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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-IV-X Camera e 3a-4a-10a Senato)
1.
Giovedì 6 dicembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

Audizione del Ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, sul contributo italiano alla costruzione della dimensione europea della difesa (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 7 14 15 18
Bosi Francesco (UdCpTP) ... 9
Carrara Valerio, Presidente della 4a Commissione del Senato ... 7
Dini Lamberto, Presidente della 3a Commissione del Senato ... 11
Di Paola Giampaolo, Ministro della difesa ... 3 14 15
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 9
Frattini Franco (PdL) ... 8
La Malfa Giorgio (Misto LD-MAIE) ... 12
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 11
Pinotti Roberta (PD) ... 10
Tempestini Francesco (PD) ... 13
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - IV (DIFESA) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
3A (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 4A (DIFESA) - 10A (INDUSTRIA, COMMERCIO, TURISMO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 6 dicembre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 8,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, sul contributo italiano alla costruzione della dimensione europea della difesa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, sul contributo italiano alla costruzione della dimensione europea della difesa.
Porgo il benvenuto ai presidenti delle Commissioni e al Ministro che ringrazio per la sua disponibilità. Ringrazio, altresì, la Presidenza della Camera dei deputati che ci ha consentito di svolgere questo importante incontro, pur essendo sospesi i lavori parlamentari delle Commissioni per la posizione della questione di fiducia da parte del Governo.
Ai fini di un ordinato svolgimento dei lavori, invito i gruppi a far pervenire al più presto alla presidenza l'elenco dei propri componenti che intendano intervenire. Do, quindi, la parola al Ministro della difesa, Ammiraglio Giampaolo Di Paola.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Ministro della difesa. Signori presidenti, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio di questa opportunità che mi viene data di affrontare un tema, quello della dimensione di difesa europea, che so essere molto caro al Parlamento, ma anche al Governo.
Parlare oggi della dimensione della difesa europea significa in sostanza affrontare due grandi tematiche: la prima è quella della dimensione istituzionale; l'altra quella della dimensione economica, quindi tecnologica e industriale.
Per quanto riguarda la dimensione istituzionale, il Trattato di Lisbona ha posto le premesse per un maggiore sviluppo istituzionale della dimensione di sicurezza e difesa, ha prodotto innovazioni - come avvenuto con la figura dell'Alto Rappresentante, in questo caso la baronessa Catherine Ashton - ha creato l'European External Action Service, che è il primo nucleo della diplomazia europea. Ha, inoltre, realizzato un rafforzamento dell'Agenzia europea di difesa, l'European Defence Agency (EDA).
Inoltre, è bene ricordare che sono sancite dal Trattato di Lisbona le cosiddette «cooperazioni rafforzate», quindi la possibilità che anche nel settore della dimensione sicurezza e difesa alcuni Paesi possano procedere più intensamente rispetto al cammino comune di tutti i Paesi dell'Unione.
Va tuttavia ricordato - si tratta di un punto in questo momento fondamentale, che rende complessa la gestione delle politiche di sicurezza e difesa - che la dimensione della sicurezza e difesa in Europa è una dimensione intergovernativa,


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non comunitaria. Questo crea talune complessità nella gestione delle crisi, perché sussistono contemporaneamente sia la Commissione con i suoi strumenti, sia la dimensione intergovernativa.
Uno dei punti di forza della dimensione di sicurezza e difesa è l'approccio multidimensionale, quello che nel gergo britannico ampiamente usato si definisce comprehensive approach, ossia la gestione non strettamente militare, politica, economica o sociale, ma l'insieme di tutti gli strumenti dell'Unione portati insieme e gestiti in maniera coordinata come modello e come soluzione nella gestione delle crisi.
Il comprehensive approach è il punto di forza della politica estera di sicurezza e difesa dell'Unione e per questo motivo la componente militare, l'European military staff, lo staff militare dell'Unione è posto all'interno dell'External Action Service e non a latere, quindi alle dipendenze delle strutture della baronessa Ashton, per dare questo elemento anche visivo di multimodalità della gestione delle crisi.
In questi ultimi anni, e anche in questi ultimi mesi, c'è stata un'accelerazione dell'azione della sicurezza e difesa dell'Unione europea. Oggi l'Unione europea gestisce una quindicina di operazioni. Quella più importante dal punto di vista della dimensione è la Missione denominata Atalanta, volta al contrasto della pirateria nell'Oceano Indiano e che gestisce anche molteplici operazioni nel Corno d'Africa.
Attualmente, l'Unione europea si sta avviando a gestire un'operazione nell'Africa occidentale, in particolare nel Mali, sviluppando un approccio alla politica nel Sahel - quindi, in Niger, Mali e tutta l'area subsahariana - oltre ad essere presente da tanti anni nei Balcani, sia in Bosnia dove gestisce l'operazione Althea, sia in Kosovo attraverso EULEX.
Ha inoltre una missione, ancorché di più limitata dimensione, anche in Afghanistan e nella Repubblica democratica del Congo. Vi è poi, nel Medio Oriente, la missione EUBAM di osservazione al confine tra Gaza e l'Egitto, sospesa quando la situazione è precipitata, ma che adesso, dopo i recenti avvenimenti, si prevede di riaprire con il controllo, ove dovesse essere ristabilita l'apertura a Rafah, dei passaggi tra l'Egitto e Gaza.
Si tratta quindi di una azione abbastanza importante, molteplice, di varie dimensioni, e tuttavia dobbiamo renderci conto che i meccanismi decisionali di questa realtà - proprio per la molteplicità delle agenzie e delle strutture che fanno parte dell'Unione europea e quindi la difficoltà di coordinarle - creano certamente dei problemi.
Da qui il problema dell'evoluzione dei processi di gestione delle crisi e quindi quello che oggi si chiama il volée istituzionale di una maggiore integrazione europea.
Perché ora? È chiaro che in questo momento in Europa c'è un processo di riflessione su quella che è una maggiore integrazione politica.
Se riusciremo a farla maturare, questa si baserà essenzialmente su due volée: il volée economico-finanziario e il volée politico e di sicurezza. Del resto, da sempre moneta, politiche fiscali e politiche di sicurezza sono le caratteristiche essenziali di una realtà istituzionale, sia che si tratti di un singolo Stato, sia che rappresenti una realtà sovranazionale.
Non è quindi pensabile un processo di integrazione politica dell'Unione europea senza una crescita e un approfondimento della dimensione di sicurezza. Per questo motivo negli ultimi tempi ci sono stati vari contributi di idee e di pensiero su queste tematiche. L'Italia insieme a un gruppo di altri Paesi, il cosiddetto Gruppo Weimar Plus (Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna) ha creato un'intensificazione dei rapporti proprio per spingere sull'idea dell'importanza delle missioni di sicurezza e del percorso di maggiore integrazione politica dell'Unione europea.
In questo contesto l'Italia sta svolgendo un ruolo di tutto rilievo grazie all'impulso che viene dal Parlamento, in quanto ripetutamente in tale sede emerge il tema di «più Europa» e quindi si sollecita il Governo a lavorare in questa direzione.
Anche il Presidente Napolitano si è espresso a più riprese in tal senso con


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interventi importanti come quello fatto all'Assemblea nazionale francese durante la sua visita di Stato in Francia, intervento di grande respiro e di grande spessore politico proprio nella dimensione europea.
È chiaro quindi che in Italia e nel Parlamento italiano c'è questo impulso e, pertanto, attraverso un'azione congiunta esteri e difesa abbiamo sviluppato un documento che ha preso il nome di More Europe.
L'abbiamo fatto circolare prima nell'ambito del Weimar Plus e poi anche presso i nostri amici britannici, perché una dimensione di sicurezza e difesa in Europa difficilmente può prescindere dalle realtà e dalle capacità militari della Gran Bretagna che sono di tutto rispetto, se non addirittura le più importanti quantomeno in Europa.
Infine, lo scorso 19 novembre a Bruxelles, in occasione della riunione del Consiglio affari esteri e difesa, insieme al Ministro Terzi lo abbiamo presentato a tutti i Paesi europei. Vari Paesi o rassemblement di Paesi hanno presentato altri documenti, ma il nostro ha ricevuto un'ottima accoglienza, e la cosa che mi ha più sorpreso è che anche gli inglesi, che pure non hanno partecipato alla stesura di queste idee, abbiano espresso apprezzamento per il documento in sede di Consiglio degli affari europei.
Il documento evidenzia cinque aspetti fondamentali della missione europea di sicurezza e difesa, che noi abbiamo chiamato «le cinque C», perché il documento è in inglese, ovvero commitment - quindi impegno - capacità, connettività, connessione e comprehensive, ossia approccio comprensivo.
Questi cinque concetti, intorno ai quali si dovrebbe sviluppare la politica di sicurezza e di difesa europea, sottendono e sostengono quattro volée, che a nostro avviso devono caratterizzare la dimensione europea di sicurezza e difesa.
Innanzitutto, il volée istituzionale. Quando si parla di commitment significa volontà politica e maggior presa di coscienza e consapevolezza della necessità di impegnarsi per una costruzione della difesa europea. Questo richiede anche un volée politico in cui i Parlamenti nazionali - il Parlamento europeo e i Governi, visto che la dimensione è ancora intergovernativa - devono giocare un ruolo importante.
Faccio notare per il volée politico che il Consiglio europeo che si svolgerà fra pochi giorni, il 13 e 14 dicembre, a cui parteciperà ovviamente il Presidente del Consiglio, il senatore Monti, per la prima volta (o almeno per la prima volta con tale attenzione) nelle conclusioni, ma che adesso sono le bozze delle conclusioni perché il documento sarà approvato dal Consiglio europeo, dà ampio spazio alla dimensione di difesa e sicurezza europea.
Dunque, al di là dei volée finanziari, economici e di politica estera che da sempre sono tradizionalmente i contenuti dei documenti del Consiglio europeo, questa volta viene dedicata una grande parte anche importante al volée sicurezza e difesa, peraltro in preparazione di un Consiglio europeo nel dicembre 2013, che sarà dedicato - questo sì per la prima volta - al problema della sicurezza e difesa europea.
Fra un anno, quindi, ci sarà un Consiglio dedicato alla dimensione di sicurezza e difesa. Questo Consiglio, che è l'ultimo del 2012, è un po' il viatico, il lancio delle riflessioni che verranno fatte nel corso del 2013, per approdare poi al Consiglio di dicembre 2013.
Vi è poi il volée istituzionale, di cui non tutti sono entusiasti. Gli inglesi, ai quali notoriamente piace molto il volée capacitivo di cui dirò dopo, cioè le capacità operative e militari, quando si parla di volée istituzionale sono sempre più tiepidi, essendo questo il loro approccio alla visione dell'Unione europea.
Il volée istituzionale richiede tuttavia dei progressi, perché, come ho detto prima, la complessità della gestione delle crisi tra i vari attori frammentati che costituiscono la realtà di Bruxelles crea difficoltà e a volte anche lentezze nel coagulare una visione comune. Riteniamo quindi che nei meccanismi di gestione delle crisi, per sfruttare la caratteristica


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essenziale dell'Unione europea e la sua capacità di gestirle, che è l'approccio comprensivo, si debba pensare a strutture - dell'Action Service e anche discendenti - politico-militari integrate. Quindi, non strutture politiche settore civile/settore militare, ma strutture integrate.
Questa è l'idea in cui crediamo, che abbiamo inserito nel documento More Europe, su cui stiamo lavorando e su cui l'Italia sta predisponendo un altro documento specificamente dedicato a quest'idea di strutture integrate civili e militari per la gestione delle crisi, che sottoporremo ai nostri partner in un prossimo futuro.
Un altro volée è quello delle capacità. Qui tutti dobbiamo avere la consapevolezza che quando si parla di Europa della difesa si parla di un'Europa che ha capacità militari vere, non soltanto per operazioni di monitoraggio e assistenza, ed è questo il volée su cui sta lavorando, in particolare, l'Agenzia europea di difesa e su cui ovviamente si dovranno fare gli sforzi maggiori per far convergere le politiche di pianificazione dei vari Paesi europei.
Oggi c'è un'iniziativa che è stata lanciata due anni fa, quella del pooling & sharing, per cui su base volontaria i Paesi possono mettere a disposizione loro asset e capacità, ma è un processo volontaristico (bottom-up) che come tutti i processi volontaristici risente delle volontà o meno di procedere.
Riteniamo che questo approccio bottom-up vada associato a un approccio top-down, cioè di indirizzo su quelle che sono le capacità militari prioritarie, che, come sempre avviene, sono anche le più impegnative dal punto di vista tecnologico ed economico, su cui quindi è necessario far convergere gli sforzi dei vari Paesi.
Queste capacità, infatti, che sono anche le più qualitative, con un approccio bottom-up finiscono altrimenti con l'essere figlie di nessuno, perché sono quelle più impegnative, più dolorose, più costose, e quando ci si impegna a farle e si sviluppa una capacità in comune non ci si può poi sottrarre quando si decide di usarla.
Questo chiama in gioco anche il discorso del coordinamento del Parlamento europeo, perché oggi sono ancora i Parlamenti nazionali che decidono dell'impegno delle proprie forze e quindi delle proprie capacità. Quando si va su tematiche delicate di certe capacità importanti (parliamo di difesa missilistica, di spazio), una volta che si parte non ci si può tirare indietro. È quindi necessario un commitment politico, quindi un indirizzo top-down.
Vi è inoltre il volée tecnologico e industriale. Rispetto ai nostri alleati transatlantici, ma anche rispetto all'Asia e ai suoi Paesi emergenti, l'Europa complessivamente investe certamente poco nella tecnologia e nella ricerca e sviluppo del settore della sicurezza. Teniamo presente che oggi molte di queste tecnologie per la sicurezza sono anche tecnologie duali, per cui hanno spillover anche nei settori non prettamente della sicurezza e difesa.
È quindi opportuna la creazione o la facilitazione di regole per un mercato unico dei materiali della difesa, dove si procede con lentezza perché ogni Paese tende ad avere le sue sensibilità sulle sue industrie e sulle sue tecnologie. È dunque necessario che vi siano regole comuni, apertura di un mercato unico europeo e investimento nella tecnologia.
Anche qui riteniamo che, per quanto concerne i fondi europei della Commissione per i quali, fino ad adesso, la sicurezza e difesa era un tabù, laddove si investe soltanto sulle tecnologie prettamente civili, debba esserci un progresso. Pertanto, siccome molte tecnologie sono duali, occorre che anche la Commissione cominci ad aprirsi alla possibilità (per farlo deve esserci un consenso delle nazioni) di investimenti importanti e comuni in tecnologie fondamentali anche per la ricerca.
C'è poi il problema della necessità di consolidare la base industriale della difesa attraverso politiche industriali a cui, al di là delle scelte operate dai manager delle singole aziende in un libero mercato, i Governi imprimano un indirizzo, tenuto


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conto che nel settore delle grandi aziende dell'industria della difesa in genere i Governi o hanno delle azioni, quindi sono degli stakeholder, o comunque hanno una capacità di influenza.
Lavorare su queste quattro volée significa lavorare alla creazione di una più integrata dimensione europea di sicurezza e difesa, che sarebbe un binario morto se vista in contrapposizione con l'altra organizzazione a cui la maggior parte dei Paesi europei partecipa, che è l'Alleanza Atlantica.
Credo che gli stessi Stati Uniti convengano sul fatto che il rafforzamento della dimensione di sicurezza e difesa dell'Unione europea sia un elemento fondamentale per il rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza Transatlantica, che attualmente è troppo sbilanciato, come sappiamo. Se guardiamo alle capacità militari comprensive dell'Alleanza, oggi oltre il 70 per cento viene dagli Stati Uniti. Questi sono i fatti.
Gli Stati Uniti quindi incoraggiano gli europei ad accrescere le loro capacità militari e gli europei probabilmente lo possono fare meglio insieme. Questo è il percorso, questa è la strada, che non è semplice così come non è stato semplice il lungo percorso dalla moneta europea e come non lo è il percorso che porterà, magari domani, a politiche comuni nel campo fiscale.
Si tratta tuttavia di un percorso da avviare e, in questo senso, è importante la razionalizzazione dei nostri strumenti militari (quello italiano, così come quello degli altri) per avvicinare gli Stati membri in un processo di coerenza che possa portare a un'integrazione quando la politica deciderà di fare questo passo.
Il disegno di legge delega approvato al Senato e che è giunto adesso all'esame dell'Assemblea della Camera, serve proprio a questo: a preparare il nostro strumento militare in coerenza con le risorse esistenti, ma anche con questi indirizzi che si stanno sviluppando all'interno dell'Unione europea. Si tratta di indirizzi che sono comuni ai nostri Paesi alleati nel Weimar Plus, ma anche alla Gran Bretagna e ad altri, in modo da facilitare il percorso di integrazione quando la decisione politica sarà matura. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire, iniziando dal presidente Carrara.

VALERIO CARRARA, Presidente della 4a Commissione del Senato. Buongiorno a tutti. La ringrazio, signor Ministro, per la sua spiegazione. Vorrei porle alcune domande.
Lo scorso 26 novembre, la BBC ha dato notizia dell'attraversamento del Mar Glaciale Artico - con partenza dalla Norvegia, passando dal nord della Russia per arrivare in Giappone - da parte della prima grande nave da trasporto di energia, la OB River, battente bandiera russa, con a bordo 150.000 metri cubi di gas liquefatto.
Nel 2010 il Consiglio europeo ha sottolineato l'importanza e la necessità di sviluppare una strategia coerente di sicurezza marittima, ma da allora non ci sono stati progressi. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona si è incrementata la dimensione marittima della sicurezza europea e, quindi, anche di quella italiana grazie alla capacità dell'Europa di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, contrastare la pirateria, il terrorismo, l'immigrazione clandestina, il narcotraffico, garantire la pesca e la protezione dell'ambiente marino.
Tenendo conto che in campo marittimo si intrecciano interessi politico-economico strategici dell'Italia, del servizio esterno dell'Europa e della NATO, vorrei conoscere la valutazione del Governo italiano nel dare impulso affinché si proceda a una rapida elaborazione della suddetta strategia, in modo tale che sia coerente con la tutela degli interessi politici, economici, industriali, militari e scientifici dell'Italia nelle varie regioni (atlantica, artica, mediterranea, del Mar Nero e dell'Oceano Indiano).
Vorrei chiedere, inoltre, al Ministro come spieghi il vantaggio competitivo in campo tecnologico e industriale, e quindi


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produttivo, della Germania rispetto all'Italia. Grazie.

FRANCO FRATTINI. Credo che l'importante riflessione a cui il Ministro Di Paola oggi ci invita, che io condivido pienamente, ci richiami a un tema su cui si infranse il sogno di De Gasperi negli anni Cinquanta: la creazione di un sistema europeo di difesa integrata.
Oggi, come il Ministro ha sottolineato, questo è un tema soprattutto (se non esclusivamente) politico: non è soltanto quello delle conseguenze in termini di capability, non è soltanto quello dell'ottimizzazione delle risorse in tempo di crisi, ma è il tempo dell'assunzione di una responsabilità politica.
La mia opinione è nota: chi crede nell'Europa, e nell'Europa politica, deve innanzitutto puntare su un'Europa che sia attore sulla scena internazionale. Per fare questo, l'Europa deve essere anche o innanzitutto produttore di sicurezza.
Noi ci siamo abituati nei decenni ad essere consumatori di sicurezza a spese del grande alleato atlantico, e il Ministro ci ricorda i dati che ancora oggi sono lì a dimostrarlo. Penso che oggi il passaggio dell'amministrazione americana a un approccio fortemente multilateralistico nella gestione delle crisi (come, da ultimo, con la crisi libica) stia a dimostrare che quanto più l'Europa sarà in condizione di dotarsi di una strategia davvero europea di difesa e sicurezza, tanto più noi contribuiremo come pilastro europeo all'asse transatlantico. Questa è non solo una convinzione di noi europeisti, ma anche una necessità dettata dalle relazioni internazionali.
Il secondo elemento è l'importanza, che lei, Ministro, ha sottolineato, della presa di coscienza del Consiglio europeo. Non nascondo di aver avuto recentemente occasione di parlare con il Presidente Van Rompuy; apprendere quanto sia divenuta importante questa tematica nell'agenda del Consiglio europeo mi ha dato estrema soddisfazione. Confesso, infatti, che fino a poco più di un anno fa questa non era materia a cui il Consiglio europeo avesse neanche immaginato di poter dedicare una riunione di Capi di Stato e di Governo. Aver fissato nelle conclusioni del vertice di dicembre di quest'anno addirittura una riunione dedicata, da svolgersi il prossimo anno, dimostra una presa di coscienza molto importante.
La terza riflessione, che immagino la troverà d'accordo, riguarda un tema su cui l'Italia ha sempre svolto e sta svolgendo un ruolo importante; l'obiettivo strategico della onnicomprensività che lei ci ha richiamato non può essere interpretato in tempi di crisi come il fare meno perché c'è la crisi, bensì come il fare meglio ottimizzando le risorse che esistono. Spesso si tende a dire che c'è la crisi e il tema sicurezza è forse il primo a subirne gli effetti.
Ritengo che questo quadro onnicomprensivo, questo quadro di integrazione maggiore che lei ha richiamato ci possa condurre a un concetto di far meglio e non di far meno. Il far meno è ovviamente frutto di una visione miope, che farebbe perdere peso alla politica estera europea e alla politica sulla scena internazionale.
L'ultima riflessione è la seguente: i meccanismi decisionali sono la chiave perché gli obiettivi che lei ha indicato si realizzino. Penso che, partendo dai nuclei che esistono (Weimar plus certamente lo è), anche profittando del grande impegno francese del presidente Hollande e del suo Libro Bianco, che quando sarà presentato potrà essere un contributo di maggiore commitment della Francia, si dovrà scegliere di usare gli strumenti esistenti anche se non sono strumenti comunitari per andare avanti, senza attendere che tutti gli altri siano pronti.
Lo dico per realismo, ma è ovvio che il nostro sogno sarebbe quello di abolire l'unanimità nel voto nelle decisioni di politica estera. Probabilmente questo non accadrà domani, per cui usiamo questi strumenti a cominciare dalla revisione di quella strategia di sicurezza e difesa che definimmo nel lontano 2003, quando l'Italia aveva la presidenza di turno dell'Unione europea, e che oggi in un mondo cambiato dovrebbe essere uno dei primi punti strategici a cui mettere mano.


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In conclusione, vorrei sapere se si stia lavorando in questa direzione. So che si sta lavorando ma vorremmo chiederle di dirci qualcosa in merito.

FRANCESCO BOSI. Non farò domande, ma esprimerò semplicemente delle valutazioni. La forza politica alla quale appartengo ha una vocazione europeista molto spinta e, quando noi dell'Unione di centro parliamo di integrazione europea, pensiamo innanzitutto che bisogna decidersi a fare dei grandi passi in avanti per affrontare la congiuntura economica che ci vede coinvolti insieme agli altri Paesi europei sia attraverso un coordinamento delle politiche finanziarie ed economiche, sia nell'ambito di ciò che l'Europa vuole essere nei confronti dell'Asia, dei Paesi emergenti e degli Stati Uniti.
La questione oggetto della nostra discussione, cioè la dimensione strategica della difesa, è strettamente correlata a questa visione che vogliamo e dobbiamo avere dell'Europa. Certo è che, come accennato anche dall'onorevole Frattini, se ne parla da molto. Tuttavia, ci sono forti difficoltà dovute anche alle ambizioni dei singoli Paesi che vengono anteposte a quella che dovrebbe essere un'ambizione europea.
Ne parliamo nelle aule del Parlamento tutte le volte che ci troviamo ad affrontare problemi che riguardano anche la difesa, e con riguardo alla competenza della Commissione alla quale appartengo c'è spesso un richiamo a prefigurare delle Forze armate coordinate, forse anche per perseguire economie di scala nella speranza di spendere di meno.
Voglio ricordare che l'Italia - prendendo in considerazione i maggiori Paesi europei - è quello che spende meno per la difesa. Se ne parlava proprio ieri in Assemblea a proposito della discussione sulla riforma dello strumento militare. L'Italia spende per la difesa circa lo 0,9 per cento del PIL, mentre gli altri Paesi viaggiano a una media dell'1,6 per cento. Questo comporta differenze nella consistenza delle Forze armate, che sono uno strumento importante, a volte determinante, ma pur sempre legato a strategie di tipo più generale, che riguardano i rapporti fra gli altri Paesi, gli equilibri e tanti altri fattori.
Dobbiamo quindi cercare di adottare un processo parallelo, decidendo di lavorare per un forte momento di condivisione nella politica estera dell'Unione europea, cercando però di allineare l'interoperabilità fra le Forze armate dei vari Paesi membri dell'Unione europea e contemporaneamente di sviluppare le capacità operative anche a livello industriale, laddove dobbiamo avere un ruolo propulsivo, perché l'industria della difesa dà impulso anche ad altri comparti.
Un'Italia, quindi, al passo con gli altri Paesi e che, nell'attesa che maturino le condizioni per avere addirittura Forze armate europee di cui tante volte si è parlato, possa comunque non perdere il passo con gli altri Paesi e soprattutto sviluppare questa discussione in modo che questa idea parta dal Parlamento per poi diffondersi nel comune sentire dei cittadini, sino a chiedere che l'Europa sia davvero una dimensione unitaria di tutte le politiche, comprese quella economica e quella della difesa. Grazie.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ringrazio il Ministro. Cercherò di offrire alcuni spunti di riflessione per poi porre un paio di domande.
Le riflessioni sono semplici e alla portata di tutti, perché si tratta di un bisogno emerso da qualche tempo ma che poi è stato accantonato non essendoci le opportune condizioni per affrontare il dibattito. In Italia è oramai da anni che non si discute di un nuovo modello di difesa, del futuro delle Forze armate nazionali e del ruolo del Paese sulla scena europea e internazionale.
Credo che il Ministro convenga con me sulla necessità non solo di indicare le linee guida della politica di difesa e sicurezza nazionale e i compiti dell'apparato industriale, ma anche di avviare un'azione programmatica e propositiva in un modello di difesa che risponda alla nostra politica estera e permetta un riassetto


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delle Forze armate e una revisione del modello di difesa esistente.
Ritengo pure che convenga con me sulla constatazione di come sia mancata in Italia la volontà o la capacità di affrontare congiuntamente, almeno sul piano dell'analisi, i complessi problemi tra loro interrelati del settore della sicurezza e di quello della difesa, e della nuova essenziale dimensione delle operazioni miste militari e civili, che stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a livello comune europeo e atlantico.
L'auspicio è quello di giungere a una spesa più intelligente per la difesa e di mettere in comune e condividere una parte più ampia delle capacità, dei bilanci e delle necessità in materia di difesa, garantendo sicurezza ai cittadini e avviando processi per una maggiore trasparenza nei bilanci della difesa.
Giungendo alle domande, vorrei chiederle innanzitutto come alimentiamo la costruzione di una dimensione della difesa europea e della sicurezza e come ci nutriamo di una serie di iniziative, di percorsi e di traiettorie avviati a livello comunitario, soprattutto grazie all'impulso di alcuni Paesi i cui nomi non sfuggono certamente al Ministro.
Vorrei sapere, inoltre, quale ruolo rivesta l'Italia in questo contesto di costruzione della politica di sicurezza e di difesa, perché spesso riveste ruoli di rincalzo direttamente subordinati ad altre scelte, mentre mi auguro che per il nostro Paese sia arrivato il momento di assumere una leadership sotto il profilo non solo culturale, ma anche istituzionale e politico, dimensione che in questi anni è mancata. Grazie.

ROBERTA PINOTTI. La ringrazio, signor Ministro, per questa interessante relazione. Prendo la parola perché, rispetto a tutte le cose dette, sento l'esigenza di sottolineare come il tema di cui parliamo risulti di un'urgenza davvero forte.
Da molti anni è emersa l'esigenza che il secondo passaggio nel processo di costruzione dell'Europa dopo quello nel campo economico avvenisse nel settore della sicurezza e della politica estera e di difesa, ma di fatto, al di là di molti convegni, molte parole e molti auspici, si sono fatti solo piccoli passi avanti.
A volte le cose vengono fatte per obbligo e non per scelta, e oggi si rileva una necessità resa evidente dalla crisi: tutti i Paesi europei spendono meno per la difesa e nessun Paese da solo, proseguendo con questo trend, in futuro potrà considerarsi autosufficiente per quanto riguarda questo tema. Credo che alla costruzione di un'Europa su questi temi debba spingerci una motivazione più profonda della necessità economica, però, mentre fino ad oggi questi passaggi sono stati timidi, forse tale necessità ci consentirà di fare un passo avanti più deciso.
È positivo che nella bozza di risoluzione del Consiglio d'Europa - dopo quello dell'analisi economica - questo tema venga messo in evidenza come tema importante, ma sappiamo che stiamo parlando di una materia intergovernativa, dove poi di fatto si riesce a mettere in comune solo quello che i Governi decidono di condividere.
Inoltre, questo tema riguarda non solo l'esigenza di difesa e sicurezza, ma anche un altro tema importante che il Ministro ha toccato nella sua relazione, che è il tema della capacità industriale, tecnologica e innovativa riguardo all'industria della difesa. Anche a questo riguardo esistono strumenti europei (è stata rafforzata l'Agenzia europea della difesa), ma poi i grandi processi, gli accordi che mettono insieme gruppi e capacità, avvengono al di fuori di ogni dimensione di decisione politica, ovvero in base a scelte operate in un mercato in grande movimento.
Chiudo su questo perché era mio interesse soprattutto sottolineare l'urgenza. Ripetere, pedissequamente, in ogni Stato europeo la stessa modalità negli armamenti senza immaginare come possano essere invece condivisi - garantendo una migliore capacità operativa e una spesa più intelligente e forse anche più contenuta, cosa di cui oggi abbiamo necessità -


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è un rischio anche per le capacità future, non soltanto per la comprensione dell'opinione pubblica.
Mi preoccupa il fatto che, nonostante questa urgenza, i programmi d'arma necessitino di 15-20 anni, cioè non vengano decisi e attuati in poco tempo. Rispetto a un'Europa che procede molto lentamente, a un'esigenza molto urgente e a Governi che continuano a procedere con programmazioni proprie, la tempistica può diventare preoccupante per un futuro in cui, come affermano tutti gli analisti, questa situazione Stato per Stato non regge.
Sapendo che si tratta di politiche intergovernative, oltre al lavoro importante che il Ministro della difesa e il Ministro degli esteri stanno facendo, mi piacerebbe che il Presidente del Consiglio Monti, che è stato così importante per mettere al centro il tema economico e il ruolo dell'Italia, facesse diventare questo tema un tema forte portato avanti da tutto il Governo italiano.
È necessario un forte impulso politico perché, oltre alle buone intenzioni e ai primi timidi passi, questo argomento assuma la velocità necessaria. Grazie.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Apprezzo molto l'impostazione e le prospettive che ha dato il Ministro e, in particolare, l'attenzione dimostrata dichiarando che, a partire dalla prossima riunione, il Consiglio darà grande attenzione alla politica estera di difesa.
Si deve riconoscere però che fino ad oggi le iniziative di Pooling & Sharing, l'Agenzia europea per la difesa, il perseguimento di strutture integrate civili e militari e Smart defence in seno alla NATO sono state tutte iniziative valide, ma il progresso in questa direzione è stato molto lento.
Nella risoluzione dello scorso 22 novembre il Parlamento europeo sottolinea la necessità «che l'Unione affermi la propria autonomia strategica attraverso una politica estera di sicurezza forte ed efficace, che le permetta, se necessario, di agire da sola».
Al di là degli auspici e dei lavori in corso, nelle attuali condizioni economiche e con il livello di capability che abbiamo dei Paesi europei, vorrei sapere se l'Unione europea possa pensare di andare oltre il Berlin Plus in un futuro non lontano, per attuare Missioni di Petersberg e di altra natura.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Vorrei innanzitutto ringraziare il Ministro per questa audizione che avevamo sollecitato - visto che non solo un mese fa, ma anche durante tutto l'anno c'è stato un forte interesse mediatico - e il Ministro Di Paola, il Ministro Terzi e il Presidente Monti in alcuni passaggi avevano dato segnali evidenti in sedi istituzionali europee di un nuovo slancio italiano e del contributo che il nostro Paese sta dando alla dimensione dell'integrazione e della difesa europea.
Ci sembrava quindi opportuno che questo ruolo italiano nelle sedi europee trovasse spazio anche nelle sedi parlamentari italiane. A maggior ragione per il fatto che la dimensione è intergovernativa e quindi il Parlamento europeo può fare ottime risoluzioni però, come il Ministro giustamente ha ricordato, è l'impulso che i Parlamenti nazionali danno ai propri Governi che può determinare un cambio di atteggiamento in seno al Consiglio europeo, ed è quello l'elemento cruciale.
Noto con una certa soddisfazione che oggi l'Italia ha un profilo e una possibilità di contributo nelle sedi europee sicuramente diversi da quelli degli anni passati. Ricordo di aver sentito nell'Aula della Commissione difesa del Senato il Ministro La Russa usare parole molto distanti da quelle che oggi abbiamo ascoltato qui, e di questo sono particolarmente soddisfatta.
Credo, infatti, che il ruolo italiano possa essere importante nella determinazione degli orientamenti dell'Unione europea per quella che è non soltanto una scelta politica, ma ormai anche una necessità nazionale (non soltanto dell'Italia, ma anche degli altri Paesi) e dell'Unione europea.


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La crisi politica nella quale è entrata la dimensione dell'Unione europea a tutti i livelli (nella politica economica, fiscale, estera e di difesa) o trova uno scatto in avanti o si ferma in modo irrimediabile e colpevole, cosa che non ci possiamo permettere. Anche nella dimensione globale c'è una richiesta di «più Europa» da parte non soltanto nostra, ma anche dei nostri partner, a partire da quelli atlantici.
Credo che da questo punto di vista la crisi economica e politica che stiamo attraversando possa determinare un'opportunità e condivido le preoccupazioni del Presidente Dini sulla lentezza. D'altra parte, credo che non possiamo stupircene più di tanto, in quanto soltanto pochi giorni fa abbiamo assistito a una non irrilevante divisione sulla politica estera in seno all'Unione europea ed è difficile pensare che uno slancio maggiore e più veloce possa venire, se non si riesce a procedere anche su una più consistente integrazione della politica estera comune.
Questo viene determinato non dal voléè istituzionale, ma dal volée politico che è quello centrale, su cui forse siamo ancora indietro.
Fatta questa premessa, passo alle domande. Lei ci ha parlato delle conclusioni del Consiglio europeo della prossima settimana, che dedicheranno un corposo riferimento alla dimensione europea della difesa. Mi piacerebbe approfondire questo aspetto, in particolare sul percorso che dal Consiglio del 13 e 14 dicembre 2012 arriverà fino al Consiglio del dicembre dell'anno prossimo.
Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sia sul contenuto delle conclusioni del Consiglio, sia anche sui passi in termini di contenuto e di scadenze che potranno essere messi in campo da qui al Consiglio dedicato del dicembre 2013.
L'altra domanda è stata in parte già formulata dalla senatrice Pinotti, ma proverò ad essere più esplicita. Tutti i Paesi europei (e il nostro non fa eccezione) sono impegnati in questo momento nei propri programmi di investimento per i sistemi d'armamento. Vorrei sapere se vi siano progetti che potrebbero essere comuni in un futuro a breve medio termine, o al contrario se vi siano progetti di singoli Paesi (partiamo dal nostro perché ci interessa di più), che invece possano scontrarsi con programmi comuni, sapendo che il breve e il medio periodo in realtà ha un décalage perché quanto deciso ieri si attua tra dieci anni, quindi ragioniamo sempre su scale sfasate.
Le decisioni che abbiamo preso anni fa e i percorsi di integrazione politica sui quali stiamo spingendo oggi potrebbero a un certo punto entrare in rotta di collisione.

GIORGIO LA MALFA. Ringrazio il Ministro per l'interessante esposizione che conteneva alcuni aspetti che non conoscevo. In particolare, vorrei sapere se questo documento al quale ha fatto riferimento, More Europe, redatto dall'Italia possa essere reso noto e consegnato al Parlamento, perché potrebbe essere molto interessante leggerlo e consentirci di discutere di questi argomenti in modo più informato.
Vorrei chiedere al Ministro cosa intenda quando parla di «modello di integrazione» di questo settore politico-militare, in che rapporto sia ad esempio con il sistema della NATO in cui c'è un sistema politico a lato di un sistema militare. Come sarebbe concepito questo strumento politico-militare più integrato di cui parla.
In secondo luogo, non mi è chiaro - chiedo scusa ai colleghi e al Ministro - se e come nell'ambito del Trattato di Lisbona l'Unione europea abbia affrontato il problema dei neutrali, ovvero di Paesi come l'Irlanda e la Svezia, come si risolva il problema della difesa europea e come si possa attuare uno strumento che non sia solo una cooperazione rafforzata tra quelli che la vogliono fare. Non so se il problema sia stato risolto o come possa esserlo.
La terza e ultima domanda è stata già posta dal Presidente Dini, ovvero come si colleghi la NATO con la nascita di una forza di sicurezza europea. Questo è un problema molto rilevante e a me pare che in molti dei nostri discorsi sull'Europa vi sia un grande afflato politico, ma che gli


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strumenti della difesa si manifestano nella loro migliore capacità dentro la NATO.
Se vogliamo avere un secondo strumento significativo, non puramente simbolico (lei ha fatto giustamente riferimento al controllo dei confini), allora tale strumento deve costare, avere una direzione politica come evidenziava l'onorevole Mogherini e un rapporto con la NATO. Ho quindi l'impressione che la difficoltà derivi non soltanto dalla mancanza di volontà politica, ma anche da una realtà importante da cui è dipesa la sicurezza dei nostri Paesi quale la NATO, che è molto difficile coordinare con questo sistema.
Questi sono gli interrogativi che vorrei approfondire dopo la sua interessante relazione.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Ministro, a giudicare da quanto ho ascoltato nelle varie occasioni in cui ha avuto modo di illustrare le politiche del Ministero della difesa, io ho sempre ricavato l'impressione che lei avrebbe potuto fare molto bene anche il Ministro degli esteri, perché non è mai mancata da parte sua una collocazione delle questioni all'interno di un contesto più generale.
Detto questo, però, quello che manca è proprio - non ne faccio colpe a nessuno, ma ne abbiamo avuto la conferma anche questa mattina - il riferimento a un contesto più generale in cui si collochino queste nostre politiche e quelle dell'Unione europea. Uno dei sintomi più evidenti della crisi politica dell'Europa è proprio questo procedere a lumi spenti sugli obiettivi di fondo della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, sulle sue nuove priorità strategiche, sul rapporto con gli alleati tradizionali.
La domanda posta dall'onorevole La Malfa rientra in questo contesto, perché parlare di rapporti tra difesa europea e NATO induce a chiedersi in quale contesto geostrategico si collochi un'eventuale difesa europea.
Con riferimento al dibattito che si sta concludendo alla Camera sulla questione dello strumento militare, mi annovero tra coloro che reputano lo sforzo fatto dal provvedimento assolutamente giusto e condivisibile e quindi l'approverò con convinzione come tutto il mio Gruppo, ma anche in tale occasione avremmo avuto bisogno di un Libro Bianco sulla difesa in termini di quella riflessione strategica che non è solo compito della difesa, ma che rientra - come detto - in un contesto più generale.
Questo è un punto di urgenza su cui dobbiamo riflettere. Lo dico perché le cose vanno per la loro strada. C'è tutta la questione delle ricadute delle politiche industriali e vorrei sapere se questa lentezza e questo lavorare a fari spenti dal punto di vista politico generale dell'Europa si accompagnino a processi di ristrutturazione industriale che rischino di causare la nostra definitiva emarginazione.
Leggo che Francia e Germania stanno per arrivare a una definizione del rapporto per quanto riguarda la costituzione di un colosso che non lascerebbe senza conseguenze il nostro sistema dell'apparato industriale della difesa già coinvolto in tanti guai, con i problemi che ha Finmeccanica e che mi paiono tutt'altro che risolti.
Tutti i ragionamenti sulle catene di comando, sulle gerarchie delle istituzioni europee vanno bene, ma il mercato procede per la sua strada e abbiamo l'impressione che in questo settore strategico si giochino le partite prima ancora che la politica possa intervenire. Per l'Italia, che è già in grande difficoltà nelle politiche industriali e che ha difficoltà di altro tipo, questo è un problema in più.
Vorrei conoscere la sua opinione in merito a queste ristrutturazioni industriali fatte a lumi spenti, che riguardano il core business europeo nella difesa.
La seconda è una questione di attualità. Vorrei chiederle informazioni in merito alla questione delle armi chimiche in Siria. Mi scuso se la domanda è ultronea, ma credo che lei ci possa dire qualcosa di più, perché vorremmo capire meglio di che si tratta. Grazie.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Chi interviene per ultimo ha la fortuna o, forse, la sfortuna di poter fare meno


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osservazioni. Ringrazio il Ministro per la sua relazione e mi limito a fare alcune osservazioni e due domande.
Per quanto attiene il contesto più generale, ho apprezzato molto quello che il Ministro ha detto. Nelle sue parole ho rintracciato due elementi, uno positivo e uno più critico. Il primo, quello positivo, è che l'Italia in termini politici sia di stimolo in Europa stia spingendo verso un modello di maggiore interoperabilità e di più stretta connettività.
Dall'altra, però, nelle sue parole c'è (anche perché tutto questo è stato già rinviato di quasi un anno) una criticità di fondo relativa a questo possibile progetto europeo, criticità che sarebbe utile capire meglio perché mi sembra di intuire un problema ancora da affrontare fino in fondo nel passare da una cooperazione volontaria come quella attuale sul piano dell'interoperabilità delle forze a una cooperazione strutturata permanente.
In Europa qualcosa è già avvenuto e si sono formate delle isole di cooperazione. Sono stati appena sottolineati gli accordi tra Francia e Germania, ma questo è avvenuto anche nei Paesi del nord Europa (mi riferisco al Benelux). L'Italia e la Spagna in questo panorama europeo ad oggi sono rimaste isole a sé stanti e meno interconnesse.
Oggi ho appreso quindi dell'esistenza di un processo che spinge verso una direzione diversa con l'impegno che il Ministro ha assolto già in sede di Unione europea presentando il documento, ma vorrei capire quali passi ci vorranno ancora perché l'Italia entri in una effettiva cooperazione con un Paese dell'Unione europea, che potrebbe essere la Francia.
La seconda domanda è forse più pragmatica, in quanto sono laureata in economia e quindi amo i dati. Nel documento approntato dagli uffici in un'interessante tabella vengono messi a confronto i tagli effettuati da ogni Paese europeo al bilancio della difesa e si rileva che non stiamo malissimo. Infatti l'1,4 del PIL dell'Italia è un dato che fa il pari con quello della Germania. Questo ci rasserena, anche perché stiamo affrontando una revisione dello strumento militare che impone un taglio pesante per le nostre Forze armate.
Ieri in audizione il Segretario generale e direttore nazionale degli armamenti ci ha parlato degli F-35 e ci ha dato un approfondimento ulteriore, ma nel momento in cui puntiamo a creare una difesa europea vorrei sapere quali punti di forza il nostro Paese possa mettere sul tavolo di trattativa anche di un accordo bilaterale con altri Paesi europei, e quali siano i possibili programmi, visto che quello relativo all'Eurofighter tra due anni sarà completato.
Noi stiamo investendo sugli F-35, quindi la gran parte delle nostre risorse sarà destinata a un programma che esclude imprese e aziende europee, ma vorrei capire quale potrà essere il progetto di investimento dell'Italia in Europa, in collaborazione con gli altri Paesi.

PRESIDENTE. Do quindi a parola al Ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, per la replica.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Ministro della difesa. Grazie. Cercherò di rispondere a tutte le domande e, se dovessi saltarne una, vi prego di richiamarne l'attenzione, anche perché vorrei fare un discorso generale.
Partendo dalle parole dell'onorevole Frattini, il vero problema siamo tutti quanti noi ed è anche il Parlamento italiano (lo dico con il massimo rispetto): mi riferisco alla visione politica. Il primo problema della realtà europea è un discorso politico, cioè se, al di là delle parole che ci diciamo, vi sia veramente la volontà politica in un gruppo significativo di Paesi di realizzare questa maggiore integrazione ed eventualmente dalla dimensione intergovernativa fare un salto ulteriore (mi riferisco anche al commento dell'onorevole La Malfa).
Questo non è così chiaro. Il fatto che siamo arrivati al 2012 per cominciare a vedere i Capi di Stato e di Governo, sotto le spinte dei Parlamenti o di alcuni Parlamenti, porsi il problema di una dimensione


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europea di sicurezza e difesa nel contesto di un processo di integrazione politica europea significa che solo ora, in questo momento, grazie alla crisi (ben venga la crisi se questo diventa un punto di partenza) si sta avviando una riflessione ad alto livello politico.
È quindi fondamentale che siano i Capi di Stato e di Governo a prendersi in capo il problema della politica di sicurezza e difesa, che non può essere lasciata ai ministri della difesa e degli esteri, per quanto lungimiranti, bravi e brillanti possano essere.
Qualcuno dice che ci proviamo con lentezza, ma per avere un Consiglio europeo nel 2013 a ciò dedicato ci vorrà un anno di preparazione. Pensate - e molti di voi l'hanno suggerito - che un'eventuale elaborazione di un Libro Bianco per la sicurezza e difesa europea, una European Security Defence Strategy si possa sviluppare tra ventisette Paesi in un giorno?
Se si inizia ora, questo Consiglio europeo del 13-14 dicembre darà mandato (ho davanti a me la bozza delle conclusioni che saranno approvate con eventuali modifiche) alla Signora Ashton di preparare questo lavoro, perché a dicembre dell'anno prossimo i Capi di Stato possano cominciare a rendersi conto della realtà e a formulare i loro ulteriori indirizzi. Si tratta quindi di un percorso che richiede una maturazione.
Il Parlamento italiano potrebbe sviluppare in tempi relativamente brevi degli indirizzi, delle idee, dei contributi che servano ad essere portati in elaborazione. Infatti, questo Libro Bianco della sicurezza e difesa europea verrà sviluppato in una dimensione intergovernativa e a Bruxelles verrà prodotto un documento da distribuire alle nazioni al quale ognuno potrà contribuire.
Sono i Governi che discutono, portano idee e sono in grado di dare contributi, ma adesso è il momento per portare dei contributi da parte dei Parlamenti, non domani, anche se - lo dico con il massimo rispetto - a volte non mi sembra che questo tema sia al centro dell'attenzione dei Parlamenti nazionali (incluso il nostro).
Parlando da cittadino che segue il dibattito politico e sociale, non mi sembra che questo tema abbia una tale rilevanza. Questa è la realtà. Se, quindi, voi ritenete che sia così rilevante - e lo dico con il massimo rispetto per tutti i presenti -, battete un colpo.
È stata evidenziata dall'onorevole Bosi l'esigenza di un salto di qualità politico, ribadita anche dall'onorevole Tempestini e dall'onorevole Di Stanislao. Sono d'accordo che occorra un salto di qualità che vi invito e mi invito a fare, però - lo dico all'onorevole Di Stanislao, ma posso sbagliare ed eventualmente sarò il primo a riconoscerlo - a volte mi sembra di cogliere nelle sue parole una visione di una politica europea di sicurezza e difesa che non mi sembra in sintonia con le idee dei nostri colleghi europei.
Mi sembra di percepire una visione un po' sottotono della politica di sicurezza e difesa e quindi di difesa, che significa importanti capacità militari, che invece è quella che raccolgo...

PRESIDENTE. Ogni opinione dei parlamentari è sempre meritevole del massimo rispetto.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Ministro della difesa. Ma io la rispetto, non ho espresso alcuna critica: dicevo soltanto che le idee che si stanno sviluppando in Europa spingono a una certa convergenza. Ogni idea è rispettabile e spero di non aver fatto nessuna gaffe, perché non era certo mia intenzione.
All'onorevole La Malfa dico che parliamo di meccanismi integrati di gestione delle crisi, in quanto oggi l'Unione europea sviluppa la sua gestione della sicurezza attraverso il comprehensive approach, l'utilizzo integrato di sistemi politici, economici. Tuttavia, nella realtà, la gestione delle missioni è ancora separata e, se c'è una missione militare, è prettamente militare, se c'è una missione civile, è prettamente civile, e questi sono due filoni


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separati. Anche i processi decisionali sono separati.
In passato il dibattito ha evidenziato anche delle complessità, in quanto creare un Quartier generale militare europeo pone il problema della duplicazione rispetto alla realtà della NATO e quindi alle possibilità di avvalersi del Berlin Plus a cui si è riferito il Presidente Dini.
Con le strutture attuali si dovrebbe riorganizzare le risorse in modo che ci siano un livello di direzione strategica politico-militare, che esamina la crisi in tutti gli aspetti, e un livello di direzione strategico-militare integrato. Il capo della missione sarà probabilmente un civile, che avrà sotto di sé le componenti militari, quindi bisogna pensare a un'integrazione delle strutture attuali in questo senso.
Non è detto che questa idea che noi stiamo sviluppando anche per superare il discorso della separatezza tra la catena militare e la catena civile trovi consenso, ma è anche un modo di superare la duplicazione di strutture militari rispetto a quelle già esistenti nel campo dell'Alleanza atlantica.
Per quanto riguarda il rapporto con la NATO dal punto di vista delle capacità militari il problema si risolve attraverso un sostanziale allineamento delle pianificazioni, delle capacità in campo NATO e in campo europeo. Alla fine, infatti, quando si parla di capacità NATO, al di là di certe capacità comuni, si pensa alle capacità dei singoli Paesi europei. La NATO non ha navi o aerei, che sono invece di proprietà delle nazioni, di Stati Uniti, Italia, Francia, Polonia e così via, e quindi si tratta di far sì che queste capacità che noi sviluppiamo siano totalmente coerenti.
Il punto di fondo è battersi perché la pianificazione delle capacità europee e la pianificazione delle capacità NATO siano coerenti, per cui quando l'Italia sviluppa da sola o insieme ad altri una capacità questa vale per l'uno e per l'altro.
Questo è quello che noi stiamo facendo e vi voglio assicurare che da anni le capacità che noi sviluppiamo sono coerenti con questi doppi filoni: non sviluppiamo delle capacità per l'Europa o delle capacità per la NATO. La Brigata paracadutisti, di cui l'onorevole Paglia si è onorato di far parte, vale se la impieghiamo sia in una missione europea sia in una missione NATO. Lo possiamo fare perché l'abbiamo sviluppata secondo concetti coerenti con l'uno e con l'altro.
L'onorevole Mogherini Rebesani chiedeva delle risultanze del Consiglio europeo. Questo è il documento per la parte relativa alla politica di sicurezza e difesa, in cui si afferma l'esigenza di sviluppare ulteriormente il comprehensive approach, quindi la capacità di gestione dei conflitti, di rafforzare la capacità europea di proiettare le forze con agilità e rapidità. Quindi, forze e capacità proiettabili, non statiche: questo è quello che il documento dice e che si cerca di fare in vari Paesi europei.
Si afferma inoltre la necessità di identificare le capacità future, importanti per lo sviluppo della dimensione europea di sicurezza e difesa, e questo è quello che cerchiamo di fare e poi risponderò su questo punto anche all'onorevole Villecco Calipari, e di rinforzare l'industria della difesa europea.
Dà mandato alla Signora Ashton, da una parte, e al Direttore dell'EDA, Claude France Arnauld, dall'altra, di lavorare in questa direzione e quindi di riferire a settembre dell'anno prossimo, affinché il Consiglio di dicembre a livello di Capi di Governo possa affrontare questa problematica e dare indirizzi.
Per quanto riguarda la dimensione del consolidamento della base industriale europea, credo che l'onorevole Tempestini abbia detto una cosa molto giusta, però è la realtà dei fatti: siamo in attesa che la politica sia in grado di sviluppare certe declinazioni e intanto il mondo si muove.
L'operazione dell'EADS non è la creazione di un altro colosso: l'EADS già esisteva, ma aveva una proprietà sbilanciata: il Governo francese aveva il 15 per cento, il Governo tedesco non aveva azioni perché le azioni di parte tedesca erano della Daimler-Benz.
Adesso c'è stata un'operazione di riequilibrio azionario, per cui il Governo francese diminuisce la sua quota di proprietà


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di controllo al 7-8 per cento, la Daimler-Benz vende a una banca tedesca controllata dal Governo tedesco e quindi al Governo tedesco un 8 per cento, quindi si crea una parità ridotta di controllo, quindi meno controllo statale e comunque bilanciato tra i due Paesi. Diversa era l'operazione EADS-BAE, dove si sarebbe creato - lì sì - il super colosso.
La fusione BAE-EADS è fallita perché gli inglesi della BAE hanno una visione meno controllata dallo Stato, molto più di private company e molto più proiettata verso gli Stati Uniti, che strategicamente non «matchava» con la visione - più State Control - di EADS.
Anche Finmeccanica in passato si è mossa: l'Agusta-Westland attuale si chiama così perché a suo tempo l'Agusta acquisì la Westland che era una componente di BAE; la Selex oggi ha acquisito una parte della industria Elettronica di BAE, tanto che in Gran Bretagna è uno dei pezzi forti della Selex.
Anche Finmeccanica quindi si è mossa con consolidamenti, ma non c'è solo Finmeccanica: ci sono altre realtà importanti, società controllate da Finmeccanica, perché le fusioni possono avvenire non soltanto a livello di holding, ma anche a livello delle controllate.
Adesso è il momento in cui il panorama si sta muovendo e il management deve avere la libertà di muoversi e di fare le sue valutazioni tecniche, economiche, industriali, e il Governo di dare il suo contributo. Siamo in una fase in cui adesso si sta scoping il panorama delle possibilità, che può riguardare EADS, Thales, settori della BAE, settori della Saab svedese. Siamo, dunque, in una fase di scoping.
L'onorevole Mogherini Rebesani chiedeva se ci siano dei programmi di armamento comuni. Innanzitutto credo che oggi la nostra pianificazione dell'investimento si muova estremamente in coerenza con le pianificazioni dell'Alleanza Atlantica, perché non ci inventiamo capacità che non ci siano richieste, e anche con gli headline goal europei.
L'Alleanza Atlantica chiede ai suoi Paesi (certamente a quelli che hanno una capacità, non al Lussemburgo) di dotarsi di aerei con capacità aerotattica. A questa famiglia appartiene il Joint Strike Fighter, e non è un programma solo italiano. Il programma è americano nel senso che la casa madre è americana, ma a questo programma partecipano numerosi Paesi europei (Norvegia, Olanda, Danimarca, Belgio, Turchia, Gran Bretagna).
Al di là dell'icona che ha assunto, non è vero che questo sia il programma di maggiore investimento, perché stiamo sviluppando programmi di altrettanta valenza economica con altri Paesi europei. Si va dalle fregate Fremm e Orizzonte con la Francia ai programmi degli elicotteri NH-90, alle possibilità che stanno nascendo nel campo della difesa missilistica, in cui stiamo lavorando a una cooperazione con la Francia e con la Germania, ai programmi spaziali, inclusi i programmi satellitari in cui l'Italia, oltre ad avere l'iniziativa di sistemi duali militari e civili, lavora con la Francia e con la Germania.
I più importanti programmi italiani sono tutti o quasi tutti di cooperazione, e noi ci stiamo muovendo in questo filone. Credo, quindi, di aver risposto sia all'onorevole Mogherini Rebesani, sia all'onorevole Villecco Calipari.
Per quanto riguarda i rapporti tra NATO ed UE il problema è grande. C'è un problema di superare certi vincoli politici che impediscono una vera cooperazione a livello politico, perché oggi il Consiglio atlantico - che è l'organo politico dell'Alleanza - e il COPS - che è l'organo politico di sicurezza - di fatto non dialogano perché in entrambi gli organi ci sono dei membri che in questo momento non sono pronti a questo dialogo. Questo è il punto di fondo della questione.
Le capacità militari che noi svilupperemo sia come nazione, sia con gli altri alleati europei atlantici (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda) sono coerenti per l'uno e per l'altro, quindi non è qui il problema. Il problema è quello politico, cioè l'esigenza di un dialogo vero tra le


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due organizzazioni, e questo potrà anche consentire di andare oltre il Berlin Plus attuale.
Nello sviluppo di una strategia europea di sicurezza e difesa - rispondo al Presidente Carrara - la sorveglianza degli spazi marittimi è una componente molto importante soprattutto perché ora si apre a nuovi spazi. Lei faceva riferimento all'Artico, in cui si stanno aprendo le rotte commerciali in seguito allo scioglimento dalla calotta.
Oggi c'è un Consiglio Artico che gestisce le politiche cui partecipano tutti i Paesi che hanno la frontiera sullo spazio artico, a cui l'Italia adesso ha chiesto di aderire come osservatore. Noi non abbiamo una frontiera artica però, siccome lo spazio artico potenzialmente ha grossi interessi commerciali ed economici, l'Italia ha chiesto di aderire come osservatore. Nel Consiglio Artico, ci sono Canada, Stati Uniti, Russa, Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia, Paesi che sono a loro volta europei e atlantici, quindi certamente spingono e pongono la sicurezza dell'Artico come un problema importante della dimensione europea di sicurezza.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Tempestini, posso dire che i siti di armi chimiche sono ancora sicuramente controllati dalle forze del regime e fino a ieri non c'erano segni di pericolo, però negli ultimi tempi si sono avute informazioni di Intelligence che mostrano un'accresciuta attività in quei siti, che potrebbe preludere al caricamento. In questi siti vengono conservate le materie prime che poi devono essere messe insieme, che potrebbero preludere a un'attività di preparazione di armi chimiche. Questo è quello che attualmente sappiamo e che è uscito anche sull'Open press.
Credo di aver risposto a tutte le domande, ma sono a disposizione nel caso ci fossero ulteriori richieste di chiarimento.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, per l'ampia disponibilità e l'esaustività con cui ha risposto e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,05.

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