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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
5.
Mercoledì 29 ottobre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

Audizione dei rappresentanti della CONSOB, nell'ambito dell'esame, in sede referente, dei disegni di legge C. 1762, di conversione del decreto-legge n. 155 del 2008, recante «Misure urgenti per la stabilità del sistema creditizio nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali» e C. 1774, di conversione del decreto-legge n. 157 del 2008, recante «Ulteriori misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 13 16 18 21 24
Cardia Lamberto, Presidente della Consob ... 2 18 21 23 24
Causi Marco (PD) ... 14
Fluvi Alberto (PD) ... 15 23
Leo Maurizio (PdL) ... 13 17
Messina Ignazio (IdV) ... 17
Pagano Alessandro Saro Alfonso (PdL) ... 16 17
Strizzolo Ivano (PD) ... 14

ALLEGATI:
Allegato 1):
Testo della relazione del presidente della Consob ... 27
Allegato 2):Performance indici borse nel 2008 ... 55
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 29 ottobre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che mediante impianti a circuito chiuso anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti della CONSOB, nell'ambito dell'esame, in sede referente, dei disegni di legge C. 1762, di conversione del decreto-legge n. 155 del 2008, recante «Misure urgenti per la stabilità del sistema creditizio nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali» e C. 1774, di conversione del decreto-legge n. 157 del 2008, recante «Ulteriori misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, dei rappresentanti della CONSOB, nell'ambito dell'esame, in sede referente, dei disegni di legge C. 1762, di conversione del decreto-legge n. 155 del 2008, recante «Misure urgenti per la stabilità del sistema creditizio nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali» e C. 1774, di conversione del decreto-legge n. 157 del 2008, recante «Ulteriori misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio».
Ringraziamo il presidente della CONSOB, Lamberto Cardia, per aver aderito immediatamente alla nostra richiesta di audizione che verte sui due decreti-legge in oggetto. Il presidente è accompagnato dal dottor Antonio Rosati, direttore generale, dall'avvocato Michele Maccarone e dal dottor Claudio Salini, funzionari generali, dal dottor Giovanni Sabatini, responsabile divisione emittenti, dal dottor Manlio Pisu, responsabile ufficio rapporti con la stampa e dal dottor Riccardo Carriero, della divisione studi giuridici e rapporti con il Parlamento.
Do la parola al presidente Cardia per l'esposizione del suo punto di vista.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Ringrazio il presidente e saluto tutti gli onorevoli rappresentanti del Parlamento presenti in questa Commissione.
Se mi è consentito, dato che sono notizie di attualità, vorrei fornire una rapida esposizione delle performance delle borse più importanti e fondamentali, e degli indici di borsa, con le risultanze dal primo di gennaio ad oggi. Se pensate che vi possa essere utile, posso anche lasciarvi la documentazione su questi dati, oltre che il testo integrale della relazione.
Vi informo che il Dow Jones di New York dal primo gennaio al 28 ottobre - oggi la borsa ancora non è aperta - ha perso il 31,66 per cento. Il Nasdaq, che comprende le attività di maggiore qualificazione, ha perso il 37,81 dal primo gennaio ad oggi; Tokyo ha perso il 46,35; Hong Kong il 54,33; Seoul il 48,92; Shanghai il 68,85; Taiwan il 47,06; Mosca il 69,27; Madrid il 44,16; Amsterdam il 50,89; Francoforte il 40,18; Londra il 36,11; Parigi il 40,79; in Italia lo Standard & Poor's, che comprende i 40 titoli più importanti, ha perso il 48,35 e il Mibtel,


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che comprende tutti i titoli, il 47,17. Quindi, i due indici sono sostanzialmente equivalenti.
In termini di risultati, dunque, è una situazione che definirei disastrosa nel mondo, non soltanto in Italia.
Vorrei fare un cenno veloce anche alla giornata di oggi; una giornata positiva per tutti. L'Italia registra il 7,31 per cento di aumento; la Germania lo 0,46 (ma la Germania soffre della vicenda relativa alla Volkswagen che, prima, ha fatto salire tanto e ora sta facendo ridiscendere); la Francia il 6,81; il Regno Unito il 5,10; l'Olanda il 6,62 e la Spagna il 7,33. Oggi, dunque, dopo molte giornate di borsa negative, la situazione appare in recupero generalizzato (ormai le borse si influenzano molto, salvo casi specifici).
Entro, adesso, nel merito del contributo che vorremmo dare. La crisi che stiamo vivendo è, prima di tutto, una crisi di stabilità che colpisce in modo particolare gli intermediari bancari. Le tensioni di liquidità possono compromettere il rifinanziamento delle posizioni in scadenza, generando fenomeni di contagio, e rappresentano la patologia originaria che i Governi mondiali stanno aggredendo per risolvere la crisi. Le decisioni dell'eurogruppo di domenica 12 ottobre hanno trovato, per la prima volta, uniformità di valutazione in questa direzione. Da più partecipanti è stato individuato, nel sostegno statale al mercato interbancario e ad altre forme di raccolta bancaria più a lungo termine, la chiave degli interventi anticrisi, con l'obiettivo di innescare una spirale virtuosa atta a ripristinare la capacità delle banche di assicurare i necessari finanziamenti all'economia reale, prevenendo il rischio di contagio del mondo produttivo.
I provvedimenti assunti dovrebbero favorire il ritorno a condizioni di equilibrio nell'attività di intermediazione creditizia, assicurando che il processo di trasformazione delle scadenze - tipico dell'attività bancaria - non generi crisi di liquidità. L'allungamento delle scadenze degli impieghi, che risponde anche alle necessità di finanziamento delle imprese in una fase non favorevole del ciclo economico, deve infatti trovare un riscontro nell'equilibrato rapporto fra depositi e raccolta obbligazionaria dal lato delle passività. I mercati hanno inizialmente accolto con favore gli interventi.
La profondità della crisi, tuttavia, non ha ancora consentito di ripristinare le normali condizioni di mercato, anche in considerazione della crescente necessità di smobilizzo degli investimenti da parte degli investitori istituzionali, principalmente gli hedge funds, e da parte delle imprese per far fronte alle attività correnti. Molti hanno dovuto vendere le azioni che avevano per ottenere liquidità. La crisi ha determinato un forte aumento dell'avversione al rischio e una tendenza degli investitori a ribilanciare i propri portafogli, accrescendo il peso dei titoli di Stato, degli strumenti più liquidi e a breve termine, tendenza che in prospettiva potrebbe generare potenziali squilibri nella composizione per scadenza della raccolta bancaria e nel rifinanziamento delle obbligazioni bancarie a medio e lungo termine.
Si è determinata una mancanza di fiducia non solo nel nostro Paese, ma anche in tutto il resto del mondo. Quindi l'afflusso di denaro alle banche dal basso, ovvero dai singoli investitori, si è molto ridotto. Ieri il Governatore della Banca d'Italia in sede di Comitato stabilità finanziaria ha detto che questo flusso sta riprendendo: la notizia è molto buona, ma non vi è dubbio che se questo non avviene, si possono determinare squilibri nell'attività delle banche che, mancando di flusso dal basso, devono comunque far fronte alle loro scadenze, nonché al finanziamento sia delle grandi, sia delle piccole imprese.
Il processo di aggiustamento dei portafogli in favore di strumenti più liquidi e meno rischiosi sta avendo un impatto negativo molto rilevante sui mercati azionari. Le esigenze di liquidità del sistema bancario e degli investitori istituzionali si sono tradotte in una operatività anomala sul mercato azionario, unico mercato che


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durante la crisi assicura la possibilità di liquidare posizioni ad un prezzo trasparente.
Le vendite sui mercati azionari sono strumenti per creare nicchie di liquidità e per escussioni più o meno formali di garanzie precedentemente rilasciate. Il perdurare della crisi sta alimentando un circolo vizioso che si riflette negli andamenti sempre più negativi delle borse mondiali. La notizia del fallimento della Lehman Brothers, diffusa il 15 settembre, è stato uno degli elementi scatenanti della forte reazione negativa dei mercati borsistici e comunque l'evento che ha avuto un impatto radicale sulla dinamica al ribasso dei corsi azionari e sulla fiducia degli investitori, colpiti dalla decisione delle autorità americane di lasciar fallire una banca di dimensioni significative e con una forte operatività internazionale. Si deve sottolineare che il default di una grande banca di investimento quale la Lehman Brothers è il risultato di una decisione delle autorità americane che ha segnato un radicale cambiamento di strategia rispetto alla condotta tenuta nei mesi precedenti; infatti, prima, erano stati supportati gli istituti di credito.
Se da un lato i numerosi salvataggi di grandi intermediari americani che si erano succeduti fino ad allora potevano aver indotto alcuni operatori a sottovalutare il rischio di fallimento, d'altro canto, si deve evidenziare che fino al giorno stesso della dichiarazione di insolvenza, Lehman Brothers aveva un rating molto elevato, superiore alla soglia del cosiddetto investment grade. Quello del rating, come è noto, sta diventando un problema fondamentale, di cui non solo il nostro Paese - perché non è un problema di un Paese singolo - ma tutto il mondo, o perlomeno coloro che operano nel mondo della finanza, non possono non tener conto. A questo proposito, ci sono anche dei forti impegni da parte delle istituzioni internazionali, in particolare della Iosco e ora anche del Committee of European Securities Regulators (CESR). La Iosco raccoglie tutti i presidenti delle CONSOB mondiali, mentre il CESR raccoglie i presidenti dei ventisette Paesi dell'Unione europea.
Il default del gruppo Lehman ha avuto, dunque, un forte effetto segnaletico sui mercati, innescando una discesa dei corsi azionari, amplificata anche dalle tensioni che tale default ha determinato sul mercato del Credit default swap. Nelle ultime settimane alcuni mercati finanziari hanno avuto temporanei andamenti positivi, grazie agli interventi pubblici disposti a livello internazionale e nazionale: in particolare, l'azione congiunta delle banche centrali, le limitazioni introdotte sulle vendite allo scoperto in vari Paesi e i piani di sostegno annunziati da numerosi Governi.
Permangono, però, due elementi negativi: la generale revisione al ribasso dei tassi di crescita dell'economia reale e l'estensione della crisi a Paesi emergenti nonché ad alcune economie minori. Si tratta, quindi, di un espandersi di questa crisi.
Il deflusso registrato dal risparmio gestito appare un ulteriore elemento di debolezza. A tal fine si evidenzia, relativamente ai soli fondi specializzati nel comparto azionario, un deflusso pari a 91,6 miliardi di euro dall'inizio del 2008 ad oggi. Ben 91,6 miliardi di euro hanno abbandonato i fondi!
La crisi ha avuto gli effetti più intensi nei settori finanziari. Dall'inizio dell'anno fino al 28 ottobre, cioè fino a ieri, l'andamento del settore bancario è risultato particolarmente negativo (meno 38,4 per cento negli USA, meno 63,0 per cento nei Paesi europei e meno 58,4 per cento in Italia). L'indice delle principali banche di investimento americane ha subìto una contrazione di circa il 67 per cento, mentre quello relativo alle banche commerciali ha perso il 25 per cento.
In maniera ugualmente grave è stato colpito il settore assicurativo: 61 per cento negli USA; 59,2 per cento in Europa; 41,2 per cento in Italia, dove la situazione assicurativa, pur nella sua dimensione di gravità, appare comunque meno grave rispetto agli altri Paesi.
Relativamente al mercato italiano, il titolo bancario più colpito dalla crisi risulta


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Unicredito, che ha perso ben il 73 per cento dall'inizio dell'anno. Intesa San Paolo e Monte dei Paschi hanno perso poco meno del 60 per cento del loro valore, risultato che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile.
La crisi ha contagiato anche il settore non finanziario. La riduzione dei corsi per le principali blue chip industriali è stata di entità simile a quelle rilevate nel settore bancario. Ciò è da ascrivere alla necessità dei fondi di far fronte ai riscatti e, in generale, degli investitori di ridurre le proprie posizioni di indebitamento, vendendo asset liquidi anche in settori diversi rispetto a quelli direttamente colpiti dalla crisi.
La situazione di difficoltà delle banche e la mancanza di fiducia, hanno poi creato aspettative di restrizioni nell'offerta del credito e di riduzione della crescita degli utili societari.
In una tabella allegata alla relazione, viene esplicitato che Unicredito, come ho detto, ha perso il 73 per cento, San Paolo il 60 per cento, Monte dei Paschi il 56 per cento, il Banco Popolare il 48 per cento, UBI Banca il 42 per cento, Mediobanca il 40 per cento.
Per quanto riguarda, invece, le società non finanziarie, quindi non bancarie, la FIAT ha perso il 63,6 per cento, la Telecom il 57,6 per cento, Finmeccanica il 54 per cento, la Saipem il 54 per cento, l'Edison il 47 per cento, l'ENI il 34 per cento e l'ENEL il 34 per cento. Queste ultime potrebbero apparire sorprese, data la solidità delle compagnie e l'importanza delle attività svolte.
Luxottica ha perso il 28 per cento, Terna l'8,40 per cento e la SNAM il 7,30 per cento. Quest'ultima, ottenendo molte commesse all'estero, ha beneficiato di un apprezzamento notevole.
La CONSOB, come le altre autorità di vigilanza sulla trasparenza e sulla correttezza del mercato, ha adottato ogni possibile iniziativa di propria competenza. L'istituto è intervenuto con provvedimenti progressivamente più restrittivi, culminati nel divieto di vendita allo scoperto di tutti i titoli quotati. In particolare, siamo intervenuti il 19 e il 22 settembre, il 1o e il 10 ottobre. Nella relazione, in nota, sono descritti con puntualità i contenuti degli interventi.
L'intervento della CONSOB, inizialmente in linea con quello adottato dalle altre autorità europee, ha successivamente assunto una portata sempre più ampia sia sotto il profilo delle condotte vietate, giungendo a vietare qualsiasi tipo di vendita allo scoperto anche se assistita da operazioni di prestito titoli, sia sotto il profilo dei titoli interessati (dai soli titoli del settore finanziario, il provvedimento è stato esteso ai titoli di tutto il listino).
Si deve sottolineare che si tratta di un provvedimento che ha potuto contribuire a contrastare pressioni ribassiste, ma che non può essere considerato di per sé risolutivo.
Inoltre, la vigilanza sul rispetto di tali provvedimenti risulta particolarmente complessa nei confronti di intermediari esteri che generano oltre la metà degli scambi sul nostro mercato azionario e postula un'attiva e tempestiva cooperazione da parte dell'autorità di vigilanza degli altri Paesi, cooperazione che, peraltro, la CONSOB ha prontamente attivato.
Provvedimenti di tale natura si giustificano in circostanze eccezionali, quali quelle che i mercati stanno affrontando. Le vendite allo scoperto svolgono, infatti, normalmente funzioni positive tra cui l'agevolazione del meccanismo di formazione dei prezzi, il contenimento di bolle speculative a rialzo, l'accrescimento della liquidità disponibile.
La data di scadenza dei provvedimenti restrittivi progressivamente adottati dalla CONSOB è fissata al 31 ottobre prossimo. Avremmo potuto decidere ieri sera se prorogare o meno il termine, ma per riguardo al Parlamento e a questa audizione dalla quale potrebbero venire valutazioni o ipotesi diverse che la CONSOB prenderebbe in adeguata considerazione, solo questa sera o domani convocheremo una nuova riunione di commissione per affrontare questa scadenza che, comunque, non pare immaginabile che termini il 31 ottobre stesso.


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L'esperienza maturata dimostra che i provvedimenti regolamentari di tal genere, per essere pienamente efficaci e per evitare la possibilità di arbitraggi regolamentari e la concentrazione di pressioni speculative sulle piazze finanziarie che adottano un approccio più liberista, necessitano di un massimo coordinamento sul piano internazionale e di una integrale e univoca applicazione da parte di tutti.
Devo dire che il coordinamento sul piano internazionale certe volte è ottimo, certe volte mediocre, certe volte quasi nullo. Noi a volte possiamo ottenere risultanze nel giro di 48 ore o anche meno, avendo contatti molto buoni specialmente al massimo livello con le autorità di vigilanza. In altri casi, le risposte possono essere molto lente e potrebbero anche essere interpretate come una scarsa volontà di collaborazione.
Per questo motivo, è stata fissata per oggi, 29 ottobre, una riunione della Task Force Short Selling costituita dal CESR per coordinare, nei limiti consentiti dalle regole vigenti, gli interventi delle autorità di vigilanza in materia di vendita allo scoperto, anche allo scopo di assoggettare alle misure adottate le attività transfrontaliere che potrebbero sfruttare margini di elusione.
La CONSOB è stata una di quelle che ha insistito e ottenuto di fissare entro il mese una riunione di tutte le autorità dell'Unione europea per valutare l'adozione di misure comuni, onde evitare che differenze nella regolamentazione dirottassero l'operatività verso Paesi più permissivi. La materia è anche all'attenzione della Iosco, comprendente come ho detto, tutte le autorità indipendenti di vigilanza esistenti nel mondo, che ha assicurato una costante condivisione delle informazioni anche attraverso contatti telefonici fra le autorità di vigilanza dei principali mercati mondiali. Analogamente, un forte coordinamento, almeno a livello europeo, è necessario per valutare eventuali ulteriori provvedimenti che incidano efficacemente sull'operatività dei mercati.
Nell'intento di evitare difficoltà operative lo scorso 9 ottobre Borsa Italiana e London Stock Exchange, tenendo conto delle esigenze rappresentate dalla CONSOB anche sulla base di indicazioni provenienti dalle associazioni di intermediari, hanno rinviato al 10 novembre prossimo la migrazione dei mercati italiani sulla piattaforma inglese. È previsto, infatti, che a seguito della fusione della Borsa Italiana nel London Stock Exchange la piattaforma si trasferisca sostanzialmente a Londra. Abbiamo insistito - sia pure con un forte impegno che alla fine ha trovato comprensione - sul fatto che trasferire in un momento di tale «effervescenza» la piattaforma da Milano a Londra avrebbe potuto creare disfunzioni aggiungendo ulteriori difficoltà alla crisi già in essere.
La decisione di questo rinvio è da ricondurre all'inopportunità di cambiamenti organizzativi di notevole portata nelle attuali difficili condizioni di mercato. Devo dire che qualche giorno fa il presidente della London Stock Exchange, la signora Furse - che insiste affinché il trasferimento avvenga e non subisca ulteriori ritardi - ha chiesto di incontrarmi a Milano (l'incontro è stato fissato per il giorno 5 alle ore 15).
Le istituzioni europee che hanno perseguito in modo efficace l'integrazione e la liberalizzazione nelle fasi positive dell'economia stanno cercando una linea comune per la gestione di una crisi che inizialmente ha privilegiato interessi e soluzioni in un'ottica solo nazionale.
Con le determinazioni collegiali assunte domenica 12 ottobre a Parigi, a cui facevo riferimento prima, sembra aver avuto inizio una nuova consapevolezza europea, e speriamo mondiale, sulla necessità di una azione unitaria e coesa per affrontare i problemi di natura globale. Ai risparmiatori europei, in particolare, devono essere assicurati livelli di tutela equivalenti, soprattutto considerando che in alcuni mercati, tra questi quello italiano, i piccoli investitori sono stati sollecitati ad impieghi in prodotti ingegnerizzati e in gran parte distribuiti dall'estero. In altre parole, nel nostro mercato ci sono prodotti che provengono dall'estero e, quindi, se non c'è


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una normativa di controllo equivalente sugli stessi, l'Italia si può trovare in difficoltà maggiori.
Il decreto-legge n. 155 del 9 ottobre 2008 prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze rilasci una garanzia statale in favore dei depositanti delle banche italiane per un periodo di 36 mesi e possa partecipare ad operazioni di ricapitalizzazione delle banche che si trovino in una situazione di inadeguatezza patrimoniale. Il successivo decreto-legge n. 157 del 13 ottobre - come è ben noto a chi mi ascolta -, tutela invece la liquidità delle banche e le loro operazioni di finanziamento attraverso disposizioni che autorizzano il Ministero dell'economia e delle finanze a concedere garanzie sulle nuove passività delle banche con durata fino a cinque anni; ad effettuare scambi fra titoli di Stato e passività delle banche italiane; a concedere garanzie sul prestito titoli effettuato tra banche, e tra banche e soggetti privati istituzionali. Inoltre, seguendo una direzione analoga a quella del Ministero dell'economia e delle finanze, la Banca d'Italia ha adottato un provvedimento che consentirà alle banche di effettuare uno swap delle loro attività con titoli ad elevato rating detenuti dalla Banca d'Italia.
La tempestiva operatività degli strumenti disposti consentirà al nostro Paese di fronteggiare situazioni critiche degli operatori bancari, o almeno questa è l'aspettativa.
L'esigenza di revisione dell'interpretazione delle regole contabili del fair value nasce dalla constatazione che nelle attuali condizioni di mercato si possano determinare eccezionali svalutazioni dell'attivo e rilevanti perdite in conto economico. Negli Stati Uniti la SEC e il Financial accounting standard board hanno fornito linee guida per una più corretta applicazione del principio del fair value in presenza di turbolenze di mercato e di scarsa liquidità, chiarendo le modalità di utilizzo dei modelli interni di valutazione, in luogo dei prezzi di mercato.
Inoltre l'International accounting standard board, già il 13 ottobre, ha approvato una modifica al principio contabile IAS 39 con il quale si consente di non valutare al fair value gli strumenti finanziari in portafoglio, ad eccezione dei derivati, qualora la società non intenda negoziarli nel breve termine.
A seguito anche delle indicazioni formulate in sede Ecofin il 7 ottobre, la Commissione europea sin dal 15 ottobre ha recepito nell'ordinamento europeo la modifica apportata allo IAS 39, consentendo di allineare i princìpi contabili internazionali a quelli americani già dalla prossima rendicontazione trimestrale. Quindi noi, nella trimestrale che deve essere stilata con riferimento al 30 settembre, ma che sarà data entro l'anno, troveremo minori difficoltà da parte delle banche che si sarebbero potute trovare in svalutazioni rilevantissime, applicando questo principio.
Secondo la nuova formulazione, alcuni strumenti finanziari diversi dai derivati potranno in determinate circostanze essere valutati al costo, invece che al fair value. La differenza tra costo e fair value è fondamentale, perché una persona può acquistare un bene o azione a un dato costo e, in una vicenda come questa in cui si perde il 60 per cento in un breve periodo, dovrebbe mettere in bilancio una perdita del 60 per cento rispetto al costo, cifra che peraltro potrebbe non corrispondere veramente al valore del bene.
Per gli strumenti finanziari non rientranti nelle citate modifiche e per i quali continuerà ad applicarsi il fair value, andranno comunque elaborate al più presto linee applicative che tengano conto delle attuali condizioni di mercato. In attesa di direttive internazionali, la CONSOB, in collaborazione con Banca d'Italia e ISVAP, è impegnata a fornire indicazioni agli emittenti.
Si deve in ogni caso rilevare che una diversa applicazione della regola non modifica la qualità complessiva degli attivi e la capacità delle banche di far fronte alle tensioni di liquidità.
Nelle circostanze attuali, si è ritenuto opportuno segnalare ipotesi di strumenti che consentano di conoscere tempestivamente


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modifiche nell'azionariato delle società quotate. Potrebbero essere valutate iniziative di carattere legislativo per affidare alla CONSOB il compito di stabilire, sulla base di criteri oggettivi e per un limitato periodo di tempo, le società per le quali abbassare fino all'1 per cento la soglia di rilevanza per la comunicazione attualmente stabilita per legge al 2 per cento. L'ambito di tale modifica compatibile con una normativa comunitaria è d'uopo che sia circoscritto in presenza di vicende di particolare rilievo e per periodi predeterminati.
Oggi in Italia una norma stabilisce che chiunque acquisti una partecipazione azionaria di società quotate superiore al 2 per cento la debba dichiarare, così come la deve dichiarare in occasione del superamento di soglie superiori prefissate. Si è constatato che, a volte, acquisti dell'1,99 non vengono dichiarati al mercato, ma possono essere compiuti da più soggetti. Per ipotesi, dieci soggetti che acquisiscano l'1,99 possono acquisire il 19,90 di un'impresa magari anche di grande rilevanza strategica.
Lanciare un'Opa su questa impresa o comunque avere una posizione di forte rilevanza con il 20 per cento può avvenire senza che la CONSOB ne sia a conoscenza perché non viene segnalata una partecipazione dell' 1,99 per cento in quanto non è richiesto dalla legge. La CONSOB, anche se ne fosse a conoscenza in virtù di attività di vigilanza svolta, non potrebbe costringere i soggetti proprietari a renderlo noto al mercato.
Se si riterrà di valutare positivamente che la CONSOB possa essere autorizzata - per periodi predeterminati e di fronte a circostante particolari - a chiedere alle società magari più rilevanti di comunicare al mercato gli acquisti anche solo superiori all'1 per cento, si avrebbe maggiore cognizione dei movimenti che si verificano sul mercato. Questo, a mio personale parere, avrebbe solo effetti positivi, senza recare danno ad alcuno. In tal caso vi sarebbe solo l'onere di comunicare l'1 per cento, ma si tratta di un comunicato molto semplice che tutte le società quotate sono abituate a fare.
Per quanto riguarda le misure di difesa contro scalate ostili, va detto che l'attuale situazione del mercato ha fatto emergere nuove preoccupazioni sull'esposizione di società quotate a tentativi di acquisizioni ostili.
Elevate sono infatti le limitazioni, attualmente imposte dalla normativa nazionale, alla capacità di difesa delle società, limitazioni legittime e giustificate in contesti ordinari di mercato diversi da quelli attuali.
Il legislatore italiano, nel recepire la direttiva comunitaria, e la CONSOB, nell'adottare la relativa disciplina regolamentare, hanno optato per la massima apertura dei mercati, scegliendo di mantenere l'obbligatorietà dell'approvazione assembleare per l'adozione di strumenti di difesa e stabilendo, altresì, a tal fine un quorum del 30 per cento non richiesto dalla direttiva.
È stata inoltre resa obbligatoria la regola che neutralizza le misure di difesa preventiva quale il limite statutario al diritto di voto, o diritti speciali in materia di nomina o revoca degli amministratori.
Queste scelte possono essere rimeditate per agevolare eventuali difese a fronte dei tentativi di acquisizione delle principali società italiane ed allineare il nostro Paese agli orientamenti prevalenti nei principali ordinamenti europei che consentono maggiore libertà alle singole società nel definire il grado di apertura dei propri assetti proprietari.
In particolare, si potrebbe valutare l'opportunità di eliminare l'attuale imperatività delle norme in materia di tecniche di difesa e di neutralizzazione, consentendo alle società scelte statutarie in tutto o in parte diverse.
Mi spiego: quando è stata adottata la direttiva europea sull'Opa, questa non è stata tra le più felici, poiché è stata adottata in fretta e ha consentito diverse modalità di recepimento. Alcuni Paesi l'hanno recepita in modo meno restrittivo, altri l'hanno recepita in modo più restrittivo.


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L'Italia l'ha recepita, anche con il contributo della CONSOB, nel modo meno restrittivo possibile. Siamo in un libero mercato, si era detto, manteniamoci nel libero mercato.
Si è, però, verificato che in certi Paesi - credo che l'ENEL e altre società l'abbiano sperimentato - quando le nostre società hanno tentato di promuovere un'Opa in società estere, hanno incontrato una serie di difficoltà, a seguito di interventi stabiliti dal Consiglio di amministrazione, aumenti di capitale, cessione di cespiti, e si sono trovate in una situazione in cui non hanno potuto portare avanti l'Opa.
Allo stato attuale, qualsiasi Paese che può venire da noi trova, per come è stata attuata la direttiva, la possibilità di agire facilmente. Solo attraverso una delibera dell'assemblea si possono autorizzare tecniche di difesa. Tuttavia, per ottenere la delibera dell'assemblea, occorrono tempi lunghi e la partecipazione all'assemblea spesso non consente nemmeno di raggiungere il quorum costitutivo; quindi, la difficoltà di una difesa in Italia è notevole.
Oggi, considerando il basso livello delle quotazioni di cui ho letto prima alcuni esempi, Opa organizzate da soggetti aventi liquidità potrebbero trovare una facilità di attuazione e ciò, dal mio punto di vista, potrebbe recare danni al sistema-paese. Alcune delle nostre grandi società sono tutelate da partecipazioni pubbliche, ma altre sono invece aperte al mercato. È mia opinione personale che consentire un restringimento di questa apertura al mercato, sempre nell'ambito di quanto consente la direttiva sull'Opa, sia di interesse del Paese e non sia di danno.
Gli interventi volti ad incidere sulle cause strutturali della crisi attraverso profonde modifiche normative dell'assetto istituzionale dei sistemi di vigilanza richiedono inevitabilmente tempi meno brevi. In alcune aree si ritiene necessario introdurre norme più stringenti e armonizzate, privilegiando approcci e modelli di vigilanza che contengano gli effetti potenzialmente destabilizzanti dell'innovazione finanziaria.
La presente crisi ha tratto origine dallo sviluppo di un mercato internazionale su prodotti innovativi caratterizzato dall'assoluta opacità della situazione degli intermediari in esso operanti, della loro operatività (utilizzo della leva finanziaria) e della natura dei prodotti scambiati. Sono mancate alcune regole di trasparenza e stabilità che presidiano il funzionamento dei mercati; ne è derivata una fragilità e un'esposizione al contagio soprattutto attraverso l'attività delle banche di investimento e dei fondi speculativi.
È necessario, quindi, intervenire con iniziative concertate a livello globale per aumentare la trasparenza dei mercati primari e secondari dei prodotti strutturati, e assicurare maggiore informazione sull'effettiva distribuzione del rischio fra gli operatori e sui loro modelli di gestione dei rischi. Funzionali a tali obiettivi sono anche gli interventi in materia di agenzie di rating, informativa continua sugli emittenti dei prodotti strutturati, sviluppo di regole di trasparenza sui mercati di scambio di vari prodotti, regole da rendere uniformi a livello globale e da tutti integralmente attuate.
Istituzioni europee di vigilanza hanno da tempo avviato un intenso dibattito sull'opportunità di introdurre una regolamentazione pubblica delle agenzie di rating, che è assolutamente indispensabile. Nel maggio 2008 la Iosco ha, peraltro, approvato modifiche al codice di condotta delle agenzie di rating per rafforzare le raccomandazioni in materia di qualità e integrità del processo di rating, con particolare riguardo all'aggiornamento dei giudizi espressi: indipendenza e conflitti di interesse, anche relativamente al sistema di remunerazione dei dipendenti e ai servizi accessori prestati agli emittenti; trasparenza delle modalità di assegnazione, e revisione del rating nei confronti degli investitori e degli emittenti. I lavori della task force Iosco proseguono per la verifica del grado di aderenza le nuove raccomandazioni.
La presentazione da parte della Commissione europea di una proposta di direttiva o di regolamento, sui cui contenuti


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il CESR ha espresso il proprio parere tecnico, è ormai imminente essendo terminata la fase della consultazione. Si auspica che il provvedimento sottoposto alla procedura di codecisione del Parlamento e del Consiglio venga adottato al più presto; mi sembra che in proposito i tempi siano ormai maturi.
È importante che le istituzioni europee sviluppino iniziative già annunciate quali quelle sull'estensione delle norme di trasparenza e correttezza ai prodotti finanziari non tradizionali; si pensi ai prodotti assicurativo-finanziari, allo stato non regolati a livello europeo. Anche le disposizioni che regolano le transazioni fra investitori qualificati meritano una revisione. Pur condividendo l'obiettivo di non introdurre regole eccessive, tenendo sempre presente l'esigenza di considerare con la massima cautela ogni aggravio dei costi, è opportuno che le transazioni su questo mercato rispettino i princìpi generali in materia di conflitti di interesse, di informazione minima e di correttezza.
Il settore dei gestori collettivi merita anch'esso una pronta revisione. In sede europea l'armonizzazione riguarda solo il limitato settore dei gestori di fondi aperti commercializzati agli investitori al dettaglio. I recenti avvenimenti sollecitano una riflessione sull'opportunità di assoggettare i fondi hedge o speculativi a vigilanza, considerato il peso che hanno assunto sui mercati del credito e dei titoli e i potenziali rischi sistemici che ne derivano.
Le strategie degli hedge funds, spesso convergenti e direzionali, utilizzano ampiamente la leva finanziaria e determinano pressioni sul management delle società partecipate per massimizzare i risultati di breve periodo. Gli investitori che hanno accesso a tali fondi speculativi hanno spesso natura istituzionale o disponibilità finanziarie ingenti. Ne è derivato, nella maggior parte dei mercati, un approccio regolamentare poco o nulla pervasivo, nel presupposto che tali investitori disponessero per loro natura di strumenti o incentivi adeguati alla valutazione dei rischi.
L'esigenza di una adeguata cornice normativa è ancora più forte in un contesto nel quale tra i sottoscrittori degli hedge funds figurino fondi pensione e altri investitori istituzionali che raccolgono risparmi anche di piccoli investitori. Sono quindi maturi i tempi per l'adozione di misure concordate a livello internazionale in materia di trasparenza, controllo dei rischi e regole di comportamento.
I fondi sovrani, costituiti da Governi o autorità monetarie nazionali e alimentati con risorse pubbliche, stanno assumendo un'importanza crescente. A partire dal 2007 l'aumento del prezzo delle materie prime e la svalutazione del dollaro hanno indotto molti fondi sovrani a notevoli investimenti in titoli azionari non denominati in dollari. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, le risorse gestite globalmente da tali fondi si attestano fra i duemila e i tremila miliardi di dollari.
Circa il 90 per cento dell'ammontare complessivo degli asset dei fondi sovrani risulta concentrato su 11 fondi, molti dei quali con sede in Paesi mediorientali. Occorre valutare quale «potere di attacco» e quale massa di danaro manovrabile esiste.
Fonte di timori è l'assenza di trasparenza dei fondi sovrani, unita alla possibilità che le loro strategie di investimento non perseguano obiettivi di natura esclusivamente economica, ma anche obiettivi di natura politico-industriale. Ad esempio, si può far convergenza su società che hanno brevetti di particolare valore per cui, acquistando quelle società, ci si impadronisce di quei brevetti, e mi limito a parlare di obiettivi di natura industriale.
A livello internazionale si registra un'ampia convergenza sulla necessità di un rafforzamento della trasparenza, soprattutto relativamente agli obiettivi di investimento perseguiti da questi fondi. Il 16 settembre il comitato tecnico Iosco ha istituito una task force sui fondi sovrani, a cui la CONSOB partecipa, per approfondire il tema non meno importante della possibilità di esercitare un'adeguata vigilanza su strani soggetti e di ottenere una necessaria cooperazione in caso di violazione delle regole. Appare, quindi, diffusa


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la preoccupazione circa l'opportunità di monitorare la trasparenza della partecipazione di fondi sovrani in società nazionali. È uno dei punti di maggior preoccupazione.
L'attuale crisi di liquidità bancaria può tradursi in un maggior ricorso alla raccolta obbligazionaria sia per fronteggiare la riduzione dei depositi, sia per i rifinanziare i prestiti obbligazionari in scadenza. Si consideri che nel biennio 2009-2010 vengono in scadenza obbligazioni dei principali gruppi bancari per oltre 200 miliardi di euro. Da oggi a fine 2009 circa 114 miliardi di euro. Questo è un punto di grandissima rilevanza, perché significa che entro il 31 dicembre dell'anno prossimo le banche devono far fronte a 114 miliardi di euro di obbligazioni in scadenza. Nell'anno successivo si parla, in totale, di 200 miliardi di euro.
Si possono registrare maggiori incentivi al collocamento di tali emissioni presso la clientela al dettaglio, che avviene a costi di norma inferiori a quelli richiesti da altri investitori istituzionali che esigono più alti premi per il rischio assunto. Vi sono, per la banca, rischi concreti di insorgenza di conflitti di interesse sia rispetto all'attività di gestione, sia rispetto all'attività di consulenza. Non c'è dubbio che il sistema bancario dovrà recepire il più possibile introiti per far fronte sia alle scadenze, sia al finanziamento delle grandi imprese, sia al finanziamento di piccole e medie imprese, sia alla rotazione del circolante. Tutto questo può spingere ad emettere obbligazioni nelle quali o il tasso di interesse non è elevato - ma poi sta ai singoli investitori decidere se investire e potrebbero non farlo - oppure la trasparenza potrebbe non essere assolutamente soddisfatta. In questo caso il rischio farebbe capo a colui che viene ad acquistare l'obbligazione.
La necessità di stabilizzare la raccolta e contenerne il costo potrebbe, inoltre, orientare le banche a collocare obbligazioni subordinate e prodotti ibridi poco adatti - per profili di rischiosità e complessità - ad investitori al dettaglio. Occorre individuare un punto di equilibrio fra le istanze di stabilità degli intermediari e quelle di trasparenza e correttezza del loro comportamento nei confronti della clientela. Le due segnalate istanze godono entrambe di tutela costituzionale. Tale fenomeno deve, quindi, avvenire in un quadro di compatibilità con le vigenti regole di correttezza, sulle quali si continuerà a vigilare con ogni impegno, che richiedono agli intermediari di operare - anche quando distribuiscono al pubblico obbligazioni di propria emissione - nel miglior interesse del cliente. Questo è un punto fondamentale.
In questa direzione si era già mossa la CONSOB che, nonostante alcune reazioni critiche degli operatori, ha in fase di emanazione delle linee guida sul comportamento degli intermediari nella distribuzione di prodotti illiquidi, sulla base di indirizzi sottoposti a consultazione. Il documento in consultazione individua puntualmente l'articolazione dei doveri generali di condotta degli intermediari, in caso di vendita di prodotti finanziari illiquidi, con particolare ed espresso riferimento a polizze assicurative, derivati over the counter e su obbligazioni bancarie.
Le obbligazioni bancarie sono, infatti, di norma non quotate nei mercati regolamentati e difficilmente liquidabili a condizioni corrette di prezzo da parte del cliente. Il documento richiama l'attenzione degli intermediari nella direzione della piena trasparenza ai clienti dell'offerta di tali prodotti; della correttezza nelle politiche di offerta, specie attraverso un efficace, oggettivo e ricostruibile pricing delle emissioni; delle valutazioni di adeguatezza del prodotto finanziario rispetto all'orizzonte temporale del cliente sottoscrittore.
Accanto alle regole volte a prevenire comportamenti che danneggiano gli investitori, esistono nel nostro ordinamento alcuni istituti che intervengono ex post a ristorare i risparmiatori dei danni subiti. La Camera di conciliazione e arbitrato, istituita presso la CONSOB dal decreto legislativo n. 179 del 2007, amministra la risoluzione delle controversie tra investitori


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e intermediari per la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza.
Il 30 settembre è terminata la consultazione sul regolamento CONSOB disciplinante l'organizzazione e il funzionamento di questa Camera. Le norme definitive sono in fase di emanazione nel rispetto del termine di legge (14 novembre, quindi fra circa quindici giorni). Il sistema diventerà, però, operativo a partire dal 2009.
Sono previsti altri strumenti di tutela nel settore dei servizi di investimento articolati su tre fondi diversi la cui consistenza e i cui limiti di intervento appaiono poco adeguati, specie in presenza di situazioni particolarmente gravi.
Esiste, infatti, il fondo nazionale di garanzia, cioè il sistema di indennizzo previsto dall'ordinamento europeo e disciplinato dall'articolo 59 del TUF. È operativo da diversi anni e interviene in caso di fallimento, o procedure concorsuali, di intermediari nazionali o di succursali italiane di intermediari extracomunitari. Le succursali italiane di intermediari comunitari rispondono, di norma, con l'analogo sistema previsto nel Paese di origine.
Il fondo indennizza gli investitori per crediti riconosciuti in via definitiva dagli organi della procedura concorsuale, ma non superiori a ventimila euro di importo. Il fondo è alimentato con i contributi degli intermediari che sono tenuti ad aderirvi.
Esiste poi il fondo per la gestione depositi dormienti, non ancora operativo. Tale fondo - ho letto che può avere disponibilità per circa due miliardi di euro, ma non mi pronuncio su una dimensione che non conosco - può indennizzare i risparmiatori vittime di frodi finanziarie che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito.
Ai benefici del fondo sono ammessi anche i risparmiatori danneggiati in conseguenza del default dei titoli obbligazionari della Repubblica argentina.
Il fondo, come è noto, è alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario, nonché del comparto assicurativo e finanziario.
L'operatività del fondo è stata di recente estesa ad altri settori di intervento; in particolare, al finanziamento della Carta acquisti a favore dei cittadini in condizioni di disagio economico e ai piccoli azionisti, ovvero obbligazionisti di Alitalia che non abbiano esercitato l'eventuale diritto di opzione avente ad oggetto la conversione in azioni di nuove società.
È un fondo che potrebbe avere una grande potenzialità, ma dovrebbe avere una regolamentazione, che certamente avverrà, e una disponibilità di mezzi che allo stato non è dato conoscere.
Il cosiddetto fondo di garanzia della CONSOB interverrà invece per indennizzare il danno patrimoniale - accertato con sentenza passata in giudicato o con lodo arbitrale non più impugnabile - causato all'investitore dalla violazione da parte dell'intermediario di norme di correttezza.
Il fondo è alimentato con il versamento della metà degli importi delle sanzioni irrogate agli intermediari per la violazione di tali norme (gli importi sulle sanzioni irrogate dalla CONSOB per violazione di norme di correttezza da parte degli intermediari sono stati di 2,6 milioni di euro nel 2007 e 2,9 milioni di euro nel 2008).
La CONSOB sta definendo, come previsto dalla legge, le norme secondarie per il funzionamento del fondo. È previsto che anche questo fondo divenga operativo a partire dal 2009.
Le dotazioni del fondo per la gestione depositi dormienti e del fondo di garanzia della CONSOB appaiono non adeguate a fronteggiare situazione di crisi generalizzata o sovranazionale del sistema dell'intermediazione finanziaria, intervenendo, tra l'altro, solo nei rapporti degli investitori con soggetti nazionali.
Apprezzamento meritano in ogni caso le iniziative già annunciate da alcuni gruppi finanziari e dalle associazioni di categoria di assistere gli investitori, contenendo gli effetti negativi cui sono risultati esposti. È un atteggiamento condivisibile e di forte valore etico che la CONSOB continua ad auspicare non rimanga circoscritto a casi isolati.


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Oltre al valore concreto che deriverebbe da iniziative di supporto degli investitori in tutte le azioni necessarie a tutelarne i diritti, si potrebbe produrre un effetto positivo per il recupero della fiducia dei risparmiatori.
Mi sia consentita un'ultima breve considerazione. La fiducia di tutti noi che comunque, in un modo o nell'altro, possiamo avere nella veste di risparmiatori è alla base del recupero di efficienza di tutto il sistema. Se dalla base non fluisce risparmio agli istituti che lo raccolgono, ma si indirizza solo verso beni rifugio individuati nei BOT, nei depositi delle poste o addirittura in buoni di altri Paesi, le banche mancano dell'afflusso dal basso.
Come ho già detto e ripetuto, esse devono far fronte alle obbligazioni che hanno assunto - e certamente lo faranno - ma devono far fronte anche al bisogno di finanziare le grandi imprese. Questo certamente non è di poca consistenza, considerando anche le esigenze di capitali che, come appare evidente dai dati che ho esposto, devono necessariamente affluire anche al sistema delle piccole e medie imprese, che sono il substrato vivo dell'attività del nostro Paese. Quindi, se non si rimette in moto un sistema virtuoso nel nostro Paese e se non si attuano normative internazionali chiare, precise e da tutti ugualmente applicate, certamente sarà molto più difficile uscire dall'attuale fase di difficoltà.
Il problema della fiducia è legato alla presenza di norme che siano poche, chiare e da tutti applicate in uguale misura, nonché alla necessità di una cooperazione internazionale non solo per individuare situazioni o comportamenti non legittimi da parte di alcuni soggetti, ma anche per stabilire un virtuoso comportamento da parte di tutti coloro che operano nel mondo della finanza. Questo secondo me rappresenta quell'unicum che potrà ridare respiro al mondo finanziario intero e, se ci sarà una concordia totale, all'Europa, che dovrà necessariamente ritrovare un concerto, e all'Italia, che sta facendo ogni sforzo per recuperare al meglio possibile questa situazione di crisi la cui gravità appare a tutti, ma che in parte è dovuta a situazioni contingenti che non rispecchiano la reale situazione delle imprese che non sono certo ridotte ai valori attuali di mercato.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente della CONSOB. Il testo integrale della relazione e l'ulteriore documentazione prodotta saranno allegati al resoconto della seduta odierna.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO LEO. Ringrazio il presidente per l'ampia e puntuale panoramica sui problemi della crisi dei mercati finanziari. Vorrei soffermarmi su un tema che è stato trattato, ma sul quale chiederei degli approfondimenti, ossia quello dell'applicazione sui nostri bilanci individuali dei princìpi contabili internazionali.
Oggi le società quotate e le banche applicano gli IAS non solo sul consolidato, ma anche sui bilanci individuali. Questo, come lei ha rilevato nella relazione, produce degli effetti sicuramente pregiudizievoli per quanto attiene agli asset finanziari, gli strumenti finanziari, alla luce anche di quello che è stato l'intervento dello IASB e della revisione dello IAS 39, ed è stato in qualche modo monitorato. L'effetto che è invece preoccupante è dato dalle conseguenze ulteriori che si potranno produrre a seguito delle riduzioni di valore, assumendo il criterio del fair value su tutti gli altri asset aziendali.
A questo proposito, vorrei capire quale sia la posizione della CONSOB su una eventuale sospensione o eliminazione dell'attuale disciplina prevista per il recepimento degli IAS sui bilanci individuali. Oggi è quanto mai opportuno ritornare alla vecchia impostazione - i bilanci a costi storici - perché i bilanci con i princìpi contabili internazionali, che come sappiamo sono i criteri adottati per il consolidato e, quindi, per un'informativa agli investitori, non possono diventare termini di riferimento per la quantificazione dell'utile, per gli effetti delle perdite sul ripianamento del capitale o addirittura per il calcolo delle imposte.


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Mi piacerebbe, dunque, conoscere il vostro punto di vista sulla possibilità di disinnescare questo meccanismo perverso che è rappresentato dall'adozione degli IAS sui bilanci individuali e riportare il sistema all'origine, tornando ai meccanismi dei costi storici.
Concludo segnalando che gli IAS sui bilanci individuali oggi sono adottati, oltre che dall'Italia, anche da Malta, da Cipro e dalla Slovenia, Paesi che non avevano meccanismi contabili. Non credo che il ritorno al passato sia così pregiudizievole. Se non vado errato, già la Danimarca lo ha fatto; se lo facessimo anche noi, attueremmo un'opera meritoria per le imprese e per i risparmiatori.

MARCO CAUSI. Anch'io ringrazio il presidente Cardia e mi limito a qualche domanda per avere ulteriori approfondimenti su alcune questioni molto interessanti poste nella sua relazione.
Per quanto riguarda le misure di difesa contro scalate ostili, le chiedo, presidente, di chiarirci meglio il suo pensiero. Vorrei sapere se lei ritenga che sia il caso di ritornare allo spirito originario della direttiva europea riducendo, quindi, le introduzioni nazionali che abbiamo fatto su quella direttiva e, in tal caso, quali siano in particolare i meccanismi che dovremmo introdurre.
In secondo luogo, per quanto riguarda i fondi sovrani, le chiedo se lei ritenga che sia sufficiente recepire sostanzialmente nella nostra normativa i criteri di Santiago da un lato e, dall'altro lato, i criteri stabiliti nel recentissimo documento dell'OCSE, che mi pare sia stato pubblicato il 13 ottobre. In altre parole, pensa che un mix di questi due documenti internazionali - ovvero quello del Fondo monetario per quanto riguarda la natura del fondo sovrano e quello delle posizioni dell'OCSE del 13 ottobre per quanto riguarda i Paesi i cui i fondi accedono - se ben recepito nella nostra normativa potrebbe soddisfare il suo punto?
La terza domanda si riferisce alla difesa degli interessi dei piccoli risparmiatori colpiti dall'annullamento del valore di alcune loro attività. In particolare nel caso Lehman, lei ritiene che potrebbe essere utile pensare ad un operatore anche di tipo pubblico che possa andarli a rappresentare - ovviamente tramite meccanismi di tipo associativo - presso la procedura di commissariamento straordinario di Lehman negli Stati Uniti?
Infine, con riferimento al combinato disposto dei decreti-legge n. 155 e n. 157, e quindi all'ipotesi che - anche se in modo transitorio - lo Stato entri come azionista degli istituti bancari proposti dalla Banca d'Italia per gli interventi di ricapitalizzazione, le chiedo quali sono le prime idee, ipotesi, suggerimenti che la CONSOB può dare al legislatore per quanto riguarda l'esercizio dei diritti dell'azionista, e quindi il tipo di privilegio goduto, o il modo in cui delimitare in particolare l'esercizio dei diritti dell'azionista, essendo nei testi di legge questa azione definita come «privilegiata», ed essendo questo privilegio da ricondurre sostanzialmente a scelte e decisioni statutarie.

IVANO STRIZZOLO. Anch'io mi limito ad alcune rapide domande.
Mi rendo anche conto che non è facile approfondire ulteriormente i punti rispetto a quello che il professor Cardia ci ha riferito con la sua relazione. Mi riferisco al tema della non conoscenza ancora della quantità di prodotti derivati che sono entrati nelle operazioni dei vari istituti come gli enti locali.
L'altro punto che mi sembra abbia messo in evidenza una preoccupazione forte da parte della CONSOB è la scadenza prevista nel periodo 2009-2010 di obbligazioni per quasi 200 miliardi di euro da parte dei principali gruppi bancari. Con riferimento a questa entità, quali potrebbero essere gli interventi che oggi si dovrebbero mettere in campo per cercare di arginare, o comunque di mettere «in sicurezza», la situazione?
L'ultima questione che vorrei toccare - per carità, lo dico in punta di piedi -, sulla quale molti si sono interrogati, riguarda l'incapacità delle diverse istituzioni internazionali di prevedere quello che è


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accaduto. Capisco, lo ripeto, che le decisioni non erano e non sono semplici, perché i meccanismi che si vanno a toccare sono delicatissimi e se si ripara da una parte, si rischia di provocare una conseguenza negativa dall'altra. Tuttavia, per quanto riguarda gli interventi di restrizione sul mercato dello scoperto, non si poteva fare un po' più in fretta rispetto allo scadenzario che qui è richiamato?
Ripeto, mi rendo conto che sono scelte difficilissime, però volevo cercare di capire qualcosa in più anche rispetto ai tempi che sono intercorsi per le decisioni.

ALBERTO FLUVI. Innanzitutto, vorrei fare i miei complimenti al presidente per l'esauriente relazione che ha voluto fornire alla Commissione finanze. Certo, non è facile intervenire a caldo su una relazione così ampia e completa. Vorrei, però, provare a ragionare, pur rimanendo disponibile a modificare la mia opinione, come è normale, nel corso dei giorni e del confronto.
Metterei da parte le considerazioni che faceva l'onorevole Leo sugli IAS, sul fair value eccetera; si tratta di meccanismi sui quali occorre riflettere. È giusto considerare la situazione di emergenza, ma questi standard si modificano soltanto quando i picchi sono in negativo, mai quando questi meccanismi producono dividendi utili, stock options e via dicendo.
Mi sembra, piuttosto, che da tutto questo emerga un dato di fatto dal quale è molto difficile tornare indietro, anche dopo l'emergenza, ossia che i mercati hanno cominciato a reagire - come si vede anche dallo schema che lei ci ha fornito e da quello che abbiamo visto nelle ultime settimane sull'andamento delle borse mondiali - anche in campo positivo, solo dopo che alcune decisioni sono state assunte a livello europeo e internazionale.
Mi sembra che da questa crisi si esca con una certezza, ossia che, per vari motivi, non è possibile assumere alcune decisioni a livello di Unione europea o perlomeno concertate fra i Paesi dell'Unione europea, mentre alcune reazioni in campo positivo da parte dei mercati si sono cominciate ad avere solo dopo il 12 ottobre.
Credo che si possa estendere la stessa considerazione anche a tutto il campo delle autorità di vigilanza, sia per quanto riguarda la stabilità, sia per quanto riguarda la trasparenza, sia per quanto riguarda l'antitrust.
Presidente, mi fa piacere vedere, dalla relazione che ci ha esposto, che la CONSOB è una sorta di capofila dei Paesi che spingono nella direzione della concertazione delle decisioni, quanto meno a livello europeo.
Assumerei, dunque, questo punto di riferimento anche per gli interrogativi che lei citava, come, ad esempio, la possibilità di introdurre o meno il divieto di vendita allo scoperto dal 31 ottobre. Io manterrei il punto di riferimento sulla necessità di un coordinamento a livello degli altri Paesi dell'Unione europea. Certo è - e lei lo sa meglio di me - che non è possibile impedire per troppo tempo di utilizzare questo tipo di strumento.
L'ultima considerazione riguarda tutte le informazioni molto interessanti che lei ci ha riferito, in gran parte condivisibili, su quello che chiamerei il pacchetto Opa, fondi sovrani, trasparenza e così via.
La direttiva Opa, che abbiamo recepito uno o due anni fa - non ricordo la data esatta - ha avuto una gestazione molto lunga, perché aveva da contemperare esigenze di Paesi dell'Unione europea molto differenti l'uno dall'altro. Credo che il Parlamento, il Governo italiano, siano riusciti a tradurre in maniera buona una direttiva che oggettivamente lasciava ampi margini di manovra. Come lei sa - lo ricordo innanzitutto a me stesso - essa è stata tradotta nella legislazione nazionale in una maniera molto differente.
Continuo, però, a dare una valutazione positiva sulla tradizione della direttiva Opa nella legislazione italiana. Mi spiego meglio: mi sembra che la soglia dell'uno o due per cento sia una delle più basse fra tutti i Paesi dell'Unione europea.
Riguardo al tema dei fondi sovrani, da quanto ho letto oggi, credo che sia in corso in queste ore, presso il Ministero degli


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affari esteri, una riunione fra Impregilo e il fondo sovrano della Libia per valutare l'apporto che questo fondo può dare a un'impresa di primaria importanza del sistema economico del nostro Paese. In linea di principio, non sarei spaventato dall'apporto di capitale di fondi sovrani; anche perché non mi sembra di vedere un eccesso di capitali nel capitalismo nostrano. Altra cosa, invece, è porre un limite di partecipazione all'interno del capitale di ciascuna società.
Vengo alla questione dell'OPA e della passivity rule. Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che abbiamo introdotto insieme alla passivity rule anche il principio della reciprocità; se, dunque, altri Paesi non adottano la passivity rule, noi possiamo, indipendentemente dallo statuto o dalla convocazione dell'assemblea, erigere barriere difensive.
Vorrei spiegare lo scopo di queste considerazioni, sebbene forse la domanda sia da rivolgere al presidente o alla maggioranza, più che alla CONSOB. Il Governo valuta che ci sono situazioni particolari e che c'è necessità di erigere difese su alcune aziende, ad esempio Finmeccanica? Ho fatto un esempio, ma potremmo ragionare, potremmo individuare alcune aziende che sono ritenute strategiche per gli interessi del Paese. Tuttavia, un conto è ragionare su queste; un conto è, invece - mi sia consentito precisarlo - partire da quelle per generalizzare.
Dico ciò perché forse nella scorsa legislatura, quando abbiamo discusso dell'Opa e di questi temi mi ci sono appassionato; allora la consideravo una scelta forse un po' troppo restrittiva rispetto a quello che altri Paesi, come ad esempio la Gran Bretagna, stavano attuando.
È una riflessione che mi sento di introdurre, pur disponibile - come dicevo - a confrontare e a modificare questa posizione nel prosieguo del dibattito parlamentare sui due decreti sulle banche, che sono all'ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ricordo all'onorevole Fluvi e a me stesso che sulla questione della contendibilità e della reciprocità tenemmo un ampio dibattito in questa Commissione, anche su posizioni diverse.

ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Intanto ringrazio il presidente per l'esauriente esposizione. Io non esporrò nessun tipo di ragionamento, perché è stato già tutto sviluppato, ma porrò delle domande, perché è chiaro che siamo di fronte a una difficoltà oggettiva di intervento, nel senso che dobbiamo capire concretamente quali sono gli interventi su cui dobbiamo orientarci.
Nelle prossime settimane si discuteranno due disegni di legge molto importanti del Governo. Probabilmente saranno superflue le mie parole perché il vostro istituto già dialoga costantemente con il Ministero e con il Ministro; tuttavia è importante comprendere anche questa parte.
Per noi risulta importante capire come sia possibile intervenire o, se siano state immaginate soluzioni esaurienti in questo decreto-legge. In particolare, è chiaro che siamo preoccupati di tutte queste società che dovrebbero dare giudizi, i famosi rating, al mondo imprenditoriale. Alla fine i conti non tornano mai; dalla Enron in poi i giudizi sono spesso superficiali, non adeguati, talvolta assolutamente falsi. Devo dire che la mia esperienza di amministratore - fra l'altro di un ente importante come la regione siciliana - conferma questo tipo di perplessità.
Abbiamo bisogno, dunque, di regole nuove e di trasparenza. Forse è arrivato il momento in cui in questa legge - che tra un po' sarà esaminata dalla Commissione e dal Parlamento - si può immaginare anche qualche misura restrittiva in questo senso. Avere suggerimenti da parte vostra su questo aspetto non sarebbe male.
Inoltre, penso che nel testo unico di intermediazione bancaria (decreto legislativo n. 58 del 1998), si dovrebbe individuare un'altra stretta di vite, in particolare sulla collocazione di strumenti finanziari derivati o swap, che abbia caratteristiche di scommessa per il futuro. Questo ovviamente da parte di quei collocatori - per citarne nome e cognome: le banche - che


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spesso, in una posizione di forza nei confronti delle imprese a cui danno credito, impongono prodotti che alla fine risultano assolutamente non adeguati rispetto alle esigenze delle imprese stesse.
In altre parole, la posizione dominante crea le condizioni per collocare titoli che già a monte non erano adeguati. Ex post è facile dirlo, per carità, quindi siamo gli ultimi a parlare; tuttavia, arriva sempre un momento successivo in cui ci si accorge se certi titoli non sono adeguati. Tutto questo spesso viene pagato con commissioni altissime, che forse potremmo leggere come commissioni occulte. Anche in questo caso è necessario intervenire e riteniamo che il vostro istituto debba darci delle indicazioni in proposito.
Sul terzo punto sono, invece, moralmente certo; non lo voglio dare come dogma - me ne guarderei bene! - però ho un'esperienza diretta che motiva quanto sto dicendo. Le regole attuali sulla nomina dei revisori dei conti non sono appropriate. Il meccanismo prevede che vi sia la possibilità di fare il revisore dei conti in una società quotata in borsa; tuttavia, in questo caso, automaticamente si devono lasciare le società non quotate in Borsa. Ora, lei mi insegna che c'è un rapporto di fidelizzazione tra le società non quotate in borsa e il professionista, per cui è oggettivamente difficile che si opti per le società quotate, che oggi ci sono e domani non ci sono.
Intendo dire che, alla fine, chi fa il revisore dei conti nelle società quotate spesso è membro di un club molto ristretto; taluni parlano di gerontocrazia, ma io non mi permetterei mai di dirlo. Ampliare questo club sarebbe sinonimo di garanzia, sinonimo di trasparenza e probabilmente anche di freschezza, perché professionisti giovani, motivati, nati con le regole nuove - quelle che adesso sono molto restrittive rispetto a prima - probabilmente avranno una visione meno edulcorata, meno accondiscendente rispetto a queste imponenti strutture.
So che il decreto che regola questo aspetto è in scadenza, o è scaduto da poco; so, inoltre, che avete dato una proroga di due o tre mesi.

MAURIZIO LEO. Due mesi.

ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Al di là del fatto che due mesi siano troppo pochi o siano un tempo giusto, vorrei sollevare un problema che esiste. Valutiamo se sia il caso - visto che stiamo mettendo mano alla materia - di aggiustare il tiro, qualora esso non sia adeguato rispetto alle esigenze dei tempi correnti.

IGNAZIO MESSINA. Anch'io ringrazio il presidente della CONSOB per l'intervento esaustivo.
Intervengo soltanto per porre alcune domande veloci. Io credo che una constatazione a cui tutti quanti siamo giunti - e non perché a posteriori sia più semplice, in quanto credo che ci si potesse giungere anche prima - è che il sistema dei controlli non ha funzionato. È inutile girarci attorno, perché altrimenti, se vi sono dei soggetti chiamati a controllare il mercato finanziario e successivamente il mercato finanziario diventa assolutamente ingestibile, questo significa che qualcosa a monte non ha funzionato.
Credo, dunque, che rivedere il sistema dei controlli sia un fatto determinante. Anche le società di rating, come diceva qualcuno, a poco servono, se non a creare un inganno, un'illusione - tali infatti si sono rivelate - al consumatore finale che, dietro quelle A vedeva sostanzialmente una garanzia per il proprio investimento, mentre non c'era assolutamente niente; c'era il vuoto.
Tuttavia, ovviamente qualcuno, a monte, avrebbe dovuto fare qualche controllo in più, in Italia. Da quanto ho visto, è riportato anche nell'esposizione, probabilmente da parte di Banca d'Italia e di CONSOB sono stati fatti tanti controlli, ma questo non è stato sufficiente. Credo, quindi, che proprio l'intervento legislativo che andiamo ad approntare sia fondamentale,


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e in questo la vostra opinione e il vostro contributo possono essere determinanti.
Occorre accentuare un sistema di controllo per fare in modo che non ci si possa trovare nuovamente in una condizione di questo tipo che, alla fine, non penalizza le banche, ma il risparmiatore, il piccolo investitore, colui il quale rimane assolutamente scoperto.
Dalla relazione si evince con chiarezza che, per la necessità di stabilizzare la raccolta, le banche potranno orientarsi a collocare obbligazioni subordinate a prodotti ibridi. A questo punto la tentazione sarà non forte, ma forse fortissima. Voi stessi affermate che questo accadrebbe nonostante alcune reazioni critiche degli operatori; questo aspetto da un lato spaventa, ma dall'altro lato tranquillizza, poiché significa che il vostro intervento è positivo. Se esso preoccupa gli operatori, significa che gli operatori si muoverebbero in questa direzione non troppo in buona fede.
Credo che il vostro intervento, in fase di emanazione di queste linee guida, debba essere tempestivo, per garantire prevalentemente i piccoli e medi risparmiatori, le piccole e medie imprese, cioè coloro che, di fatto, muovono le fila dell'economia italiana e sono quelli maggiormente danneggiati.
Sulla questione dei fondi sovrani la vostra opinione è importante, perché anche questa è una valutazione. Ci si chiede infatti come fare per ridare liquidità e risollevare le banche. Ebbene i fondi sovrani, a mio parere, devono essere regolamentati, ma se non c'è una finanza territoriale italiana che può sopperire, è importante individuare un sistema per cui sui fondi sovrani si possa intervenire attraverso i controlli e le regole. Evidentemente, dobbiamo operare un ragionamento a monte.
Infine, si è parlato spesso in questi giorni dell'ipotesi di un azionariato senza diritto di voto, ovvero un azionariato impropriamente di Stato. Credo che lo Stato in questo momento abbia notevoli fondi presso la Cassa depositi e prestiti. Si potrebbe pensare ad un intervento a termine della Cassa, con delle azioni senza diritto di voto, ma con l'obbligo per le banche di restituire, per fare in modo che - come diceva qualcuno prima di me - non si verifichi che nel momento in cui ci sono grandi utili, i consumatori o gli investitori non li ricevano, mentre quando vi sono grandi perdite, le subiscano. Bisognerà fare modo che vi siano non aiuti di Stato finalizzati a se stessi, ma anche obblighi che devono essere onorati, e quindi delle restituzioni da fare.
La Cassa depositi e prestiti probabilmente - lo chiedo anche a voi - potrebbe essere uno strumento utile per impedire ai fondi sovrani esteri di utilizzare una risorsa nostrana per intervenire in questo senso.

PRESIDENTE. Non voglio complicare le cose, ma mi sarebbe piaciuto disporre di maggiori dati sugli effetti della norma sul divieto di vendita allo scoperto, ossia su quanto esso abbia inciso, oltre a una valutazione complessiva sullo stato dell'arte che riguarda le banche.
Nonostante i divieti di vendita allo scoperto, il mercato sta infatti penalizzando gli istituti di credito che, in qualche modo, sono visti non particolarmente solidi determinando come effetto un dato che vediamo nella Borsa italiana, dove l'incidenza delle perdite di valore azionario delle banche è molto forte.
Le chiedo, dunque, come si faccia a valutare quanto incidono le vendite allo scoperto su questi fenomeni.
Do ora la parola al presidente Cardia per la replica.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, cercherò di rispondere alle domande, peraltro tutte di attualità, che mi sono state rivolte. L'onorevole Leo ha parlato degli IAS e ha chiesto se l'applicazione degli IAS sui bilanci e le conseguenze ulteriori che si potranno produrre possano portare a un'eventuale sospensione della disciplina sul recepimento degli IAS.
Se dovessi parlare come singolo, direi che sono d'accordo; tuttavia, aggiungo che


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su queste scelte dell'introduzione degli IAS hanno influito molto Banca d'Italia e ISVAP, che vedono in modo non favorevole l'applicazione dei princìpi contabili diversi tra bilancio individuale e bilancio consolidato. Questo è il sistema.
Se vivessimo in un mondo in cui la decisione è di un unico soggetto, se questo unico soggetto fosse la Banca d'Italia la vedrebbe in un modo, se fosse la CONSOB la vedrebbe in un altro. In un momento critico come quello attuale l'applicazione degli IAS può mettere in difficoltà la società, però è a questo che si sta facendo fronte. Lei ha parlato di meccanismo perverso; questa, secondo me, è la situazione più grave e difficile, a livello mondiale, che nella mia esperienza ho avuto modo di vivere. È stata paragonata a quella del 1929; a quella data non ero nato. Certo questa è comunque di dimensioni mondiali.
La prevista modifica degli IAS, ovvero la possibilità di applicarli con flessibilità, consentirebbe alle società di non trovarsi in una situazione di grave disagio. In futuro, vedremo che cosa verrà deciso in campo internazionale; non c'è dubbio però che non si può verificare la circostanza per cui un Paese li applica e un altro no, perché i bilanci in questo modo non sarebbero confrontabili.
L'onorevole Causi ha posto una domanda relativa alle misure di difesa contro scalate ostili attraverso la semplificazione delle norme già esistenti. Premetto e ripeto che in più occasioni mi è stato parlato dell'Opa (e, quindi, delle scalate ostili) e della possibilità di modificare la legge. Preciso che quando è stata approvata la direttiva europea sull'Opa, tutti siamo stati consapevoli del fatto che si trattava di una direttiva che poteva essere migliore, ma motivi di fretta e compromessi hanno portato a una direttiva che ha lasciato ampi margini alle modalità applicative dei singoli Paesi.
La CONSOB è stata parte attiva ed ha rappresentato più volte la necessità di mantenersi in prima fila nel libero mercato e, quindi, di trovarsi in una situazione in cui se si ha un'Opa - dato che questa può determinare il cambio della dirigenza, il cambio del management, ma determina anche interessi per i piccoli azionisti che vedono valorizzare le loro azioni - si privilegino gli interessi dei piccoli azionisti e dei risparmiatori.
L'esperienza vissuta nel periodo attuale mi ha fatto personalmente cambiare parzialmente idea, ma sempre - lo ripeto - nell'ambito della direttiva Opa. A questo proposito, cito un aneddoto accadutomi, che mi ha letteralmente sbalordito, per mostrare come si può operare in modo diverso.
L'anno scorso mi telefonarono, separatamente e a distanza di alcuni giorni, gli amministratori delegati dell'ENI e dell'ENEL, e mi dissero che avevano avuto una richiesta da parte dell'autorità di vigilanza francese di rispondere entro ventiquattro ore se avessero avuto l'intenzione di compiere una scalata (o anche solo di acquistare una quota azionaria) nei confronti di una società francese. Il primo che mi telefonò - mi sembra di ricordare che fosse l'amministratore dell'ENI - mi disse che era sabato e che quindi avrebbe dovuto rispondere entro la sera successiva, perché il lunedì mattina alle 8 i mercati avrebbero dovuto conoscere la risposta. Ebbene, innanzitutto, ritengo che tale domanda avrebbe dovuto essere rivolta, nell'ambito della cooperazione internazionale esistente alla CONSOB; la CONSOB avrebbe dovuto valutare se si trattasse di una domanda ammissibile. Dunque, ritengo si potesse valutare di non rispondere alla domanda dell'autorità francese. L'amministratore delegato dell'ENI mi disse però che gli era stato detto che avrebbe dovuto rispondere direttamente e nei termini.
Chiamai, dunque, pur nel fine settimana, il presidente dell'autorità francese e gli chiesi come poteva porre una domanda di questo genere, per di più senza porla prima alla CONSOB. Tale domanda, tra l'altro, mi pareva priva di supporto giuridico: infatti gli feci presente che una autorità estera non può chiedere a una nostra società se vuole acquistare azioni di una società avente sede legale in altro


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Stato, nel caso specifico in Francia; le potrà chiedere ex post se ha compiuto acquisti e se ha acquisito il 2 o 5 per cento, secondo il livello definito dall'ordinamento.
Mi fu risposto che la mia considerazione sarebbe stata fondata fino a una settimana prima, perché nel frattempo la Francia aveva emanato un regolamento aggiuntivo al recepimento della direttiva dell'Opa il quale all'articolo 223-32 - lo ricordo ancora - stabilisce che quando si è in presenza di rumors o quando l'autorità di vigilanza lo ritiene opportuno, questa può chiedere a chiunque, quindi anche a soggetti residenti all'estero, se vi sia l'intenzione di operare nei confronti di una società francese, al fine di acquisizione di azioni. Pertanto, mi fu risposto che avevano fatto quella richiesta, in quanto il loro regolamento lo consentiva.
A quel punto replicai in modo quasi banale, facendo presente che certamente la richiesta poteva essere fatta, ma che non vedevo come una società con sede in Italia potesse essere obbligata a rispondere. Dissi, inoltre, che se invece la domanda fosse stata rivolta alla CONSOB, noi avremmo valutato e fornito le informazioni possibili. La risposta fu che effettivamente non si poteva costringere la società a rispondere, ma che il regolamento emanato in Francia prevedeva anche che se la società interrogata non avesse risposto nel tempo dovuto, non avrebbe potuto compiere operazioni nei sei mesi successivi nei confronti della società francese Target.
Non credo ci sia bisogno di ulteriore testimonianza di quanto sto affermando in questa sede: l'amministratore delegato dell'ENI fornì la sua risposta. Nella vicenda successiva avvenne lo stesso anche per l'ENEL.
Per risparmiare tempo non ripeterò in dettaglio la vicenda; comunque, il risultato fu che il primo rispose immediatamente, per evitare che gli paralizzassero l'attività in Francia, mentre il secondo riuscì ad ottenere che la richiesta fosse inviata direttamente alla CONSOB. Tuttavia la società, in un secondo momento, fornì comunque la risposta, poiché, sebbene la CONSOB avesse girato la domanda all'ENEL precisando che l'amministratore delegato non era tenuto a rispondere, egli sapeva che se avesse voluto compiere un'acquisizione nella società francese in questione cui poteva essere interessato - e forse questo era anche vero, ma è un'opinione personale - se non avesse risposto nei tempi indicati, non avrebbe potuto agire per sei mesi nei confronti di quella società.
Questo episodio è avvenuto l'anno scorso; l'evoluzione successiva ha portato a verificare che le azioni di società quotate italiane si sono molto deprezzate e che il peso azionario - ho consegnato al presidente un documento che descrive lo stato delle società attualizzato a ieri e a oggi - è diminuito in modo rilevante. Molte società italiane hanno perso il 50-60 per cento, qualcuna il 70 per cento del valore azionario.
Quindi se una società estera, un fondo sovrano, o un quidam de populo che ha disponibilità finanziarie, vuole fare oggi un'Opa nei confronti di una queste società, il cui valore si è ridotto nel caso limite del 70 per cento, (e che magari presto ritornerà a valere cento, almeno mi auguro) e le cui misure di difesa necessitano di mesi per il loro dispiegamento, probabilmente, riuscirà nell'Opa. E riuscirà, perché magari chi ha in mano quelle azioni, spaventato da quello che sta succedendo, preferisce prendere un po' di soldi subito - in quanto verrà offerto un prezzo superiore al valore azionario del momento - piuttosto che correre il rischio di perdere tutto. Quindi la mia convinzione è che la tutela degli interessi del Paese nell'ambito della direttiva Opa possa far sì che quegli interventi che prima a difesa potevano avvenire previa delibera dell'assemblea - quindi in lunghi periodi - oggi possano essere consentiti in prima battuta al consiglio d'amministrazione (salvo poi il potere dell'assemblea di deliberare diversamente), oppure riaffermando il principio che solo le assemblee possano con modifica statutaria rendersi aperte a scalate, quindi senza stabilire regole restrittive.


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Vorrei concludere dicendo che la mia personale convinzione, specie in questo momento - tengo a precisare che non si tratta di una posizione della CONSOB, perché la materia non è stata oggetto di delibera; magari potrà essere oggetto di esame, certamente ne parliamo, ci possono essere anche idee diverse, come in qualche caso accade - è che non ci si può permettere di consentire che il Paese subisca perdite consistenti per il solo fatto che le difese sono molto deboli.
Mi ricollego anche alla questione dell' «1 per cento», che peraltro - a ben pensare - è una questione abbastanza relativa. È vero, infatti, che la nostra normativa prevede che debba essere comunicato al mercato il superamento della soglia del 2 per cento di una società quotata; è vero che altri Paesi hanno anche soglie più alte; tuttavia, è anche vero che se dieci soggetti acquisiscono l'1,99 per cento di una società, in totale detengono il 19,90. Se questi, dunque, avessero in mente di fare eventualmente un'Opa, con una piccola acquisizione sul mercato, magari pagata anche molto bene, avendo già portato «in cascina molto fieno», potrebbero riuscire facilmente nel loro intento.
Quindi il vantaggio di abbassare la soglia esiste e, a mio parere, non esiste un danno. Se nei periodi di particolare difficoltà, alla CONSOB fosse consentito, con delibera, di chiedere che ad esempio da una certa data e fino al terzo mese successivo chiunque operi un'acquisizione azionaria, di una o più società o delle 40 società più importanti, debba dichiararlo al mercato, questo non procurerebbe alcun danno. Nello stesso tempo, dal mio punto di vista, questa regola consentirebbe di tutelare meglio il sistema.
Affermo - l'ho già detto e non lo ripeterò più per non stancare chi mi ascolta - che si tratta di una mia opinione personale. Formulo queste idee sulla base della mia esperienza, degli studi e della constatazione di ciò che sta accadendo. Possono esserci idee diverse anche tra colleghi di Commissione o tra gli stessi massimi dirigenti presenti che hanno un'esperienza rilevante.

PRESIDENTE. Scusi presidente, forse è una mia ignoranza, ma, parlando di reciprocità, mi chiedo se voi potreste elaborare quello stesso codicillo che ha inserito la Commissione francese.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Dovremmo fare un regolamento che stabilisca questo. Mi viene segnalata una norma del T.U.F. che così recita: «in presenza di indiscrezioni comunque diffuse tra il pubblico, in merito ad una possibile offerta pubblica di acquisto o scambio e di irregolarità nell'andamento del mercato dei titoli interessati, ai potenziali offerenti si applica l'articolo 114», cioè si può porre la domanda cui si accennava prima. Il risultato, però, è che in questo caso un rifiuto risulterebbe senza sanzione. Invece nella normativa francese la sanzione c'è e consiste nel fatto che per sei mesi non si può operare. Sembra una differenza da nulla, ma è tutto.
Secondo me, ma anche questa è una mia opinione personale, forse la direttiva non consentirebbe quel «blocco» di sei mesi introdotto in Francia.
Non so se ho risposto a tutte le domande dell'onorevole Leo. Alla domanda dell'onorevole Causi sulle misure di difesa contro le scalate ho già risposto quando ho detto che basterebbe semplificare l'attuale disciplina.
Per quanto riguarda i fondi sovrani e il recepimento dei criteri di Santiago, del Fondo monetario, dell'OCSE, segnalo che i fondi sovrani in sé possono essere una di risorsa per tutti perché dispongono di ingenti liquidità da investire. Questi fondi sovrani non sono nati da tanto, ma sono stati costituiti in tempi relativamente recenti dai governi di alcuni Paesi per mettere a frutto l'ingente liquidità derivante, in particolare, dalla produzione di petrolio o altre materie prime. I fondi sovrani possono investire liberamente e i loro apporti di capitale e le loro acquisizioni non sono criticabili allorché si mantengano entro i limiti stabiliti dall'ordinamento in generale o in relazione a determinate categorie di soggetti come ad esempio


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le banche; un fondo sovrano può anche promuovere un'Opa, se non ci sono dei motivi speciali che lo impediscano. Di per sé, dunque, essi rappresentano un'opportunità.
Certamente, tuttavia essi devono essere guardati con molta attenzione, infatti, ove i fondi sovrani - questo è un discorso di valutazione generale - dovessero concentrare la loro attenzione su società che io definisco proprietarie di brevetti di particolare qualità e procedere alla loro acquisizione, si determinerebbe un depauperamento sostanziale del sistema paese, ed è appunto in relazione a questo profilo che anche in campo internazionale si sta studiando una regolamentazione del fenomeno. In altre parole, grazie agli investimenti dei fondi sovrani è certamente possibile acquisire ingenti risorse, ma vi è anche il rischio che si venga creare un vuoto nel nostro sistema produttivo, e in quello di qualsiasi altro Paese. In particolare l'inserimento in una società con una quota di partecipazione consistente può consentire a un fondo sovrano di determinare la politica della società e di prevedere, ad esempio, che gli stabilimenti debbano essere posti in una zona del Paese piuttosto che in un'altra, oppure che l'attività produttiva venga svolta in un Paese estero e che il materiale finito venga poi portato in Italia.
La questione dei fondi sovrani sulla quale la CONSOB non ha una competenza specifica, merita dunque una particolare attenzione sia da parte delle istituzioni nazionali e in primis del Parlamento, sia in campo internazionale, al fine di poter recepire quanto di buono essi possono offrire e al tempo stesso prevenire i pericoli che essi possono rappresentare. Questa è la mia opinione.
Quanto alla difesa degli interessi dei piccoli risparmiatori della Lehman, magari attraverso la costituzione di un organismo pubblico, un'entità pubblica che ne possa rappresentare presso gli USA gli interessi, devo dire che la costituzione di tale organismo non compete alla CONSOB.
Un fatto è certo: io ritengo che a fronte della crisi della Lehman i risparmiatori debbano essere protetti come lo furono in occasione della crisi della Cirio e in altri casi, in una certa misura simili. Dico «in una certa misura» perché le diverse situazioni non sono del tutto comparabili. Quello relativo alla Cirio è stato infatti probabilmente il primo caso in cui il piccolo risparmiatore si è trovato ad essere esposto a situazioni di assoluta gravità. Successivamente, con il passare degli anni, i risparmiatori certamente si sono fatti più accorti e così anche gli intermediari che nel distribuire i prodotti finanziari hanno utilizzato, mediamente, modalità migliori e tali da tutelare abbastanza l'investimento e rendere edotto il risparmiatore di ciò che acquistava.
Quella relativa alla Lehman, invece, è stata una vicenda assolutamente traumatica. La crisi della Lehman è avvenuta quasi all'improvviso, perché la società aveva un rating particolarmente elevato, un apprezzamento nel mondo assolutamente positivo ed è soltanto forse da agosto o dai primi di settembre che si è cominciata ad intravedere una situazione non favorevole. Al riguardo occorre considerare che, come si evince da un prospetto della Lehman autorizzato dalla CONSOB nel 2008, la società, dal 2005 al 2007 compreso, grazie alla direttiva europea sul prospetto che consente di procedere in tal modo, aveva fatto tutti i suoi collocamenti in Italia passando attraverso Paesi esteri, senza che le autorità di vigilanza italiane potessero esercitare alcun controllo.
Nel 2008, la Lehman ha presentato alla CONSOB un prospetto per poter poi svolgere successivi collocamenti. La CONSOB ha approvato il prospetto e subito dopo, avendo avuto sensazione che stessero maturando eventi sfavorevoli ha chiesto ulteriori approfondimenti ed integrazioni. La Lehman non ha risposto e non ha fatto alcun collocamento. Questo è avvenuto, se mi è consentito di precisarlo, anche perché la CONSOB è stata attenta a sentire ciò che si andava mormorando e quando alla Lehman sono state poste delle domande molto stringenti, essa ha preferito non fare nulla. Infatti, non c'è stato alcun collocamento.


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Quelli che ci sono stati in precedenza sono passati attraverso il Lussemburgo o altri Paesi esteri, grazie alla già ricordata direttiva sul prospetto, che consente di pubblicare un prospetto informativo in un paese membro dell'Unione e di procedere poi al collocamento in tutti i paesi dell'Unione senza ulteriori controlli e possibilità di intervento.
Rispondo ora alla domanda dell'onorevole Strizzolo circa la conoscenza della quantità dei derivati sottoscritti dagli enti locali. Per quanto riguarda in generale il collocamento di strumenti derivati da parte delle banche la CONSOB ha svolto delle attività ispettive nel 2007 che hanno portato a sanzioni nei confronti di alcune banche come Unicredit banca mobiliare o Unicredit banca d'impresa; tali intermediari sono stati sanzionati, rispettivamente, per 268 mila euro e 511 mila euro.
Per quanto riguarda specificamente i derivati acquistati dagli enti locali, invece, la legge più recente ha stabilito che i relativi contratti sono efficaci solo se comunicati al Ministero dell'economia e delle finanze.
Da informazioni che ho ricevuto, e che non sono documentalmente verificate, sembra che il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe ricevuto circa 300 segnalazioni di derivati sottoscritti dagli enti locali.
I colleghi della Corte dei conti mi hanno riferito che tra le relazioni redatte ce n'è una compilata dalla Corte dei conti della Lombardia, che è una sezione particolarmente efficiente, che avrebbe invece verificato un numero ben superiore di derivati sottoscritti da enti locali. Questo lascerebbe presumere che, se per ipotesi il numero verificato o stimato dalla Corte fosse 600 e solo 300 fossero stati segnalati al Ministero, ce ne sarebbero 300 che non rispettano le condizioni di efficacia stabilite dalla legge.
Credo che per risolvere questo problema ci sarebbe un sistema facilissimo, ovvero sottoporre al visto e alla registrazione della Corte dei Conti l'acquisto dei derivati da parte degli enti locali. Secondo me, questa sarebbe la soluzione migliore per tutti.

ALBERTO FLUVI. Questo vale dal 2002 in poi...

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Onorevole, un tempo la Corte dei conti, nel bene e nel male apponeva sugli atti sottoposti al suo esame visto e registrazione (commenti del deputato Alberto Fluvi). Questa è una cosa che può essere rimessa in vigore o si possono lasciare le cose come stanno.
Mi è stato chiesto anche delle obbligazioni di prossima scadenza emesse dai principali gruppi bancari: come ho ricavato dai dati Bloomberg, si tratta di 200 miliardi previsti per il 2010 di 114 miliardi entro il 2009. Personalmente, non ho nessuna apprensione sul fatto che le obbligazioni siano onorate. Non mi sogno nemmeno di pensare il contrario. Dico solo che si dovrà destinare liquidità al rimborso di tali obbligazioni. Occorrerà, però, oltre alla liquidità per finanziare i rinnovi, anche liquidità necessaria per sostenere le attività delle grandi imprese. Sarà necessario, inoltre, che le piccole e medie imprese ricevano anch'esse finanziamenti attraverso gli istituti bancari.
La mia attenzione a questo tema, dunque, non era dovuta a dubbi sulla capacità delle banche di rimborsare le obbligazioni emesse, ma alle dimensioni del fenomeno che richiedono che il sistema bancario sia supportato nei modi più adeguati e sostanziosi.
Colgo l'occasione per dire che mi è stato chiesto che cosa penso del fatto di poter utilizzare la Cassa depositi e prestiti o altri contributi per questi finanziamenti. A questo proposito esprimo un'altra mia opinione personale, che deriva dall'osservazione del mondo in cui opero. Immagino che ci possano essere istituti bancari che abbiano bisogno di liquidità e immagino che questi istituti bancari possano avere apprensione di ricevere finanziamenti dall'erario, non fidandosi del fatto che non ci siano modifiche nella governance, come


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pure è stato dichiarato. Può darsi, infatti, che qualcuno dica che ne ha bisogno, ma che si fida poco. Sono casi soggettivi. La mia è solo una fantasia.
Aggiungo a questo che, ove il Governo e il Parlamento ritenessero di inserire il ricorso alla Cassa depositi e prestiti tra le possibili fonti di finanziamento stabilendo nettamente le condizioni, la decisione in merito a quali risorse destinare concretamente alle operazioni di sostegno alle banche competerebbe al Ministro dell'economia e delle finanze e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi delle recenti disposizioni adottate per garantire la stabilità del sistema creditizio. Ribadisco quindi che la scelta in questione spetta al Governo e al Parlamento. Certamente, in linea di principio il ricorso alla Cassa depositi e prestiti è una possibilità di finanziamento anche solido.
Poi mi viene da pensare che l'IRI è nata in questo modo, ma non lo dico in termini critici, perché io che sono stato per sette anni nel consiglio d'amministrazione dell'IRI, nella giunta esecutiva, oltre che nel collegio sindacale quale magistrato della Corte dei conti, ho visto anche tante cose belle. Poi le deformazioni sono deformazioni, ma le cose belle, le maestranze che si sono create, la dirigenza vera che si è creata attraverso l'IRI, e non solo, non è di poco rilievo. Tuttavia non compete a me esprimere opinioni di questo genere.
Onestamente non so se ho risposto a tutte le domande.

PRESIDENTE. Presidente, non ha risposto a tutto, ma abbiamo il tempo limite delle 16 da rispettare perché siamo chiamati in aula.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, avendo ancora risposte da dare, posso fornire una risposta scritta, se mi consentite un certo margine di tempo, perché sono letteralmente schiacciato dagli impegni.

PRESIDENTE. Ci farebbe cosa gradita.
Ringrazio il presidente per la sua disponibilità. Aspettiamo le sue note.

LAMBERTO CARDIA, Presidente della Consob. Signor presidente, ringrazio anche io lei e tutti i presenti. Vi confermo che, pur nell'impegno che comporta un'audizione, è vivo interesse della CONSOB e di chi vi parla poter trovare occasioni di esposizione di quello che abbiamo fatto, di sottoporsi al giudizio e anche di acquisire delle specifiche richieste che per noi sono molto utili per farci sempre meglio operare.

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.

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