior aiuto, evitando norme di questo tipo che sono deflagranti per il settore stesso.

GIULIANO CAMPANA, Vice Presidente dell'ANCE con delega all'area tributaria, economico-fiscale. Signor presidente, innanzitutto la ringrazio per averci concesso questa audizione. Il presidente Buzzetti ha già introdotto le negatività di questa manovra e ha parlato soprattutto delle detrazioni IRPEF. Aggiungo che per noi diventa estremamente penalizzante anche l'aumento dell'IVA, in quanto soprattutto per i nostri acquirenti l'IVA non è una partita di giro, ma un aumento dei costi, quindi va ad annullare completamente l'effetto della riduzione di un punto di IVA. È come se io dovessi dare 10 lire ma ne portassi via 40.
Da tempo ci battiamo per quanto riguarda l'esenzione dall'IMU del nostro «magazzino», che è costituito dagli appartamenti che non siamo ancora riusciti a collocare sul mercato. Dopo aver pagato oneri passivi e quant'altro, dobbiamo pagare l'IMU fino a quando acquistiamo le aree per poi dover sostenere ancora ulteriori costi, per non parlare di eventuali accordi che potremmo fare con le amministrazioni magari su affitti concordati e quindi riuscire a dare in locazione abitazioni a tassi agevolati, cosa che però, dovendo pagare l'IMU, diventa addirittura un'operazione negativa. Questa è un'altra delle cose che riteniamo assolutamente ingiuste.
Vorrei anche soffermarmi sulla responsabilità solidale in ambito fiscale. Noi dobbiamo addirittura metterci a fare le funzioni della Guardia di finanza e, se lo Stato non riesce a controllare, essere garanti del versamento dell'IVA nei confronti di coloro che ci appaltano i lavori - e siamo d'accordo - ma anche nei confronti di tutti i nostri subappaltatori, con aumenti di costi, perché ovviamente queste garanzie vanno certificate e di conseguenza inviate da commercialisti iscritti all'Albo; per cui non solo vi è un aumento dei costi ma diventa pressoché impossibile far fronte a tali adempimenti, quando poi peraltro nei confronti di parecchi di noi opera il reverse charge, quindi subiscono già automaticamente il controllo. Non credo che questo esista negli altri Paesi, ma ritengo esista solamente in Paesi come il nostro.
Sappiamo benissimo quanto è importante per noi recuperare il patrimonio edilizio delle nostre città. Prima la detrazione era del 36 per cento delle spese e riguardava le ristrutturazioni dei nostri immobili, mentre adesso la detrazione è stata portata al 50 per cento, però solo per i privati. Non è chiaro - e vorremmo avere delle delucidazioni - il motivo per cui chi acquista immobili ristrutturati da noi costruttori non possa usufruire di questa agevolazione del 50 per cento.
Una delle proposte che a nostro avviso potrebbe far ripartire il mercato - e peraltro è quello che sta facendo la Francia - consiste nel prevedere a favore degli acquirenti di abitazioni anche diverse dalla prima casa una detrazione IRPEF pari all'IVA o all'imposta di registro calcolata su un valore massimo di 100.000 euro, purché gli appartamenti rientrino in un costo di 300.000 euro. È un esempio, ma potrebbe essere una facilitazione, in grado di indurre nuovamente i nostri utenti ad acquisire ancora le nostre abitazioni.
Spero di non aver dimenticato nulla e vi ringrazio ancora.

PRESIDENTE. Grazie a voi. Ritengo che il settore delle costruzioni sia quello in assoluto più massacrato dalla crisi. Avete portato delle idee di cui adesso ovviamente valuteremo la compatibilità generale, però non sfugge a nessuno come la situazione sia drammatica per le vostre aziende sul fronte sia degli appalti pubblici, con i continui tagli specialmente nelle piccole realtà degli enti locali, che erano quelle


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che facevano un maggiore volume di investimenti di dimensioni medie e piccole, sia dei privati, a testimonianza di una situazione veramente al limite del collasso.
Grazie quindi per aver portato qui il vostro grido di dolore. Do la parola al relatore, onorevole Brunetta.

RENATO BRUNETTA. Recentemente il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha attivato l'ennesimo quantitative easing, cioè l'ennesima immissione di liquidità finalizzata alla ricapitalizzazione degli istituti bancari o finanziari espressamente dedicati al mondo delle abitazioni e dell'edilizia, sapendo un po' di economia e conoscendo il fatto che gli investimenti in edilizia hanno il più alto coefficiente di attivazione nei confronti del resto dell'economia, laddove 1 euro speso si trasforma mediamente in 1,8-2 euro di attivazione della matrice delle interdipendenze del sistema economico.
Evidentemente chi è al Governo oggi, ancorché dotato di cattedra, conosce poco l'economia, conosce poco le matrici, conosce poco i coefficienti di attivazione o è dotato di perversa volontà nell'affossare l'economia. Dopo l'IMU, che ha depresso il valore degli immobili dello stock del patrimonio edilizio, riducendo le potenzialità di indebitamento delle famiglie, perché, se un immobile vale di meno, gli stessi mutui hanno dimensione diversa, riducendo quindi il volano di possibili nuovi investimenti, con queste ultime norme si deprime ulteriormente il settore. Ancora una volta sembra quasi una volontà perversa di chi sta segando il ramo sul quale sta seduto.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'ANCE. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ABI, di rappresentanti di Assonime e di rappresentanti dell'ANIA.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2013-2015, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ABI, di rappresentanti di Assonime e di rappresentanti dell'ANIA.
Do quindi la parola al direttore generale dell'ABI, Giovanni Sabatini.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Grazie, presidente, onorevoli deputati e onorevoli senatori, per questa opportunità.
Il disegno di legge di stabilità sul quale offriamo il nostro contributo di riflessione dal nostro punto di vista è la rappresentazione della difficoltà che sta vivendo in questo momento il Paese, delle contraddizioni che rendono difficile la via della ripresa. Possiamo, infatti, osservare che da un lato le misure dirette al reperimento di entrate erariali, che dovrebbero sostenere il rilancio delle imprese del Paese, finiscono per andare a sottrarre risorse a quei settori, famiglie, banche, che per loro natura alimentano invece la vita delle imprese stesse.
In tale contesto, questo disegno di legge grava le banche di nuove forme di aumento di imposizione fiscale per 5 miliardi di euro nel quinquennio 2013-2017, 5 miliardi di euro che ovviamente vanno a ridurre la liquidità delle banche e quindi la loro capacità di erogare credito a famiglie e imprese.
Ci rendiamo conto che la situazione, forse, non consentiva un diverso approccio, ma allo stesso tempo non possiamo in questa sede non sottolineare che la pressione fiscale sulle imprese bancarie, oggi, è ai limiti della sostenibilità. Gli spazi per ulteriori interventi diretti al reperimento di risorse fiscali a carico dei bilanci delle banche sono assolutamente esauriti.
Abbiamo detto, ed è stato riconosciuto internazionalmente, che le imprese bancarie italiane sono solide, ma, oggi, esprimono una redditività molto inferiore al loro potenziale, una redditività ai minimi degli ultimi dieci anni, e una sua contribuzione accentuerà i problemi e le difficoltà che in questo contesto le banche stanno vivendo anche a fronte della pressione


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regolamentare, che le spinge ad aumentare la loro patrimonializzazione.
La forte caduta della redditività delle banche italiane, caduta dovuta alla loro natura di banche commerciali, natura che è stata considerata virtuosa rispetto alle banche che sono veramente all'origine della crisi, deve far riflettere anche il legislatore fiscale, perché ovviamente in questa situazione si riducono anche le capacità di contribuire attraverso le imposte al finanziamento del fabbisogno statale.
Non posso sottrarmi in questa sede dall'evidenziare che oggi le imprese bancarie italiane sopportano una fiscalità che è già pesante per tutte le imprese, ma con delle caratteristiche che la rendono realmente non più aumentabile e al limite della sostenibilità. Penso, ad esempio, alle maggiorazioni dell'IRAP, l'aliquota combinata tra l'imposta erariale e l'imposta regionale, che si colloca oggi a un livello superiore rispetto alla sommatoria delle aliquote standard per 1,2 punti percentuali.
Una serie di misure vanno, inoltre, a colpire la base imponibile, ampliandola e non consentendo alle imprese bancarie di dedurre quelli che sono per altre imprese i tipici costi di produzione. Per l'impresa bancaria interessi passivi, accantonamenti e perdite su crediti sono i tipici costi di produzione, ma, oggi, abbiamo una limitatissima possibilità di dedurre questi costi dal nostro reddito imponibile, e il recupero delle imposte avviene con orizzonti temporali di diciotto anni, quindi un lasso di tempo veramente enorme.
Questo fa sì che oggi le banche italiane abbiano una fiscalità che, in media negli ultimi quindici anni, è stata superiore di 15 punti percentuali rispetto alle analoghe banche europee. Questo significa, anche in termini di capacità di rafforzarsi patrimonialmente, che una banca italiana avrà il 15 per cento in meno di capacità di aumentare il suo patrimonio attraverso l'autofinanziamento, pur a parità di utile lordo rispetto a un competitor straniero. Questo è un rilevante problema, che riduce la capacità delle banche italiane di essere vicine e continuare a finanziare imprese e famiglie.
A tutto questo si aggiungono anche i costi derivanti da una continua richiesta di offrire assistenza alle autorità pubbliche, in particolare all'Agenzia delle entrate. Penso, ad esempio, al sistema dell'anagrafe dei rapporti e degli accertamenti bancari, che ha comportato per le banche un aggravio di costi operativi sicuramente rilevante.
Fatta questa premessa, presidente, mi soffermo soltanto su un paio di misure che riguardano specificamente l'industria bancaria. Il disegno di legge di stabilità prevede un cambiamento delle regole per quanto riguarda la normativa vigente sui cosiddetti «affrancamenti degli avviamenti», andando anche ad agire retroattivamente.
In particolare, vengono spostate in avanti le possibilità di dedurre i maggiori avviamenti, che derivano dal riallineamento del valore contabile delle partecipazioni al valore fiscale, e questo spostamento comporta un onere di circa 2,5 miliardi di euro per le banche italiane. Ci rendiamo conto che questo è un momento difficile, in cui tutti devono dare il loro contributo, e quindi ci limitiamo a segnalare soltanto l'onerosità di tale misura per il sistema e il fatto che comunque sottrae liquidità alle imprese italiane.
Un altro tema su cui vorremmo portare il nostro contributo di riflessione è il tema dell'imposta di bollo sulle transazioni finanziarie. In linea di principio abbiamo più volte affermato anche in sedi internazionali che l'imposta sulle transazioni finanziarie - a certe condizioni - può anche essere condivisibile, ma queste condizioni riguardano intanto l'armonizzazione - possibilmente a livello globale, ma, laddove non fosse possibile, a livello europeo - di questa imposizione fiscale, perché altrimenti l'imposizione determina arbitraggi tra Paesi, con lo spostamento di flussi di transazioni. Anche quando entrasse in vigore la normativa europea, una volta che i flussi si sono spostati, è molto difficile riportarli in Italia.


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Riteniamo, quindi, che alcuni aspetti dell'imposizione proposta nel disegno di legge siano disallineati rispetto a quanto altri Paesi europei (ad esempio, la Francia) hanno già fatto. Un tema in particolare riguarda, ad esempio, l'ambito oggettivo di applicazione della norma. La scelta di assoggettare al prelievo le operazioni aventi ad oggetto i titoli partecipativi corrisponde, in qualche modo, alla scelta fatta già in Francia e, in qualche modo, è analoga anche a quanto fatto in Inghilterra con lo stamp duty, però, ad esempio, sul tema dei derivati notiamo notevoli differenze.
Se l'obiettivo è quello di ridurre le componenti speculative del mercato finanziario, possiamo essere d'accordo sul principio. Il problema è che gli strumenti derivati vengono utilizzati anche per importanti finalità di copertura, e non soltanto dalle banche, ma anche dalle imprese industriali. Penso, ad esempio, a un'impresa che importa la materia prima e la paga in dollari, che ha la necessità di coprirsi dal rischio di cambio.
Oggi l'imposta di bollo viene proposta in una misura superiore a quella proposta a livello europeo (lo 0,05 per cento contro lo 0,01 per cento) e, inoltre, è applicata al valore nozionale di un contratto. Il valore nozionale è soltanto un parametro di riferimento, rispetto al quale poi si determineranno i flussi che si scambieranno le due parti dell'operazione, e non risponde al valore del contratto.
Questo comporta sicuramente un eccessivo peso su operazioni che non hanno natura speculativa, ma hanno natura di copertura. Una banca che, ad esempio, debba erogare mutui a tasso fisso e faccia raccolta a tasso variabile dovrà chiaramente stipulare un contratto di interest rate swap per coprirsi dal rischio di variazioni del tasso.
Se il costo di questa copertura per effetto dell'imposta aumenta rilevantemente, ci sono solo due possibilità: o non possono essere più erogati mutui a tasso fisso oppure aumenta il costo del finanziamento. Questo è, quindi, un tema sul quale riterremmo opportuno fare una riflessione.
Consideriamo necessaria anche una riflessione sui soggetti colpiti dal prelievo. La norma prevede alcune esclusioni, quali, ad esempio, quelle riservate all'Unione europea, alla Banca centrale europea ed altre, però ci sono anche altri soggetti che potrebbero essere esclusi, in particolare le transazioni infragruppo. Molte banche sono organizzate in un gruppo, all'interno del quale c'è un'entità dedicata all'attività di negoziazione. Questa entità svolge anche attività per conto delle altre partecipanti del gruppo per negoziare contratti di copertura. Queste transazioni infragruppo sarebbero ugualmente colpite dal tributo, mentre, invece, un soggetto non organizzato in strutture di gruppo non pagherebbe questa imposta. L'attuale formulazione, quindi, ha anche un effetto discriminante in base al modello organizzativo dell'intermediario.
In secondo luogo, bisogna tener presenti tutti quei soggetti che svolgono attività di market making. Abbiamo visto che questa imposta riduce la liquidità del mercato, e nella stessa relazione tecnica è prevista, ai fini della stima del gettito, una riduzione rilevante del volume delle transazioni. Se si va a colpire anche l'attività di quei soggetti che contribuiscono a dare liquidità al mercato come, ad esempio, i market maker, abbiamo un doppio effetto negativo.
Inoltre, gli investitori, come i fondi pensione in questo momento, anche alla luce delle riforme delle pensioni che ci sono state, svolgono un importante ruolo sociale, per cui probabilmente le loro transazioni dovrebbero essere esentate dall'imposta.
Una riflessione dovrebbe essere fatta anche su altri due aspetti, primo fra i quali il regime della territorialità dell'imposta. Il disegno di legge sceglie di colpire le transazioni quando almeno una delle controparti è residente in Italia, ma secondo una nostra prima interpretazione, se la transazione su un titolo italiano fosse fatta da due controparti estere, questa non


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sarebbe colpita dall'imposta. Si dovrebbe forse riflettere su una diversa impostazione.
L'ultimo tema è quello relativo alla tempistica di attuazione della norma; infatti, poiché gli intermediari dovranno operare come sostituto d'imposta, gli stessi dovranno anche implementare le procedure per rispettare la normativa fiscale, e questo, comunque, richiede tempi lunghi e, quindi, abbiamo delle preoccupazioni rispetto ai tempi di entrata in vigore della norma.

PRESIDENTE. Grazie per aver concentrato tutti i temi che nessun altro aveva trattato finora.
Do la parola al presidente di Assonime, Luigi Abete.

LUIGI ABETE, Presidente di Assonime. Il fatto di partecipare a questa audizione - di cui ringraziamo - insieme all'ABI e all'ANIA, ci consente di evitare di tornare su alcuni temi in modo specifico, quali quelli che ha trattato il dottor Sabatini, anche se, evidentemente, sono anche di nostro interesse, perché, come voi sapete, Assonime è un'associazione orizzontale, quindi ha - come associate - imprese bancarie, assicurative, manifatturiere e di servizi, normalmente di grandi e di medie dimensioni.
Quello che qualifica e identifica l'associazionismo di Assonime è il livello dimensionale delle imprese, non la categoria di attività, che, invece, si riflette in modo più verticale nelle altre associazioni di categoria, alcune delle quali sono qui presenti (ABI e ANIA), ovvero Confindustria ed altre.
Ovviamente, condividiamo l'importante azione di risanamento che è stata realizzata, che il quadro macroeconomico non ha favorito, ma facciamo parte di quelli che, pur nella complessità, considerano il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, in termini di azione del Governo.
Lo diciamo per chiarezza di analisi complessiva, perché poi ovviamente, avendo tutta una serie di valutazioni e osservazioni puntuali da svolgere, vorremmo che la somma delle osservazioni puntuali - che, ovviamente, come spesso capita, occupano più spazio delle osservazioni di consenso - riequilibrasse il nostro giudizio complessivo sull'azione del Governo e, quindi, anche su questo disegno di legge di stabilità, in termini di obiettivi e di percorsi, anche se, poi, con riguardo a una serie di provvedimenti, avremmo preferito interventi di natura diversa.
Dico questo perché, per noi, l'obiettivo di far crescere l'avanzo primario rimane essenziale per dare credibilità alla nostra azione di politica economica. Sappiamo benissimo e capiamo l'importanza del contributo che possono dare forme di intervento di tipo patrimoniale, quali l'alienazione del patrimonio pubblico ma, riteniamo che, al di là dei contesti di mercato e delle modalità con le quali iniziative di questo tipo si possono realizzare, di fatto, quel tipo di intervento - laddove sia realizzabile in termini di compatibilità sistemica e di andamento del mercato - venga percepito dal mercato in una logica positiva se concorre al raggiungimento di obiettivi di crescita dell'avanzo primario, quindi di risanamento strutturale del conto economico delle amministrazioni pubbliche. Se, invece, è percepito dai mercati come un bypass o una scorciatoia, per quanto possa essere importante, non produce a nostro avviso gli effetti auspicati. L'intervento sull'avanzo primario rimane, quindi, un intervento essenziale, anche se potrebbe essere accompagnato da interventi di tipo patrimoniale, che aiutino il raggiungimento quantitativo dell'obiettivo.
Sia con questo provvedimento sia con i provvedimenti precedenti, il Governo ha puntato - anche se in misura timida, compatibile con i vincoli esterni di bilancio - a un riequilibrio del carico fiscale, dalle imposte dirette alle imposte indirette. Noi riteniamo che questa sia una scelta giusta, che viene sempre dichiarata e mai realizzata, perché quando si tratta di aggravare l'imposizione diretta, normalmente, si scelgono categorie specifiche di clienti-utenti destinatari della norma e, prima, il dottor Sabatini evidenziava quanto l'ABI e le banche siano attrattive,


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ma io mi permettevo di dire ad un precedente Ministro dell'economia e delle finanze che facevamo un ciclo, per cui una volta toccava alle banche, una alle assicurazioni e un'altra alle imprese industriali, per così dire, «cattive» che fanno dei mestieri complicati, per poi ricominciare il giro.
Ogni tre anni, quindi, c'era un aggravio di imposizione su una categoria, e penso che, se facciamo la casistica su un arco quindicennale, penso di non aver abusato dell'espressione.
Passare dalle imposte dirette a quelle indirette è comunque - anche in un periodo difficile - una scelta giusta, a maggior ragione in Italia, dove l'imposizione diretta è oggettivamente e statisticamente superiore di alcuni punti percentuali rispetto alle medie Eurostat disponibili, in relazione ai competitor di riferimento.
Nel caso di specie la riduzione di un punto percentuale delle aliquote IRPEF si traduce in una riduzione di imposte spalmata su un'area molto vasta di contribuenti e, quindi, rende di fatto trascurabile l'effetto sui redditi individuali, quindi il principio è condivisibile, ma l'applicazione... Né, data la quantità «limitata» delle disponibilità, questa poteva e potrebbe essere meglio concentrata su determinati livelli di reddito e, insieme, su quelle persone che non entrano nella tassazione, che quindi fanno parte dei cosiddetti «incapienti», anche perché la riduzione di un punto percentuale dell'IRPEF, accompagnata dalle norme che introducono il tetto di 3.000 euro alle detrazioni e la franchigia di 250 euro sugli oneri deducibili, oggettivamente produce effetti redistributivi che, al di là di quello che leggiamo sui giornali, sono difficilmente valutabili in termini generali, essendo quindi, per definizione, opinabili.
Pertanto, avremmo preferito che ci fosse una riduzione di imposizione diretta mirata sui contribuenti con redditi più bassi, inclusi gli «incapienti». Inoltre, ricordando una nostra vecchia proposta, da tempo, proponiamo l'ipotesi di semplificare il sistema attraverso la trasformazione delle detrazioni in deduzioni, con l'introduzione di un tetto unico omnicomprensivo alle deduzioni, eliminando i tetti specifici. In caso contrario, il sistema non riesce a trovare un equilibrio al suo interno, perché la somma di una pluralità di detrazioni e deduzioni crea, di fatto, delle sperequazioni che possono andare da un eccesso all'altro, come nel caso di specie. In questo senso, non esprimiamo un dissenso sulla scelta di minori imposte dirette e maggiori imposte indirette, ma avremmo preferito che la riduzione delle imposte dirette si concentrasse sulle categorie specifiche che prima ho indicato.
Inoltre, condividiamo l'idea che l'IVA, in termini di partecipazione alla contribuzione quale principale imposta indiretta, possa essere oggetto di ulteriori interventi, ma avremmo preferito che questo non fosse fatto tramite la scelta dell'aumento dell'aliquota ordinaria. Anche su questo, da tempo, proponiamo un'attenzione peculiare sull'opportunità di un maggior allineamento delle aliquote super-ridotta e ridotta rispetto a quella ordinaria, compensando questi interventi con la destinazione, in forma di contributi diretti, di parte del gettito che proviene dall'IVA ai ceti meno abbienti.
Non condividiamo l'impostazione erroneamente diffusa che l'imposizione dell'IVA danneggi in modo particolare alcune categorie rispetto ad altre. Pensiamo, invero, che danneggi seriamente tutti coloro che sono in una situazione di incapienza. Pertanto, è quella fascia di cittadini che deve essere protetta da un'eventuale imposizione aggiuntiva dell'IVA. Auspichiamo - ripeto - che questo incremento dell'equilibrio tra imposte dirette e indirette sia raggiunto lavorando sulle aliquote super-ridotta e ridotta. Difatti, siamo il Paese che ha la maggiore quantità di IVA prelevata tramite le aliquote super-ridotta e ridotta, che è di gran lunga superiore a quelle degli altri Paesi. Questo produce un disequilibrio, perché nelle categorie ridotta e super-ridotta vengono accomunati generi


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diversi. Inoltre, ciò produce una risultante di evasione più ampia, come peraltro è dimostrato dal rapporto che la missione di assistenza tecnica del Fondo monetario internazionale ha fatto nell'ultima occasione in cui è venuta in Italia. Difatti, il rapporto stima, per l'IVA, un divario tra gettito effettivo e potenziale molto elevato, nell'ordine di 8 punti percentuali del PIL, cosa che è motivata proprio con il fatto che abbiamo troppe aliquote super-ridotte e ridotte e troppi scarti tra l'aliquota ordinaria e quelle ridotte.
Non so se è ancora possibile e fattibile un intervento, ma pensiamo che questa sia la strada giusta. Tuttavia, non ci stracciamo le vesti - per usare un'espressione popolare - perché pensiamo che non sia affatto scontato, come molti credono, che l'aumento dell'IVA determini automaticamente un aumento dell'inflazione, visto che, con questo basso livello di domanda e di consumi, non è detto che ciò accada. Ugualmente, non pensiamo che l'aumento dell'IVA determini automaticamente una contrazione della domanda: queste due motivazioni che vengono sempre usate quando bisogna intervenire sulle imposte dirette sono opinabili in un contesto storico come quello attuale. Certo, vorremmo che una parte dell'aumento delle aliquote IVA fosse destinato ai meno abbienti, in termini di trasferimenti monetari, perché proprio questo produrrebbe un effetto sulla domanda aggregata. Infatti, se riuscissimo a trasferire parte degli incrementi generalizzati dell'IVA a ceti meno abbienti definiti, creeremmo un effetto espansivo in termini di propensione alla domanda che è certamente più significativo di quello che immaginiamo.
Un altro punto su cui non solo siamo d'accordo, ma vorremmo che venisse fatto qualcosa in più, è la detassazione del salario di produttività. Pensiamo che questo rimanga, e sia, il vero unico strumento per spostare la contrattazione dal livello nazionale a quello aziendale e, quindi, per aumentare la produttività. Riteniamo che questo strumento vada incrementato, in termini non solo di stanziamenti - cosa che il Governo, anche se compatibilmente con le risorse, ha fatto - ma, anche, di eliminazione dei tetti di importo e di reddito, nell'applicazione della detassazione ai lavoratori dipendenti.
Inoltre, sarebbe auspicabile la trasformazione di questo provvedimento in un incentivo permanente perché, finché la detassazione sul salario di produttività sarà annuale o triennale, l'effetto di trasferimento, in termini di politiche sindacali e retributive, sarà molto ridotto, dal momento che non si darà stabilità a tale strumento.
Pertanto, se non ci sono risorse sufficienti per dare stabilità all'universo delle imprese, si scelgano categorie di imprese con parametri omogenei - stabilendo criteri come l'aumento dell'occupazione media, degli investimenti effettuati e così via - e si concentri su di esse la potenzialità dello strumento della detassazione del salario di produttività. In sostanza, pensiamo che su questo tema si possa e si debba fare di più; incoraggiamo quindi l'intervento che ha promosso il Governo. Ancora, contrariamente a quello che pensano le altre associazioni di categoria, crediamo che l'incentivo potrebbe applicarsi al solo salario ordinario di produttività, escludendo gli straordinari. In verità, questo non è congiunturalmente nell'interesse delle imprese, perché il primo livello di produttività che le imprese realizzano è il maggiore utilizzo degli impianti, e quindi gli straordinari. Tuttavia, noi partiamo dal presupposto che, se questo deve essere un provvedimento di politica economica, deve premiare il trasferimento del salario ordinario dal livello nazionale a quello aziendale. Quando c'è da fare lo straordinario in qualche modo si fa, ma questo consentirebbe di focalizzare le risorse sul salario ordinario di produttività, rendendo più significativo il provvedimento che, attualmente, viene in grandissima parte «aspirato» dalla destinazione al finanziamento della detassazione degli straordinari. Del resto, questo produrrebbe un effetto occupazionale potenzialmente aggiuntivo.


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Sul tema dell'imposta sulle transazioni finanziarie siamo su una posizione simile a quella dell'ABI, quindi non mi dilungo ulteriormente. Non siamo contrari all'introduzione di questa misura e non facciamo parte della categoria che sostiene che, finché non saranno tutti d'accordo, non bisogna operare perché, in questo modo, questo provvedimento non si farà mai. Pertanto, pensiamo che sia sufficiente partire con un livello di coinvolgimento e di condivisione da parte di importanti Paesi dell'Europa continentale, però logica vorrebbe che si applicasse la norma in modo omogeneo in tutti questi Paesi e, auspicabilmente, si dedicassero le risorse a finanziare il bilancio europeo, dando così anche una destinazione che, al di là delle partite di giro all'interno al bilancio, dia una certa «identità» alla norma.
Pensiamo che questa sia la finalità da perseguire. Se si trovasse il modo per farlo immediatamente, sarebbe meglio. Altrimenti, bisognerebbe individuare modalità applicative che limitino almeno alcuni dei rischi. Per esempio, per le imprese industriali che fanno ricorso ai derivati il valore nozionale è diverso da quello del contratto, per cui se si applica la percentuale sul valore nozionale si ha un valore e un costo economico molto più rilevante. Ugualmente, ci sono diverse altre situazioni specifiche, in gran parte prima richiamate dal dottor Sabatini, che sono contenute nella mia relazione e su cui non mi dilungo.
Inoltre, avrei qualche ulteriore osservazione sul tema della spending review. È chiaro che bisogna andare avanti su questo tema e che sono molto importanti le misure che in questo contesto vengono proposte in termini di razionalizzazione e privatizzazione delle partecipazioni, soprattutto l'obbligo di dismissione o comunque di intervento su società pubbliche anche locali. È evidente che, oggi, il tema fondamentale da aggredire è quello, sia per motivi di equità strutturale degli interventi sia per alleggerire le autonomie locali - e obbligarle ad alleggerirsi - di un fardello che non riescono a eliminare, perché l'ansia della gestione vince sulla logica di affidare servizi al mercato.
Buono è anche il maggiore ricorso alla Consip Spa per l'acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. Altrettanto importante è la definizione dei costi standard e, insieme, delle prestazioni standard, perché è evidente che se non leghiamo le due cose, e prendiamo costi standard dalle medie mediate, stiamo solo perdendo tempo in chiacchiere. Su questo si applica il cosiddetto principio di Trilussa; infatti, bisogna selezionare gli anni giusti, perché se scegliessimo il 2010 tutti accetterebbero la media, invece dobbiamo prendere gli anni meno fortunati e le regioni o le autonomie leader. Questo processo deve essere accompagnato da una ristrutturazione e riorganizzazione delle piante organiche che, in parte, è già prevista dai provvedimenti passati e presenti, ma che deve essere portata avanti in modo ancora più significativo. In caso contrario, corriamo il rischio di fare solo un trasferimento della tassazione dal livello nazionale a quello territoriale, il che non penso sia utile.
Abbiamo molto apprezzato la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, in relazione agli impegni assunti con il fiscal compact e anche le connessioni che sono state estese agli articoli 97 e 119 della Costituzione in quanto hanno applicato il principio anche alle regioni e agli enti locali. Riterremmo - come abbiamo detto al Governo - che resti un'esigenza importante prevedere espressamente il divieto di ripiano dei disavanzi delle regioni e delle amministrazioni locali contratti in violazione del Patto di stabilità interno. Capisco che ci siano delle situazioni congiunturali che devono essere gestite, ma, al di là di queste, dovremmo stabilire il principio di applicare la norma anche alle autonomie locali e alle regioni. In questo senso, visto che c'è ancora la possibilità di farlo, pensiamo che questo principio possa essere introdotto ai sensi dell'ultimo comma del nuovo articolo 81 della Costituzione,


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che rimette al legislatore il compito di fissare il contenuto della legge di bilancio, i criteri per assicurare l'equilibrio tra entrate e spese e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Dato che l'attuazione di questo articolo è ancora in via di elaborazione, se, con la legge di attuazione, inserissimo una norma specifica che vieta espressamente il ripiano dei disavanzi delle regioni e delle amministrazioni locali, avremmo completato l'opera.
Da ultimo, su questo tema occorrerebbe dare esecuzione alle norme introdotte sulla pubblicazione della relazione di fine mandato da parte degli amministratori uscenti.
In conclusione, sono importanti e condivisibili gli obiettivi del trend su cui si muove il Governo, e, sapendo che le dimensioni sono limitate, avremmo preferito che le riduzioni delle imposte dirette fossero indirizzate ai ceti bassi e incapienti e che l'IVA, pur applicandosi, venisse in parte destinato a compensare gli incapienti, laddove non si utilizzi l'altro strumento. Infine, sulla Tobin tax, siamo d'accordo in linea di principio, ma vorremmo si facesse una norma quanto meno coesa a livello dei grandi Paesi europei.

PRESIDENTE. Passiamo, ora, la parola al presidente dell'ANIA, Aldo Minucci.

ALDO MINUCCI, Presidente dell'ANIA. Vorrei, innanzitutto, ringraziare i presidenti Giorgetti e Azzollini dell'invito a partecipare a questa audizione, che permette all'ANIA di rappresentare, in maniera molto pacata, il proprio giudizio sul disegno di legge di stabilità e, in particolare, sulle norme fiscali in esso contenute.
Certamente, siamo consapevoli che la stabilità dei conti pubblici rappresenti un passo imprescindibile per la ripresa. Tuttavia, riteniamo che, forse, nella fase attuale, sia arrivato il momento di coniugare la necessità del rigore con politiche attive, in particolare a sostegno di famiglie e imprese.
Ci sono indubbiamente alcune misure previste dal disegno di legge di stabilità che sono positive. Mi riferisco, in particolare, alla previsione della detassazione degli incrementi salariali legati alla produttività e alla previsione di una più rapida implementazione della direttiva sui pagamenti alle imprese, che dovrebbe permettere, nell'immediato futuro, di ripristinare la liquidità necessaria per un normale funzionamento dei rapporti di credito commerciali. Tuttavia, non c'è dubbio che il provvedimento contenga delle misure che destano qualche preoccupazione, in particolare per il nostro settore.
Non ripeto, in quanto rappresentate in maniera encomiabile dal collega Sabatini, le critiche sulla Tobin tax, pur rendendoci conto che siamo nell'ambito di un provvedimento quasi necessitato in relazione ai meccanismi europei. Comunque, preferiremmo che ci fosse un percorso di armonizzazione rispetto all'entrata in vigore del provvedimento.
Siamo anche preoccupati per l'incapacità di una previsione che consenta di evitare le componenti di tassazione sui derivati, che non sempre sono espressione di componenti speculative, ma normale attività di copertura, in particolare per le imprese di assicurazioni.
Mi limito a concentrare l'attenzione sui provvedimenti che toccano il nostro settore e che ci destano qualche preoccupazione o, meglio, qualche perplessità.
Vorrei ricordare, innanzitutto, che questo è un settore che ha contribuito e contribuisce in termini di maggiore tassazione. Non dimentichiamo che il settore delle imprese di assicurazione ha un aggravio di IRAP. Inoltre, è stata colpita - credo che il presidente Azzollini conosca bene questo meccanismo - la tassazione delle riserve matematiche con lo 0,35 per cento.
Tuttavia, desta preoccupazione il fatto che si consideri questo settore quasi come un elemento - come diceva il presidente Abete - da colpire ripetutamente, mentre la tassazione ha raggiunto ormai livelli insostenibili anche per il nostro settore. Se, da un lato, c'è una partecipazione comprensiva alle esigenze di stabilità dei conti pubblici, dall'altro, c'è la preoccupazione


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per il fatto che questi provvedimenti si ripetono nel tempo con una capacità incisiva sempre maggiore.
Ricordo, peraltro, che il nostro settore ha svolto un ruolo non banale in questo periodo di grande crisi economica, perché non ha fatto mancare il proprio comportamento fattivo, in particolare sul mantenimento dei titoli sovrani e sul loro riacquisto: infatti, non li abbiamo ceduti e li abbiamo riacquistati. Il settore ha circa 200 miliardi di euro di titoli sovrani italiani, costituendo un punto di riferimento particolarmente significativo. Pertanto, non dico che pretendiamo, ma vorremmo avere una maggiore attenzione sulle tematiche che ci riguardano.
Passerei, ora, ai temi più delicati per noi.
Sembrerebbe banale, invece siamo preoccupati del nuovo trattamento fiscale previsto per gli oneri deducibili e detraibili. Innanzitutto, c'è un effetto retroattivo sul periodo d'imposta 2012. Personalmente, non mi sono mai trovato d'accordo sugli effetti retroattivi, che, in fondo, colpiscono le aspettative di coloro i quali hanno fatto delle scelte in un contesto, dopodiché si vedono colpiti per le scelte che hanno fatto.
Devo ricordare che la norma prevede la costituzione di una franchigia di 250 euro per numerosi oneri detraibili dall'imposta. Questa norma tocca anche le spese per i premi di assicurazione che hanno a oggetto il rischio di morte, quindi, non i premi di previdenza e di risparmio, ma i premi di rischio. Toccano anche le cosiddette polizze di long term care, che servono a preordinare gli elementi di risparmio necessari in caso di incapacità dell'anziano di essere autosufficiente. Devo ricordare che queste norme, che sembrano banali, toccano 6 milioni di italiani e, quando tocchiamo questo aspetto, in qualche misura incidiamo sulle necessità di protezione di 6 milioni di famiglie italiane. Queste, forse, per effetto di quest'aumento della franchigia, non potranno più coprirsi su elementi fondamentali. Ricordo, in particolare, che l'assicurazione per il rischio di morte serve soprattutto per le piccole famiglie, le famiglie che hanno basso reddito, a coprirsi dal rischio della perdita della capacità reddituale derivante dalla morte del capo famiglia. Quando si toccano questi temi, quindi, ci piacerebbe che lo si facesse con una maggiore consapevolezza degli impatti che ne derivano.
Se pensiamo, inoltre, che a questa norma si accompagna un limite massimo previsto per gli oneri detraibili, di 3.000 euro annui, ci rendiamo conto che questo tipo di disposizione, che si traduce nella possibilità di detrarre non più di 570 euro all'anno, riduce fortemente la capacità degli oneri deducibili. È sufficiente, infatti, avere degli interessi per il mutuo e per la casa affinché, evidentemente, questo meccanismo già esaurisca e mangi tutta la possibilità di una copertura degli oneri deducibili. Bisogna capire quali sono gli effetti di questo tipo di norme.
Noi siamo preoccupati, perché le stesse possono incidere sulla propensione alle coperture assicurative, in un contesto in cui il ridotto reddito disponibile delle famiglie ha già fortemente inciso su questa capacità. Siamo fortemente preoccupati perché - per citare numeri semplici ma molto evocativi - il mercato complessivo del ramo vita, che aveva raccolto 90 miliardi di euro nel 2010, ha subito una significativa riduzione già nel 2011, arrivando a 70 miliardi di euro - i dati sono di questi giorni - e per il 2012 si evidenzia l'andamento di un'ulteriore riduzione del 15-18 per cento, che significa scendere sotto i 60 miliardi di euro di raccolta.
La raccolta ha degli effetti non solo sulla redditività delle imprese di assicurazione, ma su tutta la filiera che alimenta il settore assicurativo, che non è soltanto quella dei lavoratori dipendenti diretti, ma anche quella degli agenti: dietro gli agenti ci sono 200.000 persone. Se tocchiamo questo meccanismo in maniera delicata, ma facciamo venir meno un 20 per cento della capacità di lavoro, ci troveremo 40.000 mila persone sulla strada e non credo che un tal numero di persone che perde il lavoro non rappresenti un tema particolarmente importante.


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Bisogna agire con provvedimenti diversi. Mi rendo conto che la riduzione degli oneri e delle detrazioni controbilancia il meccanismo dell'abbattimento delle aliquote di tassazione sugli scaglioni bassi di reddito, ma servono ipotesi diverse da queste, che hanno un effetto, a mio avviso, recessivo, di cui il Paese non ha affatto bisogno.
Mi piacerebbe, inoltre, toccare per un momento il tema dell'ulteriore inasprimento che riguarda la tassazione sulle riserve matematiche dei rami vita. Voi sapete che nel disegno di legge di stabilità è prevista una disposizione che innalza l'aliquota di tassazione delle riserve matematiche vita dallo 0,35 allo 0,50 per cento per il 2012, aliquota che passa allo 0,45 per cento per gli anni successivi.
Ora, le riserve matematiche non sono, in fondo, che delle passività delle imprese di assicurazione che esprimono gli impegni che hanno nei confronti degli assicurati. Sostanzialmente, questi sono quattrini che percepiamo, ma che sono di proprietà degli assicurati. Quando, attraverso il meccanismo della tassazione delle riserve, riduciamo le liquidità che vi attengono, colpiamo la redditività che va a favore degli assicurati: colpendo la redditività a favore degli assicurati, in definitiva, si incide sulla loro propensione al risparmio.
Il problema reale di questa tassazione che ci colpisce in maniera particolare è che genera dei crediti d'imposta per le imprese di assicurazione, ma questi crediti, nel normale meccanismo, possono essere utilizzati a compensazione a partire dal quinto esercizio successivo e, tuttavia, l'applicazione concreta delle norme non consente, di fatto, lo smobilizzo di questi crediti. Questi crediti sono arrivati, alla data attuale, a 4,3 miliardi di euro, e si incrementeranno di ulteriori 600 milioni di euro per il 2013 e di ulteriori 400 milioni di euro per gli esercizi successivi. Volete queste norme che incrementano? Metteteci nelle condizioni, però, di procedere con disposizioni che consentano un recupero di questi crediti o, perlomeno, la loro cessione, in maniera che le imprese possano rientrare nella liquidità. Capiamo benissimo che questo fenomeno comporterebbe l'evidenziazione di questi meccanismi dei crediti che lo Stato, in qualche misura, non ha bisogno di dimostrare all'Europa, ma bisogna capire le ripercussioni che questi fenomeni possono avere, all'interno di un meccanismo che abbiamo l'esigenza di mantenere vitale, quello del comparto vita, elemento fondamentale non solo per «lo stare in piedi», e, quindi, per la stabilità delle imprese di assicurazione, ma, soprattutto, anche per mantenere in piedi tutti coloro che vivono all'interno della filiera assicurativa.
Evito di ricordare l'ultimo argomento - perché è stato già trattato dal collega dell'ABI - delle ulteriori componenti di tassazione che attengono al riallineamento dei valori fiscali al maggior valore di bilancio. Spostare l'ammortamento di questi valori, per i quali le imprese hanno pagato la tassazione al 16 per cento, è un meccanismo che non possiamo più considerare accettabile. Mettiamoci d'accordo: se le regole sono quelle, rispettiamole; se dobbiamo modificarle, facciamolo con un provvedimento successivo, ma che non tocchi, fondamentalmente, le scelte che le imprese hanno fatto, versando quattrini freschi e diretti allo Stato in momenti in cui la liquidità è importante anche per le imprese.
La liquidità non è un fenomeno da cui le imprese possono prescindere e non mi riferisco soltanto alle imprese industriali o bancarie, ma anche a quelle di assicurazioni. Se, infatti, mancano questi flussi, se le normative riducono la propensione al risparmio, se si inducono le famiglie di medio e basso livello a riscattare le loro polizze, si innestano processi di riduzione della liquidità tendenzialmente pericolosi per la stabilità delle imprese.
Chiediamo, allora, quando si redigono i provvedimenti, che siano considerate le loro ricadute complessive e, in quest'ottica, anche una maggiore valorizzare di quanto il settore ha fatto e fa per questo Paese.

PRESIDENTE. Abbiamo ascoltato - per così dire - i tre avvocati difensori.


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Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, in particolare ai relatori sui provvedimenti in esame.

PIER PAOLO BARETTA. Mi limiterò a due osservazioni per la brevità del tempo. Dottor Sabatini, mi sembra che, al termine di un comprensibile argomentare dialettico, la vostra posizione sulla tassa concernente le transazioni finanziarie sia di accettabilità, con una serie di paletti.
Personalmente, trovo interessante l'osservazione sull'ipotesi di esenzione dei fondi pensione, considerandoli, quindi, come un aspetto non speculativo, ma, in realtà, mi interessa chiedere due precisazioni. Innanzitutto, a un certo punto, lei usa diplomaticamente una espressione del tipo «rimeditare la norma»: gradirei qualche elemento più esplicito.
In secondo luogo, sempre diplomaticamente, a proposito dei tempi, lei sostiene che l'auspicio è che la previsione dell'entrata in vigore sia compatibile con le esigenze sopra richiamate: questa compatibilità è quantificabile, secondo la vostra percezione, o la domanda è indiscreta?
Vorrei proporre un'osservazione anche su quanto illustrato dal dottor Abete. Personalmente, trovo interessante il passaggio sulla detassazione dei salari di produttività e l'esclusione degli straordinari, soprattutto nell'ottica in cui stiamo ragionando, anche se non so se ci riusciremo, a proposito del rendere strutturale la misura, non legata alla congiuntura e nemmeno - ne parlavamo col collega Brunetta - dipendente dalla presenza di un accordo. Questo è uno strumento a disposizione dell'impresa, ovviamente è meglio che sia sorretto da un accordo sindacale.
Detto questo, che resta un tema da approfondire, faccio presente che la copertura che lei individua, cioè il «disboscamento» delle agevolazioni, il rapporto Giavazzi, tanto per capirci, sta diventando ormai, in queste ore, elemento di discussione. Confindustria, ad esempio, stamattina ha affermato chiaramente che penserebbe di usare il rapporto Giavazzi per un credito di imposta sull'innovazione e sulla ricerca; noi pensiamo di usarlo anche per la copertura generale della legge di stabilità. L'ho sottolineato per notare che, però, finalmente, come abbiamo detto ieri al Ministro Grilli, il rapporto Giavazzi va tirato fuori dai cassetti. O c'è o non c'è. Se non c'è, non parliamone più, così evitiamo l'illusione; se c'è, non darà quanto promesso, ma metteremo nel circuito quello che avrà dato.
L'ultima osservazione è più di sostanza. In qualche modo, nella sua affermazione, lei modifica l'equilibrio presente nel rapporto tra IRPEF e IVA rispetto al disegno di legge di stabilità, indicando anche quali sarebbero le diverse composizioni, il diverso mix. Ovviamente, lei conduce un ragionamento sull'IVA che apre una discussione diversa, che probabilmente bisognerà anche affrontare. Ciò non coincide con il suo pensiero, ma l'aliquota IVA al 10 per cento non è la stessa di quella al 21 per cento, anche negli effetti sociali. Questo può avere delle conseguenze nella valutazione complessiva del mix redistributivo a favore dei ceti più bassi, anche in rapporto a un nuovo impiego di quelle risorse attualmente allocate sull'IRPEF e che, in qualche modo, stiamo esplicitamente discutendo di allocare in maniera diversa.

AMEDEO CICCANTI. Sarò molto breve. Mi rivolgo sia all'ANIA sia all'ABI. Ci è stato detto che altri Paesi dell'Unione europea hanno assimilato la tassazione sui prodotti finanziari, anziché al 20 per cento - come l'abbiamo noi - in una logica di progressività. Chiedo quali controindicazioni vedreste in un'ipotesi di tassazione progressiva sulle rendite finanziarie, in luogo dell'applicazione di un'aliquota del 20 per cento.

RENATO BRUNETTA. Vorrei proporre una riflessione un po' controcorrente rispetto a quella sui «cattivi» delle banche e del settore finanziario in generale. Nell'opinione pubblica, soprattutto a causa dei cugini americani o dei cugini tedeschi, il mondo bancario, in generale, e anche il


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mondo bancario italiano sono assimilati all'origine di questa crisi. Non dimentichiamo la vendita, l'anno scorso, da parte di Deutsche Bank del suo portafoglio di titoli italiani, 8 miliardi di euro su 9, che innescò una reazione a catena di vendita, da parte di altre istituzioni bancarie e finanziarie, dei nostri titoli del debito sovrano, con l'innesco di un ulteriore contagio che ci ha portato fin qui. Non conosco la ragione, o forse sì, del perché allora Deutsche Bank abbia venduto. Il risultato, però, è che siamo entrati in una spirale che sta portando anche a queste conseguenze di politica economica.
Ricordiamo tutti i quantitative easing all'europea fatti da Mario Draghi rispetto alla liquidità verso il settore bancario, liquidità che non si è trasmessa o si è trasmessa solo in parte all'economia reale in ragione delle regole perverse - penso all'EBA e a Basilea - che imponevano alle stesse banche di ricapitalizzarsi. I «cattivi», allora, stanno diventando anche vittime, perché non riescono a trasmettere la politica monetaria e, di fatto, diventano oggetti o soggetti da spennare perché, di fronte alla crisi complessiva, si va a spremere risorse dal sistema bancario e finanziario.
Da questo punto di vista, la spirale va rotta, intanto indicando chiaramente l'origine della crisi, che ovviamente è una crisi dell'euro, della finanza privata, non quella italiana - su questo, occorre dare atto - per cui, oltre che una difesa di tipo «corporativo» del settore, nella migliore accezione del termine, a mio modo di vedere il settore avrebbe anche il dovere, oltre che il diritto, di rappresentare una sorta di lettura corretta di quello che è successo nell'ultimo anno e mezzo, proprio per uscire dall'angolo e diventare agente di trasmissione della politica monetaria con le mani libere. Questo significa, infatti, fare il proprio mestiere, e, cioè, prestare soldi alle imprese, alle famiglie, intermediare rispetto al tempo e al futuro per quanto riguarda i sistemi assicurativi.
Diversamente, il rischio è che lo «spennamento» si trasli sull'economia reale, sulle famiglie e sulle imprese in modo tale che, così, si ritorni daccapo. Certamente, è apprezzabile la vostra analitica difesa corporativa, a cui aggiungerei, però, anche una altrettanto importante riflessione sulle cause della crisi, ma anche su una serie di suggerimenti di nuova politica economica che rompa la spirale perversa.

LINO DUILIO. In buona parte sono stato anticipato dal collega Brunetta. Specificherò alcune declinazioni della questione relativa al fatto che in questa situazione di crisi, ma in verità anche prima, la lamentazione che, più o meno sotto traccia, più o meno esplicitamente, viene fatta nel nostro Paese - lo dico con una battuta che, in particolare ai rappresentanti delle banche, sarà ultra nota - è che siamo nella situazione in cui si prestano i soldi a quelli che non ne hanno bisogno e non si prestano a quelli che, invece, ne avrebbero bisogno.
Si tratta di denunciare, fondamentalmente, la condizione di una carenza di cultura del rischio all'interno dell'attività ordinaria degli istituti di credito. Anche in condizioni «normali», parlando con i rappresentanti delle piccole e medie imprese, con una realtà produttiva del nostro Paese, si trovano molte lamentazioni, come dicevo, sia sulla sostanza, e cioè sul fatto di non accedere facilmente al credito, ma anche e soprattutto sulle difficoltà burocratiche o sulla mancanza di servizi adeguati. Io vivo in Lombardia, parlo con molte persone che hanno provato ad andare fuori e che dichiarano che il sistema creditizio che li accompagna e assiste è molto diverso rispetto ad altre imprese del sistema italiano.
Probabilmente è ingeneroso quanto detto, e potrebbe portare ad una ulteriore difesa della vostra realtà. Io constato che la situazione preesistente permane e si è aggravata anche per il fatto che, a causa di una serie di ragioni, ivi compreso l'accordo di Basilea, il tentativo di immettere liquidità si è tradotto sostanzialmente nell'acquisto di titoli di Stato, operazione per altri versi utile, ma che ha impedito di portare soldi alle imprese.


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Vorrei conoscere anche la pars construens della vostra posizione e le soluzioni che proponete affinché le banche tornino a fare il loro mestiere. Cosa pensate, nello specifico, della separazione tra banche d'affari e banche di raccolta fondi? Qualcuno dice che bisognerebbe tornare a separare nel nostro Paese la gestione in modo che ci siano banche che prestano denaro e banche che raccolgono il risparmio.
Qual è la vostra opinione al riguardo?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Proverò a essere sintetico, anche se i temi sono molto vasti.
Cerco di rispondere velocemente all'onorevole Baretta. Con riferimento ai tempi, per modificare le procedure occorreranno, molto approssimativamente, circa sei mesi. È un orizzonte ragionevole. Siamo consapevoli della necessità che qualunque nostra proposta di modifica della norma, anche quella sulla financial transaction tax (FTT), debba rispettare il vincolo dei saldi invariati.
Sul piano oggettivo, bisogna riflettere sul tema dei derivati, allineando, ad esempio, l'aliquota dei derivati a quella proposta dalla Commissione europea, cioè allo 0,01 per cento. Tenendo conto che essa viene applicata sul valore nozionale, secondo noi le valutazioni contenute nella relazione tecnica sono sottostimate. Altra ipotesi è fare una distinzione tra prodotti speculativi e non speculativi. Per quanto riguarda l'ambito soggettivo, si potrebbero esentare le operazioni infra-gruppo, i fondi pensione e l'attività di market making sui mercati regolamentati.
In relazione alla tassazione sulle rendite delle attività finanziarie, è stata ventilata l'ipotesi di passare dall'imposta sostitutiva al 20 per cento, all'indicazione, nella dichiarazione dei redditi, del risultato derivante dall'investimento in attività finanziarie. Non so dare una risposta. Bisognerebbe valutare anche il gettito. Nel primo caso si ha certezza del gettito, perché il prelievo è alla fonte, mentre l'inserimento nella denuncia dei redditi potrebbe rendere il processo più complicato e incerto, anche se, in teoria, risponde al principio più generale della progressività del tributo.
A proposito di quanto diceva l'onorevole Brunetta, siamo assolutamente d'accordo. Abbiamo sempre sostenuto di rappresentare un modello di banca che non è stato all'origine della crisi. Il rapporto Liikanen mostra come, a cinque anni di distanza, le banche italiane continuino a investire il proprio attivo per oltre il 70 per cento in impieghi nei confronti di imprese e famiglie, erogando finanziamenti all'economia reale. Chi ha causato la crisi ed è stato salvato con fondi pubblici continua, invece, ad avere un attivo di bilancio rappresentato fondamentalmente da strumenti derivati. Sembra che si continui a fare come prima.
Questa sera avremmo dovuto parlare del disegno di legge di stabilità, ma raccolgo l'invito a rappresentare meglio - e più chiaramente - che cosa è accaduto e cosa hanno fatto le banche italiane di diverso dalle altre banche. Mi ricollegherei alle questioni sollevate dall'onorevole Duilio. Sicuramente ci potrebbero essere dei casi, forse anche numerosi, in cui l'erogazione del credito non ha funzionato. Non dobbiamo però dimenticare che questa fase è del tutto eccezionale. È dalla seconda guerra mondiale che non si verificavano due recessioni in così rapida sequenza e così profonde da colpire l'economia, causando un crollo degli investimenti e della produzione industriale.
In questo contesto, lo stock di credito all'economia non è sostanzialmente diminuito. Soltanto negli ultimi mesi c'è stata effettivamente una riduzione, ma dobbiamo tenere presente che da giugno dell'anno scorso il mercato della raccolta internazionale per le banche italiane si è completamente chiuso. Abbiamo, quindi, un rilevante problema di raccolta a medio e lungo termine, proprio la tipologia di raccolta che, garantendo la stabilità degli


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intermediari, permette di erogare finanziamenti a medio e lungo termine, in particolare per mutui o investimenti.
Nonostante questo, non siamo stati lontani dalle imprese. Grazie alla prima moratoria, sono state aiutate 260.000 imprese e 15 miliardi di euro di liquidità sono stati lasciati nel sistema delle imprese. All'inizio di quest'anno abbiamo riconfermato tale moratoria, tra l'altro, anche ampliando le opportunità. Oltre alla semplice sospensione del pagamento della quota capitale dei mutui per le piccole e medie imprese, abbiamo, infatti, previsto misure che consentono l'allungamento delle scadenze del prestito originario a favore di chi, pur avendo usufruito della prima moratoria, continua, dato il contesto, a incontrare difficoltà.
Vorrei precisare che la liquidità fornita dalla BCE è stata sostitutiva. Abbiamo più volte ribadito che tra raccolta domestica e impieghi all'economia c'è un divario di circa 250 miliardi di euro che le banche italiane prima riuscivano a coprire con la raccolta sui mercati internazionali. Grazie a questa liquidità sostitutiva, immessa attraverso le operazioni con la Banca centrale europea e le operazioni straordinarie fatte a dicembre e poi a febbraio scorsi, si è evitata la vera e propria stretta creditizia.
Quella parte di acquisti di titoli di Stato che abbiamo eseguito, oltre a garantire la sottoscrizione soprattutto nella prima parte dell'anno, quando le scadenze delle emissioni erano particolarmente concentrate, non ha sottratto risorse all'economia. L'acquisto dei titoli di Stato, infatti, consente di avere titoli che sono stanziabili presso la BCE e, quindi, portati come collateral, possono essere riutilizzati a fronte di ulteriori finanziamenti ricevuti dalla Banca centrale europea. Anche in questo modo non abbiamo sottratto risorse all'economia.
Per quanto riguarda la separazione tra le attività di banca d'investimento e le attività di banca retail, si tratta di una delle misure suggerite, da ultimo, dal rapporto Liikanen. La Commissione per prima ha preso tempo per esprimere la propria valutazione. È una misura che, data la loro natura, colpirebbe in minima parte le banche italiane. Tuttavia, non possiamo nascondere che, tra l'enunciazione del principio e l'attuazione concreta, ci sono dei problemi che, secondo noi, potrebbero produrre effetti collaterali sulla tipica attività della banca commerciale. Faccio un esempio: come dicevo prima, le banche commerciali, per coprirsi dai rischi legati al tasso nella loro attività di erogazione del credito, usano i derivati con il portafoglio di proprietà; in questo modello di separazione non è chiaro dove si collochino queste attività. Non sempre un derivato è immediatamente collegabile a un sottostante; con un derivato si può coprire un portafoglio di attività.
Credo che questa misura, che, come ripeto, per le banche italiane sarebbe meno pesante che per i competitor europei, dovrebbe essere studiata bene, affinché non produca effetti collaterali sulla normale attività di erogazione del credito.

LUIGI ABETE, Presidente di Assonime. Non ritornerò sui temi che ha già trattato Sabatini, ma vorrei ricordare che le banche sono imprese. Io sono presidente di banca, ma faccio anche l'imprenditore e mi rammarico perché le banche sono un interlocutore difficile. Quando, però, faccio il presidente di banca mi rendo conto che le banche devono prestare soldi a coloro che hanno progetti tali per cui è presumibile che saranno in grado di restituirli. Altrimenti, non sarebbero delle imprese.
Si tratta di un problema microeconomico, al di là della macroeconomia, che tocca un Paese come l'Italia, che è sempre più duale. Ci sono imprese che vanno molto bene e imprese che prima galleggiavano e adesso sono in rapido declino. Le medie di Trilussa oggi riescono peggio di dieci o quindici anni fa. Una volta la media era tra sessanta e quaranta. Adesso è tra ottanta e venti. Il risultato è sempre cinquanta, ma la differenza - in termini di capacità competitiva e, quindi, di risorse


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disponibili - tra le imprese che stanno ai due poli, è molto più ampia.
All'onorevole Baretta dico che siamo sempre stati favorevoli al fatto che la contrattazione aziendale diventi permanente, senza limiti di applicabilità, se non per scaglioni. Non si capisce per quale motivo si privino del vantaggio le categorie medie, i quadri, escludendole dal processo applicativo, quando è da quelle categorie che vogliamo maggiore produttività. Dovremmo tentare di spostare la soglia verso l'alto.
I limiti possono essere introdotti oltre certe misure, ma non si può premiare la produttività escludendo coloro che sono i maggiori attori della produttività stessa. La scala di applicazione dell'attuale sistema di detassazione, infatti, non porta alcun vantaggio monetario a questi soggetti. Le norme, però, dovrebbero essere pensate in modo che producano i risultati che si dichiara di voler ottenere.
Per quanto riguarda l'IVA, mi permetto di ribadire che voler continuare a tutelare i ceti più deboli con aliquote differenziate è un controsenso storico. Possiamo e dobbiamo tutelare i ceti più deboli utilizzando una parte anche rilevante delle entrate che potrebbero derivare dal riequilibrio delle imposte indirette per dare loro un'autonoma e adeguata capacità di spesa.
I ceti più abbienti ricevono dall'applicazione di aliquote ridotte un vantaggio superiore, perché acquistano i beni interessati dalle aliquote differenziate in misura quantitativamente maggiore, non avvantaggiando quindi i ceti più deboli. È un problema culturale che meriterebbe maggiore riflessione. Faccio sempre l'esempio del latte in relazione al reddito familiare. È più avvantaggiata la famiglia che può comprare tre litri di latte, e al limite lasciarli scadere, della famiglia che compra al massimo mezzo litro di latte. Lo dico anche contro l'interesse delle imprese che rappresento, perché penso che sia un principio di politica economica.
Non voglio entrare in competizione con il mio amico Brunetta - che è un professore - sulla politica economica, ma l'onorevole decide di prendere una certa data di partenza, facendo discendere da lì tutte le conseguenze. Il punto non è la data da cui partire. Il nostro giudizio sulle cause prende in considerazione il fatto che l'avanzo primario che avevamo recuperato nella prima parte degli anni Novanta è stato successivamente perso.
Ammesso e non concesso che questa lettura non sia esatta, il problema, come diceva Sabatini, è recuperare la fiducia dei mercati per poter ricominciare a finanziarie le imprese che sono più sottocapitalizzate di quelle che vengono finanziate in altri Paesi europei, come Germania e Francia. Il perché non si riesca a recuperare questa fiducia è indifferente. Il diverso giudizio storico sulle cause di questa situazione non risolve il problema. Il problema si risolve risolvendo le cause di questa situazione. La questione fondamentale è riottenere la fiducia dei mercati e, per riuscirci, dobbiamo restare entro i vincoli dell'Unione europea, piaccia o non piaccia.

ALDO MINUCCI, Presidente dell'ANIA. La mia risposta è analoga a quella dell'ABI. Il problema attiene ai meccanismi della dichiarazione dei redditi. Il passaggio da una tassazione attraverso una ritenuta alla fonte, che assicura un gettito significativo, a una tassazione che ripercorre i meccanismi della denuncia e dei controlli sulle denunce, oltre che far venire il mal di testa agli italiani, determina qualche problema anche sotto il profilo della tenuta del gettito.
C'è un'ulteriore componente, di cui non dovrei nemmeno parlare. Se gli aumenti di tassazione vengono poi portati ai livelli di reddito ordinari, mi chiedo chi più stipulerà le polizze. Non dobbiamo pensare che le rendite finanziarie siano solo fenomeni speculativi. Sono anche fenomeni collegati alle logiche del risparmio di medio e di lungo periodo, il quale risparmio si regge su determinati meccanismi nei quali gioca un ruolo anche la componente della fiscalità.


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La fiscalità, al momento del pagamento del premio, è stata tolta per la quasi generalità delle polizze. Vi chiediamo di lasciare almeno una fiscalità ridotta sulla componente che è un reddito che matura pian piano nel tempo.

MASSIMO POLLEDRI. Si parlava di capitalizzazione e il Monte dei Paschi di Siena è stato appena ricapitalizzato con 4 miliardi di euro. Qualche «cosina» l'abbiamo data e potevamo anche andare da qualche altra parte.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,25.

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