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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (XI e XII)
1.
Mercoledì 12 novembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

Audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 8 11 12 14
Delfino Teresio (UdC) ... 8
Di Virgilio Domenico (PdL) ... 8
Farina Coscioni Maria Antonietta (PD) ... 9 10
Lenzi Donata (PD) ... 11
Pedoto Luciana (PD) ... 8
Sacconi Maurizio, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ... 3 8 10 14
Saltamartini Barbara (PdL) ... 12 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE (XI E XII)
XI (LAVORO) E XII (AFFARI SOCIALI)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 12 novembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale».
Abbiamo poco tempo a disposizione, perché i lavori d'aula riprenderanno alle ore 15,15. Do pertanto subito la parola al Ministro Sacconi.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Ho già avuto modo di dire alle Commissioni del metodo seguito a proposito del Libro verde e della consultazione che con esso è stata promossa. Purtroppo, in Italia si tratta - credo - della prima esperienza, mentre in altri Paesi dell'Unione si ricorre frequentemente allo strumento del Libro verde come base di consultazione pubblica, a seguito della quale si redigono documenti compiuti, come è nostra intenzione fare con un Libro bianco che verrà prodotto in tempi molto brevi.
La stessa Commissione europea, come sapete, ricorre spesso a un'analoga metodologia, che abbiamo ritenuto di seguire - sulla base di una valutazione-approvazione da parte dello stesso Consiglio dei ministri - con l'intenzione di arrivare, se possibile, a un prodotto largamente condiviso, laddove la larga condivisione è riferita non solo al Parlamento e alle forze politiche, ma più in generale alle tante espressioni della società. Siamo infatti convinti che almeno i valori e la visione del nuovo modello sociale dovrebbero essere parte della Costituzione materiale del Paese e, come tali, essere largamente condivisi.
Non so se le attuali condizioni, in particolare della politica, lo consentano, ma questa è la dichiarata aspirazione che io confermo in una fase ormai conclusiva della consultazione pubblica, sebbene il termine non sia perentorio, né vi siano sanzioni che lo sostengono. Molti sono i contributi pervenuti e molti altri sono stati prodotti in termini non espliciti, seppur implicitamente utili alla redazione del Libro bianco. Come sempre accade, registriamo un'accelerazione soprattutto in questi ultimi giorni e molte organizzazioni stanno ancora consegnandoci le loro proposte.
Allo stato, si registrano 760 contributi ricevuti, dei quali circa cento provenienti dalle principali associazioni: 110 hanno avuto a riferimento in particolare le politiche sociali, 109 le politiche del lavoro, 62 la materia previdenziale, 52 la materia della salute in senso stretto, 255 hanno


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considerato la complessiva impostazione del Libro verde, concorrendo in tal modo alla visione d'assieme che esso ipotizza, seppure con gli interrogativi ricorrenti che vi sono contenuti.
Questo non significa confusione dei ruoli né fra maggioranza e opposizione, né fra parti sociali, né fra Stato e regioni. Significa, piuttosto, ipotizzare un comune terreno di gioco per la stessa dialettica fra tutti questi attori. Qualora la visione e i valori di riferimento fossero davvero condivisi, ciascuno si eserciterà a controllare l'altro, a mettere in mora l'altro, a verificare la coerenza dell'altro rispetto a questa visione e a questi valori. Come ho detto più volte, per primo il Governo è costretto a procedere a zig-zag rispetto a una prospettiva che ci auguriamo possa essere luminosamente descritta.
So che nella stagione che ci attende e che tutti temiamo essere contraddistinta, per esempio, da una diffusa perdita di posti di lavoro, ricorreremo molto agli strumenti della protezione passiva del reddito, i cosiddetti «ammortizzatori sociali». Eppure, nel Libro verde si sostiene con enfasi la necessità di andare oltre la protezione passiva, di realizzare quella protezione attiva che consiste nel rafforzare l'occupabilità della persona e, quindi, nel metterla in condizione di trovare un'altra occupazione, perché le sue competenze sono state rafforzate, perché il mercato è tra i più efficienti e le consente di incontrare la domanda di lavoro e via elencando.
In realtà, nel breve periodo saremo costretti ad agire molto sulla leva passiva dell'integrazione del reddito. Dovremo cercare, attraverso il dialogo con le regioni, di fare in modo che questi - temo molti - fruitori di ammortizzatori sociali possano allo stesso tempo fruire anche di sostegni formativi, soprattutto se questi sostegni agiscono dal lato della domanda, ovvero dal lato della persona, affinché questa responsabilmente cerchi l'offerta formativa più idonea, in un sistema che il Libro verde ipotizza essere caratterizzato da un'offerta formativa spesso autoreferenziale.
Nell'insieme, il Libro verde afferma la volontà di riproporre la centralità della persona in sé e nelle sue proiezioni relazionali, a partire dalla famiglia. Questa affermazione potrebbe sembrare scontata o retorica, ma il Libro verde ritiene che non lo sia, in un sistema caratterizzato da una forte autoreferenzialità che si è in modo crescente determinata nelle prestazioni sociali e nei servizi che queste governano. Ripartire dalla persona, dalla tutela della sua dignità e dalla famiglia dovrebbe già implicare il ripensamento di molte delle attuali connotazioni del modello sociale. Si tratta di un modello sociale che si è caratterizzato per essere eminentemente risarcitorio e, quindi, segmentato in relazione ai diversi profili del bisogno; noi vorremmo invece ricomporlo in un modello sociale che intervenga sull'integralità della persona rafforzandone l'autosufficienza.
Ebbene, questo significa, nel caso delle politiche del lavoro, riconoscere il ruolo dell'apprendimento di tutto ciò che rafforza l'autosufficienza della persona nel mercato del lavoro e, nel caso delle politiche della salute, rafforzare tutto ciò che rende la persona più capace di prevenire il formarsi di un bisogno di salute, tutto ciò che influisce sullo stile di vita, tutto ciò che riguarda l'ambito della prevenzione intesa in senso lato, incluso anche l'orientamento della ricerca verso tutto ciò che consente di prevenire il formarsi di un bisogno di sanità.
La preoccupazione del Libro verde, ovviamente, è quella di individuare un sistema sostenibile per la finanza pubblica e per le famiglie. Il Libro verde è stato prodotto, non casualmente, nello stesso momento nel quale il Governo ha varato la manovra anticipata di giugno-luglio, nella convinzione che stesse per arrivare la grande crisi dei mercati finanziari. Una crisi che sappiamo tutti quanto sia strutturale e profonda, destinata a incidere significativamente e probabilmente in modo duraturo sui comportamenti, sugli stili di vita, sulle caratteristiche delle società occidentali in modo particolare. Non dimentichiamo che all'origine della stessa


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crisi finanziaria qualcuno individua lo squilibrio demografico delle società occidentali.
In fondo, il motore del capitalismo, del mercato dei capitali è dato dal fatto che le generazioni più adulte, con maggiore capacità di risparmio, sono sempre state portate a remunerare bene il proprio risparmio affidandolo a investitori che, a loro volta, hanno finanziato l'intraprendenza delle giovani generazioni, naturalmente votate a progetti innovativi ad alta redditività (ove dotati di successo) e dunque capaci di remunerare adeguatamente il risparmio investito.
È stata la carenza di giovani e la conseguente carenza di iniziative con queste caratteristiche a determinare un forte abbassamento della redditività dell'investimento finanziario e a indurre la ricerca di vie che, come abbiamo visto, si sono rivelate fonte di grave instabilità, che hanno dato luogo a quella moltiplicazione, su una stessa base economica, reale o virtuale, di prodotti finanziari. Solo una parte di questi prodotti, come è noto, sono stati individuati, mentre altri - forse la quantità maggiore - sono ancora in circolazione e, per fortuna, per questi non si è prodotta ancora l'interruzione della catena della fiducia.
Pertanto, all'origine della stessa grande crisi che stiamo vivendo vi è un elemento che riguarda la nostra società e, quindi, implica politiche sociali, come lo squilibrio demografico. Ma lo squilibrio demografico è diretta e immediata fonte di instabilità, in particolare dei modelli sociali, perché questi sono fortemente condizionati dal cosiddetto «tasso di dipendenza» tra attivi e non. Noi abbiamo voluto, con riferimento al modello sociale, avanzare questa iniziativa di proposta del Libro verde - contemporaneamente alla manovra economica che conteneva significativi interventi sulle dinamiche della spesa corrente e, quindi, della spesa sociale - per segnalare come non abbiamo la volontà di razionare i servizi sociali e le prestazioni sociali; ma la grande crisi impone la necessità di stabilizzare la finanza pubblica, anche ai fini di consentire a un Paese con un alto monte di debito accumulato di non incorrere nella crisi di liquidità per difficoltà di far sottoscrivere il proprio debito a causa della poca affidabilità del sistema Paese.
Pur in un contesto di questo tipo, pur nel grave condizionamento che riceviamo dal nostro debito pubblico in un mercato finanziario instabile, abbiamo voluto intendere - con i primi provvedimenti adottati, ma anche con la visione di medio-lungo periodo che il Libro verde sottintende - che non solo non vogliamo razionare i servizi e le prestazioni sociali ma, al contrario, vogliamo di necessità fare virtù e accelerare quelle esigenze di ridefinizione del modello sociale che ci apparivano già necessarie prima e che, in queste condizioni, dovranno essere ancor più rapidamente implementate.
L'esempio più evidente è quello dei servizi socio-sanitari assistenziali. Noi spendiamo di più ove minore è la qualità dei servizi erogati. C'è una equazione che possiamo ritenere matematica fra le maggiori spese per servizi sociosanitari assistenziali e la minore resa di essi. Il caso della sanità è particolarmente emblematico.
Da tempo ritengo che si sia affermato in regioni come la Lombardia, il Veneto, l'Emilia, il Piemonte un modello non più tarato prevalentemente sulle strutture ospedaliere, un modello nel quale tendenzialmente più di metà della spesa regionale si orienta ai servizi sociosanitari e assistenziali territoriali, per tutte le ragioni che soprattutto i colleghi della Commissione affari sociali conoscono molto bene. Questo, però, implica la chiusura, il superamento, la riconversione - usiamo la definizione che può essere più dolcemente accettata - delle tante strutture ospedaliere che sono la negazione dei servizi sociosanitari territoriali. Questi ultimi non possono ragionevolmente essere realizzati prima e in aggiunta a quei servizi ospedalieri che sono marginali e che, come tali, sono anche pericolosi e vanno rapidamente chiusi per essere sostituiti da una rete dei servizi che consenta la presa in carico della persona.


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Qualche giorno fa ho insediato il commissario in Abruzzo, dove ci sono trentacinque ospedali per un milione e 300 mila abitanti; nella mia provincia con 800 mila abitanti abbiamo cinque ospedali e ci poniamo anche il problema di razionalizzare ulteriormente i luoghi della risposta ai bisogni degli acuti. Trentacinque ospedali indicano un sistema ospedalecentrico che, come tale, non è in grado di offrire quelle reti di servizi che poi danno valore alla famiglia, al volontariato, alla partecipazione attiva della stessa persona a tutto ciò che può aiutare il suo stato di salute. Questi processi in tali circostanze devono essere accelerati.
Il Libro verde, dunque, è un'operazione che ha lo scopo di produrre una visione utile ad aiutare le nostre comunità ad accettare il cambiamento, perché cerca di indicare qual è il punto d'approdo. Quando dobbiamo chiudere un ospedale marginale - a Reggio Calabria ci sono ospedali da venti posti letto con primari e via dicendo, non so come distinguano fra unità semplici e unità complesse, sarebbe molto interessante andare a vedere - è evidente che si pongono delle frizioni con le comunità, ma noi possiamo superarle, se indichiamo il punto d'arrivo. In quel caso il punto d'arrivo è anche abbastanza rapido e breve.
Roma ha vissuto le tensioni sul San Giacomo che è diventato una sorta di caso emblematico, si è caricato di un significato che andava forse al di là della pur necessaria attività. Io ho sostenuto il presidente e commissario Marrazzo in questo difficile passaggio; la mia affermazione, seppur molto discutibile, era coscientemente rivolta ad assistere il commissario in questo passaggio impegnativo, prospettando peraltro - come è stato giusto fare - la realizzazione di altri servizi più idonei di quello di carattere ospedaliero che veniva meno per esigenze di razionalizzazione, senza implicare il giudizio sulla qualità delle persone, che sono spesso impegnate ancor più generosamente ad operare in strutture che non consentono la necessaria concentrazione di tecnologie e di professionalità.
Non entro nel dettaglio, perché loro conoscono anche i quesiti che abbiamo posto. Pensiamo, per quanto riguarda le problematiche di carattere più strettamente sociale, al vasto tema della non autosufficienza. Qui c'è una scelta implicita, che è quella di integrare le politiche assistenziali, soprattutto quelle riferite alla non autosufficienza, con le politiche sociosanitarie.
C'è un modello implicito che qui viene scelto; è un modello che in una parte del Paese è già stato applicato; è il modello che spiega il successo di quelle politiche e che vede una molteplicità di attori che concorrono a sostenere una condizione di non autosufficienza. Ebbene, quel modello integra i servizi sociosanitari assistenziali fra di loro, senza lasciare le attività assistenziali riferite, ad esempio, alla non autosufficienza, appese soltanto alla municipalità o, peggio ancora, appese a nulla o quasi, poiché devono essere integrate in un sistema più ampio.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il principale quesito riguarda il superamento della politica tradizionalmente detta della formazione. Io suggerisco finanche l'abbandono di questa definizione, preferendogli il termine «apprendimento», che sottolinea il lato della domanda rispetto a quello dell'offerta. Ebbene, nella politica dell'apprendimento sottolineo l'esigenza di una rivoluzione copernicana rispetto a un'esperienza che è stata fallimentare, con l'eccezione soltanto di molti dei servizi di apprendimento riferiti all'età del diritto dovere ai dodici anni di istruzione, soprattutto nel caso di drop out scolastico e via dicendo. Eccetto alcune lodevoli attività in questo ambito, come non vedere, invece, nel caso della formazione iniziale, successiva ai dodici anni di apprendimento, o nel caso della formazione continua, un fallimento storico della formazione?
Noi ipotizziamo alcuni criteri di radicale cambiamento: il riconoscimento del lavoro come parte del processo educativo; il riconoscimento dell'impresa come luogo potenzialmente idoneo a ospitare le attività formative realizzate non solo dal by


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doing, ma corredate anche di persone di supporto, di tutori, di attività integrate con l'ambito universitario o con altri istituti educativi.
L'impresa non è il luogo dal quale stare lontani nella fase dell'apprendimento. Tutta la teoria della formazione esterna, infatti, si è quasi basata sull'idea che l'impresa fosse un luogo di tendenziale abbrutimento della persona, rispetto al quale serviva un ambiente distinto e distante.
Al contrario, vorremmo superare, almeno qui ove non c'è, quello che noi consideriamo il vizio del valore legale del titolo di studio; vorremmo, qui ove non occorre porci il problema del superamento del valore legale del titolo di studio, utilizzare, nelle politiche di apprendimento, non la certificazione formalistica dell'avere praticato un corso, ma il test delle conoscenze effettivamente acquisite, sulla base di valutatori accreditati, la verifica delle competenze e delle conoscenze effettive della persona, in luogo della certificazione formale; almeno qui ove la formazione non ha valore legale, sebbene ci sia quasi una propensione a dare un valore formalistico alla frequentazione di un'attività, anche se da essa non sia venuto alcun utile incremento delle conoscenze e delle competenze della persona.
Termino con un'ulteriore segnalazione relativa al finanziamento, sia dal lato della domanda, sia dal lato dell'offerta. Qui si segnala un sistema misto nel quale la funzione pubblica si esalta e non si mortifica. Il pubblico si esalta come soggetto regolatore che guarda alla persona, che vuole innanzitutto garantire alla persona i migliori servizi che la rafforzano nella sua condizione di autosufficienza; un regolatore che, in quanto tale, dovrebbe addirittura essere neutrale rispetto agli erogatori di prestazioni, perché dovrebbe sempre guardare alla persona, essere avvocato dell'interesse della persona.
Questa, ovviamente, è un'impostazione più teorica che pratica; è evidente che poi vi sia una prevalenza e talora una generosa attenzione all'erogatore pubblico di cui si perdonano le inefficienze. Il regolatore, invece, deve essere quanto più rigoroso possibile verso i privati e verso i modi di accreditarli. Chiarisco che l'accreditamento è riferito non solo alla politica della salute e agli erogatori privati nella salute, ma anche ai profili di carattere sociale.
Il concetto di sussidiarietà è ricorrente nel Libro verde, e la valutazione degli erogatori privati non deve essere mai statica, ma deve essere sempre una valutazione dinamica, molto esigente.
Dal punto di vista del finanziamento, certo, il Libro verde incoraggia forme di autorganizzazione della domanda. Oggi vediamo come le famiglie spesso siano costrette a spendere, anche molto, out of pocket, per l'apprendimento come per la salute, e a farlo verso strutture del servizio pubblico, pubbliche o private che esse siano, che spesso si sovrappongono, invece di avere funzioni complementari e integrative.
Al contrario, dobbiamo fare in modo che questa domanda si autorganizzi, attraverso le mutue, i fondi, le assicurazioni, ma come parte quanto più integrata di un sistema flessibile di finanziamento, il cui risultato finale deve essere quello della sostenibilità di un sistema molto più ambizioso e molto più evoluto di quello attuale.
Poiché purtroppo ho un'età politica e anche, implicitamente, anagrafica non indifferente, ricordo l'origine dei sistemi che oggi vogliamo cambiare e vedo che spesso oggi essi vengono difesi come fossero il Talmud da coloro che non vi concorsero affatto ma che, anzi, li contestarono nel momento in cui furono realizzati. D'altra parte, accade che coloro che arrivano sempre in ritardo si oppongano alle nuove strutture quando queste vengono create e le difendano quando è ora di cambiarle.
Avendo fatto in tempo a vivere il primo centrosinistra, potrei dilettarmi nel farvi lunghi elenchi, con tanto di argomentazioni, di date e di prese di posizione.
Comunque, guardiamo avanti e cerchiamo di costruire questa nuova dimensione.


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DOMENICO DI VIRGILIO. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori.
Credo che l'audizione del Ministro Sacconi su una tematica così importante come il Libro verde non possa esaurirsi in mezz'ora. Pertanto, chiedo fin d'ora - e ritengo che il mio intervento sia superfluo, visto il numero dei commissari e gli interventi previsti - che si calendarizzi un'ulteriore audizione. Io solo troverei difficoltà a parlare meno di sei-sette minuti.

PRESIDENTE. Già il Ministro Sacconi ha manifestato la sua disponibilità; pertanto, se nei tempi previsti non riusciremo a concludere, il Ministro ci farà sapere quando potrà tornare per il completamento dell'audizione.

TERESIO DELFINO. Signor presidente, intervengo anch'io sull'ordine dei lavori. Vorrei capire oggi fino a che ora lavoreremo, fermo restando che condivido la richiesta del collega.

PRESIDENTE. Lavoriamo fino alle 15,10-15,15, allorquando inizieranno i lavori d'aula.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUCIANA PEDOTO. Ringrazio il Ministro Sacconi di essere qui oggi, ma soprattutto lo ringrazio per aver voluto adottare questa nuova metodologia di confronto, tesa proprio a favorire un confronto di natura pubblica.
Desidero, pur tuttavia, rilevare che il testo, che deve essere obbligatoriamente generico per tutte le tematiche che affronta, proprio per questa sua genericità non permette un vero confronto sulle linee concrete di indirizzo del Governo nei vari ambiti dello stato sociale.
Sappiamo - e il Ministro l'ha anche confermato - che in questi mesi sono arrivate molte osservazioni e molte critiche. Spero che ci sarà una nuova occasione da parte del Ministro per presentare una piattaforma di interventi leggibili. Chiarisco che per leggibilità intendo l'intenzione di uscire dalla genericità...

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. A quel punto, però, il pacchetto è chiuso!

LUCIANA PEDOTO. Numerose affermazioni presenti nel Libro verde sono affermazioni di principio molto condivisibili. Emerge quindi un passaggio dalla genericità alle linee concrete del Governo e alle risorse che intende mettere a disposizione per garantire i diritti fondamentali dei cittadini.
Vorrei dunque capire il legame tra cittadinanza e lavoratori stranieri. Quando una famiglia italiana trova soluzione alla sua non autosufficienza assumendo una badante straniera, ci si trova dinanzi a un nuovo profilo di lavoratore e forse di cittadino.
Nel merito, in base alla mia lettura del Libro verde, vorrei evidenziare soltanto due aspetti, uno sulla salute e un altro sul terzo settore. L'impianto sulla salute mi sembra un po' debole. Ho ritenuto molto apprezzabile la scelta di porre al centro la ricerca biomedica, il ruolo dei medici di medicina generale, il riferimento ai malati cronici, al controllo della spesa farmaceutica, ai ricoveri impropri e alla diagnostica. Mi chiedo però con quale strumento si porrà al centro il nuovo ruolo del medico di medicina generale.
Vorrei capire in quale contesto si collochi il progetto salute, ovvero quali siano le linee sulla salute e sui livelli essenziali di assistenza. Il Servizio sanitario nazionale è articolato nelle regioni, che sono molto diverse per motivi storici e sociali, oltre che economici. Ritengo però che per le famiglie italiane debba essere chiaro il punto fermo del modello di welfare che vogliamo. In questo senso, sarebbe stato opportuno spendere qualche riga in più sulla salute.
Il terzo settore è un segmento dinamico dell'economia. Ritengo dunque opportune tre riflessioni: una sulla qualità delle prestazioni che il terzo settore eroga, un'altra


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concernente la riorganizzazione della normativa del settore, stratificatasi negli ultimi anni, e un accenno alla formazione professionale in campo sociale. Se vogliamo tracciare il profilo di un moderno Stato sociale, l'assenza di questi tre elementi può essere considerata una lacuna, laddove il terzo settore svolge un ruolo primario nell'implementazione delle politiche sociali.
A tal proposito, desidero riferirmi a un passaggio del documento, evidenziando come i soggetti del terzo settore siano luoghi relazionali e di servizio per eccellenza molto più e prima delle farmacie e delle stazioni dei Carabinieri.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Esprimo un ringraziamento al Ministro Sacconi. Come delegazione radicale nel Partito Democratico, abbiamo approfondito la lettura del suo Libro verde, che non ci soddisfa del tutto. Ritengo unanimemente utile al confronto politico discuterne apertamente. Il mio auspicio è infatti individuare insieme punti di contatto.
Credo sappia di avere a che fare con persone ragionevoli, che certo non sottovalutano né la complessità della congiuntura economica in cui siamo immersi, né le difficoltà in cui versa il nostro welfare, le sue rigidità di bilancio e le ingessature decennali, che ci hanno consegnato un sistema decisamente al collasso, incapace di accompagnare flessibilità, mobilità sociale e sicurezza. Tale sistema di welfare vive e fa vivere in ristrettezze e favorisce le rendite di posizione di categorie iperprotette a scapito degli outsider, dai giovani, alle donne, ai lavoratori di piccole imprese, ai soggetti non autosufficienti, ai malati, ai disabili. Sappiamo quanto sia difficile sui temi affrontati nel suo Libro verde trovare una quadra che soddisfi parti sociali e politica.
Desidero sottolineare ciò che nel suo Libro verde non è trattato come un'urgenza o un'emergenza del nostro Paese. Se una vita buona può esserci in una società attiva, come auspicato nelle venticinque fitte pagine del suo documento ministeriale, ci chiediamo come possa sfuggire che in Italia le cifre più allarmanti sui servizi di assistenza all'infanzia e sul mercato del lavoro riguardino una fetta importantissima della popolazione, quella femminile, laddove 3,5 milioni di donne inattive non rappresentano un dato trascurabile.
Il suo Libro verde parte da obiettivi condivisibili, perfino con un'impostazione su assistenza e welfare tarata sull'individuo, con politica di welfare to work e servizi. Non possiamo, dunque, non rilevare un importante sforzo in questo suo lavoro, nel citare un nuovo welfare a misura dell'individuo, un contenimento della spesa specie su sanità e pensioni e una probabile stretta che incoraggi il pilastro privato e che tenga conto dei trend demografici nel nostro Paese. Si intravede l'obiettivo possibile di respirare a pieni polmoni dalle buone pratiche europee.
Il Libro verde pare però impantanarsi, quando evita di parlare di allocazione o reperimento delle risorse, di servizi concreti al di là dei soliti piani straordinari su asili nido - sistematicamente disattesi da anni e su cui ci consentirà qualche dubbio di efficacia, perché i soldi destinati ai piani sul nido non vengono spesi dai comuni - o di strumenti concreti. Quelle pagine diventano nuovamente fumose, vaghe e perfino allarmanti, quando si scorge un'impostazione molto italiana e familistica e non più basata sulla libertà degli individui. Il welfare pare di nuovo a carico delle donne e dei servizi di volontariato, magari cattolici.
Per parlare un linguaggio più familiare e non rischiare di venire tacciati di essere contro la famiglia in generale, mi preme ricordare, signor Ministro, che non c'è politica per la famiglia o per le famiglie che non passi dalle politiche per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e attraverso servizi per l'infanzia, di cui potranno beneficiare mamma e papà o mamme e mamme o padri e padri, o attraverso lo sviluppo di un progetto di vita indipendente per i disabili, per una politica dell'assistito e non «dell'assistente».


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La società è complessa e articolata e ha bisogno di un welfare che aiuti gli individui a essere protagonisti nel mercato del lavoro e nella vita della società. Tutti desideriamo una buona vita e occorre fare uno sforzo per raggiungere una vita libera da retaggi culturali ancora patriarcali. Dobbiamo provare a essere impopolari per non essere antipopolari e noi Radicali ci abbiamo provato e ci stiamo provando e speriamo che possa ascoltarci e sia possibile ragionare insieme.
Una certa indifferenza, quando non arroccata ostilità, ha accolto la proposta di equiparazione delle età pensionabili tra uomini e donne, eppure qualcosa si inizia a muovere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Esplicita contrarietà...

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Nomi illustri quali Pietro Ichino, Emma Bonino, Fiorella Costoris si sono proposti di aprire un dialogo su questo tema, su cui si rileva una non ostilità dell'UGL e un'adesione convinta di un'associazione femminile storica come l'UDI. Tutte queste persone hanno riconosciuto la portata strategica e politica di una simile riforma, che tocca la sfera previdenziale e scardina alcuni vecchi retaggi maschilisti sulla figura della donna nel nostro Paese.
Se è vero che in Italia le donne hanno una disparità salariale in linea con gli altri Paesi europei, partendo da una suddivisione dei ruoli a nostro parere alquanto arbitraria, per cui le donne devono guadagnare necessariamente meno degli uomini, è vero anche che nel nostro Paese le donne che lavorano sono ancora troppo poche rispetto alla media dell'Unione europea. Il 46 per cento di occupazione femminile è una cifra ridicola, che per qualsiasi Paese civile costituirebbe una vera emergenza. Lei sarà allarmato dai nostri tassi di inattività, di gran lunga più preoccupanti di quelli di disoccupazione o dei numeri sul precariato e perfino sui lavoratori Alitalia. Sull'occupazione femminile, però, non si svolge alcuna trattativa, non si manifestano stupore o proteste, ancor meno una proposta. Non essendo abituati a lamentarci senza portare un contributo concreto, abbiamo messo sul tavolo una proposta ragionevole e non buonista, di buon senso: età pensionabile equiparata e necessità di vincolare i risparmi derivanti da questa operazione alla creazione di servizi di conciliazione. Rilevo infine come le donne italiane abbiano una vita lavorativa assai più complessa per la mancanza di servizi sociali e di un welfare che le aiuti nella conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa (asili nido, part-time, congedi parentali).
Nella lettera aperta che le abbiamo inviato con la firma di molti esponenti dell'opposizione, dalla sottoscritta a Emma Bonino a Pietro Ichino, laddove notoriamente i nostri appunti e spunti arrivano da persone eccellenti della sua maggioranza e da una parte dei sindacati, abbiamo sottolineato che per parlare di società attiva dovremo partire da chi, secondo le statistiche, non è ufficialmente attivo e ufficiosamente occupa gran parte della propria giornata a fare da tappabuchi a un welfare che non esiste. Ben 3,5 milioni di cittadine italiane non hanno un impiego perché non riescono a conciliare le cure agli anziani, ai bambini, ai malati o ai disabili con l'orario di lavoro, o perché scoraggiate dalla bassa domanda da parte delle imprese. Non possiamo disinteressarci di 3,5 milioni di donne inattive, che vorrebbero lavorare ma non possono farlo neppure in tempo di crisi finanziaria.
In una situazione economica precaria e grave come quella attuale, abbiamo tutti un'ulteriore responsabilità da tenere a mente: occuparci degli ultimi, degli esclusi, proteggere di meno e includere di più. Nel mondo del lavoro, abbiamo bisogno di qualità e di impegno, di ritardare l'età della pensione, come suggerito anche dalla Banca d'Italia per non aggravare gap occupazionali e vulnerabilità sociale di tutti i soggetti deboli del nostro Paese e per avere donne incluse.


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PRESIDENTE. Vi sono ancora quindici richieste di intervento, per cui pregherei i colleghi di contenere i tempi.

DONATA LENZI. Proverò ad essere sintetica, anche se la vastità della materia e dell'incarico e il fatto che si siano riunite due Commissioni evidenziano l'importanza del tema.
Anch'io apprezzo lo sforzo di aprire una consultazione con alcuni quesiti, più che proposte prefissate. Considero questo un elemento positivo. Nutro anche una certa curiosità di leggere alcune delle 760 proposte pervenute, per comprendere il pensiero delle associazioni. Qualcosa abbiamo già visto, perché è stato inviato anche a noi parlamentari.
Oggi sono usciti i dati dell'ISTAT, che fotografa la situazione di un Paese in difficoltà, in cui continua ad aumentare la percentuale delle persone la cui situazione economica appare peggiorata (si raggiunge il 54,5 per cento), in cui la percentuale degli ultrasessantacinquenni supera il 20 per cento, pari a un quinto della popolazione, in cui il 5,5 per cento è costituito da immigrati. La composizione sociale del nostro Paese è quindi cambiata, ma queste non sono novità per chi ha avuto funzioni di governo. Che il nostro fosse un Paese vecchio lo sapevamo da tempo, come da tempo conoscevamo quali fossero i problemi economici delle famiglie. Nessuna novità, quindi. Quello che si presenta, però, come una novità negativa è l'impatto che potrebbe esserci su questo tessuto. L'indagine ISTAT riguarda l'anno precedente, che si mostra già come difficile ed evidenzia segnali di cedimento rispetto alla crisi che sta arrivando.
A mio avviso, chi è stato al Governo - siamo al terzo Governo Berlusconi - qualche interrogativo sull'efficacia delle politiche che sono state condotte precedentemente se lo dovrà porre. Devo dire che sono rimasta un po' perplessa quando ha affermato di ritenere che il decreto n. 112 del 2008 e il Libro verde siano stati definiti prevedendo o comunque avendo sentore della crisi in arrivo. Ci sembrava - la nostra posizione è nota - che un taglio così rilevante di spesa pubblica avrebbe avuto effetti ancora più disastrosi. Devo dirle, allora, che le risposte del Libro verde sono insufficienti rispetto alla gravità della situazione, a cominciare dal problema che considero il più importante. Sebbene faccia parte della Commissione affari sociali, ritengo che il primo problema sia legato alla questione degli ammortizzatori sociali. Non mi riferisco alla rete di tutele che già esiste, che risale a un sistema di welfare - e lei potrebbe definirlo molto meglio di me - che ha la sua base nel confronto e nell'esperienza nel mondo del lavoro e sindacale. Questo sistema è organizzato per categorie e finisce inevitabilmente per tutelare i soggetti che sono già dentro il sistema e perdono il posto, piuttosto che i soggetti che vivono una condizione di precarietà, con contratti deboli, che sono i primi a saltare. Non ci sono forme di ammortizzatori sociali verso quella platea di precari che la politica, oltre che la crisi, sta determinando: ricordo che abbiamo una bella percentuale di insegnanti a spasso e avremo anche dipendenti del pubblico impiego a spasso, che si aggiungeranno ai disoccupati vittime della crisi economica.
Devo dire che, nei confronti di questi, la discussione sugli ammortizzatori sociali rispetto ai quali c'è la disponibilità a confrontarsi non può che riferirsi a un allargamento della platea, che esce anche da un certo impianto legato alle categorie.
Nel Libro verde si insiste tanto sulla bilateralità. Ora, io non ho niente in contrario, anzi ritengo che sia un grande strumento, ma mi chiedo come facciamo, per esempio, a creare solidarietà tra categorie forti di settori che reggono il confronto e la globalizzazione e categorie deboli - penso al tessile, ad esempio - che hanno serie difficoltà. Noi dobbiamo pensare a un sistema solidale più integrato e più universale. Questa è la mia opinione.
Venendo al tema del sociale, c'è un investimento su un modello abbastanza chiaro nei riferimenti, ma a me non sembra che, anche volendo esercitare un maggior ruolo di governo, come Ministro delle politiche sociali, in una materia fortemente


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regionalizzata, si adoperino tutti gli strumenti, a cominciare da quello dei livelli essenziali, che è ancora tutto da definire. Al riguardo, per noi «essenziale» non deve intendersi come «ridotto al minimo», ma come garanzia di un adeguato livello di risposta, dalle Alpi alla Sicilia. In un Paese caratterizzato da situazioni così diverse e da una spesa sociale altrettanto diversa, questo è un obiettivo importante che dovrebbe essere condiviso.
Come dicevo, non vedo in queste scelte una preparazione alla crisi. I tagli ci sono, a cominciare da quelli del decreto n. 112, e si inizia dagli enti locali. Noi veniamo da una seduta d'aula di questa mattina nella quale siamo tornati a parlare del patto di stabilità: seppur con un lieve alleggerimento; il saldo non è cambiato e, quindi, si continuano a chiedere nove miliardi di euro agli enti locali. Per ora, il nostro è un welfare municipale.
Ci sono alcuni elementi che sembrano modificare questo aspetto, anche se il comune è ancora in Italia l'identità più forte e la dimensione istituzionale nella quale si creano più facilmente forme di solidarietà. Il taglio colpisce inevitabilmente la spesa corrente degli enti locali - quella per investimenti è già bloccata - e incide sui servizi che i comuni saranno in grado di garantire.
Allora, chiediamo pure alla gente di investire su se stessa, sulle opportunità, sulla capacità di rimettersi in campo, sulla formazione e sulla ricerca attiva del lavoro piuttosto che sul mantenimento in una condizione di cassa integrazione a vita (a questo punto, però, apriamo una parentesi su Alitalia). Investiamo pure perché si facciano le mutue e si creino i fondi. Ma, in un quadro di taglio di risorse, il dubbio è che, non essendoci le risorse, si risponda alla gente di arrangiarsi. Non è che, alla fine, dovremo tornare a discutere che un po' di Stato non fa male se è assunzione di responsabilità, tutela rispetto a chi non ce la fa, copertura rispetto a chi non ha i mezzi e la capacità per farcela? La condizione di non autosufficienza non si sceglie, si subisce. In questo quadro, la famiglia rischia di essere non il soggetto attivo sul quale si investe, ma l'ammortizzatore sociale sul quale si scaricano tutte le spese.
Ho apprezzato che in questo documento gli immigrati non fossero una categoria del disagio sociale. Devo dire, però, che quando si è di fronte al 5 per cento e passa della nostra popolazione che versa 2,6 miliardi di euro nelle casse pubbliche dello Stato di contributi sociali, paga le tasse, è presente in larga parte del nostro mondo del lavoro, forse dovremmo cominciare a tenerne conto nel momento in cui si delineano le politiche.

PRESIDENTE. Ascoltiamo l'ultimo intervento e rinviamo gli altri a una seduta successiva.

BARBARA SALTAMARTINI. Ovviamente ringrazio anch'io il Ministro Sacconi per essere venuto in Commissione per approfondire la discussione che è in atto da un paio di mesi sul Libro verde. Lo ringrazio, altresì, per il metodo che ha voluto seguire rispetto al nuovo modello di welfare che si vuole disegnare; sicuramente si tratta di un metodo di lavoro che ci permette di partecipare, tutti gli attori insieme, per poter arrivare a una proposta - quella che sarà contenuta nel Libro bianco - che sia stata preceduta da una base di consultazione.
Credo che questo sia un elemento positivo, un metodo che si coniuga con il nuovo modo di fare politica che io stessa ho sposato in quest'aula.
Quello che ho apprezzato del Libro verde è la sfida che esso disegna, la sfida per la fondazione di un nuovo modello sociale, di una società attiva, che è essenzialmente una sfida di carattere culturale e progettuale. In un momento in cui il nostro Paese e, in generale, il contesto internazionale versa in una crisi strutturale, credo che individuare una sfida da affrontare non con ricette macroeconomiche, ma ridisegnando un nuovo progetto culturale, sia la risposta più opportuna, proprio perché si tratta di una sfida di medio e lungo periodo, come lei ha giustamente sottolineato.


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La sfida disegnata nel Libro verde - una sfida tutta comunitaria - non può che vedermi pienamente soddisfatta, anche rispetto alle anime presenti nel nostro Parlamento. Sicuramente una sfida tutta comunitaria, in un momento quale quello attuale, in cui si ha bisogno di tornare alla centralità dei nuclei - la famiglia, il comune, le piccole realtà territoriali - per autosostenersi non può che vedermi soddisfatta rispetto al progetto che si va a delineare.
Ma soprattutto la mia soddisfazione va rispetto ad alcuni punti che sono nel Libro verde, dove si traccia la centralità della persona, la centralità della famiglia, secondo un principio anche di sussidiarietà che credo fosse stato un po' tralasciato e messo in disparte; credo invece che esso debba tornare ad essere un principio cardine, attraverso il quale cercare di riavviare un nuovo modello sociale di welfare che - come giustamente lei ha detto - non sia più un welfare risarcitorio, ma miri a coprire le molte carenze, anche in termini di servizi, che oggi oggettivamente si riscontrano.
È un sistema che prevede l'inclusione sociale, ma che può decollare solo se vi è una responsabilità di tutti gli attori, di tutti i protagonisti. In questo sforzo, dunque, credo che anche l'audizione di oggi possa rappresentare un ottimo momento di condivisione, seppure con alcune diversità; del resto abbiamo differenti anime anche all'interno della stessa maggioranza. Tuttavia, proprio partendo da una responsabilizzazione di tutti, potremo compiere quel salto di qualità di cui oggi abbiamo l'assoluta necessità.
Cercando di sintetizzare, poiché vedo che il tempo passa, vengo al tema che mi sta più a cuore, ovvero il tema dell'occupazione femminile. Innanzitutto, signor Ministro, tengo a ribadire anche in questa sede quanto ho già avuto modo di comunicare anche agli organi di stampa. Lo dico subito, così da sgombrare il mio intervento da qualsiasi equivoco: io sono assolutamente contraria all'equiparazione dell'età pensionabile uomo-donna.
Ho apprezzato i suoi interventi nel merito, quando giustamente pone il problema di poter arrivare a una futura equiparazione solo e soltanto quando avremo raggiunto gli obiettivi di Lisbona di piena occupazione femminile. È chiaro che per ottenere questo servono politiche di sostegno alle donne, ma occorre anche che tale sostegno non sia fornito soltanto alle donne. Servono politiche di sostegno all'intero nucleo familiare. I servizi sono per l'intero nucleo familiare, anche se è pur vero che la donna oggi ancora ha sulle sue spalle il maggior carico del lavoro di cura.
Pertanto, ho apprezzato quando nel Libro si tracciano quelle che possono essere le misure utili al rilancio dell'occupazione femminile, anche per arrivare prima possibile al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, ossia le misure di flessibilità funzionali. Sono contenta che siano state individuate tali misure, poiché, secondo me, sono queste a incidere sulla riorganizzazione e riduzione dei tempi di lavoro e quindi ci permettono di conciliare la vita quotidiana con esso.
Credo che questa sia una misura utile, alla quale deve, ovviamente, essere accoppiata una seria politica di valorizzazione e di riconoscimento del lavoro di cura; questo, infatti, è il vero nodo.
Sono contraria all'equiparazione, perché sono contraria di principio al fatto che le pari opportunità debbano essere in uscita e non in entrata. Non si può chiedere di utilizzare, attraverso l'equiparazione dell'età pensionabile, le risorse che noi avremmo risparmiando e poi investirle successivamente a favore delle donne nell'occupazione femminile. Io credo che sia giusto per le donne chiedere che prima vi siano misure di pari opportunità di ingresso per poter arrivare ad una pari opportunità di uscita. A quel punto non si tratterà di una pari opportunità, ma sarà ovvio e scontato che sia così.
Per questi motivi, dunque, ho condiviso le sue dichiarazioni in tal senso.
Ritengo, quindi, necessario investire sui servizi, anche coinvolgendo il privato, non delegittimando il pubblico, non indebolendo


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lo Stato, ma cercando di far entrare in questo processo il privato che può sicuramente velocizzare il processo stesso, che ci può aiutare e sostenere. Soprattutto, mi preme sottolineare che il privato non è da intendersi solo come grande impresa; il privato è anche la singola famiglia che accetta di mettersi in gioco e che, cercando di compiere il salto di qualità, sceglie di non essere più un puro e semplice ammortizzatore sociale ma qualcosa in più, affinché effettivamente si possano mettere in rete le tante esperienze che esistono in moltissime città italiane e che alcune regioni hanno già sviluppato.
Penso, per esempio, all'esperimento dei voucher realizzato, se non sbaglio, già in Lombardia, secondo il modello della vendemmia...

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. In tutta Italia, anche se sembra che il sud non l'abbia molto apprezzato.

BARBARA SALTAMARTINI. Chiedo scusa, allora. Comunque sia, penso anche all'esperimento francese, sia pure, ovviamente, con le dovute differenze, rispetto al sistema di welfare italiano.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora una volta per l'esauriente relazione svolta il Ministro, con il quale concorderemo una data per lo svolgimento di una seduta da dedicare al completamento della sua audizione.
Essendo pertanto imminente la ripresa dei lavori dell'Assemblea, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,15.

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