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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XII
5.
Martedì 8 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

Audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di politiche giovanili (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento): ... 3
Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 15 22
Binetti Paola (PD) ... 17
Bossa Luisa (PD) ... 16
Grimoldi Paolo (LNP) ... 21
Meloni Giorgia, Ministro della gioventù ... 3
Mosella Donato Renato (PD) ... 19
Mussolini Alessandra (PdL) ... 20
Scapagnini Umberto (PdL) ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 8 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Cosi rimane stabilito).

Audizione del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di politiche giovanili.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro della gioventù, Giorgia Meloni, sugli orientamenti programmatici del Governo in materia di politiche giovanili.
Nel dare la parola al ministro, al quale naturalmente do il benvenuto mio personale e di tutta la Commissione e lo ringrazio di aver aderito al nostro invito, avverto che dopo la relazione del ministro sui temi oggetto dell'audizione i colleghi potranno intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni. La replica del ministro si svolgerà in una successiva seduta.
Do la parola al Ministro della gioventù, Giorgia Meloni.

GIORGIA MELONI, Ministro della gioventù. Signor presidente, saluto e ringrazio la Commissione per avermi invitato a presentare il piano contenente le linee guida del Ministero della gioventù. Considero questa un'importante occasione di confronto con il Parlamento.
Voglio anche ringraziarvi perché, in qualche maniera, l'invito ha rappresentato per me lo stimolo per costringermi a dare ordine alle tante idee che in queste settimane avevano affollato la mia mente, spesso senza avere una particolare organizzazione.
Il lavoro svolto in questi primi 50 giorni è stato sicuramente complesso, poiché, accanto all'identificazione delle idee che dovevano servire come linee guida all'operato del Ministero, ci siamo dedicati anche alla riorganizzazione di quest'ultimo. Voi sapete che il POGAS (Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive), tenuto dall'onorevole Giovanna Melandri - che ringrazio per la sua determinazione nonché per l'importanza del lavoro svolto - non esiste più e al suo posto c'è un Ministero dedicato unicamente all'universo giovanile. Questa è la scelta portata avanti dal Presidente Berlusconi, che io considero opportuna e che anzi raccolgo come una sfida sicuramente appassionante.
Certamente la portata delle competenze assegnate al ministero che si occupa dell'universo giovanile è particolarmente ambiziosa, tanto che non possiamo considerare esaurienti le opportunità e gli strumenti, sia organizzativi, sia finanziari, che vengono messi a disposizione del Ministero stesso. La portata delle competenze è così ampia da comportare, in realtà, una continua interazione tra il Ministero di cui mi occupo e molti altri Dicasteri sotto la guida dei colleghi di Governo.
A me piace immaginare che attraverso l'interazione tra il Ministero della gioventù e gli altri ministeri competenti, i colleghi del Governo possano in qualche maniera


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vedere proiettato nel futuro il risultato della propria azione. La politica ha spesso sofferto il limite di dare l'impressione di volersi occupare unicamente di ciò che immediatamente ritorna in termini di consenso. Ha, in questo senso, perso la sua capacità di offrire scenari e risposte di lungo periodo. Forse questo è anche uno degli elementi che hanno penalizzato il rapporto tra i cittadini e la classe politica e che hanno alimentato la scarsa considerazione che spesso gli italiani hanno nei confronti di chi li governa.
Era un po' questa la lettura che ho provato a dare, cambiando il nome del Ministero. Voglio dire che, nel passaggio da Ministero delle politiche giovanili a Ministero della gioventù ho voluto non solamente uniformare la dicitura a quella più comunemente utilizzata in Europa, ma anche superare un'impostazione culturale che non mi è propria: personalmente non credo nelle politiche di genere, non credo nelle politiche femminili o giovanili. Credo che le azioni portate avanti dai Governi debbano avere come obiettivo quello di immaginare risultati per l'intera comunità nazionale.
Del resto, quando parliamo di casa, di autosufficienza energetica e di infrastrutture, stiamo parlando anche di ciò che di utile va fatto per i giovani. Quando ci rivolgiamo specificamente alle giovani generazioni, facciamo qualcosa che è utile per la Nazione e che deve esserlo per la comunità nazionale nel suo complesso.
Credo che la sfida debba essere questa: immaginare sintesi politiche capaci di fornire ai giovani risposte che abbiano un valore anche per il resto della società, e viceversa. Ciò vuol dire anche immaginare un protagonismo delle giovani generazioni, fare in modo che i nostri ragazzi possano misurarsi direttamente. Significa rifiutare una visione assistenziale e immaginare una visione di protagonismo generazionale.
Il Ministero della gioventù si muoverà per rappresentare le istanze e i bisogni delle giovani generazioni al Governo, al Parlamento, così come anche a tutti gli altri livelli (sindacati, istituti di credito, imprese, organismi di livello territoriale). Si tratta di un ragionamento che va fatto a trecentosessanta gradi.
Mi scuso anticipatamente, poiché la relazione che farò in questa audizione potrebbe non essere esaustiva. Voi comprendete quale sia la portata delle materie delle quali abbiamo la presunzione di occuparci, però voglio anche dire al presidente Palumbo e a tutta la Commissione che sarò sempre a disposizione quando la Commissione stessa vorrà interrogarmi, o confrontarsi con me, sulle tematiche che mi riguardano.
Ritengo che questa sia la Commissione competente, rispetto al Ministero della gioventù. Ciò significa che tratterò, in questa relazione, tutte le tematiche che considero riguardanti le giovani generazioni, anche quelle non di diretto riferimento della Commissione affari sociali.
Di conseguenza, sono costretta a leggere la relazione stessa, un po' per la portata delle argomentazioni, un po' anche per la precisione che una seduta come questa richiede.
Benché io detesti - perché le ritengo noiose - le relazioni che vengono lette, in questo caso sono proprio costretta a farlo.
Abbiamo immaginato quattro grandi obiettivi da perseguire tramite l'operato del Ministero. Ve ne darò conto in questa relazione, cercando di scendere il più possibile nello specifico su quelle iniziative che sono già in cantiere. Segnalo che il Ministero della gioventù è stato l'unico Ministero che in questa legislatura ha dovuto essere completamente riorganizzato, il che ha comportato, ovviamente, lungaggini di carattere burocratico.
Definirò «diritto al futuro» un insieme di misure rivolte a combattere la condizione di precarietà con la quale i giovani si confrontano giornalmente: provvedimenti da porre in essere, principalmente, di concerto con gli altri colleghi di Governo. L'obiettivo di garantire ai ragazzi italiani il diritto al futuro - il primo grande insieme di misure di cui parliamo - non può prescindere dalla centralità di temi quali il lavoro, la casa e la famiglia.


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L'Italia sta vivendo anni di forti criticità, la maggior parte delle quali sono di natura strutturale e minacciano conseguenze di larga portata nel medio-lungo periodo. L'«osservato speciale», in quanto indiziato di gravi responsabilità, è il mercato del lavoro, soprattutto riguardo ai giovani, tanto che il tema della precarietà ha assunto una posizione centrale nel dibattito politico e sociologico.
Negli ultimi anni, non a torto, sono state evidenziate le conseguenze negative che possono derivare dal lavoro precario. In condizioni di precarietà lavorativa, infatti, si è tentati di posticipare le decisioni importanti della vita e di giustificare a se stessi comportamenti privi di utilità per il proprio futuro e, di conseguenza, per la propria Nazione.
Il precariato è un male da combattere: su ciò non esistono differenti vedute tra le forze politiche. La disputa nasce invece sulla determinazione di che cosa si intenda per precariato, sull'individuazione delle cause e degli eventuali rimedi.
La prima domanda che dobbiamo porci è chi siano i precari. Purtroppo, non esiste una risposta univoca a questa domanda. Nessuna forma contrattuale o condizione sociale può essere compresa o esclusa a priori. Esistono lavoratori atipici che non sono propriamente precari, in quanto possono contare su una consistente prospettiva di stabilizzazione. Sono, invece, precari a pieno titolo i disoccupati, i molti inoccupati, i lavoratori in nero, ma anche molti liberi professionisti, piccoli imprenditori o commercianti e persino lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che, però, percepiscono un salario insufficiente o lavorano per piccole realtà economiche sottoposte ai capricci del mercato.
Insomma, precarietà e lavoro atipico sono due insiemi non coincidenti. Concentrarsi sulle forme contrattuali vuol dire affrontare solo una parte del problema, forse nemmeno quella più rilevante.
Per questo motivo, considero un errore imputare al cosiddetto «pacchetto Treu» del 1997 la paternità del precariato nel mondo del lavoro.
È un dato tristemente noto, infatti, che l'Italia è, dal dopoguerra, lo Stato europeo con la più alta percentuale di lavoro sommerso e il più basso tasso di occupazione. Parliamo di milioni di persone, in prevalenza giovani e donne, precari a tutti gli effetti.
Qui si arriva al punto più complesso, ovvero la scelta dei rimedi al precariato e alle sperequazioni sociali. I dati sull'occupazione in Italia tendono a dimostrare che, a livello macroeconomico, l'impianto della legge Biagi ha contribuito ad aumentare il numero complessivo di occupati. Calcoli basati su dati ISTAT ci dicono infatti che, con più di 23 milioni di occupati nel 2007, l'Italia ha raggiunto il suo massimo storico.
Inoltre, sul totale del lavoro dipendente, circa l'87 per cento è composto da rapporti a tempo indeterminato, percentuale rimasta tendenzialmente stabile nel tempo, in un mercato del lavoro che, nel complesso, sembra funzionare, o, quantomeno, sembrerebbe migliorato rispetto al passato.
Dobbiamo allora chiederci perché, a fronte di questi dati, sia così forte la percezione di instabilità che si rileva nella nostra società, soprattutto tra i più giovani. Le risposte sono molteplici.
Innanzitutto, occorre considerare che, anche se in termini percentuali la quota dei lavoratori precari è rimasta costante, in termini assoluti questa è aumentata all'aumentare dell'occupazione. Ciò significa che il lavoro atipico è un fenomeno in crescita, anche se questo non rappresenta un sintomo di malessere per il sistema nel suo complesso.
Non esistono, purtroppo, quantificazioni numeriche unanimemente accettate in materia. Se però volessimo affidarci a un recente studio di Natale Forlani, scopriremmo che i lavoratori a termine e quelli parasubordinati sono in tutto 2,7 milioni, di cui 1,5 milioni - cioè più della metà - sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Si tratta di un dato di elevata rilevanza economica e sociale nonché una realtà alla quale la nostra società sembra non volersi adeguare.


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Io non credo che la percezione negativa della flessibilità sia, come a volte si racconta, data dalla indisponibilità a misurarsi (soprattutto da parte delle giovani generazioni), vale a dire dalla indisponibilità a immaginare un percorso professionale che richieda versatilità.
Credo piuttosto che, a fronte di una sempre maggiore flessibilità, nasca nella società un atteggiamento paradossalmente negativo verso chi ha un contratto a tempo determinato. Penso alla questione del credito e al fatto che, se ci pensiamo bene, fra i primi a non volersi emancipare dal mito del posto di lavoro fisso nel loro comportamento sono proprio gli istituti di credito.
Alla luce di ciò, il Ministero della gioventù non può che operare nella direzione di adeguare la società a un mercato del lavoro che cambia. Si tratta di una sfida che non riguarderà solo le politiche del lavoro, ma che costituirà la base delle numerose iniziative che porteremo avanti con un unico obiettivo: governare la flessibilità.
Mi impegnerò affinché questo Governo sviluppi strumenti capaci di rendere la flessibilità una finestra d'ingresso nel mondo del lavoro, piuttosto che una condizione di incertezza permanente. Per questo, con l'intervento del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, auspico il credito d'imposta per chi stabilizza i lavoratori precari, l'introduzione del voucher formativo per i giovani durante i periodi di inattività e strumenti ideali di flex-security, capaci di attutire il timore per la flessibilità lavorativa.
Occorre, però, un migliore coordinamento tra formazione e lavoro, un rafforzamento degli strumenti di collegamento tra domanda e offerta, un maggiore coinvolgimento di strutture pubbliche e private, prima fra tutte le università.
È necessario garantire la severa applicazione della legge Biagi nella parte volta a impedire gli abusi e le distorsioni nell'utilizzo dei contratti atipici. Penso a quei tanti ragazzi che vengono contrattualizzati con un contratto a progetto che poi, di fatto, svolgono un lavoro subordinato, o a coloro che vengono assunti dalle agenzie interinali e vedono il proprio contratto rinnovato di sei mesi in sei mesi, per anni, quando poi svolgono sempre esattamente la stessa identica mansione.
Infine, occorre anche garantire il diritto all'occupabilità. Riprendendo qui un'espressione del Ministro Sacconi, i giovani devono essere messi nelle condizioni di lavorare anche quando si tratta di conciliare il lavoro con lo studio o con le esperienze di breve durata nei periodi estivi, in forma saltuaria, senza che ciò debba passare per lavoro nero o irregolare. Su questo reputo molto utile l'utilizzo del ticket per il lavoro accessorio.
Tema strettamente connesso alla flessibilità del lavoro è quello delle politiche abitative. Si è detto che la reale sfida dei nostri tempi è riuscire a governare la flessibilità, per impedire che questa si trasformi in precarietà. Certo non vi è nulla che rappresenti con maggiore efficacia il senso della stabilità come una casa, preferibilmente di proprietà, o altrimenti presa in affitto, purché a un costo sostenibile.
Il piano casa previsto nell'articolo 11 del disegno di legge n. 112/2008, da molti ribattezzato «manovra d'estate», risponde proprio all'esigenza concreta, spesso drammatica, di molte famiglie giovani, alle quali oggi è di fatto negato il diritto alla casa.
Si tratta di un piano imponente, rivolto alle categorie più esposte della nostra società: famiglie e giovani coppie a basso reddito, anziani, studenti fuori sede, soggetti sotto sfratto e immigrati regolari. Il piano casa si pone l'obiettivo di recuperare il patrimonio abitativo esistente, di costruire nuovi alloggi e di garantire una quota di alloggi a canone di locazione convenzionato.
Anche su questo tema il Governo ha dimostrato di voler mettere al centro delle principali politiche della Nazione proprio i giovani, tanto da prevedere per il piano casa il concerto del Ministero della gioventù all'attività che verrà svolta dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per le parti competenti.


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Mi piacerebbe anche affiancare al piano casa una misura a favore di coloro i quali trovano difficoltà a ottenere un mutuo bancario per l'acquisto della prima casa, poiché privi delle garanzie richieste dalle banche. Si tratta di un obiettivo per il quale immagino utile l'istituzione di un apposito fondo di garanzia.
A queste norme occorrerà poi affiancare anche strumenti concreti per sostenere i giovani che affrontano l'onere degli affitti, anche se non sono d'accordo con chi dice che è meglio sostenere gli affitti perché aiutano la mobilità nel mondo del lavoro. Non è irrilevante la differenza che passa tra un affitto, che è a fondo perduto, e un mutuo per l'acquisto della casa di proprietà, che è ovviamente un investimento per la vita.
Fra le questioni che rientrano nel diritto al futuro, vi è poi certamente il tema del sostegno e dell'incentivo alle giovani famiglie. Negli ultimi anni, i messaggi che sono giunti dalla classe dirigente italiana hanno indicato, a volte, nella famiglia un istituto obsoleto, una scelta conservatrice e - si direbbe - vecchia. Eppure, le giovani generazioni sembrano pensarla in maniera diversa: continuano a credere nel valore della famiglia intesa come disponibilità a considerare la propria libertà in rapporto a quel senso di responsabilità verso l'altro, che troppo spesso una certa visione culturale tende a rifiutare.
Credo che lo Stato debba aiutare chi oggi vuole costruire una famiglia e che non possa abbandonare quei ragazzi e quelle ragazze, autentici eroi quotidiani, che, nonostante il lavoro precario e la casa in affitto, decidono comunque di mettere al mondo un bambino. Considero questa la forma più autentica di ribellione e di anticonformismo tra i giovani italiani, e penso che l'Italia dovrebbe porre tra le proprie priorità assolute quella di costruire una legislazione capace di aiutare le giovani coppie a vivere la genitorialità come scelta di libertà e non come sacrificio.
Non possiamo nasconderci, infatti, che oggi mettere al mondo un figlio terrorizza molti, mentre metterne al mondo un secondo viene da molti addirittura considerato un lusso.
Sulla scia di altri Paesi europei che si sono posti seriamente il problema, anche da noi le politiche a sostegno della maternità e della natalità sono ormai diventate una priorità istituzionale.
Se diamo uno sguardo ai nostri livelli di fecondità, il confronto internazionale vede l'Italia, con 1,32 figli per donna, ancora sotto la media dei Paesi europei. In Italia non si fanno più figli e gli anziani continuano ad aumentare per effetto dell'allungamento della vita. Così la fascia attiva della popolazione continuerà a diminuire, aumenterà il costo delle pensioni e delle spese sanitarie, portando al collasso il nostro sistema di protezione sociale.
È evidente che andiamo incontro a un vero e proprio terremoto demografico, la cui unica risposta non può essere l'immigrazione. Insisto da tempo su questo tema, perché credo che il nostro popolo, a partire dalla sua classe politica, non si renda conto di quella che è sicuramente una tra le maggiori criticità del nostro tempo. A ciò si aggiunge il fenomeno delle ragazze madri e delle donne sole con figli, che si stanno sempre di più affermando come gruppo sociale esposto ai processi di impoverimento e al limite della marginalità sociale. Anche per queste madri sole è necessario promuovere un sistema di welfare in grado di rispondere alle loro esigenze.
Perciò, a partire dall'introduzione del quoziente familiare, fino agli asili-nido condominiali, già sperimentati in alcune amministrazioni comunali, passando per una maggiore flessibilità nei congedi parentali, considero una priorità assoluta del Governo l'introduzione di una legislazione organica in tema di incentivo alla natalità. Intendo operare, di concerto con il sottosegretario Giovanardi e la Ministro Carfagna, entrambi sensibili alla tematica, perché queste misure possano progressivamente essere varate.
Si tratta, senz'altro, di un'azione complessa e impegnativa anche dal punto di vista del bilancio, che tuttavia avrebbe un


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ritorno altamente positivo in termini di giustizia sociale e di sviluppo economico.
Inoltre, il Ministero della gioventù intende promuovere una maternità responsabile, con il fine primario di contrastare la superficialità e l'inconsapevolezza che spesso sono alla base anche di fenomeni drammatici (penso all'interruzione volontaria di gravidanza tra le giovanissime). In quest'ottica, immagino la possibilità di promuovere campagne di educazione alla sessualità rivolte ai giovani tra i 12 e i 18 anni, realizzate con il coinvolgimento della consulta degli studenti, del mondo delle associazioni e degli enti competenti.
Secondo grande obiettivo del Ministero della gioventù è quello di promuovere un'autentica rivoluzione del merito. Si parla molto di merito in questi tempi, ma io credo che operare una rivoluzione del merito altro non significhi che rimuovere delle barriere.
Dal 1968 in poi un certo egualitarismo ideologico ha imposto che, pur partendo da situazioni diverse, tutti dovessero raggiungere lo stesso obiettivo. Noi, invece, vogliamo fornire a tutti le stesse opportunità di partenza, indipendentemente dal censo, dall'età e dal sesso e consentire a ciascuno di misurarsi.
Vogliamo aprire per tutti un metaforico cancello di ingresso verso il futuro e le proprie aspirazioni. Lasciare che talento, applicazioni, impegno, serietà e, più in generale, i valori positivi facciano la differenza. Uguaglianza, per dare a tutti la capacità di competere grazie al proprio estro e alla propria voglia di realizzare i sogni, senza privilegi di sorta o posizioni di rendita.
Sono molti i problemi e le sfide che i nostri ragazzi si trovano quotidianamente ad affrontare. Si tratta, in parte, di questioni antiche che hanno conosciuto anche le generazioni precedenti, così come, in una certa misura, di difficoltà connesse con l'evoluzione dell'economia e della società, pertanto presenti in gran parte dei Paesi occidentali. Ma esiste anche una componente specificamente italiana e attuale del disagio giovanile: la mancanza di indipendenza economica e decisionale dei ragazzi rispetto alla propria famiglia, determinata dal ruolo di ammortizzatore sociale che, appunto, la famiglia ha sempre svolto.
Vogliamo intervenire a sostegno dei giovani affinché, almeno in parte, possano progredire con i propri mezzi. A questo scopo stiamo lavorando su alcuni provvedimenti.
In primo luogo, c'è il tema del prestito d'onore. Il nostro sistema di supporto agli studenti universitari si articola in due tipologie di sostegno: gli interventi monetari (costituiti prevalentemente da borse di studio) e i servizi (alloggi, mense e quant'altro).
La legge n. 390/1991 prevede anche lo strumento del prestito d'onore, che però, purtroppo, è completamente dimenticato. Basti pensare che gli interventi per il diritto allo studio che sono stati erogati dagli enti regionali e dai collegi universitari sono stati, in tutto, 250.
Si tratta, quindi, di rivitalizzare il prestito d'onore per gli studenti: intento già espresso, peraltro, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, che condivido interamente.
È inoltre intenzione del Ministero della gioventù rivisitare l'accordo stipulato tra l'allora Ministro Melandri e l'Associazione bancaria italiana conosciuto come Diamogli credito, iniziativa che io considero lodevole che, però, visti i limitati importi erogabili, non rappresenta un'efficace soluzione al problema di garantire agli studenti risorse economiche sufficienti per sostenersi nel periodo di apprendimento (la somma massima erogabile era di 6.000 euro). È intenzione del Ministero verificare la praticabilità di rinegoziare questo accordo con gli istituti di credito, affinché i prestiti erogati rappresentino un concreto supporto per gli studi.
Si deve rivolgere l'attenzione anche all'imprenditoria giovanile. In Europa, il raggiungimento di un tasso d'occupazione più elevato è obiettivo fondamentale della strategia di Lisbona, che punta ad aumentare il tasso di partecipazione al lavoro negli Stati membri. Da questo punto di


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vista, l'Italia sembra essere molto indietro, soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, che da noi è tra le più alte d'Europa. Peggio di noi sono solo Grecia, Romania e Polonia.
Tra le azioni per combattere la disoccupazione giovanile il Ministero della gioventù vuole promuovere tra i giovani anche la cultura di impresa come possibile alternativa al lavoro dipendente. Numerose ricerche confermano che i giovani decisi ad avviare un'impresa hanno degli svantaggi differenziali rispetto ai più anziani. Tra questi, di nuovo il credito rappresenta uno dei primi fattori penalizzanti. Il ruolo dell'educazione non è da meno: i giovani imprenditori giungono sul mercato senza neanche avere un bagaglio di esperienze che possa, almeno in parte, compensare la carenza di formazione tecnico-professionale alla creazione di impresa.
Per questo motivo occorre vigilare sulle tentazioni di ridurre l'impegno pubblico nella promozione di nuove aziende, soprattutto giovani. Iniziative come quelle del cosiddetto prestito d'onore per l'impresa, che hanno avuto migliaia di domande e hanno contribuito a creare numerose nuove imprese individuali, stanno avendo un grande effetto sulla dinamica imprenditoriale italiana e soprattutto daranno un forte contributo all'emergere di una nuova cultura economica.
È dunque obiettivo del Ministero promuovere, attraverso il fondo delle politiche giovanili e di concerto con i Ministeri competenti, azioni di supporto allo start-up, allo sviluppo di imprese e all'autoimpiego, da attuarsi tramite il coinvolgimento di enti pubblici e privati. In particolare, pensiamo alla collaborazione con le università italiane; alla possibilità di promuovere, di concerto con i Ministeri competenti e le organizzazioni imprenditoriali, centri che possano offrire consulenza gratuita ai giovani in una fase di startup e di gestione; a offrire la possibilità di mettere in contatto il capitale di rischio con i giovani imprenditori.
Tra le iniziative che intendiamo promuovere, di concerto con i Ministeri competenti, hanno un posto di rilievo le azioni volte a operare una seria semplificazione della normativa, sul tipo di quella già inserita nella Finanziaria e destinata a favorire la nascita di imprese in un giorno. Intendiamo inoltre adoperarci per introdurre un regime fiscale agevolato per le società di persone composte da giovani non occupati, come primo passo verso la sperimentazione di un periodo di no tax per le nuove iniziative imprenditoriali dei giovani.
Occorre anche investire sulla promozione dei giovani talenti. Non dobbiamo aver paura di scommettere sulla creatività, la forza e l'energia visionaria della gioventù italiana. Dobbiamo offrirle responsabilità e considerazione e pretendere in cambio un contributo decisivo per il progresso del nostro popolo nella storia e nel mondo.
Sulla scorta delle indicazioni emerse da un libro di successo, intitolato proprio Meritocrazia, abbiamo concordato con il Ministro Brunetta l'intenzione di redigere un piano per selezionare i migliori talenti, attirarli nella pubblica amministrazione e trattenerli, offrendo loro possibilità di educazione e formazione eccellenti nonché di avanzamento veloce di carriera.
In sintesi, il piano (che chiameremo «dei 1000 talenti») potrebbe essere strutturato in diversi programmi coordinati tra loro attraverso la selezione progressiva dei migliori 10, 100, 1000 giovani laureati italiani, sulla base di un apposito test nazionale. L'obiettivo è quello di realizzare tre gruppi, che ricevano adeguate borse di studio e la migliore formazione possibile, per poter essere da subito inseriti nelle amministrazioni centrali e periferiche, nazionali e internazionali.
Riguardo agli ordini professionali, invece, credo che non si possa prescindere da un obiettivo preminente, cioè quello di armonizzare la normativa europea in materia di accesso alla libera professione, evitando che tra Nazioni appartenenti alla UE sussistano macroscopiche differenze, tali da penalizzare i nostri giovani in un


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ambito lavorativo che non ha più l'estensione di un tempo, bensì quella di un intero continente.
In tema di promozione dei giovani talenti, uno degli ambiti più affascinanti è certamente quello artistico. Personalmente, ritengo che nella produzione artistica di una Nazione non vi sia soltanto lo sprigionarsi individuale di pensieri e emozioni, ma anche la rappresentazione autentica di un popolo intero. Chi conosce questa generazione sa che, se gliene viene data l'opportunità, essa può fare grandi cose in ambito artistico e rendere fiera l'Italia negli anni che verranno.
Le forme d'arte certamente si evolvono e ogni epoca ne apprezza alcune più di altre (penso, ad esempio, al cinema, o alla musica leggera), ma credo anche che la sensibilità dello spirito giovanile possa esprimersi con ogni mezzo artistico, anche il più antico. Per questo motivo, di concerto con il Ministro della cultura, onorevole Sandro Bondi, abbiamo già ragionato sulla possibilità di dare vita a un concorso nazionale per giovani artisti che riguardi le arti figurative, senza però escludere le nuove forme di espressione.
Compito del Ministero che ho l'onore di guidare è quello di dare impulso al talento dei giovani italiani attraverso iniziative di prestigio e di rilevanza internazionale. Ci adopereremo per realizzarle, per promuovere attivamente la formazione, l'esercizio e l'esposizione del genio di questi giovani. Lo faremo con appuntamenti annuali, settoriali ed omnicomprensivi, partecipati dal basso, attraverso una selezione trasparente e diffusa.
Ad affiancare tutto ciò abbiamo intenzione di portare avanti anche un'attività rivolta a favorire i maggiori fruitori di una delle arti più amate. Mi riferisco all'annosa questione del costo della musica. Attualmente l'imposta sul valore aggiunto dei CD musicali è fissata al 20 per cento, mentre l'IVA su tutti gli altri prodotti di carattere culturale è al 4 per cento.
So di non poter prescindere dalla legislazione europea in materia, ma penso che possa essere portata all'attenzione di Bruxelles la proposta italiana di uniformare l'IVA sulla musica a tutti gli altri prodotti di carattere culturale.
Terzo grande obiettivo del Ministero della gioventù è quello che noi abbiamo chiamato «Incoraggiare la meglio gioventù». Se diamo uno sguardo alla lettura che viene più comunemente fornita riguardo a questa generazione, ci rendiamo conto di come spesso si tratti di una lettura assolutamente distorta: una generazione tendenzialmente abbandonata a se stessa, che la politica blandisce solamente durante le campagne elettorali, che viene raccontata dai media come fatta meramente di giovani criminali, fatta di droga in generale, percorsa dai fremiti violenti dei teppisti negli stadi, piuttosto che dei bulli nelle scuole, affascinata dai miti più insignificanti della televisione, completamente priva di una missione civile, spirituale o politica che sia.
A me pare, invece, che questa generazione sia anche e soprattutto «molto altro», immersa in una realtà che la politica non riesce a interpretare e che, soprattutto, i media non raccontano. Diceva Joseph Joubert che i giovani hanno più bisogno di esempi, che di critiche. Io sono assolutamente d'accordo con lui.
Se guardiamo a questa generazione, ci accorgiamo di come essa venga continuamente bombardata da messaggi, programmi ed esempi sbagliati. Forse, proprio nella capacità di resistere a tutto questo si sprigiona l'autentico valore che questa generazione rivela: riuscire a mantenere la barra dritta, di fronte a un bombardamento assurdo che la società, i mezzi di comunicazione e, a volte, anche la classe politica riserva loro.
Probabilmente, se avessimo un po' di buona volontà ci accorgeremmo di come questa generazione sia diversa. Probabilmente basterebbe entrare in una delle nostre scuole fatiscenti e concentrarci su una delle tante storie di solidarietà generazionale che lì si dipanano: ragazzi e ragazze che si sostengono e si aiutano a vicenda, per alleviare le reciproche sofferenze dovute a un handicap, a un disagio psicofisico, a un dramma familiare.


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Penso a come non venga adeguatamente raccontato lo straordinario mondo del volontariato, dell'associazionismo, dell'impegno civile e dell'impegno politico. Penso a come, paradossalmente, si conceda poca attenzione a una generazione che, pur priva delle strutture e spesso dei mezzi necessari per lo sport, si sfianca tutti i giorni in una piscina, in un campo di rugby, in una pista di atletica, solamente per il gusto di far cantare l'inno nazionale al proprio popolo per qualche istante.
Penso ai ragazzi impegnati nelle missioni di pace, a quelli impegnati nel servizio civile, a un intero mondo che rappresenta la maggioranza di questa generazione che nessuno ha la forza e la voglia di raccontare, sulla quale è come se avessimo perso la voglia, la volontà, la sfida di investire.
A me piace immaginare che si possa ripartire da questo, da quella che noi abbiamo chiamato «la meglio gioventù», che altro non è che la maggioranza di questi ragazzi, ribelli in quanto vogliono sfidare la paura, l'ignavia, la desertificazione dei valori assoluti e ai quali dovremmo rivolgere un certo grado di attenzione. Uno dei compiti principali del mio Ministero sarà quello di far conoscere le loro storie, sia perché è giusto farlo nei confronti di chi si sacrifica, di chi raggiunge dei risultati, di chi riesce a esprimere la propria umanità con generosità e coraggio, sia perché è funzionale all'instaurazione di un circolo virtuoso dell'emulazione positiva.
Oggi gli strumenti della modernità sono troppo spesso al servizio della devianza giovanile. La cassa di risonanza offerta dai nuovi mezzi di comunicazione favorisce l'emulazione dei comportamenti peggiori di questa generazione.
Dobbiamo capovolgere, a vantaggio della comunità, l'utilizzo di quegli strumenti. Dobbiamo raccontare con immagini, suoni e parole l'eroismo quotidiano della gioventù che «vive positivo». Utilizzeremo innanzitutto internet, per questo scopo. Più avanti parlerò delle novità che intendiamo introdurre nel sito del Ministero; per il momento mi limito a rendere noto che, in una delle nuove sezioni previste, verranno inserite e raccontate le storie più belle della gioventù italiana, ma stiamo ovviamente anche immaginando strumenti di maggiore diffusione per ottenere lo stesso scopo.
Altro obiettivo del Ministero sarà quello di promuovere, di concerto con il Ministro Gelmini, esperienze educative che coinvolgano i giovani fin dall'età della scuola dell'obbligo, tese a sviluppare una concezione di cittadinanza attiva fondata sul rispetto di sé e degli altri, sul concetto del bene comune, sulla solidarietà intesa come condivisione di idee, valori, diritti e doveri.
Per questo i giovani sarebbero chiamati anche a conoscere la storia dei tanti che hanno contribuito alla loro libertà, all'ottenimento dei loro diritti civili, a consegnare loro la società nella quale vivono. Eroi che hanno donato tutto, senza chiedere niente in cambio, orgogliosi di essere figli d'Italia e consci dei loro impegni verso la comunità nazionale.
Cito due uomini che hanno segnato il nostro recente passato: i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Penso che, probabilmente, raccontare le loro storie nelle scuole italiane possa essere uno degli strumenti e dei modi di maggiore impatto per combattere la mafia e per dare vita a una cultura della legalità, soprattutto tra le giovani generazioni.
Inoltre, per ricomporre quella distanza culturale motiva e pratica tra adulti, anziani e giovani della quale tanto si parla, mi piace l'idea che nelle scuole italiane i nostri ragazzi possano spendere qualche ora del loro anno scolastico ascoltando i loro nonni parlare di pace, di guerra, di tradizioni popolari, di vecchie storie, di valorosi esempi.
Il percorso finora descritto racconta l'approccio con il quale il Ministero intende rispondere al disagio e alla devianza giovanile, cioè investendo su quelle calamite sociali utili a distogliere il giovane dal mondo della criminalità, della droga e dell'abuso di alcol nonché dall'autodistruzione psicofisica.


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Come già ho detto, la strada maestra è certamente quella di valorizzare i modelli positivi, ma la ampiezza delle problematiche necessita di una azione di natura culturale e di interventi specifici per i quali si rende necessaria un'interazione con gli altri Ministeri.
Come prima azione, intendiamo effettuare una ricognizione sul territorio nazionale di tutti gli sportelli, presenti presso enti pubblici e privati, dedicati ai problemi dei più giovani. Secondariamente, sulla scorta delle informazioni acquisite, ipotizziamo un'integrazione dell'esistente con la promozione di nuovi uffici, condotti da esperti, in grado di offrire un sostegno utile a ragazzi e famiglie.
Esiste poi la complessa questione legata all'uso delle sostanze stupefacenti. La lotta contro le droghe ha impegnato buona parte della mia attività politica giovanile e, pur non essendo una competenza specifica del mio Ministero, sento comunque di dover affrontare, se pur brevemente, il tema. Innanzitutto, considero qualunque tipo di droga causa e sintomo di un disagio profondo. La fuga dalla realtà, o la sua distorsione anche temporanea è una sconfitta generazionale a cui non so rassegnarmi. Per questo, intendo porre il Ministero a disposizione di un percorso che non vuole essere di repressione, ma di libertà. Libertà di amare la vita tutta, con i rovesci e le gioie che inevitabilmente porta con sé, senza alcuna schiavitù nei confronti di qualcuno o di qualcosa. D'intesa con il sottosegretario Giovanardi lavoreremo a progetti comuni di prevenzione e solidarietà, ma non mi convincerò mai che, dalle istituzioni preposte alla difesa della salute e della dignità dei propri cittadini, possano venire messaggi di tolleranza nei confronti delle droghe, qualsiasi esse siano. Dunque, credo fondamentale coinvolgere in questo percorso anche altri attori sociali - i mezzi di comunicazione e tutti coloro che hanno la possibilità di influenzare il comportamento dei giovani - per riflettere insieme sulle responsabilità di chi, per anni, ha fornito un'immagine spensierata e allegra dell'uso delle droghe. Mi piacerebbe far riflettere i ragazzi e le ragazze italiani su chi sia davvero trasgressivo, oggi, tra chi fuma uno spinello e chi decide di non farlo.
Un discorso a parte andrebbe fatto, poi, per i cosiddetti disturbi dell'alimentazione. Mi riferisco in particolare ad anoressia e bulimia, due patologie che purtroppo affliggono tanti giovanissimi. Anche su questa tematica desidero lavorare di concerto con il sottosegretario titolare della delega alla salute, con lo scopo di verificare i provvedimenti più idonei da intraprendere.
L'ultima parte del mio intervento sarà dedicata all'obiettivo di dare vita a un reale protagonismo generazionale. Si parte dalla necessità di combattere la gerontocrazia presente a tutti i livelli della nostra società, a cominciare proprio dalla politica.
In quest'ottica, ripropongo una vecchia battaglia che ho condiviso con il precedente Ministro per le politiche giovanili e che intendo portare a compimento. Mi riferisco alla mancata corrispondenza anagrafica tra elettorato attivo e passivo nelle elezioni di Camera e Senato. Se un giovane viene ritenuto dalla legge capace di scegliere tra le diverse opzioni politiche, allora lo si deve considerare anche in grado di essere scelto per rappresentare quelle stesse opzioni politiche in Parlamento. Si tratta di una modifica costituzionale trasversalmente condivisa che mi piacerebbe vedere realizzata in questa XVI Legislatura.
Rientrano nel tema del protagonismo generazionale anche gli spazi di aggregazione: luoghi in cui i giovani possano esprimere liberamente la propria personalità, maturare attitudini artistiche, socializzare, formare e confrontare le proprie opinioni. Nulla del genere, in termini di offerta pubblica, esiste oggi in Italia.
Innanzitutto, mi rendo disponibile a collaborare con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, onorevole Mariastella Gelmini, per dare piena attuazione al decreto del Presidente della Repubblica n. 567/96 sull'apertura pomeridiana delle scuole per attività autogestite


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dagli studenti. Credo tuttavia che, in aggiunta a ciò, sia arrivato il tempo di procedere a una piccola, grande rivoluzione nell'ambito dell'aggregazione giovanile.
Con la legge regionale n. 6 del 1999 il Consiglio regionale del Lazio, su proposta dell'onorevole Fabio Rampelli, approvò all'unanimità l'istituzione delle Comunità giovanili (CG). La Giunta laziale ha inteso sostenere così la creazione di luoghi in cui i ragazzi fossero liberi di fare musica, teatro, cinema, organizzare convegni, realizzare mostre fotografiche, leggere libri e giornali, navigare su internet, svolgere corsi di ogni genere, fare sport e, naturalmente, divertirsi.
Le CG possono essere promosse da privati e da enti locali, ma devono mantenere alcuni requisiti essenziali: la perfetta democraticità nell'accesso alle cariche della comunità giovanile; l'elettività delle cariche tra i soci in regola con l'iscrizione; la trasparenza del bilancio; l'assenza di qualunque discriminazione sociale, politica, etnica o religiosa al suo interno; la finalità di favorire attività artistiche, sociali, ludiche, sportive, culturali per la corretta formazione delle coscienze tra nuove generazioni.
Altri requisiti dovrebbero essere scontati, ma per evitare malintesi li citerò comunque: le Comunità giovanili sono luoghi nei quali non si pratica la violenza, non si pratica l'odio politico e non si fa uso di droghe. È mia intenzione dare ulteriore impulso alla gemmazione di tali enti su tutto il territorio nazionale, provvedendo a colmare il vuoto normativo sulla figura giuridica delle comunità giovanili, così come già previsto da alcune proposte di legge attualmente al vaglio del Parlamento. Attraverso l'uso di un apposito fondo statale, destinato a finanziare parte delle attività annualmente svolte dalle CG, intendo sostenere, in virtù delle risorse disponibili, la loro creazione e le migliori iniziative prodotte. Per questo, immagino la realizzazione di un osservatorio nazionale in grado di valutare con serietà e precisione il complesso delle attività.
L'unico luogo in cui oggi la gioventù si trova a recitare un ruolo di assoluto protagonismo è proprio quello che non c'è, nel senso che non si tratta di un luogo fisico, bensì virtuale. Eppure la rete internet è sempre più il territorio delle principali relazioni politiche, economiche e sociali. Per questo, il sito del Ministero della gioventù non può essere una semplice vetrina e deve diventare il portale di accesso a una lunga serie di informazioni e servizi destinati ai giovani. Collegandosi al sito istituzionale, deve essere possibile partecipare a un sistema di effettiva interazione tra le istituzioni e gli utenti. Intendo dedicare ogni mese la home page del sito a un tema sociale di particolare rilevanza e sviluppare intorno all'argomento iniziative di varia natura. Anche attraverso il nuovo sito internet mi adopererò per realizzare una sorta di rivoluzione orizzontale, in cui il rapporto tra giovani e istituzioni possa essere ridefinito e migliorato sensibilmente.
Approfitto di questo argomento per accennare a un'altra delle missioni del Ministero già individuata dall'ex Ministro Melandri: il divario digitale, ovvero la mancanza di accesso alle nuove tecnologie informatiche e di comunicazione. È un problema anche sociale che presenta diverse sfaccettature, sul quale il Ministero intende adoperarsi di concerto con gli altri dicasteri competenti, al fine di offrire soluzioni efficaci e praticabili.
Dare impulso e organizzazione al protagonismo generazionale significa anche coinvolgere nell'attività del Ministero le associazioni giovanili più rappresentative. Mi riferisco a tutti i movimenti che operano nel mondo del volontariato nazionale e internazionale, a quelli che raccolgono istanze ispirate dalla religione, o dalla partecipazione civile. Non penso di accordare loro un privilegio coinvolgendoli nella programmazione e nella realizzazione delle iniziative del Ministero. Credo, piuttosto, di avvalermi di un contributo prezioso, in assenza del quale ogni mio sforzo istituzionale sarebbe privo di reale efficacia.


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Mi impegno ad un confronto periodico, non soltanto con tutti voi (com'è ovvio e scontato che sia), non solo con le associazioni giovanili a cui ho appena accennato (peraltro largamente ricomprese all'interno del Forum nazionale dei giovani), ma anche con rappresentanze giovanili dei partiti presenti o assenti dal Parlamento, purché sufficientemente significative.
Per storia personale e per sincera convinzione, credo che l'elaborazione culturale concepita all'interno delle formazioni politiche italiane, in particolar modo all'interno dei movimenti giovanili, sia fondamentale per un buon funzionamento dell'azione di Governo.
Un capitolo a parte è quello relativo alla costituzione, alla nascita e al riconoscimento del Consiglio nazionale della gioventù quale interlocutore ufficiale del Governo, del Parlamento e delle altre organizzazioni sociali e economiche, per dare voce ai giovani su tutti i temi che li riguardano da vicino. Un'iniziativa sulla quale lavorare, partendo dal Forum nazionale dei giovani, con il quale ho già avviato un proficuo confronto.
Ritengo di dover offrire spazi politici adeguati anche a tutti gli organismi di rappresentanza istituzionale distribuiti, in maniera spesso affollata e disomogenea, negli enti locali di tutta Italia. Mi riferisco alle consulte giovanili, ai consigli comunali dei giovani, fino alle varie rappresentanze dell'ANCI.
Dopo aver avuto un primo approccio con i progetti e le convenzioni che legano il Ministero con gli enti locali (comuni, province e regioni), ritengo che la necessità più evidente sia quella di fare il punto sulle varie sperimentazioni in corso. Di sperimentazioni, infatti, occorre parlare, dal momento che molti di questi progetti sono arrivati a malapena alla fase dei bandi.
Ho già potuto osservare differenze sensibili nella maniera in cui gli enti locali hanno capitalizzato le possibilità offerte dai piani locali giovani: mentre alcuni hanno creato qualcosa di duraturo, altri hanno preferito la strada dei finanziamenti spot. Il Ministero, per il futuro, intende favorire le iniziative finalizzate a interventi di tipo strutturale e, a tal fine, porrà vincoli stringenti ai progetti e ai bandi che verranno posti in essere.
Per quanto riguarda la rete Informagiovani realizzata dall'ANCI, considero fondamentale l'attivazione di una piattaforma comune dei 1219 sportelli sparsi in tutta Italia e ritengo utile costruire un'integrata azione di sistema destinata ad aiutare le strutture presenti sul territorio nazionale, definendone linee guida, standard di qualità e modalità operative innovative.
Inoltre, la promozione del dialogo interculturale tra le nuove generazioni rimane uno degli obiettivi principali del Governo italiano. Le nuove generazioni sono e saranno quelle su cui graverà la costruzione di un futuro di pace e di rispetto tra i popoli. La conoscenza delle varie culture è dunque un'occasione unica per i giovani italiani, troppo spesso isolati, rispetto ai colleghi europei, dal contesto internazionale.
Il facile accesso a una mobilità low cost rappresenta una delle caratteristiche più avvincenti di quest'epoca e i nostri giovani non possono restarne esclusi. L'azione comune con gli organismi europei preposti deve essere volta allo sviluppo concreto di esperienze formative sempre più valide e settoriali, per raggiungere l'obiettivo di abbassare sempre più l'età in cui i nostri ragazzi iniziano il loro percorso di formazione nel mondo accademico.
Per quanto riguarda l'Agenzia nazionale per i giovani (ANG), istituita dopo l'attivazione del programma comunitario «Gioventù in azione», intendiamo prima di tutto adoperarci per un monitoraggio sui risultati conseguiti in questi primi mesi di attività. Come sapete, l'agenzia è stata istituita dall'Italia con forte ritardo, rispetto ai tempi che ci erano stati indicati dall'Unione europea. Il rischio, com'è avvenuto in passato, è di perdere opportunità importanti e fondi cospicui messi a disposizione dall'Europa. Il Ministero vigilerà affinché questo non avvenga e si


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adopererà affinché l'ANG risulti un interlocutore credibile tra i giovani italiani e l'Unione europea.
Le strutture organizzate e capillari collegate al programma «Gioventù in azione» - penso alla rete Eurodesk, che vanta 111 punti locali decentrati in Italia e che offre informazioni e orientamento circa i programmi comunitari rivolti ai giovani - saranno invece inserite in un network nazionale, che riguarderà tutte le strutture capaci di interfacciarsi con i giovani, promuovendo a vario livello la cittadinanza attiva.
Una delle iniziative su cui si è maggiormente spesa l'onorevole Melandri, infine, è stata l'istituzione di una consulta interreligiosa: un'esperienza di dialogo e comprensione che, seppure sottoposta a verifica, deve certamente proseguire.
Concludo ribadendo che non ho avuto la presunzione di affrontare tutte le tematiche che sarebbero proprie e confermando, altresì, la disponibilità a tornare quando il presidente Palumbo e la Commissione lo riterranno opportuno. Aggiungo solamente che la sfida che oggi attende ciascuno di noi, nessuno escluso, indipendentemente dal mutare di maggioranze e opposizioni, sia quella di ricostruire un tessuto lacerato.
Qualche mese fa il CENSIS ha definito la nostra società nazionale «una mucillagine». Se volessimo riferire l'analisi alle giovani generazioni, probabilmente avrebbe più senso parlare di «stato gassoso». Allora, forse, una delle grandi responsabilità che abbiamo è quella di offrire alle giovani generazioni la suggestione culturale di un destino comune, oltre naturalmente agli strumenti che consentano la possibilità di vivere vite piene di dignità.
A differenza di quello che sembra, non credo che le giovani generazioni siano composte da ragazzi che si accontentano, che chiedono «aiutini» pubblici e che si fanno comperare dai messaggi sulla droga libera, dai concerti gratuiti e dagli idoli di plastica. Credo, piuttosto, che questa sia una generazione che chiede di essere messa in condizione di dare il proprio contributo al progresso dell'Italia.
Mi viene in mente la citazione di uno scrittore tedesco: «i Governi sono le vele, il popolo è il vento, lo Stato è l'imbarcazione, il tempo è il mare». Insomma, in qualche modo siamo in navigazione: possiamo non essere d'accordo sulla rotta da seguire, però dobbiamo ricordarci sempre che siamo tutti sulla stessa barca. Grazie per avermi ascoltato e buon viaggio.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Meloni, Ministro della gioventù, per la sua esauriente e corposa relazione. Spero che lascerà il testo scritto a disposizione dei colleghi, come è stato altre volte richiesto. Con piacere lo acquisiremo agli atti.
Ella ha parlato di tantissimi argomenti e personalmente l'ho ascoltata con molta attenzione. Visto che al termine del suo intervento ha fatto un esempio particolarmente vicino alla mia passione per il mare e per l'attività nautica, dirò che l'importante su una barca è che deve essere l'equipaggio a funzionare. Tutti quanti devono collaborare, altrimenti le difficoltà non vengono superate.
Come lei ha più volte fatto a rilevare, penso che questa Commissione rappresenti il fulcro dei Ministeri che ha citato e che incrociano la sua attività: i ministri Sacconi, Bondi e quant'altri vengono auditi nell'ambito di questa Commissione, che raccoglie in una sorta di coordinamento tutte le diverse attività e quella del suo Ministero in particolare.
Il suo Ministero, insieme a quelli titolari dell'istruzione e del lavoro, dovrebbero a mio avviso prendere in esame il grave problema dell'inizio dell'attività lavorativa dei giovani, soprattutto laureati che arrivano, spesso, in età «troppo avanzata» al mondo del lavoro. Mentre nelle Nazioni più evolute e sviluppate, come ad esempio gli Stati Uniti, i giovani offrono il meglio di sé dai 20 ai 30 anni, i nostri giovani iniziano solo dopo i 30-35 anni ad avere un lavoro e a potersi esprimere. L'attività lavorativa e ogni altra espressione della vita, vengono così spostate in


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avanti, a un'età più avanzata. L'età media, oggi, è invero aumentata, ma a mio avviso il meglio di se stesso una persona lo esprime tra i 20 e i 35 anni di età al massimo. Dopodiché, questa persona dovrebbe raccogliere i frutti di quello che ha seminato. Purtroppo, nella nostra società si inizia un pochino più tardi. Questa è una tendenza che nella nostra Nazione dovremmo tentare di evitare. Le recenti riforme, quali la laurea triennale e specialistica, non hanno favorito ciò, anzi hanno aggravato un problema che mi è sembrato importante portare alla sua attenzione.
Invitando i colleghi a contenere i propri interventi, possibilmente, entro i dieci minuti, avverto che proseguiremo i lavori fino alle ore 13,15 circa, dopodiché ci aggiorneremo ad altra data.
Do la parola ai deputati che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.

LUISA BOSSA. Ringrazio la signora ministro per essere qui presente e le rivolgo gli auguri più sinceri per tutto il lavoro che dovrà svolgere.
L'ho ascoltata con molto interesse, poiché sono una di quelle migliaia di mamme i cui figli, due su tre, sono precari ormai da anni. Fa dunque piacere ascoltare il ministro che parla dei giovani, dei quali tutti si preoccupano, ma nessuno si occupa.
Lei ha presentato questa mattina - lo dico in maniera poco ortodossa - quasi un saggio sui giovani, sulle loro idee, su ciò che credono, su ciò che pensano, su ciò che è trasgressivo, su ciò che non lo è, su ciò che è valore e su ciò che non lo è, temi questi che ci appassionano e sui quali, nel corso di questi anni, ci confronteremo a lungo. Dunque, la seguiremo con attenzione e le offriremo i contributi che riteniamo necessari.
Lei ha detto che ha dovuto riorganizzare tutto il suo Ministero, ma perdoni la curiosità: perché ha voluto cambiarne anche il nome, passando dalle politiche giovanili al Ministero della gioventù?

UMBERTO SCAPAGNINI. Signor ministro, volevo innanzitutto congratularmi perché è riuscita a fornire una visione univoca e complessiva di un mondo che è estremamente difficile da descrivere in maniera globale. Come lei ha indicato, bisognerà soffermarsi su quelli che sono i punti fondamentali.
Mi ha molto colpito - mi complimento con lei per questo - che lei abbia voluto creare subito un rapporto con gli altri colleghi di Governo, senza i quali non avrebbe alcun significato quello che ci si proponesse di realizzare. Qualunque tema da lei ha toccato, infatti, non avrebbe possibilità di potersi sviluppare, se non attraverso un'interazione.
Molto rapidamente mi permetto di toccare qualche punto di raccomandazione in riferimento alla sua relazione. In primo luogo, lei ha giustamente messo subito in rilievo il controllo dell'applicazione della legge Biagi. Per esperienza personale, ho visto cose assolutamente inaccettabili e che non derivano dalla non bontà del principio generale, ma proprio dall'applicazione perversa, alla quale lei ha fatto cenno.
Da sindaco di Catania, per otto anni, ho avuto la possibilità di verificare come, in realtà, moltissimi nostri giovani neolaureati, capaci e intelligenti, reclutati in base a tali principi, dopo tre anni si trovavano non tanto allontanati o avviati a nuova strada, quanto piuttosto licenziati «di fatto», senza peraltro essere stati licenziati.
In sostanza, una volta terminati i tre anni della programmazione, le grandi ditte internazionali che si avvalevano della loro intelligenza e della loro capacità li sostituivano con altri, distruggendo in questo modo la vita di questi soggetti.
Quello delle generazioni «abbandonate» è un punto dolente, che le raccomando. Lei sa bene a chi mi riferisco, quando parlo di grandi ditte internazionali e di giovani che, dopo tre anni, sono «finti licenziati».
Un altro punto da evidenziare riguarda il conflitto generazionale. Lei ha affrontato una questione che, sotto il profilo medico, non possiamo dimenticare: in questo momento, l'Italia è la terza Nazione al mondo


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per età media e ogni anno incrementiamo in maniera imprevedibile, soprattutto nel settore femminile. Vent'anni fa, infatti, non potevamo prevedere che alla fine del presente decennio raggiungeremo una speranza di vita maggiore di 89 anni. Siamo di fronte, dunque, a un conflitto generazionale che certamente non si può risolvere sopprimendo gli anziani.
È necessario, pertanto, trovare un sistema e un meccanismo per far interagire la capacità degli anziani ancora produttivi e quella dei giovani. Esperimenti in tal senso sono stati fatti tramite il job sharing, ma sicuramente esistono alcune ipotesi di grande interesse, di cui potremo eventualmente discutere più avanti.
Infine, mi ha molto colpito che lei abbia centrato uno dei punti che noi medici consideriamo come di nostra pertinenza, ma che, in realtà, si proiettano all'interno della società in maniera estremamente ficcante. Mi riferisco alla trasformazione progressiva che è avvenuta riguardo a certe patologie. Venti, o venticinque anni fa, le turbe più comuni a livello neuropsichiatrico erano rappresentata prevalentemente da depressione e mania. Quest'ultima è scomparsa ed è rimasta soltanto la depressione che, nel frattempo, a livello giovanile è diminuita, lasciando però il campo a un'esplosione dell'anoressia, della bulimia e, in parte, delle crisi di panico. Queste ultime sono più frequenti tra i giovani che non tra gli anziani.
Questo è un punto importantissimo, da sviluppare insieme, per capire le cause del fenomeno. Mi consenta di dirle che il fatto che lei abbia già indicato questo tema, in collegamento con gli altri, mi colpisce molto favorevolmente.
Infine, sollevo un argomento che non è stato toccato e su cui parlo per esperienza (non tanto quella che ho avuto in precedenza, come docente universitario, quanto soprattutto quella che ho avuto come sindaco). Mi riferisco all'incongruenza della interazione fra le amministrazioni - di qualunque colore politico - e i centri sociali. Se non si lavora sui centri sociali in maniera costruttiva, si rischia soltanto di innescare reazioni che vanno anche al di là delle stesse volontà dei giovani che gestiscono i centri sociali stessi. Lei ha suggerito la creazione di associazioni sostitutive. Sarà difficile, ma credo che questo sia un altro dei punti che dovremo considerare.

PAOLA BINETTI. Sono arrivata con qualche minuto di ritardo, ma suppongo che anche la prima parte della relazione abbia avuto questo tono così profondamente positivo e che implica sicuramente uno sguardo diverso, che il Ministro della gioventù vuole rivolgere per avvolgere, direi di una sorta di stima e benevolenza profonda nonché di riconoscimento della qualità dei nostri giovani.
Mi sembra che proprio questa sarà una valenza molto importante nell'affrontare i problemi: il mettersi dalla parte dei giovani perché li consideriamo capaci, portatori di talenti e di valori, perché li consideriamo l'elemento più forte di cambiamento nella nostra struttura. Per tutto ciò la ringrazio molto.
Sono entrata nel momento in cui lei pronunciava le parole «quoziente familiare». Mi sono chiesta se non avessi forse sbagliato aula, poiché non se ne parla da nessuna parte, non l'ho mai sentito dire in questi giorni. Abbiamo incontrato vari Ministri, ma nessuno ne ha parlato. Ebbene, si trattava di un punto forte del vostro programma che, peraltro, personalmente condivido. Poi, probabilmente, possono cambiare le modalità, ma credo che ripartire dalla famiglia significhi ripartire della riduzione della pressione fiscale sulla famiglia. Non so quale sarà il suo impatto su questo punto, però molti di noi si aspettano davvero tanto, che aiuti le famiglie a sentirsi in condizione di poter fronteggiare i bisogni dei figli, con tutto quello che ne consegue. Mi riferisco in particolare alle famiglie numerose, ma anche alle famiglie che vorrebbero esser numerose e che non se la sentono poi di affrontare altre maternità. Anche per questo la ringrazio in modo particolare.
Vorrei ora richiamare l'attenzione su tre punti.


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Per molti anni - ho fatto anche io il mestiere di neuropsichiatra infantile - abbiamo parlato del problema della dispersione scolastica. Mi ricollego a quanto affermato poco fa dalla collega e le voglio parlare di quella fascia particolare di dispersione che separa il momento della conclusione degli studi dal momento dell'inserimento professionale. Questa fascia di età è il vero incubatoio, a mio avviso, della depressione giovanile, del desiderio di esperienze che contrastino in qualche modo il senso della noia e dell'inutilità nonché la diffidenza nei confronti degli adulti, derivante dal pensare che soltanto coloro che hanno appoggi e raccomandazioni trovano una collocazione. Ciò contraddice quello che lei bene ha espresso, parlando di meritocrazia.
Dobbiamo riuscire a trasferire nei giovani l'idea che se si studia, se si è bravi, se si è capaci e ci si impegna, davvero ce la si può fare. Sappiamo tutti che molto spesso questo non è vero, ma a me preoccupano enormemente quei due anni, che rappresentano una perdita secca di talenti.
A volte i migliori sono estromessi, a volte finiscono col vivere di cosucce. Quindi, se lei potesse prestare attenzione a una fascia di età che tocca in modo particolare i 25-27 anni, le sarei particolarmente grata, perché sarebbe un buon modo per prevenire esperienze che, a mio avviso, a volte si traducono in quelle che io chiamo le patologie del comportamento giovanile. Ce ne sono varie, gliene segnalo alcune. Una è quella a cui lei stessa ha fatto riferimento: l'uso di droghe, includendo fra esse anche l'alcol e quant'altro - quindi droghe «a tutto tondo» - per contrastare la noia. Lei lo sa meglio di me, quelli che sono stati consumatori occasionali negli anni scolastici, si convertono in consumatori abituali in questo periodo di tempo, perché non sanno come dare senso alla loro esistenza. Lei lo ha chiarito molto bene: questa può essere giustamente non una politica di repressione, bensì una politica che aumenta spazi di libertà. Gli spazi di libertà sono spazi di opportunità, di occupazione intelligente.
Abbiamo poi gli incidenti. Spesso si rileva questo falso modo di voler affermare le proprie capacità. Ogni giorno di più scopriamo nei giovani, oltre agli incidenti da eccessiva velocità, gli incidenti da condotta estrema. Sembra assurdo che per dimostrare che valgono - «Tu vali» era lo slogan di un vecchio prodotto, di cui peraltro era testimonial Schumacher - i giovani debbano veramente mettere a repentaglio la vita propria e altrui.
Ho infine apprezzato molto il suo riferimento al potenziamento delle comunità giovanili ricordando anche la presenza di regole interne e di criteri - chiamiamoli una sorta di mission - che comunque devono esserci. Tutti sappiamo che la scuola delle comunità giovanili è data, però, dall'associazionismo. Grande spazio ha l'associazionismo cattolico, ma anche l'associazionismo degli scout e quant'altro. Per poter avere la garanzia che queste comunità educative siano al loro interno - lei ha detto bene - fortemente impregnate di valori democratici (cioè del senso di una democrazia profonda che va da come si eleggono le persone a come si rapportano le regole interne, a come si vivono le attività, a come ci si rispetta), è importante che chi vi accede venga dall'esperienza di una forma qualunque di associazionismo; che ciò possa dunque tradursi nella valorizzazione dell'associazionismo, in tutte le sue forme. Lo scoutismo e tutti gli associazionismi sono i luoghi in cui i bambini, gli adolescenti e poi i giovani imparano la regole del vivere civile, anche perché il fatto di essere figli unici, oggi, non mette tanto in condizione di poter condividere in casa propria la stanza, il televisore, il pallone, i giochi, i vestiti e tutto il resto.
Per questo, una buona iniziativa potrebbe essere quella rivolta ai famosi tutori di tempo libero, tutori on the road, educatori. I ragazzi hanno bisogno di questi modelli prossimi, che possono essere rappresentati proprio dai giovani appena un po' più grandi che si fanno modello. In questo modo, si interiorizzano stili, valori e comportamenti. La ringrazio.


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DONATO RENATO MOSELLA. Signor presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti alla signora ministro, perché è riuscita a fornire un quadro ampio, problematico, ma anche alcune proposte che, al momento, mi lasciano soddisfatto. La domanda che mi pongo è come poi vigilare, man mano che il suo navigare va avanti, al solo fine di svolgere il ruolo responsabile di opposizione e anche per incalzare il ministro in alcune direzioni.
Svolgo una prima considerazione veramente a caldo, senza alcuna pretesa di approfondire, riferita al rapporto con gli altri Ministeri e ministri. Un rapporto che ritengo di per sé pregevole, ma critico, in quanto bisogna guardare cosa sta accadendo con i tagli a cui si è costretti, soprattutto in alcuni settori, per motivi legati alla Finanziaria. Questi tagli contraddicono un po' quanto ci è stato poco fa illustrato. Ad esempio, mi riferisco ai tagli che sono stati operati nei confronti dello sport di promozione, dello sport sociale, dell'associazionismo sportivo, che, tenete conto, rappresenta meno dell'uno per cento del bilancio dello sport nazionale.
Vanno bene le Olimpiadi, vanno bene i campionati mondiali, va bene commuoversi per il podio e per le bandiere, però, dietro alle politiche giovanili esiste un tema su cui ci dobbiamo interpellare: i giovani, quelli meno fortunati (parlo del comparto sportivo, ma il discorso potrebbe essere generalizzato), che praticano lo sport e che non arrivano a risultati lusinghieri, sono la stragrande maggioranza. Tra chi ha la possibilità di diventare un «campioncino», magari senza arrivare alle Olimpiadi, e la massa dei praticanti, il rapporto è di 1 a 10 mila. Ebbene, gradirei che un Ministero come il suo, anche con il taglio che lei giustamente ha dato al suo piano di lavoro, tenesse conto, anche in questa ottica, di chi ha di meno.
È pertanto giusto erogare i soldi per lo sport italiano e per le Olimpiadi, però mi domando quando nascerà finalmente (forse il suo Ministero in questo potrebbe fungere da provocatore, anche rispetto agli altri colleghi) un aiuto e un sostegno a quelle attività che stanno morendo. Siamo un Paese ad altissimo tasso di associazionismo relativo a tutte le culture e tutte le sensibilità, abbracciando tutto l'arco costituzionale, ma molto di questo patrimonio si sta disperdendo, impoverendo e inaridendo. Non è che scompare, ma si dà regole e meccanismi che lo portano ad autofinanziarsi. Quando, per sopravvivere, ci si deve autofinanziare, si perde di vista l'obiettivo prioritario di tipo sociale. Si fanno pagare quote, o rette; si chiede una contropartita economica che spesso, nelle fasce dei meno abbienti e dei giovani che sono più lontani dal meccanismo educativo, non trova accoglimento.
Molti giovani preferiscono spendere 50 euro in attività magari meno educative, piuttosto che nella propria promozione sportiva, artistica e culturale. Dato questo meccanismo, credo che lei potrà richiedere ai suoi uffici di mostrarle alcuni indicatori che dipingeranno un quadro molto preoccupante. Esiste un patrimonio, che lei ha citato con sigle, che testimonia lo spirito di relazionarsi e di instaurare rapporti e che però, se continua a inaridirsi e a spegnersi, ci costringerà a reinventarlo, con costi sociali molto elevati.
In questo meccanismo che lei ha raccontato, voglio solo sottolineare un passaggio che forse può tornare utile alla riflessione. «I giovani per i giovani»: mi è sembrato un filo che ha condotto un po' tutta la sua articolata esposizione. È anche vero, però, che c'è in questo Paese una necessità: di solito il Ministero della gioventù nasce o perché abbiamo una povertà generale del meccanismo giovanile (credo che in Italia sia nato per questo motivo, nel senso che si vedevano gli indicatori e si capiva che dovesse esserci qualcuno incaricato di guardare con occhio attento e continuativo al mondo giovanile), oppure perché, come è avvenuto in altri Paesi europei, esiste una super produzione di iniziative e di attività, che è bene coordinare.
Per noi prevale la motivazione più preoccupante, anche se è vero, come lei ha raccontato, che ci sono tante iniziative in corso, che vanno coordinate e migliorate.


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Tuttavia, la verità è che oggi abbiamo un ministro che si occupa dei giovani perché i nostri giovani si trovano in difficoltà. I motivi lei li ha spiegati e i colleghi sono già intervenuti al riguardo.
Ciò che tendo a proporle è una sorta di patto intergenerazionale: sono un cinquantenne che è nato e cresciuto alla scuola di educatori che sono stati giovani adulti oppure adulti anche anziani. A loro ho legato pezzi della mia vita: nello sport, nella politica, nell'associazionismo.
Credo che una delle mancanze, oggi, sia rappresentata da un'autosufficienza che, spesso, non riesce a innescare, come lei ha indicato, il meccanismo educativo.
Ebbene, si valorizzino in questi percorsi anche i patti intergenerazionali. Si ritorni a ossigenare un Paese che è molto invecchiato. Tanti anziani dismettono l'attività lavorativa e potrebbero, in questa direzione, trovare uno sbocco, sebbene si sia in presenza di un deficit di riconoscimento.
I giovani, oggi, fanno fatica a riconoscere nel rapporto con l'altro una forma di necessità e di apporto. Noi li andavamo a cercare, eppure all'epoca avevamo famiglie abbastanza ordinarie. L'educatore, per noi, costituiva l'oggetto di una ricerca che compensava, in alcuni ceti sociali, anche la mancanza del genitore e della famiglia, diventava modello di riferimento. Oggi questo meccanismo si sta perdendo.
Passando ad altro, lei non ha sottolineato che il nostro è un Paese «a macchia di leopardo». Non voglio rievocare il discorso delle differenze tra nord e sud (che poi c'è anche un sud al nord e un nord al sud), però, riguardo ai giovani, rileviamo una situazione molto diversificata.
Su tutti temi trattati, dal lavoro, al tempo libero, alla cultura, abbiamo un Paese in cui i problemi si differenziano «a macchia di leopardo». Mi piacerebbe immaginare, nel suo lavoro, anche un'attenzione a queste diversità.
A me stanno a cuore di più i giovani della marginalità, quindi i giovani che prevalentemente vivono e crescono nel sud del paese, o nelle aree periferiche, che lei conosce molto bene, per quanto riguarda Roma, dove effettivamente il taglio ai temi che lei ha trattato - dal lavoro al tempo libero - è un po' diverso e particolare: lì ci sono segni di disperazione molto forti, ma anche di grande speranza. Laddove le difficoltà sono più grosse, nascono testimonianze straordinarie che potrebbero essere incanalate e valorizzate. Credo che sia molto importante tenerne conto nei piani, altrimenti si rischia di agire in maniera generale e di non cogliere la sacca di maggiore difficoltà.
È vero che esiste una povertà giovanile e una difficoltà anche negli ambienti economicamente molto agiati; basta vedere alcune città del nord come Modena, o altre città, dove il tasso di suicidi giovanili è alto. Non possiamo più parlare di fasce sociali deboli, perché effettivamente il fenomeno è complesso e su questo ci si deve interrogare.
Tuttavia, mi sembra che rispetto a piani che portano all'avviamento del lavoro, come ad esempio il prestito d'onore, immaginarli per una periferia di una grande metropoli è cosa diversa che immaginarli per una città con redditi pro capite e tenore di vita accettabili. Si tratta di approcci e di dimensioni diverse. Mi fermo qui, ringraziando nuovamente il ministro.

ALESSANDRA MUSSOLINI. Signor presidente, ringrazio la signora ministro per la sua esposizione. Voglio fare alcune osservazioni, prendendo spunto da alcuni interventi di colleghi che mi hanno preceduto.
La collega Binetti ha parlato dell'associazionismo e si è riferita allo scoutismo. La mia prima figlia ha partecipato allo scoutismo: si tratta effettivamente di un'esperienza formativa, non solo per il ragazzo, ma anche per la famiglia che viene coinvolta.
L'esposizione del ministro ha toccato moltissimi argomenti, per cui proseguo con alcuni flash. Il collega Scapagnini parlava del disagio giovanile, delle depressioni e degli attacchi di panico, dovuti purtroppo non solamente a cause endogene, cioè a cause interne o a patologie dei


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giovani, ma anche alle sollecitazioni autodistruttive dei ragazzi, soprattutto perché manca ormai una visione di collettività, che ha lasciato il campo a un individualismo autodistruttivo.
Voglio segnalare - ne parlerò anche in Commissione infanzia - che chiederò un'audizione del ministro, giacché si parla tantissimo, forse troppo, dei giovani e dell'infanzia: esistono troppi enti, troppi organismi, mentre manca un coordinamento e soprattutto mancano interventi sostenuti da una dotazione di fondi.
Ho visto - lo voglio dire in Commissione, ma ne parlerò anche con lei e con il sottosegretario Giovanardi - un servizio di un telegiornale dove si riferiva che i giovani, da soli, possono scaricare file contenenti messaggi musicali talmente potenti da avere l'effetto di sostanze stupefacenti, com l'LSD, l'hashish o la marijuana, e li possono scegliere a seconda della «sostanza» che intendono «assumere» attraverso questi file. Si tratta di cose gravissime: non esiste solamente la droga come sostanza che si assume, ma addirittura la si può scaricare via internet.
Chiedo, quindi, un maggior coordinamento tra i vari Ministeri e, soprattutto, con quegli organismi (come ad esempio la Commissione infanzia, ma anche la Commissione affari sociali e altri), che si occupano dell'infanzia e della gioventù, che peraltro non ha una età precisa.
In riferimento al lavoro precario, è chiaro che è utopia pensare di poterlo eliminare, ma si può certamente ridurlo e conferire ai lavoratori atipici una dignità, poiché il lavoratore atipico, oggi, non gode delle stesse garanzie di tutti gli altri lavoratori.

PAOLO GRIMOLDI. Ringrazio la signora ministro, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare già nel corso della passata legislatura. Ci siamo già confrontati e sappiamo già, bene o male, di avere la stessa visione dei problemi e delle questioni in ambito giovanile.
Credo però - prendendo spunto dall'intervento conclusivo dell'onorevole Mussolini, che parlava della mancanza di spirito di comunità, e se vogliamo anche di comunitarismo - di dover lanciare un sasso, che rappresenta non solo quel due per cento che ci divide nella visione delle cose, ma forse anche una soluzione importante all'individualismo e ai problemi dei giovani.
I giovani, per essere parte di una comunità, devono sentire l'orgoglio di farne parte: pensiamo ai giovani napoletani, che, probabilmente, hanno un'immagine - così come l'abbiamo noi - di una città che ha grossi problemi. Viceversa, riscoprire gli aspetti storici e culturali, che sono peculiarità del nostro Paese, credo possa contribuire in modo importante a riscoprire questo orgoglio. Il fatto che Napoli sia stata capitale, ad esempio, o riscoprire la storia siciliana che ha portato l'isola ad avere una forte autonomia, penso alla battaglia dell'Assietta per i giovani piemontesi, penso al fatto che nelle nostre scuole i giovani studenti di Venezia studiano a memoria i sette re di Roma, ma neppure uno dei 120 dogi di Venezia. Questi sono problemi di carattere culturale, che inevitabilmente influenzano il senso di appartenenza e il sentirsi parte di una comunità; elemento, questo, che diventa importante per combattere l'individualismo.
Detto questo, mi associo a quanto da lei illustrato sui programmi per i giovani del suo Ministero. Mi preme sottolineare un altro aspetto, e cioè, così come giustamente qualche collega parlamentare prima di me ha ricordato, per combattere il fenomeno della droga, piuttosto che tante derive delle nuove generazioni, sia importante la famiglia. In questi giorni di cronaca sentiamo i telegiornali parlare dei fenomeni di bullismo: credo che per combattere anche questo fenomeno sia importante partire dal presupposto fondamentale del coinvolgimento delle famiglie. Oggi, i nostri giovani un po' vengono lasciati all'individualismo, un po' non vengono coinvolti nelle famiglie, per cui vediamo fenomeni che, nella migliore delle ipotesi, sono il bullismo e nella peggiore le droghe.


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Concludo con un ultimo elemento di carattere più tecnico, visto che il ministro molto spesso parla, giustamente, di meritocrazia. Lancio un altro sasso, quindi, per chiedere la sua opinione su quanto segue: per parlare di meritocrazia, in un ambito di istruzione, di giovani e di università, ritengo ci si debba interrogare sul problema - che, tra l'altro, riguarda ormai solo il nostro Paese, o poco ci manca - dell'abolizione del valore legale del titolo di studio.
Lancio questo sasso e chiedo al ministro che cosa ne pensi. Credo che, per poter parlare di meritocrazia - prima di arrivare qui sono stato in audizione in VII Commissione, dove il Ministro Gelmini parlava di ciò - si debba estendere la concorrenza anche nel corpo docenti e, magari, anche tra atenei. Penso in definitiva che dobbiamo interrogarci sulla meritocrazia e sulla concorrenza, anche tra giovani, per premiare il merito e interrogarci sul problema del valore legale del titolo di studio.

PRESIDENTE. Ringrazio la signora ministro per la disponibilità manifestata.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 13,25.

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