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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
2.
Mercoledì 2 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 6
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 3 6
Morando Enrico (PD) ... 6

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 7 19
Lazzaro Tullio, Presidente della Corte dei conti ... 7
Mazzillo Luigi, Consigliere della Corte dei conti ... 19
Morando Enrico (PD) ... 19

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 19 28
Biggeri Luigi, Presidente dell'ISTAT ... 19

Audizione del Governatore della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 28 34 37 40 42 45
Bonfrisco Anna Cinzia (PdL) ... 36
Borghesi Antonio (IdV) ... 36
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 41
Draghi Mario, Governatore della Banca d'Italia ... 28 37 38 39 41 42 44
Giaretta Paolo (PD) ... 34
Leo Maurizio (PdL) ... 41
Marini Cesare (PD) ... 40 44
Misiani Antonio (PD) ... 41
Reguzzoni Marco Giovanni (LNP) ... 36 39
Tabacci Bruno (UdC) ... 35 38

Audizione di rappresentanti dell'ISAE (Attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Azzollini Antonio, Presidente ... 45
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 54 56 58
Duilio Lino (PD) ... 54
Lusi Luigi (PD) ... 55
Majocchi Alberto, Presidente dell'ISAE ... 45 56
Morando Enrico (PD) ... 54 56
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta pomeridiana di mercoledì 2 luglio 2008


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 13,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sul sito internet della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione del presidente del CNEL.
Mi scuso con voi, con i nostri ospiti, con chi doveva intervenire prima, ossia l'ISAE, a cui abbiamo chiesto di spostare l'audizione. Purtroppo, la tempistica in cui siamo costretti a operare è oggettivamente imbarazzante per tutti, però cerchiamo di comprimere il più possibile i tempi morti.
Do subito la parola, per un gradito ritorno in questa Commissione, al professor Marzano, attualmente presidente del CNEL.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Signor presidente, onorevoli parlamentari, la scelta del Governo di presentare nel DPEF il quadro di finanza pubblica in una prospettiva pluriennale, tale da coprire l'arco dell'intera legislatura e da collocare all'interno di questo periodo il perseguimento di due obiettivi ambiziosi (il pareggio del bilancio e la riduzione al di sotto del 100 per cento del rapporto debito-PIL) è condivisa unanimemente dal CNEL.
Il CNEL conferma il proprio apprezzamento per la decisione di rendere concreti alcuni dei più significativi obiettivi della manovra delineata dal DPEF attraverso la loro traduzione in strumenti normativi, la cui presentazione alle Camere è avvenuta contestualmente al DPEF.
Si tratta di una tempistica che ben si colloca all'interno di quella generale rivisitazione degli strumenti della manovra di politica economica che erano stati al centro di un documento sulla riforma della legge di contabilità, approvato dal CNEL sin dal mese di aprile del 2007 - e che mi permetterò di inviare a questa Commissione - la cui urgenza è stata sottolineata, in un altro documento del CNEL, sugli indirizzi di un possibile DPEF di legislatura.
Il CNEL ribadisce, inoltre, il proprio apprezzamento per la scelta del Governo di confermare, attraverso il DPEF e i provvedimenti normativi con esso coerenti, i fondamentali obiettivi, e la tempistica relativa, degli impegni per il risanamento della finanza pubblica assunti con la Commissione dell'Unione europea.
Si tratta di un importante segnale di continuità degli impegni della Repubblica


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che accresce la credibilità di questi impegni e rafforza la credibilità dell'intero sistema Paese.
Desta qualche perplessità, invece, la scelta di utilizzare, in modo prevalente, per la produzione concreta della manovra di politica economica, un solo provvedimento legislativo e nella forma di decreto-legge.
Il CNEL, nella sua proposta per una rivisitazione delle modalità di presentazione ed esame dei documenti nei quali si articola la manovra di politica economica, aveva optato per una ipotesi di provvedimenti omogenei, da sottoporre all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, riservando alla Commissione bilancio la competenza in materia di compatibilità degli equilibri finanziari.
Il CNEL condivide le preoccupazioni del Presidente della Repubblica circa la tempistica di esame parlamentare della manovra.
La scelta di concentrare in un unico provvedimento una molteplicità di temi, il cui filo unificante è costituito dai loro effetti, spesso non diretti e comunque non relativi al primo esercizio della manovra economica - in particolare l'assegnazione alla competenza della Commissione bilancio dell'esame di materie come la riorganizzazione di interi comparti della pubblica amministrazione, nello specifico, per il suo rilievo quantitativo, di quello della scuola, della sicurezza, di blocchi complessi di norme in materia di lavoro e previdenza - rischia di introdurre in questi settori modifiche caratterizzate dalla sola esigenza di ridurre a breve la spesa del settore.
Diverso è il problema di una equilibrata riforma di questi settori e conseguentemente, in prospettiva, della riduzione strutturale e non solo temporanea della spesa.
Il CNEL conferma la propria adesione all'ipotesi che la via maestra, per il risanamento strutturale della finanza pubblica, sia quella di un accrescimento in un primo tempo, e di una stabilizzazione poi, di un forte avanzo primario da realizzare attraverso il riesame degli stock, in particolare nella spesa corrente, anche in funzione dell'orientamento di flussi di nuova spesa in quelle direzioni che, accrescendo la produttività complessiva del sistema, siano tali da generare un deciso incremento del PIL, in linea con la crescita che si realizza nell'area dell'Unione europea.
In sostanza, il CNEL ribadisce l'importanza di andare a esaminare lo stock legislativo della spesa, di spese che sono state decise magari molto tempo fa e che erano appropriate, necessarie e urgenti allora, ma non è detto che lo siano ancora.
Per questo, sarebbe indispensabile coinvolgere, in un attento lavoro di monitoraggio e di riqualificazione della spesa, tutti i soggetti interessati: le amministrazioni centrali, certo, ma anche, per le loro crescenti competenze, i diversi livelli di governo locale, cui richiedere la piena assunzione di responsabilità sulla individuazione dei meccanismi di intervento sulla spesa pubblica, adatti a perseguire gli obiettivi quantitativi funzionali al riequilibrio della finanza pubblica.
Il CNEL condivide la scelta di mirare a una maggiore efficienza della spesa per investimenti, attraverso una maggiore flessibilità. Il trasferimento del vincolo legislativo, dalla singola legge di spesa al programma e alla missione, è coerente con questo obiettivo ed è unanimemente condiviso dal CNEL. Si tratta di un lavoro di lunga lena, che deve affiancare quello per individuare specifiche criticità degli stock di spesa pubblica e come si sono determinate nel tempo.
Per questo, la scelta di sopprimere, senza individuare per ora strumenti alternativi, la commissione tecnica della finanza pubblica andrebbe collocata, secondo il CNEL, all'interno di un più generale processo di riforma dello Stato e di attuazione del Titolo V della parte II della Costituzione.
L'esigenza di proseguire in un percorso di risanamento, come già evidenziato dal CNEL, rischia però di scontrarsi con la duplice emergenza che l'economia italiana vive: un tasso di crescita da molti anni inferiore a quello medio dei principali


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Paesi industrializzati e una vera e propria emergenza per i redditi da salario e da pensione.
L'assenza di interventi incisivi su queste emergenze, che si evince dalla previsione del DPEF sull'andamento della produttività e del PIL, rischierebbe di non rendere credibile la previsione di pareggio del bilancio nel 2011, in quanto si innescherebbe un circolo negativo fatto di misure restrittive, minori entrate, maggiori spese.
Per questo, il CNEL ritiene di dover concentrare le proposte di analisi attenta dei documenti in discussione su tre tematiche di grande rilievo per il complesso dell'economia italiana. La prima tematica riguarda le politiche degli investimenti e il Mezzogiorno.
Il CNEL, nel prospettare l'opinione delle parti sociali - sindacati e imprese - sui contenuti della manovra di politica economica per il 2009-2013, aveva indicato l'esigenza di concentrare attenzione e risorse, per accrescere lo sviluppo, in particolare su politiche volte a riqualificare la politica energetica, sul Mezzogiorno e su una revisione delle procedure, in materia di definizione degli investimenti infrastrutturali, sulle politiche per l'innovazione e per la competitività.
Nel riconfermare quegli obiettivi, il CNEL sottolinea l'emergenza Mezzogiorno, la cui arretratezza - per citare il Ministro dell'economia e delle finanze - non è stata compensata dalle politiche di bilancio finora attuate negli ultimi dieci anni.
Il DPEF 2009-2013 sembra non ricomprendere, tra gli obiettivi fondamentali, il riequilibrio territoriale. Viene abbandonato, infatti, l'obiettivo di incrementare la spesa in conto capitale nel sud fino al 45 per cento del totale e viene ridotta la dotazione di spesa della missione sviluppo e riequilibrio territoriale del Ministero dello sviluppo economico. La riduzione totale nel triennio è pari a 7.720 milioni di euro. Sono anche ridotte le disponibilità della missione competitività e sviluppo delle imprese dello stesso Ministero.
In relazione poi alle specifiche esigenze di contrasto alla criminalità organizzata, preoccupano le riduzioni di spesa riferite a ordine pubblico e sicurezza del Ministero dell'interno che, anche in relazione al crescere di nuove emergenze, rischiano di concentrarsi sugli interventi in essere nel Mezzogiorno.
Più in generale, in materia di utilizzazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, sarebbe indispensabile, da un lato confermare la tradizionale ripartizione tra centro-nord e Mezzogiorno; dall'altro lato, evitare che la tempistica connessa alla notificazione, alla commissione dei nuovi programmi ponga a rischio quote italiane di fondi strutturali.
Resta ferma, naturalmente - il CNEL è unanime nel dirlo - l'esigenza di dedicare particolare attenzione alla qualità dei risultati. Deve essere previsto che si accentui, a tutti i livelli di governo e anche in questa area del Paese, ossia nel sud, il monitoraggio sull'equità e sull'efficienza del prelievo e sulla qualità e l'efficacia della spesa.
Numerose disposizioni - questo è il secondo tema di riferimento specifico - intervengono in materia di regolazione dei rapporti di lavoro pubblici e privati.
Il CNEL non intende in questa sede esprimere un proprio giudizio puntuale su tali disposizioni, ma si limita a osservare come in presenza di una trattativa aperta fra le parti sociali - che si svolge anche in sede CNEL - per la definizione di un nuovo modello contrattuale, cui anche il Governo attribuisce grande rilievo, sarebbe opportuno non introdurre nella disciplina esistente modifiche per via legislativa che possano creare tensioni e complicare il buon esito della trattativa.
Sto riassumendo, presidente, perché, se ho ben capito, avete dei tempi stretti.
Il terzo punto è l'inflazione programmata. Mentre vengono diffuse stime preoccupanti sull'incremento dei prezzi al consumo (più 3,8 per cento a giugno del 2008), con variazioni ancora più preoccupanti di alcuni indici disaggregati (per l'abitazione, più 7 per cento, così come per l'acqua, l'elettricità, i combustibili e così via), con previsioni di ulteriori impennate negli indici nei prossimi mesi


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(basta pensare ai previsti aumenti relativi ai costi energetici), preoccupa il CNEL l'indicazione di un obiettivo di inflazione programmata, per il 2009, dell'1,7 per cento.
Il CNEL non contesta l'esigenza di un esame attento sulle componenti importate all'interno dell'andamento delle ragioni di scambio, anche per evitare, come ha segnalato il Governatore della Banca d'Italia, che la crescita dei prezzi delle materie prime essenziali faccia perdere potere di acquisto a stipendi, salari e pensioni e che costituisca una minaccia alla tranquillità del risparmio che potrebbe avere effetti devastanti. Tuttavia, l'indicazione di un obiettivo più realistico potrebbe aiutare la trattativa in corso tra le parti sociali per un nuovo modello contrattuale.
Desta qualche preoccupazione l'intenzione della Banca centrale europea di rialzare, nell'attuale contesto congiunturale europeo, i propri tassi di riferimento.
Per conciliare obiettivi di inflazione compatibili con quelli della Banca centrale europea, da un lato, e per soddisfare la necessità di sostenere i redditi da lavoro e da pensione, dall'altro, non resta pertanto che la restituzione fiscale, a partire dall'eventuale extra gettito che dovesse emergere dall'assestamento di bilancio che, secondo l'articolo 1, comma 4, della finanziaria 2008, dovrebbe essere automaticamente destinato alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente, mediante un incremento delle detrazioni.
Il CNEL ribadisce, in questo quadro, l'esigenza di una manovra selettiva di sostegno dei redditi. L'emergenza dei bassi redditi da salario e da pensione, affrontata peraltro con le recenti misure in materia di ICI e di detassazione degli straordinari, che garantiscono, soprattutto nel secondo caso, ossia la detassazione, un intervento non irrilevante su una fascia di reddito medio bassa, è condivisa.
Al di là del giudizio di merito su queste misure, questi provvedimenti coinvolgono però ancora limitatamente l'universo dei bisognosi.
Sarebbe utile che il Governo, meglio specificando e articolando le differenze esistenti in materia di entrate tra le previsioni a legislazione vigente e quelle programmatiche, evidenziasse se, a suo parere, esistono spazi per un intervento organico in materia di welfare e di trattamento dei redditi da salario e da pensione.
Presidente, termino qui la sintesi del parere del CNEL.

PRESIDENTE. Grazie, presidente Marzano. Ringrazio il CNEL che, in questo caso, è stato estremamente tempestivo ed è riuscito a produrre il proprio parere in tempo utile per la nostra audizione. Non sempre è accaduto lo stesso in passato, quindi questo è un contributo importante.
Eventualmente, se avete altra documentazione scritta, la possiamo acquisire agli atti.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

ENRICO MORANDO. A proposito del tasso di inflazione programmata, volevo chiedere se è stata svolta una discussione al CNEL circa l'ipotesi, che molti hanno formulato nel corso di questi giorni, di assumere come tasso di inflazione programmata il target BCE, ossia il 2 per cento, che, in una certa misura, consentirebbe di conciliare i due obiettivi che lei ha appena richiamato e che per brevità non riprendo.
Vorrei sapere se ne avete parlato e, nel qual caso, in che termini.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Si è parlato dell'1,7 per cento assunto fino ad ora. Infatti, nel parere c'è qualche riferimento al problema. Invece, sull'adozione del tasso BCE del 2 per cento, devo dire che personalmente ho espresso un giudizio positivo.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il presidente del CNEL, Antonio Marzano, per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.


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Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Diamo il benvenuto alla Corte dei conti che è qui rappresentata dal presidente, dottor Tullio Lazzaro, che siede alla mia destra e da una folta delegazione composta dai dottori Fulvio Balsamo, Luigi Mazzillo, Mario Falcucci, Maurizio Pala, Enrico Flaccadoro e Paolo Peluffo, che ovviamente salutiamo.
Do la parola al presidente Lazzaro, per l'illustrazione della relazione.

TULLIO LAZZARO, Presidente della Corte dei conti. Signor presidente, darò lettura dell'elaborato messo a punto dalle Sezioni riunite. Quando riterrà che abbia esaurito il tempo a disposizione, la prego di avvertirmi e io interromperò immediatamente.
La settimana scorsa, nella relazione sul rendiconto generale dello Stato, la Corte, analizzando i risultati economici e di finanza pubblica del 2007, ha espresso alcune osservazioni di sintesi sulle prospettive dei conti pubblici, soprattutto nel confronto con gli altri principali Paesi europei.
Si evidenziava, in particolare, come la comparazione delle performance conseguite nel primo decennio di vita dell'Unione europea faccia emergere con chiarezza le insufficienze della politica di bilancio dell'Italia, da riferire soprattutto alle difficoltà strutturali di un efficace controllo della spesa pubblica primaria.
L'euro ha infatti consentito al nostro Paese di ridurre il peso della spesa per interessi sul PIL di più di quattro punti, ai prezzi 2007, pari a poco meno di 70 miliardi di euro, mentre in Germania e in Francia la riduzione è stata di pochi decimi di punto.
Mentre, però, questi due Paesi hanno ridotto nel decennio l'incidenza della spesa corrente primaria sul PIL di ben 3,6 punti (la Germania) e di 0,7 punti (la Francia), in Italia il peso è cresciuto di 1,5 punti. Molto più della metà dell'intero bonus derivante dalla riduzione degli oneri per interessi è stato dunque disperso in incrementi della spesa pubblica, anziché utilizzato per alleggerire il peso del debito pubblico.
Nel 2007, poi, la pressione fiscale è rimasta solo marginalmente al di sotto dell'anno 1997, che aveva richiesto il massimo dello sforzo fiscale per l'ammissione all'Unione monetaria europea.
Nella relazione si è quindi ancora una volta richiamata la necessità, per il definitivo risanamento dei conti pubblici, della definizione di regole rigide di evoluzione della spesa pubblica corrente, certamente da mantenere su tassi di incremento inferiori al tasso di crescita nominale del prodotto.
Ma tale impegnativo percorso, pur nell'apprezzamento dei tentativi di affinamento dei meccanismi di spending review, non può che prevedere, all'avviso della Corte, il coinvolgimento di tutti i grandi comparti della spesa, essendo ormai esigua, se non addirittura sconsigliabile, un'ulteriore correzione delle componenti di spesa più agevolmente aggredibili, come i consumi intermedi e gli investimenti pubblici.
Il rischio di mancare ancora una volta gli obiettivi di controllo della spesa pubblica si riflette naturalmente in quello, non meno grave, di dover necessariamente rinunciare a una riduzione della pressione fiscale, il cui anomalo livello non è privo di implicazioni negative sullo sviluppo delle attività produttive e sull'allocazione dei fattori della produzione.
Con realismo, il DPEF 2009-2013 prende atto che, nella attesa degli effetti inevitabilmente graduali degli interventi di riforma da definire rapidamente, come per il pubblico impiego e per l'organizzazione amministrativa, e del decisivo completamento


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del disegno attuativo della riforma costituzionale prevista con il Titolo V della Costituzione, molto limitati restano nel breve e medio termine i margini di manovra per una correzione dei saldi di finanza pubblica.
Il quadro programmatico di finanza pubblica promosso dal DPEF bene rappresenta questa situazione di impasse di breve periodo. Esso prevede, infatti, una sostanziale invarianza della pressione fiscale sugli elevati livelli dell'ultimo biennio e una concentrazione dei tagli di spesa sugli investimenti pubblici e sulla spesa in conto capitale.
Tagli, peraltro, in larga misura facilitati dalla loro natura di rinvio di pagamenti.
La consapevolezza dei limitati benefici conseguibili dall'impiego degli strumenti tradizionali di controllo della spesa, ormai da anni confinati a poche voci e non le più significative, sembra essere con tutta evidenza alla base della scelta apprezzabile di anticipare a prima dell'estate, con il decreto-legge n. 112 del 25 giugno scorso, la manovra tradizionale di aggiustamento, con l'intenzione di consentire al Parlamento di affrontare quanto prima il ben più complesso disegno di riforme istituzionali e organizzative, al quale, in ultima analisi, è condizionata la stessa capacità di incidere sulle tendenze espansive dei grandi comparti di spesa.
Sotto il profilo procedurale, il DPEF e la contestuale manovra di bilancio presentano una importante novità.
La Corte ha più volte dovuto richiamare l'attenzione sulle patologie via via aggravatesi nel corso degli ultimi anni, che, anche per effetto del totale insuccesso dei collegati «fuori sessione» di carattere ordinamentale, avevano determinato una sostanziale mancanza di coordinamento tra il DPEF originario, presentato a giugno, e l'effettiva manovra di bilancio decisa a fine anno. La situazione era poi aggravata sia dall'incertezza del suo contenuto finale, che si protraeva per l'intera sessione; sia dal connesso appesantimento della legge finanziaria e dagli eventuali collegati, per la presenza di una congerie di norme eterogenee; sia infine dall'inserimento della totalità della manovra stessa in un emendamento presentato a ridosso dei termini di scadenza, approvato attraverso una mera mozione di fiducia, senza che il Parlamento, a mezzo delle Commissioni competenti per gli aspetti finanziari, potesse disporre di tempi ragionevoli per la valutazione del suo contenuto.
Il metodo profondamente innovativo adottato quest'anno non può che essere accolto con favore. Esso determina, infatti, una programmazione triennale non più svincolata da indicazioni sulle concrete modalità di attuazione; la sottrazione della materia a discussioni astratte, rese nella quasi totalità inutili dall'incalzare di vicende congiunturali e politiche che, immancabilmente, si verificano in periodi così lunghi; la conseguente possibilità di utilizzare i tempi resi così disponibili per l'esame di quelle riforme di carattere ordinamentale che già il legislatore del 1999 aveva inteso, senza successo, svincolare dalla contestualità con le annuali manovre di bilancio.
Pur considerato che i tempi di approvazione di un disegno di legge non sono così controllabili come quelli di un provvedimento di urgenza, non può tuttavia non rilevarsi che l'adozione di quest'ultima modalità di intervento comporta gli elementi di criticità, ripetutamente posti in evidenza dalla Corte, derivanti dalle ristrettezze dei tempi di esame parlamentare. Non può che auspicarsi al riguardo che gli eventuali chiarimenti richiesti dalle Commissioni bilancio, su aspetti delle relazioni tecniche, al testo originario e soprattutto agli eventuali emendamenti, vengano forniti in modo esauriente e aderente alle osservazioni formulate.
Come di consueto, il DPEF offre una valutazione dell'anno di base del quadro programmatico, aggiornando il preconsuntivo per il 2008. Si trae, da questo preconsuntivo, la conferma della sussistenza di fattori di rischio nelle condizioni dei conti pubblici italiani: fattori rilevati anche dalla Commissione europea pur nel contesto dell'abrogazione della procedura di infrazione per deficit eccessivo.


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Il peggioramento degli obiettivi di indebitamento netto e di avanzo primario per il 2008, rispettivamente stimati al 2,5 e al 2,6 per cento del PIL - una linea di tendenza invertita rispetto all'ultimo biennio - viene ricondotto in primo luogo al netto peggioramento del ciclo economico, che in Italia ha assunto dimensioni anche maggiori rispetto alla generale flessione dell'attività economica in Europa. Ne discendono implicazioni negative sul gettito tributario, con un ridimensionamento cospicuo, soprattutto delle imposte indirette, in parte compensato da una ennesima riduzione delle sole spese in conto capitale. Le preoccupazioni sulla tenuta del gettito tributario sono accentuate dall'inevitabile ritardo con il quale le entrate reagiscono al rallentamento del prodotto interno lordo - ciò che proietta sul 2009 una tendenza non favorevole - e dai rischi degli esiti legati alla prossima decisione della Corte costituzionale sull'IRAP, nonché dalle incertezze sulla adeguatezza delle coperture previste per la riforma IRES-IRAP.
Dunque, la limitata efficacia dei tentativi sperimentati negli ultimi anni per controllare la spesa pubblica, emerge ora con più evidenza, poiché essa non trova più compensazione (che negli anni precedenti è stata più che piena) nell'andamento del gettito tributario. In quegli anni la Corte non aveva mancato di avvertire circa il rischio di considerare permanente una esplosione di entrate non giustificate dalla dinamica dell'attività economica.
Vengo al quadro problematico della finanza pubblica. Nel proporsi un percorso di riequilibrio, che prevede l'azzeramento del disavanzo nel 2011, il DPEF 2009-2013 muove dalla considerazione del nuovo quadro macroeconomico internazionale raggiunto. Il rallentamento della congiuntura mondiale e le debolezze specifiche dell'economia italiana comportano una prospettiva di crescita del PIL molto rallentata nel periodo di riferimento. In Italia dal 2008 al 2011 la crescita in termini reali del prodotto resterà inferiore all'1 per cento, mentre nell'area dell'Unione europea sarà dell'ordine di 1,5 per cento, in media annua. Le implicazioni della difficile congiuntura economica sui conti pubblici determinano, come si è già detto, un percorso quasi obbligato, nel quale il raggiungimento dell'equilibrio di finanza pubblica necessita di significativi tagli di spesa, ma anche di un livello ancora molto elevato di pressione fiscale. Rispetto all'evoluzione tendenziale, la dimensione della manovra netta di riequilibrio dei conti raggiunge, nel triennio 2009-2011, i 33 miliardi dei quali, a fine periodo, meno del 39 per cento riferibili a minori spese correnti al netto degli interessi; circa il 34 per cento a minori spese in conto capitale e più del 21 per cento circa a maggiori entrate tributarie.
Il miglioramento atteso dall'avanzo primario produrrebbe, poi, una flessione delle spese per interessi alla quale è da riferire il completamento della manovra correttiva.
Le difficoltà di questo percorso sono ben indicate dalla proiezione relativa al 2009, anno per il quale il DPEF si propone di riportare l'avanzo primario al di sopra del 3 per cento del PIL e l'indebitamento netto al 2 per cento.
Ebbene, in questo caso la manovra correttiva netta, dell'ordine di 10 miliardi di euro, prevede che ben il 68 per cento della correzione sia affidata a interventi di aumento di imposte, circa il 30 per cento a tagli degli investimenti e poco meno del 3 per cento a minori spese per interessi.
Le spese correnti primarie, invece, resterebbero su livelli della previsione tendenziale.
In ogni caso - pur nell'ipotesi di piena realizzazione degli interventi correttivi proposti - nel 2011 l'incidenza delle spese correnti al netto degli interessi sul PIL si ridurrebbe solo dello 0, 7 per cento rispetto al consuntivo del 2007.
Calerebbe invece pesantemente l'incidenza delle spese in conto capitale (dal 4,5 al 3,3 per cento del PIL), mentre resterebbe sostanzialmente invariata la pressione fiscale (dal 4,3 al 4,2 per cento). L'innovazione, introdotta dal DPEF 2009-2013, di adottare contestualmente al Documento un primo provvedimento legislativo


Pag. 10

di attuazione degli impegni programmatici, consente per la prima volta di anticipare qualche valutazione sul contenuto delle principali misure correttive.
Del resto, gli interventi previsti nel decreto-legge n. 112 del 2008 rappresentano, dal punto di vista quantitativo, quasi l'intero importo della manovra di bilancio prospettata dal DPEF nel periodo fino al 2011.
In due occasioni, negli ultimi anni, la Corte ha avuto modo di esaminare approfonditamente l'applicazione di nuovi strumenti o regole intese a conseguire un maggior controllo della spesa corrente primaria, pervenendo assai di frequente a valutare non positivamente l'efficacia di tali interventi.
La composizione della manovra correttiva prevista per il 2009 costituisce una conferma significativa del permanere di queste difficoltà oggettive.
A maggior ragione, appare alla Corte importante valutare con attenzione il disegno di medio termine che il DPEF traccia, con riguardo ai maggiori temi di riforma dell'amministrazione pubblica e del federalismo, oltre che in materia di perequazione tributaria, poiché è solo da questi interventi strutturali che potranno discendere correzioni permanenti e mirate nei grandi comparti della spesa pubblica.
Il grado di definizione di tali interventi è molto differenziato.
Mentre le tematiche relative alle politiche fiscali e alla riforma del pubblico impiego appaiono già sufficientemente delineate nel provvedimento d'urgenza approvato a metà giugno, e pertanto già consentono di esprimere un primo giudizio, nel DPEF restano ancora appena accennati i tratti del futuro assetto del federalismo e di altri interventi di riforma che impegneranno il Parlamento a partire dal prossimo autunno.
In questa sede, sui principali temi non sono consentiti che brevi e sintetici cenni, che peraltro trovano un'articolazione più ampia e un supporto di informazione più dettagliata nella relazione sul rendiconto generale dello Stato trasmessa al Parlamento pochi giorni or sono e alla quale dunque facciamo rinvio.
Su alcune tematiche di particolare attualità depositiamo, insieme al testo di questa audizione, materiali e argomentazioni in apposito allegato.
Passo ora agli interventi in materia tributaria. Le misure tributarie contenute nel decreto-legge n. 112 ed i cui effetti sono riepilogati nella tavola allegata, dovrebbero assicurare, secondo la relazione tecnica, maggiori entrate nette pari per il quadriennio 2008-2011 a poco meno di 18,2 miliardi di euro: 2,2 miliardi per il 2008, che successivamente aumenteranno a 5 miliardi per il 2009, a 5,3 per il 2010 ed a 5,7 per il 2011.
A tal proposito, al di là delle puntuali riserve che possono essere avanzate in ordine alla modificazione degli effetti di gettito di alcuni dei provvedimenti, va evidenziato come le verifiche effettuate dal consuntivo abbiano finora sistematicamente portato a rilevare effetti complessivi di sovrastima, che, come risulta dall'analisi condotta nell'allegato paragrafo della relazione della Corte sul rendiconto 2007, per la manovra finanziaria varata a fine 2006, si cifrano tra il 17 e il 20 per cento.
I provvedimenti adottati si concentrano nei tre articoli 81-83, in cui si sostanzia l'obiettivo di perequazione tributaria.
Al loro interno coesistono tradizionali misure di accelerazione del prelievo (anticipi, incrementi delle misure di acconto) e di aumento in positivo tout court, con misure innovative per la scelta dei destinatari, l'indicazione della base imponibile e la commisurazione dell'imposta.
Completa il quadro un insieme di provvedimenti destinati al contrasto dell'evasione fiscale. Anche al loro interno, la propensione a privilegiare consolidate strategie di contrasto non esclude il ricorso a nuovi strumenti di recupero di base imponibile.
La componente più «innovativa» della manovra sulle entrate è rappresentata da quell'insieme di misure che, sulla scorta degli annunci che le hanno precedute e degli obiettivi prefigurati, è ormai noto


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come il pacchetto Robin tax. Il pacchetto comprende provvedimenti di diversa natura, applicabili a specifici soggetti e settori produttivi: imprese del settore energetico, banche, assicurazioni, società cooperative. Una quota di tale maggiore gettito sarà destinata a diventare un fondo speciale per i bisogni, alimentari e successivamente anche energetici, dei cittadini meno abbienti. A tal fine, la necessità di fissare rigorosi criteri di selezione dei beneficiari, ed entità dei benefici individuali, si aggiunge all'esigenza di definire le caratteristiche della carta acquisti da predisporre, attivare e gestire attraverso una rete distributiva diffusa in maniera capillare sul territorio.
Pur non disconoscendo la valenza degli obiettivi del provvedimento in esame, pare opportuno evidenziare taluni rischi associati alla loro attuazione con le conseguenti possibili ricadute sotto il profilo del gettito. In particolare, la previsione di un prelievo differenziato sui profitti di alcuni settori e categorie di imprese, pur giustificato da fattori contingenti, si configura in realtà come un inasprimento strutturale del prelievo a carico di uno specifico segmento imprenditoriale. Anche per tale motivo è concreto il rischio che il maggior prelievo possa essere traslato sui consumatori, attraverso un aumento dei prezzi praticati sui prodotti, o su altri soggetti economici, con un effetto ad esempio sui salari reali dei lavoratori impiegati nei settori colpiti. In proposito, il grado di cogenza della cosiddetta clausola salva utenti - divieto di traslazione della maggiorazione di imposta sui prezzi al consumo - appare inversamente proporzionale alla sua durata, indipendentemente dalla vigilanza affidata all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas.
Le maggiori entrate, 733 milioni, assicurate dall'imposta sostitutiva sui valori latenti delle rimanenze delle imprese petrolifere e del gas, rappresentano di fatto un'anticipazione della tassazione: scorte già tassate riducono, in sostanza, l'utile che emergerà all'atto della vendita del prodotto e la relativa tassazione (un'anticipazione con aliquota del 16 per cento, in luogo di una tassazione ordinaria con l'aumentata aliquota IRES del 33 per cento).
Le risorse che alimenteranno il fondo per i meno abbienti ammonteranno inizialmente a meno di 300 milioni. A meno di non ipotizzare nuovi e significativi afflussi dalle altre fonti individuate dalla norma, è concreto il rischio che la finalizzazione sociale della Robin tax possa risultare molto limitata. Anche per tale motivo, si pone l'esigenza di evitare che i potenziali benefici dell'iniziativa non siano compromessi da elevati costi di gestione, ideazione, creazione, distribuzione, monitoraggio della carta acquisti. Per contro, sarebbe necessario valutare come questa nuova iniziativa si collochi in un contesto in cui già sono operanti istituti a sostegno dei meno abbienti e strumenti di misurazione delle condizioni economiche.
Più tradizionali sono le misure che, nell'articolo 82 del decreto, hanno come destinatari banche e assicurazioni. Tutte le misure riflettono, a ben vedere, l'incertezza che continua a dominare la tassazione delle attività finanziarie, stretta tra l'attrattiva della tassazione agevolata e la fuga dalla progressività. L'articolo 83, intestato all'efficienza dell'amministrazione finanziaria, contiene una serie di misure antievasione, ad alcune delle quali sono associati, per gli anni futuri, effetti di maggiore gettito conteggiati, ai fini del rispetto dei parametri del Patto europeo di stabilità e crescita, per un importo complessivo di circa 513 milioni nel 2009, 793 milioni nel 2010 e 1953 milioni nel 2011.
L'insieme delle disposizioni recate dall'articolo 83 del decreto-legge va valutato molto positivamente, soprattutto per l'evidente e convinta ispirazione alla logica di piano industriale, ripetutamente suggerita dalla Corte, applicata alla strategia di contrasto all'evasione. Un piano che, partendo dall'analisi delle dimensioni, della composizione e delle cause del fenomeno, passa alla definizione delle metodologie di contrasto e dei piani operativi, quindi al monitoraggio e alla verifica dei risultati.
Perplessità possono tuttavia insorgere con riguardo a due aspetti. Il primo attiene


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non tanto alla scelta di assegnare a tale strategia effetti importanti di riduzione dell'indebitamento netto, quanto al modo sommario con il quale le quantificazioni sembrano essere state effettuate (raddoppio da un anno all'altro). Il secondo aspetto, che rafforza le perplessità in ordine all'effettiva possibilità di conseguire, nella misura attesa, gli effetti di maggior gettito, attiene alle conseguenze che alcune delle cosiddette semplificazioni potranno avere, non solo sui comportamenti dei contribuenti, ma anche sulla possibilità per gli uffici di acquisire gli indispensabili mezzi di prova.
Ciò riguarda in particolare la soppressione dell'appena reintrodotto obbligo di allegazione alla dichiarazione IVA degli elenchi clienti-fornitori, che peraltro, in ragione dell'ormai generalizzata informatizzazione nella tenuta della contabilità, non avrebbe provocato particolari complicazioni gestionali ed oneri aggiuntivi ai contribuenti. Ma riguarda, altresì, l'abrogazione di altre norme, anch'esse da poco introdotte, in materia di limitazione dell'uso di contanti e di assegni, di tracciabilità dei pagamenti e di tenuta, da parte dei professionisti, di conti correnti dedicati.
Tali misure sembrano rispondere all'impostazione di fondo che punta a promuovere lo sviluppo rimuovendo i vincoli e gli adempimenti ritenuti non essenziali, che appesantirebbero i costi e intralcerebbero l'operatività delle imprese. Si tratta, in questo caso, di una scelta di natura politica che, come tale, la Corte non è abilitata a valutare. Resta tuttavia da chiedersi se, a parte ogni eventuale considerazione sulla conformità con le direttive europee in materia di riciclaggio, sia stata verificata la coerenza tra queste misure e quelle di intensificazione e di miglior messa a punto delle strategie di contrasto all'evasione e se si sia valutato se il rapporto costi-benefici delle semplificazioni in questione risulti economicamente e socialmente più favorevole del mantenimento delle disposizioni soppresse.
A proposito di maggiore gettito derivato dalla lotta all'evasione, va naturalmente richiamato quanto la Corte ha ribadito anche di recente - in sede di esame del rendiconto 2007 - e di cui si dà conto in apposito allegato, a proposito delle difficoltà di misurazione ex post dei risultati conseguiti e della prudenza, quindi, con la quale gli importi stimati vanno portati a copertura di spese permanenti.
Sostanzialmente improntata a prudenza appare la valutazione dei possibili proventi derivanti dalla alienazione di beni del patrimonio pubblico. Quanto alla privatizzazione di asset immobiliari pubblici, il DPEF conferma che il processo è sostanzialmente bloccato, per quanto riguarda le grandi società a controllo pubblico. Il documento infatti sottolinea le difficoltà, connesse al contesto di maggiore complessità, rispetto al periodo in cui si è avuta una vera e propria ondata di gestione di partecipazioni pubbliche: necessità di non perdere il controllo di aziende operanti in settori strategici, quali l'energia elettrica, il gas e il militare-alta tecnologia, e nelle quali la quota di partecipazione pubblica è ormai prossima al 30 per cento; mancanza di attrattiva, per il mercato, di una serie di altre aziende pubbliche per tipologie settoriali; peculiarità normative; problematicità di natura finanziaria ed economica. Si riafferma tuttavia l'intenzione di voler cogliere, per quanto possibile, opportunità di mercato e di contesto al fine di riattivare un percorso di riduzione del debito dello Stato.
La manovra conferma anche la strategia di valorizzazione del patrimonio pubblico e, in particolare, di quello di regioni, comuni ed altri enti locali. Il ricorso alle vendite immobiliari è previsto per la gestione degli immobili IACP (Istituto autonomo case popolari), per realizzare nuovi fondi da destinare al piano nazionale di edilizia abitativa. È evidente che le disposizioni della manovra potranno risultare effettivamente operative, nel breve e medio periodo, solo per ciò che attiene all'alienazione degli immobili IACP. Per quanto riguarda invece i tempi della possibile valorizzazione del patrimonio immobiliare degli enti territoriali, essi appaiono ancora molto lunghi, sia per la complessità della


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ricognizione da operare, sia perché le decisioni sono affidate ad un insieme molto ampio e differenziato di soggetti istituzionali.
Un motivo di preoccupazione si riconnette anche alle modalità con cui i processi di dismissione potranno avvenire, nella persistente e ben nota carenza di adeguate capacità tecnico-gestionali, soprattutto degli enti di minori dimensioni, i quali potrebbero rischiare, come per gli strumenti di finanza derivata, di diventare preda della strategia aggressiva di attori finanziari interessati a far effettuare le operazioni. A tal proposito non va dimenticato che, come dimostrano i risultati dell'indagine svolta in proposito dalla Corte, le stesse operazioni di cartolarizzazione e di conferimento di immobili dello Stato e degli enti previdenziali effettuate nella prima metà del decennio si sono concluse con un netto svantaggio per i soggetti pubblici. Si impone quindi l'esigenza da un lato di condurre maggiori approfondimenti e di apprestare, a favore degli enti, appropriati meccanismi di assistenza, pianificazione, monitoraggio e controllo, e dall'altro di fissare un orizzonte temporale, di attuazione della strategia, realistico ed adeguato. Sicché, per poter contabilizzare risultati significativi senza compromettere la salvaguardia di interessi pubblici di fondo, sembrerebbe prudente guardare al di là del triennio di riferimento del DPEF.
Riguardo al pubblico impiego, nella citata relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2007, la Corte sottolineava preliminarmente che la materia del personale pubblico continua ad essere attraversata da problematiche che riflettono per un verso la necessità di ammodernare l'assetto delle relazioni sindacali e per altro verso l'esigenza di accrescere i nessi tra la spesa per le retribuzioni, la produttività del lavoro e la funzionalità delle amministrazioni.
La manovra predisposta dal Governo, ed attualmente all'esame del Parlamento, interviene su tutti gli aspetti problematici più volte segnalati dalla Corte.
Al fine di ridurre la complessiva spesa di personale delle amministrazioni pubbliche, vengono rafforzate le misure di contenimento della dinamica delle nuove assunzioni, abbattendo drasticamente il tasso di sostituzione dei dipendenti cessati dal servizio nel triennio di riferimento, subordinando comunque le assunzioni alla previa reale attuazione delle procedure di mobilità. Limiti analoghi vengono posti, poi, alla stabilizzazione dei precari, con una significativa inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto nel precedente esercizio.
Nell'ambito delle misure per il pubblico impiego, l'articolo 64 è dedicato specificamente all'organizzazione scolastica. Rinvio al testo depositato per le prime valutazioni della Corte. Significativi limiti quantitativi e qualitativi vengono posti alla contrattazione integrativa.
In quella sede, la Corte è ora chiamata, in caso di accertata esorbitanza delle spese dai limiti imposti dai vincoli di finanza pubblica e dagli atti generali di indirizzo, a proporre interventi correttivi a livello di comparto e di singolo ente.
In caso di acclarato superamento dei predetti limiti, le corrispondenti clausole contrattuali sono immediatamente sospese, con obbligo di recupero delle maggiori somme nella successiva tornata contrattuale.
Considerato il rilevante numero di contratti integrativi stipulati annualmente (ad oggi circa 50 mila) e pur tenendo conto dei maggiori flussi informativi, la Corte si propone di elaborare un sistema di controllo su base necessariamente campionaria.
Profondamente rivisitata appare la normativa sugli effetti della mancata giustificazione, da parte delle Sezioni riunite, degli oneri derivanti da rinnovi contrattuali.
Il nuovo meccanismo prevede l'obbligo di riconvocare le parti per la sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione.
Viene introdotto un effetto impeditivo all'ulteriore corso del contratto. L'effetto è,


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per certi aspetti, simile a quello riconnesso al controllo preventivo di legittimità, ma viene applicato ad una tipologia di controllo che interviene su atti di autonomia negoziale, anziché su provvedimenti amministrativi, e che si fonda su parametri economico-finanziari invece che sulla conformità a norme giuridiche. Rilevanti perciò e impegnativi i nuovi compiti affidati alla Corte che presuppongono comunque, per la loro efficacia, un reale miglioramento dei flussi informativi, della qualità dei dati e dei controlli sulla contrattazione integrativa, demandati agli organi di revisione contabile degli enti.
Il conto programmatico delle pubbliche amministrazioni, esposto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, prevede un incremento della spesa per redditi da lavoro dipendente pari nel 2008 a 10.437 milioni (più 6,3 per cento rispetto al 2007), e un minore incremento nel 2009 (4.059 milioni), pari al 2,3 per cento.
L'incremento della spesa di personale relativa al 2009 sconta dunque il venir meno della forte componente di arretrati prevista per l'anno precedente, pari a circa 4.000 milioni, e tiene conto della corresponsione dell'importo quantificato per i rinnovi contrattuali, relativi al biennio 2008-2009, sulla base esclusivamente dei tassi di inflazione programmata: 3.900 milioni, cui va aggiunta la quota parte di indennità di vacanza contrattuale pari a 494 milioni.
Allo stato, quindi, l'ipotesi sembra prevedere la stipula, nell'anno 2009, di tutti i contratti collettivi relativi al biennio in corso alle condizioni sopra indicate.
Quanto sopra peraltro senza tener conto, come si è più volte ricordato, del presumibile andamento della contrattazione integrativa, che ha sinora contribuito a determinare in modo sistematico, al consuntivo di ciascun esercizio, una dinamica dei redditi di lavoro dipendente di gran lunga superiore a quella stimata.
Vengo al capitolo sul controllo della spesa delle amministrazioni centrali. Il contributo dell'amministrazione centrale al contenimento della spesa è ottenuto, nel decreto-legge n. 112, con una riduzione delle dotazioni finanziarie delle missioni dei ministeri iscritte nel bilancio a legislazione vigente 2009-2011, per importi definiti a valere sulle risorse riferite a spese predeterminate per legge e al fabbisogno complessivo, al netto della quota vincolata.
Nella valutazione di tale misura non si può non considerare che nel corso degli ultimi anni si è più volte intervenuti per contenere la dinamica della spesa, specie di quella per consumi intermedi, sia attraverso la fissazione di regole di crescita di tale aggregato, con riferimento all'intero comparto delle amministrazioni pubbliche, sia attraverso tagli lineari degli stanziamenti iscritti al bilancio dello Stato.
Per il 2009, il provvedimento si aggiunge quindi a quello previsto dall'articolo 1, comma 507, della legge finanziaria per il 2007, nonché ai tagli relativi alle spese per consumi intermedi e alla manutenzione degli immobili introdotti con la finanziaria per il 2008.
A fronte di accantonamenti, ex comma 507, compresi tra il 12 e il 14 per cento degli stanziamenti ritenuti comprimibili, il taglio lineare disposto dal decreto-legge n. 112 comporta una ulteriore riduzione di circa il 22 per cento. Percentuale che cresce ad oltre il 40 per cento nel 2011. Va considerato poi che nel 2007 le modifiche intervenute durante l'anno hanno ridotto significativamente la portata del provvedimento. I tagli effettivamente realizzati sono stati di oltre il 42 per cento inferiori a quelli originariamente programmati. La riduzione ha interessato soprattutto il conto capitale che ha visto più che dimezzato l'importo accantonato (meno 53 per cento). Per la spesa corrente invece il calo è stato inferiore (meno 39 per cento) e ha riguardato soprattutto le somme, per la verità limitate, relative a trasferimenti ad amministrazioni pubbliche, famiglie e imprese.
Le caratteristiche della riduzione di spesa conosciuta nel 2007 e l'eredità trasferita sul 2008 fanno guardare con preoccupazione a una nuova decurtazione dei fondi per gli acquisti di beni e servizi. Le riduzioni prefigurano, se non sorrette da


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vere e proprie modifiche organizzative, possibili effetti di rimbalzo negli esercizi successivi, o il crescente ricorso a riconoscimenti di debito.
Il decreto accompagna le misure ed i tagli della spesa con interventi di flessibilizzazione del bilancio, che si aggiungono a quelli già introdotti negli ultimi anni dalla legge di bilancio. In particolare, si prevede che i ministri possono rimodulare le riduzioni delle missioni di spesa fra i relativi programmi, nel rispetto delle finalità stabilite dalle disposizioni legislative relative ai medesimi programmi e dei saldi di finanza pubblica.
Per una valutazione della tenuta degli obiettivi fissati è determinante comprendere se, in sede di predisposizione del progetto di bilancio annuale e pluriennale dello Stato per il triennio 2009-2011, le amministrazioni, nel rivedere i programmi di spesa nell'ambito di ciascuna missione e individuando quelli da considerare prioritari, potranno altresì proporre la riallocazione di donazioni finanziarie predeterminate per legge e, per il momento, escluse da quelle «aggredibili».
Riesaminare i programmi di spesa in atto rappresenta la sola condizione per rendere credibili i tagli crescenti di spesa, per il momento parametrati su un'area da sempre soggetta alle manovre di contenimento e pertanto ormai di dimensioni difficilmente comprimibili.
Passo ora agli interventi sugli assetti organizzativi. Il decreto-legge n. 112 prevede una serie di interventi sull'assetto organizzativo delle amministrazioni statali finalizzati a ridurre il peso, anche finanziario, delle relative strutture e a migliorare la funzionalità degli apparati. Le disposizioni di maggiore impatto sono quelle contenute negli articoli 68 e 74 del decreto, nonché nell'articolo 26.
Sul programma di riduzione degli organismi collegiali e di altri organismi dell'amministrazione centrale, contenuto nel decreto-legge n. 223 del 2006, la Corte ha avuto modo di soffermarsi nella recente relazione al Parlamento sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 2007. In tale sede è stato osservato come il programma di sfoltimento degli organi collegiali e degli altri organismi operanti presso le amministrazioni centrali è stato realizzato in termini che non appaiono soddisfacenti.
Le misure previste dal decreto-legge in esame non sfuggono alle osservazioni critiche formulate con riguardo al programma di riordino contenuto nel decreto-legge n. 223 del 2006 il cui impianto, del resto, recepisce. Inoltre, talune previsioni dell'articolo 68 si prestano a incertezze applicative, ove il loro contenuto non venga adeguatamente precisato. Da segnalare altresì che la norma non risolve il problema, già presente nell'articolo 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, di individuare con precisione gli altri organismi, oltre a quelli collegiali, ai quale si rivolge l'operazione di sfoltimento. Resta il fatto poi che gli organismi «utili» verranno individuati ancora una volta «su proposta del ministro competente» e quindi delle stesse amministrazioni oggetto dell'intervento.
Quanto alla soppressione delle strutture amministrative che svolgono prevalentemente attività a contenuto tecnico e di elevata specializzazione, riconducibili a funzioni istituzionali attribuite ad amministrazioni dello Stato centrali o periferiche, non vengono stabiliti né i criteri per l'individuazione di tale strutture, né il procedimento di soppressione, o di trasferimento, delle relative competenze alle amministrazioni svolgenti funzioni omogenee. Neppure sono indicate le amministrazioni nelle quali dovranno essere assorbite le funzioni, i mezzi e il personale degli organi collegiali pur immediatamente soppressi, a parte la precisazione del decreto che, come ho detto, i loro organi sono conservati per 60 giorni al fine di assolvere alle procedure di trasferimento alle amministrazioni di nuova appartenenza.
L'articolo 74 del decreto-legge è dedicato alla riduzione degli assetti organizzativi dell'amministrazione dello Stato. Si tratta di norme già di per sé non cogenti che sfuggono alle esigenze, sulle quali la Corte ha avuto modo di soffermarsi nella menzionata relazione sul rendiconto per il


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2007, di realizzare un assetto dell'amministrazione statale che sia coerente, non solo con obiettivi di maggiore funzionalità degli uffici, ma anche con le implicazioni che sull'organizzazione delle amministrazioni statali dovrebbero, o potrebbero discendere dall'attuazione dell'articolo 118, comma 1, della Costituzione.
Da segnalare, sotto altro profilo, che, nella minore spesa risultante dal riordino, dovranno essere calcolati, come ho detto, i risparmi conseguiti con le riduzioni già effettuate dai ministeri che avevano dato attuazione alle riduzioni previste dalla legge finanziaria 2007: 10 per cento degli uffici dirigenziali generali e 5 per cento di quelli non generali.
Di tali risparmi non è mai stata effettuata, però, una ricognizione. E, del resto, le riduzioni organizzative hanno riguardato il numero dei posti in organico, talvolta scoperti, e non la spesa per i dirigenti in servizio.
Dall'attuazione delle misure contenute all'articolo 74, la relazione tecnica stima minori spese per 12 milioni nel 2009, 24 nel 2010 e 30 nel 2011, che si riducono alla metà, per ciascun anno, in termini di risparmi netti.
La stima è effettuata, peraltro, con riguardo ai circa 600 dirigenti generali dello Stato, compresi quelli della Presidenza del Consiglio dei ministri, e non anche ai dirigenti di primo livello, stanti i notevoli vuoti di organico nella dirigenza della «seconda fascia».
Ad ogni modo, la riduzione dei 120 posti di funzione dirigenziale generale, pari al 20 per cento dei 600 posti esistenti, viene assunta come riguardante non il numero dei dirigenti, ma il numero dei posti in organico.
Ne discende che il previsto risparmio si presenta, come detto, diluito nel tempo, essendo legato, come chiarisce la relazione tecnica, alle classi di età degli interessati e che una serie di dirigenti generali resterà priva di collocazione funzionale, malgrado il trattamento economico ad essa riconosciuto, fino all'epoca del collocamento a riposo.
La relazione tecnica non fornisce invece valutazioni sugli effetti finanziari che sarebbe destinato a produrre l'articolo 26 del decreto-legge n. 112 relativo al cosiddetto «taglia-enti».
Anche sulla vicenda relativa alla soppressione degli enti pubblici la Corte ha avuto modo di soffermarsi nella recente relazione al Parlamento.
In questa sede, mette conto rilevare come le nuove disposizioni, nel ricalcare norme precedenti, che del resto espressamente richiamano, esigono, perché si realizzi la loro pronta efficacia, di essere attuate nei tempi brevi previsti dal decreto-legge, senza indulgere a proroghe di termini o comunque a dilazioni che pregiudicherebbero la portata della riforma.
Riguardo agli interventi sulla finanza decentrata, per le regioni e gli enti locali il decreto prevede un contributo alla riduzione dell'indebitamento che nel triennio cresce dagli iniziali 3,2 miliardi nel 2009 fino a 9,2 miliardi nel 2011.
Tali effetti sono riconducibili a una ridefinizione del patto di stabilità interno per le amministrazioni territoriali, da concordare entro il prossimo luglio. Una clausola fa salvi gli effetti della norma anche in caso di mancato accordo sugli obiettivi finanziari.
La mancanza di dettagli, circa le caratteristiche previste per il nuovo patto, non consente ancora una valutazione compiuta sul rilievo del contributo richiesto.
Manca inoltre la scomposizione del quadro tendenziale di finanza pubblica tra amministrazioni centrali e locali, che invece era inserito nel DPEF dello scorso anno.
Il blocco della leva fiscale delle amministrazioni territoriali, disposto dal decreto-legge n. 93 del 2008 in corso di conversione, fino alla definizione del nuovo disegno di federalismo fiscale, porta a ritenere che il miglioramento atteso sarà ottenuto dal lato della spesa presumibilmente con il ricorso a tetti. Guardando al quadro tendenziale delle amministrazioni locali diffuso dalla relazione previsionale e programmatica dello scorso novembre, il miglioramento richiesto consiste in una


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riduzione della spesa complessiva, al netto di quella sanitaria, del 2,5 per cento nel 2008, quota che cresce ad oltre il 6,7 per cento nel 2011.
I risultati ottenuti con i patti di stabilità interna, negli ultimi anni, si sono finora rivelati insoddisfacenti. Anche il monitoraggio condotto dalla Corte sull'esercizio del 2007, di cui si riferisce nella relazione sul rendiconto, ha posto in rilievo tale inadeguatezza.
La scelta operata lo scorso anno di far riferimento non più a tetti di spesa, ma ai saldi di bilancio, ha permesso un contenimento della dinamica complessiva della spesa ai fini degli obiettivi di finanza pubblica, ma al prezzo di una ulteriore riduzione di quella in conto capitale.
Basi di riferimento e meccanismi operativi hanno finito per rendere, poi, il rispetto formale del patto meno arduo rispetto alle attese. Piuttosto, sulla scelta degli enti hanno continuato ad influire i limiti delle disponibilità di cassa e la rigidità della spesa corrente, destinati a ripercuotersi inevitabilmente sulle risorse utilizzabili per le spese in conto capitale che, fatta eccezione per le realtà di maggiori dimensioni, hanno continuato a ridursi considerevolmente.
Guardando ai dati di competenza, si sono manifestate inoltre due tendenze preoccupanti: una ripresa degli stanziamenti per spesa corrente e un calo ulteriore della progettualità in conto capitale nelle realtà territoriali minori.
Con il passaggio a un meccanismo basato su saldi-obiettivo, definiti in base all'andamento degli esercizi passati, si sono introdotte inoltre alcune distorsioni ulteriori. È risultata maggiormente penalizzata la dinamica della spesa in conto capitale di quegli enti che, per caratteristiche cicliche o per ritardi nella realizzazione degli interventi, si sono trovati nel triennio di riferimento in saldo positivo. Sono stati invece avvantaggiati gli enti che avevano concluso una fase di investimento in anni recenti e che quindi si trovavano meno nella necessità di porre in essere nuove programmazioni a breve.
Perseguire una riqualificazione della spesa richiede quindi un'attenta valutazione delle caratteristiche e della qualità della spesa corrente locale e il completamento dei meccanismi di responsabilizzazione gestionali con il varo del federalismo fiscale.
Per portare a compimento il processo di riduzione della spesa corrente inappropriata e improduttiva è necessario innanzitutto recuperare il significato dei documenti economici e contabili delle amministrazioni locali, troppo spesso privi delle caratteristiche necessarie a rendere comprensibili i rapporti tra risorse amministrate e servizi resi ai cittadini, a causa di assetti di governance delle amministrazioni locali non chiari e a differenze poco comprensibili nei criteri di classificazione della spesa. Utile sarebbe, a questo fine, un intervento di riforma in direzione di una migliore leggibilità degli argomenti contabili, prevedendo anche forme di consolidamento dei risultati delle aziende partecipate.
Nella definizione di un meccanismo di coordinamento tra finanza statale e finanza di regioni ed enti locali, e nell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assume poi un ruolo fondamentale un'adeguata e condivisa base informativa su cui stabilire il sistema di finanziamento degli enti decentrati, garantendo un adeguato livello di perequazione e di crescita dei gettiti territoriali.
Il coordinamento tra livelli di governo dovrà infatti consentire di verificare l'adeguatezza delle fonti di copertura nel finanziamento delle funzioni attribuite, di stabilire modalità di concorso agli obiettivi posti dal patto di stabilità e crescita, e di monitorare la dinamica di entrate e di costi delle funzioni ricomprese tra quelle tutelate secondo i livelli essenziali delle prestazioni.
Va infine sottolineato che anche meccanismi sempre più sofisticati e attenti di gestione del patto non possono operare guardando la funzionalità individuale di oltre 2.400 soggetti (tanti sono gli enti soggetti attualmente al patto) di dimensioni e caratteristiche molto diverse. Nel


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disegno di attuazione del federalismo fiscale si dovrà valutare l'opportunità di muovere verso una semplificazione del sistema, prevedendo l'introduzione di schemi di gestione regionale del patto, la possibilità di compensazione tra enti, la definizione di obiettivi anche in termini di debito complessivo.
Per la spesa sanitaria, il DPEF e il decreto-legge n. 112 del 2008, confermato per il 2009 in 102,7 miliardi il livello di finanziamento del Sistema sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato, riducono, rispettivamente, di 2 miliardi (da 105,9 a 103,9 miliardi) e di 3 miliardi (da 109,3 a 106,3 miliardi) i corrispondenti importi per il 2010 e il 2011.
La riduzione si riflette solo parzialmente in una correzione della spesa: il contenimento è pari ad un miliardo nel 2010 e a 2 miliardi a partire dal 2011. Il taglio degli importi su cui si calcola il contributo dello Stato, e quindi delle somme destinate alla copertura dei servizi sanitari, sembra comportare, nel nuovo quadro programmatico, un aumento di circa un miliardo a partire dal 2010 degli introiti previsti come compartecipazione alla spesa.
È innegabile che la correzione si presenta particolarmente rilevante. Seppure a partire dal 2010, la modifica prefigura una ulteriore correzione dal lato della spesa, in un quadro tendenziale già abbastanza contenuto.
Rispetto ad una crescita media del 6,8 per cento tra il 2002 e il 2008, a fronte di una crescita del PIL nominale del 3,6 per cento, il dato tendenziale prefigurava un aumento medio del 3 per cento tra il 2009 e il 2011, con una crescita nominale del PIL in media del 3,1 per cento. Nel quadro programmatico la crescita si ridimensiona di poco più di mezzo punto. Un rallentamento che, tuttavia, porta a un ulteriore progresso del peso del comparto sul totale della spesa delle amministrazioni pubbliche: dal 14,1 per cento nel 2008 al 14,5 per cento a fine periodo.
Sulla realizzabilità di tali risultati pesa anche l'ipotesi di una favorevole conclusione, nel 2010, dei piani di rientro avviati dalle regioni in disavanzo strutturale e il venir meno nell'anno delle misure finanziarie di accompagnamento. Ove il contenimento della spesa in tali regioni fosse infatti portato a compimento, lo sforzo compiuto dovrebbe portare ad una riduzione della spesa, rispetto al tendenziale prefigurato nei piani di rientro, di oltre il 9 per cento. Tale evoluzione è data per scontata, nel quadro tendenziale del DPEF e su di essa si propone una correzione ulteriore.
Certamente non è possibile rinunciare ad estendere anche al settore sanitario i miglioramenti richiesti nei conti pubblici. Rinunciarvi significherebbe infatti trasferire su altri comparti l'onere dell'aggiustamento. La presenza di sacche di inefficienza e di inappropriatezza, consente ancora margini di miglioramento. Si sposta quindi sui contenuti dell'intesa tra Stato e regioni, e sulla loro traduzione nella normativa, l'onere di delineare le aree di spesa e di entrata su cui intervenire, ma anche e soprattutto di definire e potenziare gli strumenti su cui possono contare le amministrazioni regionali. Da questo punto di vista, va valorizzata l'esperienza dei piani di rientro. Il processo avviato ha infatti innescato un percorso di rigenerazione delle capacità amministrative e programmatorie regionali di tutto rilievo, a cui hanno corrisposto, a livello centrale, l'adozione di metodiche di lavoro che potranno essere un prezioso esempio per l'operare cooperativo dei diversi livelli di governo nel nuovo assetto istituzionale.
La dimensione ancora ampia dei servizi da migliorare, come quelli per la non autosufficienza e l'assistenza domiciliare, e gli elementi che spingono, come l'aumento dei costi di gestione alla sanità, non possono consentire di considerare esaustivo il percorso sin qui delineato. Su almeno due fronti è necessario muovere fin d'ora, per arricchire il quadro degli strumenti a disposizione degli amministratori regionali: un'attenta valutazione del quadro delle esenzioni, un potenziamento e una estensione dei meccanismi di compartecipazione alla spesa.


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PRESIDENTE. Grazie, presidente Lazzaro. Come sempre, la Corte dei conti svolge un ruolo di ausilio al Parlamento di grande importanza.
Do la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti e osservazioni.

ENRICO MORANDO. Nel quadro programmatico, il volume delle entrate è calcolato, ovviamente, scontando una certa elasticità rispetto all'andamento della ricchezza nazionale. Siccome noi, negli anni scorsi, abbiamo avuto un'elasticità molto più elevata rispetto ai primi anni del 2000, non sono riuscito a capire, dai dati a nostra disposizione, qual è l'elasticità attesa delle entrate al crescere del prodotto nei prossimi anni. Vorrei capire se voi avete questo dato e che cosa pensate di quel livello di elasticità.

LUIGI MAZZILLO, Consigliere della Corte dei conti. Per la verità, noi il dato non l'abbiamo. Abbiamo assunto un'elasticità pari a uno. Non abbiamo avuto la possibilità di analizzare da che cosa dipenda la differenza delle maggiori entrate previste nel DPEF rispetto a quelle che emergono dalle quantificazioni del decreto-legge.

PRESIDENTE. Ricordo il supporto documentale che è stato lasciato e che andrà a beneficio di tutti i colleghi, anche di quelli che non sono presenti.
Ringrazio gli ospiti della Corte dei conti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 14,45, è ripresa alle 15.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
Do la parola al presidente dell'ISTAT, professor Luigi Biggeri, per la relazione.

LUIGI BIGGERI, Presidente dell'ISTAT. Signor presidente, come al solito verrà distribuito del materiale che, essendo purtroppo consistente, sarà disponibile con qualche minuto di ritardo. Vedo che comunque la sua copia le è stata consegnata.
Inizio la mia sintesi di presentazione, come sempre, facendo riferimento al Documento di programmazione economico-finanziaria - che presenta analisi qualitative e indicazioni quantitative sugli andamenti del quadro economico generale e della finanza pubblica - al cui interno si inquadrano gli obiettivi da perseguire per l'anno in corso e per quelli successivi.
L'Istituto nazionale di statistica concentra i propri commenti sugli andamenti dell'economia reale e di finanza pubblica, utilizzando i dati più recenti disponibili. Le analisi presentate offrono un'integrazione delle informazioni contenute nel DPEF, che peraltro sono piuttosto dettagliate e trasparenti, e una valutazione di alcuni elementi relativi all'andamento dell'economia e agli interventi delineati nel documento. Non viene affrontato, invece, il tema delle previsioni economiche per il periodo 2009-2013, in quanto argomento troppo complesso e che non rientra tra i compiti dell'istituto.
Come contributo di informazione statistica tutti voi avrete non soltanto questa mia relazione, ma anche quattro dossier, di cui tre riguardano gli indicatori congiunturali, la dinamica del sistema dei prezzi - che, come sapete è sul tappeto ormai da un po' di tempo - e la finanza pubblica. Abbiamo inoltre aggiunto un dossier sugli aspetti dimensionali, settoriali e territoriali delle performance di impresa, poiché uno degli obiettivi del DPEF, come del resto anche negli anni precedenti, è quello dello sviluppo economico.
Come documentazione invece abbiamo portato il primo capitolo del rapporto annuale dell'ISTAT sulla situazione del


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Paese nel 2007 e le recenti pubblicazioni sui conti ed aggregati economici delle amministrazione pubbliche, per il periodo 1980-2007, nonché i conti trimestrali che sono usciti questa mattina, da poche ore, relativi alle amministrazioni pubbliche e riferiti al primo trimestre 2008.
Abbiamo anche aggiunto le ultime statistiche, in breve, che riguardano la misura dell'economia sommersa, le previsioni demografiche - che tra l'altro sono in parte contenute nel DPEF, però non aggiornate poiché sono uscite appunto in questi giorni - e infine un'indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali dei comuni.
Gli argomenti che tratterò, come si capisce da quello che ho detto finora, riguardano gli sviluppi recenti del quadro macroeconomico, l'evoluzione del sistema dei prezzi, la verifica delle possibilità di raggiungimento del quadro macroeconomico contenuto nel DPEF, la finanza pubblica. Le caratteristiche strutturali del sistema delle imprese, infine, concluderanno la mia presentazione.
L'analisi dettagliata dello sviluppo del quadro macroeconomico italiano del 2007 è stata presentata, come ho detto, nel rapporto annuale dell'ISTAT. Poiché molti di questi aspetti sono esaminati nel dettaglio anche nel Documento di programmazione economico-finanziaria, in questa sede ci si limita a presentare una sintesi degli elementi informativi che emergono dai più recenti indicatori congiunturali. Come è noto, l'economia italiana ha attraversato, a partire dalla seconda metà del 2007, una fase di indebolimento della dinamica dell'attività, che ha nuovamente segnato una divaricazione rispetto al resto dell'area dell'euro. L'evoluzione congiunturale è stata molto incerta, con un marcato rallentamento dell'espansione nella parte centrale del 2007, una significativa caduta nell'ultimo scorcio dell'anno, infine un discreto recupero nei primi mesi del 2008.
Nel primo trimestre 2008 il prodotto interno lordo è cresciuto ad un ritmo congiunturale dello 0,5 per cento, recuperando per intero la contrazione dello 0,4 per cento che si era registrata nel trimestre precedente. Il pronto superamento dell'episodio di caduta dell'attività produttiva, manifestatasi alla fine del 2007, costituisce un segnale positivo che riduce di molto la portata dei timori relativi al rischio dell'avviarsi di una fase recessiva dell'economia italiana.
Tuttavia, soprattutto a confronto con la dinamica dell'insieme dell'area dell'euro, la recente evoluzione dell'attività del nostro Paese risulta particolarmente debole. Nel primo trimestre il PIL dell'Unione economica e monetaria è aumentato dello 0,8 per cento in termini congiunturali, in accelerazione rispetto al risultato positivo che ha avuto nel quarto trimestre, che era pari a più 0,3 per cento.
Tali andamenti hanno fortemente accentuato la tendenza all'apertura di un ampio differenziale di crescita, tra l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione economica e monetaria.
Misurato nell'arco di un anno, cioè attraverso i tassi di variazione tendenziale, il differenziale rispetto all'Europa è passato da 0,8 punti percentuali alla fine del 2006 a circa 1 punto percentuale intorno alla metà del 2007, per poi arrivare addirittura a 2 punti percentuali nel primo trimestre del 2008. Il tendenziale per l'Unione europea è del 2,2 per cento, il tendenziale per l'Italia è dello 0,3 per cento.
L'evoluzione positiva del primo trimestre è stata favorita in primo luogo dalla spinta proveniente dalla domanda estera netta che, grazie ad una risalita delle esportazioni di beni e servizi più marcata di quella delle importazioni, quindi all'aumento della domanda netta estera, ha contribuito per 0,6 punti percentuali all'incremento congiunturale del prodotto. La crescita delle esportazioni ha in realtà recuperato la caduta, di dimensioni quasi analoghe, registrata nel trimestre precedente, e che aveva favorito il determinarsi di un apporto leggermente negativo della componente estera.
L'evoluzione della domanda interna è rimasta invece, all'inizio di quest'anno, quasi stagnante, fornendo un contributo del tutto marginale alla dinamica del prodotto


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e soprattutto confermando il persistere di condizioni non favorevoli a una duratura accelerazione della crescita. In particolare, i consumi privati non hanno segnato praticamente alcuna risalita (lo 0,1 per cento in termini congiunturali) e, nell'arco dell'ultimo anno, la spesa delle famiglie, valutata in termini reali, è praticamente rimasta piatta.
Il risultato è stato ancora meno favorevole per gli investimenti fissi lordi, anche se differenziato tra investimenti per macchine e attrezzature e altri prodotti, in particolare le costruzioni e quant'altro.
Infatti, per quanto riguarda le costruzioni, il contributo è stato positivo; esse hanno mantenuto un'evoluzione favorevole anche nel primo periodo dell'anno.
Nei primi mesi di quest'anno vi è stato un parziale recupero dell'attività nel settore industriale, rispetto alla contrazione che si era verificata. La produzione industriale che, dopo due trimestri di stagnazione era diminuita, è aumentata dello 0,9 per cento e in aprile si è registrata un'ulteriore significativa risalita dello 0,7 per cento.
Il confronto con l'insieme dell'area dell'Unione economica europea, molto sfavorevole già a partire dall'inizio del 2007, ha evidenziato però un'ulteriore divaricazione. Ciò vuol dire che, nonostante ci sia stato un aumento rispetto agli altri Paesi anche nella produzione industriale, la differenza di andamento rispetto agli altri Paesi europei è ulteriormente aumentata.
A livello settoriale, la recente risalita dell'attività industriale ha riguardato solo una parte dei principali comparti.
Il risultato migliore è attribuibile all'aggregato dei beni strumentali, dove c'è stata una rapida ripresa, e un qualche recupero si è registrato anche per l'insieme dei beni di consumo non durevoli, mentre quelli durevoli e i beni intermedi addirittura hanno avuto un incremento quasi marginale, per non dire che sono rimasti fermi.
L'evoluzione degli ordinativi industriali ha indicato nei primi mesi dell'anno un graduale recupero. I segnali provenienti dalle inchieste sul clima di fiducia mostrano invece un progressivo deterioramento. Quindi, da questo punto di vista non si rileva un segnale preciso.
Il recente andamento congiunturale dell'attività del settore industriale sembra essere stato influenzato, in misura piuttosto significativa, dall'evoluzione dell'esportazione di beni.
Il valore delle vendite ha segnato in termini congiunturali una crescita relativamente modesta nella parte centrale del 2007 e una riduzione addirittura nel quarto trimestre del 2007 (meno 0,7 per cento). Però, all'inizio del 2008, la dinamica è tornata molto più favorevole, con un incremento congiunturale addirittura del 4,7 per cento nel primo trimestre di quest'anno, con un forte aumento delle vendite all'estero, e un nuovo marcato aumento in aprile (più 2,7 per cento). Complessivamente, nel periodo gennaio-aprile 2008, le vendite all'estero di merci sono cresciute in valore dell'8,7 per cento.
La dinamica è stata nettamente più accentuata verso l'area extra UE e, dal punto di vista settoriale, i maggiori contributi sono venuti dai comparti di macchine e apparecchi meccanici, dai prodotti petroliferi raffinati, dai mezzi di trasporto, dai prodotti alimentari, da bevande e tabacco, dai metalli e i prodotti di metallo.
Questo andamento conferma quello che si sta verificando negli ultimi due anni, cioè una buona tenuta delle esportazioni in particolari settori della produzione.
Nei primi quattro mesi dell'anno la crescita delle esportazioni è stata anche superiore a quella delle importazioni, che è stata invece solo del 7,5 per cento, determinando una leggera riduzione del disavanzo dell'interscambio commerciale rispetto all'anno precedente.
L'attivo del saldo commerciale (al netto dei minerali energetici, questo va precisato) è aumentato sensibilmente da 9,6 a 15,4 miliardi, pari a 6 miliardi di aumento, mentre il deficit della bilancia energetica, purtroppo, è peggiorato, portandosi da 16,6 a 21,5 miliardi di euro, con un aumento di 5 miliardi di euro.
Il settore delle costruzioni ha fornito, nel periodo recente, un discreto sostegno


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alla dinamica complessiva del prodotto. Per quanto riguarda le attività dei settori dei servizi di mercato, gli indicatori disponibili mettono in luce un indebolimento congiunturale piuttosto diffuso, in particolare nel commercio all'ingrosso di beni di consumo non alimentari e un incremento, praticamente quasi nullo, per quello dei beni di investimento. Una evoluzione sfavorevole si denota anche per i comparti dei servizi di trasporto e di comunicazione. L'unico settore che ha visto un significativo rafforzamento della crescita è quello dei servizi informatici.
Infine, l'evoluzione delle vendite al dettaglio, come è noto a tutti, è rimasta praticamente stagnante, con variazioni congiunturali nulle sia nel trimestre finale del 2007 sia in quello iniziale del 2008, in termini di valore. Una stagnazione in termini di valore, evidentemente, è sintomo di problemi per questo settore.
Questi problemi vengono soprattutto dalle gravi difficoltà del comparto del commercio tradizionale che, nella media dei primi quattro mesi dell'anno, ha registrato un calo tendenziale del valore delle vendite pari all'1,2 per cento. Invece ha guadagnato ancora terreno la grande distribuzione, con un incremento dell'1,6 per cento.
La perdita di dinamismo dell'attività economica si è riflessa velocemente sull'evoluzione della domanda di lavoro, dando luogo ad una interruzione della precedente tendenza espansiva. Dopo aver registrato una robusta crescita nella parte centrale del 2007 l'occupazione totale, misurata dall'indagine sulle forze di lavoro, ha subito un calo nel quarto trimestre e ha registrato un lievissimo incremento nel primo semestre 2008, che non ha neppure recuperato il calo del quarto trimestre. La tendenza è stata particolarmente negativa nel Mezzogiorno, con una diminuzione di oltre l'1 per cento nell'arco dei due trimestri. In termini settoriali, ciò dipende soprattutto da contrazioni della base occupazionale nell'industria, ma anche nelle costruzioni. Comunque si può osservare che è proseguito l'aumento della diffusione di posizioni a tempo parziale, cioè lavoro non per tutte le giornate nell'arco della settimana o non per tutte le ore nell'arco della giornata. La quota di questa posizione di lavoro a tempo parziale è aumentata dal 13,2 al 14,3 per cento.
Alla battuta d'arresto della dinamica occupazionale ha corrisposto una inversione della precedente tendenza al calo del numero delle persone in cerca di lavoro. Cioè il tasso di disoccupazione, che aveva raggiunto un minimo del 6,1 per cento nel secondo trimestre del 2007, è cresciuto al 6,5 per cento nel primo trimestre del 2008. Qui occorre fare attenzione: è cresciuto particolarmente il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno, però bisogna tener presente, come abbiamo spiegato nel rapporto annuale, che esiste un'area di forza lavoro molto vicina ai disoccupati, che è quella di coloro che si dichiarano inattivi e che sono scoraggiati, poiché non si offrono sul mercato del lavoro. È chiaro che se questi «scoraggiati» decidono di presentarsi sul mercato lavoro, essi risulteranno disoccupati. L'interpretazione non è ambigua: va soltanto tenuto presente che, se si rileva un aumento degli inattivi scoraggiati, allora è ovvio che si possa rilevare anche una diminuzione della disoccupazione, che però non è reale. Questi attuali «scoraggiati» possono infatti cambiare idea e ritornare sul mercato, poiché si tratta di persone giovani, spesso, o comunque ancora in età lavorativa.
All'inizio del 2008 si è registrata un'accentuazione della dinamica salariale che ha beneficiato degli effetti provenienti soprattutto dal rinnovo di contratti collettivi di lavoro particolarmente rilevanti in termini di peso occupazionale, come per esempio quello dei metalmeccanici, del credito, dei pubblici esercizi e della scuola. Il rinnovo ha portato anche ad erogazione, a titolo di arretrato, di una tantum; quindi, quando si opera un confronto, bisogna tener presente anche l'effetto di questi elementi sui dati. L'incremento più marcato ha riguardato il settore del credito e delle assicurazioni, che è stato pari a più 6,6 per cento.
Veniamo al secondo argomento importante: l'evoluzione del sistema dei prezzi.


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Uno degli sviluppi più preoccupanti dell'attuale quadro macroeconomico italiano e internazionale è costituito certamente dall'aumento dell'inflazione determinata dagli effetti degli impulsi provenienti dai prezzi delle materie prime. Le tensioni inflazionistiche sono state alimentate in maniera prevalente dalla forte dinamica dei prezzi dei prodotti energetici e dei prodotti alimentari. Sono imputabili, verosimilmente, soprattutto a effetti di struttura produttiva e di fattori speculativi internazionali. Entrambi questi elementi hanno un impatto che poi può avere un'influenza sull'aumento di questi prezzi.
I rincari registrati per i prezzi internazionali dei prodotti energetici stanno alla base del peggioramento delle ragioni di scambio subito nel periodo recente. I valori medi unitari del totale delle importazioni sono aumentati, nel primo trimestre, dell'8,5 per cento rispetto a un anno fa, a fronte del 5,3 per cento per le esportazioni. Al netto dei prodotti energetici, l'incremento sarebbe stato del 2,5 per cento. Quindi, abbiamo avuto un aumento dell'8,5 per cento, mentre l'incremento, se non ci fosse stato questo aumento dei prodotti energetici, sarebbe stato del 2,5 per cento.
In particolare, nel medesimo periodo, i valori medi unitari del petrolio greggio importato sono aumentati del 49,8 per cento. Abbiamo condotto una sperimentazione per verificare l'effetto di questo aumento sulla dinamica dei prezzi dell'output, quindi non dei prezzi al consumo, bensì quelli alla produzione. L'abbiamo svolta sulla base delle tavole intersettoriali dell'economia italiana ed è spiegata nel dossier numero 2. Essa indica un impatto complessivo pari a 1,17 punti percentuali. I prezzi dell'output sono aumentati - o meglio, dovrebbero essere aumentati, secondo questo calcolo approssimativo di stima - di 1,17 punti percentuali. Si deve osservare che il medesimo deflatore ha segnato, nel primo trimestre, un incremento tendenziale del 3,6 per cento, quindi abbastanza elevato.
L'impatto dei rincari dei prodotti energetici ha contribuito in misura importante all'accelerazione dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali venduti sui mercati interni. Quindi anche i prezzi alla produzione sui mercati interni, per effetto dei rincari dei prodotti energetici, hanno visto un forte aumento. Il tasso di incremento dell'indice generale è salito, in termini tendenziali, dal 4,5 per cento nel quarto trimestre del 2007 al 5,9 per cento nel primo trimestre di quest'anno e al 7,5 per cento a maggio. Le tensioni si sono però estese, almeno in parte, anche ai prodotti non energetici, il cui tasso di incremento è salito a maggio al 3,8 per cento, dal 3,2 per cento che era nel quarto trimestre 2007.
Nell'industria in senso stretto i costi hanno subito, nel periodo recente, una spinta di rilievo derivante sia dal crescere dei prezzi dell'input, sia dall'accelerazione del costo del lavoro per unità di prodotto (costo del lavoro, diviso per la quantità di prodotti che si ottiene).
Per effetto degli aumenti dei prezzi nelle varie fasi di importazione, produzione e distribuzione, il tasso di crescita dei prezzi al consumo, misurato sulla base dell'indice dell'intera collettività nazionale, ha registrato un progressivo rafforzamento a partire dallo scorso autunno, salendo, come molti di voi sanno, dall'1,7 per cento di settembre 2007 al 3,8 per cento del giugno 2008 (la stima provvisoria è uscita pochi giorni fa). A livello dell'Unione economica e monetaria, la dinamica è stata pressoché analoga, con un tasso di incremento dell'indice armonizzato, sia in Italia che nella media europea, del 4 per cento.
Nel nostro Paese il contributo al tasso di inflazione della dinamica dei prezzi dei prodotti energetici e di quelli alimentari, che era pari allo 0,5 per cento nel settembre 2007, è salito sino a 2,2 punti percentuali a giugno. Quello relativo ai soli prodotti energetici è salito, nello stesso periodo, da un valore pressoché nullo, ad 1,2 punti percentuali. Questi andamenti dei prezzi dovranno essere ovviamente attentamente monitorati, poiché, come è ovvio, questi hanno avuto e potranno avere un impatto molto forte sulla competitività delle imprese nonché sul potere


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d'acquisto delle famiglie, con importanti risvolti anche dal punto di vista sociale.
E veniamo al terzo argomento, cioè il quadro macroeconomico per il 2008 contenuto nel Documento di programmazione economico-finanziaria. Lo scenario macroeconomico italiano relativo al 2008, su cui sono costruite le proiezioni tendenziali e programmatiche contenute nel DPEF, si basa su una ipotesi di crescita dell'attività decisamente modesta, che darebbe luogo, nella media dell'anno, ad un incremento del prodotto interno lordo di appena lo 0,5 per cento. Tale espansione sarebbe alimentata, così scrive il DPEF, in misura sostanzialmente analoga dalla domanda interna, con un modesto contributo positivo (più 0,3 per cento), e dal saldo netto con l'estero, il cui rapporto di uguali dimensioni deriverebbe da un rallentamento delle importazioni più accentuato di quello delle esportazioni.
La crescita del PIL acquisita nel primo trimestre 2008 - è l'unica cosa che possiamo dire sulla base dei dati già pubblicati - risulta molto contenuta, pari allo 0,3 per cento, ma non lontana da quella ipotizzata per l'intero anno, che abbiamo detto essere dello 0,5 per cento. La proiezione considerata nel DPEF corrisponde, quindi, a un'evoluzione caratterizzata da un tasso di incremento congiunturale particolarmente modesto, pari in media a poco più dello 0,1 per cento per i rimanenti trimestri dell'anno.
La previsione di sviluppo dei consumi delle famiglie indica un incremento dello 0,3 per cento, che è coerente con un ritmo di crescita congiunturale medio dello 0,2 per cento nel restante trimestre.
Si ipotizza quindi un leggero recupero, però questa ipotesi potrebbe essere messa a rischio dagli effetti di un rialzo dell'inflazione derivante, tra l'altro, da un forte peggioramento delle ragioni di scambio del Paese. Se l'inflazione continua, è chiaro che è difficile prevedere un aumento dei consumi.
Sul lato dei consumi collettivi la proiezione indica una crescita leggermente più sostenuta, che è però solo marginalmente superiore al tasso di variazione acquisito in questo periodo.
Infine, riguardo agli investimenti fissi lordi, nel DPEF si ipotizza un livello pressoché invariato e quindi sostanzialmente compatibile con quelli che sono i dati attuali, anche se la previsione implicherebbe differenti scenari a seconda di quale dei due grandi componenti dell'accumulazione si tratti.
Per la componente macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, la cui variazione acquisita all'inizio dell'anno è pari a meno 1 per cento, il risultato previsto per l'intero 2008 implicherebbe una risalita nei successivi tre trimestri di più 0,3 per cento, quindi un recupero moderato che potrebbe trovare ostacoli nella diffusa incertezza che sembra caratterizzare le aspettative degli operatori.
La proiezione relativa alle costruzioni invece è vicina al livello già raggiunto nel primo trimestre, per cui equivale in media ad una sostanziale stabilità di tale componente nei restanti trimestri. L'ipotesi, in sostanza, è che nei restanti tre trimestri, gli investimenti in costruzioni non aumentino.
Per quel che riguarda l'interscambio di beni e servizi con l'estero il DPEF prevede per il 2008 una dinamica complessivamente contenuta, con incrementi dell'1,1 per cento delle importazioni e del 2,1 per cento delle esportazioni.
Mentre per le esportazioni non dovrebbero esserci problemi e le previsioni sono compatibili con l'attuale quadro di espansione, per le importazioni la proiezione implica invece una risalita, anche se lieve, del grado di penetrazione dell'offerta estera nel mercato italiano.
Infine, i principali indicatori del mercato del lavoro sembrano offrire previsioni basate su ipotesi di sviluppo della domanda e dell'offerta di lavoro che forse non è proprio in linea con quello che abbiamo visto prima, poiché prevede una riduzione del tasso di disoccupazione. Tuttavia, bisogna tener conto di quanto ho


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spiegato prima, con riferimento proprio al tasso di disoccupazione e alla quota di inattivi.
Quarto punto: la finanza pubblica. Si divide in tre parti: dinamica recente della finanza pubblica; le previsioni contenute nel DPEF; infine una considerazione relativa alla qualità delle statistiche di finanza pubblica.
Il 18 giugno 2008, quindici giorni fa, l'ISTAT ha diffuso le serie storiche del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche per il periodo tra il 1980 e il 2007. Un arco di tempo molto lungo, come vedete, che fornisce la possibilità di eseguire tutte le analisi desiderate.
Tali serie sono state del resto utilizzate nel Documento di programmazione economico-finanziaria per l'analisi degli andamenti di finanza pubblica negli ultimi decenni e hanno costituito la base per le stime previsionali.
I nuovi conti incorporano le revisioni fatte, quindi a questo punto corrispondono alla notifica trasmessa a Eurostat il 1o aprile del 2008.
Nel dossier 2, dove abbiamo presentato tutte queste analisi, sono riportati i principali risultati conseguiti nel 2007 in termini di miglioramento dell'indebitamento netto sul PIL e degli altri aggregati, anche in comparazione con gli altri Paesi europei.
Questa mattina, come vi dicevo, l'ISTAT ha anche diffuso il conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche relativo al primo trimestre 2008 e quindi trovate il dettaglio in cartella.
Per i primi tre trimestri dell'anno è emerso un indebitamento netto dell'amministrazione pubblica pari al 4,7 per cento del PIL e questo risultato segna un miglioramento nei primi mesi dell'anno, rispetto al 5,6 per cento registrato nel corrispondente trimestre 2007.
Anche il saldo primario, indebitamento al netto degli interessi passivi, è risultato migliorato, con un valore positivo pari allo 0,3 per cento rispetto al meno 0,9 per cento, quindi negativo, del corrispondente trimestre 2007.
Per quanto riguarda le previsioni, il DPEF 2009-2013 contiene un quadro programmatico di finanza pubblica che dovrebbe portare a una significativa riduzione e poi all'azzeramento dell'indebitamento.
Questo risulterebbe pressoché nullo nel 2011 per trasformarsi nell'anno successivo per la prima volta in un accreditamento di modesta entità, confermando l'impegno assunto dal precedente Governo verso l'Unione europea.
Per il 2008 il DPEF prevede a legislazione vigente un tasso di indebitamento netto in rapporto al PIL pari al 2,5 per cento, superiore di un decimo di punto rispetto a quello riportato nella relazione unificata dell'economia e delle finanze dello scorso marzo, che, tenendo conto delle mutate prospettive di crescita, aveva già innalzato la precedente stima contenuta nella relazione previsionale e programmatica.
Il livello di indebitamento sul PIL non si modifica nel quadro programmatico del conto delle amministrazioni pubbliche che, a differenza del conto tendenziale, tiene conto dei provvedimenti contenuti nell'ultimo decreto n. 112 del 25 giugno 2008.
La correzione rispetto al quadro tendenziale è pari ad un aumento di 1,7 miliardi delle spese e di 2,2 miliardi delle entrate, con conseguente diminuzione modesta, pari a circa 500 milioni, del deficit che lascia immutato il rapporto sul PIL.
Anche il saldo primario nelle previsioni, praticamente, risulta in peggioramento rispetto al 2007, attestandosi su un valore positivo del 2,6 rispetto a quello del 3,1 per cento dell'anno precedente e il debito pubblico sostanzialmente rimane costante.
Il peggioramento dell'indebitamento netto di oltre 10 miliardi di euro, previsto per il 2008 rispetto al 2007, deriva da un aumento delle uscite di oltre il 4 per cento, non bilanciato da un aumento delle entrate che è pari a circa il 3 per cento.
Le entrate fiscali, tenuto conto anche degli effetti del richiamato decreto-legge, sono stimate in aumento del 2,7 per cento,


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con una dinamica più bassa di quella del PIL nominale, che porterebbe ad una riduzione di tre decimi di punto della pressione fiscale.
Ovviamente l'aumento della spesa è legata anche ai rinnovi contrattuali, ai pagamenti di arretrati, ma anche i consumi intermedi presentano una dinamica più alta, rispetto a quella registrata nel 2007.
Nel triennio successivo, il quadro programmatico del conto delle amministrazioni pubbliche prevede un rapporto indebitamento/PIL significativamente ridotto, come ho detto, e questo risultato dovrebbe essere raggiunto, così come risulta dal confronto tra il conto delle amministrazioni pubbliche tendenziale e quello programmatico, con la progressiva riduzione delle spese al netto di interessi, che alla fine del triennio ammonterebbe a circa 25 miliardi di euro.
Infine, per quanto riguarda il debito pubblico del DPEF, le previsioni presentano un rapporto programmato, in rapporto al PIL, in decrescita fino ad un valore inferiore al 100 per cento del PIL, in particolare pari al 97,2 per cento nel 2011.
Faccio pochi cenni alla qualità delle statistiche della finanza pubblica.
Le abbiamo richiamate più volte: l'Europa e tutti i Paesi europei spingono per avere statistiche sulla finanza pubblica di qualità sempre migliore, soprattutto sempre più armonizzate anche all'interno del Paese. L'ISTAT, nella sua attività di coordinamento anche con le altre amministrazioni che si occupano dei dati di finanza pubblica (in particolare Banca d'Italia, Ministero dell'economia e delle finanze, la Ragioneria e quant'altri), ha registrato certamente notevoli miglioramenti. Da questo punto di vista possiamo essere soddisfatti, però sussistono ancora vari nodi nel sistema di rappresentazione della finanza pubblica.
Ricordo ad esempio che il comma 72 dell'articolo 3 della finanziaria 2008, modificando il decreto legislativo di istituzione del SISTAN (Sistema statistico nazionale) ha stabilito che il programma statistico nazionale debba contenere un'apposita sessione dedicata alle statistiche sulle amministrazioni pubbliche, in cui si dica dettagliatamente quello che si doveva fare.
È chiaro che, per dare piena attuazione a questa norma, è necessario uno sforzo comune di tutte le amministrazioni. Da parte nostra esiste l'intenzione di compierlo.
I passi e gli obiettivi raggiunti sono indicati, ad esempio l'implementazione del SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) e l'omogenea redazione dei bilanci delle università. Rimangono, però, ancora alcuni problemi, in particolare la disomogenea relazione dei bilanci e rendiconti delle diverse tipologie di enti pubblici, in primis le regioni, che rendono difficile la riconducibilità agli schemi comunitari, la presenza di regole e comportamenti contabili difformi tra le varie amministrazioni pubbliche nella registrazione di operazioni simili (vengono riportati alcuni esempi).
È ovvio che questi problemi possono essere risolti soltanto se, sul piano tecnico e politico, esiste una consapevolezza anche dal punto di vista politico a tutti i livelli di amministrazione centrale e locale che effettivamente essi rivestono una notevole importanza, investendoci sia in termini di risorse finanziarie, sia in termini di risorse di personale. Ciò riguarda innanzitutto la contabilità nazionale dell'ISTAT che, sia per l'attività corrente, sia per il ruolo di coordinamento e interfaccia con EUROSTAT, ovviamente ha ancora più bisogno di avere queste risorse disponibili.
Arrivo all'ultimo punto: le caratteristiche strutturali del sistema delle imprese. Il Documento di programmazione economico-finanziaria, come i precedenti, indica che vi sono vari aspetti dell'economia italiana, sia dal punto di vista congiunturale, sia da quello strutturale, che mettono in evidenza una fase difficile, con una performance di crescita delle imprese inferiore di circa un punto percentuale l'anno a quella del resto dei Paesi dell'Europa.


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Questo è un fatto preoccupante, sul quale avevamo già eseguito analisi molto dettagliate in occasione del rapporto annuale, non solo su questo, ma anche su altri argomenti a cui si rinvia. Per questa audizione abbiamo preparato un dossier specifico, che analizza alcuni aspetti strutturali del sistema produttivo, per dare qualche indicazione sulle difficoltà, ma anche sui progressi che si sono verificati nel periodo 1999-2005 e che quindi potrebbero essere rafforzati.
Come è noto, il sistema di imprese italiano è caratterizzato da una quota elevata di addetti in imprese di dimensioni molto piccole - c'è un grafico nel dossier 4 che lo fa vedere molto bene, comparativo con gli altri Paesi, che abbiamo ripreso da Eurostat - con meno di dieci addetti. Abbiamo molte aziende piccole sia nel terziario, sia nel manifatturiero. La maggior presenza di imprese di piccola dimensione, con forme organizzative meno complesse e minore intensità di capitale, ovviamente si riflette sul livello aggregato di produttività e di competitività di costo del sistema delle imprese italiane. A parità di costo del lavoro impiegato, il valore aggiunto per addetto è relativamente più basso. Non c'è niente da fare, questa è la situazione. Se c'è davvero un valore aggiunto per addetto, nelle piccole imprese, che è minore di quello delle grandi, non c'è dubbio che siamo davvero in questa situazione.
Nel periodo dal 1999 al 2005 si rileva un calo significativo del livello di produttività, a parità di costo del lavoro. Ciò va ascritto, in gran parte, alla crisi della grande industria e alla difficoltà delle imprese piccole e medie. La maggior parte delle imprese di dimensioni micro, caratterizzate da livelli più bassi di valore aggiunto per addetto, ma anche da minore intensità di capitale e da livelli di redditività lorda più elevati - chi di voi ha partecipato alla presentazione del rapporto annuale si ricorderà che abbiamo detto che i livelli di redditività di queste piccole imprese erano comunque elevati - presentano invece una variazione media di segno positivo. In altre parole, mentre la grande impresa ha avuto i problemi citati, la maggior parte di queste imprese micro hanno ottenuto invece variazioni positive. Tra le grande imprese si individuano alcuni comparti dei servizi con livelli di competitività certamente insoddisfacenti e declinanti. Tuttavia, le imprese che si aprono di più ai mercati internazionali realizzano, in media, performance migliori. In particolare, dobbiamo segnalare che sono più competitivi i settori dove è cresciuta la quota di controllo estera. Le imprese dei settori nei quali esiste maggior controllo estero (l'industria del legno, dei mezzi di trasporto, l'industria petrolifera, i servizi di telecomunicazione) hanno conseguito competitività maggiore.
Inoltre, occorre anche osservare che la metà delle grandi imprese dell'industria ha conservato buoni livelli di competitività grazie a processi di outsourcing e, soprattutto, di delocalizzazione produttiva all'estero. Il calo di competitività più evidente si registra invece tra le piccole e medie imprese, per le quali si riscontra una minore presenza di settori con buone performance. Nel complesso, la riduzione dell'indicatore è del 4,3 per cento per quelle di piccole dimensioni e addirittura del 6,8 per cento per quelle di medie dimensioni. Per quanto riguarda le microimprese si registrano ottime performance nel segmento delle costruzioni, mentre in altri settori altrettanto rappresentativi in termini di addetti, come quelli del commercio, si osserva una sostanziale stabilità della competitività o della performance.
L'utilizzo di dati molto disaggregati a livello territoriale ha consentito di condurre analisi specifiche sui sistemi produttivi locali, specializzati nelle produzioni del made in Italy, su cui il Documento di programmazione economico-finanziaria richiama l'attenzione. Questa analisi del sistema produttivo restituisce un quadro di grande ricchezza e complessità, in cui il tradizionale divario fra centro-nord e Mezzogiorno (che trova conferme! Non vorrei si dicesse che in questa audizione ho affermato che non c'è: il divario esiste ed è forte) trova connotazioni e qualificazioni


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diverse, in quanto si rilevano sistemi locali di lavoro che si sviluppano molto e altri invece che rimangono fermi, o addirittura sono in regresso. In particolare, da questo punto di vista, nella ripartizione meridionale si concentrano le situazioni più difficili quanto a livello di competitività, ma che fanno ben sperare perché sono anche, in questo momento, le più dinamiche.
Sotto il profilo delle configurazioni produttive prevalenti, trova ulteriore conferma la constatazione che i modelli di specializzazione del made in Italy seguono in realtà percorsi evolutivi differenti. Non sono tutte uguali. Questo significa che non si possono fare politiche di intervento tutte uguali e che bisogna tenere conto se si tratti delle produzioni più tradizionali e meno dinamiche (tessile, abbigliamento, pelli, calzature), oppure di quelle a contenuto tecnologico relativamente più elevato (il comparto della meccanica, in primis). Emergono inoltre alcuni segnali - ad esempio nella performance all'esportazione - che una ristrutturazione organizzativa e produttiva è stata portata a compimento con risultati apprezzabili e coinvolge gli stessi settori più tradizionali, come ad esempio il tessile.
Nel complesso, tenendo conto degli ultimi indicatori disponibili, si può dire che pur essendovi ancora molte situazioni di difficoltà, il sistema delle imprese ha saputo reagire almeno in parte al declino della competitività italiana indotto dalla globalizzazione.
Sono infatti molte le imprese che si sono riorganizzate e che hanno colto le trasformazioni in atto, trasferendo le funzioni aziendali in Paesi che offrono condizioni più favorevoli e sfruttando l'opportunità di espansione sui mercati internazionali, soprattutto verso quelli più ricettivi.
Siamo fermi agli usuali tipi di intervento, mentre occorre, invece, spezzare le spirali del ritardo di sviluppo, favorendo la diffusione dei comportamenti virtuosi, soprattutto a livello di sistema locale del lavoro.
Il nostro invito è quello di guardare i dati relativi ai sistemi locali del lavoro, in modo da accelerare i processi che stanno ridisegnando la geografia economica e sociale del Paese. Molti di questi sistemi si trovano nell'area delle Marche e in aree diverse rispetto a quelle in cui una volta si trovavano.
Concludo aggiungendo che non c'è dubbio che a livello europeo, ma anche a livello italiano, le decisioni riguardanti le politiche di intervento e la loro implementazione richiedono sempre più informazioni statistiche dettagliate ed esaustive. Probabilmente, anche quelle che abbiamo portato vi sembreranno insufficienti. È ovvio che tale domanda potrebbe essere soddisfatta se la statistica ufficiale italiana, e l'ISTAT in particolare, disponessero di più risorse finanziarie e di personale, equivalenti almeno al livello di quelle degli altri Paesi europei.

PRESIDENTE. Grazie, professor Biggeri: la mole del materiale che sempre l'ISTAT produce potrebbe moltiplicarsi, se aumentassimo gli stanziamenti! Comunque, il materiale informativo è veramente utilissimo per ogni circostanza.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 15,40, è ripresa alle 16.

Audizione del Governatore della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.
Do la parola al Governatore della Banca d'Italia.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Grazie Presidente. Come di


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consueto, è stato predisposto un testo di cui leggerò soltanto la parte scritta con caratteri grandi; quella a caratteri più piccoli contiene spiegazioni, dettagli, statistiche che sono di interesse ma che eventualmente, se necessario, leggerò più tardi in risposta alle domande.
Nel 2007 la situazione dei conti è ancora migliorata. L'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è diminuito di 1,5 punti, all'1,9 per cento del PIL, consentendo l'abrogazione della procedura per i disavanzi eccessivi avviata nei confronti del nostro Paese nel 2005. L'avanzo primario, quasi nullo nel 2005, ha superato il 3 per cento del prodotto. Dopo due anni di crescita, il rapporto fra il debito e il PIL è diminuito, portandosi al 104 per cento.
Come nel 2006, il miglioramento del saldo è dovuto in larga misura all'aumento della pressione fiscale, che è tornata vicina al picco registrato nel 1997, che è l'anno di adesione all'euro. Le spese correnti primarie sono scese lievemente in rapporto al prodotto, rimanendo tuttavia prossime al valore registrato nel 2005, il massimo del dopoguerra.
Nel 2008 l'indebitamento netto dovrebbe aumentare, risentendo del rallentamento della crescita (0,5 per cento a fronte dell'1,5 del 2007) e della manovra di bilancio definita lo scorso autunno.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) per gli anni 2009-2013, la stima del disavanzo tendenziale è stata aggiornata al 2,5 per cento del PIL, dal 2,4 indicato nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (Ruef) dello scorso marzo. L'avanzo primario scenderebbe al 2,5 per cento.
Le nuove stime tendenziali tengono inoltre conto degli effetti delle misure adottate con il decreto-legge dello scorso maggio, che ha ridotto di 2,3 miliardi sia le entrate sia le spese. Il provvedimento ha abolito l'ICI sull'abitazione principale (determinando, secondo le stime ufficiali, un minor gettito di 1,7 miliardi), ha parzialmente detassato i compensi da lavoro straordinario e i premi di produttività nel settore privato (0,7 miliardi) e ha stabilito numerose riduzioni di autorizzazioni di spesa, con impatto soprattutto sugli esborsi in conto capitale. Per i comuni, la perdita di gettito ICI sarà compensata con maggiori trasferimenti erariali. L'intervento sull'ICI e la sospensione, stabilita anch'essa nel decreto, del potere degli enti territoriali di deliberare incrementi delle aliquote dei tributi di loro competenza comportano una riduzione del grado di autonomia fiscale degli enti.
Il quadro programmatico del DPEF tiene inoltre conto del decreto-legge approvato contestualmente al documento, che accresce sia le entrate sia le spese, lasciando sostanzialmente invariato l'indebitamento netto del 2008.
Nel quadro programmatico, l'incidenza della spesa primaria corrente sul prodotto aumenta nel 2008 di 0,7 punti percentuali, superando per la prima volta il 40 per cento; gli interessi rimangono stabili al 5 per cento del PIL. La pressione fiscale diminuisce di 0,3 punti percentuali, al 43 per cento.
Sulla base delle stime ufficiali l'indebitamento netto strutturale, calcolato escludendo gli effetti delle misure di natura temporanea e del ciclo economico, peggiorerebbe di 0,6 punti percentuali del PIL rispetto al 2007, portandosi al 2,3 per cento.
Il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto è previsto al 103,9 per cento, pressoché stabile rispetto al livello raggiunto nel 2007.
Nei primi cinque mesi dell'anno il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche è stato pari a 38,5 miliardi, inferiore di 7,1 miliardi a quello del corrispondente periodo del 2007. Vi ha contribuito la significativa crescita delle entrate, sulla quale hanno influito alcuni fattori straordinari.
I dati disponibili sulle imposte versate in autotassazione nel mese di giugno segnalano una riduzione del gettito rispetto allo scorso anno, da ricondurre solo in parte a modifiche normative. Le minori entrate hanno determinato una significativa flessione dell'avanzo del settore statale rispetto al giugno 2007.


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Per quanto riguarda il quadro tendenziale e gli obiettivi delineati nel DPEF per gli anni 2009-2013, nel documento si indicano tre direttrici per l'azione di bilancio: il sostegno allo sviluppo economico, la stabilità dei conti pubblici e la promozione della coesione sociale.
La strategia annunciata dal Governo per rilanciare la crescita si basa sulla semplificazione della tassazione e degli adempimenti delle imprese, sul potenziamento delle infrastrutture e della ricerca, su interventi volti a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, sullo sviluppo delle aree sottoutilizzate e sulla modernizzazione della pubblica amministrazione. A tal fine è previsto il varo di un piano di liberalizzazioni, semplificazioni e privatizzazioni.
Nel documento si stima l'indebitamento netto tendenziale - redatto in base al criterio della legislazione vigente - al 2,6 per cento del PIL nel 2009, al 2,1 nel 2010 e al 2 nel 2011. La progressiva riduzione del disavanzo è attribuibile alla sottostima delle spese insita nel suddetto criterio, che non tiene conto di erogazioni che, seppure prevedibili o necessarie, richiedono la formale adozione di provvedimenti legislativi (oneri per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, per contratti di servizio e per la realizzazione di opere pubbliche).
Rispetto alle valutazioni contenute nella Ruef dello scorso marzo, l'indebitamento netto tendenziale è stato rivisto al rialzo di circa mezzo punto percentuale in ciascun anno del prossimo triennio. Le nuove stime, come già quelle per il 2008, tengono conto dell'ulteriore peggioramento delle prospettive di crescita.
Gli obiettivi per l'indebitamento netto vengono fissati al 2 per cento del PIL nel 2009 (in diminuzione dal 2,5 per cento atteso per il 2008) e all'1 per cento nel 2010. Per il 2011 si programma un sostanziale pareggio di bilancio, confermando gli impegni presi in ambito europeo. Rispetto alla Ruef dello scorso marzo si registrano un peggioramento dell'obiettivo del 2009 (di 0,2 punti percentuali del prodotto) e la sostanziale conferma di quelli degli anni successivi. L'avanzo primario crescerebbe progressivamente, passando dal 2,6 per cento del prodotto del 2008 al 4,9 nel 2011.
Il saldo di bilancio strutturale, dopo il peggioramento di 0,6 punti percentuali del prodotto atteso per l'anno in corso, migliorerebbe di circa 0,6 punti nel 2009 e di circa un punto in ciascuno degli anni 2010-2011; rimarrebbe stabile nel biennio successivo. Il percorso di risanamento è coerente con le linee-guida europee per i paesi che non hanno ancora conseguito gli obiettivi di medio termine.
Il debito pubblico, dopo la sostanziale stabilità attesa per l'anno in corso, scenderebbe al di sotto del prodotto nel 2011, passando dal 103,9 per cento del 2008 al 97,2 per cento nel 2011. L'aggiustamento è tuttavia più lento di quello indicato a marzo, soprattutto in connessione con la meno favorevole stima della crescita del prodotto nominale.
Il documento riporta, per l'intero orizzonte previsivo, oltre al conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente, anche quello programmatico. L'ultimo DPEF che includeva un quadro programmatico analitico era stato presentato nel giugno del 1999.
Viene programmata una forte riduzione dell'incidenza della spesa primaria sul prodotto. Essa è pari, con riferimento al triennio 2009-2011, a 2,2 punti percentuali. Vi contribuiscono per 1,4 punti le spese primarie correnti, soprattutto per la forte contrazione dei redditi da lavoro dipendente e dei consumi intermedi; la spesa per pensioni resta invece su un sentiero di crescita.
Le spese in conto capitale sono previste in riduzione di 0,8 punti; nel 2011 raggiungerebbero il valore più basso degli ultimi decenni.
La pressione fiscale rimarrebbe invariata nel quinquennio, dopo la riduzione di 0,3 punti di PIL attesa per il 2008 (al 43 per cento). L'aumento dell'incidenza delle imposte dirette sul prodotto verrebbe compensato dalla riduzione dei contributi sociali e delle imposte indirette.
Per quanto attiene alla politica di bilancio per gli anni 2009-2013, è la prima


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volta che viene definita contestualmente al DPEF una manovra in grado, secondo le stime ufficiali, di conseguire gli obiettivi fissati nel documento per gli anni oggetto di programmazione. Ciò dovrebbe dare un quadro di maggiore certezza agli operatori economici e consentire alla politica di bilancio di concentrare l'attenzione sulle riforme di struttura e sugli interventi volti al rilancio dell'economia.
La manovra di bilancio si compone di quattro provvedimenti: un decreto-legge (n. 112 del 25 giugno 2008) che contiene misure che verranno attuate già a partire dalla seconda metà dell'anno, per garantire la stabilizzazione della finanza pubblica; un disegno di legge recante norme che completano la correzione necessaria per la realizzazione degli obiettivi entro il 2011; un disegno di legge delega sul federalismo fiscale; un disegno di legge delega per la costituzione di un codice delle autonomie e contenente l'ordinamento di Roma capitale. Gli ultimi due provvedimenti saranno collegati alla sessione di bilancio. Di questi provvedimenti, soltanto il primo è stato finora inviato al Parlamento.
Le stime tendenziali e programmatiche del DPEF indicano la necessità di una correzione dell'indebitamento netto pari a 0,6 punti percentuali del PIL nel 2009, 1,1 punti nel 2010 e 1,9 punti a partire dal 2011. Per gli anni 2009-2011, la correzione è quasi interamente realizzata con le misure contenute nel decreto-legge definito a giugno. La parte rimanente degli interventi troverà attuazione con gli altri provvedimenti in cui si articola la manovra.
Il decreto-legge di giugno mira a ridurre l'indebitamento netto di 9,8 miliardi nel 2009, 17 nel 2010 e 30,6 nel 2011 rispetto ai relativi valori tendenziali.
Nel 2009 la manovra di bilancio è basata principalmente su aumenti delle entrate, che rappresentano circa due terzi della correzione dell'indebitamento netto rispetto agli andamenti tendenziali. Nel biennio successivo l'aggiustamento è interamente basato sulle riduzioni di spesa.
Le misure di aumento delle entrate sono volte a incidere in particolare su alcuni settori produttivi caratterizzati da un'elevata profittabilità. I provvedimenti riguardanti le spese hanno per lo più natura di vincoli finanziari, rimandando a provvedimenti successivi l'indicazione puntuale delle modalità per la loro realizzazione. Per la tenuta di alcuni dei suddetti vincoli saranno inoltre essenziali le misure volte ad aumentare l'efficacia e l'efficienza delle strutture pubbliche che il Governo intende presentare in uno specifico disegno di legge.
Dai provvedimenti concernenti le entrate sono attesi maggiori introiti pari a oltre 7 miliardi all'anno a partire dal 2009, in parte compensati dagli effetti in riduzione del gettito indotti dai provvedimenti di contenimento delle spese.
L'aumento del prelievo riguarda le banche, le assicurazioni, le imprese del settore dell'energia e le cooperative.
Viene abrogato il trattamento agevolato delle stock option e viene introdotta un'imposta patrimoniale per i fondi di investimento immobiliari chiusi, cosiddetti «familiari». È inoltre accordata, a determinate condizioni, l'esenzione sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni reinvestite in imprese «start up».
Si prevede il potenziamento dell'attività di accertamento, con lo sviluppo di un piano straordinario di controlli e con norme di contrasto alle frodi in materia di IVA. Al fine di semplificare gli adempimenti dei contribuenti, sono eliminati alcuni obblighi di comunicazione e vengono rese meno stringenti alcune norme introdotte nell'ultimo biennio con finalità di contrasto all'evasione.
Dal lato delle spese, il decreto definisce risparmi per 10,4 miliardi nel 2009, 17,2 nel 2010 e 31,2 nel 2011. Essi sono parzialmente compensati da maggiori spese per circa 6,5 miliardi a partire dal 2009.
Il 60 per cento delle maggiori spese finanzia i prossimi rinnovi contrattuali; le risorse stanziate nel 2009 corrispondono a poco più del 2 per cento della spesa complessiva per il personale delle amministrazioni pubbliche, prefigurando una significativa decelerazione della dinamica


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salariale, che negli ultimi anni in questo settore è stata particolarmente sostenuta.
Viene abolito il divieto di cumulo fra pensioni e redditi da lavoro sia autonomo che dipendente (0,4 miliardi) e si prevede la possibilità, per i dipendenti pubblici che hanno maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni, di richiedere l'esonero dal servizio, fino al raggiungimento dei limiti di età, a fronte di un indennizzo mensile pari alla metà del loro salario (0,2 miliardi a partire dal 2010).
Naturalmente il successo di quest'ultima iniziativa è legato all'individuazione da parte delle amministrazioni delle categorie di lavoratori per i quali gli oneri per lo Stato sono inferiori ai vantaggi del più rapido ricambio della forza lavoro.
I risparmi di spesa riguardano per circa la metà le amministrazioni centrali e derivano da tagli degli stanziamenti per le grandi «missioni» in cui si articola il bilancio dello Stato. La riduzione degli esborsi, che non riguarda le spese per stipendi, pensioni, interessi passivi e altre erogazioni di natura obbligatoria, è pari al 22 per cento nel 2009; raggiunge il 41 per cento nel 2011.
Fatta salva l'entità complessiva dei risparmi su ciascuna «missione», i singoli Ministeri potranno scegliere quali programmi di spesa ridimensionare e il Ministero dell'economia potrà apportare in corso d'anno ulteriori modifiche su proposta del Ministero competente.
Quasi un terzo delle minori spese riguarda gli enti territoriali. Alla revisione del patto di stabilità interno, prevista dal decreto entro la fine di luglio, è demandata la definizione degli interventi; si attendono risparmi crescenti, da 3,2 miliardi nel 2009 a 9,2 miliardi nel 2011.
Le erogazioni del comparto sanitario rimarrebbero invariate rispetto all'andamento tendenziale nel 2009, mentre diminuirebbero di 2 e 3 miliardi rispettivamente nel 2010 e 2011.
Le modalità di conseguimento dei risparmi nell'ambito della spesa sanitaria, fermo restando il pieno rispetto dei piani di rientro, sono demandate alle regioni, nell'ambito di un accordo con lo Stato da sottoscriversi entro la fine di luglio. In caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo è comunque previsto l'aumento automatico delle aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF e dell'IRAP.
Le norme relative al pubblico impiego consentirebbero risparmi sulla spesa per redditi da lavoro che passano da 1,5 miliardi nel 2009 a 4 nel 2011. I risparmi derivano da una forte restrizione delle assunzioni nel prossimo triennio. Il decreto fissa come obiettivo, a regime, l'aumento da 8,9 a 9,9 del rapporto tra alunni e docenti e la riduzione del 17 per cento del personale non docente della scuola. Per conseguire tali risultati il Ministero dell'istruzione, di concerto con quello dell'economia, predisporrà un piano di riorganizzazione e i relativi regolamenti attuativi. Questi ultimi dovranno tra l'altro prevedere una razionalizzazione dei piani di studio e degli orari - in particolare quelli degli istituti tecnici e professionali - e dei criteri di formazione delle classi.
Vi sono margini di miglioramento dell'organizzazione e per un uso più flessibile della forza lavoro che possono consentire di compensare la riduzione del numero dei docenti senza incidere sulla qualità del servizio.
Alcune valutazioni. La reintroduzione nel DPEF, dopo quasi un decennio, di un quadro programmatico pluriennale per le singole voci del conto economico delle amministrazioni pubbliche accresce notevolmente l'informazione sulle politiche di bilancio; consente al Parlamento e all'opinione pubblica di meglio valutare gli indirizzi dell'azione di Governo con riferimento al livello e alla composizione delle entrate e delle spese pubbliche.
Il DPEF conferma l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2011, nonostante la difficile situazione congiunturale. È un segno di continuità negli impegni del nostro Paese nei confronti dei partner europei. Il raggiungimento del pareggio, affidato all'aumento dell'avanzo primario, garantirà una rapida riduzione del rapporto tra debito e prodotto, un obiettivo essenziale alla luce delle sfavorevoli prospettive demografiche per i prossimi decenni.


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Un importante elemento di novità rispetto agli anni scorsi è il varo, contestuale al DPEF, di un provvedimento che individua le azioni necessarie per realizzare gli obiettivi indicati per il prossimo triennio. Per molti settori di spesa, tuttavia, il decreto rimanda la definizione puntuale delle misure correttive a ulteriori interventi legislativi e amministrativi.
Il livello della pressione fiscale programmato per il 2011 è sostanzialmente invariato rispetto a quello atteso per l'anno in corso. Si tratta di un valore elevato nel confronto storico e internazionale. È importante che i progressi nel contenimento della spesa e nella lotta contro l'evasione fiscale si traducano quanto prima in riduzioni delle aliquote d'imposta, compatibilmente con il rispetto degli obiettivi di bilancio. Alleggerimenti del prelievo sarebbero opportuni anche prima del 2011, qualora si delineasse un andamento congiunturale più favorevole di quello atteso: va in particolare restituito il drenaggio fiscale per sostenere il reddito disponibile delle famiglie. La riduzione delle aliquote d'imposta gravanti su lavoratori e imprese rafforzerebbe gli interventi volti a dare sostegno alla crescita; diminuirebbe le distorsioni dell'attività economica; migliorerebbe la posizione competitiva delle nostre imprese.
Dal lato delle entrate, gli interventi di maggior rilievo mirano ad accrescere la tassazione sulle imprese operanti in settori caratterizzati negli ultimi anni da profitti elevati. L'inasprimento del prelievo a carico delle banche potrebbe riflettersi sulle condizioni offerte ai depositanti e ai prenditori di credito e/o in minori risorse per gli intermediari da accantonare a patrimonio.
La lotta all'evasione fiscale viene perseguita soprattutto con un rafforzamento dell'attività di accertamento. Risultati significativi in quest'area dipenderanno naturalmente dal conseguimento di una maggiore efficienza dell'amministrazione finanziaria. È positivo che la riduzione della spesa svolga un ruolo preponderante nel processo di consolidamento dei conti pubblici.
Larga parte della riduzione del disavanzo verrebbe conseguita mantenendo sostanzialmente costante in termini reali nel triennio 2009-2011 la spesa corrente primaria; nell'ultimo decennio essa era aumentata di oltre il 2 per cento l'anno.
È molto forte la riduzione delle erogazioni in conto capitale. Naturalmente, di nuovo, occorre evitare che sia di ostacolo al potenziamento della dotazione di infrastrutture dell'Italia, necessario per elevare la capacità competitiva delle imprese e sostenere la crescita dell'economia.
Oltre la metà dei risparmi riguarda la spesa delle amministrazioni centrali. La riduzione programmata, riguardante gli esborsi per «missioni» e programmi, è ambiziosa. Per essere efficace e permanente, tale azione deve essere integrata da una revisione delle procedure operative e degli obiettivi dei centri di spesa.
La dinamica della spesa per il personale viene contenuta mediante un ulteriore inasprimento dei limiti al turn over e una limitazione degli stanziamenti per il rinnovo dei contratti. Anche in questo caso, gli interventi appaiono sostenibili solo in presenza di una incisiva riorganizzazione del lavoro pubblico che ne innalzi la produttività. L'introduzione di nuovi sistemi di valutazione del personale, la valorizzazione del merito e la maggiore responsabilizzazione dei dipendenti pubblici, che il Governo intende perseguire con una apposita legge delega, vanno in questa direzione. Questa è la sfida più difficile e importante per risanare i conti pubblici e sostenere la crescita dell'economia.
Non sono incluse misure di impatto rilevante nel settore pensionistico. Ciò contribuisce, dopo numerosi interventi, a dare, probabilmente, un quadro di riferimento stabile per le decisioni di lavoratori e imprese. Al fine di contenere la spesa e assicurare ai pensionati futuri pensioni adeguate, andrà tuttavia accresciuta nel medio-lungo periodo l'età media effettiva di pensionamento. L'abolizione del divieto di cumulo muove nella direzione di aumentare il tasso di attività dei cittadini di 60 e più anni, che in Italia è ancora


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relativamente basso. Occorre proseguire nella rimozione dei vincoli e dei disincentivi che tengono lontana dal lavoro un'ampia quota della popolazione meno giovane.
Le nuove regole in tema di previdenza complementare hanno determinato significativi incrementi dei tassi di adesione al secondo pilastro. È bene consentire al nuovo impianto normativo di sedimentarsi, ma anche in questo comparto si possono considerare aggiustamenti, alla luce dell'esperienza maturata in questi mesi. Va valutata con attenzione la possibilità di garantire, entro certi limiti, la reversibilità della scelta di conferire il TFR ai fondi. Per favorire la concorrenza tra fondi si potrebbe introdurre la completa portabilità del contributo datoriale. Andrebbero considerate misure atte ad accrescere l'efficienza del mercato delle rendite vitalizie. Va migliorata l'informazione sulla pensione pubblica maturata da ciascun lavoratore e sui costi e le caratteristiche della pensione complementare.
Anche il contributo alla correzione del saldo richiesto agli enti territoriali è considerevole. Per un giudizio ponderato occorre attendere la riforma del patto di stabilità interno e il disegno di legge sul federalismo, che il Governo intende presentare alle Camere entro la fine di settembre.
Le modalità di realizzazione del federalismo fiscale saranno cruciali per rendere sostenibile il contenimento della spesa accrescendone l'efficienza e l'efficacia. Un contributo potrà sicuramente venire da una semplificazione dei livelli di governo volta a sfruttare le economie di scala e a evitare inutili sovrapposizioni.
Il decentramento offre la possibilità di calibrare l'offerta di servizi ai bisogni delle collettività locali e nel contempo consente agli elettori di giudicare con più immediatezza la qualità dell'azione pubblica. Per realizzare questi benefici occorre che il decentramento sia fondato su un sistema di responsabilità chiaro e coerente. L'autonomia fiscale dei governi locali, l'adeguatezza e la trasparenza dei flussi perequativi, vincoli severi all'indebitamento sono i tasselli fondamentali di tale sistema.
L'autonomia fiscale deve realizzare al margine un collegamento diretto fra esborsi e tassazione. A tal fine è opportuno che gli enti dispongano di adeguati margini di manovra su aliquote e basi imponibili. Gli sgravi in materia di ICI incidono su un tributo che, per le caratteristiche della ricchezza immobiliare, in molti paesi rappresenta il cardine dell'imposizione locale. Anche il blocco dei margini di incremento dei tributi decentrati, se permanente, indebolisce l'autonomia impositiva degli enti.
Il rallentamento dell'economia aggrava i problemi strutturali della produttività stagnante, del debito pubblico, del ritardo del Mezzogiorno. La politica economica deve ora abbattere il debito e contribuire alla ripresa della crescita, con servizi pubblici migliori e una riduzione del carico fiscale.
Questi risultati richiedono un cambiamento nelle regole che disciplinano l'attività degli enti pubblici e dei loro dipendenti. Sarà fondamentale il successo delle azioni indicate nel DPEF per rendere più flessibile, efficace e trasparente la pubblica amministrazione, ridurne il costo, ridisegnarne la struttura, rimuovere i vincoli all'attività economica.

PRESIDENTE. Ringrazio il Governatore Draghi.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

PAOLO GIARETTA. Ringraziando il signor Governatore per la puntualità dell'esposizione, vorrei rivolgergli tre domande.
Innanzitutto chiedo un'ulteriore valutazione sul fatto significativo che dalle cifre del DPEF emerge una riduzione delle erogazioni in conto capitale, nel prossimo quinquennio, di dimensioni mai conosciute prima. Sono circa 40 miliardi di euro in meno rispetto al tendenziale. Questo accade in un momento in cui ci sarebbe bisogno di una modernizzazione del sistema infrastrutturale del Paese e di un sostegno alle azioni di investimento innovativo da parte delle imprese.


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La seconda domanda riguarda la valutazione della Banca d'Italia circa il rischio che vi sia un trasferimento sui consumatori privati e sulle imprese dei cosiddetti interventi di maggior imposizione fiscale per i «profitti di regime» (questa la singolare espressione adoperata nel DPEF).
Infine, per quanto riguarda l'aumento così elevato e in buona parte strutturale del prezzo dei prodotti petroliferi, vorrei sapere se vi è qualche valutazione sugli effetti riduttivi del commercio internazionale che tale aumento potrebbe comportare in relazione a una notevole incidenza della componente del trasporto sul prezzo finale dei prodotti.

BRUNO TABACCI. Formulerò alcune osservazioni molto rapide.
Signor Governatore, lei ha giustamente evidenziato il rischio che l'inasprimento del prelievo a carico delle banche possa riflettersi sulle condizioni offerte ai depositanti. Personalmente ritengo che, anziché una convenzione con l'ABI, la quale riduce la propensione alla concorrenza nel settore bancario, sarebbe stato più opportuno mettere in grado le autorità indipendenti, tra le quali anche la sua, di rendere più esplicite queste condizioni di concorrenzialità, attuando una serie di procedure che non solo rendano automatica la portabilità del mutuo, ma portino anche all'eliminazione della commissione di massimo scoperto.
Questo porterebbe come conseguenza nelle tasche dei cittadini italiani, che sono clienti o depositanti delle banche, effetti molto più rilevanti di quelli di una manovra che appare, a prima vista, di tipo demagogico e non tanto diretta ad affrontare i nodi strategici in un settore, come quello delle banche, dove le ostilità alla libera concorrenza sono molto forti.
La seconda osservazione riguarda la lotta all'evasione fiscale, che viene perseguita - così è scritto - «soprattutto con un rafforzamento dell'attività di accertamento». Da tempo sono convinto che questi risultati possano essere ottenuti se si introduce un principio di contrasto di interessi tra cittadini, i quali, pagando dei servizi, devono essere messi nelle condizioni di portarli tutti o in parte in detrazione.
Credo che un sistema di contrasto all'evasione fiscale non declamato, ma perseguito nella sostanza, possa passare attraverso l'introduzione di una regola di questo tipo, come è già accaduto nell'ambito, ad esempio, dei lavori edili nelle abitazioni.
La terza osservazione riguarda il nesso tra federalismo fiscale, finanza pubblica locale e gestione delle società che operano nei servizi pubblici locali. Io non credo che si possa ripubblicizzare in periferia quando si privatizza al centro.
Non credo, ad esempio, che la vicenda recente del comune di Roma possa essere risolta secondo un intervento di tipo straordinario che prescinde dal rapporto tra la dimensione dei comuni e la gestione delle società che sono da essi controllate (ci sono molti comuni che fanno cose che non dovrebbero assolutamente fare) e che ha come obiettivo quello di incrementare la struttura del loro bilancio.
Penso ad alcuni servizi, ad esempio, nel campo autostradale. Per queste amministrazioni locali viene applicato lo stesso principio del price cap che viene applicato agli operatori privati che sono subentrati dentro un ex monopolio pubblico e continuano a muoversi come se fossero dei monopolisti unti dal ruolo di senso dello Stato.
Il recente regalo che è stato elargito attraverso l'automatismo nelle concessioni autostradali dimostra che questo è un campo sul quale il principio non della concorrenza - è chiaro che si tratta di strutture su cui è difficile esercitare questo - ma del controllo, attraverso autorità indipendenti che siano davvero in grado di svolgere quel mestiere - e non è il caso dell'ANAS, che nel contempo è concessionaria, concedente e autorità regolatrice - si esplica in maniera particolare.
In ordine al tema dei servizi pubblici locali, l'impressione è che, invece di compiere un passo avanti, stiamo rischiando di


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compierne uno indietro, anche rispetto agli orientamenti che erano stati espressi nel recente passato.

ANTONIO BORGHESI. Signor Governatore, lei ha indicato alcuni elementi cruciali presenti in questo documento, così come nella manovra ad esso collegata. In particolare, ha citato la questione della riduzione degli investimenti e il fatto che la pressione fiscale sia tendenzialmente in crescita.
Più volte in questi mesi lei ha richiamato - e lo ha fatto anche oggi - l'assoluta necessità di interventi volti ad aumentare il potere di acquisto delle famiglie, quindi quantomeno a compensare il drenaggio fiscale. Dalle misure che lei stesso ha esaminato in questa sede non si vede che la strada intrapresa dal Governo sia questa, anzi le norme relative al pubblico impiego porteranno a ulteriori riduzioni del potere di acquisto complessivo delle famiglie, quindi dei consumi, così come altre norme.
La mia domanda è la seguente: poiché siamo già in una situazione di consumi fermi, pur in presenza di inflazione, quindi della cosiddetta stagflazione almeno latente, vorrei capire se lei non teme che da questo complesso di provvedimenti si possa registrare un avvitamento del nostro Paese in una spirale da cui non si esce e in cui la stagflazione latente diventi stagflazione conclamata.
Come possiamo immaginare di uscirne, anche alla luce del fatto che dopodomani la Banca europea probabilmente aumenterà i tassi di interesse? Mi chiedo, inoltre, se sia stato fatto abbastanza per contrastare questa decisione. La Spagna, sebbene abbia il 5 per cento e più di inflazione, ha protestato e sta protestando, e così Germania e Francia, ma non ho visto un atteggiamento sostenuto da parte del Governo italiano sul problema dei tassi di interesse.

ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, Governatore, per l'ampiezza e la limpidezza della sua relazione. Mi preme sottolineare una sua frase riferita agli interventi sul pubblico impiego: «Questa è la sfida più importante e difficile per risanare i conti pubblici e sostenere la crescita dell'economia».
Vorrei ascoltare un approfondimento ulteriore su questa che anch'io considero forse la sfida più importante contenuta in questo Documento di programmazione economico-finanziaria, che passa attraverso la cifra di una reale modernizzazione del nostro Paese. Uno dei settori fondamentali è certo la qualità e la struttura del servizio pubblico che eroghiamo, tanto in sede centrale, quanto in sede locale.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Sono molto contento che alcune valutazioni siano le stesse alle quali siamo giunti oggi alla Camera, perlomeno in sede di adozione di nuove procedure per la discussione del bilancio. In particolare, apprezzo il fatto che vi sia una modalità nuova e che questo venga condiviso anche dalla Banca d'Italia.
Nel merito, trovo apprezzabili alcuni spunti offerti dalla sua relazione. Non voglio dilungarmi, dunque ne cito solo uno. In questa manovra abbiamo un rapporto tra l'8,9 e il 9,9 per cento tra alunni e docenti che rispetto alla media OCSE è assolutamente sconsiderato. Questi non sono dati di secondo piano, perché si riflettono con cifre importanti che incidono in maniera significativa nella nostra spesa corrente. Avendo oggi un rapporto dell'8,9 e segnalandoci il Governatore che nella media OCSE il rapporto è 16,7, capite bene la differenza. Le sono grato di averci dato questa indicazione.
Ovviamente si conferma l'obiettivo di pareggio nel 2011. Stante la situazione internazionale, europea in particolare, lei ritiene che questo possa essere un vincolo troppo stringente? Se sì, che cosa si può fare? Quello della stagflazione è un problema non soltanto del nostro Paese, ma anche di altri. Le chiedo, quindi, se si può fare qualcosa e che cosa a livello internazionale.
La seconda domanda è relativa alla Banca del sud, citata nel DPEF, sulla quale


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mi aspettavo qualche parola da parte del Governatore della Banca d'Italia in questa sede. Per noi della Lega Nord è importantissimo che vi siano strumenti diversi rispetto a quelli attuati nel passato per favorire lo sviluppo dell'imprenditoria del sud, per favorire il credito ed un diverso sistema economico.
Ovviamente, la nostra preoccupazione è che non accada quello che è accaduto in passato, con banche anche di enormi dimensioni costrette a fusioni per ovvi problemi di stabilità dei conti. Su questo siamo molto attenti e auspichiamo che si possa arrivare a qualcosa di importante.
L'ultima domanda è anche un auspicio. Rileviamo l'apprezzabile sforzo del Governo di andare verso la delegificazione, verso una semplificazione normativa, verso minori obblighi soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese e delle microimprese. In questo senso, credo che la Banca d'Italia possa fare molto, soprattutto per dare un segnale in questa direzione. Ad esempio, nel caso dell'«impresa in un giorno», non ci sono obblighi solo dal punto di vista dei comuni, delle province, delle regioni e dello Stato, ma anche nei confronti delle banche.
La procedura per il versamento della quota di capitale, in contanti o con assegni circolari, prevede una serie di adempimenti che sembrano banali, ma per chi deve fare un'impresa rappresentano un aggravio dei costi. Non è tanto importante che cosa si fa, ma è importante dare un segnale.
Da questo punto di vista, le chiedo che cosa la Banca d'Italia può fare, che cosa intende fare e che cosa farà.

PRESIDENTE. Chiudiamo questo primo giro di domande. Credo che ci sarà la possibilità anche per altri colleghi di intervenire (ho già raccolto qualche richiesta in tal senso).
Do la parola al Governatore della Banca d'Italia per la replica.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Inizio dall'intervento del senatore Giaretta. La riduzione delle spese in conto capitale è indubbiamente molto marcata e forte, per cui, allo stesso tempo, occorre che la crescita del prodotto potenziale del Paese venga mantenuta.
Abbiamo sempre detto che il primo fondamento della stabilità finanziaria, il cardine su cui poggia la riduzione del rapporto debito-PIL è la crescita, oltre che la disciplina di bilancio. Quindi, una riduzione marcata delle spese in conto capitale deve essere accompagnata da una selezione dei progetti estremamente accurata per quanto riguarda il tasso di rendimento interno, le loro modalità di finanziamento e il loro contributo alla crescita del Paese.
La sua seconda domanda riguardava il trasferimento sui consumatori delle imposte nel settore petrolifero e nel campo delle assicurazioni e delle banche. Si tratta di due casi diversi. Nel primo caso è fondamentale che, affinché non vi sia traslazione, le norme previste dal Governo sul divieto di traslazione siano efficaci. Questo è un giudizio che daremo quando le norme saranno a regime. Dico questo perché evidentemente la domanda è tesa, dunque se le norme sono efficaci si impedisce la traslazione, e viceversa.
Per le banche e le assicurazioni il discorso è un po' diverso, e lo è soprattutto per le banche. Intanto, come ho detto all'inizio, c'è un indebolimento congiunturale che avrà degli effetti sulla domanda di credito. La situazione delle banche è diversa nel senso che la domanda, quando queste misure saranno a regime, può non essere forte come è stata lo scorso anno.
Ricordo che il complesso delle misure corrisponde a un aumento di poco meno di dieci punti base nel costo della raccolta. L'aumento nel costo della raccolta si può trasferire in forma di minori tassi sui depositi o di maggiori tassi sugli impieghi solo se la domanda di credito rimane forte. Se non c'è traslazione, questo si trasferisce o in minori dividendi per gli azionisti o in minori capacità di accumulazione, di patrimonializzazione e di capitalizzazione da parte delle banche.
È presto per capire in che direzione andrà l'effetto di questa imposta. Questo,


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però, è il ventaglio delle possibilità: o diminuisce la capacità di capitalizzazione e di patrimonializzazione delle banche e/o diminuisce la possibilità di distribuire dividendi, da un lato, oppure, se la traslazione avviene, si ridurrà in una minore remunerazione dei depositi, in un aumento dei tassi attivi.
C'è da aggiungere che il settore del credito è frammentato, quindi l'effetto finale dipenderà anche dal potere di mercato delle singole aziende. Dico questo perché la valutazione complessiva è articolata ed è difficile farla a questo stadio.
Quanto al prezzo del petrolio, il senatore Giaretta mi chiedeva se l'aumento dei costi di trasporto.... (Commenti del senatore Giaretta). Certamente. L'aumento del prezzo del petrolio è l'ultimo atto di una crisi finanziaria e dell'economia reale iniziata da un anno a questa parte. Fino ad allora il prezzo del petrolio era già aumentato molto, ma l'economia mondiale sembrava riuscire a sopportarlo. Le conseguenze, sia sull'economia reale sia sulla finanza, si vedono oggi e in maniera molto evidente.
Direi che oggi è la terza fase di questa crisi, cominciata in maniera molto localizzata, con i mutui nel settore immobiliare americano, si è amplificata per la natura dell'industria finanziaria e per gli incentivi, che ho definito perversi, con cui questa industria funzionava all'epoca, e ha conosciuto un momento particolare di crisi sistemica nel marzo di quest'anno. Questa situazione è stata superata grazie alla reazione delle banche centrali. In quel momento le probabilità di crisi per l'economia reale, che potevano provenire dal settore finanziario, sono diminuite; oggi c'è l'aumento del prezzo del petrolio, che incide sulle borse, sulla finanza, sull'economia reale.
Onorevole Tabacci, circa la sua domanda sulla portabilità dei mutui e l'eliminazione del massimo scoperto, già nelle considerazioni finali ho sollevato la questione del massimo scoperto. Attendiamo una risposta da parte delle aziende di credito. Quella del massimo scoperto è una pratica che non si riesce a giustificare né sulla base della trasparenza, né sulla base della razionalità economica. È un residuo del passato che va superato.
So che le aziende di credito più importanti stanno riflettendo attivamente, ma la Banca d'Italia è molto presente sulla questione. Sarò più esplicito quando avrò dei risultati da dare.

BRUNO TABACCI. Mi scusi Governatore, il punto che sollevavo era il seguente: quando il Ministero dell'economia e delle finanze fa una convenzione con l'ABI, invece che esaltare le ragioni della concorrenza, determina le ragioni di uno pseudo-cartello. Questo è quello che psicologicamente semina nel contesto dei clienti delle banche; quindi era molto meglio evitare quella convenzione, mettere lei e l'Antitrust nelle condizioni di svolgere fino in fondo la loro azione, al di là della moral suasion.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. L'applicazione della convenzione non impedisce il funzionamento della concorrenza. Questo è importante. Noi lo abbiamo detto in varie sedi e anche, se non sbaglio, nelle considerazioni finali. Occorre che la concorrenza continui a funzionare.
Quanto alla lotta all'evasione, si è fatto riferimento all'aumento delle detrazioni come metodo principale per l'accertamento. È giusto, perché si crea esattamente quel conflitto di interessi tra le due parti, ma naturalmente fino a un certo punto. Esiste anche qui una misura, perché aumentando il numero delle detrazioni, alla fine la perdita di gettito è rilevante. Si tratta di una misura che è stata utilizzata in vario grado da molti Governi nel passato.
Infine, per quanto riguarda gli enti locali e le società degli enti locali, si è detto che si ripubblicizza in periferia ciò che si è privatizzato al centro. Su questo non posso essere d'accordo. È una questione che abbiamo sollevato già l'anno scorso, ed è stata sollevata anche da altri, in altre sedi.
La dimensione dell'industria pubblica locale è cresciuta in maniera straordinaria


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nel corso dell'ultimo decennio e, secondo me, uno dei requisiti per l'attuazione di un federalismo sano è anche questo. È una decisione che dovranno assumere gli enti locali, ma è complementare alla presenza di vincoli stringenti sull'indebitamento.
Per inciso, la Banca d'Italia ha un progetto di ricerca complesso, su questo settore, partito circa un mese fa. Spero che da questa ricerca vengano anche lumi sulle azioni di politica economica da intraprendere.
Onorevole Borghesi, in un'altra occasione ho sollevato la circostanza che i salari e gli stipendi perdono potere d'acquisto, in termini reali. Oggi la situazione è di stagnazione generalizzata, non solo in Italia. I consumi diminuiscono perché c'è inflazione. La prima risposta all'inflazione, quindi, è fare in modo che nel medio periodo ritorni all'interno dell'obiettivo previsto dalla Banca centrale europea, cioè il 2 per cento. L'altra risposta è fare in modo che la produttività torni a crescere, in modo tale da far crescere anche salari e stipendi.
La Banca centrale europea e il Governatore della Banca d'Italia non possono augurarsi una rincorsa prezzi-salari, anche perché gli anni settanta e ottanta hanno dimostrato che il potere d'acquisto dei salari non è stato tutelato da tale rincorsa. Quindi, il ritorno alla stabilità è essenziale per tutelare il potere d'acquisto dei salari e il ritorno alla crescita dei consumi.
In questo contesto, effettivamente, se gli andamenti di finanza pubblica sul triennio si dovessero mostrare più favorevoli in termini reali e in termini nominali, si dovrebbe riuscire a trovare lo spazio per una restituzione del drenaggio fiscale, anche perché la mancanza di tale restituzione influenza soprattutto i redditi molto bassi, che sono anche quelli che hanno un'elasticità di risposta all'inflazione particolarmente marcata.
Onorevole Bonfrisco, sulla qualità della struttura del servizio pubblico, ho detto prima che la sfida che si pone con il progetto di riduzione della spesa pubblica si vince solo se la qualità del servizio pubblico viene non solo mantenuta, ma accresciuta. Questo è fondamentale.
Onorevole Reguzzoni, in primo luogo lei ha domandato se le condizioni economiche siano tali da farci ripensare l'obiettivo del pareggio nel 2011. Io direi di no. Questo è un impegno che abbiamo assunto a livello europeo, e nel nostro caso è particolarmente importante, perché abbiamo un livello di debito molto più alto degli altri.
Se deviassimo da questo obiettivo, la prima conseguenza sarebbe una tensione sui mercati finanziari e sul rifinanziamento del nostro debito, quindi gli spread si allargherebbero e finiremmo per pagare di più il finanziamento del nostro debito. Non solo, quindi, non manterremmo l'impegno, ma sarebbe una politica economica per certi aspetti autolesionistica.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Governatore, mi perdoni. Per essere chiaro, la mia domanda era se non fosse opportuno porre il problema affinché si modifichino i patti a livello europeo, poiché la situazione è la stessa per tutti i Paesi. Ovviamente, per quanto mi riguarda, ritengo che dobbiamo rispettare gli impegni presi.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Non conosco la posizione dei singoli Paesi, ma nella grandissima generalità non c'è l'intenzione di porre in discussione questo aspetto, anche perché sono condizioni di mercato, finanziarie e reali di forte volatilità, in cui non esiste una grande disponibilità a rimettere in discussione obiettivi concordati, per i quali c'è stato bisogno di tantissimo lavoro, di discussioni e confronti. Teniamo comunque presente che il nostro è un caso particolare, stante il nostro livello di debito.
Lei ha fatto riferimento agli spazi disponibili per razionalizzare il sistema educativo. Indubbiamente, le previsioni di riduzione della spesa nel comparto dell'istruzione prevedono una riduzione del rapporto tra insegnanti e alunni. Effettivamente,


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i risultati sulla qualità della nostra istruzione che vengono da queste indagini internazionali (OCSE-PISA) non sono molto incoraggianti. All'interno di questi, però, bisogna distinguere tra nord e sud - il Paese è molto diverso e le medie chiariscono la situazione fino a un certo punto - e sono particolarmente scoraggianti nel sud dell'Italia. Occorre, quindi, lavorare particolarmente su tale punto.
Per quanto riguarda la semplificazione, evidentemente dobbiamo essere soddisfatti della volontà di perseguirla. Io credo che proprio nel momento costitutivo di un'impresa, nel momento in cui una persona alla prima esperienza di costituzione di un'impresa (un giovane, ad esempio) si trova di fronte a una quantità di adempimenti amministrativi complessi e difficili da capire, le complicazioni stronchino ogni entusiasmo sul nascere. La complessità, secondo me, distrugge il desiderio di creare impresa, soprattutto nelle prime esperienze.
Per quanto riguarda la Banca del sud, mi riservo ogni valutazione, anche perché non sono sicuro che sia stata esplicitamente considerata nel documento. Le sue considerazioni sull'importanza di non ripetere i disastri del passato, comunque, sono da me pienamente condivise.

PRESIDENTE. Abbiamo completato il primo giro di interventi e c'è il tempo per un secondo giro. Do nuovamente la parola ai colleghi.

CESARE MARINI. Porrò solo due domande al Governatore. Nel dibattito sul documento di questi giorni si è affacciata l'idea che la congiuntura sfavorevole sia influenzata dalle dinamiche speculative, favorite soprattutto dal processo di globalizzazione. Le domando quale sia la sua opinione in merito e, nel caso in cui ciò dovesse essere vero, se esista la possibilità che organismi multilaterali siano in grado di intervenire per evitare il danno.
Vengo alla seconda domanda. Il documento non affronta due questioni vitali per il Paese: bassa crescita economica e inadeguato livello dei redditi. Questi due elementi sono particolarmente distruttivi nel Mezzogiorno, dove sappiamo insistere problemi che riguardano la disoccupazione, la sottoccupazione, i salari bassi, il lavoro sommerso, l'impoverimento delle famiglie e quant'altro. Tutte questioni che lei conosce molto bene.
Nelle considerazioni relative al 2008 lei fa un'affermazione molto importante, cioè che il Mezzogiorno presenta risorse e condizioni di sviluppo superiori ad altre aree del Paese. Mi pare che nel documento, però, non vi siano previsioni di investimento in grado di mettere in moto processi di sviluppo. Mi pare che si faccia riferimento, nell'insieme dei provvedimenti, al sostegno nazionale, che da solo non basta, che non rappresenta uno sforzo sufficiente. La sua opinione, quindi, è molto importante.
Nelle considerazioni dello scorso anno lei afferma una cosa molto importante a proposito della scuola. Giustamente, denuncia lo stato della scuola nel Mezzogiorno e aggiunge che non c'è futuro per i giovani. La previsione di razionalizzazione contenuta nel documento, che riguarda in definitiva solo il contenimento della spesa, porterà alla soppressione di corsi. Le chiedo se non sarebbe stato necessario piuttosto prevedere per il Mezzogiorno, stante la condizione della sua scuola, una disciplina particolare.
Per quanto riguarda la Banca del sud, a parte il fatto che non si precisa se sarà una banca universale, di medio credito o di partecipazione al capitale di rischio o meno, il punto è che noi abbiamo alle spalle un'esperienza disastrosa che riguarda la sparizione del sistema del credito meridionale come proprietà autonoma di soggetti istituzionali meridionali, per un problema di bassa patrimonializzazione e di carenza di efficienza nella gestione.
Credo - su questo vorrei un suo parere - che prima di procedere alla nuova creazione di banche, sia necessario svolgere un'indagine conoscitiva per stabilire i motivi che hanno portato alla sparizione del sistema del credito meridionale. Le chiedo, inoltre, se per ipotesi dobbiamo


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ripercorrere strade sbagliate, che si sono risolte in grossi guadagni per le banche che sono intervenute. Grazie.

MAURIZIO LEO. Voglio associarmi ai colleghi che mi hanno preceduto nel ringraziare il Governatore per la puntuale disamina, salvo poi soffermarmi su due aspetti trattati nel documento.
Il primo aspetto riguarda il comparto bancario. Si dice che l'inasprimento del carico fiscale potrà verosimilmente generare variazioni nelle condizioni offerte ai depositanti e ai prenditori del credito. La rimodulazione del carico fiscale consiste sostanzialmente nella indeducibilità degli interessi passivi per una parte limitata e nella diversa modulazione delle condizioni di svalutazione dei crediti e dell'accantonamento dei rischi su crediti.
Il punto centrale sul quale vorrei conoscere l'opinione del Governatore è proprio sul fatto che il sistema bancario, ai fini della tassazione, non adotta più i criteri comuni a tutti i comparti imprenditoriali, cioè una tassazione che si fonda sui principi contabili nazionali, adottando invece i principi contabili internazionali (IAS), al pari delle società quotate.
L'adozione degli IAS comporta, poi, delle valutazione degli asset non più ai costi storici, bensì fair value. Ci potranno essere ricadute rilevantissime sugli imponibili. Soprattutto in un momento di bassa crescita, è verosimile ritenere che il reddito imponibile possa contrarsi e che, quindi, il carico impositivo si riduca. Questo aspetto penso che debba essere tenuto presente, a fronte anche della riduzione della deduzione degli interessi passivi.
Vorrei anche conoscere la posizione del Governatore in ordine alla lotta all'evasione fiscale. Si dice giustamente, in linea con quanto evidenziato nel DPEF, che la lotta all'evasione viene perseguita soprattutto con un rafforzamento dell'attività di accertamento. Vorrei ricordare che il contrasto all'evasione, così come delineato nel DPEF e nel decreto - si vedrà ancora meglio nei provvedimenti successivi, quello sul federalismo fiscale in particolare - dipenderà anche da come verrà posta in essere l'azione da parte degli enti locali, in particolare comuni e regioni, che devono svolgere un ruolo significativo ai fini del contrasto all'evasione fiscale.
Vorrei conoscere la sua posizione in ordine al coinvolgimento che dovranno avere gli enti locali nel contrasto all'evasione fiscale, in particolare su certi strumenti che potranno essere adottati. Mi riferisco a esterovestizioni fittizie, all'adozione dei cosiddetti accertamenti sintetici, al redditometro nei confronti di questi soggetti.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Sarò brevissimo, anche perché, rispondendo a un collega della Lega, il Governatore ha detto che le politiche fin qui condotte rispetto al Mezzogiorno sono state disastrose. Possiamo tutti condividere questa impostazione...

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Sì, mi riferivo alla necessità di evitare i disastri del passato.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Il problema è che per evitare i disastri del passato bisogna avere una politica per il Mezzogiorno. Questo è il punto che, a mio giudizio - un giudizio politico - manca nel DPEF.
Lo stimolo, invece, e la domanda riguardano proprio l'importanza per il Paese di inserire questo elemento. Altri Paesi stanno crescendo (parlo della Germania e della Spagna), proprio perché puntano sulle zone deboli dei loro Paesi.
L'Italia rinuncia a questo, con tutte le conseguenze che se ne ricavano. Domando quindi come si possa puntare al Mezzogiorno come risorsa, per avere una crescita complessiva del Paese, in maniera tale da poter avere risultati che siano soddisfacenti per tutti.

ANTONIO MISIANI. Signor presidente, pongo due rapide domande. Questa mattina, il Ministro dell'economia e delle finanze, aprendo il suo intervento, ha svolto un'analisi di scenario interessante, devo dire con un fervore degno di un no global,


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definendo la crisi attuale come la più grave del dopoguerra, la speculazione come la peste del secolo e la globalizzazione come la causa, o comunque una delle cause principali dei mali dell'economia italiana.
Ora, al di là delle valutazioni del Ministro dell'economia e delle finanze, credo che sia per noi imprescindibile acquisire ulteriori elementi di scenario, per un'economia aperta e globalizzata come quella italiana, tenendo conto di alcuni elementi sui quali chiedo la sua valutazione: l'intensità reale della crisi ad un anno dall'esplosione della crisi del subprime, l'orizzonte temporale su cui oggi si ragiona per questo scenario di difficoltà, di turbolenza, o come lo vogliamo chiamare e gli scenari possibili di nuove politiche pubbliche, in un quadro - su questo posso anche essere d'accordo con il Ministro dall'economia e delle finanze - in cui la globalizzazione, così come l'abbiamo conosciuta, deve essere ripensata, forse un po' più criticamente, evidenziando anche i rischi che pensavamo di evitare e che invece sono sotto i nostri occhi.
Seconda domanda: nell'economia italiana, il quadro programmatico del DPEF evidenzia tre elementi, peraltro ben evidenziati nella sua relazione. Il primo è che la pressione fiscale, che parte da un livello storicamente alto, il 43,3 per cento nel 2007, nel quinquennio di orizzonte temporale del DPEF si colloca, nel programmatico, sul livello più alto del tendenziale dallo 0,2 allo 0,4 per cento di prodotto interno lordo. Secondo elemento: gli investimenti, programmatico su tendenziale, sono in forte calo, calo che tocca il 16,3 per cento negli anni 2011-2013. Terzo elemento: la spesa primaria corrente, che registra una riduzione tendenziale sul programmatico, tutto sommato è contenuta nello 0,7 per cento di PIL, partendo, ripeto, da livelli storicamente alti e aggiratisi intorno al 40 per cento del prodotto interno lordo.
Non le chiedo una valutazione complessiva, che possiamo tranquillamente rintracciare nella relazione. La spesa primaria corrente, però, mi sembra la chiave per tentare di invertire queste tendenze che a me non sembrano molto positive dal punto di vista dell'impostazione di una politica economica che punta a rilanciare la crescita del Paese. Le chiedo in definitiva se, nella vostra valutazione, esistano margini ulteriori di contenimento della spesa primaria corrente rispetto al sentiero individuato nel Documento di programmazione economica e finanziaria.
La Corte dei conti ci ricordava, nell'audizione che abbiamo svolto un paio di ore fa, che per esempio la Germania, nell'ultimo decennio, ha ridotto di 3,6 punti di PIL l'incidenza della spesa primaria corrente nel quadro complessivo della finanza pubblica. Noi, nel prossimo quinquennio, mi sembra che delineiamo obiettivi molto meno ambiziosi rispetto, forse, a quanto sarebbe necessario per il nostro Paese.

PRESIDENTE. Do la parola al Governatore Draghi per la replica.

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Inizierei dallo scenario attuale, dal modo in cui si sta configurando. Come dicevo prima, la crisi ha tre fasi. Intanto, la situazione pre-crisi è una situazione di politiche monetarie complessivamente espansive, fatte non solo dai Paesi sviluppati, ma anche dai Paesi emergenti che hanno legato il loro cambio al dollaro.
All'espansione delle politiche monetarie dei Paesi sviluppati, in particolare degli Stati Uniti, si assomma l'espansione delle politiche monetarie della Cina e di altri Paesi.
Condizioni finanziarie, quindi, estremamente «lasche», premi di rischio incredibilmente bassi, credito e liquidità altissimi.
La crisi alligna in questa situazione, in cui gli operatori avevano ormai perso la capacità di valutare esattamente i rischi. Tale situazione, che poteva scoppiare in tanti posti, è scoppiata in un settore relativamente marginale dell'economia americana, quello dei mutui subprime, cioè i mutui immobiliari di cattiva qualità. In questo settore, però, si è visto che l'industria finanziaria cresciuta, negli ultimi


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dieci anni, a tassi molto più alti del prodotto mondiale e del prodotto americano, era cresciuta sulla base, come ho detto più volte, di meccanismi perversi, fondati su varie distorsioni. Tanto per cominciare si basava, nel caso specifico dei mutui immobiliari di cattiva qualità, su disattenzioni dei regolatori e su lacune della regolazione esistente. Poi, si basava su opacità, su mancanza di trasparenza, su tutta una serie di lacune rispetto all'assetto regolatorio esistente, passate inosservate proprio per la situazione di grande liquidità, di dimenticanza del rischio. Questo spiega l'amplificazione della crisi, che, nata in un settore relativamente marginale, si espande rapidamente. Le banche stesse, tra l'altro, avevano sistemi di gestione del rischio che si sono rivelati profondamente inadeguati, parlo delle grandi banche internazionali, di quelle più rilevanti, in un certo senso, per il sistema finanziario mondiale.
Arriviamo così alla prima manifestazione della crisi, che avviene alla fine di agosto-primi di settembre, e si manifesta con un improvviso inaridirsi della liquidità sui mercati. A quel punto, il sistema risponde alla prima emergenza con la Banca centrale europea e la Federal reserve che immettono sui mercati una enorme quantità di mezzi liquidi e fronteggiano la prima ondata della crisi. Nel frattempo, però, i prezzi delle case cominciano a diminuire, l'economia americana a rallentare, e molte di queste attività poco trasparenti perdono ogni liquidità. I prezzi cominciano a scendere. Le banche cominciano ad appostare una svalutazione dopo l'altra, i bilanci delle banche si appesantiscono, le banche hanno bisogno di nuovo capitale.
Certe volte ci si rappresenta un sistema che non reagisce. Il sistema invece reagisce fortemente, ma la crisi si continua ad aggravare. Nel corso di sei mesi circa, su un totale di perdite annunciate di circa 400 miliardi di dollari, avvengono ricapitalizzazioni per 300 miliardi: qualcosa di immenso, che negli anni passati non si sarebbe mai immaginato potesse avvenire. Ciononostante, sussistono ancora 100 miliardi di differenza e nel frattempo, però, la situazione dell'economia, questa volta quella reale, soprattutto negli Stati Uniti, continua a peggiorare. Su tutto ciò si innesta un aumento del prezzo del petrolio. Di nuovo è avvenuto un momento di crisi, verso la fine di marzo, quando una grande banca americana si è trovata in una situazione vicina all'insolvenza. Di nuovo, la Federal reserve di New York è intervenuta e, in un certo senso, ha recuperato la situazione. La banca in difficoltà era molto importante, dal punto di vista sistemico, poiché contava molti miliardi di dollari di controparti, quindi la sua crisi avrebbe certamente influenzato altri operatori.
A quel punto, si vede una cosa interessante: sulla base degli indici che definiscono il grado di insolvenza del sistema bancario, la percezione dell'insolvenza scende, quindi la situazione migliora alla fine di marzo. Accade poi che il prezzo del petrolio continua ad aumentare, in maniera sempre più marcata. Esiste ormai da tempo una correlazione tra prezzo del petrolio e borse, le quali, da 10-15 giorni a questa parte, sono sistematicamente peggiorate.
Si tratta di un fatto grave, poiché a questo punto le ricapitalizzazioni del sistema bancario, che sono ancora necessarie, con le borse che scendono diventano ancor più difficili. Chiaramente, se qualcuno chiede a degli investitori di ricapitalizzare una società mentre il prezzo continua a scendere, questi ultimi aspettano. Questa era un po' la situazione quando ne ho parlato, circa una settimana fa.
La domanda che ora molti si pongono è perché il prezzo del petrolio continui a salire, visto che oggi è diventata la causa in primis della crisi, seguita dal prezzo delle case in America, di cui si sa più o meno tutto, riguardo al perché continui a scendere. Insomma: l'aumento del prezzo del petrolio dipende dalla speculazione, o no?
Tutta l'evidenza che c'è nelle indagini finora condotte dalla Federal reserve, dalla Banca d'Italia, dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca d'Inghilterra mostra che sicuramente esiste una situazione di tensione tra domanda e offerta. La domanda viene soprattutto


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dai Paesi emergenti, in testa la Cina, mentre è diminuita nei Paesi occidentali. La domanda nei Paesi emergenti, dunque, continua ad aumentare. Ebbene, l'offerta oggi sta incontrando seri ostacoli al suo sviluppo e ampliamento. Si tratta di tutta una serie di questioni che sono state evocate: dai trasporti alla capacità di raffinazione, ai mancati investimenti negli anni passati nello sviluppo di nuovi giacimenti. Che su questo, poi, si sia innestata o meno una speculazione, è attuale oggetto di studio.
Ad ogni modo, su questa tensione dei mercati è facile che si possano innestare situazioni di speculazione. Rinvenirle è proprio l'oggetto di uno studio, che dovrebbe essere pubblicato a breve, condotto dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca dei regolamenti internazionali e via elencando. In ogni caso, alla base permane una situazione in cui fattori geopolitici generano una tensione sostanziale e vera. Nel corso delle prossime settimane ne sapremo anche di più. Ma oggi questo è quanto sappiamo di certo: non si tratta di un mercato trascinato soltanto da fattori di irrazionalità.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, mi è stata posta una domanda dall'onorevole D'Antoni, ma anche dall'onorevole Marini. La seconda è più specifica: se diminuiamo le spese di investimento, dov'è la politica per il Mezzogiorno, che ha bisogno di infrastrutture in maniera particolare? La risposta è un po' la stessa che ho dato prima: occorre scegliere molto attentamente i progetti. Diversamente, una politica di riduzione delle spese in conto capitale senza una scelta più accurata, evidentemente, della qualità dei progetti, non produce i risultati desiderati sulla crescita.
Per quanto riguarda il sud e le spese per l'istruzione, il problema è che sussiste una notevole differenza di risultati - secondo l'indagine OCSE-PISA - tra sud e nord, però a parità di spesa. Quindi, il problema non consiste tanto nell'aumentare la spesa nel sud, bensì nel migliorarne la qualità.
Vorrei leggere, anche per l'onorevole D'Antoni, le frasi che ho pronunciato in occasione delle considerazioni finali: «La spesa pubblica è tendenzialmente proporzionale alla popolazione, mentre le entrate riflettono redditi e basi imponibili pro capite, che nel meridione sono di gran lunga inferiori. Si stima che il conseguente afflusso netto verso il sud di risorse intermediate dall'operatore pubblico, escludendo gli interessi sul debito, sia dell'ordine del 13 per cento del prodotto del Mezzogiorno e del 3 per cento di quello nazionale (il 3 per cento del prodotto all'anno). È un ammontare imponente per il sud ed è anche il segno di una dipendenza economica ininterrotta. La sua incidenza non è uguale dappertutto, varia dal 5 per cento del prodotto in Abruzzo al 20 per cento in Calabria. Quindi, l'accento deve spostarsi dalla quantità delle risorse alla qualità dei risultati. Le stesse politiche nazionali devono tenerne conto». Questa è un po' una risposta che darei anche all'onorevole D'Antoni (comunque dopo torno sulla questione), ma certamente alla domanda posta dall'onorevole Marini.
Con riferimento all'indagine conoscitiva sul credito del Mezzogiorno, se ne sono fatte varie...

CESARE MARINI. Di recente?

MARIO DRAGHI, Governatore della Banca d'Italia. Ricordo che ne era stata avviata una, credo, l'anno scorso. Non so bene se sia stata completata, poiché dovevo venire a riferire in Commissione su questo. Evidentemente, non è stata completata.
Onorevole Leo, indubbiamente la riduzione della deducibilità delle svalutazioni sui crediti rende più costosi la svalutazione dei crediti e gli accantonamenti per rischi su crediti. È proprio quello che avviene.
Sul coinvolgimento degli enti locali nell'accertamento dell'evasione, francamente non ho un'opinione. Certamente, ricordiamo tutti che, in passato, è qualcosa che è stato sperimentato. Non so sinceramente se oggi lo si faccia ancora o meno.


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Per quanto riguarda gli IAS, essi hanno elementi di prociclicità. Infatti, uno dei programmi di lavoro del Financial stability forum è proprio questo, ossia cercare di vedere gli elementi di prociclicità contenuti nelle norme contabili attuali.
Si tratta di una tematica indubbiamente molto vasta e su alcuni di questi aspetti forse si otterrà presto qualche risultato, poiché molte istituzioni soffrono evidentemente di questo fatto. Però non dobbiamo aspettarci una rivoluzione del sistema contabile internazionale.
All'onorevole D'Antoni, in parte, ho risposto. Ma c'è anche un'ultima cosa da dire. Nonostante l'imponenza di questi trasferimenti, le nostre regioni meridionali sono cresciute meno di regioni arretrate di altri Paesi. Abbiamo fatto l'esempio di alcuni länder tedeschi in passato. Quindi, sono d'accordo quando si dice che bisogna portare avanti una politica, ma quando si parla di politica la mente non deve andare immediatamente alla quantità dei trasferimenti, bensì alla qualità dei risultati.
All'onorevole Misiani in parte ho risposto alla prima domanda relativamente alla globalizzazione e alla speculazione. Per quanto riguarda la spesa corrente, ne ho già fatto cenno nella relazione introduttiva: perché le manovre di riduzione della spesa corrente abbiano risultato, occorre cambiare le regole. Serve un intervento molto incisivo e complesso di cambiamento delle regole. Se questo non avviene, evidentemente non si ha la riduzione della spesa.

PRESIDENTE. Nel ringraziare coloro che sono intervenuti e naturalmente il Governatore Draghi e i suoi collaboratori, dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANTONIO AZZOLLINI

Audizione di rappresentanti dell'ISAE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti dell'ISAE. Sono presenti il presidente Alberto Majocchi, il dottor Sergio De Nardis, la dottoressa Daniela Marchesi, la dottoressa Cristina Mercuri e la dottoressa Marzia Mascini.
Do ora la parola al presidente dell'ISAE, Alberto Majocchi.

ALBERTO MAJOCCHI, Presidente dell'ISAE. Signor presidente, nel nostro intervento concentreremo l'attenzione su tre punti: un'analisi della situazione economica internazionale e interna, una valutazione delle misure di finanza pubblica e un'analisi di un aspetto della regolamentazione, per quanto riguarda i problemi e l'accelerazione dei tempi della giustizia civile.
Per quanto riguarda l'economia mondiale, nei primi mesi dell'anno essa si è confermata in rallentamento, anche se la perdita di velocità è risultata meno intensa di quella che veniva ipotizzata nelle previsioni più pessimistiche avanzate nel corso della primavera.
Lo scenario globale continua a essere condizionato dalle ripercussioni dell'esplosione della bolla immobiliare, dalla fragilità dei mercati finanziari, riacutizzatasi nelle ultime settimane e dal forte shock petrolifero.
Si è aperta tra gli analisti un'accesa discussione sulla natura di quest'ultimo. Alcuni sottolineano che la causa, al di là delle oscillazioni indotte dalle diffuse tensioni geopolitiche, vada ricercata esclusivamente nello squilibrio nei fondamentali: una domanda elevata proveniente dalle economie emergenti, a fronte di un'offerta insufficiente tanto nell'estrazione, quanto nella raffinazione. Altri ritengono che a questo squilibrio si siano aggiunti gli effetti di uno spostamento di ricchezza dei grandi investitori da attività a basso rendimento verso prodotti derivati a più alto rischio legati al mercato petrolifero.


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In ogni caso, resta il fatto che la finanza sta giocando un ruolo rilevante nei mercati delle commodities: l'ampia liquidità presente nei Paesi emergenti e i bassi tassi di interesse praticati per lungo tempo dalle economie industrializzate hanno costituito un ambiente propizio al riversarsi di capitali, in uscita da impieghi non più attraenti, nei mercati delle materie prime energetiche, dando un contributo all'impennata dei costi.
Gli Stati Uniti sono in frenata, ma la recessione tecnica (con un calo del PIL) sembra essere stata finora evitata. Al lieve aumento dell'attività economica dei primi tre mesi dovrebbe seguire un'evoluzione debole, ma ancora positiva, nel periodo aprile-giugno.
Il buon andamento delle vendite al dettaglio in maggio, nonostante la caduta della fiducia da parte dei consumatori, ha risentito dell'entrata in vigore dello stimolo fiscale a favore delle famiglie; un sostegno che dovrebbe incidere fino alla fine del terzo trimestre. Il venir meno del sostegno fiscale potrebbe causare una decelerazione più marcata nell'ultima parte dell'anno, dando luogo a un 2009 più debole in media d'anno del 2008.
La migliore tenuta, rispetto alle attese, della congiuntura reale è anche testimoniata dallo spostamento di attenzione della Federal Reserve dai rischi per la crescita a quelli per l'inflazione: le ripercussioni delle quotazioni delle materie prime sui prezzi e, soprattutto, sulle aspettative di inflazione hanno preso ad alimentare attese di correzione al rialzo dei tassi di policy già nell'anno in corso, interrompendo la prolungata fase di stimolo in atto dalla scorsa estate.
Anche nell'area euro le dinamiche di inizio anno sono state più robuste del previsto. Vi hanno contribuito evoluzioni ancora favorevoli delle componenti della domanda interna e l'apporto marginalmente positivo delle esportazioni nette, nonostante l'apprezzamento dell'euro.
Sul risultato del primo trimestre, tuttavia, hanno inciso anche fattori eccezionali, legati alle condizioni climatiche (e hanno spinto soprattutto il settore delle costruzioni).
Le stime scontano una decelerazione della crescita nel secondo trimestre, con una probabile battuta di arresto in Germania.
Un fattore di freno deriva, per la spesa interna, dall'erosione di reddito reale indotta dall'aumento dell'inflazione.
Il rafforzamento del cambio potrebbe, inoltre, attenuare la dinamica delle vendite all'estero. I sostenuti incrementi dei prezzi al consumo e l'aumento dei rischi di effetti di second round sui salari, risultati in accelerazione nel primo trimestre, hanno indotto la BCE a prospettare con toni decisi un rialzo del tasso di policy di 25 punti base a luglio.
L'area dei Paesi emergenti ha costituito il volano di spinta del ciclo mondiale nel corso del 2007 e in questa prima parte del 2008. Tuttavia, anche in questa area vanno addensandosi preoccupanti focolai di tensione.
La maggiore esposizione dei panieri di consumo di questi sistemi ai rialzi delle materie prime alimentari, la loro più forte dipendenza energetica e l'impostazione espansiva delle politiche monetarie (con tassi d'interesse reali negativi) si sono tradotti in un marcato inasprimento dell'inflazione.
L'accumularsi di tensioni proietta la possibilità, in futuro, di una stretta monetaria volta a raffreddare tali sistemi produttivi.
Questo mutamento di policy potrebbe essere ritardato o diluito dalle esigenze di salvaguardare un contesto socialmente accettabile di crescita economica (per esempio nel caso cinese).
Qualora, però, il più o meno intenso colpo di freno dovesse intervenire prima dell'uscita dell'area industrializzata dalla fase di ciclo sfavorevole, le prospettive di sviluppo dell'economia globale non potrebbero che risentirne negativamente.
Anche per l'economia italiana l'inizio del 2008 è stato più solido delle attese. Dopo il cedimento dell'ultimo trimestre del 2007 (meno 0,4 per cento), il PIL è


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aumentato nei primi tre mesi dello 0,5 per cento, venendo sospinto dall'evoluzione favorevole delle esportazioni a fronte della persistente fiacchezza della domanda interna. Se il PIL ristagnasse nella restante parte del 2008 ai livelli raggiunti in gennaio-marzo, la variazione in media d'anno sarebbe dello 0,3 per cento.
Previsioni per il 2008 inferiori a questa cifra implicano, dunque, che si manifesti una recessione in corso d'anno; previsioni superiori, come quella contenuta nel DPEF, presuppongono una dinamica positiva, ancorché in rallentamento, nella seconda metà dell'anno.
La divaricazione delle valutazioni dei previsori emersa nelle ultime settimane è indicativa della condizione di incertezza della fase attuale e conduce a domandarsi se il ciclo debole possa effettivamente evolvere in una caduta recessiva.
Le valutazioni ISAE tendono ad attribuire, allo stato delle informazioni disponibili, una probabilità ancora relativamente bassa a questa eventualità.
Le indicazioni congiunturali per il secondo trimestre non sembrano implicare un segno negativo nell'andamento dell'economia. Le informazioni su produzione industriale, fatturato e ordinativi di aprile mostrano un'apertura di trimestre favorevole.
L'attività economica si è poi indebolita nel corso dei mesi primaverili, come segnalato dal calo di fiducia delle imprese manifatturiere rilevato nelle inchieste ISAE.
Nonostante tale ridimensionamento la dinamica della produzione industriale dovrebbe essersi mantenuta nel secondo trimestre in terreno positivo, consentendo di dar luogo a un incremento del PIL.
Per i mesi successivi la lettura delle ultime inchieste evidenzia uno scenario di persistenti difficoltà nel settore industriale, ma non di avvitamento recessivo.
Per quanto riguarda il portafoglio ordini, elementi di debolezza si riscontrano per i beni di consumo e soprattutto per quelli intermedi, mentre per i beni di investimento si rilevano segni di stabilità nel mercato interno e positivi su quello esterno.
Anche sul fronte delle aspettative degli imprenditori circa produzione e ordinativi, le indagini degli ultimi 3-4 mesi confermano il basso tono congiunturale, senza però prospettare cadute rispetto alle tendenze più recenti.
Nell'insieme queste dinamiche vengono rispecchiate negli indici sintetici ISAE coincidente e anticipatore relativi all'economia italiana. L'indicatore coincidente conferma l'andamento positivo riscontrato ad inizio anno e segnala il buon ingresso nel secondo trimestre. Quello anticipatore pone invece in luce l'indebolimento del ciclo che dovrebbe iniziare a concretizzarsi tra il secondo e il terzo trimestre.
Questi segnali congiunturali appaiono coerenti con lo scenario internazionale di consenso adottato dal DPEF come base di riferimento. Le ipotesi circa il quadro globale implicano una decelerazione della domanda mondiale che rimane, tuttavia, assestata su un sentiero positivo, a riflesso della buona dinamica delle economie emergenti e di quelle produttrici di materie prime energetiche.
Tali aree hanno fornito nei mesi passati uno stimolo importante all'export italiano (soprattutto in beni di investimento); perdurandovi la fase espansiva, questi Paesi continuerebbero a sospingere le nostre vendite all'estero nei trimestri a venire, in presenza di un minore dinamismo atteso per la zona europea.
L'apporto proveniente dalle esportazioni dovrebbe controbilanciare l'andamento della domanda interna che risente degli effetti negativi dello shock petrolifero tanto sui consumi (via minori redditi reali) che sugli investimenti (via minore redditività).
Le spese per i consumi dovrebbero in particolare risultare poco più che stagnanti quest'anno; mentre quelle per investimenti in ulteriore frenata rispetto al 2007.
In questo quadro, appare realizzabile una crescita dello 0,5 per cento, sospinta


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dalle esportazioni nette, come indicato nelle ipotesi previsive del DPEF per l'anno in corso.
Allo stato delle informazioni disponibili, non è peraltro da escludere la possibilità che la tenuta dell'export consenta un risultato in termini di prodotto interno lordo marginalmente più elevato rispetto a quello contenuto nel documento governativo.
Punti interrogativi maggiori riguardano gli sviluppi per il 2009. Alta inflazione e bassa crescita sono tornati ad essere fenomeni strettamente interrelati in Italia e negli altri sistemi avanzati, in modo analogo a quanto i Paesi importatori di combustibile avevano sperimentato in occasione dei precedenti shock petroliferi.
Ne consegue che nel valutare le prospettive economiche è cruciale la previsione circa l'evoluzione dei prezzi. A giugno l'inflazione italiana (come quella europea) ha toccato un altro massimo, risentendo degli aumenti dei carburanti, dei rincari nei servizi di trasporto e delle tensioni negli alimentari.
Date le tendenze che ancora caratterizzano il quadro internazionale, difficilmente nei mesi estivi si potrà assistere a un rallentamento nella dinamica dei prezzi che potrebbe, quindi, portarsi su nuovi picchi. Si noti, tuttavia, che la core inflation, seppure in rialzo, continua a collocarsi sostanzialmente al di sotto del dato complessivo.
Questa maggiore vischiosità dei prezzi dei beni e servizi non esposti in prima battuta allo shock esterno costituisce un rilevante elemento di differenza rispetto all'esperienza degli anni settanta, quando gli aumenti furono invece rapidi e diffusi alle varie componenti del paniere di consumo.
Si tratta di un fenomeno che, se confermato, ridurrebbe la persistenza dei rincari nel sistema economico e potrebbe rendere la via d'uscita dalla fase sfavorevole meno impervia di quella che caratterizzò i precedenti shock petroliferi.
Un processo di rientro delle tensioni sui prezzi molto graduale potrebbe prendere a concretizzarsi in autunno, a condizione che le quotazioni del greggio si stabilizzino. In questo profilo, l'inflazione italiana difficilmente si situerebbe sotto il 3,5-3,6 per cento nella media dell'anno in corso.
Se il petrolio cominciasse a ridimensionarsi nel 2009, per la minore pressione della domanda mondiale, e se si limitassero gli effetti di secondo round conseguenti agli aumenti delle materie prime importate, la dinamica dei prezzi potrebbe progressivamente ripiegare il prossimo anno ridando fiato al potere di acquisto delle famiglie e alla redditività delle imprese, con ripercussioni favorevoli sulla crescita economica.
Il graduale rafforzamento dell'attività produttiva indicato nel DPEF per il 2009 ( 0,9 per cento) appare dunque legato a doppio filo a questa ipotesi di rientro delle tre tensioni inflazionistiche.
Date le incertezze che circondano gli sviluppi dei mercati e le commodities energetiche, la previsione è affetta da rischi al ribasso che si concretizzerebbero, nel caso di uno shock petrolifero più prolungato di quello ipotizzato.
Anche in un tale meno favorevole contesto, la conservazione di una relativa stabilità dall'inflazione core, a cui mantenere agganciate, per quanto possibile, le aspettative, rappresenterebbe una condizione essenziale per contenere tempi e conseguenze della crisi petrolifera.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, dopo il favorevole risultato del 2007, che ha visto scendere il deficit pubblico all'1,9 per cento del PIL, e il rialzo atteso per l'anno in corso, sostanzialmente dovuto al rallentamento della crescita e a una manovra di bilancio espansiva - che non ha tuttavia impedito la chiusura e la procedura per disavanzo eccessivo - il DPEF, per gli anni 2009-2013, prospetta andamenti tendenziali dei conti pubblici in lieve peggioramento nel 2009 e poi di nuovo in miglioramento in percentuale del PIL, ma ancora elevati a fine periodo (con un deficit all'1,8 per cento del PIL nel 2013).
Grazie agli interventi programmati, nel 2011, secondo il documento, potrebbe essere raggiunto il sostanziale pareggio di bilancio, cui farebbe seguito un lieve attivo


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nell'anno finale della previsione. Il percorso di riequilibrio dei conti dovuto ad una manovra triennale nel periodo 2009-2011 - con una riduzione dell'indebitamento netto delle amministrazione pubbliche di 2,4 punti percentuali di PIL, dal 2,5 per cento programmatico atteso per l'anno in corso allo 0,1 per cento programmato per il 2011 - si sostanzia nel DPEF in un calo delle spese correnti al netto degli interessi di 1,5 punti, in una diminuzione di quelle in conto capitale di 0,7 punti e in aumento della pressione fiscale di 0,1 punti percentuali di PIL.
Rispetto agli andamenti tendenziali, si possono evidenziare alcuni aspetti.
La riduzione della percentuale sul PIL della spesa primaria corrente comincia dal 2010, dovendosi coprire nel 2009, con una buona parte della manovra, sostanzialmente gli effetti dei rinnovi contrattuali e l'erogazione ai fondi per l'occupazione e le politiche sociali. Il calo della percentuale sul PIL della spesa in conto capitale inizia dal 2009 e si intensifica fino a toccare i sei decimi in meno rispetto alle tendenze a legislazione vigente nel 2011.
La pressione fiscale risente dell'intrecciarsi degli effetti non lineari nel tempo dei vari sgravi concessi.
A livello programmatico, l'onere fiscale rimane sostanzialmente stabile (al 43-43,1 per cento del PIL), una volta disposta una manovra di 5, 5 miliardi di euro, nel solo 2009.
Le principali e determinanti novità che hanno accompagnato la predisposizione del DPEF riguardano l'anticipazione della manovra rispetto agli usuali tempi e l'estensione della stessa a un triennio, con la conseguente possibilità di costruzione di un dettagliato e completo quadro programmatico delle amministrazioni pubbliche all'interno del DPEF.
Si tratta di un cambiamento di assoluta rilevanza nella filosofia dell'intervento pubblico e nella strategia di bilancio, che avvicina la posizione dell'Italia a quelle dei Paesi europei più avanzati in tale campo.
Il nuovo DPEF è in linea con le regole europee. Innanzitutto, nel riconoscimento dei vincoli esterni: con l'indicazione del pareggio di bilancio entro il 2011; con la riduzione annuale del disavanzo strutturale - al netto degli effetti del ciclo e delle misure una tantum - pari allo 0,5 per cento del PIL; con la diminuzione del rapporto debito pubblico/PIL.
Inoltre, questo DPEF, nel mantenere gli impegni presi dal precedente Governo, risponde alle indicazioni circa il miglioramento della governance fiscale individuate con la riforma del Patto di stabilità e crescita nel marzo 2005, laddove si invitano i Paesi membri alla continuità negli obiettivi di finanza pubblica ai cambi di Governo.
Il conseguimento dei vincoli europei richiederà uno sforzo notevole e impegnativo.
Ai fini del riequilibrio della finanza pubblica, occorre sottolineare l'importanza di un'attenta attuazione del federalismo fiscale, di cui l'ISAE, dopo i numerosi contributi forniti negli scorsi anni, tornerà ad occuparsi in maniera specifica nella predisposizione del rapporto sulla finanza locale di fine anno.
Quanto agli aspetti istituzionali, le novità introdotte comportano conseguenze di rilievo nella programmazione dei bilanci di medio termine. In particolare, l'allineamento della manovra ai tempi di preparazione e all'orizzonte temporale del DPEF consente di superare la tradizionale scissione tra programmazione ed esecuzione di bilancio. A ciò contribuisce anche il dettaglio con cui è stato presentato il conto della PA, a vantaggio di quantità e trasparenza dell'informazione.
Vi è, innanzitutto, la giusta considerazione della dimensione temporale entro cui si esplicano gli effetti economici delle misure di bilancio.
In secondo luogo, rileva la dimensione strategica, in base alla quale un'adeguata definizione delle linee guida della politica di bilancio di un Paese richiede una visione prospettica di medio e lungo termine.
Inoltre, si deve considerare la dimensione relativa alla time-consistency nella condotta delle politiche fiscali, in base alla quale il Governo si impegna a perseguire gli obiettivi fissati su un sentiero predefinito,


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e che può essere assicurata solo da uno scenario pluriennale, legislativamente vincolante.
Le modifiche appena introdotte nei documenti di bilancio muovono nella direzione indicata dal dibattito accademico e istituzionale sul tema, a cui lo stesso ISAE ha contribuito, e secondo cui l'inclusione di tali elementi implicherebbe chiarezza negli obiettivi di bilancio, stabilità e maggiore certezza circa le risorse di bilancio disponibili, con evidenti benefici sulla gestione delle risorse pubbliche e sul monitoraggio delle stesse per opera anche di alte istituzioni e dei cittadini.
Tali modifiche riprendono, inoltre, analoghe misure già introdotte da tempo in alcuni Paesi europei, dove la programmazione di bilancio di medio termine può essere definita un successo.
Rilevante, infine, per il coordinamento e la finanza pubblica, è la possibilità di conoscere in anticipo, rispetto a quanto avvenuto in passato, gli impegni richiesti agli enti decentrati quale contributo al rispetto dei vincoli europei per una corretta impostazione della pianificazione pluriennale dei bilanci locali.
Quanto agli strumenti operativi e finanziari, nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, sono indicate le norme di finanza pubblica, che dovrebbero rimanere stabili per un triennio, con indicazione degli effetti finanziari che si aggiungeranno nel 2010 e nel 2011.
La manovra lorda complessiva per i tre anni raggiungerà nel 2011 il valore, cumulato, di circa 34,8 miliardi di euro. Le risorse lorde deriveranno da interventi con effetti crescenti e pari allo 0,9 per cento del PIL nel prossimo anno, all'1,3 per cento nel 2010 e al 2 per cento cumulato del PIL previsto dal DPEF per il 2011.
La manovra netta ammonterà rispettivamente allo 0,6 per cento, all'1 per cento, all'1,8 per cento a fine triennio.
Per quanto riguarda la composizione della manovra, a fronte di maggiori entrate intorno ai 5,5 miliardi di euro nel triennio, sono predisposte misure correttive della spesa per 9,6 miliardi di euro nel 2009, che salgono a circa 15,8 miliardi di euro nell'anno successivo, sino a circa 29 miliardi di euro nel 2011.
Con riferimento alle risorse complessive da reperire dai principali strumenti identificati, sul versante delle entrate, il maggior gettito deriva da disposizioni - in larga parte di rimodulazione della base imponibile - relative ai settori petrolifero e del gas, con l'introduzione anche di un'addizionale IRES, e riguardanti banche e assicurazioni, oltre che da misure volte a incrementare l'efficienza dell'amministrazione finanziaria nei controlli di contrasto dell'evasione fiscale, con efficacia crescente nel tempo.
Sul versante delle uscite, i risparmi più consistenti sono riconducibili: al patto di stabilità interno con importi rilevanti richiesti anche alle regioni a statuto speciale, a riduzioni delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun ministero, sia di natura corrente, che in conto capitale, a misure riguardanti la sanità, a interventi relativi al pubblico impiego.
Riguardo all'impiego delle risorse, una lieve perdita di gettito è ascrivibile alla proroga di alcune agevolazioni fiscali; mentre le maggiori spese sostanzialmente saranno indirizzate al rinnovo dei contratti pubblici, ai fondi per l'occupazione e per le politiche sociali, o deriveranno dagli effetti dell'abolizione del divieto di cumulo tra pensione e attività lavorativa.
Quanto alla valutazione della manovra, sono possibili alcune osservazioni.
La suddivisione degli interventi orientata ai risparmi di spesa appare pienamente condivisibile, al fine anche di stabilizzare sostanzialmente la pressione fiscale sui livelli dell'anno in corso, già in riduzione rispetto al picco toccato nel 2007.
Per quanto riguarda la composizione di misure correttive, la manovra appare infatti basata sulle uscite. Solo nel primo anno si bilanciano maggiori entrate nette e minori spese nette.
Nel biennio successivo non sono previsti incrementi aggiuntivi di gettito, mentre gli effetti delle misure intraprese dal lato


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delle spese implicano risparmi ulteriori e crescenti. In sostanza, il decreto prevede interventi per il biennio 2010-2011 unicamente sul versante della spesa.
I risparmi si cercano in larga parte tra le spese di funzionamento delle amministrazioni - con contenimento delle dinamiche occupazionali e moderazione salariale sia a livello centrale che decentrato - anche se, inevitabilmente, l'entità della correzione non può non implicare un ridimensionamento delle spese in conto capitale sul PIL. È evidente, dunque, la necessità di costituire ordini di priorità nelle scelte di investimento, selezionando le opere effettivamente rilevanti.
Si rimarca, inoltre, l'importanza del mantenimento di misure volte al recupero dell'evasione fiscale.
Quanto all'efficacia della manovra, da un lato, appaiono realizzabili gli introiti dovuti alle disposizioni fiscali, anche per il necessario lasso temporale lasciato all'esplicarsi degli effetti derivanti dalla gradualità dello sforzo dell'amministrazione finanziaria; dall'altro, permangono i rischi tipici relativi al raggiungimento dei risparmi, sebbene, almeno nel 2009, i risultati dovrebbero essere maggiormente conseguibili, dopo la manovra non restrittiva che ha caratterizzato l'anno in corso.
Si apprezza il mantenimento triennale degli impegni programmati, ma inevitabilmente si evidenzia la difficoltà di ottenere così ingenti tagli di spesa, in particolare con riferimento alle missioni dei ministeri (sia pure con la possibilità di una maggiore flessibilità nella gestione del bilancio), nell'ambito dei quali i primi tentativi sperimentati in tale direzione nel recente passato non hanno dato gli esiti sperati. Ancor più, quindi, si sottolinea l'importanza di un monitoraggio costante e puntuale di attuazione delle norme e dei comportamenti specifici delle amministrazioni.
Quanto al patto di stabilità interno, si pone nuovamente l'accento sui risparmi di spesa e, in particolare su quella relativa al personale, anche reintroducendo la sanzione consistente, in caso di mancato rispetto, nel divieto di procedere ad assunzioni a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.
Si deve sottolineare che esistono margini di riduzione di spesa negli enti decentrati. Da analisi dell'ISAE sembra emergere che una certa percentuale di comuni, ad esempio, presenterebbe spese effettive maggiori di quelle standard, che risulterebbero appropriate in base a fattori quali la demografia, le caratteristiche del territorio, le strutture economiche, il contesto istituzionale e altro. Così come si evidenzia che maggiore attenzione potrebbe essere posta ai piccoli comuni con popolazione fino a cinquemila abitanti esclusi dal patto di stabilità interno.
Con riferimento alla spesa sanitaria, e riguardo all'accordo che dovrebbe essere sottoscritto entro il 31 luglio prossimo, si ritiene importante insistere nello stretto monitoraggio e controllo delle regioni in disavanzo strutturale, in particolare di quelle regioni il cui deficit nel 2007 ha costituito circa 1'83 per cento di quello totale nel settore sanitario nazionale (Lazio, Campania e Sicilia).
La sorveglianza dal «centro» è infatti indispensabile, nella consapevolezza che l'attuazione del federalismo non può prescindere dal miglioramento delle capacità gestionali e degli standard qualitativi nelle amministrazioni di alcune aree del Paese.
Quanto al pubblico impiego, dopo gli esiti contraddittori del passato viene riproposta una manovra di contenimento della spesa attraverso i blocchi del turn-over con una modulazione differenziata a seconda degli anni e dei settori, con limitazioni estese anche alle università finora fuori dal blocco delle assunzioni.
Il richiamo alla mobilità, prerequisito per l'avvio delle procedure di assunzione, diversamente dai precedenti provvedimenti, è caratterizzato da contenuti più prescrittivi, con sanzioni in caso di rifiuto.
Sul risultato dei provvedimenti inerenti il turn-over e la riduzione degli organici pesano sia la complessità e i limiti operativi delle procedure, sia l'estensione generalizzata che, limitando l'autonomia alle amministrazioni, può ingenerare un abbassamento


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del livello dei servizi in taluni settori, per il mancato ricambio del personale e per la compressione degli organici.
Rimane inoltre da verificare come il controllo sulla creazione di un nuovo precariato possa avere pieno successo, viste le esperienze del passato che hanno sostanzialmente portato ad aggirare il blocco delle assunzioni.
Riguardo alla manovra sulla scuola, è da rilevare come siano prevedibili dinamiche diverse nei diversi ordini di istruzione, che potrebbero rendere difficile perseguire l'obiettivo di miglioramento degli standard. Anche le ultime previsioni ISTAT sulle dinamiche demografiche confermano, infatti, aumenti nella fascia in età della scuola dell'obbligo, con forti differenziazioni territoriali: aumenti consistenti nel nord-est e nel nord-ovest e cali nel sud.
È da considerare positivamente l'ampliamento del ruolo della Corte dei conti. I suoi rilievi sui contratti nazionali avranno valore prescrittivo. Inoltre, ad essa verranno inviate obbligatoriamente informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno.
La Corte dei conti può inoltre intervenire nei punti più rilevanti della contrattazione integrativa (ammontare delle risorse disponibili, definizione e applicazione dei criteri selettivi e di premialità), che dovrebbero poter qualificare il ruolo della stessa contrattazione ai fini del miglioramento del servizio pubblico offerto.
L'ultimo punto riguarda gli effetti negativi che l'inefficienza della giustizia civile può produrre sull'economia. Questi sono molteplici e la letteratura ha individuato ed evidenziato empiricamente l'esistenza di numerosi di essi: compromettere la crescita dimensionale, impedire lo sviluppo dei mercati finanziari, distorcere il mercato del credito e quello del prodotto, ostacolare la crescita dell'economia.
Il risultato che emerge dall'analisi contenuta nell'ultimo rapporto ISAE del giugno 2008 è che l'aspetto della regolazione influisce, non meno di quello finanziario, sul ritardo infrastrutturale italiano e in diversi casi è addirittura predominante e che se le principali questioni si annidano in problemi di ipernormazione, confusione normativa, mancanza di chiarezza nelle attribuzioni di responsabilità, le criticità più gravi risiedono nella mancanza di una giustizia efficiente.
A tali inefficienze, infatti, vanno attribuiti lo scostamento tra law in book e law in action, che si riscontra in diversi dei settori analizzati e l'inefficacia delle politiche normative intraprese in passato. Se ordine normativo, regolazione per la trasparenza ed efficienza della giustizia civile appaiono gli ambiti prioritari in cui intervenire per accelerare il recupero del ritardo infrastrutturale, sia materiale che immateriale, il recupero di efficienza della giustizia civile risulta essere propedeutico per il successo di qualsivoglia intervento progettato.
Pertanto, è da valutare molto positivamente l'attenzione dedicata nella manovra a problemi di efficienza della giustizia civile.
La manovra non agisce sulla giustizia utilizzando lo strumento dell'incremento di spesa destinata al settore e, sulla base della nostra analisi, questa scelta è da considerarsi efficiente.
Infatti, pur con tutte le riserve legate alla difficoltà del reperimento di dati e alle differenze tra Paese e Paese, emerge chiaramente, nel confronto internazionale, che l'Italia risulta disporre di un numero di magistrati e di un impiego di risorse finanziarie non inferiore, talvolta superiore, a Paesi che mostrano una performance giudiziaria migliore.
Il problema della lentezza del processo civile, più che nelle pur rilevanti questioni di quantità ed efficiente organizzazione delle risorse impiegate dallo Stato nell'amministrazione della giustizia, risulta essere una questione di incentivi che il sistema normativo produce sui protagonisti della contesa: le parti in causa (cittadini, imprese, PA), gli avvocati e i magistrati.
Le leve su cui agisce l'intervento del Governo sono tre: il conferimento di un maggior potere di controllo ai giudici sulle parti nella gestione del contenzioso, la semplificazione del processo (prevedendo


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alternative esemplificate dell'iter processuale e un uso più ampio dei sistemi informatici), l'introduzione di incentivi al ricorso alla conciliazione come alternativa al processo, prevedendo anche forme sanzionatorie per chi preferisca la via del processo e rifiuti una proposta conciliatoria ragionevole.
L'intento complessivo appare essere quello di ridurre la quota di congestione della giustizia civile connessa agli appesantimenti dei processi, prodotti da complicazione dei riti, abuso di garanzie e tattiche dilatorie delle parti, o sterile litigiosità.
Dalle analisi svolte dall'ISAE emerge che, nell'ordinamento italiano, esistono considerevoli incentivi allo sviluppo della componente patologica della domanda di giustizia civile, che trova espressione proprio nell'utilizzo di tattiche dilatorie nell'ambito del processo.
La disciplina in tema di interessi legali, la normativa sulla rifusione, a carico della parte soccombente, delle spese sostenute per l'assistenza legale dalla parte vincente in giudizio, e la lunghezza dei tempi attesi di risoluzione delle controversie costituiscono variabili determinanti nell'incentivare tali comportamenti opportunistici e quindi nel gonfiare la domanda di giustizia.
L'intervento proposto dal Governo incide su diversi di questi punti e costituisce un primo passo importante verso il miglioramento dell'efficienza della giustizia civile.
Importante sarebbe implementare e integrare questi primi interventi avviati dal Governo con ulteriori forme che riescano a centrare ulteriormente gli obiettivi cruciali per la riduzione dei tempi della giustizia e garantire maggiore successo agli interventi proposti.
Dalle analisi ISAE emerge che il problema della lentezza del processo civile risulta essere una questione di incentivi che il sistema normativo produce sui protagonisti della contesa: le parti, gli avvocati e i magistrati.
La riforma proposta dal Governo agisce prevalentemente sugli incentivi che interessano le parti: utili sarebbero interventi che si affiancassero nell'introdurre incentivi adatti a incidere sull'azione di avvocati e magistrati.
Il recupero di efficienza della giustizia civile richiede, infatti, un'azione coordinata e cooperativa di tutti i protagonisti del processo.
Un elemento importante nella complicazione delle controversie civili deriva dalla combinazione della normativa processualcivilistica italiana, molto garantista, e la formula di remunerazione degli avvocati (stabilita con legge dello Stato).
La formula di determinazione dell'onorario degli avvocati prevede che la parcella del difensore sia legata al numero delle attività svolte nell'ambito del processo. Questo sistema produce non poche distorsioni: tanto più l'avvocato è abile e lavora per ridurre al minimo le procedure per risolvere la contesa, tanto più basso è il compenso. Un disincentivo a semplificare.
Inoltre, poiché l'onorario dipende da quanto il processo si complicherà, all'avvocato non è possibile fornire un preventivo di spesa al cliente, che dunque non può valutare in anticipo se la causa conviene economicamente oppure no.
Un intervento da considerare sarebbe quello di sostituire la formula attuale, a prestazione, con una basata sul forfait (quale quella adottata in Germania). L'avvocato sarebbe fortemente incentivato ad alleggerire i fascicoli e perciò ad abbreviare i tempi dei processi. Il cliente potrebbe disporre di un preventivo e capire in anticipo se la causa gli conviene economicamente oppure no, con il risultato di disincentivare le cause di contenuto giuridico semplice e di valore economico modesto. Il risultato complessivo sarebbe quello di alleggerire e velocizzare la giustizia civile.
Dal lato degli incentivi di comportamento diretti ai magistrati, maggiore accento sui criteri meritocratici nella progressione di carriera dei magistrati sarebbe auspicabile. Le regole di progressione di carriera hanno, tuttavia, effetti rilevanti e inevitabili interazioni con quelle volte ad assicurare l'indipendenza dei magistrati,


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e un equilibrio tra due priorità fondamentali è difficile da realizzare.
Favorire la specializzazione, che è un chiaro sintomo di sviluppo della formazione professionale del magistrato attraverso un processo di apprendimento sul campo, consente di aggirare almeno in parte questo trade-off.
Analisi ISAE evidenziano una relazione positiva tra dimensione degli uffici giudiziari e produttività dei magistrati, legata a fenomeni di specializzazione. Per questo motivo sarebbe importante portare avanti il processo di incentivazione alla specializzazione dei magistrati attraverso una riorganizzazione degli uffici giudiziari che, attraverso accorpamenti di sedi diverse, ne aumenti la dimensione media.
La revisione della geografia giudiziaria è una riforma di non facile attuazione per le resistenze che puntualmente si manifestano quando essa viene proposta.
In realtà, una modifica dell'organizzazione degli uffici giudiziari verso una maggiore efficienza e una maggiore produttività dei magistrati è fattibile senza ledere il diritto al servizio per i cittadini e senza comportare necessariamente grandi spese in spostamenti di personale e ristrutturazione degli uffici.
Con investimenti di maggiore informatizzazione dei tribunali, impliciti nelle novità normative introdotte dal decreto legge e indispensabili per la modernizzazione del Paese, massicci spostamenti e accorpamenti fisici delle diverse sedi potrebbero essere evitati.
Analogo risultato, in termini di efficienza produttiva, potrebbe essere infatti raggiunto specializzando le singole sedi di tribunale all'interno di uno stesso distretto di Corte d'appello: tutte le materie sarebbero coperte all'interno di uno stesso distretto, ma ogni tribunale si curerebbe solo di alcune di esse.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

PRESIDENTE. Grazie, professor Majocchi, soprattutto per l'ultima parte della sua relazione, riferita alla giustizia civile, che credo possa esserci utile.
Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.

ENRICO MORANDO. Signor presidente, svolgo una premessa di pochissimi secondi.
Presidente Majocchi, quello che lei ha chiamato nella sua relazione «ridimensionamento della spesa in conto capitale», addirittura inevitabile secondo lei, a mio parere, nel periodo in questione, è un vero e proprio crollo della spesa in conto capitale. Intendo il termine crollo in senso tecnico, vale a dire che la percentuale rispetto al tendenziale, a legislazione vigente, è enorme. Se vuole, le dico con precisione a quanto ammonta la percentuale. Si tratta di un crollo in senso tecnico, non di un ridimensionamento.
Nel passato, l'ISAE ci ha sempre fornito un dato, solitamente considerato di giudizio di valore. A mio parere, si tratta di un dato che consente di giudicare meglio la manovra, senza per forza associare giudizi di valore a questo elemento.
Vorrei sapere, dunque, se l'ISAE abbia calcolato - come ha fatto in quasi tutte le altre occasioni che ricordo - l'effetto prevedibile sulla crescita della manovra correttiva, così come è al nostro esame, nel periodo interessato.

LINO DUILIO. Vorrei porre alcuni quesiti che hanno a che fare, forse, con qualche elemento di carattere previsivo, quindi inevitabilmente di valutazione.
La prima questione che vorrei sollevare è relativa agli effetti che sono scontati a partire dal 2009, per quanto riguarda gli enti locali (qui peraltro quantificati).
Come lei sa, è previsto che gli enti locali non possano ricorrere a misure alternative, perché con il blocco in questo periodo si rimanda all'adozione di misure che - immagino - sono contenute nel provvedimento sul federalismo fiscale, che però non credo realisticamente potrà essere adottato in poco tempo. Inoltre, siccome il 2009 è alle porte, le chiedo quanto segue.


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Stante il fatto che sono scontati effetti significativi sul 2009, sul 2010 e via dicendo, mentre non si può provvedere con misure come accaduto in passato e che il provvedimento sul federalismo fiscale richiederà fisiologicamente dei tempi non brevissimi, le chiedo se lei non ritenga che ciò possa produrre effetti di un qualche tipo depressivo.
Non pretendo che lei usi questi aggettivi, perché non le chiedo di esprimere valutazioni politiche, ma mi pare che ci siano degli effetti che, quasi in modo deterministico, siano apprezzabili o prevedibili. Se così non fosse, le chiedo la sua opinione in merito.
Ho visto che nel cifrare quella che è prevista essere una misura significativa, che abbiamo cercato di inserire anche noi - parlo dei tagli lineari, il famoso comma 507 -, lei ha scritto in termini piuttosto espliciti che questo aspetto è abbastanza problematico. Lo confermo anche io, perché abbiamo dovuto «ricapitalizzare».
Questo fatto, però, inevitabilmente produrrà delle conseguenze, nel senso che lo possiamo scrivere adesso nel provvedimento.
Se anche sulla scorta di quanto è avvenuto nel passato si ritiene realistico immaginare che questi effetti siano difficili da realizzare, le chiedo se ciò non introduca qualche elemento di dubbio sulle grandezze, rispetto alle quali ci troviamo a fare qualche valutazione.
Ho trovato un rigo nella sua relazione - che le chiedo di commentare meglio - dove si dice che sono da confermare le misure in materia di lotta all'evasione fiscale.
Siccome qualche misura esiste, nei provvedimenti che si stanno varando su questo terreno - mi riferisco all'elenco clienti e fornitori, piuttosto che ad altro -, pur trattandosi di modifiche che fanno riferimento a norme che non scontavano effetti quantificati, ma che si inserivano nell'orientamento di un discorso, chiamiamolo di deterrenza, o comunque di un certo tipo e siccome lei sottolinea l'importanza del mantenimento di misure volte al recupero dell'evasione fiscale, le chiederei un'opinione sulle misure che si stanno varando, relativamente al fatto che non si deve demordere su questo fronte, come lei afferma e come io peraltro condivido.
Da ultimo, vengo al tema della crescita del nostro Paese, che è la vera questione, come sappiamo bene tutti.
Tenendo conto del fatto che vi è una stasi della domanda interna per i beni di consumo e una riduzione per quanto riguarda i beni di investimento, e considerando che il panorama internazionale non volge al meglio, mi chiedo se lei ritenga che alcune misure che erano previste nella finanziaria attuale (finalizzate, sostanzialmente, a sostenere la dinamica della domanda interna, attraverso un incremento del potere di acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e, aggiungo io, oggi, dei pensionati) si debbano riprendere in considerazione.
Ovviamente, si può fare riferimento a questo, ma non vorrei che il tutto venisse qualificato politicamente.
Mi interessa la risposta sul fatto che la domanda sia la via attraverso la quale, in qualche modo, si contribuisce a rialimentare un processo di crescita che, altrimenti, dipende solo da fattori esogeni, che però, purtroppo, sono piuttosto problematici.

LUIGI LUSI. Formulerò solo una domanda sulla giustizia civile, dal momento che i colleghi sono già intervenuti sugli altri argomenti in questione.
Trovo parzialmente contraddittoria, ancorché scientificamente corretta come impostazione, l'affermazione, che francamente mi stupisce, posta alla fine di pagina 18 della relazione, che reca: «La manovra non agisce sulla giustizia utilizzando lo strumento dell'incremento di spesa [...] e questa scelta è da considerarsi efficiente».
In relazione al rapporto con le spese sostenute da altri Paesi, affermate che in Italia abbiamo un numero di magistrati e un impiego di risorse finanziarie non inferiore a quelli di altri Paesi, che tuttavia mostrano una performance giudiziaria migliore.


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In realtà, nelle tre pagine successive, ponete poi l'accento su questioni, in parte condivisibili - per quanto mi riguarda - soprattutto sulla componente dilatoria incentivata dai codici di rito (ricordo, peraltro, che è evidente che il Parlamento, facendoli, esprime una scelta chiara; lo affermo con drammaticità).
Ciò che mi stupisce, presidente, è l'affermazione secondo cui ritenete efficiente non agire sulla spesa.
Nei documenti che il Governo ci sta consegnando registriamo un dato tecnico incredibile: la diminuzione dei consumi intermedi sul Ministero di grazia e giustizia.
Questa mattina il Ministro Tremonti ci ha parlato molto chiaramente di una sorta di autodeterminazione all'interno di ciascun ministero, dove il ministro, ossia «colui che amministra», deve decidere che cosa fare.
In realtà, si taglia, per il 2009, del 22 per cento, per il 2010, del 30 per cento e per il 2011, del 40 per cento. Questi tagli si sommano a un 50 per cento di taglio complessivo, avvenuto dal 2001 al 2006 e - aggiungo, ahimè, per il verbale - a un ulteriore taglio del 25 per cento, sommato, nelle ultime due finanziarie 2007 e 2008.
È difficile sostenere che la somma esponenziale di questi tagli sia da considerarsi, in un giudizio ovviamente di studi, efficiente. Se esiste un problema, esso riguarda esattamente la gestione dei consumi intermedi che sono ciò che non fa funzionare il sistema della giustizia.
Non si tratta di un problema relativo al numero di magistrati. È un problema di capitoli di bilancio che finanziano le spese d'ufficio, l'acqua, la luce, il gas, la cancelleria, le fotocopie, l'assistenza informatica, vale a dire esattamente ciò che non funziona nel sistema giustizia.
Penso, ad esempio, all'impossibilità di fare straordinari, alle aule che chiudono alle 14,30, per cui seppure un magistrato volenteroso - e tutti sanno che i magistrati non percepiscono gli straordinari - intendesse lavorare di più in un'aula, non potrebbe farlo. Oltre a questo, mi riferisco anche a sentenze che vanno in prescrizione per carichi eccessivi e così via.
Col dovuto rispetto, dunque, chiederei una spiegazione sulla coerenza fra il rapporto di efficienza, ovviamente legato al non intervento sulla spesa nel campo della giustizia e le necessarie richieste di intervento modificativo, come riportate nel vostro documento.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Majocchi per la replica.

ALBERTO MAJOCCHI, Presidente dell'ISAE. Vi ringrazio per le vostre osservazioni.
Senatore Morando, non disponiamo della stima per il 2009. Pensiamo di presentare le valutazioni sull'impatto della manovra 2009 nel rapporto che presenteremo in ISAE fra quindici giorni.

ENRICO MORANDO. Il DPEF così chiaro per tre anni non vi ha consentito di fare i conti?

ALBERTO MAJOCCHI, Presidente dell'ISAE. Fare i conti sul retro di una busta è semplice, presentarli in un'audizione parlamentare, è più complesso. Dovrebbero essere maggiormente valutati.
È chiaro che la riduzione della spesa in conto capitale è un elemento che non favorisce di per sé la crescita. Ho ascoltato l'ultima risposta del Governatore Draghi, il quale diceva che, evidentemente, a fronte di una riduzione degli stanziamenti per le spese in conto capitale, la selezione degli investimenti deve diventare, a maggior ragione, ancora più rigorosa.
L'insieme degli effetti di questi contenimenti della domanda pubblica sull'economia vanno valutati e, come le dicevo, faremo questa valutazione nel rapporto di previsione che presentiamo in ISAE fra circa quindici giorni.
Con riferimento al finanziamento degli enti locali, stiamo andando verso un regime di federalismo fiscale. Credo che sia in quella sede che si debbano porre le questioni relative a come vengono risolti i problemi di finanziamento degli enti locali.


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La situazione per il 2008 è chiaramente transitoria. A regime, i due provvedimenti legislativi che accompagnano la manovra finanziaria sono quelli sulle autonomie locali e Roma capitale e sul federalismo fiscale.
Ritengo che sia in quel contesto che debbono essere affrontati i problemi strutturali di finanziamento degli enti locali; mentre quello del 2008 è un problema di trasferimento di risorse, evidentemente, per far fronte alle esigenze di cassa degli enti locali, in una situazione in cui vi è un contenimento delle risorse disponibili.
Per quanto riguarda gli altri elementi che si collegano all'ultima domanda sulla crescita, la riduzione degli stanziamenti per le missioni delle amministrazioni pubbliche, in particolare dei ministeri, è una manovra che è stata impostata anche dal precedente Governo e si inserisce in una linea di continuità. È certo che il risanamento della finanza pubblica passa attraverso questa strada stretta. Non è stato semplice farlo in passato e non lo è quest'anno.
Credo che l'elemento di novità, dal punto di vista strutturale, sia costituito dalla possibilità di modulare all'interno la spesa, attraverso interventi discrezionali da parte dei ministeri. Questo dovrebbe garantire che alla riduzione degli stanziamenti si accompagni una maggiore flessibilità nell'allocazione delle risorse; indicazione che riflette in parte una direttiva che la Presidenza del Consiglio aveva emanato nella precedente legislatura. Quindi, mi sembra che anche questo si inserisca in una linea di continuità.
Per quanto riguarda il contrasto all'evasione, è certamente opportuno il mantenimento delle norme di questa politica. Anche in questo caso, direi che il tema va posto, o si pone, in un contesto in cui il federalismo fiscale cambia la struttura dei rapporti finanziari.
È chiaro che, in una struttura di federalismo fiscale, il ruolo degli enti locali o dei livelli inferiori di Governo nell'accertamento fiscale diventa più invasivo.
Se questo processo si conclude, è chiaro che anche il ruolo che i comuni e gli enti locali avranno nei processi di accertamento e di riscossione dovrà diventare più pertinente.
L'ultima osservazione riguarda la crescita. Nel nostro schema, la crescita è legata soprattutto alle esportazioni nette - come giustamente veniva osservato - da fenomeni esogeni.
Si pone un problema di staticità della domanda interna, sia per quanto riguarda i consumi, che gli investimenti.
Questa mattina, il Ministro faceva cenno al fatto - ed era un elemento emerso nel dibattito culturale di questi giorni - che esiste un problema di sostegno della domanda interna, soprattutto a favore dei redditi più bassi che, in misura maggiore, risentono degli effetti sulla disponibilità di potere d'acquisto legati all'inflazione e al fatto che quest'ultima incide soprattutto sul carburante e sugli alimentari.
Pertanto, credo che sia stata evidenziata dal Ministro, almeno indicativamente, nel suo intervento di questa mattina in Commissione la necessità di introdurre misure fiscali che sollevino i redditi più bassi che hanno maggiore propensione al consumo e che sono maggiormente danneggiati dall'aumento dell'inflazione.
Per quanto riguarda l'ultima domanda sulla giustizia, specifico che il nostro obiettivo non è la riduzione della spesa. Il punto che vogliamo sottolineare è che, secondo una certa ipotesi, per aumentare l'efficienza della giustizia civile - l'obiettivo del discorso che abbiamo presentato in questo intervento è quello di rendere più spediti i processi -, si potrebbero aumentare il numero dei magistrati e le spese destinate alla giustizia.
Secondo il nostro punto di vista, prima di agire su tale leva, è importante operare sul sistema degli incentivi che riguardano le parti del processo civile, quindi l'amministrazione pubblica, i magistrati e gli avvocati.
Non si tratta dunque di un problema legato tanto al numero e alle risorse disponibili per la giustizia, quanto a un sistema di incentivi diverso.


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La questione dei consumi intermedi, che lei richiamava, non rientra nella nostra analisi che, invece, cerca di indirizzare l'attenzione sugli incentivi perversi, più che sul problema della crescita della spesa destinata alla giustizia e sul numero dei magistrati.
Se gli incentivi perversi non venissero eliminati, anche le risorse maggiori destinate al finanziamento della giustizia non produrrebbero risultato e, in questo senso, non sarebbero efficienti, non sarebbero in grado di produrre come risultato un'accelerazione dei tempi del processo.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Majocchi e i suoi collaboratori, rappresentanti dell'ISAE.
Si concludono qui le audizioni concernenti il Documento di programmazione economica e finanziaria. Riprenderemo i nostri lavori sul Documento, come V Commissione della Camera, con la relazione dell'onorevole Toccafondi, prevista per domani mattina alle ore 9.
Credo che nella giornata di domani si esprimerà anche il voto per il mandato al relatore, in quanto in aula l'esame del provvedimento è previsto per lunedì pomeriggio.
Nel ringraziare nuovamente il presidente dell'ISAE, professor Majocchi, per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18,20.

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