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Resoconti stenografici delle audizioni

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
110.
Giovedì 20 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3

Audizione dell'avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, Giampaolo Schiesaro

Pecorella Gaetano, Presidente ... 3 5 6 7 8 9 10
Bratti Alessandro (PD) ... 6 7
Mazzuconi Daniela (PD) ... 8 9
Schiesaro Giampaolo, Avvocato dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia ... 3 5 6 7 8 9

Audizione dell'avvocato dell'Avvocatura dello Stato, Giacomo Aiello

Pecorella Gaetano, Presidente ... 10 18 19 20
Aiello Giacomo, Avvocato dell'Avvocatura dello Stato ... 10 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Bratti Alessandro (PD) ... 12 13 14 15 18 19
Cenni Susanna (PD) ... 18
Mazzuconi Daniela (PD) ... 15 16 17 19

Audizione del presidente della Syndial SpA, Leonardo Bellodi

Pecorella Gaetano, Presidente ... 20 24 29 31 32 36
Bellodi Leonardo, Presidente della Syndial SpA ... 20 23 24 25 29 30 31 32 33 34 36
Bianchi Dorina (PdL) ... 27 33 34 35 36
Bratti Alessandro (PD) ... 22 23 24 25 26 29 30
Cenni Susanna (PD) ... 29
Colombo Giuseppe, Direttore di attività di risanamento ambientale di Syndial SpA ... 34 35 36
Mazzuconi Daniela (PD) ... 25 28 30 31 32

Audizione del presidente della Sogesid SpA, Vincenzo Assenza

Pecorella Gaetano, Presidente ... 36 38 40
Assenza Vincenzo, Presidente della SogesidSpA ... 36 38 39 40
Cenni Susanna (PD) ... 39
Graziano Stefano (PD) ... 40
Mazzuconi Daniela (PD) ... 38 39
Melli Fausto, Direttore generale di Sogesid SpA ... 39

Audizione del direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore di Sanità, dottoressa Loredana Musmeci

Pecorella Gaetano, Presidente ... 40 42 46 49 50
Graziano Stefano (PD) ... 45 48
Mazzuconi Daniela (PD) ... 44 47
Musmeci Loredana, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità ... 41 42 45 46 47 48 49 50
Russo Paolo (PdL) ... 48

Audizione di Fabrizio Gatti, giornalista

Pecorella Gaetano, Presidente ... 50 53 54 55
Gatti Fabrizio, Giornalista ... 50 54
Mazzuconi Daniela (PD) ... 53

Sui lavori della Commissione

Pecorella Gaetano, Presidente ... 55 56
Mazzuconi Daniela (PD) ... 55

Comunicazioni del Presidente

Pecorella Gaetano, Presidente ... 56

ALLEGATO: tabelle consegnate dal presidente della Syndial SpA ... 57

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Seduta del 20/10/2011


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...
Audizione del direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore di Sanità, dottoressa Loredana Musmeci.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore del Dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto superiore di sanità, dottoressa Loredana Musmeci. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla situazione delle bonifiche in Italia e, nello specifico, verterà sugli studi epidemiologici condotti per i siti oggetto di bonifica, con particolare riferimento al progetto SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) ed eventuali ulteriori studi.
Avverto la nostra ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, se lo riterrà opportuno, i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta.
La dottoressa ha portato con sé qualche appunto. Credo, tuttavia, che l'aspetto fondamentale


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che interessa la Commissione sia proprio il progetto SENTIERI poiché in più di una città in cui siamo stati mancava completamente un registro epidemiologico. Per esempio, a Crotone non c'è o forse si stanno organizzando solo ora. Questa carenza rende praticamente impossibile rendersi conto del rapporto tra l'inquinamento ambientale - quindi la presenza di rifiuti pericolosi, speciali e quant'altro - e l'effetto sulla popolazione. Ci aspettiamo da lei la buona notizia che le cose stanno cambiando.
Do ora la parola alla dottoressa Loredana Musmeci.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Abbiamo condotto questo studio denominato SENTIERI, che riguarda le indagini epidemiologiche sui siti contaminati. Tuttavia, prima di presentarlo, devo fare una premessa poiché - come giustamente affermava il presidente - non c'è sul territorio nazionale un'uniformità di reperimento dell'informazione sanitaria, quindi non vi sono dati sanitari organizzati in modo uniforme e con metodologie standardizzate. Uno dei problemi è, per esempio, il registro tumori, senza il quale è difficile valutare i rapporti di incidenza. Laddove manca, possiamo fare solo delle analisi superficiali, anche se l'aggettivo non è scientificamente corretto. Possiamo, per esempio, fornire i dati relativi alla mortalità per causa, ma ci è difficile fare elaborazioni più complesse.
Lo stesso vale per il dato riferito alla morbilità, che si elabora a partire dai cosiddetti SDO, ovvero i certificati di dimissione ospedaliera. Anche quelli, infatti, non sono sempre di facile reperimento sul territorio e soprattutto non vengono forniti su base standardizzata e uniforme. Questi sono i primi due problemi.
In ogni caso, abbiamo condotto, d'accordo con il Ministero della salute, uno studio che ha visto il coordinamento dell'Istituto superiore di sanità e la partecipazione dell'Organizzazione mondiale della sanità e del CNR di Pisa, oltre ad alcune ASL locali, in particolar modo quella di Mantova, che ha realizzato un piccolo studio di coorte.
Lo studio SENTIERI è di tipo geografico. Abbiamo studiato la popolazione residente nei comuni che fanno parte del perimetro dei SIN o in prossimità degli stessi. In particolare, lo studio ha riguardato 44 dei 57 siti ad oggi definiti di interesse nazionale; 13 li abbiamo dovuti escludere o perché la potenza dello studio non sarebbe stata sufficiente per condurre uno studio epidemiologico di tipo geografico - ciò significa che i comuni ricadenti all'interno dei siti avevano troppi pochi abitanti, caso in cui si dice che lo studio non ha la potenza necessaria; o per tipologia di contaminazione; oppure perché si stavano conducendo degli studi specifici, come nella Valle del Sacco; o ancora perché avevamo difficoltà, come nel caso di Porto Marghera, che è emblematico, a distinguere la popolazione residente a Venezia città rispetto a quella dell'area industriale di Porto Marghera; infine, perché vi sono alcuni siti che sono all'interno del SIN, la cui contaminazione, però, è dovuta a una discarica, come a «Strillaie». Per questo ultimo aspetto, stiamo conducendo, peraltro, sempre per conto del Ministero della salute, alcuni altri studi sui siti di smaltimento in generale, quindi discariche e inceneritori.
Veniamo ora a come è stato condotto lo studio, discutendo anche delle criticità, in generale, di uno studio di epidemiologia ambientale a carattere geografico. Tali studi hanno, infatti, un grosso limite. Tuttavia, nel nostro caso, abbiamo adottato una metodologia innovativa. Sono ormai circa dieci anni che realizziamo questo tipo di indagini, avendo cominciato con alcune discariche situate in varie aree italiane nel tentativo di caratterizzare meglio le aree di studio ai fini della valutazione dell'esposizione.
In generale, questa tipologia di studi analizza i residenti in prossimità di un'area contaminata per varie ragioni - a causa di un sito di smaltimento di rifiuti, di una zona industriale, di un abbandono di rifiuti, insomma, di un fenomeno di potenziale contaminazione ambientale - secondo criteri standardizzati e accettati


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dalla comunità scientifica internazionale. In particolare, si studia il dato sanitario, l'outcome, in una fascia di territorio prospiciente la fonte di contaminazione presupposta tale. La fascia di territorio può andare da uno a cinque chilometri, ipotizzando che questa sia la fascia di impatto della fonte di contaminazione sui residenti. Tuttavia, il problema di questa tipologia di studi è che, normalmente, non riesce a valutare il dato espositivo, cioè la reale esposizione della popolazione, perché per poter valutare questo fattore in modo elettivo, i dati dovrebbero essere accoppiati quantomeno a uno studio di biomonitoraggio umano.
Facciamo il solito caso dell'inceneritore con un'ipotetica emissione di diossina. In questo caso, se vogliamo valutare gli effetti sanitari sulla popolazione residente perché potenzialmente esposta a un contaminante cancerogeno - ad esempio la diossina - e quindi valutare dei determinanti di salute, quale la mortalità per tumore, dovremmo sapere quanto realmente è esposta la popolazione. Pertanto, il biomonitoraggio umano - cioè la ricerca della diossina nel corpo umano, in questo caso nel latte materno o nel sangue - dà la misura dell'esposizione reale dei residenti nelle aree prospicienti la fonte di contaminazione, rivelando se abbiano o meno assorbito una quantità tale di quel contaminante da far presupporre nel tempo un effetto sulla salute. Ecco, questo nel nostro studio non c'è perché il biomonitoraggio umano è estremamente complesso e costoso e implica anche una difficoltà di gestione del dato, oltre a implicazioni etiche e via discorrendo. Studi simili sono realizzati solo in aree specifiche, quando c'è una forte richiesta soprattutto da parte degli enti territoriali, visto che queste indagini si possono fare solo in stretta connessione con gli enti territoriali, quindi con le ASL, le ARPA e quant'altro.
Ci tengo a ribadire che la gestione del dato di biomonitoraggio non è semplice. Immaginiamo, infatti, di dover dire a una persona che ha un carico corporeo di diossina maggiore di quella ritenuta la media nazionale o addirittura mondiale. Non solo una comunicazione del genere è difficile, ma poi scattano delle richieste da parte della popolazione per avere un follow up perché si ritiene di correre un rischio maggiore rispetto ad altre popolazioni.

PRESIDENTE. Mi sembra una richiesta giusta.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Certamente. Bisogna, però, essere pronti anche a dare queste risposte. Il nostro studio ha valutato in misura limitata l'esposizione. Contrariamente a quanto accade normalmente, cioè che l'epidemiologo e l'ambientalista procedono ognuno con i propri studi, stiamo cercando, da ormai dieci anni, di associare lo studio ambientale con quello epidemiologico. Anche in questo caso, quindi, abbiamo cercato di raccogliere il maggior numero di dati possibili, alcuni dei quali erano, peraltro, già in nostro possesso, essendo noi, insieme a ISPRA, uno dei due enti di consulenza del Ministero dell'ambiente per quanto riguarda l'approvazione di progetti di bonifica dei SIN; altri dati li abbiamo raccolti, invece, in connessione con le ARPA regionali. Insomma, abbiamo cercato di effettuare una caratterizzazione sito per sito, individuando gli inquinanti indice di quel SIN. A questo punto, abbiamo ipotizzato un'esposizione della popolazione residente in tutti i comuni ricadenti nel SIN. È ovvio, però, che questo fattore può essere in alcuni casi sovrastimato e in altri sottostimato perché potremmo avere anche un'esposizione della popolazione al di fuori dei comuni ricadenti o in prossimità nel SIN, così come può accadere che non tutti i comuni che ricadono nel SIN siano esposti a quegli inquinanti. Lo studio si basa, quindi, su questo assunto, deciso da noi.
Per i SIN oggetto dell'indagine abbiamo analizzato la mortalità nel periodo 1995-2002 per 63 cause di morte. Rispetto ai risultati, posso solo fornirvi degli appunti perché stanno per essere pubblicati su un numero monografico di «Epidemiologia e prevenzione», la migliore rivista nazionale


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in materia di epidemiologia ambientale. Ovviamente, appena la rivista sarà disponibile, invieremo - come abbiamo anticipato nell'audizione della scorsa estate - una copia a ogni membro della Commissione. Ad oggi, quindi, non posso rilasciare una documentazione completa in quanto la stiamo, appunto, per pubblicare. Si tratta di dati sensibili anche in termini di comunicazione, per cui stiamo cercando di andare, contestualmente, regione per regione a spiegare il dato.
Fondamentalmente, dallo studio emerge - come era ovvio - che abbiamo un eccesso di mesotelioma pleurico nei siti dove abbiamo presenza di amianto (Balangero, Emarese, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fribonit e Biancavilla), che copre un 10 per cento della mortalità in eccesso che abbiamo riscontrato nell'insieme. Nel dettaglio, nel periodo 1995-2002 nei SIN con amianto e altre sorgenti di inquinamento associabili sono stati riscontrati 416 casi di mesotelioma in eccesso rispetto all'atteso. Del resto, come sapete, per quanto riguarda l'esposizione all'amianto e la presenza di mesotelioma siamo ancora nella curva ascendente perché ci aspettiamo il massimo del picco nei prossimi anni, entro il 2020, dopodiché si comincerà a scendere di nuovo, visto che i tempi di latenza per l'insorgenza del tumore sono di almeno 30 anni. L'esposizione, infatti, è terminata meno di venti anni fa. Questo era, dunque, un dato atteso.
Abbiamo, poi, degli eccessi di mortalità per tumore polmonare e malattie respiratorie non tumorali a Gela e Porto Torres. Si tratta, però, di patologie definibili a eziologia multifattoriale.
A questo riguardo, vorrei evidenziare che abbiamo scelto i siti di bonifica oggetto dello studio perché coincidono, più o meno, con i più grandi siti industriali italiani in attività o dismessi. Pertanto, non possiamo ipotizzare che gli eccessi di mortalità che abbiamo riscontrato siano dovuti esclusivamente a fenomeni di contaminazione del suolo e delle acque all'interno delle aree industriali perché è difficile che la popolazione residente in un comune che ricade in un SIN o vicino ad esso sia esposta al suolo della zona industriale. Insomma, il bambino non va a giocare all'interno dell'area industriale. Per esempio, nei casi di Gela e Porto Torres - Gela in particolare - era molto facile prevedere i dati a priori già in base alla struttura del luogo. Pensiamo, quindi, che le patologie a eziologia multifattoriale riscontrate siano state provocate maggiormente dalle emissioni della raffineria, a Gela, e del polo petrolchimico, a Porto Torres. Peraltro, Gela si è sviluppata attorno alla raffineria; il centro della città è praticamente rappresentato dalla raffineria. Anche a Taranto e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese abbiamo degli eccessi di mortalità associabili più a un ruolo delle emissioni dagli stabilimenti metallurgici, visto che - ripeto - è difficile ipotizzare l'esposizione della popolazione a suoli e acque contaminate all'interno del sito industriale.
Inoltre, l'inquinamento ambientale ha un possibile ruolo eziologico negli eccessi di mortalità per malformazioni congenite. In questo caso, abbiamo anche delle condizioni morbose per i natali a Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres. Infatti, oltre la mortalità per causa, sono state studiate - avevo dimenticato di dirlo prima - le malformazioni congenite.
Abbiamo riscontrato, poi, delle insufficienze renali, per le quali svolge un ruolo causale l'esposizione a metalli pesanti, a IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e a composti alogenati, nelle aree di Massa Carrara, Piombino, Orbetello, basso bacino del fiume Chienti e Sulcis-Iglesiente-Guspinese. Anche in questo caso, ipotizziamo un fenomeno di contaminazione dovuto alle attività industriali che si sono svolte nel sito. In altri casi, come Orbetello, si potrebbe ipotizzare anche un'esposizione della popolazione attraverso la catena alimentare, a partire dalla contaminazione dei sedimenti, visto che la laguna di Orbetello è caratterizzata da un allevamento intenso di acquacoltura, per cui è possibile supporre un'esposizione della popolazione anche attraverso la dieta, non solo attraverso le emissioni industriali.
Eccessi per malattie neurologiche per le quali è possibile un ruolo eziologico per piombo, mercurio e solventi organoalogenati


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sono stati osservati a Trento Nord, caratterizzata dal fenomeno, anche abbastanza diffuso, di inquinamento da piombo perché vi era stata la contaminazione delle rogge distribuite nel territorio cittadino, quindi ci può essere stata un'esposizione a questo materiale dovuta non solo a emissioni industriali, ma anche ad altre matrici. Abbiamo, poi, Grado e Marano e il basso bacino del fiume Chienti.
Un dato noto che abbiamo confermato, visto che già vi erano stati molteplici studi, è l'incremento dei linfomi non Hodgkin a Brescia, che si è messo in relazione all'esposizione a PCB (policlorobifenili) diffusa in tutta l'area cittadina, anche in questo caso per un problema di trasporto della contaminazione attraverso le rogge, un sistema di canali che erano utilizzati anche a scopo irriguo, nei quali vi era proprio lo scarico della Caffaro, che produceva, appunto, PCB. Abbiamo, quindi, un fenomeno di inquinamento in tutta l'area bresciana, comprese le aree agricole, con un'esposizione potenziale della popolazione attraverso la dieta.
Ecco, in estrema sintesi, queste sono le risultanze dello studio SENTIERI.

DANIELA MAZZUCONI. Innanzitutto, ringrazio la dottoressa Musmeci dell'esposizione molto interessante. Spesso, in occasioni di visite della Commissione o in altre circostanze, veniamo sollecitati ad approfondire i problemi di carattere sanitario, non solo per quanto riguarda i SIN, ma anche per altri siti fortemente contaminati. Infatti, questo è l'aspetto che desta più allarme nelle popolazioni, che non amano i terreni contaminati e sono sempre molto timorose dei danni che possano venire alla salute. Vorrei, quindi, sapere, sulla base dei dati di cui disponete attraverso questo studio o altri, se si può pensare, in prospettiva, a un'azione preventiva che si fondi su modelli acclarati. Per esempio, se è possibile sapere che, se si costruisce un certo tipo di impianto di una certa estensione, sono possibili alcuni tipi di ricadute epidemiologiche. In prospettiva, potremmo arrivare a un momento in cui siamo in grado di fare una riflessione del genere?
Chiedo questo perché ogni volta che viene proposta alle popolazioni la costruzione di un nuovo impianto, anche di utilità, la prima reazione è proprio la paura che siano introdotte nuove malattie. Per esempio - per collegarmi a un caso che ha citato - durante la visita a Brescia siamo stati sollecitati a proposito dell'area di Montichiari, che è molto pesante, su cui ci sarà, peraltro, anche l'insediamento di una discarica di amianto. Questa area grava, infatti, non solo sui comuni limitrofi, ma anche sull'Alto mantovano. Ora l'ASL di Mantova ha fornito dei dati preoccupanti proprio su ciò che arriva dalla Bassa bresciana verso l'Alto mantovano.
Del resto, l'ASL di Mantova - come ha detto anche lei - è stata molto attiva e spesso è stata anche in contrasto rispetto a notizie che venivano da altre fonti. Durante la visita a Brescia ci siamo sentiti opporre, per esempio, dal direttore della ASL di Brescia la mancanza di finanziamenti e quindi l'impossibilità di realizzare uno studio sulle aree bresciane. Insomma, vi è una situazione singolare in cui l'Alto mantovano pone la questione dell'area di Montichiari, ma la ASL di Brescia non solleva il problema perché ritiene - stando a quanto ha riferito alla Commissione - che non siano state fatte indagini epidemiologiche. Tutto questo, ovviamente, allarma la popolazione.
Inoltre, da questo punto di vista, la possibilità di adottare procedure standardizzate su tutto il territorio nazionale aiuterebbe anche a capire i dati, altrimenti capita che qualunque docente universitario, sebbene fornito di buone intenzioni, effettua delle analisi diverse da quelle di un altro docente o consulente. Credo, invece, che la popolazione abbia bisogno di sicurezza in materia. Vorrei, pertanto, capire cosa ne pensa, anche perché per alcuni SIN vi sono state delle controversie proprio sui dati epidemiologici emersi.
Un'altra questione che vorrei porre riguarda non già la ricerca SENTIERI, bensì un caso specifico che coinvolge l'Istituto superiore di sanità. Questa Commissione si è più volte occupata del caso di Pioltello-Rodano, che è uno dei SIN citati anche nel


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vostro studio, per il quale è nato un problema relativo alla classificazione di alcuni rifiuti ai quali è stato cambiato il codice, destando l'allarme della popolazione e dei politici. Insomma, andando a fondo della questione è emerso che sono stati richiesti molteplici pareri, che, però, si rifanno tutti a una comunicazione dell'Istituto superiore di sanità, che è - almeno per come l'ho letta io - abbastanza preoccupante. In pratica, si consente la modifica di un codice rifiuti a prescindere dal fatto che a seguito della miscelazione dei rifiuti stessi - peraltro, ci hanno detto poc'anzi come li hanno miscelati - venga fatta un'analisi. Credo, invece, che un rifiuto analizzato come 19 13 02 possa essere trasformato in 19 12 12 solo in base a un'analisi, non a una procedura. Per contro, all'apparenza, questa nota dell'Istituto superiore di sanità sembra aver concesso il cambiamento di codice solo attraverso una procedura, non in base a un'analisi. Ovviamente, chi ha effettuato il cambiamento del codice si è ben guardato dal fare un'analisi dell'esito finale. Del resto, ci è appena stato riferito che due discariche di nerofumo sono state miscelate con terreni presenti in situ, cosa quantomeno stravagante, visto che il sito è contaminato al punto che provocava anche delle reazioni fisiche alle persone che vi entravano.
In sintesi, capisco che l'ISS può essere chiamato a dare pareri - non pongo, ovviamente, problemi di competenza - vorrei, però, sapere sulla base di quali elementi si concede di cambiare un codice, anche perché una lettera del genere viene poi utilizzata - se ben capisco quanto è accaduto - in un altro modo.

STEFANO GRAZIANO. Abbiamo fatto un'audizione sulla vicenda Bagnoli, dalla quale si evinceva una divaricazione tra il parere di un docente di geochimica e il lavoro condotto dall'ARPAC attraverso il laboratorio interno di Bagnolifutura. Mi pare che anche l'Istituto superiore di sanità affermava che non vi fossero problemi. Se ricordo male, vorrei conoscere l'opinione dell'ISS sulla questione.
Vorrei, inoltre, capire se è possibile immaginare un'indagine che leghi i rifiuti tossici, interrati dalla criminalità organizzata in zone come quella del casertano, all'inquinamento delle falde o dei terreni in rapporto ai tumori che si manifestano in quell'area. Ecco, chiedo se un'indagine simile c'è oppure se è possibile e, eventualmente, come realizzarla. Questo sarebbe un elemento importante, visto che in alcune aree il problema diventa molto pesante, per la Commissione.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. In merito alla prima domanda, devo dire che sono pienamente d'accordo. Difatti, stiamo lavorando affinché vi sia una maggiore sensibilizzazione da parte del Ministero della salute per mettere a punto una procedura di VIS (valutazione impatto sanitario) obbligatoria, come la VIA (valutazione impatto ambientale). A livello regionale, peraltro, si fanno già certificazioni di questo genere perché alcune regioni hanno emanato delle procedure con le quali richiedono, in fase di approvazione dei progetti, che sia svolta anche una VIS, oltre alla VIA cui è già obbligato il progettista. Tuttavia, a oggi, a livello nazionale, non c'è una procedura standardizzata di VIS.
Insomma, occorre - senza voler codificare tutto, visto che non condivido la tendenza in atto di adottare sistemi estremamente rigidi nella gestione dell'ambiente - provvedere a una standardizzazione della procedura di VIS al fine di definire i criteri da prendere in considerazione, i dati da analizzare, la loro elaborazione e così via. Stiamo, quindi, lavorando su questo tema.
Oltretutto, sotto questo aspetto, siamo stati chiamati anche a collaborare con l'ISDE (International Society of Doctors for the Environment). A fine novembre vi sarà, infatti, un convegno al quale partecipiamo con il Ministero della salute. Nello specifico, sto lavorando con la direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute affinché dal prossimo anno si possa mettere in piedi un gruppo


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di lavoro oppure diano mandato a noi per concretizzare delle linee guida a livello nazionale in merito a una procedura di VIS da richiedere prima della realizzazione delle opere infrastrutturali e, più in generale, delle grandi opere, compreso, ovviamente, il settore della gestione dei rifiuti.
D'altronde, è comprensibile che i cittadini si preoccupino per la loro salute. Per esempio, abbiamo realizzato una sorta di VIS su istanza del comune di Verona, che doveva chiudere un pezzo della circonvallazione per collegare la parte della grande viabilità che va verso Venezia e il Nord Europa. Anche in quel caso, ancorché questo anello corresse fuori dall'area cittadina, quindi in una zona molto meno antropizzata - mentre oggi la città è attraversata anche da mezzi pesanti che devono collegarsi con la grande viabilità del Nord - i cittadini erano preoccupati e chiedevano a un ente terzo la valutazione dello stato di salute e dell'alterazione dello stesso a seguito di quest'opera infrastrutturale. Di fatto, si trattava di una VIS. Bisogna, dunque, stabilire i criteri con cui condurre la VIS e cercare di lavorare in connessione con gli enti territoriali, anche per poter dare le risposte che giustamente i cittadini chiedono.
In relazione alla questione del codice rifiuti, devo rilevare - senatrice Mazzuconi - una piccola imprecisione in quanto ha detto. Nel merito tecnico darò, poi, la mia opinione. Tuttavia, in merito all'applicazione e non all'interpretazione della legge, perché la legge si applica, non si interpreta, come mi hanno insegnato...

PRESIDENTE. Prima si interpreta e poi si applica.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Certo, ma le interpretazioni non sono mai univoche perché l'italica fantasia è sempre in gioco. A ogni modo, rifacendomi all'interpretazione della legge di chi è più competente di me, vorrei chiarire che l'Istituto non concede autorizzazioni, ma emette un parere sulla base di una richiesta. Bisogna, quindi, vedere innanzitutto come è formulata la richiesta. Inoltre, il parere è emesso senza andare sui luoghi. Del resto, il dipartimento di cui sono direttore, che è diviso in 16 unità, per un totale di 280 persone, tra cui 100 ricercatori che sono impegnati su tutto ciò che riguarda l'ambiente e non solo, emette tra i 1000 e i 1500 pareri all'anno. Diamo, quindi, un numero di pareri enorme, per cui spesso procediamo senza conoscere la realtà specifica. Ecco, forse in questo caso occorre esplicitare questo aspetto. In pratica, se nella richiesta viene affermato di avere dei rifiuti provenienti da una bonifica con un certo codice, e si propone di fare un trattamento di vagliatura o miscelazione e si vuol sapere se, a seguito di questo trattamento sia possibile cambiare codice, noi verifichiamo sul CER (catalogo europeo dei rifiuti) che stabilisce che i codici 1913 valgono per i rifiuti provenienti dalla bonifica e quelli 1912 vanno attribuiti ai rifiuti che provengono da trattamento. D'altronde, non solo come Istituto, ma anche come Ministero, come segreteria tecnica del Ministero e così via, abbiamo sempre detto che i codici del 1913 vengono assegnati quando vi è un'operazione di bonifica che non comporta trattamenti - cioè prendo il suolo, lo escavo e lo smaltisco - mentre attribuiamo il 19 12, quindi il codice del trattamento, quando c'è, appunto, un trattamento. Sosteniamo questo anche come segreteria tecnica del Ministero dell'Ambiente nell'ambito delle bonifiche. A ogni modo, nel caso di specie, questo era il parere, sulla base di una richiesta così formulata. Si chiedeva, infatti, se fosse stato possibile cambiare codice a seguito di un trattamento e, verificando sul CER, lo era.
Inoltre, vorrei evidenziare che l'assegnazione del CER non avviene a seguito di un'analisi, ma - come dice la legge - sulla base dell'origine del rifiuto. A questo proposito, la Commissione europea stabilisce una procedura, recepita puntualmente dallo Stato italiano. Il codice CER si attribuisce in funzione dell'origine del rifiuto. L'analisi interviene - come giustamente ha detto lei - solo quando si ha un


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codice a specchio «pericoloso o non pericoloso». Tuttavia, a me non è stato chiesto se il rifiuto in questione fosse pericoloso o meno, non avrei potuto fare alcuna analisi. L'Istituto - insisto - emette pareri senza eseguire analisi.

DANIELA MAZZUCONI. Questo è chiarissimo dalla lettera. Infatti, ho detto che l'Istituto superiore di sanità ha svolto la parte che doveva. Il problema è stato generato dall'interpretazione di questa lettera che credo abbia consentito una trasformazione senza procedere a ulteriore analisi. Approfondiremo, però, questo aspetto, ponendo un quesito scritto all'avvocato Pelaggi, che era commissario del sito, anche perché oggi abbiamo scoperto che il trattamento è stato fatto in loco e così via. Non entro nel merito. Tuttavia, siccome è una questione che stiamo seguendo da tempo e che ha allarmato le popolazioni, specie dove c'era la presenza dell'impianto di smaltimento finale che riceveva i materiali, mi sono permessa di farle questa domanda, visto anche che siamo venuti in possesso, grazie ai nostri uffici, di questa lettera preziosissima che chiarisce l'ottica in cui si muove l'Istituto superiore di sanità, il cui utilizzo è stato, però, un poco diverso.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Vorrei ribadire che l'Istituto non fa le analisi e che non c'era una richiesta di tipo «pericoloso o non pericoloso». Le analisi sono previste unicamente quando abbiamo una voce specchio per capire se vi sono sostanze pericolose e se queste superano i valori limite.
Passo, ora, al discorso Bagnoli. Conosco solo dai giornali le deduzioni del professor De Vivo - so il nome e cognome perché lo leggo, appunto, sui giornali - ma non ne ho nozione puntuale. Peraltro, conosco il professor De Vivo, avendo fatto parte con lui, insieme ad altri cinque componenti, di una commissione di esperti su Bagnoli, nell'ambito della quale egli ha approvato, congiuntamente al Ministero dell'ambiente, il primo progetto definitivo di Bagnoli. Quindi, il Ministero dell'ambiente ha approvato nel 2002 il progetto definitivo di Bagnoli sulla base di un parere positivo della commissione di esperti di cui faceva parte anche il professor De Vivo. Successivamente il progetto ha subito alcune rimodulazioni, a fronte di alcuni interventi determinati anche dalla complicazione della situazione rispetto al 1996 - la società è diventata Bagnolifutura, nella quale è entrato anche il comune e via dicendo). Insomma, il professor De Vivo ha fatto parte con me della commissione di esperti dal 1996 al 2002. In seguito, ha effettuato delle indagini di cui non conosco gli esiti se non da notizie di stampa.
Come istituto, stiamo conducendo dalla primavera del 2011 uno studio molto articolato sul sito di Bagnoli, commissionatoci dal Comune di Napoli, per ricaratterizzare alcune aree del sito che debbono essere aperte alla libera fruizione da parte dei cittadini - l'area sport, le aree pubbliche i parchi e via dicendo - e valutare se realmente si è raggiunto l'obiettivo di bonifica stabilito dal progetto approvato. Resta inteso, ovviamente, che la certificazione di avvenuta bonifica non spetta a noi, ma alla provincia e all'ARPA. Pertanto, la provincia e l'ARPA hanno dato la certificazione di avvenuta bonifica, ma il comune ha chiesto all'istituto, a ulteriore sicurezza, prima di aprire le aree alla fruibilità, uno studio per valutare ulteriormente lo stato dei suoli, del soil gas - cioè dei gas interstiziali presenti nel suolo - e dell'aria - cioè della polverosità, degli altri inquinanti che possono essere presenti e delle deposizioni al suolo; non indaghiamo, invece, l'acqua perché ci limitiamo alle matrici alle quali può essere esposto il fruitore dell'area.
Chiaramente, non abbiamo ancora completato questo studio, anche se la scorsa settimana abbiamo inviato alla società a Bagnolifutura, partecipata dal comune, un altro stato di avanzamento del lavoro. Ora, non so se i siti su cui abbiamo fatto questi ulteriori accertamenti siano gli stessi su cui ha lavorato il professor De Vivo perché non so nulla della sua relazione. Per parte nostra, stiamo operando con un progetto approvato dal comune e


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dagli enti che fanno parte della società Bagnolifutura, il quale prevede anche uno studio epidemiologico su tutta l'area per valutare i dati - che sono molto difficili da reperire - delle ricadute atmosferiche delle emissioni dei camini quando era attiva la zona industriale. Non si tratta proprio uno studio di coorte; è uno studio epidemiologico di tipo geografico più calato sul territorio; non offre, insomma, una vista dall'elicottero, ma da un'altezza inferiore. A ogni modo, a partire da questo intendiamo sviluppare modelli di ricaduta, risalendo a trent'anni fa, visto che valutiamo i dati sanitari dal 1980 in poi. Non so, però, se riusciremo a fare anche uno studio sulla residenza nell'ambito delle aree ritenute di maggiore ricaduta delle emissioni quando lo stabilimento era in attività. Valuteremo, comunque, lo stato di salute delle popolazioni residenti nell'area di maggiore impatto delle emissioni industriali dagli anni Ottanta a oggi.
Arrivando ai giorni nostri, studieremo anche gli eventuali impatti delle operazioni di bonifica. Infatti, un'altra delle ennesime polemiche sull'area di Bagnoli, che ho seguito in prima persona fin dal 1996, è legata al maggiore rischio che vi potrebbe essere durante le operazioni di bonifica. Ora, è ovvio che un'operazione di bonifica che prevede una movimentazione suolo comporti il rischio di una aumentata polverosità. Oltretutto, nell'approvazione del progetto definitivo erano anche previste delle stazioni di campionamento per la polverosità ambientale e i dati non hanno evidenziato, nel corso della bonifica, una sostanziale modifica, anche se, ovviamente, si è registrato un incremento della polverosità.

STEFANO GRAZIANO. Cosa intende per «sostanziale modifica»? Che non c'era e non c'è inquinamento?

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Non voglio dire che, se normalmente abbiamo 10 microgrammi di polveri sottili, durante la bonifica arriviamo a un milione. C'è, però, un aumento, che non saprei quantificare in questo momento. D'altra parte, non seguo più questa vicenda da un anno e mezzo, da quando sono direttore di dipartimento, cosa che mi fa essere meno operativa sul territorio. In ogni caso, in alcune aree, durante un movimento terra, le centraline a immediato ridosso dell'area di Bagnoli hanno evidenziato un incremento, non di migliaia di volte, ma comunque un incremento, che era, peraltro, naturale aspettarsi perché la movimentazione suolo aumenta automaticamente la polverosità ambientale.
A parte questo, il nostro studio riguarda varie matrici - suolo, aria, gas interstiziali - dopodiché vi sarà lo studio epidemiologico.
Vengo ora alla domanda sulla correlazione tra rifiuti tossici interrati, contaminazioni della falda e tumori. Ovviamente, un rifiuto pericoloso - come vuole la legge, comprendendo il tossico, il nocivo, il cancerogeno e via discorrendo - interrato, in relazione alla sua tipologia, cioè se è in una forma fisica e chimica tale da rilasciare sostanze nel suolo - essendo quest'ultimo trasmettitore di contaminazione - può arrivare alla falda. Tuttavia, sul nesso tra smaltimento abusivo di rifiuti e alterazione dello stato di salute valgono tutte le considerazioni che ho fatto precedentemente.
Indubbiamente, in quello che viene definito - non da noi - il triangolo della morte, cioè l'area tra Caserta e Napoli, gli studi epidemiologici che abbiamo condotto rilevano un'ipotetica associazione - anche se non è il termine propriamente corretto - tra lo smaltimento dei rifiuti pericolosi e l'alterazione dello stato di salute. Nel nostro studio avevamo cercato di caratterizzare tutte le aree, in collaborazione con l'ARPA...

PAOLO RUSSO. Smaltimento illecito dei rifiuti.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Si, avevamo realizzato una matrice, in cui avevamo attribuito un punteggio più elevato alle aree in cui c'era


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abbandono di rifiuti, quindi soprattutto in cave e laghetti, dove non era possibile vedere il rifiuto, ma si presupponeva vi fossero stati abbandoni di rifiuti pericolosi. Abbiamo, poi, verificato cumuli di rifiuti presumibilmente pericolosi, dove abbiamo trovato amianto o copertoni bruciati che danno origine a diossina, IPA e via dicendo, quindi, potevano essere diventati molto pericolosi. Insomma, avevamo attribuito un punteggio, con un fattore di magnitudo, in funzione della grandezza degli smaltimenti abusivi di rifiuto. Avevamo studiato, poi, la popolazione residente in un raggio di 2 chilometri dal sito di abbandono e avevamo valutato un'ipotetica associazione tra l'abbandono di rifiuti pericolosi e l'alterazione dello stato di salute, associazione che non verificavamo più man mano che ci si spostava verso punteggi più bassi, correlati alle discariche autorizzate di rifiuti. Pertanto, in prossimità di discariche autorizzate di rifiuti non abbiamo constatato un'alterazione statisticamente significativa in relazione ad alcune cause di morte, di morbilità o di malformazioni nella popolazione, mentre in alcune aree, nelle quali eravamo abbastanza certi, sulla base dei dati forniti dell'ARPA e di alcuni sopralluoghi effettuati da noi, che c'era stato abbandono di rifiuti pericolosi o bruciati - infatti, uno dei più grandi pericoli è bruciare i rifiuti a fiamma libera - abbiamo riscontrato una potenziale associazione con un'alterazione dello stato di salute della popolazione residente.

PRESIDENTE. Vorrei chiedere un chiarimento. Le verifiche epidemiologiche sono effettuate solo in relazione alla causa di morte o anche esaminando, per esempio, gli alimenti, i bambini e quant'altro. Insomma, vorrei capire qual è l'area di accertamento.

LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Gli studi epidemiologici ambientali derivano dall'epidemiologia occupazionale, che era ben connotata e con una precisione scientifica maggiore perché quando si entra in un'industria si sa quali sono le materie che si utilizzano e quindi si conoscono le sostanze a cui il lavoratore è esposto, ad esempio cloruro di vinile, tricloroetilene e via dicendo. Dai dati di letteratura di tossicità delle sostanze è noto quali sono gli organi bersaglio e come alterano lo stato di salute, per cui, a seguito dell'indagine epidemiologica, l'associazione diviene possibile. Per contro, nell'ambiente vi sono molteplici fattori confondenti che derivano da stili di vita, abitudini alimentari, abitudine al fumo, esposizione professionale e quant'altro, oltre all'esposizione ambientale diretta, per inalazione o ingestione, o indiretta, attraverso la dieta. Insomma, sono talmente tanti i fattori confondenti che è estremamente difficile valutare le associazioni con certezza. Pertanto, è difficile che uno studio di epidemiologia ambientale che si concluda con un'ipotesi certa. Questi studi sono, però, utili perché servono a evidenziare su un territorio vasto le aree che meriterebbero un approfondimento, che consiste in uno studio di coorte, con verifica delle residenze; realizzazione di interviste con la popolazione per conoscere gli stili di vita e gli stili alimentari; studio dei bambini; valutazione del tipo di occupazione professionale, delle abitudini al fumo e di eventuali alterazioni genetiche già note per quell'area; esposizione attraverso la dieta; analisi degli alimenti e quant'altro. Tuttavia, per uno studio del genere occorrono milioni. Noi, invece, operiamo con le nostre forze, a costo zero, nel senso i nostri studi sono finanziati in piccolissima parte dal Ministero della salute. Per realizzare uno studio approfondito su 44 siti avremmo dovuto analizzare centinaia di migliaia di campioni.

PRESIDENTE. È singolare che il censimento della popolazione che stiamo facendo tutti non preveda neanche una domanda sulla salute. Insomma, vi sono domande di scarsissimo interesse - metri quadri abitati, dati di eventuali ospiti - ma non c'è nessuna domanda sulla salute, sulla presenza di fabbriche in loco o sul tipo di alimentazione.


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LOREDANA MUSMECI, Direttore del dipartimento di ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto Superiore Sanità. Sarebbe molto utile, perché noi ricaviamo molti dati dal censimento.

PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Musmeci del suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

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