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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
21.
Giovedì 17 giugno 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulla disciplina relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 3 8 10 12 20 21 22
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 20
Bondi Sandro, Ministro per i beni e le attività culturali ... 3 21
Carlucci Gabriella (PdL) ... 15
Ciocchetti Luciano (UdC) ... 17
De Biasi Emilia Grazia (PD) ... 12 15
Giulietti Giuseppe (Misto) ... 10
Granata Benedetto Fabio (PdL) ... 8
Orsini Andrea (PdL) ... 19
Zazzera Pierfelice (IdV) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 17 giugno 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulla disciplina relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, sulla disciplina relativa alle fondazioni lirico-sinfoniche.
Come presidente, signor Ministro, le do il benvenuto e la ringrazio per la sua disponibilità, che conferma la volontà di lavorare in sintonia con la Commissione cultura della Camera, una Commissione che ha dedicato molto del suo tempo - voglio ringraziare in apertura di seduta gli onorevoli Carlucci, De Biasi e tutti i membri del Comitato ristretto della legge sullo spettacolo dal vivo - per dare una risposta attesa proprio dal mondo dello spettacolo dal vivo.
Naturalmente, questo decreto fornisce alcune risposte, mentre lascia aperti altri temi, tra cui la regolamentazione in merito a tale mondo. È, quindi, con lo spirito di confermare l'alleanza tra il Ministro per i beni e le attività culturali e la Commissione cultura, ma anche con la richiesta di garanzie, innanzitutto possibilmente di tempi più ampi e più sereni di discussione, con riferimento a provvedimenti che lei vorrà prendere in futuro, signor Ministro, visto che questa volta siamo tenuti a lavorare in condizioni non troppo favorevoli e con l'auspicio di sentire da lei anche una rinnovata promessa per il lavoro della Commissione, che le do la parola e la ringrazio per la sua presenza.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Grazie, presidente. Onorevoli deputati, avevo annunciato in più occasioni la necessità di un decreto di riordino del settore lirico-sinfonico nel nostro Paese, senza considerarlo, come avevo sempre sottolineato, un decreto blindato, bensì aperto al confronto, innanzitutto parlamentare e, in secondo luogo, con le organizzazioni sindacali, confronto che si è svolto parallelamente alla discussione tenuta al Senato e che si sta svolgendo presso la Camera dei deputati.
Così è stato, infatti, nella discussione che si è svolta al Senato prima, in Commissione, e poi in Aula, con l'approvazione, come sapete, ieri sera del decreto che stiamo esaminando oggi alla Camera dei deputati.
Il testo che il Governo aveva presentato è stato, come immagino in parte sappiate, ampiamente modificato: sono stati accolti moltissimi emendamenti presentati su punti qualificanti, non marginali, dall'opposizione e molti presentati anche dalla stessa maggioranza, dalle forze politiche che sostengono l'attuale Governo.


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Esaminando il decreto nei particolari, segnalerò su quali punti in particolare le proposte dell'opposizione, nonché della maggioranza, hanno apportato sostanziali modifiche.
Desidero, tuttavia, già adesso sottolineare due questioni sulle quali c'è stato un orientamento diverso rispetto all'impostazione iniziale del decreto.
La prima riguarda il ritiro da parte del Governo della delega in materia di spettacolo, con il convincimento - come avevo, del resto, sottolineato già la settimana scorsa in questa Commissione - di lasciare alla Commissione e alla Camera dei deputati il compito di proseguire nell'impegno avviato di discussione e approvazione della Legge quadro dello spettacolo. Come ho sempre evidenziato, è stato svolto un buon lavoro da parte del Parlamento, in maniera unitaria fra le forze politiche, e voglio ripetere in questa occasione che il Governo sosterrà l'approvazione della proposta di questo ramo del Parlamento su tale legge. In questo decreto è stata, dunque, ritirata la delega in materia di spettacolo.
Un altro punto su cui il Governo ha recepito le proposte dell'opposizione e, in parte, della maggioranza è stato nell'articolo riguardante Cinecittà. Tale articolo è stato ritirato dal Governo interamente per dare la possibilità, in questo caso alla Commissione cultura del Senato e al Senato stesso, di proseguire nel lavoro che in quella sede era stato iniziato per quanto riguarda una legge di riforma complessiva del settore cinematografico nel nostro Paese, all'interno del quale si pone anche la questione di Cinecittà.
Come mi sembra evidente, credo che il Sottosegretario, l'onorevole Giro, e io abbiamo compiuto il nostro dovere di persone responsabili, che non hanno ignorato una situazione di difficoltà del settore, che è di fronte agli occhi di tutti ed è stata ammessa anche, con onestà intellettuale e politica, dagli stessi membri dell'opposizione al Senato, i quali in molti interventi hanno obiettato sulla necessità di un decreto, quindi di un provvedimento di urgenza, ma non hanno negato l'esistenza di un grave problema riguardante il settore lirico-sinfonico nel nostro Paese.
Non abbiamo, dunque, ignorato una situazione di difficoltà di questo settore, né abbiamo - voglio sottolinearlo - operato sulla base di una logica di tagli, ma di riforma. Se anche fosse approvato il decreto, saremmo sempre all'inizio di un processo riformatore, che non sarebbe certamente concluso con l'approvazione di questo decreto. Voglio ricordarlo a questa Commissione.
Non a caso, è prevista in questo documento la possibilità di emanare regolamenti non ministeriali, ma governativi per disciplinare la gestione delle fondazioni.
A questo proposito, voglio ricordare che i regolamenti governativi che il Ministero per i beni e le attività culturali avrà il dovere di emanare entro 18 mesi dalla data di approvazione del decreto, non emargineranno il Parlamento, come alcuni, forse erroneamente, hanno affermato, ma coinvolgeranno nuovamente il lavoro del Parlamento, delle Commissioni parlamentari, del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata Stato-regioni. Anche il nuovo impegno che sarà necessario per terminare e portare a compimento il processo di riforma del settore abbisognerà ancora una volta, giustamente, del coinvolgimento democratico delle Commissioni parlamentari e della Conferenza Stato-regioni, nonché di organi istituzionali, come il Consiglio di Stato.
Ripeto che non abbiamo operato secondo una logica di tagli, ma di riforma e - voglio sottolinearlo ancora - non per affossare la lirica, ma per salvarla. Questo, almeno, è il mio intendimento, la ragione profonda per cui abbiamo operato per salvare questo settore non dico dal fallimento, ma certamente da una situazione di continuo aggravamento delle condizioni economico-finanziarie, fino al punto da mettere perfino in discussione la sua sopravvivenza nel nostro Paese. Abbiamo operato per rimettere il settore sui binari di una buona gestione, di un equilibrio dei conti e di un rilancio culturale.


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Su questo settore nel 1996 era intervenuto un tentativo di riforma da parte di un Governo di centrosinistra, in particolare a opera del Ministro dell'epoca, l'onorevole Veltroni, un provvedimento attraverso cui, come sapete, sono stati privatizzati i vecchi enti lirici e sono state costituite allora 13 fondazioni lirico-sinfoniche.
Quel provvedimento, nonostante i buoni propositi, desidero sottolinearlo nuovamente, e le finalità condivisibili, non ha ottenuto i risultati sperati. Non lo affermo io, ma anche l'opposizione lo può testimoniare, come lo ha anche riconosciuto durante la discussione che si è svolta al Senato. Non ha ottenuto i risultati che si speravano per diverse ragioni, che vorrei ricordare insieme a voi.
Prima di tutto, vorrei però illustrare la situazione nella quale ci troviamo per quanto riguarda l'intero settore dello spettacolo e della cultura in Italia, perché ci troveremo di fronte a molte anomalie, che credo dovremo cercare di affrontare tutti insieme a vantaggio della cultura del nostro Paese.
La prima anomalia è rappresentata dalla suddivisione delle risorse nell'ambito del Fondo unico per lo spettacolo, che, con riferimento al 2009, ammontano a circa 450 milioni di euro. Di tali risorse, come è noto, quasi la metà, il 47 per cento, è destinata alle fondazioni lirico-sinfoniche. Soltanto il 19 per cento è destinato, per esempio, al cinema, soltanto il 14 per cento alla musica, soltanto il 16 per cento alla prosa e soltanto il 2 per cento alla danza. Come vedete, siamo di fronte a una prima anomalia, a uno squilibrio nella ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo, sulla quale credo che sia interesse di tutti intervenire.
Una seconda anomalia riguarda le entrate delle fondazioni lirico-sinfoniche, che mediamente, per il 60 per cento derivano dai contributi dello Stato. Dico mediamente perché, per esempio, per quanto riguarda La Scala di Milano, la situazione è diversa per le ragioni che conosciamo.
Soltanto il 20 per cento è rappresentato dal contributo degli enti locali e ne capisco anche le ragioni, naturalmente. Il 12 per cento deriva dai proventi degli incassi e dei biglietti, anche questo un dato da non sottovalutare. Soltanto il 7 per cento deriva dai contributi dei privati.
Come si vede, siamo di fronte a un'altra anomalia: i vecchi enti lirici privatizzati sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato, che però ricevono sostanzialmente la grande massa dei contributi da parte dello Stato e, in generale, degli enti pubblici. Soltanto il 7 per cento delle loro risorse deriva dal contributo dei privati.
Questi sono dati che non sono discutibili in quanto tali, se non per la loro interpretazione; credo, però, che, al di là di qualsiasi nostra possibile diversa interpretazione, siamo di fronte a una situazione che abbiamo tutti l'interesse a modificare per quanto riguarda il futuro, a partire dal contributo dei privati.
Su questo punto mi ero già espresso, perché la chiave di volta per cambiare la situazione e fare in modo che i privati possano investire di più nelle fondazioni lirico-sinfoniche è l'approvazione da parte del Governo e del Parlamento di misure atte a defiscalizzare i contributi privati destinati innanzitutto a tali fondazioni. Questo è il nodo di fondo - me ne rendo conto - che desidererei affrontare immediatamente, ma che nelle condizioni economiche in cui ci troviamo, obiettivamente, in questo momento, non è possibile trattare, da parte di chi vi parla, naturalmente.
Immagino che, invece, ciò rappresenterebbe agli occhi dell'opposizione una priorità. Ne sono consapevole, ma, non parlo a titolo personale, bensì di un Governo che ha compiuto scelte ben precise, nelle quali mi riconosco.
Credo che in questo momento non sia possibile mettere mano a un provvedimento che - ne sono convinto - potrebbe modificare profondamente e radicalmente la situazione. Ritengo che questa misura in futuro sarà improrogabile, necessaria, non più rinviabile e figurerà fra le prime questioni che porrò, non appena ci saranno le condizioni favorevoli.
Alla situazione che ho tratteggiato in termini generali se ne aggiungono altre. I


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debiti accumulati dalle fondazioni lirico-sinfoniche dal 1996 a oggi ammontano, come sappiamo, a oltre 300 milioni di euro. Il patrimonio iniziale dei vecchi enti lirici è stato praticamente azzerato, per non parlare degli interventi straordinari che il Ministero per i beni e le attività culturali ogni anno deve operare per tamponare le emergenze.
Tutto ciò non è indolore, perché gli interventi straordinari del Ministero avvengono a scapito di altri settori, quasi sempre delle risorse destinate ai beni culturali. Questo squilibrio, l'emergenza di destinare risorse agli enti lirici e sottrarle ai beni culturali - mi riferisco agli investimenti nei restauri e nel patrimonio storico-artistico - è un'altra questione che sottopongo alla vostra attenzione, perché siamo di fronte a un'altra anomalia, a un altro squilibrio che col tempo diventa difficile da sopportare, oltre a essere - credo - profondamente ingiusto.
Inoltre, vi è una situazione che ha costretto il Ministero, non soltanto durante la mia gestione, ma anche durante quelle precedenti, il che significa che il problema non deriva dalla mia gestione, il che è evidente, a intervenire commissariando, nel tempo, ben cinque fondazioni lirico-sinfoniche. Ciò è avvenuto non su iniziativa del Governo o del Ministero, ma su richiesta degli enti locali e degli stessi sovrintendenti e dei sindaci, i quali hanno chiesto, sia al Governo di centrosinistra, sia al Governo di centrodestra, di operare provvedimenti di commissariamenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, al termine dei quali molte realtà sono state affrontate anche in termini soddisfacenti: penso al Teatro Petruzzelli, al Teatro San Carlo, al Teatro Carlo Felice, all'Arena di Verona, al Maggio Musicale Fiorentino. I commissariamenti non sono stati inutili, ma sono serviti e sono stati efficaci per risolvere situazioni di vera e propria emergenza, che rischiavano di incancrenire.
Il problema dei commissariamenti segnalava e segnala una situazione di vera e propria difficoltà, le cui ragioni sono diverse. Non intendo adesso ripercorrerle, perché sono note a tutti noi.
Passo direttamente, per brevità, ai punti fondamentali del decreto, in seguito alle modifiche introdotte al termine del dibattito svoltosi al Senato e all'approvazione definitiva.
Il primo punto riguarda il riassetto ordinamentale e organizzativo del settore lirico-sinfonico attraverso l'emanazione di uno o più regolamenti di delegificazione, che si ispirino a princìpi di corretta gestione, economicità, imprenditorialità ed efficienza. Su questo punto ho già richiamato la vostra attenzione, ricordando che il dicastero avrà tempo 18 mesi per emanare regolamenti, non ministeriali ma governativi, che saranno sottoposti alla discussione e all'approvazione delle rispettive Commissioni parlamentari. Il dibattito, quindi, sarà ancora aperto fra di noi: l'iter di riforma è appena all'inizio e non è affatto concluso.
Il secondo punto riguarda un tema certamente fondamentale, che il decreto affronta, ossia la riforma organica del sistema di contrattazione collettiva riguardante i rapporti di lavoro alle dipendenze delle fondazioni lirico-sinfoniche. È un punto che ha sollevato molte polemiche e critiche, soprattutto da parte sindacale, in seguito alla possibilità prevista da questo decreto di avvalersi, per quanto riguarda la contrattazione nazionale collettiva, dell'ARAN, vale a dire della rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Voglio precisare che non si tratta di fare del contratto in oggetto un contratto di diritto pubblico, che rimane invece di tipo privatistico. ma di verificarlo e controllarlo aiutando i sovrintendenti nella trattativa attraverso, appunto, l'ARAN.
Credo che non sia una questione trascendentale il fatto di coadiuvare i nostri sovrintendenti, che l'hanno ripetutamente chiesto, rispetto alla necessità, non più rinviabile, di addivenire a un nuovo contratto nazionale del settore, che è fermo al 2001. Nel frattempo, si sono moltiplicati all'infinito i contratti integrativi aziendali, che hanno gonfiato le spese a dismisura, creando le condizioni della crisi nella quale ci troviamo.


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Per quanto riguarda la rinegoziazione dei contratti integrativi aziendali secondo i princìpi del nuovo contratto nazionale, al fine di razionalizzare i costi del personale dipendente, abbiamo previsto nella prima stesura del decreto una norma che era certamente molto severa, ossia il taglio del 50 per cento delle indennità degli integrativi se, dopo 12 mesi dall'entrata in vigore del decreto, non si fosse addivenuti a un nuovo contratto nazionale del settore.
Questo è un punto su cui dobbiamo essere chiari. Non credo che si tratti di un attentato ai diritti dei lavoratori. Nella prima stesura si disponeva che, se entro 12 mesi dall'entrata in vigore del decreto, non si fosse riusciti ad arrivare a un nuovo contratto nazionale del settore, si sarebbe intervenuti con una decurtazione del 50 per cento degli oneri dei contratti integrativi aziendali. La finalità, come ho anche riferito ai sindacati, era quella di addivenire a un nuovo contratto nazionale del settore. È interesse di tutti realizzarlo, dei sindacati, dei sovrintendenti, degli enti locali, del Governo, di tutte le forze politiche.
Nel testo approvato al Senato sulla base delle proposte dell'opposizione, in questo caso, la norma è stata modificata: abbiamo allungato il termine entro il quale prevedere la possibilità di un nuovo contratto nazionale di lavoro a due anni - siamo passati da un anno a due, un termine estremamente lungo - limitando dal 50 al 25 per cento le riduzioni del contratto aziendale integrativo.
La nostra posizione aveva addirittura accolto la proposta di portare al 5 per cento tale riduzione. È intervenuta - lo devo dire per onestà e obiettività - la Commissione bilancio, la quale ha affermato che non era possibile il 5 per cento, ma il 25 per cento. Non era ammissibile, quindi, tale emendamento. Abbiamo, quindi, modificato dal 50 al 25 per cento. Credo che siamo di fronte a un passo avanti innegabile, nonché di buonsenso.
Abbiamo, inoltre, modificato il turnover. C'era un divieto assoluto, che abbiamo condizionato allo stato finanziario ed economico delle singole fondazioni lirico-sinfoniche. Mi sembra giusto non imporre un criterio assoluto per tutte le fondazioni, a prescindere dalle situazioni di maggiore o minore solidità economica o di migliore o peggiore gestione delle fondazioni anche per quanto riguarda la possibilità di derogare a un blocco assoluto del turnover.
Abbiamo anche previsto la possibilità di derogare al turnover in condizioni particolari, come nel caso della situazione del Teatro Petruzzelli di Bari, dove un emendamento comune della maggioranza e dell'opposizione ha previsto tale possibilità in considerazione della condizione unica della Fondazione Petruzzelli. Credo che anche questo sia un passo in avanti che tutti non possono che apprezzare.
L'altro punto importante è l'adeguamento della disciplina italiana a quella europea in materia di trattamento previdenziale dei ballerini, un tema molto importante per il settore.
Molto onestamente, devo riferirvi quello che ho vissuto. Ho ricevuto questa come una richiesta fondamentale da parte dei sindacati e dei sovrintendenti del settore lirico-sinfonico per cercare di diminuire i costi, adeguando la normativa italiana a quella europea, che prevede la possibilità per i ballerini di andare in pensione a 45 anni.
Non vi riferisco le difficoltà - sono note a tutti - che ho avuto nel convincere il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e altri ministri dell'opportunità di ammettere l'abbassamento a 45 anni dell'età di pensione dei ballerini, anche dal punto vista simbolico. Molti mi hanno domandato se non fosse possibile utilizzarli diversamente. Comunque, abbiamo ottenuto un importante risultato, una pensione di vecchiaia, con un coefficiente molto alto.
Nel dibattito al Senato è stata addirittura prevista la possibilità di derogare di due anni da parte dei ballerini a questa norma, quindi uno «scivolo» di due anni rispetto ai 45 anni che abbiamo ottenuto. Non credo che siano risultati di poco conto, frutto di un dibattito aperto fra le forze politiche al Senato.
L'ultimo punto riguarda l'IMAIE. Vorrei che qualcuno, non solo della maggioranza,


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ma anche dell'opposizione, riconoscesse qualche merito a chi vi parla o a questo Governo di aver affrontato una situazione che non abbiamo determinato noi, che non ha determinato nessuno, ma che è stata determinata da una cattiva gestione, della quale si è interessata anche la magistratura e per la quale siamo intervenuti in maniera molto trasparente e corretta a vantaggio degli autori, dei rappresentanti del settore della musica e via elencando.
Credo che abbiamo rimesso a posto una baracca che non funzionava, come volevano i rappresentanti delle categorie, e l'abbiamo sottoposta - era il minimo che potessimo fare - a una vigilanza, proprio per non ripetere quanto era accaduto in passato. La vigilanza spetta al Ministero per i beni e le attività culturali, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Presidenza del Consiglio. Mi sembrano iniziative di assoluto buonsenso, con cui abbiamo rimesso in carreggiata una situazione senza licenziare nessuno e senza comportare danni ad alcuno. Credo che anche su questo punto possiamo rivendicare alcuni meriti.
Colleghi, ho la coscienza a posto. Ho la coscienza di aver affrontato un problema che languiva ed era sul tappeto da anni senza che nessuno avesse fatto mai nulla per affrontarlo. L'ho affrontato, non so se bene o male, però l'ho fatto e credo che in Senato lo si sia gestito attraverso un dibattito aperto e molto costruttivo, tanto che non è stato necessario porre la fiducia. Abbiamo lavorato quattro giorni e più in Commissione e due al Senato e alla fine abbiamo ottenuto un buon risultato. Credo che il decreto che esce dal Senato, tenendo conto delle valutazioni che erano emerse anche da questa Commissione, sia un risultato che migliora il decreto presentato dal Governo.
Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro Bondi. Saluto nuovamente il Sottosegretario Giro, che ci ha raggiunto, e i numerosi e autorevoli colleghi presenti all'audizione. Non sono, come lei sa, Ministro, membri effettivi della Commissione, ma naturalmente li salutiamo e li ringraziamo per la loro presenza.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Signor Ministro, non so se il suo auspicio finale in cui attendeva un riconoscimento da parte dell'opposizione, diventerà realtà. Certamente, forse anche con sorpresa da parte sua - la mia è, ovviamente, una battuta - c'è un apprezzamento da parte mia personale, da parte del PdL e da parte dell' onorevole Barbieri, anche perché la sollecitazione che abbiamo ritenuto alcuni giorni fa di porre all'attenzione del Ministero era legata proprio al convincimento che non si fosse mai tentato di trattare in modo organico questo tema, che ora si sta cercando di affrontare anche in maniera molto complessa; si tratta infatti di un nodo irrisolto, in un settore fondamentale dell'identità culturale della nazione, denso di questioni spinosissime per la complessità stessa della materia. Vi è, dunque, un apprezzamento per questo passo in avanti sul testo, che ci sembra oggettivo e ci sembra procedere nella direzione auspicata da più parti, anche al Senato, non soltanto dalla maggioranza, ma anche da forze importanti dell'opposizione. Credo che tale passo in avanti rappresenti una realtà, almeno a giudicare da ciò che si evince dalla sua esposizione, e sono certo anche nell'articolato del testo stesso, che ancora non è stato distribuito, ma che è sostanzialmente indicativo di come abbia recepito le questioni che lei ha opportunamente sollevato.
La prima questione che noi tutti - credo in questo senso di interpretare il sentimento dell'intera Commissione - apprendiamo con grande favore è la volontà del Governo di ritirare la delega dalla materia riguardante lo spettacolo dal vivo nel suo complesso. Ciò significa che si favorisce un percorso di pieno coinvolgimento della Commissione e, quindi, del Parlamento su una normativa complessiva riguardante lo spettacolo dal vivo, che


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diventa un punto anche di sfida rispetto al metodo con cui in questa Commissione, sotto la sapiente presidenza di Valentina Aprea, si è riusciti a portare avanti quel testo, che, come lei sa, procede anche con un accordo sostanziale da parte di tutte le forze politiche. Tale fatto rappresenta un grande risultato, viste la complessità e la contraddittorietà della materia.
Esprimo, quindi, soddisfazione per questo riappropriarsi del tema da parte nostra, grazie alla volontà del Governo di non rivendicare la delega sulla materia, un segno che politicamente va nella direzione che tante volte abbiamo auspicato.
Credo che vada nella stessa direzione anche la volontà di creare una condizione di riassetto e delegificazione di un settore che rappresenta un'insostituibile risorsa per la promozione e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ma che, dal punto di vista dei numeri - e i numeri sono argomenti testardi, come sosteneva qualcuno,- fa capire come la trasformazione non solo sia auspicabile in tutti i settori della cultura, ma, per ciò che riguarda le fondazioni stesse, sia resa ancora più difficile dalla forte contraddittorietà dei numeri ad esse riferentesi.
Le fondazioni, infatti, dovrebbero avere la possibilità, come lei ha sottolineato di godere di più finanziamenti privati. Tutti noi siamo d'accordissimo, anzi su questo punto vorremmo esprimere, anche da un punto di vista legislativo, un notevole passo avanti. Se non c'è convenienza a investire in cultura, è chiaro che il dato dei capitali privati che investono in questo, ma anche in altri settori necessariamente registra una grande criticità.
Legiferare in chiave di detassazione sugli investimenti in cultura è una questione che trova l'intera Commissione d'accordo; concorde nel configurarsi come - altre volte ho usato questa espressione - come lobby positiva, volta sempre a favorire tasselli di modernizzazione. Non è configurabile come fattore di modernità che ci siano fondazioni che hanno il 60 più il 20 per cento, ovvero l'80 per cento, di contributi pubblici, pretendendo poi di gestire in maniera elastica, attraverso le opportune rappresentanze sindacali, questa natura, che, a convenienza diventa pubblica o privata, a seconda del punto di vista dal quale conviene guardare l'ottica della fondazione stessa.
Nella mia travagliata attività politica per molti anni ho avuto l'onore di essere assessore regionale ai beni culturali in Sicilia e di occuparmi direttamente dei nostri teatri. Abbiamo due grandi fondazioni liriche, una nazionale, che è il Teatro Massimo, l'altra di interesse nazionale, ma regionale, seppur dalla storia nobilissima, il Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania, di cui all'epoca era soprintendente Alberto Bombace.
La sua relazione mi è chiarissima, perché, avendo gemellato alcuni teatri, capivo che su un gemellaggio importante con un teatro fondamentale nella storia non solo del balletto, ma anche della lirica europea come il Mariinsky Theatre di San Pietroburgo, con la stessa formazione, con la stessa orchestra, con gli stessi ballerini, con lo stesso movimento scenico portare il Teatro Bellini di Catania a San Pietroburgo costava dieci volte di più portare che non il contrario.
E chiaro che lì si è in presenza, probabilmente, di una deregulation eccessiva rispetto ai rapporti sindacali e ai contratti, ma sono due estremi su cui bisogna trovare un giusto livello di mezzo, perché un costo maggiore di dieci volte, essendo in presenza dello stesso livello di qualità, peraltro, sia della straordinaria orchestra, del Mariinsky Theatre che del Bellini, è un'esagerazione.
Mi sembra che i passi avanti compiuti sul dato della misura propedeutica a creare la possibilità vera di adesione alla contrattazione collettiva siano elastici e indicativi di una volontà politica di non mortificare e non mettere in ginocchio le fondazioni. Passare non soltanto dal 50 per cento al 25 per cento come sanzione, e dilungarla anziché in 12 mesi a 24 mesi, mi sembra una misura adeguata per rispondere e alle esigenze di spingere alla contrattazione collettiva e, allo stesso


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tempo, a non dare l'impressione che si voglia tagliare o creare grandi difficoltà alla vita delle fondazioni.
Lo stesso discorso vale per il ragionamento che lei ha svolto sulla modifica del turnover. Proprio in questa Commissione, grazie anche al suo preambolo, credo che si debba ragionare con grande capacità critico-oggettiva rispetto a ciò che abbiamo davanti per trovare una soluzione equilibrata.
Credo, dunque, che ci sia la possibilità, attraverso un lavoro intenso che in questa Commissione abbiamo deciso di intraprendere, da qui a quando avremo contribuito a confezionare ulteriormente un pacchetto di misure all'altezza del tema che esse trattano, la strada indicata dal Ministero sia quella giusta.
Allo stesso tempo, mi sembra anche opportuno che siano state eliminate dal testo alcune materie che, seppure richiedano una grande urgenza di innovazione legislativa, potevano prestare il fianco a osservazioni sul metodo, nonché sull'ottemperanza ad alcune tematiche molto complesse, legate anche alla costituzionalità della legge e alla procedibilità di alcuni inserimenti.
Mi sembra opportuno che sia rimasto all'interno della normativa l'articolo sulle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità nazionale, non solo come fatto simbolico, ma proprio come fatto culturale, perché probabilmente, se vi è un'attività culturale che simboleggia l'unità d'Italia è proprio la lirica. Se non rientra in questo provvedimento, non credo che ce ne sia in calendario un altro in cui tale materia possa essere opportunamente inserita.
Da parte del PdL ritengo, quindi, che ci sia soddisfazione per i cambiamenti che sono stati portati avanti, anche sul metodo che ancora una volta abbiamo rinnovato con questa giornata di lavoro.

PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Giulietti, che sicuramente si dichiarerà soddisfatto per la soluzione del caso IMAIE, visto che abbiamo ascoltato atti ispettivi, interventi e richieste di audizione. Mi aspetto qualcosa anch'io, come presidente.

GIUSEPPE GIULIETTI. Presidente, la soddisfazione e l'insoddisfazione sono questioni private e profonde, quindi le risponderò in altra sede, per ispirarmi anche ai grandi maestri della letteratura e della critica contemporanea. C'è un vasto dibattito.
Le ricordo che prima di me dell'IMAIE si erano occupati con più passione, per non levare nulla a nessuno, anche gli onorevoli Barbieri e Barbareschi. È una «grinta trasversale», in questo caso.
A parte le battute, proprio perché sono tra coloro che sono convinti che occorra un rapporto unitario per quanto riguarda l'industria culturale italiana e, quindi, condivido alcune delle considerazioni svolte, Ministro, do anche atto di alcune questioni positive poste con molta più forza in questa Commissione dall'onorevole De Biasi, che poi entrerà nel merito molto meglio di me. Sicuramente il ritiro, per esempio, della delega sullo spettacolo è un fatto positivo, perché avrebbe azzerato un lavoro paziente svolto in questa Commissione. Verrò poi anche all'IMAIE, su cui colgo l'elemento di positività.
Devo, però, porre una domanda al Ministro e anche a lei presidente, dal momento che il Ministro ha insistito su un punto che ci è caro. La norma non è blindata, ma siamo qui per confrontarci e discutere. Allora vi devo porre la domanda se il testo sia emendabile, perché se non lo è, si tratta di una fiducia blindata: discutiamo amabilmente, ma il testo non sarà emendabile.
Questo non è un elemento di durezza, ma di chiarezza reciproca. Poi si dirà che le prossime volte emenderemo, ma, se il testo non è emendabile, si tratta di una fiducia mascherata, di un provvedimento blindato. Esiste uno spirito positivo dal punto di vista ideale, non traducibile però in atti. In politica, invece, contano gli atti. Se gli atti non sono realizzabili, non c'è, dunque, la possibilità di modificare il testo. Lo possiamo chiamare fiducia o non fiducia, ma di ciò si tratta e azzera la possibilità emendativa della Camera dei deputati e di questa Commissione.


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Ho espresso questo concetto per evitare la retorica. Ho manifestato la mia soddisfazione, però voglio andare al punto. Ministro, non intendo creare una bagarre, perché, come ho precisato all'inizio, nutriamo una grande passione per tutto ciò che si muove in questo settore, ma per capire quali sono i percorsi futuri.
Le pongo una domanda: rinunciando a una riforma completa - il Ministro medesimo sostiene di dover provvedere ad alcuni atti - è chiaro che dobbiamo concentrare la nostra attenzione, lettera per lettera, su questo testo.
Vi segnalo che la questione che riguarda i contratti, cari colleghi, non è una banalità. È un tema carissimo alla Commissione lavoro pubblico e privato; non riguarda noi, ma non mi sento di esprimere alcun voto positivo se non ci sono audizioni nella Commissione lavoro pubblico e privato delle organizzazioni sindacali e dei costituzionalisti su questa materia.
Non giochiamo sui contratti. Il problema non è del 50 o del 25 per cento, ma il modello della contrattualistica in un settore delicato come questo, che una volta applicato al settore delle fondazioni, si applica in altri settori consimili.
Il problema dell'ARAN - guardo alcuni colleghi che si occupano di editoria - si pose persino sugli uffici stampa. C'è l'ARAN oppure no? Qual è l'elemento del controllo? Non so se sia chiaro: decidiamo qui, rischiando di farlo per altri settori consimili. Si può sostenere che non interessa, ma è un altro paio di maniche.
Pongo il tema soltanto perché voglio che la Commissione lavoro pubblico e privato esprima un parere di merito e argomentato alla Commissione cultura da produrre in Aula, che sia il frutto di un'audizione e di un ascolto dei tecnici, non di Giulietti, che non ha competenze, né fa finta di averne. Se il quadro non è quello generale, ma si deve procedere attraverso passi successivi, diventa fondamentale capire il passo che compiamo e che ricaduta ha nel settore.
Il problema non è quello delle rappresentazioni, ma del modello strutturale della contrattualistica, che è importante quanto le modalità del finanziamento in questo settore, che, come sapete, è complicatissimo, tra parti fisse e variabili. L'organizzazione dei contratti non devo insegnarla a voi.
L'onorevole Granata non c'è più, ma ci ha parlato di alcuni modelli. Ci sono, però, altri colleghi, che conoscono perfettamente la difficoltà dei contratti, a tempo determinato, a tempo indeterminato, e delle modalità contrattualistiche diverse tra le masse e gli orchestrali o i tecnici e alcune figure «irreperibili in natura». Si ha bisogno di determinate figure professionali: ciò vale per la musica come per il teatro, lo sa meglio di me il collega Barbareschi. Non esiste un criterio puramente quantitativo, è difficile da determinare.
Pongo allora la questione per capire se sia discutibile in Commissione e in Aula. Se verifichiamo che c'è un punto da modificare, lo possiamo valutare e modificare? Ricordo che venne presentata una proposta dai colleghi - non lo riferisco in modo strumentale, perché, se vogliamo la bagarre, non c'è bisogno di fare giochetti - Barbieri e Granata nei giorni scorsi. Si trattava della questione di valutare la possibilità di una discussione e di un DDL, addirittura, aggiungo, in via legislativa, se ci fosse un'intesa, ma ponendo al centro la possibilità di emendare.
Quando si parla di emendare, significa che persone serie si siedono e verificano i punti di convergenza. Se non ci sono, io per primo mi permetterei di invitare il Governo e la maggioranza a fare il loro mestiere; non si fanno giochetti per perdere tempo. Se, però, verifichiamo che esiste un punto fondamentale della contrattazione, un problema di contrattualistica insuperabile, problemi di merito, possiamo asserire che c'è un vincolo di tempo? Vanno comunque definiti.
Trovavo buono - non parlo di una proposta dell'opposizione - il suggerimento venuto da Barbieri e Granata in questa direzione. Domando, però, quali sono i margini.
Venendo all'altra questione, lei ha pronunciato una frase che mi ha convinto,


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Ministro, sotto questo profilo, ossia ha parlato di decreti governativi. Ci saranno successivi decreti di attuazione, che non sfuggiranno al confronto parlamentare, se ho capito bene - altrimenti mi corregga - sulla questione delle fondazioni. L'ho capito, l'ho apprezzato e lo condivido.
Mi permetto, però, di chiederle: lo stesso principio vale per lo scorporo del cinema? Esisteva una norma che so che l'opposizione non ha condiviso, ma io ho una posizione diversa rispetto a come si è espressa al Senato. Ritengo che quanto scritto su Cinecittà Luce avesse un fondamento industriale, consentisse di continuare a realizzare opere prime e seconde in un mercato che si chiude ai giovani autori e che contenesse intuizioni non banali.
Chiedo se il riassetto della partita del cinema pubblico e dell'Istituto Luce e la non trasformazione semplicemente in un archivio viva. Sarà oggetto di un decreto governativo che tornerà al Parlamento o diventerà un regolamento ministeriale per cui, all'improvviso, si apprenderà che l'Istituto Luce è solo un archivio e che il centro sperimentale diventa altro? Mi interessa capire se esiste un impegno a ricondurre ciò che è stato scorporato al dibattito della Commissione parlamentare.
Ministro, si è parlato dei 150 anni dell'unità d'Italia. Lei l'altra volta non mi ha risposto, ma l'ha affermato a latere e mi piacerebbe che lo ripetesse in Commissione, solo per una correttezza di rapporto. Sempre con riferimento al cinema, vorrei la certezza che non saranno abbandonati lungo la strada il completamento delle opere e il sostegno alla grande mostra del cinema di quest'anno, che si pone come un'aperta sfida ad altre mostre internazionali, perché siamo a pochissimi mesi. Voglio, quindi, capire se il riferimento al 150o vale anche per le opere in itinere e per il grande appuntamento che si terrà a settembre.
Sull'IMAIE - e ho concluso - vorrei capire un punto che non trovo, ma probabilmente per mia capacità di lettura. Comprendo l'elemento della vigilanza; è chiaro, per come è formulata la norma, il tema dei diritti acquisiti e maturati, questione posta, per la verità, da altri colleghi. Mi riferisco in particolare a chi è meno noto e ai tanti precari, i cui soldi sono fermi in una banca. Sarà lo stesso Ministero a vigilare che nella nuova IMAIE venga in primo luogo garantita una fortissima presenza di chi vive di questo lavoro, che non vengano loro sottratte le competenze rimaste congelate e che i grandi player televisivi non possano mettervi becco.
Esiste in merito una grande questione: molti di tali diritti sono maturati e devono pagare i grandi player televisivi, Mediaset, Rai, Sky e altri. Il Ministero sarà garante dei diritti dei singoli autori e non dei grandi gruppi televisivi, che devono smettere, sopra o sotto il banco, di determinare ritardi in settori delicatissimi come questo.

PRESIDENTE. Naturalmente, appena avremo il testo, lo invieremo - lo comunico anche al Ministro - per i pareri di competenza alle altre Commissioni, tra cui ovviamente la Commissione lavoro pubblico e privato.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Grazie, presidente e grazie, signor Ministro.
Avrei preferito, mi creda davvero, riferirle che eravamo disponibili a un voto comune sul provvedimento di riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche. Lei sa che, da molto tempo, personalmente e con il mio gruppo abbiamo sollecitato una riforma, perché effettivamente, dopo più di dieci anni ormai di approvazione e di esperienza della legge del 1996, era arrivato il momento di fare il punto. Saremmo stati totalmente disponibili, come continuiamo a esserlo, fatte salve le considerazioni che svolgerò dopo, a qualunque elemento di riforma che veda coinvolto seriamente il Parlamento. L'opposizione alla scelta dello strumento che lei ha usato, quello del decreto, non è formale, signor Ministro, ma sostanziale, e non riguarda solo le prerogative del Parlamento, ma un lavoro che per due anni abbiamo svolto in questa Commissione, con una passione e una dedizione non


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comuni, dati i rapporti di forza anche esterni che esistono tra le forze politiche e nella nostra Aula parlamentare.
Sono contenta che lei ci riferisca che il Governo sosterrà il nostro disegno di legge sullo spettacolo dal vivo, anche se le chiedo con quale copertura finanziaria, perché, data la situazione della manovra, vorrei capire anche quali sono poi le effettive risorse. Credo alla sua totale buonafede in questo campo, però siamo anche stati abituati a vedere il Ministro dell'economia e delle finanze arrivare e gettare la scure senza guardare in faccia nessuno.
In questo disegno di legge, ormai in dirittura d'arrivo, erano e sono presenti alcuni elementi che avrebbero consentito con grande serenità una riforma ancora più rigorosa; io penso, infatti, che sia necessaria una riforma molto rigorosa delle fondazioni lirico-sinfoniche. Ne sono convinta da tempo.
Nella legge, però, è presente, peraltro, anche una prima bozza di riforma del Fondo unico per lo spettacolo. Quelli che lei oggi ci ha gentilmente esposto sono dati che noi ben conosciamo e che pubblicamente, come il Sottosegretario Giro ben si ricorderà, abbiamo esibito un anno fa alla festa del teatro di Napoli, segnalando esattamente questo problema. Come vede, vi è una consonanza di obiettivi reale.
Che cosa non funziona, signor Ministro, oltre allo strumento? Non funzionano le modalità. È venuto fuori un pasticcio e le spiego perché, secondo me: per quale motivo, se è vero, come è vero, che ci sono differenze enormi da fondazione a fondazione e che La Scala non può essere il punto di riferimento, perché, come si dice, l'Italia è lunga e quindi le situazioni sono davvero molto diverse; guardando anche le schede che sono state elaborate dal Ministero e che noi abbiamo studiato per quanto abbiamo potuto, perché non si è proceduto, in primo luogo, in un lavoro fondazione per fondazione?
In secondo luogo, per quale motivo non si sono stabilite le differenze territoriali? La collaborazione fra pubblico e privato è il cuore della legge sulle fondazioni. Continuo a pensare che il rapporto fra pubblico e privato sia importantissimo nel campo della cultura: l'ho sempre sostenuto, l'abbiamo scritto nella legge, questa Commissione lo condivide e ne sono lietissima. Naturalmente, non parlo di un privato interamente sostitutivo, ma integrativo dell'intervento pubblico.
I dati che lei ci ha fornito indicano, sostanzialmente, che l'apporto del privato non c'è o che è molto scarso. Ciò significa che o va rivista la legge o che, altrimenti, i privati vanno incentivati all'intervento. Bisognerebbe chiedere conto ai sovrintendenti, che - mi permetto di rilevarlo - dovrebbero compiere il loro mestiere, nonché ai Consigli di amministrazione, del perché non ci sono i privati in alcune fondazioni. Non riesco ancora a saperlo e nessuno me lo ha ancora riferito.
Se non ci sono i privati, allora non si tratta di fondazioni, ma di teatri. Non c'è nulla di male. I teatri di tradizione sono uno dei fiori all'occhiello di questo Paese, quindi non c'è alcun deprezzamento di nessuno. Se, però, è vero che non ci sono i contributi dei privati, andiamo a vedere per quale motivo. Perché partire dalla contrattualistica e non, invece, da questo elemento?
Le riferisco quali sono i motivi di merito, come vede non ideologici, ma di impostazione, per cui noi continuiamo a non essere soddisfatti, pur apprezzando alcuni punti. Di fatto, procedendo in questo modo e, come ho visto, togliendo la proporzionalità dei componenti del Consiglio di amministrazione nominati in proporzione al finanziamento alla gestione, stiamo procedendo a una statalizzazione, signor Ministro.
Se, infatti, lei comunica che i finanziamenti principali sono quelli dello Stato per il 60 per cento, se non ho capito male, e si toglie - calcoliamolo insieme - il criterio di proporzionalità di presenza a seconda del finanziamento erogato, si deduce, quindi, che il 60 per cento di media è costituito sostanzialmente da fondi pubblici, o, paradossalmente potrebbe diven


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tare privato. Questo, quindi, è un punto di contraddizione, perché è una forma di statalizzazione.
Se aggiungiamo anche il passaggio all'ARAN, sul quale anche i sindacati, come lei sa, avevano una disponibilità a discutere, ci troviamo all'ennesima centralizzazione in un Governo che sostiene di essere federalista. Alla faccia del federalismo: ci sono 14 fondazioni i cui sovrintendenti hanno bisogno, come lei ha ricordato, del sostegno del Governo per poter uscire dalla situazione di impasse in cui si sono cacciati. Se è così, chiedo che vengano cambiati i sovrintendenti e vengano forniti alcuni criteri. Se non è così, come mi auguro, non vedo quale sia la necessità di intervento del Governo in un sistema di fondazioni di diritto privato.
In Aula ci saranno poi le pregiudiziali e i svolgerà tutto l'iter. Oggi non voglio entrare troppo nel merito, però le voglio esprimere qual è, secondo me, la grande incoerenza di questo decreto, ossia la centralizzazione e la statalizzazione di un processo che portava, viceversa, e in modo positivo nelle intenzioni, a un rapporto fra pubblico e privato.
Vengo all'ultimo punto. Mi piacerebbe, peraltro, anche poter discutere se i commissariamenti siano stati efficaci e in quale modo, perché vorrei capire se c'è stata un'equanimità, vorrei comprendere situazione per situazione come hanno operato i commissari, o meglio il commissario, perché sappiamo che di commissario, come del commissario Rex, in questo Ministero ce n'è sempre e solo uno, a parte Ferrazza a Genova. Non citiamo i nomi, perché non è consuetudine, però sappiamo che si tratta di un uomo fantastico, che fa assolutamente di tutto, lavora 25 ore al giorno e compie anche cinque commissariamenti. Vorremmo anche sapere che cosa è successo. Ci piacerebbe avere informazioni, Ministro.
Del resto, non è possibile andare avanti in questo modo. Sono lieta che adesso parliamo di varare la legge sullo spettacolo, ma sono passati due anni. Inoltre, tale norma è stata bloccata per sei mesi a causa delle obiezioni della Commissione bilancio e del Ministro Tremonti, direttamente con le osservazioni del Ministero. Adesso non si sa neanche bene con la manovra che cosa succederà.
Peraltro, in tale legge era compresa anche una disposizione relativa alla pensione per i ballerini, disposta in modo, a mio avviso, più equilibrato di quanto non sia qui. Non voglio discuterne, perché avremo modo di parlarne in Aula.
Mi si viene, poi, a dire che i sovrintendenti hanno bisogno del Governo. Dopodiché, in una fondazione di diritto privato, in cui dovrebbero esserci i privati, questi vengono tolti perché non c'è più la proporzionalità della presenza e non ci sono le defiscalizzazioni che rendono vantaggiosa l'esistenza del privato. Vorrei capire dove andiamo a parare. È vero che è il primo passo, ma per andare dove? Tornano a essere enti lirici pubblici? Non c'è nulla di male. Si può discutere. Si abolisce una legge, non c'è problema. Tornano a essere pubblici?
Si applicano alcune funzioni, come personalmente - parlo a titolo puramente personale in questo caso - ritengo che sarebbe giusto e come abbiamo, peraltro, disposto nella legge sullo spettacolo. Occorre applicare alcune funzioni e sapere che le fondazioni non sono tutte uguali, ma che ci sono differenze, ma non per questo vengono svalorizzate. È evidente, tuttavia, che La Scala è una fondazione differente dalle altre. È un dato di fatto.
A sua volta, come si fa a tenere insieme l'autonomia di queste fondazioni di diritto privato, autonomia che è data come presupposto alla cultura, con questo genere di impostazione? Del resto, con l'ARAN che controlla, il Consiglio di amministrazione che non ha più la proporzionalità e tutte le altre predisposizioni che sono state decise, qual è l'autonomia?
Che cosa potrà fare una fondazione per avere il miglior direttore d'orchestra, i migliori orchestrali, una funzione internazionale, per poter circuitare in modo diverso, per poter collaborare in un altro modo, che non siano soltanto petizioni di principio, come è scritto in questo decreto?


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Signor Ministro, glielo riferisco senza atteggiamenti ideologici: io avrei dato un'altra impostazione. Le spiego anche il perché del nostro voto contrario.
Aggiungo che i tempi non consentono di tenere nuove audizioni per capire che cosa pensano i sovrintendenti e i sindacati del decreto per come è uscito dal Senato e trovo ciò molto grave. Infatti, per valorizzare il ruolo della Camera, avremmo avuto bisogno anche del tempo per capire. Non tutto è fatto per creare «i trappoloni» , ma anche per capire a che punto si può arrivare per quanto riguarda la condivisione di un provvedimento. Come sapete, è un argomento a cui tengo molto.
Vengo ai contratti. Non è possibile che per decreto legge si abolisca una modalità di contrattazione. Lo è perché lo avete fatto, evidentemente, ma fioccheranno i ricorsi, come è ovvio. Non è un bel precedente, come sosteneva il collega Giulietti e sono completamente d'accordo.
Ministro, mi perdoni, lei naturalmente non potrà mai smentirmi e la capisco. Tuttavia, ho come l'impressione che dietro ci sia lo zampino di qualcuno che con la cultura non c'entra molto e che ha in mente un solo obiettivo, ossia di ristrutturare completamente, di riordinare totalmente al ribasso le relazioni sindacali e di distruggere quel poco di democrazia sindacale e di rapporto fra i lavoratori che esiste ancora nel nostro Paese.
Lei non lo può dire, ma lo faccio io. Penso che il Ministro Brunetta, che peraltro ha più volte dichiarato che la lirica è una questione per vecchi ricchi con il pannolone, non sia esente da questa mania, che è riuscito a riverberare anche in questo modo, mettendo a rischio - non penso distruggendo, perché ritengo che la qualità dei lavoratori in queste fondazioni sia molto alta - la qualità della produzione.
Non è vero che sono fannulloni e prendono miliardi. I miliardi vanno ai mediatori, ai singoli cantanti e al terribile gioco al rialzo che viene compiuto. Non so neanche se per legge si debbano mettere tetti, ma questo sarà oggetto del dibattito, perché nel decreto attuale così è segnalato. Non so se in una fondazione di diritto privato si possano mettere tetti alla libertà del mercato, ma questo tema sarà oggetto di un'altra riflessione.
Ad ogni modo, sono molto preoccupata perché temo che le fondazioni liriche piano piano si spengano e divengano solo un oggetto di turismo, come qualcuno, che ha svolto molto bene il ruolo di commissario, sta cercando di fare all'Arena di Verona.

GABRIELLA CARLUCCI. Volevo ringraziare il Ministro Bondi, perché, dando la possibilità di modificare completamente l'articolo 4 di questo decreto e lasciando solamente le righe finali, che permettono un anticipo sui contributi dell'80 per cento - una questione sacrosanta, perché chi fa spettacolo sa molto bene che, non avendo certezza del futuro, avere un anticipo dell'80 per cento significa poter gestire con tranquillità il proprio lavoro - ha, di fatto, detto sì, perlomeno con un atto formale, scritto in un decreto, alla legge dello spettacolo dal vivo...

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Chiedo scusa, ma tenevo a precisare che personalmente apprezzo, come anche il gruppo del PD, che sia stato modificato l'articolo 4. Ci sono alcuni problemi, che vedremo in sede emendativa, sulle ultime tre righe di altra natura, però apprezzo questa scelta, che peraltro avevo caldeggiato in Commissione e sono contenta che sia stata accolta.

GABRIELLA CARLUCCI. Il Ministro Bondi ha detto sì al lavoro lungo, prezioso, accurato che si è svolto all'unanimità in questa Commissione, con un testo che è stato votato all'unanimità da tutti i gruppi di maggioranza e opposizione. Si pone, però, adesso la questione importante dell'attuazione e dell'approvazione di questa legge.
Nella legge sullo spettacolo dal vivo, Ministro Bondi, c'è la riforma del FUS. Sono stati indicati coscienziosamente, in maniera rigorosa e condivisa con le regioni, i criteri. Siamo i primi che hanno attuato il federalismo nella materia dello


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spettacolo. Infatti, partendo dal nodo dell'attuazione dell'articolo 117 e scervellandoci - perché c'erano le richieste più disparate: le regioni volevano tutti i finanziamenti, giustamente, e rivendicavano la loro autonomia economica - nonché grazie alla preziosa collaborazione della Lega, questa Commissione può affermare a voce alta di essere stata la prima ad aver attuato veramente il federalismo. Abbiamo attuato la famosa materia concorrente; qualcuno ci deve spiegare ancora come si esplica, ma noi siamo riusciti ad applicarla. Abbiamo introdotto, quindi, la riforma del FUS, indicando criteri rigorosi, tutti criteri di economicità che venivano richiamati nell'articolo 4, che grazie al Ministro Bondi non è più articolo 4.
Il Ministro, quindi, crede a questa riforma. Ci deve dare, tuttavia, la garanzia che tale riforma passi. Innanzitutto, ci deve garantire che questo è l'unico testo nel quale il Governo crede e poi che ci sia una copertura economica.
Da tempo ho indicato al Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso la Commissione bilancio, una fonte di finanziamento, ovvero ARCUS. Oggi ho stampato il decreto ARCUS, che è pubblico ed è sulla Gazzetta ufficiale. Si può vedere che allo spettacolo, quest'anno, dei 200 milioni di dotazione di ARCUS, sono stati dati 40 milioni di euro, senza indicare i criteri. Viceversa, nella nostra legge sono indicati alcuni criteri, non solo di economicità, ma che guardano al territorio, alle regioni.
Peraltro, questa copertura economica ci permetterebbe non di coprire tutta la legge, ma alcune sue parti qualificanti, ovvero gli incentivi fiscali, che hanno dato un grande risultato nei confronti del cinema.
Apro una parentesi per chiedere al Ministro Bondi di permettere l'estensione del tax shelter e del tax credit e di abbattere il tetto di 250 mila euro l'anno, altrimenti nessuno verrà più a investire. Proprio in questi giorni c'è una produzione francese che vuole girare un film su Asterix in Italia, ma i responsabili non sanno se lo faranno perché non sanno se a febbraio, quando dovrebbero venire a girare, ci sarà ancora il tax shelter. È un punto fondamentale, Ministro, perché i risultati sono 114 milioni di investimento degli stranieri quest'anno in Italia grazia al tax credit e al tax shelter, che sono estesi anche alle coproduzioni.
I punti qualificanti della legge quadro sono tre e verrebbero coperti dai soldi di ARCUS, che il Ministero dell'economia e delle finanze continua a sostenere di non poter dare. Tuttavia, ARCUS, che è finanziata dalle infrastrutture, dà i soldi allo spettacolo, come è scritto in questo documento. Non ci inventiamo nulla; abbiamo semplicemente copiato uno schema già esistente. Gli incentivi fiscali, i crediti di imposta allo spettacolo dal vivo supplirebbero alle carenze del FUS, che non è una grande cifra, come ben sappiamo.
Vengo al fondo di perequazione, perché abbiamo voluto dedicare un'attenzione particolare alle regioni. Ci sono regioni poco attrezzate, svantaggiate. Il fondo di perequazione va a intervenire nei settori e nelle regioni povere o comunque carenti di infrastrutture di spettacolo.
Inoltre, una legge che si rispetti non può non guardare all'innovazione e ai giovani. Il terzo fondo che vogliamo finanziare con la legge è rivolto all'innovazione e ai nuovi talenti, in cui il nostro Governo crede.
Ministro Bondi, il mio appello è accorato. La ringrazio per tutto quello che ha fatto, perché - lo ribadisco ancora una volta - le misure fiscali approvate a Bruxelles sono state approvate grazie a lei, che ha messo tutto il suo peso presso la Commissione europea, in quanto si tratta di aiuti di Stato. Oggi, peraltro, la legge cinema dell'Italia viene guardata da tutta l'Europa ed è diventata il modello per cui tutte le leggi europee saranno adeguate a quella italiana, perché è la più moderna ed è quella che permette più incentivi tutti insieme.
Grazie al Ministro abbiamo ottenuto questo, ma ora il Ministro deve compiere un ultimo sforzo. Deve rivolgersi a Tremonti e spiegargli l'economicità degli incentivi fiscali per il cinema e per lo spettacolo dal vivo. Del resto, se è vero che molte di


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queste attività sono in perdita, è anche vero che quando si lavora con lo Stato, si pagano le tasse. Gli incentivi fiscali permettono di non versare le tasse allo Stato, ma di utilizzarle, sotto forma di credito di imposta, nella propria attività, svincolandosi dall'intervento diretto dello Stato.
Il mio è un appello accorato, Ministro, alla sua autorevolezza nei confronti dell'economia. Ora è in discussione la manovra al Senato. Sia per il cinema, sia per lo spettacolo dal vivo, se lei ci crede veramente, e lo ha dimostrato cancellando l'articolo 4, la legge contiene tutte le riforme che lo spettacolo attende dal 1947. È un riordino del FUS scritto nella maniera più adeguata, perché d'accordo con le regioni.
Ministro, siamo nelle sue mani.

LUCIANO CIOCCHETTI. Ministro, vorrei intervenire velocemente, anche nello spirito del lavoro compiuto al Senato, dove sicuramente, pure se abbiamo espresso un parere contrario nella votazione, sono state apportate modifiche significative e importanti al testo originario del decreto.
Ci sarebbe stato bisogno di avere più tempo alla Camera, in particolare in Commissione, per poter entrare nel merito anche di molte questioni che il Ministro, nella sua relazione, ha posto concretamente. I tempi che sono stati fissati per il dibattito in questa Commissione mi paiono assolutamente impossibili per poter sviluppare un dibattito concreto, nonché un ulteriore lavoro di aggiustamento.
Sulla questione che c'è bisogno di riformare profondamente l'organizzazione, il modo di operare di una struttura e di una realtà come quella delle fondazioni liriche, che rappresentano certamente un fatto importante, culturale e di tradizione del nostro Paese e che dovrebbero essere anche occasione di ulteriore sviluppo delle nostre tradizioni, della nostra cultura, della nostra capacità di vendere all'estero le nostre forze e le nostre tradizioni, siamo d'accordo, ma i tagli del Ministro - che conosciamo molto bene e sono stati riportati anche oggi nella relazione - presentano problematiche molto importanti.
Forse è stato messo l'accento in modo particolare sulla questione contrattuale, invece che su quella organizzativa e su tutto ciò che comporta il rapporto, più che con i dipendenti, con le persone che vengono coinvolte nelle produzioni e nelle scenografie, sulla mancanza di una capacità di interscambio tra le fondazioni lirico-sinfoniche italiane, sulla carenza del numero delle giornate di recita e di rappresentazione, un aspetto drammatico che si segnala nel nostro Paese.
La grande questione che abbiamo di fronte è il fatto che le nostre grandi fondazioni lirico-sinfoniche, alla fine dell'anno, sui 365 giorni, quando hanno raggiunto 70-80 giornate di recita, forse hanno già fatto troppo. Credo che questa sia una delle grandi questioni su cui bisogna operare, bisognava lavorare e su cui forse sarebbe stata necessaria una possibilità di ragionamento, certamente con le parti che operano all'interno di questo settore, con le regioni, con le amministrazioni comunali, ma anche con il Parlamento nel suo complesso, non soltanto con il Senato, ma anche con la Camera dei deputati.
Si tratta di una questione che, secondo me, rimane irrisolta, o che comunque viene spostata probabilmente al tema dei regolamenti e dell'esame delle questioni più generali. Sussiste un dubbio, che non è riferito esattamente e soltanto a questa vicenda. Ci si chiede, cioè, se un decreto possa intervenire in maniera contrattuale, quando si è sempre definito nel nostro Paese che la contrattazione dovesse essere lasciata alle parti, pur nell'ambito di alcuni punti di riferimento cornice che le leggi stabiliscono.
Certamente apprezziamo le modifiche e il fatto che sia stata tolta la delega per la riforma dello spettacolo dal vivo, a cui tutti i gruppi parlamentari rappresentati in questa Commissione hanno lavorato per mesi per arrivare a un testo condiviso. Speriamo anche di poter avere, oltre alle sue apprezzabili parole di oggi, anche un parere collegiale da parte del Governo sul testo approvato in questa Commissione, in


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modo da poter procedere con l'iter procedurale di approvazione della riforma sullo spettacolo dal vivo.
L'appello che rivolgo al Ministro e al Governo è se sia possibile trovare un po' di tempo in più per poter discutere nel merito di ulteriori possibili modifiche e anche, quindi, consentire a questa Commissione, a questo ramo del Parlamento, di approfondire altre questioni che anche lei ha posto nella sua relazione in maniera problematica sul futuro dell'organizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche e su quella complessiva dello spettacolo di questo Paese.
Il mondo dello spettacolo, infatti, ha bisogno certamente di riforme importanti, ma anche di certezze e regole che gli consentano di poter operare non nel proseguire negli sprechi che ci sono stati fino a oggi, ma in una logica in cui il grande patrimonio culturale e di tradizione che il nostro Paese possiede possa continuare a essere propagato, promosso e portato avanti con forza e in modo significativo.

PIERFELICE ZAZZERA. Ringrazio il Ministro Bondi, che ha certamente un merito, ossia quello di cercare il confronto con il Parlamento e con la Commissione, evidentemente perché nota a sua volta le difficoltà di affrontare un provvedimento importante come quello che riguarda le fondazioni.
Se, da un lato, al Senato si è tentato di dialogare e anche di perdere tempo - ha parlato di quattro giorni più due - e si è fatto in modo di lavorare bene, cercando il più possibile alcune limature, dall'altro, però, oggi alla Camera siamo costretti a correre e ad approvare questo provvedimento come una presa d'atto di fatto non più emendabile. Mi chiedo, quindi, se la disponibilità al dialogo che lei ha manifestato nel suo intervento sia la stessa che c'è stata al Senato, se c'è ancora oggi e anche nella discussione della Camera, che terremo. Credo che un provvedimento così importante, se si tratta di una riforma, avrebbe meritato una discussione ben più approfondita da parte di questa Commissione.
Mi chiedo, allora, e le chiedo, se questo sia un provvedimento di riforma o se, più semplicemente, non avrebbe potuto rientrare nella finanziaria, perché serve a togliere alcune spese per riportare l'equilibrio di bilancio e, quindi, in fin dei conti, si afferma che si compie una riforma, ma in realtà si vogliono rimettere a posto i conti legittimamente senza intervenire nel cuore del problema.
Il cuore del problema riguarda certamente pregi e difetti delle fondazioni. Anche noi dell'IdV riteniamo che una riforma delle fondazioni sia necessaria, anche noi, come lei, siamo preoccupati nel vedere il 7 per cento di investimenti privati sulle fondazioni, il che dimostra il fallimento, se non anche il fatto di aver messo su carrozzoni clientelari, il cui unico obiettivo è forse quello di controllare le assunzioni, piuttosto che fornire la qualità.
Probabilmente andrebbe svolto un ragionamento sul numero delle fondazioni, sulla qualità e sui meriti da affidare loro e, quindi, sul metodo dell'affidamento dei finanziamenti a chi è virtuoso, piuttosto che a chi non lo è.
Mi scuso di averla precedentemente interrotta sulla vicenda del Teatro Petruzzelli. Mi rendo conto, però, che è un segnale. Sostenere oggi che quella deroga permette le assunzioni, quando poi esse sono determinate dalla programmazione artistica, in assenza della quale e senza i fondi necessari per attuarla, non è possibile, di fatto, assumere, è un serpente che si morde la coda.
Di fatto, dunque, c'è un blocco delle assunzioni, pur effettuando una deroga e consentendo di assumere. Se non si elabora la programmazione artistica, però, come si fa ad assumere? Se non si hanno i soldi per la programmazione artistica, come si fa a sbloccare la possibilità di assumere?
Ritengo, quindi, che la questione del Teatro Petruzzelli sia stata fumo negli occhi.
Considero, invece, delicatissima la vicenda relativa all'intervento pesantissimo e, a mio giudizio, rischiosissimo - ha ragione il collega Giulietti - sulla contrattazione


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collettiva nazionale. Credo, infatti, che questa Commissione non abbia la competenza per affrontarla. Ritengo, quindi, che la Commissione lavoro pubblico e privato sia quella che deve intervenire in maniera più forte e incisiva, soprattutto perché pone condizioni temporali ai limiti della costituzionalità, dettando tempi e intervenendo sulle decurtazioni che, di fatto, pongono i lavoratori sotto una forma di ricatto.
Chiudo chiedendole la disponibilità di rendere il dialogo che lei ha enunciato un comportamento e una pratica. Se c'è disponibilità - questa è una domanda che le pongo - a rendere questo provvedimento emendabile, vorrei che ce lo comunicasse, altrimenti evidentemente questa Commissione non potrà fare altro che prendere atto di un provvedimento che, a mio giudizio, votare martedì sarà una grande forzatura.
Speriamo che in Aula venga fuori l'autonomia dei parlamentari per poter incidere, invece, su una scelta che, a mio giudizio, continua a destare preoccupazione nel settore.

ANDREA ORSINI. Signor Ministro, come lei sa, non faccio parte di questa Commissione. Ho voluto, però, essere presente - ringrazio il presidente Aprea e i colleghi per la cortesia di avermi concesso alcuni minuti - perché desidero esprimerle tutto il mio apprezzamento per il suo impegno sulla materia delle fondazioni lirico-sinfoniche, una materia che era drammaticamente indispensabile affrontare, per ragioni che in parte i colleghi hanno già illustrato, ma sulla quale mi vorrei soffermare fra un attimo.
Vorrei porre una premessa. Con buona pace del mio amico Renato Brunetta, non sono particolarmente vecchio, certamente non sono ricco e non porto ancora pro tempore il pannolone, ma sono un frequentatore piuttosto assiduo dei teatri lirici. Se sono lieto di vedere in questa sede un atteggiamento, da parte tutte le forze politiche, di tipo sereno e collaborativo, pur naturalmente nella legittima distinzione di posizione, vedo nei teatri un atteggiamento e una situazione profondamente diversa. Vedo, cioè, da parte del sindacato e dei settori più sindacalizzati e mobilitati dei lavoratori del teatro, un atteggiamento non solo di preclusione totale verso questo provvedimento, ma di strumentalizzazione dei momenti di spettacolo per svolgere una propaganda contro il Governo, che mi pare non solo arbitraria, ma simbolica di un determinato atteggiamento sindacale, che ha fatto in questi anni il male delle fondazioni lirico-sinfoniche, della musica in Italia e anche, soprattutto, dei lavoratori dello spettacolo.
Non c'è dubbio che i dati evidenziati dal Ministro Bondi, secondo cui le fondazioni lirico-sinfoniche si avvalgono per circa l'80 per cento di contributi pubblici, sia un tipico caso nel quale sono i poveri a finanziare i ricchi. È indubbio, infatti, che chi va a teatro sia spesso, se non sempre, parte di élite economiche o socioculturali diverse dalla totalità della popolazione.
Se fossi un lavoratore o un disoccupato e dovessi pagare ad Andrea Orsini o a tanti altri il piacere di andare alla Scala, avrei un motivo di malumore. Non arrivo ad affermare, naturalmente, che un'attività come la lirica possa sostenersi totalmente da sola, perché è evidente che un contributo pubblico esiste, ma è altrettanto evidente che questa situazione è insostenibile proprio per una ragione etica a cui, se fossi un esponente del centrosinistra o del sindacato, sarei molto sensibile. Il problema è che il sindacato dovrebbe farsi carico di un interesse collettivo dei lavoratori e non di interessi talvolta corporativi, come nel mondo della musica e dello spettacolo è avvenuto, a discapito degli stessi lavoratori.
Aggiungo una considerazione, vale a dire che tutto ciò, a differenza di quanto veniva sostenuto anche da alcuni colleghi poco fa, va esattamente a discapito della qualità. Infatti, se c'è un dato oggettivo è che questa situazione, per la quale in Italia si è consentito a tante realtà di sopravvivere, ma a nessuna di crescere, ha provocato


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un decremento qualitativo dell'attività di spettacolo lirico-sinfonico del nostro Paese.
L'Italia è una delle patrie della musica nel mondo e nella storia della cultura. Eppure, sta sempre più diventando marginale rispetto ai grandi circuiti della produzione e dell'elaborazione culturale. Questo avviene per tanti motivi. Ha ragione il collega Ciocchetti ad affermare che i teatri italiani lavorano poco, nel senso che fanno poche serate di spettacolo rispetto al cartellone dei grandi teatri europei.
I teatri italiani, del resto - lo ricordava in principio il collega Granata - hanno costi fissi di struttura spaventosamente più elevati degli altri teatri europei. Parliamo di costi che, ovviamente, tolgono risorse alla qualità della produzione artistica.
Mi scuso con i colleghi per la lunghezza, in conclusione, proprio nell'interesse della qualità, della musica, dello spettacolo e degli stessi lavoratori, signor Ministro, la ringrazio per quello che sta facendo e la invito ad andare avanti con tutto il mio personale sostegno, come credo quello di tutta la maggioranza.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Orsini, La invito, per la sua competenza, a tornare a far parte di questa Commissione, o almeno ad essere presente ai nostri lavori. Sono lieta che sarà presente anche lunedì e seguirà il provvedimento.
Do la parola all' onorevole Barbieri per le conclusioni.

EMERENZIO BARBIERI. Signor presidente, è inutile che io entri ora nel merito delle questioni. Sarebbe davvero sbagliato anche dal punto di vista politico, nel senso che la relazione ci sarà domani mattina. Mi interessa, tuttavia, definire la cornice politica della questione, anche alla luce degli interventi che si sono succeduti e che, a mio giudizio, sono stati molto importanti, sul versante sia della maggioranza, sia dell'opposizione.
Le critiche sono tutte legittime. Credo, tuttavia, che sia sbagliato pensare che il Governo abbia una responsabilità sul fatto che il provvedimento sia rimasto 48 giorni al Senato. A me non pare che si debba accusare il Governo di ciò. Sappiamo molto bene, infatti, quale sia la dinamica del bicameralismo perfetto. A noi il decreto arriva con 12 giorni di tempo residuo per il completamento dell'esame. Da questo punto di vista, però, non possiamo farne carico a Berlusconi, a Bondi o a Giro. Non possiamo farne carico al Governo, non che ne dobbiamo fare carico all'opposizione. Non ho pronunciato queste parole, anche perché non le penso. Ad ogni modo, questa è la situazione nella quale ci dobbiamo muovere.
Per una fortunata coincidenza, frutto del lavoro intelligente della presidente della Commissione, ma anche della grande disponibilità del Ministro Bondi e del sottosegretario Giro, questa è una occasione più unica che rara. Non è mai accaduto, nella mia non brevissima esperienza parlamentare, che il Ministro venga in Commissione a illustrare le tesi di fondo relative a un provvedimento legislativo che domani viene incardinato in Commissione e martedì o mercoledì si troverà in Aula. Credo che la discussione abbia consentito di far rilevare che sia stata una scelta molto positiva.
Il nodo politico, frutto della sostanza dell'intervento del collega Giulietti e in parte anche della collega De Biase, è che, in questo caso, non vi è un'indisponibilità di principio a valutare proposte che saranno avanzate dall'opposizione. Il Ministro Bondi, con un'onestà intellettuale non da tutti, ha affermato ciò che è sotto gli occhi di tutti, ossia che dal testo originario del Governo alla versione in cui il provvedimento, col consenso del Governo, è uscito dalle aule del Senato un testo molto differente. Solo chi è in mala fede non può non riconoscere che ci sia stata una differenza sostanziale. Ciò non è avvenuto con un colpo di mano dell'Aula contro il Governo, ma con il consenso del Governo stesso.
L'onorevole Granata, nel suo intervento, ha, credo opportunamente, ricordato i passaggi che sono cambiati rispetto al testo originario del Governo. Non si può chiedere, però, in termini preventivi, onorevole


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Giulietti, che la maggioranza sia disponibile a discutere ulteriori modifiche nel momento in cui non sappiamo neanche di quali modifiche sta parlando l'opposizione. Vediamo la bontà delle questioni. Se c'è l'indisponibilità nel merito da parte della maggioranza e del Governo, ciò non vuol dire che esista la pregiudiziale per cui comunque dobbiamo votare entro il 28. Bisogna che la maggioranza condivida eventuali proposte di modifica.
Leggendo il testo uscito dal Senato ieri sera, credo di poter affermare che siamo di fronte a un provvedimento - per l'amor di Dio, perfettibile come tutti gli atti umani - molto serio. L'appello che rivolgo all'intera opposizione, dal PD all'IdV, all'UdC, che non c'è più, è quello di evitare di creare situazioni, di fatto, di pregiudizio rispetto a un esame attento e accurato del provvedimento. Il Governo è disponibile.
Ha ragione il Ministro Bondi: collega Zazzera, se avessimo lasciato le cose come erano, non avremmo aiutato la lirica italiana, né le fondazioni lirico-sinfoniche. Le avremmo affondate in un mare magnum, che credo non sia francamente più sopportabile.
Quando ho sentito la cifra, che, per la verità, ci aveva anticipato ieri l'altro il Sottosegretario Giro, di 300 milioni di euro, ho pensato alla mia amica Goisis, che mi chiede sempre come fa a tornare a Padova a riferire che lo Stato non ha i soldi per pagare gli insegnanti precari e poi, nel frattempo, deve accollarsi 300 milioni di euro di debiti delle fondazioni lirico-sinfoniche.
Chiedo all'opposizione - poi ci sarà un problema di coerenza rispetto al voto del Senato - di mettere sul tavolo una discussione pacata, serena e distesa per avere un atteggiamento che non sia pregiudizialmente contrario dell'opposizione: sarebbe utile e positivo.
Grazie.

PRESIDENTE. Voglio sapere se il Ministro vuole replicare, ma brevemente, perché sarebbe opportuno farlo domani. Non posso, però, dare per scontato che domani ci siano i colleghi che sono intervenuti oggi in audizione. Ci sarà, quindi, una breve replica del Ministro questa sera e poi si riprenderà domani mattina, tenendo presente che ci sarà la relazione del onorevole Barbieri e nuovi interventi dei commissari che saranno impegnati nell'esame attento del provvedimento.
Lasciamo al Ministro la possibilità, ovviamente, di decidere tempi e modi di questa sua replica.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Vorrei ringraziare lei, signor presidente e l'onorevole Barbieri e tutti i colleghi parlamentari per i loro interventi.
Vorrei soltanto, se mi è consentito, sviluppare una riflessione di carattere generale, che può riassumere il tenore del dibattito, che si è svolto in maniera molto civile, pacata e costruttiva durante i lavori della Commissione.
Credo che un Paese si possa definire moderno, civile, che guarda al futuro quando c'è una continuità nel lavoro di Governi e maggioranze politiche di carattere diverso. Ritengo, infatti, che un Paese sia stabile e possa guardare con certezza al proprio futuro quando, ogni volta che cambia un Governo, quello nuovo non mette in discussione tutto il lavoro svolto precedentemente, ma cerca, naturalmente con il proprio programma, di riprendere il filo di un discorso comune, di un interesse generale che guardi al bene comune di una nazione.
Ritengo che a ogni cambiamento di Governo, per esempio, le grandi leggi della scuola, del regime fiscale, dell'economia e della giustizia non possano cambiare radicalmente. Un Paese in cui accadono queste situazioni è ingovernabile.
Nel mio piccolo, credo di avere agito in questo senso, perché mi sono ricollegato al lavoro svolto da ministri di Governi precedenti. Per quanto riguarda il settore lirico-sinfonico, ho affermato esplicitamente che mi sono riallacciato al lavoro compiuto dal Governo di centrosinistra, in particolare dall'onorevole Veltroni, il quale ha compiuto una riforma, istituendo le fondazioni lirico-sinfoniche. Non ho messo


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in discussione questo traguardo, ma ho sostenuto, come tutti hanno riconosciuto, che esso si proponeva finalità che però non sono state raggiunte, non per il contenuto stesso del provvedimento, quanto per altre ragioni, che sarebbe in questo momento inutile approfondire.
Parto da lì, riprendo le questioni da quel punto, prendo atto che c'è una difficoltà e una crisi del settore, ma non metto in discussione quel traguardo; cerco, invece, di affrontare le difficoltà per quelle che sono. Cerco di affrontare i nodi che sono stati posti e quello principale, che è stato messo in evidenza in questa discussione, è la natura ibrida delle fondazioni. Il punto è questo, alla fine: sono fondazioni di natura privata, sostanzialmente, anche se non è totalmente vero neppure questo, che però traggono l'80 per cento dei finanziamenti da parte degli enti pubblici dello Stato e degli enti locali. Questo è il nodo fondamentale da cui origina la crisi di gestione e di amministrazione di questo comparto.
Cerco di affrontare tale difficoltà non soltanto, come sosteneva l'onorevole Ciocchetti, attraverso misure a carattere contrattuale che incidono sul lavoro, che sono una parte del decreto, ma anche sulla gestione delle fondazioni, che rappresenta la parte che verrà disciplinata dai regolamenti governativi.
Per questo motivo ho affermato che siamo all'inizio della riforma e non di fronte a una riforma conclusa. Siamo soltanto all'inizio di un processo di riforma del settore, in cui sarà impegnata questa Commissione, quando cominceremo a esaminare insieme i regolamenti governativi che detteranno le linee di gestione, di economicità, di trasparenza e di corretta gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche.
Lo stesso discorso vale per il tema del cinema. Ho ripreso una buona iniziativa del Governo precedente, dell'ex Ministro Rutelli, e l'ho portata a compimento. Ho ripreso le misure di tax credit e tax shelter, ricordate dall'onorevole Carlucci, dal Governo di centrosinistra e le ho portate a compimento.
Ho compiuto anch'io il mio tratto di strada, perché mi sono battuto affinché venissero approvate in Europa, affinché il Governo le mantenesse, per trovare i finanziamenti. Quando ci sono buone iniziative, credo che sia di buon senso lavorare in questa direzione ed è per questo che ho deciso di mandare avanti il lavoro della Commissione cultura della Camera dei deputati sulla legge quadro dello spettacolo. Ho abrogato la norma del decreto sul cinema perché voglio che al Senato vada avanti la proposta di legge parlamentare sulla riforma del cinema.
Peraltro - l'onorevole Giulietti l'ha ricordato - per quanto mi riguarda presenterò le mie proposte e integrerò il lavoro che verrà svolto sul cinema dalla Commissione parlamentare cultura del Senato. Spero che vada avanti e sia approvato il decreto della lirica, come anche la legge sullo spettacolo da parte di questa Commissione e la legge sulla riforma del cinema al Senato. Penso che al termine di questa legislatura avremo una situazione nell'ambito dello spettacolo migliore di quella che abbiamo ereditato.

PRESIDENTE. Colleghi, concedetemi pochi minuti soltanto per ricordare a tutti noi le prossime fasi.
Devo ringraziare ancora una volta il Ministro Bondi, perché, come avete capito, abbiamo utilizzato la sede dell'audizione per anticipare il dibattito sul decreto che ufficialmente inizia domani. Diversamente, avremmo dovuto togliere altro tempo, una mezza giornata, proprio a questo primo confronto. Ringrazio, quindi, il Ministro Bondi, che ha confermato la disponibilità a ritornare anche domani mattina.
Domani saremo in sede referente, ascolteremo la relazione dell' onorevole Barbieri Barbieri e riapriremo il dibattito nel merito. Con l'ufficio di presidenza ora fissiamo le date relative alla presentazione degli emendamenti e alla loro discussione.
Svolgo un'ultima considerazione, che devo esprimere al Ministro, anche a nome dei deputati. Faccio la sindacalista dei deputati, se mi è consentito. Non è un ruolo che svolgo volentieri, però mi sento


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di riferirle che tutta la Commissione, peraltro rispondendo all'invito dell'onorevole Franceschini, capogruppo dell'opposizione, vuole comunque svolgere tutte le fasi legate all'istruttoria. Sarebbe stato troppo facile per la Commissione, e per la maggioranza in particolare, superare queste fasi affermando che, essendoci sono solo pochi giorni a disposizione, si va in Aula e succeda quel che deve succedere.
Abbiamo richiesto e ottenuto da lei questo confronto perché teniamo molto al nostro lavoro e sappiamo che può essere un punto di forza per il settore, non solo per la maggioranza, perché crediamo davvero nel compito istituzionale che ci è stato affidato.
Abbiamo aggiunto questo momento di oggi pomeriggio e domani andremo avanti, però, Ministro, non ci piace troppo lavorare in questo modo. Chiederemo ai deputati di venire anche lunedì, ma non è questo il punto, lei capisce, non è il discorso di essere a Roma un giorno in più. Come è stato ribadito soprattutto dai colleghi dell'opposizione, sappiamo che il nostro lavoro è importante, perché si svolge alla presenza del Ministro e del sottosegretario, che assumono impegni, che, quindi, restano a futura memoria.
Avvertiamo la responsabilità di portare avanti il decreto nei tempi già fissati 60 giorni fa, ed è giusto rispettare questi termini, però, se non avremo fortuna con questo dibattito - parliamoci chiaro - che svolgeremo in Commissione, perché i giochi sono stati fatti anche giocando tra Camera e Senato, maggioranza e opposizione, chiediamo che ci sia da parte sua attenzione agli emendamenti che la Commissione vorrà presentare e discutere, affinché, se non in questo provvedimento, che è un decreto ed è in scadenza, nei prossimi provvedimenti ci possa essere davvero da parte sua un'attenzione giocata con un confronto preventivo e non successivo.
Nel ringraziare nuovamente il Ministro Bondi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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