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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
12.
Giovedì 24 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 3 7 12 13 16 18 20
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 6 15
Capitanio Santolini Luisa (UDC) ... 16 18
Fioroni Giuseppe (PD) ... 7 8 12
Ghizzoni Manuela (PD) ... 5
Goisis Paola (LNP) ... 3 5 6 8 20
Granata Benedetto Fabio (PdL) ... 13
Pes Caterina (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 24 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 15,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Do la parola all'onorevole Goisis.

PAOLA GOISIS. Signor presidente, rivolgo un caloroso saluto al Ministro, tornato per consentirci di svolgere i nostri interventi e per sentire anche le nostre posizioni.
Dopo averle ascoltate attentamente, devo dire che concordo con gran parte delle linee programmatiche presentate dal Ministro, anche perché, noi che siamo persone di scuola, chiaramente abbiamo a cuore il futuro dei nostri ragazzi, che sono i nostri figli, i nostri studenti e che, soprattutto, sono la garanzia per il futuro.
È chiaro, però, che il futuro che vediamo davanti a noi e ai nostri figli non è certamente roseo, almeno oggi. Concordiamo tutti nel riconoscere - com'è già stato detto - sia l'esistenza di un'emergenza educativa, sia le cause che l'hanno determinata: la caduta dei valori che abbiamo constatato all'interno delle famiglie, infatti, si è purtroppo trasferita anche nell'ambito scolastico.
Credo che sia le famiglie, sia gli insegnanti abbiano rinunciato al proprio ruolo educativo. La difficoltà, a mio avviso, sta nel fatto che i genitori prima e gli insegnanti poi hanno preferito essere amici, piuttosto che educatori. Sappiamo che l'impegno di educatori impone un incarico spesso molto pesante, poiché bisogna anche saper dire di no e così facendo, possiamo frequentemente scontrarci con i nostri ragazzi, ma ho notato - afferma altrettanto anche la psicologia più recente - che sono proprio i nostri ragazzi a chiederci di porre dei paletti. Quando i ragazzi, a scuola o a casa, si dimostrano ribelli e contrari a ogni imposizione, in realtà esprimono una richiesta di aiuto: vogliono sapere, da noi adulti, fin dove si possono spingere.
Proseguendo nella ricerca delle cause, sussiste inoltre un secondo fattore - secondo me molto importante - riferibile al ruolo delle famiglie e degli insegnanti, vale a dire l'equivoco - a cui ho già accennato - per cui l'espressione «diritto allo studio per tutti» è stata tradotta, invece, come «promozione per tutti». Credo che sia questo il grande equivoco che ha portato a travisare le parole di tanti educatori che sono stati già ricordati, tra cui don Milani e perfino lo stesso Gramsci. Come ricordava il Ministro, Gramsci affermava che la scuola è qualcosa di faticoso, che può


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suscitare noia (e tante volte lo fa), paragonabile a un abito acquisito con sforzo e con fatica.
Invece, partendo dall'assioma iniziale: «scuola per tutti, diritto allo studio», si è voluto fare della scuola un luogo in cui si deve vivere come se ci si trovasse in un patronato a trascorrere il pomeriggio; in altre parole, una scuola-parcheggio, sia per gli studenti, sia soprattutto per gli insegnanti.
Se infatti gli insegnanti hanno smarrito il proprio ruolo, ciò è accaduto proprio perché essi hanno abdicato al loro compito, cosicché la scuola ha perso la propria funzione educativa, diventando una sorta di parcheggio, come dicevo, a tutti i livelli (compresa ormai anche l'università, di cui, tuttavia, non voglio parlare).
Concordo dunque con la definizione che è stata data di scuola intesa come ammortizzatore sociale. La scuola è di certo frequentata da molti che sono interessati e da persone che la amano.
Personalmente sono andata a scuola e ho amato farlo: da bambina giocavo a fare la maestra. Mi piace stare nella scuola, però mi piace anche imporre regole e norme molto determinate, talora anche rigide. Così come noi insegnanti pretendiamo rispetto dagli studenti, altrettanto rispetto necessitano questi ultimi da noi. Non fornire loro quelle regole di cui parliamo, non significa essere aperti alle loro esigenze, bensì non rispettare queste ultime e non permettere la crescita degli studenti nella consapevolezza del ruolo che essi svolgeranno nella società futura, degli incarichi e delle responsabilità. Purtroppo la scuola è diventata il luogo dell'irresponsabilità ed è per questo che siamo arrivati a certe forme di bullismo e di violenza, anche all'interno delle scuole, nonché alla già citata assenza di rispetto.
Mi chiedo come sia possibile che degli insegnanti abbiano permesso - io non l'ho mai fatto - che i ragazzi entrassero a scuola con i calzoni calati a metà, con i jeans strappati, o con l'ombelico in vista. Quando ciò è successo nelle mie classi, ho sempre caldamente invitato i miei studenti ad uscire e laddove mi si rimproverava di non lasciarli liberi di vestirsi come volevano, rispondevo che erano liberi solo a casa propria e non a scuola, un'istituzione che richiede rispetto. Lo stesso discorso vale per i telefonini: spesso basta dire chiaramente ai ragazzi che il loro uso in classe non è consentito.
Questa, purtroppo, è la situazione attuale della scuola. Tutti i sondaggi - li ricordo rapidamente - ci rivelano che, su 57 Paesi, l'Italia è al trentesimo posto per lettura, al trentaseiesimo per cultura scientifica e così via. Però l'OCSE afferma anche - e non l'ho sentito dire qui - che il Veneto, da cui provengo, è al nono posto per indice di lettura (al secondo posto in Europa). L'OCSE sostiene anche che il Veneto, nelle materie scientifiche, è al settimo posto. Parlo del Veneto perché sono veneta, ma potrei citare anche altre regioni del Nord.
Spostandosi più a Sud la situazione cambia.
Sempre facendo riferimento alle fonti OCSE - come abbiamo potuto sentire tutti l'altro ieri su Italia Oggi - un «8» al Sud equivale a un «5» al Nord. Questo non l'ho inventato io, veneta leghista: è una verità!
Simili affermazioni non ci inducono alla rassegnazione, che non sappiamo cosa sia , ma ci incitano ad agire e a lottare per risolvere i problemi.
È evidente, quindi, che occorre andare alla ricerca di soluzioni, che noi della Lega Nord Padania individuiamo in una risposta molto chiara e che, d'altra parte, tutti conoscete. Si tratta di ancorare la scuola al territorio, per quanto riguarda sia i programmi, sia il reclutamento. Noi della Lega Nord Padania proponiamo - mi pare di avere visto qualcosa di analogo anche nella proposta del presidente Aprea - la regionalizzazione delle graduatorie. In effetti, pensiamo a un albo al quale si possano iscrivere gli insegnanti, con l'assegnazione di punteggi di preferenza a chi risiede nel territorio (ad esempio, noi prevediamo cinque anni di residenza).
Altro elemento per noi importante è l'ancoraggio al territorio, all'identità culturale


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e regionale. Vedo che tale ancoraggio è stato riportato anche nelle proposte del Ministro, in modo particolare per quanto riguarda la conoscenza della cultura, della lingua, della storia e delle tradizioni. Si tratta di una conoscenza, però, che chiediamo non soltanto agli studenti, ma anche agli insegnanti.
Qui, magari, qualcuno sorride sentendo il mio accento veneto. Ebbene, ci si immagini la situazione dei ragazzi delle nostre campagne del Nord, che parlano un veneto molto stretto e che non sono abituati a parlare italiano: molto spesso, gli insegnanti provenienti da altre regioni non vengono compresi. Devono passare alcuni mesi, prima che si riesca a superare tale ostacolo. Questa è la realtà!
D'altra parte, dico anche che, se certi insegnanti non stanno bene al Nord, possono rimanere dove sono. Se, invece, vanno in altre regioni, devono adeguarsi agli usi, ai costumi, alle tradizioni e quant'altro.
In effetti, chiediamo che anche per gli insegnanti, così come per le cosiddette classi ponte - parleremo in seguito dell'integrazione - venga attuato un esame di conoscenza della lingua, degli usi, dei costumi, della storia e delle tradizioni dei luoghi in cui vanno a insegnare.

MANUELA GHIZZONI. Quale lingua, quella italiana?

PAOLA GOISIS. La lingua italiana, ma anche quella locale (Commenti).
Non avrei fatto il riferimento alla lingua veneta, per evitare polemiche, ma visto che mi avete invitata, accetto caldamente l'invito.
Non è possibile che lo Stato italiano non abbia riconosciuto la lingua veneta, che ha mille anni di storia, a fronte dei centocinquanta della lingua italiana; quella lingua veneta che è stata riconosciuta dall'Unesco e che, già dal 1993, la direttiva europea ha imposto di riconoscere. Mi chiedo come mai si rilevi un'opposizione di questo tipo e rivolgo un caldo invito al Ministro perché si adoperi nel senso del riconoscimento. Dal canto nostro, presenteremo una proposta di legge in tal senso, che mi auguro sarà accolta.
Badate, insisto sulla lingua, sulla cultura e sulle tradizioni non per andare contro la cultura fissata dal Ministero, vale a dire contro le linee guida nazionali. Al contrario, ho sempre insegnato le varie vicende italiane ed europee, anche se non mi sono assolutamente dimenticata di insegnare la battaglia di Legnano, Federico Barbarossa e le sue guerre contro il nord, i dogi di Venezia e via dicendo. Però, ero una delle poche che lo faceva. Al Nord non lo fanno, perché bisogna attenersi ai programmi. Siccome il programma nazionale non parla di tutto ciò, non lo si tratta. Invece, personalmente, ma credo anche come gruppo della Lega Nord Padania, ritengo che sia fondamentale.
Sussiste, a mio parere, un grande equivoco: in nome della multiculturalità, adesso che abbiamo tante immigrazioni, arriviamo ad abdicare - nuovamente - alle nostre peculiarità. Si parla sempre di arricchimento culturale, ma - chissà perché - l'arricchimento delle culture che arrivano dall'esterno deve sempre mortificare la nostra millenaria cultura. Non è questo il modo di agire. Anche qui, rivolgo un caldo invito perché non succeda ancora, come è successo nelle scuole del Nord (ma anche altrove) di non potere più fare la festa dei presepi, di non potere più nominare la parola Gesù, sostituita con la parola «virtù», solo perché qualcuno avrebbe potuto offendersi. Mi piace chiamare tutto ciò «storia attuale» perché lo ritengo importante.
Rivolgo, dunque, un caldo invito affinché non si abdichi al riconoscimento e alla valorizzazione dei nostri simboli. Si tratta di simboli millenari, simboli cristiani, come il crocifisso nelle scuole, oppure - perché no - il Natale. Dopodiché, si può anche insegnare il Corano. Io stessa, quando insegnavo storia, parlavo anche del Corano e non mi tiravo certo indietro. Credo che questo sia il modo intelligente di affrontare la multiculturalità, mentre non accetto, assolutamente, che si debba


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rinunciare alle nostre peculiarità storiche e culturali in nome di una multiculturalità travisata.
Per quanto poi riguarda la difficoltà in matematica dei nostri ragazzi, non potrebbe essere diversamente. Se dalla quarta elementare in poi si comincia a usare la calcolatrice, è chiaro che i nostri ragazzi non sapranno la matematica!
I nostri bambini, prima, e ragazzi, poi, devono ritornare a studiare le tabelline, a svolgere le moltiplicazioni e le divisioni a memoria; magari, anche a scrivere col pennino - voglio andare oltre - e a praticare la bella grafia. So che queste forme sono considerate datate, così come, ad esempio, il discorso relativo all'uso del grembiule, che però rappresenta un elemento di uguaglianza sociale, come già ha anticipato la collega Giammanco, sul quale concordo, anche per ovviare agli inconvenienti di cui parlavamo prima e riguardanti il modo di vestire dei ragazzi.
Altro punto importante, a cui teniamo molto, è la questione della formazione degli insegnanti. Avevamo finora una serie di modalità per l'accesso alla scuola. Adesso non so bene se interverranno le SSIS (Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario) o se saranno istituite altre modalità e altri sistemi. Tuttavia, per avere un corpo insegnante adeguato occorre, imporre, a coloro che vogliono fare gli insegnanti, studi di psicologia dell'età evolutiva, di psicologia sociale, di pedagogia, in più rispetto alle conoscenze che sicuramente hanno assunto con i propri studi. Credo che questi elementi siano fondamentali.
Sempre in riferimento agli insegnanti, si assiste in questi giorni a una stretta sull'assenteismo. Premetto che ritengo sbagliato fare di ogni erba un fascio. Però, mi permetto di esprimere la seguente considerazione: fino a due o tre anni fa, con l'arrivo del nuovo anno, la scuola riprendeva dopo l'Epifania, il 7 gennaio, mentre per qualcuno - e non era del Nord - ricominciava il 20-25 gennaio. Lo stesso dicasi per le ferie: iniziavano dieci giorni prima....

CATERINA PES. Ma quando?

PAOLA GOISIS. Prima di parlare, ascoltate. Sto dicendo una verità assoluta....

PRESIDENTE. L'onorevole Goisis si riferisce ad una prassi, purtroppo diffusa, secondo la quale insegnanti provenienti da altre regioni avanzano richieste di congedo particolari. La scuola, ovviamente, riapre regolarmente.

CATERINA PES. Ho capito.

PAOLA GOISIS. Non racconto certo barzellette. Nelle scuole, un certo numero di insegnanti - che però non erano del Nord, ci tengo a dirlo - assumevano questi particolari atteggiamenti.
Occorrono controlli seri e qualificati, anche riguardo agli insegnanti che si ammalano. Noi non ci ammalavamo mai. Personalmente sono stata assente per solo due volte: una volta per un'appendicite e l'altra per una bronchite, per la quale sono stata a casa dieci giorni e il preside, a me, che sono del Nord, ha avuto il coraggio non solo di inviarmi la visita fiscale (che ad altri, un po' più giù, non mandava mai), ma anche di telefonare al medico per chiedere se era vero che ero ammalata. Quando uno non si ammala mai, diventa strano perfino che, poi, si ammali.
Servono, dunque, controlli seri su chi veramente fa assenteismo...

EMERENZIO BARBIERI. Li avete abituati troppo bene!

PAOLA GOISIS. Sì, è vero. Comunque, non condivido la misura della trattenuta sullo stipendio e invito il Ministro, quando si terrà il Consiglio dei ministri, a rivedere anche questo aspetto con i suoi colleghi.
Per quanto riguarda il valore legale del titolo di studio, chiediamo che sia abolito. Chiediamo invece la tutela delle scuole paritarie. Infatti - non so cosa avvenga nel resto d'Italia - ma nel Nord queste ultime, che molto spesso sono condotte da sacerdoti,


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svolgono una funzione sociale veramente meritoria contro l'abbandono scolastico, trattenendo ragazzi che altrimenti trascorrerebbero il tempo per la strada, o dediti alla droga, con tutto quello che ne consegue. Assegniamo una enorme importanza a questo ruolo.
Per quanto riguarda la valutazione, a me interessa in particolare quella dei dirigenti scolastici. Spero che, per i dirigenti scolastici, non sia introdotta l'autovalutazione, in analogia a quanto avviene nell'amministrazione pubblica. Infatti, sappiamo che in quest'ultima i dirigenti si autovalutano e mi pare, con ciò, di avere detto abbastanza.

PRESIDENTE. Devo informare la Commissione che il Ministro potrà fermarsi al massimo fino alle ore 17. Quindi, a causa dello slittamento dell'inizio dei lavori, dobbiamo assolutamente terminare i nostri interventi entro quell'ora per consentire al Ministro, la settimana prossima, di replicare e chiudere questa fase iniziale, che si è prolungata oltremodo.
Saluto l'onorevole Fioroni, che ha inteso aggiungersi a noi in questi lavori. Come concordato con l'onorevole Ghizzoni, do la parola all'onorevole Fioroni. Il tempo del capogruppo del Partito Democratico in Commissione - la sua generosità è nota - sarà utilizzato dall'onorevole Fioroni, il quale, come tutti sanno, è stato Ministro nella scorsa legislatura.

GIUSEPPE FIORONI. Grazie signor presidente. Ringrazio l'onorevole Ghizzoni e il gruppo per avermi dato l'opportunità di svolgere un breve intervento, di cui sento la necessità, poiché, come ho dichiarato più volte nei tanti incontri che ci sono stati, il vasto tema dell'istruzione è uno di quelli su cui dovremmo evitare di litigare e ricordarci che, ciascuno di noi, è chiamato a parteciparvi con un contributo costruttivo.
Ho deciso di intervenire oggi in Commissione - e non in aula, al termine dell'approvazione della manovra economica - spinto non dall'intento di sostenere che ciò che è stato fatto in precedenza sia il meglio, in quanto ritengo che tutto possa essere modificato e migliorato, bensì dalla convinzione che alla ripresa dell'anno scolastico sia necessario risparmiare alla scuola ulteriori elementi di confusione, nonché scelte che avvengano per risulta e non per chiarezza.
Quando affronto questo tema - si tratta della prima delle tre considerazioni che intendo svolgere - mi riferisco innanzitutto all'obbligo di istruzione. Se dovessi dirlo con una battuta, all'interno della manovra appare quell'«anche» che è molto galeotto: non so se sia frutto della genialità del Ministro Tremonti o di altri, ma credo che meriti - mi riferisco al comma 622 della legge finanziaria - qualche ulteriore approfondimento.
Si è discusso a lungo, in questo nostro Parlamento, se dovessimo utilizzare il termine «obbligo scolastico» oppure «obbligo di istruzione», e credo, proprio nello spirito di un processo riformatore, che in molti, al di là degli schieramenti, sia prevalsa la decisione di convenire sul secondo termine, che nella precedente legislatura fu utilizzato per elevare l'obbligo dai 14 ai 16 anni. Questa scelta fu operata all'insegna della convinzione che, anche se si usava il termine «obbligo», ciò non doveva intendersi nel senso di una libertà in meno per i nostri ragazzi, bensì, al contrario, in quello di un'opportunità in più.
Per queste ragioni nella legge finanziaria furono introdotti due commi, il 622, che individuava l'obbligo di istruzione a regime e il 624, che individuava l'obbligo di istruzione nella fase provvisoria, estendendolo anche ai percorsi sperimentali triennali delle regioni che li avevano istituiti. Si prevedevano comunque - previsione che è rimasta, giacché la manovra economica non l'ha modificata - nuovi criteri da concordare in sede di Conferenza Stato-regioni, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, non solo per il riparto dei fondi, ma anche per far sì che questo assolvimento dell'obbligo di istruzione (che era un elemento di novità


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rispetto al precedente impianto della scuola pubblica italiana) facesse riferimento a criteri che offrivano ai nostri studenti un'opportunità in più e non una libertà in meno, tantomeno competenze, saperi e apprendimenti ridotti, signor Ministro, rispetto al precedente assetto.
Nella fase definitiva, a regime, invece si parlava di un obbligo di istruzione che poteva essere espletato anche fuori dalla scuola, in percorsi o progetti che prevedevano un processo di accreditamento su criteri scelti in conferenza Stato-regioni e valutati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo essere stati indicati dalla regione.
Tutto ciò per garantire che, sia nella fase transitoria, sia nella fase a regime, il regolamento - questo era lo strumento legislativo che allora fu utilizzato - consentisse l'acquisizione di saperi, e competenze comuni (aventi, cioè un comune elemento di minima condivisione) per tutti gli studenti che a 16 anni, comunque sia e in qualunque percorso di indirizzo, avessero intrapreso quell'iter di formazione.
Ciò al fine di evitare che si generasse, nel percorso dell'obbligo di istruzione, una divisione spiacevole che prevedesse, nell'ambito dell'istruzione pubblica italiana, un canale di serie A e un canale di serie B, operando una discriminazione tra saperi, apprendimenti e competenze dei ragazzi che portavano avanti l'obbligo di istruzione.
Per essere più chiari: il regolamento tuttora vigente definisce saperi, apprendimenti e competenze (che già oggi si applicano nei percorsi di istruzione e formazione sperimentali portati avanti dalle regioni) che rappresentano il minimo comune denominatore, poiché il presupposto è quello di rispettare gli stili cognitivi dei nostri ragazzi e far sì che tali stili cognitivi trovino momenti di incrocio non solo con un'offerta formativa ridotta nell'ambito scolastico, ma anche con strutture esterne che consentano di incrociarli, per abbattere così la dispersione scolastica.
L'onorevole Goisis, che ha fatto una giusta riflessione sui livelli dell'OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment), credo abbia ben presenti i tassi di dispersione scolastica del Veneto che ci dimostrano come la piaga della dispersione faccia da pendant con gli altri livelli dell'OCSE-PISA, come avviene da altre parti. Diciamo, semplicemente, che neppure il Veneto rientra nella media europea.
Per dire la verità, avendo a cuore l'Italia, mi preoccupa soprattutto l'indice medio della dispersione scolastica. «Una rondine non fa primavera» e, se anche il Veneto fosse perfetto, a me preoccupa che la Sicilia non lo sia (Commenti)!

PAOLA GOISIS. Sono gli altri che si offendono e non noi veneti!

GIUSEPPE FIORONI. Onorevole Goisis, lungi da me l'intenzione di offendere. Comunque sia, resta il fatto che l'Italia è una e che il livello di dispersione scolastica, se va abbattuto, va abbattuto dappertutto.
Allora, in questo processo di realizzazione di percorsi e progetti che incrociano i diversi stili cognitivi, va assicurata l'opportunità di definire le soglie minime di comune denominatore sui saperi, sugli apprendimenti e sulle competenze. A ciascuno, poi, resta la facoltà di valorizzare con il proprio stile cognitivo questi percorsi.
Di quell'«anche» che è stato realizzato, a me preoccupa il fatto che esso avvii, nella fase definitiva, un percorso che prevede saperi e competenze per la scuola media secondaria e - oggi - anche per i percorsi triennali sperimentali delle regioni, in riferimento al regolamento vigente e prevede, invece, a regime, per i percorsi e i piani di formazione triennale, il rinvio al capo III del decreto legislativo n. 226 del 2005, che ha elementi che appartengono ai livelli essenziali di prestazioni. Si stabilisce così, in maniera definitiva, una separazione da un lato tra i saperi, le competenze e gli apprendimenti della scuola tout court, dei percorsi triennali di formazione professionale in questo momento realizzati nelle regioni, e dall'altro la serie B che prevede i livelli previsti


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dal decreto n. 226 del 2005 antecedente all'innalzamento ed alla realizzazione nel nostro sistema dell'obbligo di istruzione.
Svolgo questa considerazione, perché spero che chi ha predisposto l'emendamento non avesse questa intenzione. Purtroppo, il meccanismo di realizzazione genera un doppio canale di istruzione che non era tale quando è stato emanato il decreto legislativo. n. 226, visto che l'obbligo di istruzione si fermava ai 14 anni.
Vi è, inoltre, un ulteriore aspetto, sul quale invito tutti, in particolar modo il Ministro, a riflettere. Abbiamo concepito l'obbligo di istruzione come un'ipotesi per concorrere all'abbattimento della dispersione scolastica e per cercare di realizzare un percorso anche al di fuori dal sistema di istruzione.
Francamente, non credo che i percorsi triennali siano l'unico strumento necessario. Se penso ai gradi di dispersione scolastica di Napoli, di Palermo, o di Scampia, molto probabilmente, per incrociare gli stili cognitivi di quei ragazzi (che la nostra scuola, oggi, perde), servono progetti e percorsi che siano in grado di intercettare le loro attenzioni e le loro disponibilità.
Questa è un'opportunità in più che dobbiamo offrire agli studenti italiani e non qualcosa che rischia di rappresentare, invece, un'opportunità per altri interessi collegati all'ampio complesso della formazione di questo nostro Paese, ma che nulla hanno a che vedere con gli interessi degli studenti stessi.
Ho detto prima: «dare di più», perché quando parliamo dei percorsi, anche sperimentali, che le regioni stanno realizzando in questo momento e nei quali si assolve all'obbligo di istruzione garantendo determinati livelli di apprendimento comuni, noi abbiamo previsto che la formazione professionale, che gestiva autonomamente con i fondi regionali i percorsi triennali, avesse un incremento di finanziamento (aggiuntivo, e non sostitutivo di quello regionale), assicurato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Si chiedeva, infatti, a quei percorsi sperimentali, nati quando non c'era l'obbligo di istruzione, di erogare agli studenti competenze, saperi e apprendimenti che non erano previsti. Quindi, si metteva nel conto che quella formazione professionale avesse necessità, oltre che dei fondi regionali e dei fondi sociali europei (che rappresentano l'80 per cento del finanziamento che le regioni ripartiscono), anche di fondi per la scuola, necessari per poter dare quel qualcosa in più che non esisteva quando erano stati progettati e che con quelle risorse non era possibile dare.
Credo non sfugga a nessuno - io stesso lo so bene - che l'idea di fare l'accreditamento, da parte del Ministero, dei percorsi e dei progetti, su criteri concordati con le regioni, non è probabilmente condivisa da molte di queste ultime, compresa la stragrande maggioranza delle regioni di centrosinistra.
Ebbene, ritengo che il Parlamento debba svolgere una riflessione sovrana, poiché la formazione professionale riveste un ruolo fondamentale ed eccezionale nel nostro Paese, che si svolge e si esplica in tutto l'arco della vita.
Si chiede, in sostanza, a parti della formazione professionale di condividere con la scuola l'onere di partecipare all'obbligo di istruzione e di formazione. Si tratta, inoltre, di concedere risorse aggiuntive e non sostitutive, alle regioni.
A me preoccupa se le regioni, in vista della chiusura dei fondi sociali ripartiti dalla Comunità europea, pensino di «mungere» la «mucca» della scuola italiana per realizzare una sorta di sostituzione nel finanziamento, dal fondo sociale europeo a quello della scuola pubblica italiana. In questo modo faremmo un grave danno, giacché, laddove le risorse non bastano per un percorso soltanto, guai se qualcuno pensasse di poter far vivere e convivere due percorsi diversi.
Intanto, avverrebbe la più grande «transumanza» della formazione professionale italiana, che tutta si riverserebbe sui percorsi triennali, nell'idea che, finiti i fondi regionali (o, meglio ancora, quei fondi regionali che, come sapete, arrivano


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per bando, non danno mai risorse sufficienti e non sono mai in grado di dare certezze), si possa, in sostituzione, attingere i fondi certi, magari mai in eccesso, rappresentati dalla scuola italiana.
Quindi, avremmo un fiorire di percorsi triennali che nel decreto legislativo n. 226 del 2005 erano previsti, ma lo erano allorquando non c'era l'obbligo di istruzione. Se si assolve in quei percorsi l'obbligo di istruzione, questi diventano scuola e, con una manovra che alla scuola ha tagliato tanto (e si accinge a tagliare ancora di più) molto probabilmente sortiremmo un effetto che fa scontenti tutti: non offre più opportunità ai ragazzi, perché avremo gli stessi percorsi di quando non esisteva l'obbligo di istruzione; non facciamo contenti neppure i centri di formazione professionale, che non avranno risorse aggiuntive, ma solo l'illusione di avere risorse certe dal bilancio della pubblica istruzione e non saranno più in grado di reggere alla transumanza di tutta la formazione professionale, o di una sua buona parte nella fase iniziale, a prescindere dalla qualità.
Ritengo, quindi, che sia necessario un momento di riflessione per capire che, tutto sommato, gli apprendimenti, i saperi e le competenze debbono essere unici, sia nella scuola, che nei percorsi e nei progetti. Occorre ricordarsi che, istituendo l'obbligo di istruzione, tutto ciò che si faceva quando tale obbligo non esisteva non può, tout court, trasferirsi al suo interno.
Delle due, l'una: o crediamo che l'obbligo di istruzione non debba essere previsto - posizione politicamente legittima e corretta - e si abroga, oppure, se deve esserci obbligo di istruzione, dovete convenire con me che ciò che si faceva quando tale obbligo non vigeva, non può essere fatto oggi tout court nello stesso modo.
Mi chiedo se sia il caso di ripristinare, nell'obbligo di istruzione, lo stesso tipo di regolamento e di mantenere in capo al Ministero la funzione di accreditare coloro che avranno i requisiti aggiuntivi per aggiungere alla formazione anche ciò che occorre per l'obbligo di istruzione.
L'unica cosa che non ci possiamo permettere di fare è quella che attualmente si prospetta come la configurazione di una doppia filiera, a spese del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Nel frattempo - a torto, o a ragione - abbiamo ripristinato gli istituti tecnici e professionali. Come voi sapete, la riforma Moratti aveva abrogato gli istituti tecnici e consegnato al limbo gli istituti professionali, avendo avviato la filiera dei percorsi di istruzione e formazione professionale.
Oggi, convivono nuovamente gli istituti tecnici e gli istituti professionali di Stato, mentre dall'altra parte si riattiva nell'obbligo di istruzione, quindi nella scuola, la filiera dei percorsi di istruzione e formazione professionale. Il limbo è stato abrogato anche dalla Chiesa. L'unica cosa che non si può fare è pensare non tanto di mantenere gli istituti professionali nel limbo (come aveva ipotizzato il Ministro Moratti), quanto piuttosto di sopprimerli del tutto senza neppure comunicarlo!
Con le risorse disponibili, con le risorse che sono state tagliate e con i tagli lineari degli oltre 80.000 o 100.000 docenti, non esistono i presupposti per mantenere insieme, pagate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - credo che il Ministro Tremonti lo sappia bene, stante l'impostazione della relazione - le due filiere degli istituti professionali di Stato e dei percorsi tecnici e professionali.
Le due cose insieme non possono funzionare, a meno che gli istituti professionali di Stato non vengono fatti perire per asfissia, passandone il personale alle agenzie. Non sto facendo affermazioni su temi di cui non abbiamo dibattuto: questo è uno dei tanti argomenti portati avanti, ad esempio, dalla regione Lombardia e da altre regioni. Dopo il passaggio alle agenzie, il personale che serve andrà nei percorsi di istruzione e formazione professionale. In questo modo, avviene il taglio significativo delle oltre 80.000 unità previste


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nella manovra e c'è, altresì, uno spostamento di fondi e risorse su una filiera, sopprimendone un'altra.
L'unica cosa che non si può pensare è che, con le stesse risorse, tagliate e ridotte, si possa mantenere in piedi una doppia filiera e che laddove dovevano esservi risorse aggiuntive sostanzialmente lo Stato si sostituisce alle regioni, che in progressione non hanno più soldi per la formazione professionale, e garantisce le certezze di finanziamento della formazione professionale, non dando analoghe certezze agli istituti professionali di Stato.
Anche qui, è legittimo operare una scelta, purché ciò avvenga con grande trasparenza e non con dibattiti fumosi.
Dico questo, signor Ministro, perché il Ministero dell'economia e delle finanze non cambia mai: non credo che passando da Padoa-Schioppa a Tremonti si sia verificata una profonda trasformazione. Credo che il modo di ragionare del Ministero dell'economia e delle finanze sia sempre lo stesso: adottare un criterio basato sull'aridità dei numeri, a prescindere dal merito. Nel caso della scuola esiste una complicazione: il merito della questione, purtroppo o per fortuna, è rappresentato sempre da risorse umane, siano essi studenti, docenti, o non docenti.
Ogni volta che l'aridità dei numeri produce effetti, se si mira alla trasparenza, ci si accorge che il danno lo pagano sempre i docenti, i non docenti, o gli studenti.
Non metto in dubbio la legittimità delle scelte, ma ribadisco la preoccupazione in merito alla possibilità di ritrovarsi, per una manovra economico-finanziaria, in una situazione in cui il regime transitorio preveda, per i nostri ragazzi, livelli di apprendimento, di sapere e competenze rispondenti a una legge che, a regime, scomparirà a favore dell'istituzione di due canali, uno di serie A e uno di serie B, con risorse che, invece di essere aggiuntive, saranno erogate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Quest'ultimo sostituirà con un proprio finanziamento quello delle risorse regionali e dovrà mantenere, con gli stessi soldi, la filiera degli istituti professionali di Stato e quella dei percorsi di formazione professionale.
Credo di dover riconoscere al presidente Formigoni grande lucidità, poiché da sempre la regione Lombardia, con più forza della regione Veneto e con ancora più forza della regione Piemonte, ha sostenuto che, qualora questo disegno andasse a regime, gli istituti professionali di Stato dovrebbero chiudere e il personale dovrebbe transitare alle agenzie, per essere da queste utilizzato.
Poiché credo che ciò non sia fattibile nell'immediato, forse è più semplice ripristinare una certezza sull'«anche», nonché chiarire con le regioni che una parte di competenze economico-finanziarie spetta a loro e che non è possibile che ciò che l'istruzione richiede in aggiunta vada a totale carico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Di fatto, mentre si compie una manovra di taglio, prevedere che si raddoppino le competenze è un miracolo che neppure nostro Signore, nonostante la moltiplicazione dei pani e dei pesci, poteva compiere.
Per quanto riguarda i tagli lineari enunciati, vi offro rapidamente una sola riflessione. Ho assunto la responsabilità di aver avviato un percorso di tagli, a causa dei quali sono stato omaggiato anche di un paio di scioperi e di qualche occupazione. Ebbene, credo che esistano tagli ipotizzabili e tagli ai quali neppure la creatività di Tremonti può sopperire. Se pensate, in tre anni, di realizzare i tagli previsti, dovete avere chiaro cosa ciò significhi.
Non c'è piano decennale che tenga: se sul «quaderno bianco» (il quale, se volete, è stato redatto da quegli stessi che, oggi come prima, lavorano al Ministero dell'economia e delle finanze) hanno ipotizzato 5, 10 o 15 anni, quella è la tabella di marcia seria. Onorevole Goisis, qualche giorno fa ho incontrato nelle valli del bergamasco - e devo dire che mi ha fatto molto piacere - alcuni consiglieri comunali della Lega Nord Padania, che, giustamente, dal loro punto di vista, stavano raccogliendo firme (lo dico anche a lei signor Ministro), per evitare che a seguito


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dei processi di razionalizzazione (non del Governo, bensì della regione Lombardia) si chiudessero gli edifici scolastici nelle frazioni di comuni montani di 1300 abitanti. Giustamente, essi protestavano anche con me, imputando quei fatti al mio precedente taglio, ahimè, di 11 mila docenti. A me è venuto da sorridere: forse non avevano letto questa manovra economico-finanziaria. Nelle valli del bergamasco, come in quelle del bresciano, non si chiude l'edificio scolastico delle frazioni, bensì si chiude direttamente la scuola dei comuni con meno di 5000 abitanti, a prescindere da quelli montani. Di ciò bisogna farsi una ragione. Nei comuni in cui abbiamo chiuso la caserma dei carabinieri e la farmacia, chiudendo anche la scuola, i cittadini diventano di serie B, mentre la Costituzione prevede che rimangano cittadini di serie A. Credo allora che dovremmo chiedere al Ministro dell'economia e delle finanze di svolgere un diverso ragionamento: se Tremonti ritiene che il piccolo comune sia un lusso e che la Costituzione italiana si possa cambiare discutendo liberamente in Parlamento, allora proponga la chiusura dei piccoli comuni.
Basta che ci rendiamo conto che a Roma non ci sono neppure le condizioni che, con i parametri proposti, consentano di mantenere quei tagli di docenti e non docenti, neppure riducendo ulteriormente. Per tagliarne 12 mila, infatti, avevamo già previsto la riduzione delle ore a 32, nonché gli indirizzi anche nelle sperimentazioni. Credo, quindi, che questo sia un altro degli aspetti di cui molto probabilmente si dovrebbe tener conto.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIUSEPPE FIORONI. Sto concludendo, signor presidente. Onorevole Goisis, non è dato a me di concederle il federalismo. Potrò partecipare delle proposte che riuscirete a presentare, se le presenterete e, soprattutto, se le voterete. Spero anzi di discutere presto il disegno di legge sul federalismo che presenterete, magari evitando il ricorso a troppe lingue italiane.
Signor Ministro, ho letto le sue considerazioni sui debiti. Anche a questo riguardo, credo che sui recuperi potrete trovare tante soluzioni migliori di quelle che ho trovato io. Tuttavia, abbiamo appreso che un maggior numero di studenti italiani sono stati promossi semplicemente perché i docenti volevano andare in ferie. Nessuno prende in considerazione l'eventualità che questi nostri scapestrati figli, forse, se noi fossimo un po' più seri, sentirebbero la necessità di diventare seri anch'essi. I genitori, invece di preoccuparsi per il fatto di non poter andare in vacanza ad agosto perché i loro figli devono studiare per recuperare, potrebbero dare loro una mano e spronarli a studiare di più!
Riguardo agli stipendi dei docenti, ho sentito molte dichiarazioni del Ministro Brunetta. Signor Ministro, lei si troverà a rinnovare il contratto, che è praticamente scaduto. In precedenza, noi abbiamo fatto molto male, aumentando, ahimè, di 80 euro lordi medi lo stipendio dei docenti. Il Ministro Brunetta, già allora - ma oggi continua a dirlo - mi spiegava che dovevamo ripartire quegli 80 euro lordi, cioè poco meno di 50 euro, ai docenti delle scuole italiane, in base al merito e alla produttività. Ciò che mi preoccupa è che il Ministro Brunetta continui ancora a dichiarare cose del genere.
Non è questa la sede per discutere del pubblico impiego in generale, ma rappresentando noi un terzo del pubblico impiego, vorrei fare solo un'osservazione: trovo criticabile che questo Governo abbia tolto il tetto di spesa per i grand commis e per gli alti dirigenti dello Stato (che guadagnano in un mese quello che un docente della scuola italiana guadagna in dieci anni) e che Brunetta detti regole per cui un docente, per avere meno di 50 euro, se lo deve meritare! Comunque, occorrono i mezzi.
Quando si è discusso, nella Costituzione, della scuola italiana, Calamandrei era solito affermare che l'unica possibilità per gli italiani di essere trasformati da sudditi in cittadini era un miracolo, e che tale miracolo lo poteva compiere la scuola. Sono convinto - tutti noi la pensiamo così


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- che anche in un sistema federale in grado di dare una mano, questo è un miracolo che solo la scuola può compiere. Come si dice in dialetto laziale, «non si fanno le nozze coi fichi secchi» e pensare di trasformare i sudditi in cittadini, senza fornire loro i mezzi, diventa un affare complicato.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Fioroni, per l'apporto che ha dato a questo dibattito.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Signor presidente, tenendo conto che dovranno intervenire altri due colleghi e che siamo tutti in attesa della replica del Ministro, visti i tempi che il presidente ci ha concesso, dovrei limitarmi a salutare e dare la parola ai colleghi.
Tuttavia, desidero fare alcune considerazioni molto rapide e sintetiche, prendendo spunto dalla citazione di Calamandrei con cui l'onorevole Fioroni ha concluso il proprio intervento. Credo che non sia sfuggito a nessuno un editoriale di Galli della Loggia, di tre giorni fa, sul Corriere della Sera, nel quale, in maniera pienamente condivisibile, l'autore, nella sua lunga riflessione, sosteneva qualcosa che certamente in questa Commissione - ne abbiamo avuto percezione nei dibattiti che finora si sono tenuti sui vari provvedimenti legislativi ed anche durante le audizioni dei Ministri - è fortemente condivisa.
Credo che alcune questioni, una delle quali è legata alla cosiddetta consapevolezza culturale dell'identità nazionale ed un'altra è quella della legalità, siano le precondizioni della politica, che non possono essere filtrate, o almeno, non dovrebbero esserlo. Ci sono questioni che rappresentano punti di forza per cercare di costruire un percorso politico per far rialzare l'Italia, come si è detto da parte nostra, in campagna elettorale. Galli della Loggia afferma che è inutile fare un ragionamento sulla necessità di far uscire dal declino l'Italia, se non si pone l'attenzione sulla più grande infrastruttura che ha a disposizione, ossia la cultura. Ovviamente, quindi, il discorso della scuola diventa centrale.
È indiscutibile, per l'onestà intellettuale che tutti ci caratterizza, che dobbiamo dire al Ministro, sia per la relazione che abbiamo potuto ascoltare, ormai qualche tempo fa - l'onorevole Goisis ha fatto bene a ricordare che questa audizione, nonostante la presenza assidua del Ministro in Commissione, si è protratta molto a lungo, anche perché abbiamo dovuto sempre lavorare molto su aspetti di tipo legislativo - sia per l'impostazione politica e per la direzione di marcia che fin dalle prime battute ha inteso conferire al suo Ministero, che Galli della Loggia ha scritto il suo articolo senza osservare ciò che si muove nella realtà italiana.
Io ritengo che, quando si vuole sottolineare come la più grande infrastruttura della Nazione sia la scuola, quando si vuole richiamare qualcosa che ai più è sfuggito, si operi, con forza, una sottolineatura che non è solo di tipo teorico-culturale, ma anche di tipo metodologico.
Già da tempo si diceva che, ad una parte del cosiddetto centrodestra - allora AN, oggi ancora non abbiamo capito se ci siamo già sciolti o se dovremmo già essere un partito unico, anche se, di fatto, lo stiamo diventando - non convinceva la storia delle tre «i» di Berlusconi, se non si fosse aggiunta la quarta «i». È arrivato il Ministro Gelmini e lo ha sottolineato.
Noi di AN - ma non solo noi - siamo convinti da sempre che si possa parlare benissimo in inglese, navigare perfettamente su internet e avere cultura di impresa, ma ciò non basta se non si sa da dove si viene, se non si conosce il passato e non si capisce qual è la grande, straordinaria stratificazione storico culturale della Nazione. Si tratta di un retaggio - onorevole Goisis - molto complesso. Possiamo anche metterci d'accordo: ad esempio, mi preoccupo pochissimo delle polemiche, poiché la penso come lei sulla necessità di ripensare l'identità nazionale. Prendere atto che l'identità nazionale è una pluralità straordinaria di paesaggi culturali vari, anche antropologicamente, è un punto di forza per costruire realmente


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una condivisa visione di una Nazione che - come qualcuno diceva - deve essere un plebiscito che sempre si rinnova, una volontà di essere Nazione, partendo dal presupposto che la storia è stratificazione.
Le voglio dire - senza voler suonare polemico - che da questo punto di vista, per quanto riguarda alcune zone del meridione, mi preoccupa poco che i ragazzi parlino il siciliano, (che pure è una lingua, da provate fonti documentali, forse ben più antica del veneto, e certamente della stessa lingua italiana). A me sicuramente interessa molto di più che i ragazzi italiani - la mia è una provocazione di tipo culturale - «pensino greco». Possono anche non saper parlare, ma devono «pensare greco». Il problema dell'Italia è che non si «pensi più in greco», ossia, non si abbia più la percezione e la consapevolezza della natura straordinaria di questo percorso, che è poi l'identità della Nazione: un'identità dinamica, fatta per contaminazione, andata avanti attraverso un passaggio straordinario, da un passato fortemente legato alla visione - anche su questo si innescano grandi polemiche - politeista e pagana, che si è poi inverato nella grande tradizione rinascimentale, la quale non ha fatto altro che traslare questa tradizione in una pluralità di immagini e simboli che sono il concetto dell'identità nazionale.
L'identità nazionale italiana, a differenza di quelle austriaca o svizzera, è costituita proprio dalla pluralità dei paesaggi culturali. Da questo consegue una riflessione importantissima sul federalismo fiscale. Dovremmo avere la capacità di declinare quest'ultimo attraverso una percezione della stratificazione storico-culturale, oltre che di quella economica. «Una grande Nazione» - dice Galli della Loggia - «non può non occuparsi di cultura»; una grande Nazione non può neppure vivere le ultime tre o quattro campagne elettorali con i due candidati premier che si sfidano parlando solo di tasse e di cuneo fiscale!
In campagna elettorale, francamente, non ho mai sentito parlare né di università, né di scuola, né di cultura, né di patrimonio culturale. Su questi punti sono convinto che in questa Commissione (proprio perché, probabilmente, la si sceglie in quanto si ha una vocazione a interessarsi ad alcune precondizioni del dibattito politico) ci sia la possibilità di svolgere un grande lavoro.
Credo che il Ministro abbia centrato il punto, con il ragionamento sulla quarta «i» e con la riflessione sulla più grande infrastruttura. Ricorrendo ai numeri, mi pare chiaro che se il 95 o il 97 per cento delle spese correnti serve a pagare gli stipendi, allora occorre capire quale sia la ragione sociale della scuola, che non è certo il mantenimento di un livello occupazionale cresciuto a dismisura negli anni '90 (che ha fatto crollare la qualità dell'offerta formativa), bensì il diritto all'istruzione degli studenti e dei giovani. Anche su questo punto dovremmo riflettere in modo approfondito.
Mi permetta, Ministro, un'annotazione, a mio avviso importante (l'abbiamo fatto anche con un ordine del giorno, che è stato accettato con una piccola riformulazione, che allunga i termini ad almeno 120 giorni): non si può dare una risposta semplicistica (in questo l'ultima parte del ragionamento dell'onorevole Fioroni è condivisibile); non si può pensare che in 45 giorni, come prevede il decreto, si arrivi a ricostruire quanto previsto (Applausi).
Credo che il Ministro la pensi esattamente come noi: non si tratta di un'impresa ciclopica, bensì semplicemente di un'impresa impossibile.
Voglio poi sottolineare che sono intervenute alcune novità, anche di carattere simbolico, che sono già state registrate e che sono importanti, sempre in relazione al ragionamento di Galli della Loggia di fornire la percezione di una volontà di credere in questo tipo di nuovo approccio ai problemi della formazione scolastica e del modello educativo. Ad esempio, si è parlato del grembiule. Potrei essere considerato un pioniere da questo punto di vista, ma non ne voglio fare una rivendicazione.
Penso che, ad esempio, l'autonomia scolastica sia un qualcosa da preservare,


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ed è stato molto importante che la piena applicazione dell'autonomia abbia potuto fare i primi passi con la riforma Moratti. Però, uscendo dalla retorica, è anche vero che molti collegi di istituto non hanno saputo gestire l'autonomia; non hanno la più pallida idea di come si gestisca un rapporto con il mercato, vale a dire con coloro i quali potrebbero aiutare la vita della scuola. C'è, dunque, anche a questo proposito, un altro tipo di riflessione da fare.
Sono convinto, signor Ministro, che, anche per dare un altro segnale - non me ne voglia l'onorevole Goisis - non di unità nazionale, bensì di percezione del medesimo destino della nostra comunità, la scuola debba iniziare in tutta Italia lo stesso giorno. Badate, non si tratta di un fatto burocratico; so che a molti può sembrare soltanto un problema legato a una visione un po' romantica - magari dei tempi del collega Barbieri e, forse, anche prima - dell'odore delle castagne il primo ottobre. Credo invece che questa idea sia sintetizzata in un richiamo ormai condiviso e che fa parte delle culture politiche in modo trasversale, ovvero il richiamo alla volontà di tornare al merito. In fondo, il merito è l'unica forma di garanzia sociale per quelli che vogliono uguali basi di partenza, per poter poi avere una capacità di progressione.
Infine, rivolgo realmente una battuta all'onorevole Goisis, che ho avuto modo di apprezzare a fondo in questo ultimo periodo, cogliendone la passione, l'intelligenza e la profonda conoscenza. Mi riferisco ad una sua recente dichiarazione che non ho condiviso. Al di là di una valutazione di tipo percentuale - penso che, sui morti di mafia, ci sia una grandissima percentuale di tipo etnico, avendo il 99 per cento una certa appartenenza geografica - le regalo la riflessione di uno scrittore, (che è anche un maestro di Comiso, del sud più profondo) Gesualdo Bufalino, il quale diceva che «contro la mafia, serve più un maestro che un carabiniere».
Noi crediamo che la scuola abbia questa missione, perché dà consapevolezza culturale. Riteniamo che gli insegnanti del Sud non siano andati al Nord in vacanza, ma a fare i concorsi - che sono nazionali - per vincerli e che abbiano dato un grande contributo alla crescita della consapevolezza culturale anche di quel Veneto che poi, nell'impresa, nell'industria e nelle varie attività è riuscito a dare un apporto fondamentale alla vita della Nazione (Applausi).

EMERENZIO BARBIERI. Signor presidente, lei si renderà conto, al pari della Ministra, che non sono in grado di intervenire.
Onorevole Gelmini, da questo punto di vista recupero per intero quello che l'onorevole Finocchiaro ci spiegò quand'era Ministra delle pari opportunità: il modo migliore di rispettare la parità dei sessi è declinare al femminile una serie di sostantivi. Lo disse l'onorevole Finocchiaro in uno splendido intervento, per cui lei mi permetterà di chiamarla «Ministra».
Presidente, lei capisce che in cinque minuti è difficile svolgere un intervento. Dico solo che invidio molto chi ha potuto parlare per primo, perché non aveva limiti di carattere temporale. Credo che, comunque, la Ministra Gelmini tornerà in Commissione, per cui avremo modo di discutere nuovamente.
L'unica questione che intendo porle, Ministra, è quella posta nell'intervento che ha fatto oggi l'ex Ministro Fioroni (che, a mio giudizio politico, ha fatto malissimo il Ministro della pubblica istruzione e gliel'ho detto in faccia, quindi non sto approfittando del fatto che sia andato via), e che interessa anche a me. Vorrei che lei, in sede di replica, ci spiegasse bene qual è l'intendimento del Governo - mi permetto di farle presente che sarebbe bene, nel prosieguo dei mesi, che ci fosse anche un confronto molto serrato fra il Governo e la sua maggioranza - sulla questione della validità, oggi, della riforma Moratti.
In quel quinquennio, come l'allora sottosegretaria Aprea e il capogruppo di Forza Italia, Garagnani, ricorderanno (io allora militavo nell'UDC e non nel PDL), ci furono con lei e con il Ministro Moratti (devo dire anche con gli amici di AN e con


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quelli della Lega) una serie di confronti molto duri, in quanto le opinioni non erano sempre convergenti. Alla fine, con difficoltà, attraverso sedute fiume, arrivammo a un testo (inutile che spieghi ai membri di questa Commissione il testo della legge Moratti) in grado di soddisfare, non certamente l'opposizione, che fu violentissima e durissima, ma tutte le componenti della maggioranza.
Lei ha detto alcune cose molto interessanti nella sua relazione, anche innovative, però vorrei capire come tutto ciò si innesti su quello che è stato, nel quinquennio 2001-2006, il nostro punto di riferimento. Teniamo conto che i due anni di Governo del centrosinistra, sui temi della scuola, hanno causato soltanto disastri, in quanto Fioroni, data la disomogeneità della sua maggioranza, non ha potuto o voluto, sebbene più volte da noi invitato durante le audizioni in Commissione, presentarci una proposta alternativa e diversa di riforma della scuola.
Piuttosto che, al cambio di maggioranza, cestinare la riforma Moratti, si è preferito perseguire la strada, che non esito a definire subdola, per cui, ad ogni finanziaria e ad ogni provvedimento, si smontavano pezzettini di tale riforma, ponendo di fatto le opposizioni nell'impossibilità di confrontarsi con un progetto politico legittimo, anche se non condivisibile, della maggioranza.
Ebbene, siccome alcuni guai sono stati fatti, a me interesserebbe molto che lei in sede di replica - è l'unica questione che le pongo e la prego di credere che ne avevo molte, tra l'altro è l'unica volta che ho scritto un intervento di nove pagine, perché parlo sempre a braccio - ci dicesse che cosa pensi al riguardo, perché credo che ciò sia molto interessante, per il prosieguo dei lavori suoi e della Commissione.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor presidente, devo dire che ho un certo rammarico, nel senso che, probabilmente non è colpa di nessuno, ma discutere la relazione di un Ministro - io la chiamo al maschile, differentemente da quanto ha fatto il collega Barbieri - a mesi di distanza, laddove nel frattempo è successo di tutto (è passata una finanziaria, sono state poste tre fiducie, lei ha rilasciato dichiarazioni ai giornali e l'ho ascoltata anche a Radio anch'io) e rischia ormai di essere superata dai fatti, diventa estremamente complicato.
Quindi, lamento questo ritardo dei lavori, che spero non abbia più a verificarsi, perché, sebbene non sia colpa di nessuno, rimane un fatto sgradevole.

PRESIDENTE. Onorevole colleghi, lei sa benissimo che il Ministro è anche intervenuto sui problemi dell'università. Con quella della prossima settimana, saranno cinque le sedute che hanno visto la partecipazione del Ministro ai lavori della nostra Commissione. Tra l'altro, abbiamo sempre avuto tempi molto ristretti, sia per gli impegni nostri, sia per quelli del Ministro.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Anch'io avevo preparato una relazione lunga e circostanziata. Ho avuto tutto il tempo di prepararla, visto che è passato tanto tempo. Non andrò quindi a braccio, come alcuni hanno fatto. Tuttavia le pongo soltanto alcune questioni che mi interessano. Sebbene siano già state citate dai colleghi, mi piace sottolinearle per quello che è possibile.
Devo dire che mi trovo fondamentalmente d'accordo con la sua relazione, sulla quale non ho alcunché da stigmatizzare. Mettere al centro la persona, l'alunno, il valore della testimonianza, l'analisi spietata sui risultati negativi della scuola e su quello che in effetti la scuola è, cercare di tornare al rafforzamento dell'autonomia scolastica, invocare un'alleanza, uno scatto d'orgoglio, puntare sul buonsenso e sulla professionalità dei docenti, sono cose che, credo, condividiamo tutti.
A maggior ragione condivido nel merito il discorso che lei ha fatto sul tentativo di ridare ai ragazzi l'orgoglio e il piacere di studiare e di meritare una promozione, che effettivamente è oggetto di fatica.


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Il problema, se posso essere franca, è che si tratta di un discorso estremamente generico. Condivisibile quanto si vuole, ma pur sempre estremamente generico. Questo suo stesso discorso, Ministro, poteva farlo un sociologo, un intellettuale, un poeta, un pedagogista, un membro del Parlamento, in quanto si tratta di dichiarazioni di principio, certamente necessarie all'inizio di legislatura, quando un Ministro deve presentarsi alla Camera per illustrare il proprio programma.
Non nego, quindi, la bontà delle cose che lei ha detto, ma a mio avviso si tratta di un primo pezzo. Dopodiché, nella seconda parte, avrebbe potuto, forse, dire di più di quello che ha detto sul tema delle cose concrete che ci interessano in merito alla scuola. Nella replica, immagino, potrà colmare questa lacuna.
I problemi della scuola sono stati tutti denunciati, e credo che lei ne abbia reso un onesto e lungo elenco. Ma, ripeto, non è andata oltre la superficie e, forse, si potevano approfondire ulteriormente i temi, uno dei quali, che mi sta molto a cuore - ognuno di noi ha i propri temi preferiti - è quello della dispersione scolastica, certamente legata alla scarsa efficacia della scuola. Personalmente sostengo la discutibile capacità di certi docenti (dobbiamo essere, se vogliamo, anche spietati nel giudizio), che sono stati reclutati senza le dovute garanzie. Di certi errori si paga sempre lo scotto. Siamo, peraltro, tutti molto bravi a fare l'analisi; molto meno, forse, a proporre rimedi e credo che lei abbia bisogno di trovare anche delle soluzioni.
Non abbiamo mai cercato di capire davvero perché esista la dispersione scolastica; quanto incida il livello culturale delle famiglie; quanto il fatto che in certi territori alcune scuole non ci siano e i ragazzi non possano scegliere secondo i propri desideri, bensì in base all'offerta scolastica presente; quanto incida la distribuzione nei singoli territori del tipo di scuola e, quindi, quanto ciò condizioni le scelte dei ragazzi.
Le formulo una proposta: perché non pensare all'ipotesi dell'istituzione di un'anagrafe informatizzata degli studenti, che segua il percorso scolastico degli alunni da quando mettono il piede a scuola, fino a quando ne escono? So benissimo che, rispetto a questa proposta, già avanzata in passato, qualcuno ha ribattuto l'impossibilità di attuazione, sollevando un problema di privacy. So che questa obiezione sussiste, ma non posso accettare che sia invocata la privacy per impedire di fornire all'amministrazione della scuola uno strumento che, a mio avviso, sarebbe molto importante. Le chiedo non di rispondermi in modo affermativo, o negativo, ma di valutare l'opportunità di un'ipotesi di questo genere.
Ciò significherebbe dare uno strumento al governo della scuola; poter in qualche modo definire i percorsi e i piani personalizzati degli studenti; sapere l'utenza dov'è, come va, come funziona e dove gravita; poter programmare tipi di scuola e offerta formativa nei vari territori; poter operare tagli (o, perlomeno, realizzare una riorganizzazione dei docenti) in base a questa informazione sugli alunni, dei quali non si conosce praticamente nulla.
Una sana politica contro gli sprechi, che io condivido, potrebbe transitare anche attraverso uno strumento del genere, per assicurare a ogni alunno un percorso scolastico che sia adeguato alle rispettive caratteristiche e capacità, a ciò che sa fare, al tipo di luogo in cui vive e al tipo di famiglia a cui appartiene.
La distribuzione delle istituzioni scolastiche, oggi, è affidata agli enti territoriali, cioè ai piani provinciali. Quindi, in realtà, la pianificazione scolastica viene predisposta non dalle competenti amministrazioni scolastiche, bensì dall'ente locale, che esclude praticamente la scuola. Anche questo è un problema. Ebbene, come pensa lei, in base alla distribuzione delle scuole nel territorio, di conciliare la pluralità delle competenze (visto che ci sono amministrazioni scolastiche ed enti locali), l'esigenza dell'autonomia scolastica che lei ha giustamente invocato, le esigenze del territorio che dobbiamo parimenti considerare, l'attuazione delle norme costituzionali, i piani dell'offerta formativa?


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Credo che la dispersione scolastica sia legata a questo tipo di problemi e mi piacerebbe che lei potesse, in qualche modo, affrontare questa tematica.
Lei ha anche affermato che occorre riconoscere lo status professionale dei docenti e io sono perfettamente d'accordo. Le chiedo se pensi di riconoscere questo status professionale dei docenti facendo, per esempio, una contrattazione separata rispetto ai non docenti, oppure se pensi di poter in qualche modo dare ai docenti uno status diverso. Inoltre, le chiedo: come potrà avvenire il reclutamento dei docenti?
Rammento che, quando ero al forum delle famiglie, avanzammo una proposta, che poi presentammo all'allora Ministro Moratti, di reclutamento dei docenti fatto dalle scuole, con le dovute garanzie. So che questo reclutamento è causa di grandi contestazioni: ci sono ragioni a favore e contro. Però, credo che il reclutamento dei docenti, così com'è fatto oggi, sia assolutamente fallimentare.
Sono d'accordo e condivido la sua iniziativa di congelare per un anno i SSIS. Tuttavia, credo che occorra ridare valore e voce ai docenti, non solo aumentando loro gli stipendi (con i tagli che sono stati fatti, non sarà neanche possibile immaginarlo, visto quello che è successo). Lo status degli insegnanti transita anche dal loro reclutamento e dal fatto che abbiano una contrattazione separata rispetto ai non docenti.
Stessa cosa dicasi per i dirigenti. Mi domando come si faccia a chiedere ai dirigenti scolastici di rispondere del proprio operato e dei risultati ottenuti e, quindi, delle loro scelte, quando questa funzione dirigente non si tiene nella dovuta considerazione, non riconoscendole adeguati poteri.
La vera autonomia della scuola transiterà e sarà reale allorquando ci sarà un'effettiva autonomia nel reperimento delle risorse e nel reclutamento di insegnanti e di dirigenti che abbiano effettivamente la possibilità di esplicare il loro compito.
Vengo al tema dell'integrazione dei disabili. Lei ne ha fatto cenno, ma non è stato un argomento estremamente approfondito.
Ho chiesto, nell'emendamento alla legge finanziaria in cui si parlava della riduzione del personale scolastico, di fare salvo quanto atteneva agli insegnanti di sostegno. Questa mia proposta è stata respinta e l'emendamento non è stato accolto. Evidentemente, non mi resta che pensare che gli insegnanti di sostegno non sono una priorità e non sono molto importanti, dal momento che...

PRESIDENTE. Le rammento, onorevole Capitanio Santolini, che poi è passato l'ordine del giorno De Torre, che abbiamo votato all'unanimità.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Un ordine del giorno non si nega a nessuno.

PRESIDENTE. No. È stato concordato con il Governo.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Comunque vedremo che cosa succederà. Rimane il fatto che sarebbe stato molto meglio accogliere la mia proposta emendativa, in cui si metteva nella legge, nero su bianco, che si faceva salvo il discorso degli insegnanti di sostegno.
Credo, tuttavia, che non basti parlare degli insegnanti di sostegno, in quanto ritengo che occorra coinvolgere anche gli insegnanti comuni. Finché non si passerà attraverso un coinvolgimento (nei metodi e con i criteri che sono tutti da vedere) degli insegnanti comuni, il disabile non sarà mai una risorsa, ma sempre un problema da risolvere. Non può essere che un disabile debba gravare solo sull'insegnante di sostegno.
Le chiedo, signor Ministro, se sia possibile che la scuola rivendichi un proprio ruolo, per esempio, nell'attuazione della legge n. 328 del 2000, laddove non è assolutamente prevista. La scuola potrebbe concorrere a un progetto di vita dello studente, che vada anche oltre la sua permanenza scolastica, poiché nessuno,


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più della scuola, lo conosce (insieme alla famiglia, evidentemente). Si potrebbe immaginare che la scuola partecipi ad un progetto di vita nell'ambito della legge n. 328 del 2000, dove sono coinvolti gli enti locali e tutte le realtà che gravitano sul territorio. Potrebbe essere un percorso non complicato, dove la voce della scuola si potrebbe far sentire anche con riferimento ai disabili.
Per quel che riguarda la formazione professionale, sono del parere che l'onorevole Fioroni abbia ragione. L'idea di dare alla formazione professionale dignità e percorsi uguali, mi trova assolutamente d'accordo. Credo che con questa manovra finanziaria, nella situazione contingente, sia stato inferto un forte colpo di maglio alla formazione professionale. Sta a lei far partire, evidentemente, misure in grado di tranquillizzare chi nutre grosse preoccupazioni, con le relative passerelle da un tipo di scuola ad un'altra. Ciò garantirebbe la pari dignità dei due percorsi. Diversamente, il rischio è che un percorso rimanga sempre di serie A e l'altro sempre di serie B.
Vengo agli ultimi due temi, che lei non ha approfondito abbastanza e che quindi tengo a sottolinearle. Innanzitutto, il problema della famiglia.
Lei ha detto, fra le affermazioni di principio della prima parte, che la famiglia deve essere presente nella scuola e che occorre un'alleanza con la famiglia. Condivido e non ho dubbi sul fatto che lei l'abbia sostenuto effettivamente credendoci.
Le chiedo allora, come ho già fatto ieri presentando un ordine del giorno, come intenda procedere in questa direzione. Infatti, esistono organismi presso il Ministero, altri presso le regioni, altri organismi ancora - non gli organi collegiali, ma altri organismi intervenuti successivamente - istituiti presso quelli che una volta erano i provveditorati, come, ad esempio, lo strumento del portfolio, che era parte integrante della riforma Moratti, che avrebbe dovuto essere predisposto insieme alle famiglie e del quale non si sa più nulla. Una cosa è l'affermazione di principio, un'altra cosa sono i meccanismi di attuazione, senza i quali si rimane nel campo delle affermazioni assolutamente generiche.
La presenza delle famiglie, dunque, non è secondaria. È vero che le famiglie sono diventate i sindacalisti dei propri figli ed è vero che compiono gravissimi errori. Quindi, non sono qui a difendere in maniera acritica le famiglie, che dovrebbero essere presenti ma spesso non lo sono e inoltre, se lo sono, tengono comportamenti assolutamente criticabili e irresponsabili. Ma proprio perché questo è un problema, bisogna affrontarlo e risolverlo, riportando le famiglie a scuola. Mi domando come, poiché alcuni strumenti erano stati messi in campo, ma non si sa che fine faranno. Forse non erano gli strumenti giusti, ma è bene sapere cosa succederà.
Infine, sollevo il tema della libertà di scelta educativa delle famiglie, che non è secondario e fa parte del discorso generale. Anche qui, con quello che è successo con la manovra finanziaria, con i famosi tagli, il risparmio e la necessità del pareggio di bilancio nel 2011, non credo che ci saranno spazio e possibilità di concedere quello che le famiglie si aspettano da sessant'anni.
Potrebbe rispondermi che, essendo arrivata ora al Ministero, avendo le famiglie aspettato sessant'anni, potranno aspettare altri due o cinque anni in più, ma questo non è il tipo di risposta che mi aspetterei da lei.
Mi domando, effettivamente come si possa affrontare questo discorso, davvero cruciale. Il precedente Governo Berlusconi, pur avendolo più o meno annunciato, non ha fatto nulla; il Ministro Fioroni non è stato neppure sfiorato dall'idea. Ricordo la famosa legge «Berlinguer» del 10 marzo 2000, n. 62 che però è rimasta lettera morta. A questo punto, domando come si possa intervenire e che cosa lei intenda fare, poiché questa è una delle fette dell'emergenza educativa di cui tutti parlano, ma su cui in pochi, mi pare, siano disponibili a mettere le mani.
Mi aspetto da lei una risposta esaustiva. Per quanto mi riguarda, sono pronta a


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collaborare per ciò che posso e per quanto sono in grado di fare. Mi aspetto, però che su queste questioni ci sia un affondo deciso e decisivo per i prossimi mesi.

PRESIDENTE. Sì è così concluso il dibattito.
Anticipo che il Ministro svolgerà la sua replica il prossimo giovedì 30, alle ore 14.
L'onorevole Goisis ha chiesto di parlare per una precisazione.

PAOLA GOISIS. Signor presidente, come dicevo, non ho voluto tirar fuori l'argomento che è stato riportato su tutte le agenzie.
Sono intervenuta semplicemente per giustificare - ma qui non c'è bisogno di giustificare - determinate situazioni. L'affermazione in sintesi era questa: il Nord è più ignorante perché in Veneto ci sono stati più bocciati, mentre al Sud non ci sono bocciati; in modo particolare in Calabria nessun bocciato: tutti 100 e 110 e lode. Io, invece ho osservato - e questa è una verità - che al Nord sono più severi. C'è poco da fare. Le scuole sono più severe e selezionano. Allo stesso modo, è vero che tanti insegnanti del Sud vengono al Nord e, quando sono al Nord, non sono così «morbidi» come quando sono al Sud. Per questa affermazione porto una giustificazione. Mi sono recata in Sicilia (ometto di indicare la città) a fare esami. Ebbene, in una scuola non si bocciava da vent'anni. Quanto alla questione della paura, non prendiamoci in giro: non si risolvono i problemi ignorandoli. Il problema esiste, ma non lo voglio dire io: lo faccio dire ad altri, ai giornalisti siciliani. Cito: «...le cosche gestivano corsi ed esami, arrestati anche medici e docenti...»; «...trenta persone in carcere, sette ricercati, 70 gli indagati, l'università e la scuola in mano alla 'ndrangheta...»; «...uno faceva l'elettricista, aveva la licenza elementare, ma in sette anni si è diplomato, poi laureato...»; «...casa dello studente, ritrovo per mafiosi, trafficanti di ogni genere...». E un altro giornalista siciliano: «...l'ateneo e le scuole sempre al centro degli interessi mafiosi, è una miniera d'oro ed è un inferno, è un supermarket di affari sporchi, una terra di nessuno, dove si ruba e si spara, si compra e si vende, qualche volta si può anche morire, una fucilata alla schiena e poi più nulla, solo silenzio e solo paura». Sono articoli di giornalisti siciliani.

PRESIDENTE. Ringraziando il Ministro Gelmini per la disponibilità manifestata, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 17,20.

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