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Resoconti stenografici delle audizioni

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
110.
Giovedì 20 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3

Audizione dell'avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, Giampaolo Schiesaro

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3 5 6 7 8 9 10
Bratti Alessandro (PD) ... 6 7
Mazzuconi Daniela (PD) ... 8 9
Schiesaro Giampaolo, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia ... 3 5 6 7 8 9

Audizione dell'avvocato dell'Avvocatura dello Stato, Giacomo Aiello

Pecorella Gaetano, Presidente ... 10 18 19 20
Aiello Giacomo, Avvocato dell'Avvocatura dello Stato ... 10 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Bratti Alessandro (PD) ... 12 13 14 15 18 19
Cenni Susanna (PD) ... 18
Mazzuconi Daniela (PD) ... 15 16 17 19

Audizione del presidente della Syndial SpA, Leonardo Bellodi

Pecorella Gaetano, Presidente ... 20 24 29 31 32 36
Bellodi Leonardo, Presidente della Syndial SpA ... 20 23 24 25 29 30 31 32 33 34 36
Bianchi Dorina (PdL) ... 27 33 34 35 36
Bratti Alessandro (PD) ... 22 23 24 25 26 29 30
Cenni Susanna (PD) ... 29
Colombo Giuseppe, Direttore di attività di risanamento ambientale di Syndial SpA ... 34 35 36
Mazzuconi Daniela (PD) ... 25 28 30 31 32

Audizione del presidente della Sogesid SpA, Vincenzo Assenza

Pecorella Gaetano, Presidente ... 36 38 40
Assenza Vincenzo, Presidente della SogesidSpA ... 36 38 39 40
Cenni Susanna (PD) ... 39
Graziano Stefano (PD) ... 40
Mazzuconi Daniela (PD) ... 38 39
Melli Fausto, Direttore generale di Sogesid SpA ... 39

Audizione del direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore di Sanità, dottoressa Loredana Musmeci

Pecorella Gaetano, Presidente ... 40 42 46 49 50
Graziano Stefano (PD) ... 45 48
Mazzuconi Daniela (PD) ... 44 47
Musmeci Loredana, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità ... 41 42 45 46 47 48 49 50
Russo Paolo (PdL) ... 48

Audizione di Fabrizio Gatti, giornalista

Pecorella Gaetano, Presidente ... 50 53 54 55
Gatti Fabrizio, Giornalista ... 50 54
Mazzuconi Daniela (PD) ... 53

Sui lavori della Commissione

Pecorella Gaetano, Presidente ... 55 56
Mazzuconi Daniela (PD) ... 55

Comunicazioni del Presidente

Pecorella Gaetano, Presidente ... 56

ALLEGATO: tabelle consegnate dal presidente della Syndial SpA ... 57

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Seduta del 20/10/2011


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...
Audizione dell'avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, Giampaolo Schiesaro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, Giampaolo Schiesaro. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla situazione delle bonifiche in Italia e verterà sui procedimenti di danno ambientale avviati o conclusi, con particolare riferimento alle azioni che interessano aree ricadenti nel perimetro dei siti di interesse nazionale. Nel dettaglio, chiederei all'avvocato Schiesaro di fornire informazioni in merito ai punti indicati nella lettera che gli abbiamo mandato, ovvero ai criteri di valutazione tecnico-economica del danno ambientale applicati, alle somme introitate a seguito di sentenze di danno ambientale, al numero di atti transattivi stipulati per aree oggetto di bonifica e agli importi incassati a seguito della sottoscrizione degli stessi e, infine, allo stato di attuazione delle transazioni globali di cui all'articolo 2 della legge 27 febbraio 2009, n. 13.
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandolo comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Nel ringraziarlo per la disponibilità, cedo la parola all'avvocato Schiesaro.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. In previsione di questa audizione, ho cominciato a predisporre un testo scritto nel quale affronto in termini più approfonditi le riflessioni di ordine giuridico di cui parlerò, in sintesi, in questa audizione. Siccome il testo non è ancora ultimato, mi riservo di depositarlo agli atti della Commissione affinché possiate, poi, attingere le ulteriori informazioni necessarie. Toccherò, ora, alcuni punti che mi consentono di sviluppare i temi salienti della materia.
In primo luogo, vorrei chiarire che la bonifica è sempre più un affare, non solo perché dietro a queste operazioni girano molti soldi, trattandosi di interventi molto ampi che richiedono l'esborso di notevoli importi economici, ma soprattutto perché - questo è il motivo fondamentale - la bonifica avviene sempre meno a carico del soggetto responsabile del danno - quindi come costo accessorio alla produzione - e sempre più come costo sociale addebitato alla pubblica amministrazione, chiamata a intervenire in luogo del soggetto responsabile che non si trova più oppure che non è più in grado di adempiere ai propri obblighi. Si tratta, quindi, di soldi pubblici


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che fanno gola a molti e intorno ai quali si scatenano gli appetiti più diversi, a svariati livelli, anche e soprattutto della criminalità più o meno organizzata. Questa è la premessa di fondo. Se ciò non è chiaro, si fa fatica a misurarsi con questi problemi. Sono coinvolti interessi criminali a vari livelli.
In secondo luogo, si punta a evitare i costi privati delle bonifiche. Del resto, il responsabile non si trova quasi mai, ovvero non si accerta il responsabile del danno con sentenza passata in giudicato. Questo tipo di accertamento è inesistente nel nostro ordinamento. Mi ha fatto, perciò, sorridere la domanda a proposito delle somme introitate a seguito di sentenze passate in giudicato: zero, non abbiamo incassato nulla perché non mi risulta ci siano sentenze passate in giudicato che attestino un credito erariale per danno ambientale o, se ci sono, riguardano soggetti falliti o scomparsi che, quindi, non esistono più. Spesso abbiamo anche il titolo - come i 35 mila euro per la bonifica di Mardimago - ma manca il soggetto nei confronti del quale esercitarlo. In quella circostanza, come nella maggior parte dei casi, il soggetto era fallito prima che cominciasse il processo dal quale sarebbe scaturita la sua responsabilità.
Pertanto, innanzitutto si punta - ripeto - a evitare i costi e a massimizzare i guadagni. Spesso le bonifiche possono essere realizzate o semplicemente fatte figurare come interventi con un certo contenuto tecnico, mentre, in realtà, sono tutt'altro. Dunque, si lucra anche sulla differenza tra quello che si dice di voler fare e quello che poi si fa.
Il terzo punto fondamentale è che nel nostro sistema c'è una sostanziale impunità civile del responsabile del danno ambientale. Infatti, le cause risarcitorie che lo Stato esercita sono per la massima parte istruite a traino di vicende penali: c'è la contestazione penale, ci si costituisce parte civile e, se qualcosa resta, è effetto dell'azione civile esercitata in sede penale. In maniera autonoma - cioè svincolata da un fatto penalmente rilevante - solo l'Avvocatura dello Stato di Venezia esercita l'azione civile per danno ambientale. Poi vi dirò in che termini. L'Avvocatura dello Stato di Venezia procede - ripeto - in via autonoma, ovvero indipendentemente da altri accertamenti, ottenendo i risultati che illustrerò tra breve. In tutto il resto d'Italia, questo non avviene, non perché le altre avvocature non siano in grado di fare altrettanto, ma perché per svolgere questo compito occorrono molte conoscenze tecniche, supporti e dati operativi che non sono socializzabili a livello nazionale in tutti gli uffici dell'Avvocatura dello Stato. Per contro, da ormai quindici anni, a Venezia si è creato un modello sperimentale che ci ha permesso di ottenere buoni risultati. Si tratta di una sperimentazione e siamo ancora a quel livello, anche se, appunto, abbiamo avuto buoni esiti. Intorno, però, vi è il deserto perché questa esperienza non è stata socializzata per tante ragioni che è inutile rievocare.
D'altra parte, le cause civili sono di un'estrema complessità poiché un conto è andare a traino del pubblico ministero che accerta il fatto, la sua antigiuridicità e la colpevolezza dell'imputato; un altro è promuovere autonomamente un'azione civile, dimostrando il fatto, la sua antigiuridicità e la colpevolezza senza nessuno degli strumenti di cui dispone il pubblico ministero. È un'impresa ciclopica, da gestire a livello industriale, con 300, 400, 500 cause per volta. Il modello operativo è, dunque, impossibile da estendere. Sono cause che hanno una complessità tecnica e che richiedono il coinvolgimento di esperti che ci informino e convincano il giudice civile, il quale, in prima istanza, non può far altro che nominare un perito - il quale, però, occupandosi normalmente di altre circostanze, soprattutto di incidenti stradali, quindi di ammaccature, parafanghi e quant'altro - non ha alcuna professionalità specifica in materia. Con tutto il rispetto per la professionalità di questi tecnici, devo dire che nei nostri tribunali non esiste la figura dell'esperto di bonifiche.


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PRESIDENTE. In tutta Italia ci saranno pure degli esperti.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Sì, ci sono, ma si contano sulle dita delle mani. Inoltre, vista la quantità di contenzioso, capisco anche le difficoltà dei giudici, soprattutto in tribunali non troppo attrezzati. Infatti, una cosa è parlare di grosse corti di appello, come Milano o Venezia; un'altra è se pensiamo, per esempio, a Brescia. I tecnici che ruotano attorno alle corti d'appello più piccole non hanno elevati livelli di specializzazione e conoscenza. Non vorrei aprire questa parentesi perché il discorso della qualificazione professionale dei periti dei tribunali italiani ci porterebbe lontano.
Insomma, l'esito è estremamente incerto sia perché sconta l'incertezza delle perizie giudiziali, sia perché è incerto l'approccio giurisprudenziale del singolo giudice rispetto al caso che deve risolvere - quale linea interpretativa darà, come considererà il danno. Invero, il danno ambientale è del tutto atipico sul piano civile. Del resto, fin dalle prime sentenze degli anni Novanta, la Cassazione ha affermato che non è un danno conseguenza, ma di altro tipo, che va valutato con criteri diversi rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati nei nostri tribunali per la liquidazione del danno ambientale. In genere, non è semplice riuscire a convincere un giudice che si occupa solitamente di responsabilità civile ex articolo 2041, di incidenti stradali e altro, che vi sono criteri diversi e che il valore delle risorse è d'uso e non di scambio. Non si può valutare il prezzo dell'aria sul mercato; non c'è un mercato dell'aria, dell'acqua o del suolo, se non in termini del suolo agricolo o industriale. Occorre, allora, ricorrere a criteri di valutazione diversi. Insomma, deve cambiare l'intera prospettiva.
A Venezia, per avere le prime sentenze che seguono una certa linea interpretativa, abbiamo impiegato quindici anni di lavoro indefesso, ricevendo sconfitte strabilianti. Solo adesso si cominciano a vedere i risultati. Tenete conto, inoltre, che, oltre a questi problemi di tipo generale, si è inserita nel nostro ordinamento la normativa comunitaria, comportando un vero e proprio terremoto, di cui stiamo ancora scontando gli effetti. Non voglio, tuttavia, soffermarmi su questo punto, che tratterò diffusamente nella relazione scritta; si tratta, comunque, di un tema delicato.
Per finire, l'ultimo paradosso delle bonifiche è che tanto più inquinato è un sito di interesse nazionale, tanto meno vi sono soggetti responsabili di quell'inquinamento. In altri termini, quanto maggiore è il livello di inquinamento cosiddetto «diffuso», tanto più bassa è la probabilità di poter chiamare qualcuno a risponderne sul piano civile. Questo è, per esempio, il paradosso di Marghera, il sito più inquinato d'Italia, in cui il danno ambientale è stato calcolato nell'ordine di 70 mila miliardi delle vecchie lire, che ha visto tutti assolti nel processo petrolchimico. Di certo, i giudici che hanno assolto gli imputati non sono banditi. Questa è la situazione generale. Se le caratteristiche dell'inquinamento sono talmente estese e stratificate nel tempo, diventa impossibile trovare un meccanismo che consenta di attribuire a Tizio piuttosto che a Caio la responsabilità di questo piuttosto che di quell'inquinante. Ne consegue che sono tutti assolti; non c'è nessuna condanna e lo Stato dovrebbe farsi carico di una bonifica da 70 mila miliardi di lire.
Per questa ragione, quella vicenda processuale ha illuminato il nostro sforzo interpretativo, consentendoci di trovare una soluzione per uscire dal circolo vizioso. Come ricorderete, il caso si è concluso - è vero - con l'assoluzione degli imputati, ma anche con una transazione miliardaria, chiusa tre giorni prima della sentenza e fondata su alcuni presupposti. Montedison, visto che vi erano elementi per far valere la responsabilità civile nei suoi confronti, temendo una condanna sul piano civile, ha pagato 550 miliardi di lire, che non sono un'elargizione benefica, ma l'esito di una scelta consapevole e di un calcolo del rischio.


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Ebbene, da quella vicenda abbiamo tratto la convinzione che l'unico modo per uscire da questo paradosso è l'esercizio di azioni risarcitorie nei confronti dei proprietari delle aree dei siti inquinati, cui si contesta una responsabilità civile ex articolo 2051 del codice civile per non aver saputo o potuto adottare misure cautelari atte a impedire non l'inquinamento dei loro suoli, ma la dispersione ulteriore di quell'inquinamento e la contaminazione di beni pubblici come la falda. Questa è l'arma vincente che ci ha permesso di fare, nel territorio di Venezia, le 40 transazioni, di cui deposito l'elenco, per un importo complessivo per oltre 560 milioni di euro. Di questo dato rispondo personalmente, avendo seguito queste vicende negli ultimi quindici anni.
Sulla base di questa consapevolezza, il modello Venezia è stato esportato dal Ministero dell'ambiente anche ad altre realtà attraverso lo strumento degli accordi di programma. Dove tali accordi si sono sottoscritti, si è creato un meccanismo virtuoso costruito sul modello dell'articolo 2051 del codice civile: i soggetti privati possono concorrere alle spese che lo Stato sta sostenendo per la bonifica e la messa in sicurezza delle proprie risorse pubbliche, soprattutto la falda, attraverso un contributo quantificato secondo parametri oggettivi, ovvero secondo lo schema di Porto Marghera. Pertanto, le opere di risanamento dei beni pubblici sono in parte finanziate dai privati responsabili, se non altro, della violazione dell'articolo 2051 del codice civile.

ALESSANDRO BRATTI. Questo se non ci sono procedimenti penali nei confronti delle aziende.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Certo. Se c'è un procedimento penale nei confronti del soggetto bisognerebbe costituirsi parte civile in quel procedimento, nel quale, però, si può chiedere esclusivamente il danno derivante dal singolo fatto reato, per esempio l'aver immesso in atmosfera certe sostanze il giorno 22 luglio 2005. Resta, tuttavia, il problema della falda inquinata a causa di suoli che perdono da tutte le parti. Quindi, la componente più consistente del danno non è legata alla vicenda puntuale di uno specifico accertamento penale.

PRESIDENTE. Sul piano penalistico ci potrebbe essere responsabilità per omissione. Insomma, lo stesso meccanismo civilistico che scatta per non aver evitato che si aggravasse il danno derivante anche dal comportamento di terzi, dovrebbe poter valere anche rispetto all'omissione - ex articolo 40 del codice penale, per intendersi - per cui vi sarebbe una responsabilità quantomeno colposa, se non dolosa, per non avere impedito l'aggravarsi del danno.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Sì. Tuttavia, penalisticamente occorre un reato di riferimento, che, di solito non è il disastro ambientale, che non esiste, ma il disastro innominato. Del resto, conoscete bene le problematiche relative al pericolo concreto piuttosto che astratto e via discorrendo. Pertanto, le condanne per disastro si contano sulle dita di una mano. Ci abbiamo provato diverse volte, ma le mie tre di Venezia sono le uniche in tutt'Italia. Quindi, sul piano penale, rischiamo di continuare a sbattere la testa contro un muro di gomma; è una strada senza uscita. D'altronde, lo strumento penale non serve a sciogliere problemi di questa natura, che si risolvono, in sede giudiziaria, sul versante della responsabilità civile. In questo senso, noi abbiamo trovato una strada ex articolo 2051 del codice civile che regge perché la magistratura veneziana ha consolidato questo orientamento, che è ormai recepito anche ad altri livelli, come il Consiglio di Stato. La strada è, dunque, quella transattiva, della negoziazione e degli accordi di programma, come è stato possibile sperimentare nei casi di Napoli orientale, Brindisi e Priolo, in cui vi sono state transazioni, anche senza la pressione giudiziaria che abbiamo dovuto esercitare a Venezia. Questa è la strada che deve essere battuta.


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ALESSANDRO BRATTI. La transazione può essere certamente uno strumento. Tuttavia, ritornano alcune problematiche che lei prima ricordava, visto che anche in una transazione è necessario che lo Stato - perché i privati, soprattutto le grandi imprese, si sostengono bene da questo punto di vista - si avvalga di professionalità in grado di dimostrare la congruità della corrispettiva richiesta economica. Occorrerebbe, quindi, una sorta di task force nazionale - non è che ognuno lo può fare in casa propria - che sia in grado di interloquire con il privato e che certifichi che la transazione non sia troppo al ribasso.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Questo problema è stato risolto in sede di accordi di programma, allorquando è stata definita la cornice degli importi. Infatti, negli allegati tecnici degli accordi di programma sono state stabilite le condizioni economiche in base alle quali si svolgono le singole transazioni e sono stati stimati i costi che lo Stato deve sostenere per bonificare le proprie aree. È stato, inoltre, quantificato un certo ammontare per il risarcimento del danno ambientale delle aree private. Questo aspetto è stato, dunque, approfondito e sviluppato tecnicamente, con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), dal Ministero dell'ambiente ed è codificato in tutti gli accordi di programma che prevedono questo rimedio; ciò al fine di evitare che debba essere l'amministrazione a dover discutere, caso per caso, l'ammontare adeguato. Ci sono, pertanto, condizioni oggettive che permettono a chiunque di proporre il pacchetto transazione che deriva dagli accordi di programma in alternativa al contenzioso giudiziario, che avrà eventualmente il suo esito.
Questo è ciò che abbiamo sperimentato. Vi risparmio ulteriori dettagli perché sarà il Ministero dell'ambiente a fornirvi le informazioni in merito a questa misura organizzativa, alle risorse, ai mezzi e agli effetti economici che ha già potuto produrre. Vorrei solo ribadire che la soluzione delle transazioni, garantite dagli accordi di programma, è stata resa possibile dall'esperienza di Marghera.
Infine, vorrei citare alcune criticità fondamentali. Tuttavia, domando, se è possibile, di secretare questa parte del mio intervento, visto che vorrei toccare alcuni argomenti riservati.

PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.
(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio.
(La Commissione procede in seduta pubblica).

ALESSANDRO BRATTI. Sulla questione delle transazioni, il Parlamento ha anche legiferato e ha riconosciuto, in quello che viene chiamato il decreto «salva ENI», questa possibilità.
Nel caso di Pieve Vergonte, il problema è che le imprese considerano troppo elevata la richiesta. Ciò rischia, peraltro, di impedire che si possano espletare future transazioni. Quindi, anche il sistema delle transazioni, che potrebbe essere una via d'uscita, rischia di fallire se le parti sono distanti. Ecco perché le ho chiesto chi decide a quanto ammonta il danno. È chiaro, infatti, che se la transazione deve essere al ribasso e si chiude la vicenda con bassi importi, non si tratta comunque di un atto di giustizia.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Ho seguito personalmente la vicenda di Pieve Vergonte, essendo stato incaricato. Quanto più aumenta l'esposizione, tanto più aumentano i rischi. Quella vicenda processuale è stata segnata da una sostanziale sordità, innanzitutto perché è nata in seguito all'ennesimo processo penale e, come sempre, con il patteggiamento, si ottiene un risarcimento «elemosina». Del resto, erano contestati reati di


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scarsissimo peso criminale. Per esempio, non era contestato il disastro, ma, al massimo, un danneggiamento delle acque, con qualche pesce morto. Di conseguenza, alla regione Piemonte un miliardo sembrava una cifra esorbitante, per cui tutti si chiedevano per quale ragione lo Stato non accettasse i 5 o 10 miliardi di lire messi a disposizione. Le cose, però, non stavano in quei termini.
Abbiamo promosso l'azione a processo penale fermo, correndo il rischio di finire in un giudizio interamente a nostro carico, nel quale bisognava costruire la prova della responsabilità, del pericolo, del danno nei confronti della regione e dell'interesse del bene giuridico protetto. Durante quel processo, che è durato cinque o sei anni in primo grado, dal 2003 al 2008 - vado a memoria - vi sono state delle proposte di transazione, con il risanamento e la bonifica fermi. Abbiamo fatto sistematicamente diversi tentativi, ma hanno sempre rifiutato. Si riteneva, infatti, che non ci fosse il danno ambientale, che, peraltro, non c'è mai. Finché non si trova un cadavere, non c'è mai il danno ambientale. La conseguenza del danno ambientale è inafferrabile dal punto di vista naturalistico. Salvo casi come il Vajont, in cui accade una tragedia immane, con un danno sociale gigantesco, che contiene quello ambientale, normalmente il danno ambientale non lo vede nessuno. Per esempio, nel caso di immissioni in atmosfera da un incidente rilevante, non si vede la diossina che cade per terra, specialmente se scende a trenta chilometri di distanza o nessuno sa dove. Del resto, abbiamo avuto molti casi di questo tipo.

PRESIDENTE. Però sappiamo che è uscita.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Sappiamo che è uscita, come nel caso De Longhi, ma non c'è prova di ricaduta e, secondo la direttiva comunitaria, quel danno ambientale non sarebbe risarcibile perché occorre, appunto, provare la ricaduta. Certo, se è uscita, sarà pure caduta da qualche parte, anche se forse non a Treviso. A ogni modo, non è provato. Ciò nonostante, abbiamo transatto, con questi dubbi e rischi.
Insomma, laddove manca l'accordo di programma che stabilisca l'importo, non è facile intervenire. Non è facile portare a termine un negoziato. Bisogna, perciò, aspettare il provvedimento giudiziale, che, nel caso di Pieve Vergonte, è arrivato, senza che abbia, tuttavia, accolto le nostre pretese. Infatti, abbiamo impugnato la sentenza perché reclamavamo 4 miliardi di euro. Certo, 2 miliardi potrebbero essere una soluzione di compromesso, che potrebbe anche andare bene, ma ne avevamo chiesti 4. Ovviamente, in quella circostanza, le distanze tra le parti sono grandi perché lo scontro si è radicalizzato. Del resto, quella sentenza non la eseguirà mai nessuno perché se l'ENI fallisce, fallisce l'Italia. Non occorre essere dei grandi strateghi per capirlo. Stiamo cercando, perciò, di trovare una soluzione intelligente che permetta a tutti di portare a casa un risultato ragionevole. Resta, però, il fatto che c'è quella sentenza che, per fortuna, ci dà la misura del contenuto del danno ambientale, anche se adesso le norme sono cambiate e dovrebbe essere rifatta una valutazione che potrebbe portare a una considerazione completamente diversa di quegli importi. D'altronde, il decreto cosiddetto «salva ENI» non concerne l'articolo 2 della legge 27 febbraio 2009, n. 13, bensì l'articolo 5 bis della legge 20 novembre 2009, n. 166, che applica nuovi criteri di liquidazione del danno ai procedimenti in corso, in modo tale che si debbano rivedere anche le sentenze che non sono passate in giudicato. Prima ho detto che, per noi, Pieve Vergonte è passata in giudicato; tuttavia, la questione è controversa.

DANIELA MAZZUCONI. Vorrei fare una considerazione rispetto alla norma citata che, in realtà, finisce con l'avere valore retroattivo, ancorché le sentenze non siano passate in giudicato. Insomma, si applica su ciò che avviene da adesso in poi e su ciò che è in corso, come se ciò che


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è in corso partisse in quel momento. Ecco, questo è stravagante.

PRESIDENTE. Non ha valore retroattivo perché è un criterio di valutazione. Nel momento in cui si procede alla valutazione, vale la norma che detta, appunto, i criteri di valutazione.

DANIELA MAZZUCONI. Sì, ma viene applicata a procedimenti che sono partiti con un'altra norma.

PRESIDENTE. Peraltro, in materia civilistica non c'è il criterio della retroattività.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Il problema è complicato su un ulteriore punto. I criteri introdotti sono stabiliti dalla direttiva 2004/35/CE, il cui articolo 17 vieta di applicarli a fatti verificatisi prima dalla sua entrata in vigore. Il paradosso è che nella direttiva c'è il divieto di applicare questi criteri, mentre la norma interna di recepimento della direttiva li applica retroattivamente, o più correttamente - l'osservazione è giusta - ai procedimenti in corso, quindi anche a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della direttiva. La situazione, dunque, è delicata. Sarebbe interessante sviluppare tutti gli argomenti giuridici. Del resto, c'è già una sentenza che ha affermato che questi sono i criteri che dovrebbero essere applicati, anche se non ha affrontato questo problema e credo che sia un punto su cui si dovrà tornare. Resta una materia aperta.
In ogni caso, va ribadito con forza che il fattore giudiziario uccide la soluzione delle questioni ambientali, non la accelera. Può essere uno schermo al di sotto del quale si favoriscono certi processi, ma se pensiamo di risolvere le questioni delle bonifiche o della riparazione del danno ambientale attraverso le cause civili o penali, siamo fuori strada. Dico questo perché faccio questo lavoro.

PRESIDENTE. Dal suo punto di vista, l'introduzione di una forma di fideiussione per le aziende a rischio di danno ambientale potrebbe essere utile? Ci sono, infatti, aziende che tendenzialmente producono un danno ambientale.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Nel caso, per esempio, di tutte le industrie soggette a rischio di incidente rilevante - le industrie di serie A dal punto di vista della pericolosità ambientale - credo che sarebbe utilissimo. Ho, però, seri dubbi che si possano trovare assicurazioni o istituti di credito che garantiscano questo tipo di rischio. Difatti, se si rendono conto che il rischio è elevatissimo e che i criteri risarcitori sono quelli di Pieve Vergonte, nessuno offre più una copertura. Questo sarebbe, peraltro, in contrasto con un obbligo imposto dalla direttiva 2004/35/CE, che prevede di incentivare i meccanismi di copertura assicurativa dei rischi. Infatti, questa direttiva, che introduce la materia del danno ambientale, prevede, appunto, l'obbligo degli Stati di garantire dei percorsi assicurativi, cioè una sorta di assicurazione obbligatoria in materia.
Nel caso dell'assicurazione dei veicoli il rischio per l'assicuratore è sostenibile, ma non so quanto lo sia il rischio industriale, specie di quelle dimensioni.

DANIELA MAZZUCONI. Vorrei chiederle, sulla base della sua notevole esperienza e anche delle criticità che ha esposto nel corso dell'audizione, se, rispetto alla normativa vigente in Italia, rileva delle carenze o ha dei suggerimenti. Questo, infatti, è uno dei problemi che interessa la Commissione.

GIAMPAOLO SCHIESARO, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia. Ho sempre segnalato, anche se non sono mai stato ascoltato, che la parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che disciplina la nuova materia del risarcimento del danno ambientale e che ha prefigurato l'idea di un'ordinanza ingiunzione amministrativa che potesse consentire all'amministrazione, con un procedimento


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snello, di comminare le sanzioni per applicare immediatamente il principio «chi inquina paga», quasi contemporaneamente alla condotta illecita, sconta il vizio di fondo che - siccome le condotte illecite che ne sono il presupposto sono penalmente rilevanti - nella quasi totalità dei casi tutti gli atti relativi all'accertamento di tali condotte sono coperti dal segreto delle indagini. Infatti, quando succede qualcosa che provoca un danno ambientale, si tratta nel 99,9 per cento di casi di fatti di rilevanza penale. Vi è, quindi, una notizia di reato e, conseguentemente, un segreto d'indagine. Pertanto, le notizie sul soggetto responsabile, sulle modalità della condotta, sulle implicazioni ambientali, sulle caratteristiche tecniche, sulle cause e quant'altro sono coperte dal segreto dell'indagine, che dura mediamente due anni; peccato, però, che il decreto legislativo n. 152 del 2006 preveda un termine di decadenza di un anno e mezzo dal momento del fatto. Siccome il termine non è sospeso dalla pendenza del procedimento penale, è impossibile fare le ordinanze ingiunzioni amministrative. Dunque, anche se la conoscenza del fatto è immediata, visto che l'episodio appare su tutti i giornali, da quel momento scatta il termine di decadenza, che decorre senza che l'amministrazione abbia neanche la possibilità di conoscere ciò che è oggetto di indagini da parte del pubblico ministero e, quando questi ne svela il contenuto, il termine è ormai spirato. Forse bisognerebbe chiedere ai giornalisti. A ogni modo, questa discrasia di sistema mina radicalmente quella prospettiva legislativa.

PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, in attesa di ricevere copia della relazione, ringraziamo l'avvocato Giampaolo Schiesaro del suo contributo. Dichiaro conclusa l'audizione.

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