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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-XIV Camera e 3a-14a Senato)
16.
Mercoledì 9 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefano Stefani, Presidente ... 2

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo straordinario dell'11 marzo 2011:

Stefano Stefani, Presidente ... 2 8 16 20
Antonione Roberto (PdL) ... 11
Boldi Rossana, Presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica ... 8
Corsini Paolo (PD) ... 15
Dozzo Gianpaolo (LNP) ... 10
Farina Renato (PdL) ... 14
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 2 8 16
Marini Franco (PD) ... 9
Parisi Arturo Mario Luigi (PD) ... 14
Tempestini Francesco (PD) ... 10
Tonini Giorgio (PD) ... 13
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 12
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 14a (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 9 marzo 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo straordinario dell'11 marzo 2011.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 11 del 4 febbraio 2005, le comunicazioni del Governo sul Consiglio europeo straordinario che si terrà a Bruxelles l'11 marzo prossimo.
Saluto i presidenti e i colleghi delle Commissioni esteri e politiche dell'Unione europea di Camera e Senato.
Ricordo che il prossimo Consiglio europeo è chiamato innanzitutto ad affrontare la situazione in Libia e nell'area del Mediterraneo, che le nostre Commissioni stanno seguendo ad horas.
Ringrazio il Ministro Frattini, che stamane ha partecipato alla riunione del Consiglio supremo di difesa, per la consueta cortese disponibilità e lo prego di svolgere la sua relazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Il Consiglio europeo di venerdì, che sarà preceduto, domani, da una riunione dei Ministri degli esteri, sempre a Bruxelles, sarà dedicato, come detto dal presidente Stefani, all'analisi della situazione che si è determinata nella regione mediterranea, nei Paesi del nord Africa, a come affrontare in chiave europea questa situazione e a quali decisioni si possono trarre dall'analisi della stessa.
Certamente è il momento in cui l'Europa deve assumere una forte responsabilità politica. Credo che noi europei abbiamo un obbligo morale, ma anche un interesse politico - lo abbiamo noi italiani, ma lo ha l'Europa intera - a riflettere anche su una più ampia prospettiva, non di fronteggiare l'emergenza, ma di medio e lungo periodo, su come accompagnare le aspirazioni democratiche, le transizioni democratiche che in parte si sono già avviate e in parte si stanno avviando, con una prospettiva di sviluppo durevole per la regione e per quel partenariato con la regione mediterranea, che già esiste ma che, a mio avviso, è stato messo in secondo piano, negli ultimi tempi, dalla impetuosa azione di attenzione verso il partenariato orientale, che ha rischiato di relegare il partenariato mediterraneo a una posizione non coerente con la sua importanza geostrategica.
L'Italia in questa situazione ha due compiti. Il primo è certamente quello di


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esprimere valutazioni ed analisi come, meglio di altri Paesi europei, l'Italia può fare. Lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo; lo sto facendo io personalmente con tanti colleghi, dagli Stati Uniti d'America all'Australia, dai Paesi del Golfo a tanti Paesi europei. Evidentemente l'Italia conosce meglio di altri, visto il radicamento storico del nostro Paese e degli imprenditori italiani, quali siano i fenomeni che stiamo prendendo evidentemente in esame.
L'Italia ha anche il compito - a mio avviso, il dovere - di sensibilizzare tutta l'Unione europea alla dimensione assolutamente prioritaria del Mediterraneo nel quadro del partenariato dell'Europa, senza evidentemente che questo significhi cancellare altre dimensioni del partenariato, ma restituendo - dopo il fallimento dell'Unione per il Mediterraneo, annunciata molto trionfalmente nel 2007 - al Mediterraneo una oggettiva centralità
Vi è anche un terzo compito dell'Italia, quello di proporre una rivisitazione completa dei rapporti tra la riva sud e la riva nord del Mediterraneo, quindi un patto nuovo, un'agenda nuova secondo strategie di medio termine che vedano indissolubilmente collegate stabilità, prosperità economica e democrazia. Si tratta, in questo, di superare le errate visioni del passato, che tutto l'Occidente ha in qualche modo ammesso, che hanno portato talvolta a considerare l'elemento securitario, l'elemento della stabilità, come prevalente su quello della promozione - che non vuol dire esportazione - della democrazia.
Comprendiamo oggi tutti assai bene che, laddove la democrazia e i diritti crescono, vi è una possibilità di prosperità e di sviluppo stabile; laddove, invece, questo non accade, vi è stabilita e sviluppo, ma sono fenomeni temporanei, come dimostrato dal fatto che, sia pure dopo decenni, i regimi non democratici sono caduti o stanno cadendo.
La situazione sul terreno la conoscete. Ne abbiamo parlato e ne riparleremo col Parlamento, come io ho detto di voler fare, ogni settimana. Soprattutto in Libia, seguiamo quasi in diretta le evoluzioni della situazione, che è ormai una situazione di guerra civile, con scontri violenti, ma soprattutto con la continuazione di azioni del regime di Tripoli, anche aeree, tese a recuperare, alcune zone del territorio che sembrano sfuggite al suo controllo, con particolare riferimento alle aree vicino a Tripoli o dove, comunque, si trovano insediamenti petroliferi. Fa eccezione la Cirenaica, rispetto alla quale una situazione di controllo da parte dell'opposizione sembra essersi consolidata.
Avrete sentito anche rincorrersi voci, smentite dal regime di Tripoli, ma sostanzialmente confermate da molti altri interlocutori, sulla possibilità di un negoziato volto all'uscita di scena di Gheddafi in cambio di un salvacondotto da parte del Consiglio nazionale dell'opposizione libica. Il Consiglio di Bengasi ha concesso, a questi fini, 72 ore che scadranno dopodomani. Certamente la comunità internazionale, l'Unione europea, le Nazioni Unite, la Lega Araba, l'Organizzazione della Conferenza islamica, hanno tutti - con linguaggi in parte diversi, ma con una sostanza comune - indicato l'impossibilità di considerare il regime di Tripoli e il suo capo come un interlocutore credibile per la comunità internazionale, dopo ciò che è accaduto e ciò che, purtroppo, sta continuando ad accadere, malgrado la propaganda mediatica, malgrado le accuse all'Europa e alla comunità internazionale.
C'è quindi una sorta di isolamento del regime libico che ha unito - forse direi per la prima volta, trattandosi di un'area estremamente sensibile del mondo - Occidente e mondo arabo: la Lega Araba e l'Organizzazione della Conferenza islamica, insieme all'Europa e alle Nazioni Unite concordano nel ritenere che quanto è accaduto tolga la possibilità, anche in futuro, di ricominciare a considerare il regime di Tripoli e il suo attuale capo come un interlocutore plausibile per la comunità internazionale.
Quali sono le esigenze che verranno affrontate nel Consiglio europeo e a cui noi attribuiamo la massima importanza? In primo luogo, si tratta di confermare la scelta multilaterale per qualsiasi tipo di decisione. L'abbiamo fatto finora e lo


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faremo anche nel prossimo futuro. Le sanzioni, le iniziative di tutela umanitaria, le decisioni che comunque verranno prese dovranno esserlo in un quadro multilaterale. Il primo punto, dunque, è il coordinamento della comunità internazionale, che deve continuare ad essere il faro che guida anche l'azione dell'Italia, come è stato finora.
Il secondo punto è l'azione umanitaria - dirò in seguito una parola per quanto riguarda quella italiana - che deve proseguire, non solo in Libia, ma nei Paesi vicini alla Libia dove l'impatto della crisi grave si può riverberare, a cominciare dalla Tunisia ma anche l'Egitto. Chiaramente, connesso all'azione umanitaria, vi è l'impatto migratorio potenziale, quello reale relativo a persone che richiedano protezione internazionale provenendo da Paesi dove evidentemente non possono tornare.
Terzo punto fondamentale è come contribuire a migliorare, assicurandola, la protezione della popolazione civile dalle violenze. Questa è la discussione intorno alla cosiddetta no fly zone.
Il quarto punto riguarda le sanzioni e la loro effettività. Certamente, nel quadro internazionale, noi abbiamo contribuito fortemente. A noi si sono rivolti, come detto, molti Paesi arabi della regione. Ho un raccordo continuo con gli Stati Uniti d'America, con il Dipartimento di Stato, con la signora Clinton, ma anche con la Lega Araba e con i colleghi del Consiglio di cooperazione del Golfo, che sotto il coordinamento degli Emirati ha anche adottato una risoluzione importante a favore della no fly zone sul territorio libico.
Certamente questo quadro di contatti va confermato e consolidato. Conto di avere, a seguito degli incontri di domani, una nuova rete di colloqui che verranno approfonditi lunedì, in una riunione ministeriale del G8, dove, evidentemente, si affronterà l'impatto della questione mediterranea e della crisi libica.
Certamente, il ruolo importante della Lega Araba è qualcosa su cui noi contiamo in modo particolare, per l'equilibrio che sinora la Lega Araba ha dimostrato e sta dimostrando di voler mantenere. I miei contatti si sono estesi al Governo tunisino, al nuovo Ministro degli esteri, che si è insediato qualche giorno fa, con il quale ho già preso contatto in relazione all'intervento umanitario all'impatto sui flussi migratori.
L'Italia, con la discrezione necessaria, che comprenderete, ha contatti anche con il Consiglio nazionale temporaneo di Bengasi. Abbiamo da tempo una conoscenza approfondita con il presidente di questo Consiglio temporaneo, l'ex Ministro della giustizia Jalil, che io conosco dai tempi del mio incarico di Commissario alla giustizia della Commissione europea.
Abbiamo avuto indicazioni molto chiare sulla volontà di tutta la comunità internazionale di lavorare per garantire l'integrità territoriale della Libia. Una delle prime preoccupazioni del Consiglio temporaneo di Bengasi è stata la sottolineatura della drammaticità di un'eventuale divisione della Libia, che evidentemente sarebbe per noi europei - e per noi italiani in particolare - una prospettiva davvero drammatica: quella non tanto della balcanizzazione quanto della somalizzazione della Libia alle nostre frontiere mediterranee.
In secondo luogo, vi è certamente la richiesta che vi sia un'azione internazionale importante per la protezione dei civili, che, attraverso un'eventuale no fly zone, possa prevenire il ripetersi di bombardamenti. La forza dell'aviazione di Tripoli è nota, e così la capacità offensiva. Il fatto che finora la Cirenaica sia stata al riparo da bombardamenti massicci via aereo ed elicottero non esclude che questo possa accadere in seguito.
Un punto è emerso molto chiaramente dalle nostre discrete relazioni con il Consiglio temporaneo di Bengasi: una netta contrarietà di questa parte dell'opposizione libica all'ipotesi di una presenza militare straniera. Loro ovviamente rivendicano con grande forza la caduta del regime di Gheddafi, ma non per mano di forze armate straniere. Questo concetto è


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stato ripetuto, come sapete, ieri anche al Parlamento europeo da due rappresentanti di quel Consiglio temporaneo.
La dimensione umanitaria della crisi, evidentemente, come detto, riguarda molti Paesi della regione. L'azione italiana è stata anzitutto un'azione bilaterale. Abbiamo privilegiato la rapidità di intervento, considerato che, purtroppo - lo diciamo con chiarezza - un coordinamento europeo dell'aiuto umanitario non si è oggi concretizzato in iniziative forti e di ampia dimensione. Noi abbiamo sostenuto con forza una missione europea, guidata dal responsabile della Protezione civile europea, ma non è una missione umanitaria, bensì di contatti e di esplorazione sul terreno della situazione a Tripoli. Abbiamo ospitato questa missione europea nell'ambasciata italiana, una delle poche rimaste aperte.
Per il resto, abbiamo agito bilateralmente. Abbiamo effettuato il rimpatrio di qualche centinaio di egiziani e abbiamo portato in luoghi sicuri altri 800 non italiani di 50 Paesi diversi, insieme a 1.400 italiani (praticamente tutti, tranne cento che hanno chiesto di rimanere in Libia). Stiamo completando in questi giorni il rimpatrio in Bangladesh, con aerei italiani, di circa 700 cittadini di quel Paese dalla zona di confine tra la Tunisia e la Libia.
Siamo l'unico Paese finora al mondo - saremo seguiti stasera da una nave turca, quindi ancora una volta non europea - ad avere compiuto una missione umanitaria a Bengasi. Una nave italiana ha portato venticinque tonnellate di generi alimentari, impianti per la produzione di elettricità, di acqua potabile, kit medici per gli ospedali, che, come ci hanno detto i rappresentanti del Consiglio temporaneo, saranno distribuiti agli ospedali della regione, dove ci sono migliaia di feriti ai quali stavano venendo a mancare anche le cure di primissima necessità.
Manteniamo un centro italiano alla frontiera di Ras Jadir tra Tunisia e Libia, che si coordina strettamente con l'UNHCR. Ieri la zona è stata visitata dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Guterres e dalla presidente Boniver, che ho pregato di recarsi in quella regione, oltre che a Tunisi, per riflettere sulla situazione bilaterale in materia migratoria.
Certamente l'azione umanitaria italiana, per la quale l'Alto Commissario Guterres, ha pubblicamente ringraziato l'Italia, continuerà, ma non possiamo farlo da soli. È evidente che l'azione umanitaria deve coinvolgere l'Europa, deve continuare a coinvolgere le Nazioni Unite, che già sono pienamente coinvolte, e deve evidentemente occuparsi dell'importante legame tra un momento di crisi umanitaria che può ancora verificarsi nelle zone vicine o di confine con la Libia e della condizione potenziale di migliaia di migranti e/o richiedenti asilo.
Sapete che la grandissima maggioranza dei non libici che vivevano in Libia e che hanno perso il lavoro in Libia sono ancora nel Paese. Circa 150 mila di essi sono passati in Tunisia e altri 200 o 300 mila in Egitto, ma in Libia, come sapete, prima dell'esplosione della crisi vivevano 2.600.000 non libici. La grande maggioranza è, dunque, ancora in Libia.
L'intervento italiano è stato possibile grazie a un coordinamento molto forte tra la Protezione civile, il Ministero degli affari esteri, il Ministero della difesa e il Ministero della salute. Il sistema Italia ha operato in modo veramente molto apprezzabile, a mio avviso.
Quali altri strumenti discuterà ed esplorerà la comunità internazionale dopodomani? In quanto a misure di protezione della popolazione civile, ho parlato dell'idea di una no fly zone. Se ne sono scritti fiumi di inchiostro, che spesso rivelano una scarsa conoscenza sulle implicazioni vere di una misura di questo genere.
Senza usare paradossi, ho affermato, e lo ripeto, che istituire una no fly zone totale non è un videogioco, ma una misura seria, che poi va attuata con azioni di forza, se violata, e che le azioni di forza richiedono incursioni aeree, che colpiscano innanzitutto le installazioni terrestri


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da cui partono o possono partire gli aerei che violano lo spazio chiuso dalla no fly zone.
Si tratta, quindi, di una misura di grande delicatezza, per la quale una decisione non è stata ancora presa, perché occorre una legittimazione internazionale, che stiamo ricercando. Tale legittimazione passa per una risoluzione del Consiglio di sicurezza, per un mandato della NATO, per una decisione dell'Unione europea, che non sarà difficile prendere, ma con i caveat del mandato internazionale che ho appena citato e con il coinvolgimento, che continuo a ritenere indispensabile, della Lega Araba, la quale ha già espresso la sua non contrarietà, e dell'Unione Africana.
Noi non possiamo immaginare di istituire e di attuare anche con la forza la no fly zone, sia che essa riguardi l'intero territorio libico, sia che riguardi una parte del territorio, se un grado di legittimazione internazionale e regionale, quindi della Lega Araba e dell'Unione africana, non si sarà raggiunto. Non è questa materia - per intenderci mi esprimo brutalmente - di coalition of the willing. Questo è il tema su cui il Consiglio europeo dovrà riflettere.
Abbiamo registrato perplessità di alcuni membri permanenti del Consiglio di sicurezza, quali la Russia e la Cina, una disponibilità dei Paesi del Golfo e una richiesta del Consiglio temporaneo di Bengasi di intervenire.
Questa è la condizione rispetto alla quale noi ci troviamo. A tale situazione credo che vada aggiunta un'ulteriore riflessione su una diversa e non alternativa opzione. L'ipotesi cui alludo e che l'Italia sottoporrà alla discussione è un'iniziativa navale mediterranea dell'Unione europea e della NATO per assicurare il rispetto delle sanzioni internazionali già decise.
Tra le sanzioni c'è, infatti, l'embargo delle armi. Chi controlla se questo aspetto fondamentale viene davvero rispettato? Io credo che un'azione che renda credibile il rispetto dell'embargo internazionale per le forniture di armi alla Libia richieda un controllo su quello spazio mediterraneo, che è uno dei veicoli naturali per far arrivare eventualmente forniture in violazione dell'embargo stesso.
Si tratterebbe certamente di un'ipotesi non ignota né all'Unione europea, né alla NATO, ma occorre assolutamente evitare che vi siano due operazioni, una dell'Europa e una della NATO. Ricorderete il caso classico, che è purtroppo ancora realtà, della missione antipirateria. Se ne è decisa una della NATO e un'altra dell'Unione europea e le due non si coordinano. È chiaro che, trattandosi di sanzioni del Consiglio di sicurezza, se vogliamo garantire il controllo dell'implementazione delle sanzioni, Unione europea e NATO debbono e dovrebbero - questa sarà il suggerimento italiano - decidere, se lo riterranno, e io credo che sia necessario, una missione comune.
Sapete perfettamente che l'Unione europea nel Mediterraneo ha missioni Berlin Plus, il modello di coinvolgimento anche di Paesi NATO mediterranei, ma non europei. Penso ovviamente innanzitutto alla Turchia. Non abbiamo ovviamente affrontato direttamente ancora il tema, ma credo che sia il momento di farlo.
Il terzo strumento, rispetto al quale credo si debba rapidamente passare all'azione, è una missione ONU sul terreno. Essa deve essere una missione innanzitutto di constatazione dello stato dei luoghi. Voi potete immaginare, ma è bene ribadirlo, che alcuni dei membri del Consiglio di sicurezza, permanenti e non permanenti, hanno sottolineato con grande chiarezza che la decisione del Consiglio presupporrebbe come strumento molto utile un elemento che documenti l'effettuazione di bombardamenti su civili e su postazioni non militari da parte del regime di Gheddafi. Tale elemento di conoscenza e di fatto aiuterebbe molto membri del Consiglio di sicurezza oggi riluttanti a propendere per il voto favorevole. È evidente, quindi, che una missione dell'ONU senza limitazioni potrebbe avere, come proposto dall'Italia già a Ginevra alcuni giorni fa, un'obiettiva utilità.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, che noi abbiamo consultato, ha


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nominato il responsabile di questa missione. Si tratta di un mio ex collega, un bravo ex ministro degli esteri della Giordania, il quale dovrà essere messo, secondo le dichiarazioni dello stesso regime di Tripoli, ripetute ancora ieri pubblicamente, in condizioni di entrare, come apparentemente Tripoli ha detto di voler fare, nel territorio libico alla guida di una missione delle Nazioni Unite. Ciò darebbe alcuni elementi conoscitivi oggettivi, al di là di quanto abbiamo potuto raccogliere dai filmati di alcuni coraggiosi giornalisti.
Comprendete bene che una missione dell'ONU che non avesse il diritto di muoversi liberamente sarebbe un ulteriore elemento che indurrebbe la comunità internazionale ad aumentare il sospetto e a propendere verso una soluzione di no fly zone.
In merito alle sanzioni, sapete tutti che esiste una risoluzione dell'ONU. Ieri l'Unione europea ha approvato con il silenzio-assenso un ulteriore livello di sanzioni economiche, che riguardano le attività della Banca centrale libica e gli investimenti e le partecipazioni azionarie detenute dalla LIA, la Libyan Investment Authority, e dalla Foreign Bank libica. Questa decisione è passata in procedura scritta con il silenzio-assenso e, quindi, da oggi è attuabile e attuata doverosamente in tutti i Paesi dell'Unione europea, compresa l'Italia.
Un ultimo tema riguarda la discussione che il Consiglio europeo terrà sulla prospettiva di medio termine. Noi non possiamo parlare solamente di emergenza in Libia, in Tunisia e in Egitto. Dobbiamo parlare anche di un'iniziativa che dia alla transizione democratica una prospettiva di stabilità e di sviluppo economico.
Io ho parlato in molte occasioni di un nuovo Piano Marshall per il Mediterraneo e con una decisione della Commissione europea di oggi, che apprezzo fortemente, si propone proprio quello che sostanzialmente è un Piano Marshall per il Mediterraneo. Si decide lo stanziamento fino a 10 miliardi di euro per i Paesi della regione mediterranea, i Paesi della riva sud del Mediterraneo, per promuovere lo sviluppo socioeconomico, il settore privato, con un riferimento speciale, a cui l'Italia tiene molto, alle piccole e medie imprese, e il lavoro di rafforzamento degli strumenti finanziari, quello che il Presidente della Banca europea per gli investimenti soltanto alcuni giorni fa, proprio qui alla Camera dei deputati, ha sostenuto essere la fase di trasformazione, la fase 2, della facility euromediterranea gestita dalla BEI in una vera e propria banca per il Mediterraneo.
Si tratta di un'idea sempre sostenuta dall'Italia e mai realizzata per le opposizioni di una parte consistente dei Paesi del Nord Europa, che ora nell'idea proposta dalla Commissione europea per il Consiglio di domani e per il Consiglio europeo di dopodomani viene, invece, a essere un punto qualificante, per il quale noi ci compiacciamo in modo particolare.
In questo piano per il Mediterraneo non può non esserci la dimensione della collaborazione politica e per la sicurezza. Vi devono essere tutte e tre le grandi dimensioni, quella economica, quella di stabilità, sicurezza e democrazia e quella relativa alla cultura e alla società civile. Sono i tre volet di cui volevamo occuparci nel processo di Barcellona e poi, ancor di più, nell'Unione per il Mediterraneo e che richiedono oggi, piuttosto che una grande iniziativa calata dall'alto, progetti concreti e rapidamente operativi.
La proposta della Commissione, essendo peraltro sostenuta da una cospicua disponibilità finanziaria, che deriva anche in molta parte dall'intervento della BEI, la quale si è detta disponibile fino a 6 miliardi di dollari per un intervento sul Mediterraneo, comincia a essere credibile.
Per la parte politica la collaborazione non deve comportare alcuna pretesa occidentale o europea di esportare modelli ma deve aiutare la trasformazione. Porto sempre l'esempio della Commissione di Venezia, la quale aiuta Paesi a migliorare il sistema della normativa elettorale. La Tunisia è membro della Commissione di Venezia e le abbiamo, quindi, proposto un'assistenza della Commissione stessa,


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che la Tunisia ha accettato, senza imposizioni, nel pieno rispetto della ownership.
Tramonta, pertanto, l'idea che si possano esportare modelli democratici, per quanto li riteniamo importanti, senza che vi sia consenso e richiesta dei nostri partner. L'uguaglianza tra i partner diventa una delle dimensioni fondamentali di questo nuovo patto.
Ho parlato di un patto che potrebbe evocare quella che fu alla fine degli anni Settanta la Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa, la quale fu, in fondo, uno strumento che, nel pieno clima della Guerra fredda, valse ad avvicinare l'intero continente europeo e Paesi del Nord America che erano fortemente vincolati alla divisione del mondo in due blocchi.
Credo che una nuova idea, una Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione nel Mediterraneo, che coinvolga America, Europa e Paesi arabi della regione, ovviamente la Turchia, che non è un Paese arabo, ma che è un attore fondamentale, e tutti gli altri Paesi potrebbe essere il modo di rilanciare i tre volet, quello politico, quello economico e quello culturale. Fu un modo utile negli anni Settanta, quando il mondo era diviso in due, ed è un modo su cui noi dovremmo oggi riflettere, perché purtroppo i modelli finora presentati non hanno avuto particolare successo.
Formulerò queste idee e queste proposte e le rinnoverò alla riunione di Napoli, in cui riuniremo un numero di ministri dei Paesi della riva nord e della riva sud del Mediterraneo, oltre alla Turchia, che sarà invitata, avendo un ruolo particolarmente significativo.
Credo che questo sia il momento per l'Europa politica di giocare un ruolo anche di avanguardia rispetto agli stessi Stati Uniti d'America e che la storia, la tradizione, il piazzamento politico e la cifra politica dell'Europa siano in gioco. Noi svolgeremo esattamente questo ruolo come Italia, visto che la propulsione che pensiamo di dover dare è larghissimamente condivisa.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. La sua importante relazione conferma l'esigenza che il Consiglio europeo straordinario di venerdì dia risposte precise sulla crisi libica e sulle sue conseguenze, sul piano non solo umanitario, ma anche della sicurezza europea.
La Commissione affari esteri e comunitari, che è convocata permanentemente, come da lei auspicato quindici giorni fa, ha audito la scorsa settimana il Ministro Maroni, il quale sta fronteggiando in queste ore un'escalation degli sbarchi, in particolare dalla Tunisia.
La collega Boniver, come lei ha ricordato, è già stata sul posto nella sua qualità di inviato speciale e mi riferiscono che oggi dovrebbe essere sul posto anche il sottosegretario Craxi.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Sì, per negoziare l'accordo Italia-Tunisia sull'immigrazione.

PRESIDENTE. Mi pare di poter affermare che il Governo stia facendo la sua parte. Proprio alla luce di questo accordo le chiedo, signor Ministro, quali supporti ci sia da aspettarsi dall'Unione europea, se non sia il caso di sollecitare un apporto più cooperativo sui flussi migratori e quali pressioni, assieme all'azione umanitaria, l'Unione europea potrebbe attuare proprio in questo senso per i flussi migratori dalla Tunisia, che mi riferiscono non stia conseguendo i necessari risultati.
Do la parola ai colleghi che hanno chiesto di parlare per porre quesiti o formulare osservazioni.
Colleghi, poiché vi sono numerosi iscritti a parlare, vi chiedo di contenere gli interventi entro tre minuti.

ROSSANA BOLDI, Presidente della 14a Commissione del Senato della Repubblica. Sarò brevissima. Rispetto all'ultima parte del suo intervento, Ministro, vorrei sapere come veda in questo scenario la posizione di Israele e, visto che è direttamente confinante con l'Egitto, veda la possibilità di un suo coinvolgimento in quanto parte di quest'area.


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FRANCO MARINI. Dovrò stare alle indicazioni che il Presidente ci ha dato. Desidero esprimere tre brevi riflessioni, le prime due funzionali alla terza.
La prima è che dovremmo ancorarci a un giudizio storico politico, che negli interventi di importanti commentatori nostri e di altri Paesi su questi problemi ancora oscilla tra due visioni, giacché ci parlano di sistema tribale, di gravi difficoltà non superabili ma forse recuperabili, lasciando il quadro della Libia con un senso di incertezza.
Dovremmo maturare assieme e partire dal fatto che siamo di fronte a un fatto imprevisto - dovremmo chiederci non solo come Italia perché non si sia potuto capire prima - di spessore mondiale, laddove un mondo che per noi era chiuso ora entra nella storia con potenzialità forti, anche economiche, in tutta l'area del Mediterraneo, e noi dovremmo tenerlo presente.
La seconda riflessione è che abbiamo interessi enormi qui, anche immediati perché delle nostre imprese non c'è solo ENI o Finmeccanica o qualche altro grande gruppo: ci sono decine di migliaia di piccole e medie aziende fondamentali per l'Italia. Capisco quindi la prudenza rispetto a questa situazione, ma ribadisco che sarebbe un tragico errore pensare a un ritorno, a un blocco della situazione, perché ritengo che nel prossimo futuro Gheddafi, se resta, farà fatica a parlare anche con la Siria (con tutto il rispetto per la Siria).
Questo è il problema che abbiamo di fronte e i nostri interessi di medio e di lungo periodo passano attraverso la costruzione dentro la crisi di un rapporto accettabile con la Libia e con gli altri Paesi, di stima perché ci ha inchiodato la geografia: dovremo pensare al nostro Mezzogiorno ma saremo importanti per l'Europa.
Un'ultima riflessione riguarda il come muoversi. Sulle sanzioni mi pare che l'Italia abbia superato qualche incertezza iniziale che sarebbe stato meglio non avere. Siamo con l'Europa, seguiamo l'Europa, penso che non ci siano incertezze e dobbiamo avere una grande determinazione su questo. Invito a porre attenzione al discorso della no fly zone, perché siamo alla guerra civile.
La cosa più importante per chi abita lì, per i giovani che hanno questo atteggiamento nuovo e l'avranno in futuro, è bloccare dinanzi la repressione attuata con gli aerei o con i carri armati, perché, se dura dieci giorni la possibilità per il regime di Gheddafi di usare aerei e mezzi corazzati contro il popolo, il problema ci sfugge di mano e anche il problema dell'intervento umanitario rischia di essere cancellato da questo.
Poiché mi pare di capire che inglesi e francesi si preparerebbero presso il Consiglio di sicurezza dell'ONU, come membri permanenti (poi abbiamo anche la Germania e il Portogallo come membri non permanenti), a presentare una loro posizione in quella direzione, l'Italia sta in Europa e non può dire no ritenendo questo pericoloso.
Certo è un problema e non copriremo tutta la Libia: copriamo l'area in cui il peso sulla popolazione civile diventa drammatico insopportabile. Non poniamoci problemi di incertezza in questa direzione e in sede di Consiglio europeo - lo dico perché voglio sottolinearlo: non devo raccomandarlo al Ministro che ne è già consapevole - cerchiamo di far fare un passo verso la stabilizzazione.
L'articolo 34 non dice che in cose di questo livello dobbiamo decidere insieme, ma raccomanda un grande sforzo di coordinamento, fino a prevedere che, se c'è una posizione unitaria, al Consiglio di sicurezza dell'ONU l'Alto rappresentante, la signora Ashton, vada a parlare per tutti.
In questa occasione dovremmo cercare di far fare passi avanti e porre con grande determinazione questo problema.
Per l'intervento umanitario più soldi si spendono, pur nella nostra scarsezza di mezzi, meglio è, perché ne va dell'immagine che diamo del Paese.
Senza alcuna polemica, la lezione che dobbiamo apprendere da questa vicenda, in particolare con la Libia, è che la politica estera non può essere caratterizzata, forse non lo è stata nemmeno nel 1600 e nel


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1700 europeo, con passi avanti sui rapporti personali. Questo non è proprio possibile in politica estera e abbiamo invece un problema del Paese da gestire con forte determinazione.

GIANPAOLO DOZZO. Ringrazio il signor Ministro per la sua relazione. Condivido la scelta multilaterale per quanto riguarda la questione della crisi e l'esigenza di non andare da soli, scelta che però è collegata essenzialmente alla questione attualmente più importante della no fly zone.
Ho la netta sensazione che se optiamo per questa soluzione si va direttamente alla guerra; al di là delle posizioni allargate o non allargate sulla Libia o una sua parte, adottando questa soluzione si entra in guerra, e noi, diversamente da Francia e Inghilterra, siamo geograficamente vicini alla Libia.
Mi riallaccio alla questione dal Ministro Frattini, secondo cui da più parti, sia il Consiglio temporaneo sia naturalmente Gheddafi, si pretenda l'integrità territoriale. Le chiedo quindi se tutti i Paesi componenti l'Unione europea vogliano l'integrità territoriale della Libia, e mi chiedo se qualcuno (poi magari cacciato in malo modo dal Consiglio temporaneo) abbia fatto qualche proposta diversa da quella dell'integrità territoriale. Questa è collegata alla no fly zone, quindi attenzione perché è molto importante.
Per quanto riguarda l'azione umanitaria e l'impatto migratorio, questione legata alla Tunisia, il Ministro ha detto che il sottosegretario Craxi sta vedendo gli accordi italo-tunisini per quanto riguarda la questione dell'immigrazione. Vorrei sapere se sia possibile ottenere da parte del Tunisia un nuovo controllo dei porti dai quali notoriamente partono le carrette del mare, anche con l'apporto delle nostre forze di polizia.
Se non andiamo in questa direzione, tutti gli accordi che faremo in Tunisia lasceranno il tempo che trovano. Se la Tunisia non accetta questo, bisognerà pensare anche a imporle sanzioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. La ringrazio, signor Ministro, della relazione approfondita e per molti versi anche puntuale, che consente di evitare che la nostra discussione sia appesantita da valutazioni che in altre fasi avremmo potuto fare e a cui si è richiamato il senatore Marini poco fa.
Mi pare che il ragionamento si possa articolare in tre step. Innanzitutto occorre capire meglio cosa sta accadendo - forse è la cosa più complessa - perché le caratteristiche di questa crisi libica sono molto correlate con le caratteristiche del personaggio, con la sua indubbia capacità di stare sulla scena mediatica internazionale con una sua notevolissima «potenza di fuoco».
Ci troviamo quindi di fronte alla necessità di approfondire con tutti gli strumenti possibili i dati sul terreno, perché è evidente che siamo di fronte a una guerra civile, ma non è assolutamente indifferente capire come si stia svolgendo e sviluppando. Abbiamo chiara la sensazione di una difficoltà a costruire consenso e anche una struttura burocratica e amministrativa da parte del Consiglio nazionale provvisorio.
Ritengo che il terzo punto della sua informativa dovrebbe logicamente essere messo al primo posto, perché questo intervento dell'ONU con una missione di carattere esplorativo sembra di assoluta urgenza. Le chiedo quindi se a questa urgenza oggettiva corrisponda una possibilità operativa e cosa ostacoli la rapidità di questa missione.
Il secondo step è quello che lei ha inserito nel capitolo emergenza sia politica che umanitaria. Le cose sono naturalmente molto intricate e ci troviamo di fronte a molti dilemmi, mentre per quanto riguarda l'emergenza umanitaria raccomandiamo di fare il possibile, di farlo in collaborazione con l'Europa e soprattutto rapidamente.
Per quanto riguarda la parte politica la questione si complica. Lei ha usato un termine molto preciso dicendo no a coalition of the willing, elemento al quale faccio riferimento perché mi annovero tra


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coloro che pensano che nelle prossime giornate ci troveremo di fronte a scelte molto impegnative.
Dobbiamo rimanere entro i paletti del coordinamento e dell'azione unitaria della comunità internazionale, ma naturalmente questo stare in una dimensione multilaterale non ci impedisce di esplorare come lei ha fatto - le chiedo qualche informazione in più - scelte non succedanee, non alternative che potrebbero raggiungere lo scopo di superare eventuali blocchi politici che impediscano soluzioni più forti.
Accanto al rispetto dei vincoli multilaterali abbiamo un altro vincolo, quello di non poter più considerare Gheddafi un interlocutore, per cui deve essere considerato un ostacolo da rimuovere.
L'ultimo punto meriterebbe una lunga discussione, ma ritengo che lei ci abbia fornito la conferma di una positiva notizia appena apparsa secondo cui l'Europa intende essere sul campo per quanto riguarda il futuro.
Questo richiama l'esigenza di un'iniziativa politica di più ampio raggio. Lei ha fatto alcuni accenni che non ho il tempo di sviluppare, ma questo è certamente un tema cui potremmo dedicare proficuamente anche un'altra discussione, quando le questioni dell'emergenza umanitaria, ma soprattutto politica, avranno contorni più definiti.

ROBERTO ANTONIONE. Desidero intanto ringraziare il Ministro Frattini, che, come al solito, ha fatto un intervento molto preciso e puntuale, e ci ha illustrato in maniera molto dettagliata una situazione peraltro molto complessa, che cerchiamo di monitorare quotidianamente all'interno della Commissione affari esteri della Camera.
Vorrei iniziare dicendo al Ministro che quelle che alcuni hanno definito incertezze del nostro Paese nei confronti della vicenda iniziale soprattutto in Libia a mio modo di vedere non possono essere considerate tali, anzi credo che sia stato un atteggiamento giusto, corretto e prudente.
Avevamo e abbiamo ancora infatti tutta una serie di interessi riguardanti la tutela dei nostri connazionali in quel Paese, e posizioni considerate più precise avrebbero certamente messo in pericolo l'incolumità dei nostri connazionali. Dobbiamo sempre considerare che tutte le azioni effettuate soprattutto in questi momenti dal nostro Governo, dal Ministro Frattini e dalla politica estera del nostro Paese devono avere come elemento primario nella considerazione non solo la tutela degli interessi economici-politici, ma innanzitutto la salvaguardia dei nostri connazionali.
Da questo punto di vista, mi sono riconosciuto molto bene in questo atteggiamento di grande prudenza, di grande consapevolezza e di responsabilità. Per quanto riguarda lo scenario che lei ci ha prefigurato, ci riconosciamo perfettamente in tutte le iniziative e le proposte che lei intende fare al prossimo Consiglio europeo e che il nostro Paese intende fare con il Presidente Berlusconi, prima fra tutte la scelta di dimostrare coerenza nella strategia internazionale di multilateralità.
Questo è l'elemento essenziale che comprende tutto e mi induce a sostenere che quello che oggi siamo in grado di dirle, signor Ministro, deve essere considerato come una suggestione, ma è del tutto evidente che i ragionamenti andranno fatti in quella sede con tutti gli altri Paesi, e solo con una capacità negoziale molto approfondita saremo in grado di determinare delle scelte condivise.
Vorrei sottolineare due punti che considero importanti, oltre a quelli che ho già avuto modo di evidenziare. Il discorso della missione ONU è fondamentale sia perché garantisce di assumere prove concrete e autorevoli sia perché può fungere da deterrente nei confronti di azioni che all'interno di quel Paese Gheddafi e il regime volessero ancora mettere in campo contro l'altra parte del Paese stesso.
La presenza di una missione dell'ONU sarebbe quindi determinante anche per garantire una migliore tutela della situazione interna del Paese. L'altro punto è legato alla no fly zone, che sarà l'elemento di discussione più complicato.


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Credo francamente che la considerazione da sostenere nella scelta della decisione finale sia quella di avere un collegamento sempre più stretto con la parte all'interno della Libia che come comunità internazionale consideriamo l'interlocutore fondamentale, e cioè con il Consiglio nazionale temporaneo di Bengasi.
Se, infatti, quel Consiglio dovesse essere determinato nel richiedere un intervento preciso anche da questo punto di vista, la comunità internazionale difficilmente potrebbe non corrispondere a questa richiesta. Questo collegamento ci consentirebbe in futuro di avere un rapporto privilegiato con quello che noi ci auguriamo possa essere l'elemento istituzionale fondante del futuro Paese libico, nonché di tenere nei confronti della popolazione un atteggiamento che sarebbe certamente utile da tutti i punti di vista.

GIANNI VERNETTI. Ringrazio anch'io il Ministro Frattini per la precisa e puntuale relazione e svolgo alcune riflessioni. Come ricordava il Ministro Frattini, erano presenti ieri a Strasburgo, su invito del Gruppo Liberal-democratico al Parlamento europeo due esponenti del Consiglio nazionale libico.
Ho avuto un lungo colloquio con Ali Al-Isawi, che era precedentemente ambasciatore della Libia in India e oggi svolge la funzione di Ministro degli esteri del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi.
Anch'io confermo le impressioni e le richieste che il Consiglio muove alla comunità internazionale e ritengo che sia molto utile aprire un canale politico, informale in questa fase, ma quanto prima diretto, con il Consiglio nazionale provvisorio di Bengasi. Con buone probabilità sicuramente almeno alcuni di questi esponenti saranno i futuri interlocutori alla fine di questa crisi. Ritengo che comunque per l'Italia il rapporto con la Libia, al di là di ogni altra considerazione, sia un rapporto fondamentale per mille motivi, che è inutile ricordare.
Svolgo due brevi considerazioni sul da farsi e due riflessioni. Anch'io credo che siamo in una fase delicata e che la comunità internazionale si trovi di fronte a una scelta di responsabilità per proteggere la popolazione civile. Condivido le riflessioni del Presidente Marini e non aggiungo altro: serve una no fly zone, un'iniziativa di tipo internazionale di sicurezza che possa permettere l'attivazione di corridoi umanitari.
È difficile parlare di creazione di corridoi umanitari senza le condizioni di sicurezza che li permettano. Anch'io sono dell'opinione che sarebbe migliore e auspicabile una decisione in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma, se anche ciò non avvenisse, ritengo fondamentale e vedo segnali positivi in tal senso il coinvolgimento della Lega Araba innanzitutto e dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo.
Non è indifferente la decisione adottata ieri, mi pare ad Abu Dhabi, dai sei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, i quali chiedono alla comunità internazionale, alle Nazioni Unite e alla NATO di attivare una no fly zone. È un elemento che ritengo assolutamente dirimente, perché l'Occidente non potrebbe reggere un ennesimo intervento militare «solitario» in un Paese arabo, peraltro pieno di petrolio. Mi pare evidente.
Dobbiamo creare le condizioni, in Consiglio di sicurezza prima o almeno con gli interlocutori nel mondo arabo e islamico che potrebbero con noi costruire un'amplissima coalizione, che rendano possibile quell'intervento. Mi riferisco alla Lega Araba, al Consiglio di cooperazione del Golfo e ovviamente alla Turchia, come membro della NATO, cui sarebbe saggio attribuire un ruolo preminente in questo contesto.
Credo ancora che noi dobbiamo pensare, come Italia e come Europa, a un sostegno concreto agli organismi politici che stanno nascendo, quelli prima citati, come il Consiglio nazionale di transizione. Sostegno concreto significa anche sostegno logistico, economico, finanziario e nel settore della comunicazione.
C'è chi sta anche riflettendo al sostegno politico-militare, naturalmente non diretto.


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È noto come si stiano valutando anche forme di sostegno politico-militare agli insorti, con una strategia che io riterrei parallela alla possibilità di attivare una no fly zone. Dobbiamo dotare questa insorgenza popolare, che oggi ha come primo obiettivo la difesa della popolazione civile, di tutti gli strumenti necessari.
Svolgo un'ultima riflessione e concludo. Credo che, anche se diversi ministri del Governo hanno sostenuto che il trattato di amicizia tra Italia e Libia sia de facto sospeso, vada pensato in proposito, mi rivolgo al Ministro Frattini, un qualche tipo di atto formale.
Non dobbiamo cancellare il merito di quel trattato, perché strategicamente il rapporto tra l'Italia e la Libia è un rapporto che auspichiamo durerà nei prossimi cent'anni e speriamo che, quando questa crisi verrà superata, saremo in grado di riprendere l'insieme dei rapporti politici, economici, finanziari e commerciali.
Alcuni passaggi di quel trattato sono complessi, però, perché rendono impossibile mettere, per esempio, a disposizione le basi militari come quella di Sigonella per una qualsiasi iniziativa di Nazioni Unite, NATO o qualunque essa sia. Le mozioni che fanno richiesta in tal senso giungono in discussione generale lunedì prossimo alla Camera dei deputati. Credo che sarebbe interessante sentire l'opinione del Governo.

GIORGIO TONINI. Anch'io, signor Ministro, la ringrazio della sua relazione e svolgo due rapide considerazioni, con due domande.
La prima considerazione è che - stamattina ho letto il comunicato - il Consiglio supremo di difesa che si è riunito al Quirinale avrebbe affermato sulla vicenda Libia che «stiamo nel gruppo» e che, quindi, offriamo forte solidarietà all'Unione europea, alla NATO e naturalmente alle Nazioni Unite. Mi pare che la sua relazione sia andata certamente in questo solco e, quindi, noi la apprezziamo in questo senso.
In questo momento sarebbe gravissimo un passo indietro dell'Italia. Il Presidente Marini l'ha già osservato prima. Nelle settimane scorse su questo punto c'è stata una diversità di valutazione tra Governo e opposizione. Noi abbiamo giudicato troppo esitante l'atteggiamento del Governo ed è bene che abbiamo raggiunto il gruppo. Adesso, però, sarebbe sbagliato anche compiere passi avanti rispetto agli altri. Dobbiamo stare dentro il solco della solidarietà internazionale.
Da questo punto di vista è strategico il passaggio del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rispetto ai passi di eventuale uso della forza che si dovessero intraprendere.
La mia richiesta è la seguente: poiché dalle notizie di stampa e dai contatti che abbiamo tutti sappiamo che l'ostacolo principale rispetto a una decisione formale del Consiglio di sicurezza sulla no fly zone è la Russia, mi chiedo se il nostro Governo abbia intrapreso passi nei confronti della Russia per favorire un atteggiamento positivo di Mosca rispetto a tale passaggio.
Sappiamo che ci sono rapporti particolarmente cordiali tra il Governo italiano e quello russo. Ho visto che il Vice presidente degli Stati Uniti si reca a Mosca per parlare con Putin e per capire se sia possibile smuovere la Russia dall'atteggiamento negativo. Sarebbe interessante sapere se anche l'Italia si muove in questa direzione.
Passo alla seconda considerazione. Esiste comunque un rapporto bilaterale Italia-Libia che va consolidato, perché ha che fare con il rapporto tra due Stati e non tra due Governi. Naturalmente noi scommettiamo tutti sulla Libia di domani. In questo senso va bene tutto ciò che va nella direzione di stabilire una relazione con Bengasi, per capirci, e con ciò che si muove a Bengasi e che speriamo diventi la Libia del futuro.
Vengo alla seconda domanda. A Bengasi c'era un consolato italiano, che in questo momento è chiuso per vicende del passato. In attesa di poter intraprendere passi più impegnativi di riconoscimenti, come si è discusso al Parlamento europeo,


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che forse sono in questa fase ancora prematuri per la mancanza di un interlocutore stabile, domando se il Governo non valuti opportuna la riapertura del nostro consolato a Bengasi. Sarebbe una forma soft di intraprendere relazioni diplomatiche e di avere comunque una nostra presenza a Bengasi, nonché una nostra capacità di osservazione sul campo.

RENATO FARINA. Vorrei rivolgere un ringraziamento, svolgere un'osservazione e porre due piccole domande. Mi appoggio sull'intervento che ha già svolto l'onorevole Antonione, ragion per cui non ripeterò le sue considerazioni.
Il ringraziamento si riferisce a quanto di concreto sta facendo il Governo. Non è vero che noi siamo stati indietro rispetto al gruppo. Siamo stati indietro rispetto a coloro che volevano subito un intervento armato. Questo prudere le mani da parte dell'opposizione rispetto all'intervento armato mi sembra strano.
Dinanzi alla tempesta mediterranea di certo siamo l'unico Paese a essere uscito dal mare di chiacchiere e ad aver agito predisponendo aiuti umanitari e campi di accoglienza a tempo di record. Abbiamo invitato l'Unione europea a considerare lo stretto di Sicilia e Lampedusa non come territori marginali persino per l'Italia, ma come terre d'Europa, confini di un'Unione che non può concepirsi soltanto come governo della moneta unica e degli anatemi sulla misura standard di cetrioli e zucchine, bensì come ambito di popoli e di nazioni che si assumono responsabilità comuni.
Bisogna chiedersi come mai non ci si sia assunti immediatamente responsabilità comuni e io non posso fare a meno di notare - in ciò sta la mia osservazione - che di fatto esistono interessi geopolitici diversi e che, fino a quando non ci sarà un'Unione europea politicamente coesa e non frammentata così come è oggi, con una lottizzazione dei commissari per cui quello degli esteri di fatto tocca agli inglesi, ci troveremo sempre dinanzi a chi vede il Mediterraneo come una zona marginale, in cui non si ha interesse a una vera pacificazione, ma soltanto l'obiettivo di tenerla sotto controllo.
È un fatto che un Mediterraneo pacifico favorisce l'Italia e gli interessi mediterranei nei confronti di India e Cina, avendo poi la necessità di un controllo della pirateria sul Corno d'Africa, che oggi stranamente è affidata a una forza che ha alla testa un inglese, con cui, secondo me, non si risolverà un bel nulla, mentre i Paesi dell'Europa del Nord attendono a tutta un'altra visione. A loro interessa di fatto l'Atlantico.
Il tema degli interessi prevale spesso non solo sulle ideologie, ma anche sugli ideali. È un fatto. Se osserviamo la strategia nei Balcani, così come si è sviluppata in questi decenni, vediamo che non c'è stato interesse ad avere Balcani pacifici, forse perché non obbedivano a interessi stretti di altri Paesi.
È molto importante adesso che l'Italia abbia saputo muoversi ponendosi come potenza positiva regionale. Intendo potenza regionale non per diminuirne il peso, ma per qualificarne la responsabilità positiva. L'Italia ci pensa tre volte prima che cada una sola persona per mano di un soldato che arriva anche a suo nome in una terra che ha già registrato tanti problemi proprio per la nostra presenza in passato. Questa è pura saggezza.
Passo alle domande. Si è capito che cosa faceva quella piccola task force inglese in Libia? Che cosa erano lì a fare? Ha posto questa domanda ai competenti organi?
Inoltre, che tipo di sviluppo c'è rispetto alla libertà religiosa in Libia? Esiste un predominare dell'islamismo oppure tutto ciò è ancora sotto traccia?

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Ringrazio anch'io per la relazione ampia e puntuale. Tuttavia, nonostante la puntualità, ci sarebbero molte domande che attendono risposta, soprattutto sulla situazione sul terreno. Se qualcosa cosa sappiamo dopo questi pochi giorni, nonostante tutto, comunque infiniti, sulla Libia è che non sappiamo quasi nulla. Sappiamo che si è combattuta una guerra per l'informazione,


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una guerra della quale le prime vittime siamo stati noi. A me basterebbe essere rassicurato sul fatto che non finiamo come al solito prima a sparare e poi a chiedere «chi va là».
Per questo motivo anch'io mi associo alle considerazioni del capogruppo Tempestini sulla priorità assoluta di una ricognizione sul terreno da parte di una missione dell'ONU.
Sappiamo, tuttavia, oltre alla nostra ignoranza, del cambiamento eccessivo nella definizione della situazione, che ha visto cambiare soprattutto troppe parole in troppo poco tempo. Dal Governo libico siamo passati, come abbiamo visto, al regime di Tripoli, dalla definizione della situazione con Gheddafi contro il popolo libico alla guerra civile, quale è la descrizione attuale della situazione in Libia, e soprattutto al riconoscimento di due entità, che rivendicano e che in parte hanno già ottenuto - l'ho sentito in alcuni interventi che mi hanno preceduto - il riconoscimento di una propria sovranità.
A questo punto, visto che le due entità sono chiamate in causa, l'unica domanda che mi permetterei di porle per quanto riguarda la definizione della situazione è di sapere qualcosa in più sulla seconda entità, quella che collochiamo a Bengasi. Del colonnello Gheddafi sappiamo anche troppo o pensiamo di sapere anche troppo, mentre di questa seconda entità non sappiamo quasi nulla.
Per quanto riguarda, invece, la nostra azione, le rivolgo una domanda che potrei considerare ridondante, se non fosse per il fatto che questo è uno di quei momenti in cui la chiarezza non è mai sufficiente. Nel fare riferimento alla nostra azione, lei ha individuato come un tratto qualificante e riconoscibile quello del riferimento alla comunità internazionale e ha sottolineato la necessità del suo carattere multilaterale.
Tuttavia, sovrapponendo i due riferimenti e i due tratti, le chiedo se può confermare la determinazione del Governo a escludere ogni intervento, anche in via ipotetica, o sostegno a interventi che non dispongano di una chiara legittimazione dell'ONU. Le chiedo più specificamente se questa determinazione abbia una sua sicura copertura sul piano della legittimazione dell'ONU, con riferimento specifico all'ipotesi della no fly zone, della quale abbiamo sentito nella sua relazione molte informazioni sul come, ma non altrettante sul se.
Nel comunicato del Consiglio supremo di difesa che è stato emanato da poco vedo un riferimento alla predisposizione delle azioni, alla necessità di far fronte ai prevedibili sviluppi della crisi in Libia. Sarebbe di utilità che il Governo illustrasse in che termini definisce tale prevedibilità. È a partire da questa prima previsione che noi possiamo ragionare sull'azione.

PAOLO CORSINI. Anch'io voglio associarmi al ringraziamento dei colleghi per l'esposizione che il signor Ministro ci ha presentato. Mi è parsa certamente complessa e articolata, anche se alcuni interrogativi, a mio avviso, restano aperti. Ho ascoltato molte considerazioni da parte dei colleghi e, quindi, non le riprenderò.
Svolgo due o tre punti. Anch'io, come taluni, sono convinto che siamo stati in presenza di un indubbio ritardo da parte del Governo italiano nell'elaborazione di una corretta raffigurazione degli accadimenti e, quindi, di una definizione puntuale delle iniziative che il nostro Paese avrebbe dovuto assumere e che in parte ha assunto.
Perché parlo di una mancata corretta raffigurazione degli accadimenti? Mi pare che ci sia una differenza di fondo tra le motivazioni di quella che un collega ha definito insorgenza popolare, ma che potremmo definire sollevazione o rivolta, in Libia rispetto a quanto avviene o è avvenuto in altri Paesi, come l'Algeria, la Tunisia o l'Egitto.
In questi Paesi la motivazione di fondo è una motivazione soprattutto di giustizia distributiva; l'insurrezione, la sollevazione e la rivolta attengono a temi che investono la dimensione della giustizia sociale. Mi pare che il Libia l'elemento determinante sia una rivolta e un'insurrezione di fronte a un dittatura tirannica e oppressiva, che limita diritti fondamentali, come la libertà.


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Credo che ciò sia assolutamente rilevante, perché dare una risposta a questo interrogativo significa anche prefigurare un'iniziativa modulata e raccordata all'idea di quella che potrà essere la soluzione del problema: siamo in presenza di una possibile rivoluzione democratica, cosa di cui personalmente dubito, o, invece, di un'altra prospettiva? Credo che dare una risposta a questo interrogativo sia un esercizio non puramente accademico.
Passo al secondo tema. Come affermava prima l'onorevole Parisi, il ritardo, secondo me, è avvenuto anche sul piano di una corretta identificazione e dell'impegno a stabilire rapporti con le espressioni e con le componenti che si sono poste alla testa dell'insurrezione, soprattutto laddove essa è più immediatamente riconoscibile e identificabile, ossia in Cirenaica e a Bengasi.
Chi sono questi componenti del Consiglio nazionale libico? Se scorriamo le loro biografie, emergono per lo più ex ministri di Gheddafi, ex esponenti del regime che ha gestito la politica libica anche in tempi recenti, accanto a componenti che sono espressione di questa insorgenza popolare, la quale evoca, peraltro, il risveglio o la presenza di settori di quella società civile che è estremamente arretrata in tutti i Paesi nordafricani.
Il fatto che vengano allo scoperto esponenti di una società civile che chiede libertà di espressione e che aspira a un grado di maturità è estremamente interessante sotto il profilo del passaggio dallo stato di emergenza allo stato di stabilizzazione democratica.
Quando si parla di evoluzione democratica, non credo che a prevalere sarà il modello occidentale che pratichiamo e conosciamo. Credo che nel caso migliore, fatte le debite differenze, possa affermarsi un modello democratico di tipo turco, il che comunque non è poco rispetto alla presenza di un ostacolo quale è stato quello costituito da Gheddafi.
Infine, svolgo un'ultima considerazione. In merito alla questione delle sanzioni sul piano economico-finanziario, vorrei capire quali sono gli orientamenti precisi del nostro Paese e del nostro Governo in ordine al tema del sequestro dei beni finanziari libici. Mi pare che siamo piuttosto dissociati rispetto alle logiche che presiedono all'iniziativa di altri Governi europei e a livello internazionale.
Trovo del tutto condivisibile l'esigenza di una valorizzazione della dimensione del multilateralismo in ordine a questa questione, con l'ONU, la NATO, l'Unione europea, la Lega Araba, l'Unione africana e il Consiglio di cooperazione del Golfo.
Può essere che io abbia inteso male o che non abbia capito, ma, ammesso che vi sia un consenso largo e multilaterale in ordine all'attivazione e alla promozione della no fly zone, qual è la linea del Governo italiano, di un Paese direttamente dirimpettaio rispetto alla Libia più di quanto non siano altri Paesi? L'Italia, qualora ci siano i fattori del consenso attorno alla prospettiva di promuovere la no fly zone, il che significa fare una dichiarazione di guerra, di quale orientamento si fa portatrice? Non mi è parso chiaro nell'esposizione che ho ascoltato.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Dagli interventi che ho ascoltato emerge molto chiara, anche per la differenza degli approcci e dei punti di vista, peraltro tutti interessanti e costruttivi, la complessità della situazione che stiamo affrontando.
Ho ascoltato parole di straordinaria prudenza sull'ipotesi della no fly zone, parole di incoraggiamento a fare in fretta, anzi molto in fretta, persino fuori dall'ipotesi di un mandato del Consiglio di sicurezza. Vi sono, quindi, negli interventi che ho ascoltato dimostrazioni di quanto la questione sia ancora fluida e richieda - e richiederà nei prossimi giorni - ulteriori riflessioni, che noi faremo sempre in assoluta adesione a decisioni europee, NATO e Nazioni Unite. Questi sono i tre punti di riferimento a cui noi guardiamo.
Aggiungo a quello che avevo detto nella mia introduzione che il regime libico si sta


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muovendo, in queste ore, per un contatto con gli interlocutori di cui noi stiamo parlando come interlocutori necessari per quel consenso multilaterale. Un aereo libico è atterrato al Cairo con a bordo un generale dell'esercito libico e, probabilmente, anche il primo Ministro della difesa, ma comunque emissari di Gheddafi che portano al Governo transitorio egiziano una missiva di Gheddafi, con la possibile intenzione di voler incontrare la Lega Araba.
Questo è un primo elemento che aggiunge complessità alla complessità. Sempre sul fronte della Lega Araba, a quello che vi ho detto nella introduzione si aggiunge ora un'importante dichiarazione dell'Arabia Saudita che prende le distanze dal Consiglio di cooperazione del Golfo, di cui pure essa fa parte, dicendo formalmente che spetta alla Lega Araba e non al Consiglio di cooperazione del Golfo di valutare la no fly zone. A seguito di questo, sabato al Cairo un vertice straordinario dei ministri degli esteri della Lega Araba tornerà sull'argomento. Dico questo perché spesso si tirano conclusioni in una situazione in grande evoluzione.
L'ulteriore elemento che conferma quanto la situazione sia delicata e in evoluzione è che due aerei del regime libico sarebbero partiti dalla Libia diretti a Bruxelles con a bordo emissari di Gheddafi che avrebbero l'intenzione di incontrare i rappresentanti che parteciperanno alle riunioni dell'Unione europea e della NATO, domani e dopodomani, a Bruxelles.
Queste notizie, evidentemente, fanno comprendere come occorra, da un lato, riflettere sulle cognizioni che noi abbiamo oggi, ma anche attendersi degli sviluppi prima di dire che vi sono già conclusioni sicure. Io non so che cosa diranno al Cairo, né chi incontrerà chi a Bruxelles, ma gli spostamenti sono un dato di fatto che registriamo.
Sui grandi temi affrontati dalla discussione che, come sempre, è molto interessante, anzitutto sul tema della no fly zone, pensavo di essere stato chiaro, ma evidentemente non lo sono stato abbastanza. Presidente Marini, lei ha fatto riferimento alle mie indicazioni sul quadro internazionale, che io confermo. L'Italia ritiene che il mandato della NATO e il mandato dell'ONU siano il quadro di legittimità internazionale che consentirebbe, in questo caso, la partecipazione dell'Italia, ma che, come elementi politici ulteriori, una non opposizione della Lega Araba e un coinvolgimento dell'Unione africana costituiscano elementi altrettanto importanti, dal nostro punto di vista.
Lei ha fatto riferimento alla posizione francese e britannica. Credo che nessuno al mondo possa immaginare che Francia e Gran Bretagna presentino una posizione al Consiglio di sicurezza e poi, senza ottenerne l'approvazione, facciamo un'azione bilaterale o magari trilaterale. Gli americani hanno già detto con chiarezza, e lo ha detto stamani la signora Clinton, che il Consiglio di sicurezza deve deliberare; il Ministro degli esteri francese Juppé ha detto esattamente la stessa cosa, ed è evidente che francesi e inglesi - lo confermo, ho parlato con William Hague l'altro ieri - hanno preparato una proposta di risoluzione al Consiglio di sicurezza. Questo non vuol dire che sarà approvata, ma vuol dire anche che, se non fosse approvata, il quadro di legittimità internazionale, ad avviso del Governo italiano, non sarebbe completato, a meno che il Parlamento non ci chieda di procedere in mancanza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza.
Il secondo punto chiave è capire cosa sta accadendo sul terreno. Come molti di voi ricorderanno - ma forse il fluire dei fatti fa dimenticare - il tema della missione ONU sul terreno fu la prima proposta che io formulai dinanzi al Parlamento italiano, che ho ripetuto a Ginevra alcuni giorni fa e che oggi è maturata. Il Segretario generale dell'ONU ha nominato il suo rappresentante.
Onorevole Tempestini, non vedo ostacoli alla missione, avendo sentito lo stesso Gheddafi ripetere che la missione dell'ONU - e lo ha scritto in una missiva ufficiale il Ministro degli esteri della Libia - non è ostacolata. Credo che dipenda dall'Organizzazione delle Nazioni Unite inviare,


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io mi auguro ad horas, sul terreno libico questa missione che, a mio avviso, e da quanto ho ascoltato ad avviso di tutti, sarebbe fondamentale.
Accanto alla missione ONU, proprio per capire meglio cosa sta accadendo, l'Italia ha fatto una richiesta che la NATO ha accolto. La NATO ha deciso il dispiegamento di un mezzo Awacs, che come sapete è un ricognitore, che fotografa e registra tutto quello che accade sul cielo libico e nello spazio aereo libico, evidentemente per avere elementi che possano corroborare l'ipotesi, suggerita da molti filmati più o meno amatoriali che abbiamo visto, di bombardamenti di aerei ed elicotteri libici contro basi non militari o, peggio, contro aggregazioni di civili. Aggiungiamo che la missione dell'ONU, come ha detto l'onorevole Antonione, avrebbe un effetto di deterrenza particolarmente importante.
La no fly zone è stata chiesta dal Consiglio nazionale temporaneo di Bengasi pubblicamente, nel loro incontro di ieri a Strasburgo. Quanto al Consiglio temporaneo - ho ascoltato sfumature diverse negli interventi dei colleghi deputati e senatori - ho detto in apertura che l'Italia ha avviato un contatto discreto con esso. Potete immaginare quanto la situazione sia delicata, quanto sia stato non semplice organizzare l'invio di una nave di quelle dimensioni dall'Italia (ad oggi unico Paese del mondo che è arrivato a Bengasi).
Sono disponibile a riferire al Parlamento, in una sede non pubblica, le caratteristiche di questi rapporti - comprenderete quali sono le evidenti ragioni di tutto questo - ivi compresa la decisione che mi vede in linea di principio favorevole sulla riapertura del consolato italiano che esisteva. Non è dunque un'iniziativa nuova, ma vi è una struttura che fu chiusa nel 2006 in seguito a dei tumulti di piazza, ma che senza eccessiva difficoltà, salva la valutazione delle condizioni di sicurezza sul terreno, può essere riaperto.
Un altro tema affrontato è quello dell'impegno della Lega Araba e del Consiglio di cooperazione del Golfo. Crediamo che questi Paesi debbano fare qualcosa in più che limitarsi a esprimere una loro non opposizione.
Qualcuno dei colleghi si è espresso in modo molto chiaro perché, come evidenziato dall'onorevole Corsini, ci si rende conto che, se c'è il consenso multilaterale sulla no fly zone, l'Italia non può rifiutarsi in questo caso di aderire a una missione sotto il mandato del Consiglio di sicurezza, e non credo, onorevole Corsini, che si tratti di una dichiarazione di guerra.
La storia ha visto molte missioni di no fly zone, che sono missioni di protezione da azioni di bombardamento che comprendono una reazione, ma evidentemente non è definibile e non è mai stata definita una missione di guerra. La Costituzione italiana lo vieterebbe e noi abbiamo partecipato nei Balcani, con la Presidenza del Consiglio dell'onorevole D'Alema e con il consenso dell'opposizione di centrodestra, a una missione di no fly zone, con bombardamenti che non erano certamente una missione di guerra, ma era una missione di peace enforcing, e senza autorizzazione, del Consiglio di sicurezza che però arrivò dopo qualche tempo.
Se ci trovassimo in una situazione analoga, dovremmo ritornare qui a ragionare sulle conseguenze e sulle prospettive di un'eventuale missione su mandato NATO ma senza il Consiglio di sicurezza, come accadde negli anni Novanta nei Balcani. Noi comunque riteniamo che la strada da seguire sia quella di un mandato del Consiglio di sicurezza.
Tra gli altri temi importanti c'è la posizione della Russia. Certamente abbiamo svolto passi nei confronti di Mosca, senatore Tonini, e lunedì incontrerò il Ministro Lavrov a Parigi e con la Russia rifletteremo anche sulle integrazioni che loro hanno già chiesto a un'ipotesi di draft, di documento circolato da parte britannica e non ancora formalizzato perché, come comprendete bene, presentare il documento e ascoltare opinioni contrarie vorrebbe dire far naufragare sul nascere questa prospettiva.
Per quanto riguarda la possibilità di andare avanti a livello europeo su azioni


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parallele, ho detto e ripeto che una missione NATO-Unione europea per l'enforcement delle sanzioni, anzitutto dell'embargo sulle armi, sarebbe a mio avviso importante. L'embargo sulle armi è una delle sanzioni più significative che sono già state decise dal Consiglio di sicurezza, ma occorre un enforcement e questo sarebbe uno strumento non certamente alternativo, ma di evidente deterrenza.
Aspetti molto più complessi citati dall'onorevole Corsini riguardano le diverse ragioni delle rivolte. Non credo - penso che l'onorevole Corsini abbia la stessa opinione - che le ragioni delle rivolte in Libia, in Tunisia e in Egitto possano essere assimilate. Non credo neanche che per quanto riguarda la Libia, a differenza forse di quanto può riguardare l'Egitto, si possa pensare a un modello Turchia, che presuppone un esercito forte e strutturato, che esiste certamente in Egitto e in Tunisia ma non in Libia.
Gli scenari richiederanno di aprire - sono ben felice se il Parlamento lo deciderà - una riflessione molto ampia anche sui modelli che possiamo accompagnare, senza imporre il nostro. Condivido in pieno, infatti, con l'onorevole Corsini che il nostro modello di democrazia non sia esportabile o replicabile in questo o quel Paese arabo, giacché ogni Paese deve scegliere la sua strada verso il riconoscimento dei diritti.
Per quanto riguarda il tema del congelamento, più che sequestro dei beni, il Consiglio di sicurezza ha deciso per il congelamento dei beni personali. L'Unione europea è andata più in là e ha deciso per il congelamento dei beni delle entità (Banca centrale libica, un fondo sovrano e una banca libica).
L'Italia ha aderito alle misure di congelamento adottate dal Consiglio di sicurezza e di quelle adottate dall'Unione europea, che sono entrate in vigore oggi perché sono state approvate ieri per silenzio-assenso, quindi per una reazione di non opposizione da parte di tutti i Paesi dell'Unione europea.
Molte domande riguardano l'impatto migratorio e la situazione che si crea come conseguenza, soprattutto in relazione alla Tunisia, in quanto in Libia in questo momento gli scontri militari rendono difficile ipotizzare partenze di massa.
Stiamo negoziando un accordo bilaterale Italia-Tunisia e spero che i colloqui di oggi del sottosegretario Craxi abbiano successo. Stiamo promuovendo una posizione che l'Italia formalizzerà al Consiglio europeo di dopodomani, in cui chiede all'Europa di agire attraverso Frontex proponendo un accordo Europa-Tunisia per cui, secondo il modello Albania, le autorità tunisine accettino il sistema pattugliamento Frontex esteso alle acque territoriali tunisine su richiesta, non su imposizione. A livello bilaterale contiamo di fornire alla Tunisia, che già ne ha fatto richiesta, mezzi ed equipaggiamenti per il pattugliamento navale e terrestre delle coste. Ci è stato richiesto, e il Ministero dell'interno è pronto a fornire equipaggiamenti.
Vi è infine l'opzione, ove non vi fosse l'accordo da parte delle autorità tunisine, di una missione Frontex rafforzata fuori dalle acque territoriali tunisine, per il pattugliamento di quello spazio di Mediterraneo.
La richiesta italiana sarà in ogni caso che l'Unione europea coordini non soltanto la missione di pattugliamento, ma anche la gestione del flusso migratorio. Il burden sharing o si fa tutto attraverso l'Europa o non è burden sharing, ed è evidente che riguarda i rifugiati. L'Italia finora - lo dico fra parentesi - è l'unico e solo Paese d'Europa che ha accettato di prendersi alcune decine di rifugiati eritrei che stanno arrivando in Italia. Alle grandi dichiarazioni di intenti non è seguita nessuna disponibilità da nessuno degli altri Paesi.
Abbiamo ascoltato la voce del vescovo che ci aveva chiesto dalla Libia di prendere una settantina di eritrei già dichiarati aventi diritto allo status di rifugiato e li stiamo accompagnando in Italia dove saranno accolti, ma non ho visto analoghi segni di disponibilità da altri Paesi europei.


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È evidente però che o il burden sharing è realmente europeo oppure in questo l'Europa non c'è.
Sarà la nostra proposta, la riformuleremo ulteriormente, abbiamo evidente mente un consenso da parte di un numero di Paesi europei significativo ma non ancora maggioritario, ma abbiamo soprattutto per la prima volta il consenso della Commissione europea, che nel suo documento formulerà una proposta di attribuzione agli organismi europei non soltanto del pattugliamento, ma anche della gestione del flusso migratorio che arriva sulle coste europee.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 16,15.

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