Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle audizioni

Torna all'elenco delle audizioni
Comitato per la legislazione
4.
Martedì 18 maggio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Lo Presti Antonino, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, sugli effetti del Trattato di Lisbona sulle forme di interazione tra livello statale e regionale nella fase discendente ed ascendente di definizione delle decisioni adottate a livello comunitario (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Lo Presti Antonino, Presidente ... 3 8 10 11
Fitto Raffaele, Ministro per i rapporti con le regioni ... 5 9 10 11
Lo Moro Doris ... 8 11

Seduta del 18/5/2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANTONINO LO PRESTI

La seduta comincia alle 13,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati e la trasmissione televisiva differita sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, sugli effetti del Trattato di Lisbona sulle forme di interazione tra livello statale e regionale nella fase discendente ed ascendente di definizione delle decisioni adottate a livello comunitario.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, l'audizione del Ministro per i rapporti con le Regioni, onorevole Raffaele Fitto, sugli effetti del Trattato di Lisbona sulle forme di interazioni tra livello statale e regionale nella fase discendente ed ascendente di definizione delle decisioni adottate a livello comunitario.
Nel ringraziare il ministro, ricordo che si tratta della seconda audizione organizzata dal Comitato (la scorsa settimana abbiamo ospitato il ministro Ronchi) nell'ambito di un filone di ricerca finalizzato ad approfondire le conseguenze che l'approvazione del Trattato di Lisbona pone nel modo di legiferare.
L'indagine, evidentemente riguarda sì il Parlamento nazionale, ma non solo, perché il potere legislativo - in Italia come in ogni altra democrazia avanzata - non è appannaggio esclusivo di un'unica autorità centrale, ma ha invece natura policentrica e sempre più ne avrà in futuro.
Non è un caso che le più significative riforme «istituzionali» degli ultimi 15 anni hanno avuto come protagoniste le Regioni. Penso alla evoluzione del ruolo dei governatori, conseguente alla loro elezione diretta, ma anche alle prime riforme per il cosiddetto «decentramento amministrativo» degli anni Novanta, per arrivare poi alla epocale modifica costituzionale del Titolo Quinto.
Qualunque giudizio si voglia dare a tali eventi storici, è innegabile che il tema centrale della politica istituzionale dei nostri giorni è legato indissolubilmente ai rapporti tra Stato centrale e poteri territoriali.
Da qui, anche da qui, passeranno e prenderanno forma i fenomeni che - secondo una facile profezia - segneranno la politica istituzionale dei prossimi anni. Mi riferisco al processo di attuazione del federalismo fiscale ed a quello di attuazione del Trattato di Lisbona.
Nel concentrarci su quest'ultima tematica, siamo consapevoli di affrontare una sfida impegnativa: dobbiamo dotare i parlamenti nazionali degli strumenti necessari per integrare e coordinare le politiche legislative «multilivello».
Solo se si dimostra capace di adottare nuovi metodi di legislazione «aperti» alle autonomie regionali, il Parlamento potrà conservare e rilanciare il proprio ruolo di protagonista nel panorama delle istituzioni nazionali e sovranazionali.


Pag. 4


Dato il tema, la presenza del Ministro per i rapporti con le Regioni, onorevole Raffaele Fitto, mi sembra un atto «dovuto».
L'incontro odierno costituisce infatti l'occasione per fare il punto sull'evoluzione del ruolo delle Regioni a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ovviamente nell'ottica di chi è titolare delle funzioni di coordinamento e di indirizzo in seno al Governo.
L'opinione del ministro Fitto è doppiamente rilevante perché, alla sua attuale posizione di responsabile della «cabina di regia» della governance multilivello, unisce una pregressa esperienza di governatore della Regione Puglia.
Nel lasciare la parola al ministro, mi limito a segnale alcune questioni che ritengo di particolare interesse.
La prima: in parallelo con quanto avvenuto sul piano nazionale, anche in ambito comunitario, alle Regioni sono state attribuite funzioni «proprie» di rilevante interesse, sia nella fase ascendente che in quella discendente di formazione del diritto dell'Unione europea.
La più eclatante, per i profili di nostro interesse, è la previsione della partecipazione a pieno titolo delle Assemblee regionali nelle procedure di controllo preventivo sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà nell'esercizio delle competenze comunitarie svolto dalle Camere.
Su questa nuova funzione delle Assemblee regionali, da sviluppare in raccordo con il Parlamento nazionale, sarà interessante acquisire dal Governo i suoi orientamenti, maturati anche in relazione ad una decennale procedura di consultazione delle Regioni, sia pure avendo come interlocutori quasi esclusivamente gli Esecutivi.
Una seconda questione: quanto alla fase discendente e al ruolo fondamentale che le Regioni sono chiamate a svolgere in sede di attuazione della normativa comunitaria, voglio solamente ricordare un dato: gli enti locali e regionali sono responsabili dell'attuazione di oltre il 70 per cento degli atti giuridici dell'Unione europea.
Nella precedente audizione il ministro Ronchi ci ha fornito il punto sulla situazione in merito al recepimento della «Direttiva servizi».
In questa sede potrebbe essere interessante analizzare la fase attuativa della legislazione sui servizi pubblici locali, seguita dalla struttura presieduta dal ministro Fitto.
L'esperienza maturata potrebbe essere valutata anche in funzione dell'esigenza di individuare le più efficaci forme di interazione con le autonomie locali, estese non solo ai «contenuti», ma anche a «metodi di legislazione» più conformi alle esigenze di chiarezza e semplificazione dell'ordinamento giuridico. Per i profili che qui interessano, emerge infatti che le Regioni rappresentano - e sempre più sono destinate ad esserlo - sedi strategiche ai fini delle politiche della qualità e semplificazione della regolazione nonché di riduzione degli oneri.
Infine, terza questione, la problematica cui da ultimo ho fatto riferimento si presta anche ad una riflessione più generale sul sistema delle Conferenze.
Alle stesse sono assegnate compiti di estrema importanza che tuttavia non appaiono essere adeguatamente «procedimentalizzati» e che, per tale ragione, non sempre garantiscono al Parlamento l'acquisizione delle necessarie informazioni sulla base di meccanismi lineari e trasparenti.
In quest'ambito, sarebbe dunque interessante verificare se il ministro ritenga di assumere iniziative per superare tale criticità che incide sul processo di formazione delle decisioni (legislative e non legislative).
Mi avvio a concludere. Tutti gli osservatori sono concordi che il Trattato di Lisbona richiede una più efficace partecipazione dei diversi livelli di governo alla definizione ed attuazione delle politiche pubbliche di derivazione comunitaria.
A mio avviso, è fondamentale compito del Parlamento e del Governo nazionale


Pag. 5

quello di saldare - in un quadro di produttiva dialettica delle assemblee e degli esecutivi - gli interessi ed i valori dell'intera comunità nazionale. Il nuovo assetto istituzionale impone la piena coesione del «sistema Italia» per una più forte azione e cooperazione europea.
Si tratta di dar vita ad un'esperienza nobile - ma fino ad ora inedita - che necessita contemporaneamente di volontà politica e di procedure certe, che dobbiamo appunto iniziare a disegnare, avvalendoci di momenti di confronto come quello odierno.
Ho il piacere quindi di passare la parola al ministro Fitto.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i Rapporti con le Regioni. Grazie presidente, sia per l'introduzione, che mi consente di incentrare l'intervento sugli aspetti specificatamente indicati, che per l'occasione odierna. Penso che sia un'occasione utile ed importante per verificare su questi temi fondamentali qual è il livello avanzato sul quale il Governo, nell'ambito del confronto con le Regioni, si sta ponendo, soprattutto con riferimento a quello che è l'obiettivo fondamentale, l'armonizzazione delle legislazioni statali e regionali con riferimento ai contenuti previsti dal Trattato di Lisbona. In tal senso, mi piace ricordare come il tema della sussidiarietà trovi, all'interno del Protocollo aggiuntivo, uno dei momenti più elevati. Esso rappresenta sicuramente anche un'occasione fondamentale per individuare forme, modi e luoghi del percorso da compiere.
Anche alla luce dell'intervenuta partecipazione del ministro Ronchi, non mi soffermerò sulle linee dell'azione legislativa, che condivido pienamente, intorno alla quale il Governo sta lavorando, con l'obiettivo mirato di realizzare una sintesi delle diverse iniziative parlamentari avanzate, nell'ottica di pervenire a breve alla predisposizione di un impianto legislativo che possa migliorare e integrare la legge n. 11 del 2005. Quel provvedimento, che pure conteneva alcuni elementi anticipatori della condizione odierna, va modificato, perché oggi ci troviamo di fronte una dimensione dei problemi molto più complessa.
L'esperienza personale, alla quale il presidente ha fatto cenno, inclusa quella di presidente di una Regione, mi consente di disporre di una conoscenza diretta di alcuni livelli istituzionali fondamentali, che penso vadano chiamati in causa nel contesto del ragionamento da portare avanti.
Mi riferisco innanzitutto alla Conferenza Stato-Regioni, alle sue modalità di funzionamento ed alle soluzioni da individuare per porla in condizioni di lavorare in modo più efficiente, rapido e con migliore qualità. Faccio riferimento poi a un altro ambito istituzionale, che riveste un ruolo importante nel contesto del Trattato, che pure ho avuto modo di conoscere direttamente, quello del Comitato delle Regioni, che, come è noto, dispone del potere fondamentale di poter adire la Corte di giustizia europea per eventuali violazioni del principio di sussidiarietà da parte di un atto legislativo dell'Unione.
In questa dimensione il ragionamento da sviluppare riguarda sia la piena realizzazione del principio di sussidiarietà - in tal modo avvicinando in modo concreto e diretto il livello decisionale al cittadino - sia l'esigenza di armonizzare le condotte dei diversi livelli istituzionali.
C'è un percorso da avviare anche sulla base di quanto è stato fino ad oggi già fatto. I dati ci indicano che alcune Regioni hanno adottato il modello organico della legge comunitaria regionale, altre hanno scelto un modello di recepimento di tipo settoriale, variabile a seconda delle singole materie di riferimento.
Devo anche sottolineare che, dopo l'approvazione del nuovo Titolo V della Costituzione, stante l'articolo 117, quinto comma, relativo al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, sono purtroppo notevolmente aumentate le impugnative presso la Corte costituzionale, talvolta anche in via preventiva, relative anche a direttive che il nostro Paese non ha ancora recepito, le quali però vengono prese in considerazione da specifiche


Pag. 6

leggi regionali, senza peraltro rispettare i contenuti dell'ordinamento comunitario.
Le esperienze pregresse vanno ora poste in relazione col nuovo quadro normativo europeo, con l'obiettivo di individuare sedi e modalità per migliorare il confronto fra Governo e Regioni, innanzitutto sul piano informativo, aspetto fondamentale al fine di disporre di una capacità conoscitiva che non sia solamente quantitativa, ma soprattutto qualitativa, selezionando in modo appropriato gli elementi che effettivamente assumono rilievo in relazione al livello di competenza attribuito al piano regionale e nazionale.
È un aspetto da considerare all'interno del provvedimento legislativo che il Governo varerà. Lo dico sulla base dell'esperienza che ho maturato in questi due anni, avendo avuto modo di presiedere la Conferenza Stato-Regioni. Quindi bisogna trovare una modalità lavorativa che non passi attraverso il mero trasferimento di tutta la documentazione alla Conferenza, che talvolta, come dicevo prima, appare addirittura esagerata. È opportuno invece incidere su tale aspetto, d'intesa con le Regioni, instaurando un confronto all'interno della Conferenza Stato-Regioni per selezionare le materie che specificatamente ed effettivamente incidono sulle competenze regionali.
Ciò sicuramente servirà per verificare preventivamente le questioni, ponendo in essere condizioni idonee per evitare il rischio di impugnative presso la Corte costituzionale. Non mi attardo su tale aspetto, ma è evidente che un'impugnativa presso la Corte costituzionale comporta tempi di attesa per la sentenza e, quindi, incertezza per un periodo di tempo anche importante sull'efficacia di una legge. Le soluzioni vanno perciò cercate in un'ottica di composizione preventiva. Credo che ci sia spazio per margini di miglioramento, lavorando nella sede propria della sessione comunitaria della Conferenza Stato-Regioni per individuare e consolidare metodologie in tal senso. Quindi la Conferenza è il luogo per procedere d'intesa con le Regioni nella direzione che ho indicato: giusto processo informativo preventivo e coinvolgimento per selezionare e definire le soluzioni legislative che evitino contrasto con l'ordinamento comunitario.
Questa riflessione mi consente di collegarmi alla ulteriore questione che il presidente prima richiamava: il ruolo della Conferenza Stato-Regioni.
È innegabile che la modifica del Titolo V della Costituzione abbia innanzitutto comportato un problema di rapporti, considerato che un numero elevato di materie a legislazione esclusiva è passato nella casella della legislazione concorrente. Si è quindi ampliato il terreno dei conflitti costituzionali, che ha visto una sua crescita in questa fase, sia per iniziativa delle Regioni nei confronti del Governo su alcuni atti legislativi statali, sia da parte del Governo avverso alcune leggi regionali che travalicavano la competenza per esse definita.
Ciò ha portato la Conferenza a svolgere un ruolo differente da quello originariamente previsto. Infatti, la precedente normativa di organizzazione della Conferenza, che è del 1997, ha individuato un quadro organizzativo che è precedente alla fase del decentramento, alla modifica del Titolo V nonché alla legge n. 42 del 2009 e quindi anche a tutta la fase di attuazione del federalismo fiscale, che in queste ore vede il primo decreto legislativo avviarsi a completare il suo percorso con il varo definitivo in Consiglio dei ministri.
Dovrebbero essere quindi chiare le conseguenze che discendono da quanto ora detto. È evidente che la Conferenza Stato-Regioni ha svolto in questo periodo un ruolo di compensazione, anche al di fuori delle attribuzioni per essa formalmente previste, nonché una funzione molto più politica. Ritengo che questa funzione politica, che sicuramente rimarrà in ogni caso, debba tuttavia trovare momenti di regolazione interna, al fine di evitare fasi convulse come quelle alle quali abbiamo assistito. Questo deve valere con reciprocità, tanto per il Governo quanto per le Regioni, visto il problema di fondo che consiste nell'esigenza di individuare modalità


Pag. 7

funzionali ed organizzative che non paralizzino la Conferenza in occasione dell'esame di alcuni provvedimenti.
Quindi bisogna operare sulle modalità di selezione dei provvedimenti, ponendo in essere un lavoro tecnico preventivo più adeguato e, soprattutto, lavorare intorno ai tempi di esame dei provvedimenti. Io credo che non giovi a nessuno se, di fronte a una contrarietà su un provvedimento, sia essa espressa dal Governo che dalle Regioni, si instauri un atteggiamento, non regolato, che porti ad assentarsi dalla Conferenza ed a forme di contrasto che blocchino complessivamente l'ordine del giorno, con l'ulteriore conseguenza che, con tempistiche assolutamente incompatibili, a distanza di mesi dalla precedente Conferenza, si debba valutare decine se non centinaia di provvedimenti, che riguardano tantissimi aspetti e materie. E il rischio è di farlo in modo non adeguato e secondo una tempistica che non coincide con la possibilità di congiungere l'analisi, il voto e il contributo della Conferenza al dibattito parlamentare, perché se la Conferenza si esprime su un decreto-legge dopo che esso è stato convertito in legge, stiamo con piena evidenza discutendo di qualcosa senza alcun tipo di finalità pratica.
Ritengo che, a tal fine, il Governo proporrà quanto prima delle soluzioni di carattere legislativo che possano consentire di riorganizzare complessivamente funzione e ruolo della Conferenza, semplificandola e rendendola più snella nonché maggiormente operativa, idonea a guardare molto di più alla qualità dei provvedimenti ed evitando il rischio di venire travolta dalla quantità dei documenti, cosa che comporta il rischio di non recare quel contributo positivo che è chiamata a fornire. Penso che ciò avverrà nell'ambito della normativa che il Governo proporrà ai fini della modifica della legge n. 11 del 2005, quindi nel contesto della interazione tra normativa statale e regionale ai fini del raccordo con l'ordinamento comunitario. La riforma della Conferenza oltre che a questo contesto più ampio guarderà quindi anche ai rapporti interni al nostro Paese.
Come è noto, anche all'interno del Comitato delle Regioni e nel rapporto tra le diverse Regioni d'Europa esistono modalità diverse di confronto, che non sono determinate in modo univoco e omogeneo in tutti i Paesi dell'Unione, ma che trovano una distinzione di fondo tra Regioni dotate di potere legislativo e Regioni con poteri differenti. Si tratta di una distinzione che implica valutazioni completamente differenti.
Altro tema che è stato evocato dal presidente è quello relativo ai servizi pubblici locali. Il lavoro che il Governo sta portando avanti in materia parte dalla necessità fondamentale di armonizzare norme regionali, nazionali e comunitarie. Vi è poi il tema delle competenze costituzionali, abbastanza complesso e tale da richiedere di affrontare in modo organico e diretto le questioni.
Ricordo che, per quanto riguarda l'attuazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, la fase di confronto ha dimostrato che quel provvedimento legislativo non era sufficiente a dare sul tema della liberalizzazione dei servizi pubblici locali una risposta pienamente coerente con la direttiva comunitaria. Occorreva quindi evitare di inserire la parte conseguente e mancante in un regolamento che, come è noto, qualora la cornice legislativa non sia ben definita, si presta al rischio di sospensive e di ricorsi al tribunale amministrativo. D'altronde, non si poteva neppure lasciare monco il provvedimento.
Perciò abbiamo inserito la parte normativa mancante nell'ultimo decreto Ronchi, in tal modo completando la cornice legislativa. Abbiamo quindi predisposto il regolamento attuativo, varato dal Consiglio dei ministri, giunto poi, con il ritardo a cui facevo riferimento, in Conferenza unificata. In quella sede, si è svolto l'auspicato confronto, che ha consentito di acquisire il contributo dell'ANCI e dell'UPI, mediante il recepimento di alcuni emendamenti, mentre vi è stato invece un parere contrario


Pag. 8

da parte delle Regioni. La condizione che le Regioni hanno posto e che il Governo ha accettato è stata quella di proseguire la discussione nel merito del regolamento. Quindi lo schema di regolamento è stato inviato al Consiglio di Stato e successivamente verrà esaminato anche dalle Commissioni parlamentari competenti. Vi è però l'impegno a proseguire il confronto nell'ambito di un tavolo tecnico istituito presso la Conferenza. La verifica dovrà tenere conto del fatto che la tutela della concorrenza è ambito di competenza che fa capo al Governo - lo ha affermato più volte la Corte costituzionale - mentre, per quanto riguarda i servizi pubblici locali, essi rappresentano sul piano organizzativo interno un tema di spettanza regionale.
Ciò ci insegna che occorre una riflessione più ampia sul complessivo assetto delle competenze regionali nel contesto del recepimento nazionale delle norme provenienti dall'ordinamento comunitario. Il percorso - che mi auguro possa completarsi positivamente - muove da un terreno difficoltoso dal punto di vista dei diversi rapporti. Vi è quindi la necessità impellente di individuare, come dicevo prima, luoghi - la Conferenza -, modalità - una riforma della Conferenza e del suo funzionamento - e una migliore cornice informativa e di confronto all'interno della Conferenza fra il Governo e le Regioni. Il fine è quello di poter pervenire ad un confronto costante e su temi selezionati, evitando quell'eccesso di flusso documentale che comporta il rischio di far perdere di vista a molte Regioni il merito delle singole questioni.
Il terreno di lavoro, come potete immaginare, è abbastanza complesso. La possibilità di successo passa tanto per la riforma della Conferenza quanto nella modifica della legge n. 11 del 2005. Occorre dotarsi di un criterio metodologico che ci possa accompagnare verso provvedimenti condivisi, perché la forzatura nei diversi livelli istituzionali non serve, in quanto rischia di portarci lontano dal risultato. Si tratta di due passaggi fondamentali che devono essere necessariamente condivisi nel rapporto tra Governo e Regioni.
Solo così potremo avere la certezza del risultato e quindi offrire un contributo idoneo a far sì che i contenuti del Trattato di Lisbona - soprattutto la parte fondamentale di esso, cioè il principio di sussidiarietà - possano trovare attuazione concreta. Il risultato che tutti quanti dobbiamo perseguire è quello di avvicinare il livello decisionale ai cittadini, per migliorare la qualità delle scelte. Nel contesto del filone istituzionale, che parte dal livello europeo e finisce a quello locale, vanno infatti garantite attenzione e sensibilità verso il cittadino, perché è questi in definitiva l'oggetto delle decisioni e degli interventi.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Fitto. C'è l'onorevole Lo Moro che vorrebbe porle una o più domande.

DORIS LO MORO. All'inizio di questa legislatura tutti - o tanti tra noi - abbiamo pensato che si potesse parlare in concreto di riforme. Lei oggi ci ha parlato della riforma della Conferenza Stato-Regioni, ma questo evoca altre riforme, perché è chiaro che la riforma della Conferenza Stato-Regioni non potrà non tener conto dell'assetto che si darà allo Stato, del ruolo che si assegnerà al Parlamento, della circostanza che possa permanere o meno l'attuale bicameralismo perfetto. Questa mia considerazione, che è anche una domanda volta a conoscere il suo punto di vista, guarda in prospettiva e non contiene critiche a questo Governo o alla situazione di cui lei ci ha fornito una fotografia, perché non ci sono responsabilità specifiche da contestare a questo o a qualche altro Governo. Però esiste una situazione di fatto, prodottasi nel tempo, che ha generato un nuovo protagonismo della Conferenza Stato-Regioni - cosa che all'inizio è parsa anche positiva - allargandone le competenze.
Ciò detto, vorrei riportare il tema nel quadro delle nostre competenze. Lei è qui ospite del Comitato per la legislazione,


Pag. 9

organo che opera per la qualità legislativa, svolgendo azione di stimolo perché la Camera dei deputati legiferi meglio. Quindi le seguenti osservazioni che faccio sono espresse da componente di questo Comitato.
In primo luogo, la ringrazio per la chiarezza, perché i dubbi e le perplessità che anch'io ho maturato, nella mia personale esperienza di assessore regionale prima e di parlamentare poi, relativamente alle competenze della Conferenza Stato-Regioni, trovano nella sua relazione evidente conferma. È risultato chiaro nella sua relazione che quando si parla di Conferenza Stato-Regioni si fotografa un luogo di raccordo tra governo nazionale e governi regionali, all'interno del quale si acquisiscono pareri - talvolta, come accennava giustamente il presidente Lo Presti, con una procedura non adeguatamente normata - su svariate materie e in un quadro di competenze che si sono nel tempo accavallate.
Proprio da qui muovono le mie riflessioni e i miei quesiti. Che garanzie ci offre il parere della Conferenza Stato-Regioni e che problemi invece comporta quando esso viene espresso su argomenti e su materie che sono di competenza del Parlamento? Lei è stato trasparente ed ora è il mio interlocutore. Le mie critiche non sono rivolte a lei, perché non ho critiche da fare rispetto alla sua relazione; critico semmai la situazione, che è cosa diversa. Lei ci ha giustamente parlato della Conferenza, del ruolo di compensazione e della funzione politica innegabile che ha assunto.
Credo che nella prospettiva della riforma si dovrà tenere conto della valenza politica che il parere della Conferenza tende ad assumere. È un dato da considerare, tenuto conto che il Parlamento ha già visto ridursi le sue competenze e spesso si trova oppresso da quella peculiare concezione del rapporto Governo - maggioranza che finisce per alterare i suoi tradizionali meccanismi di funzionamento. In altri termini, se il parere che viene espresso all'organo competente ad emanare le leggi, il Parlamento, è un parere vincolante - detto tra virgolette - sul piano politico, come si concilia ciò con la libertà del Parlamento? È forse essa del tutto residuale? Dovrà tenersene conto in vista della riforma? Io penso che debba tenersene conto.
La mia idea è che la Conferenza Stato-Regioni, se dovesse permanere anche negli assetti futuri, sia da ricondurre a competenze che non abbiano carattere legislativo. Lì entra in gioco un rapporto tra esecutivi che non può assumere natura vincolante e pressante rispetto all'organo che deve produrre leggi nella maniera più libera possibile, nel contesto della dialettica parlamentare. Tutto questo impone un ridimensionamento e richiede che la Conferenza torni nell'alveo che le è proprio e non invada il campo legislativo.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i Rapporti con le Regioni. Una prima riflessione di carattere generale. Attualmente il Governo si confronta con il sistema delle regioni e delle autonomie locali tramite due punti di riferimento importanti: la Conferenza Stato-Regioni, che presiedo, e la Conferenza unificata, che oltre alle Regioni prevede la partecipazione dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCI, con una visione dei provvedimenti estesa alle competenze dirette di regioni, province e comuni.
Detto questo, abbiamo indicato alcuni percorsi lineari da compiere. Innanzitutto, come dicevo prima, i due pilastri rappresentati dalla legge sul federalismo fiscale e dal codice delle autonomie. Sono due momenti importanti, il primo dei quali - essendo una legge delega - comporta un percorso attuativo mediante decreti legislativi, mentre l'altro è alla discussione del Parlamento ed è volto alla definizione delle funzioni fondamentali per il sistema delle autonomie locali. Questi due provvedimenti ridisegnano complessivamente il sistema delle autonomie locali e dovrebbero inserirsi in una cornice più ampia, che è quella di una riforma costituzionale. Quest'ultima, a sua volta, implica evidentemente una tempistica che, qualora dovesse esserci l'avvio, nella migliore delle


Pag. 10

ipotesi non può che essere superiore ai due anni.
Personalmente ho un mio desiderio, che è più che altro un auspicio, che ripeto in ogni circostanza. Lo ripeto anche qui: penso che sarebbe utile in questo momento pensare ad una riforma del Titolo V, relativamente al numero delle materie a legislazione concorrente. Su questo ci potrebbe essere una intesa più ampia e si potrebbe procedere rapidamente. Capisco però che tale aspetto si colloca in un contesto più ampio e non è possibile anticiparlo.
Non voglio che ci sia un fraintendimento su quanto con molta chiarezza ho detto. Per rendere chiaro il messaggio, faccio degli esempi di cose su cui abbiamo lavorato: il primo è quello relativo all'accordo sulla sanità, il secondo è quello relativo agli accordi sugli ammortizzatori sociali e il terzo è quello relativo al federalismo, tre provvedimenti importanti che hanno visto una intesa e un accordo tra i differenti livelli. A questo si aggiunge una seconda considerazione: in attesa di completare il percorso delineato, l'importante funzione svolta dalla Conferenza Stato-Regioni non mette certo in discussione le prerogative del Parlamento. Quando il Governo vara un provvedimento, lo invia in Conferenza, ne acquisisce il parere, valuta poi positivamente o negativamente il contributo che viene da quel tavolo, lo recepisce o meno all'interno del provvedimento che invia in Parlamento, ma il Parlamento rimane comunque sovrano e con la possibilità di intervenire liberamente. È evidente che quella funzione politica, che obiettivamente non rientrerebbe propriamente nelle competenze specifiche dell'organo, in una fase complessa come questa ha svolto e continua a svolgere una importante funzione.
Quale è l'obiettivo della riforma della Conferenza? Evitare che la Conferenza non abbia una funzione decisa sulla base di rapporti e passaggi politici estemporanei ma ben definita nell'ambito di competenze dirette, con una semplificazione in termini di tempo e con un miglioramento della qualità della legislazione, campo in cui la competenza regionale diventa decisiva rispetto a moltissime materie.
Infatti è chiaro che se noi andiamo verso uno Stato che ha una impostazione determinata dal Titolo V e dal federalismo fiscale e quindi ha una proiezione che va nella direzione del territorio e dell'avvicinamento al territorio, con maggiori competenze demandate a quel livello, dobbiamo anche comprendere che la conseguente necessità è quella di avere norme nazionali sempre più di quadro e cornice, mentre il dettaglio legislativo va inevitabilmente attribuito alla competenza diretta che la Costituzione assegna alla Regioni.
Si tratta di un lavoro complesso, però già disponiamo delle coordinate fondamentali, che possono contribuire a sviluppare un'azione molto positiva, sia in termini di definizione sia in termini di armonizzazione delle diverse competenze. Penso che questo sia il nodo sul quale rapidamente nei prossimi mesi interverremo.

PRESIDENTE. A proposito di questi problemi procedurali, se ho ben capito, la Conferenza, con riferimento al decreto legge n. 112 del 2008 e al regolamento sui servizi pubblici ha espresso un parere contrario, condizionato all'approfondimento in un tavolo tecnico specifico.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i Rapporti con le Regioni. Il parere espresso dalla Conferenza unificata è stato, per quanto riguarda ANCI e UPI, condizionato all'approvazione di alcuni emendamenti, che il Governo ha recepito, e quindi, il parere dei comuni e delle province è stato positivo; relativamente alle Regioni, esse hanno espresso un parere contrario, con la richiesta al Governo di attivare un tavolo per confrontarsi ulteriormente durante la fase di esame del regolamento nel Consiglio di Stato e nelle Commissioni parlamentari, per concordare eventuali modifiche. Il Governo, per il mio tramite, disponendo di una delega specifica, ha offerto alle Regioni la propria disponibilità,


Pag. 11

perché, qualora in questo tavolo dovesse trovarsi un'intesa modificativa durante l'iter del regolamento nella fase di esame in Parlamento e nel Consiglio di Stato, si recepiscano eventuali indicazioni modificative provenienti dalle Regioni prima dell'approvazione finale del regolamento nel Consiglio dei ministri.

PRESIDENTE. E quindi in questo caso il Parlamento sarebbe comunque bypassato, perché alla fine arriverebbe il parere della Conferenza.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i Rapporti con le Regioni. No perché è un po' quello che sta accadendo sul federalismo. Non potrebbe mai avvenire. Visto che la questione la seguo io, sono dell'idea che non potremo mai chiudere all'ultimo minuto prima del Consiglio dei ministri un accordo con le Regioni che scavalchi il parere parlamentare. Se ci fossero eventuali richieste di modifiche discusse e concordate con le Regioni, sarà cura del Governo, quindi del sottoscritto, portarle all'attenzione delle Commissioni parlamentari, perché in quel contesto possano venire discusse ampiamente.

PRESIDENTE. La sua precisazione ha stimolato una domanda della collega Lo Moro. Prego.

DORIS LO MORO. Il punto è creare meccanismi oggettivi che consentano al Parlamento di sentirsi garantito nell'esercizio delle sue funzioni, a prescindere dalla correttezza del singolo ministro, che qui non è stata messa in discussione. L'argomento dialettico non era nei suoi confronti. Altra riflessione: della Conferenza unificata entrano a far parte anche ANCI, UPI e quant'altro e ciò avviene sul presupposto che questi soggetti rappresentino le autonomie locali. Ma questo è oggetto di forte discussione non solo nel dibattito parlamentare ma anche nel dibattito politico nazionale.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i Rapporti con le Regioni. Osservo che le Regioni sono rappresentate tutte singolarmente, l'ANCI elegge i suoi organismi di rappresentanza in una assemblea che vede la presenza di quasi tutti i comuni - se non sbaglio sono circa un centinaio i comuni che non aderiscono all'ANCI - e l'UPI ha l'adesione di tutte le province italiane. Ora è chiaro che la rappresentanza di queste realtà avviene sulla base di una sintesi, però non vedo una soluzione diversa per interloquire con le medesime realtà.

PRESIDENTE. Grazie al Ministro Fitto. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,15.

Consulta resoconti delle audizioni
Consulta gli elenchi delle audizioni