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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III-IV Camera e 3a-4a Senato)
7.
Mercoledì 27 aprile 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3

Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Libia:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 3 8 13 21 22 24
Casini Pier Ferdinando (UdC) ... 15
Farina Renato (PdL) ... 21
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 3 22 23
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 13 19
La Russa Ignazio, Ministro della difesa ... 8 13 21
Livi Bacci Massimo (PD) ... 20
Marini Franco (PD) ... 19
Orlando Leoluca (IdV) ... 17
Paglia Gianfranco (FLI) ... 14
Perduca Marco (PD) ... 20 23
Ramponi Luigi (PdL) ... 15
Reguzzoni Marco Giovanni (LNP) ... 16
Rugghia Antonio (PD) ... 20
Rutelli Francesco (Misto-ApI) ... 18
Tempestini Francesco (PD) ... 19
Tonini Giorgio (PD) ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) - IV (DIFESA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) - 4a (DIFESA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 27 aprile 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Libia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Libia.
Comunico che il Ministro La Russa dovrà lasciare i nostri lavori entro le ore 15,30 dovendo partecipare alla seduta dell'Assemblea dedicata allo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata. In mancanza di un'eventuale rinuncia da parte degli interroganti, questo termine sarà tenuto in considerazione ai fini del contingentamento dei tempi di intervento.
Ai fini di un ordinato svolgimento dei lavori, invito pertanto i gruppi di Camera e Senato a far pervenire al più presto alla presidenza l'elenco dei propri componenti che intendono intervenire. In relazione ai tempi disponibili, invito i colleghi a contenere i propri interventi entro un massimo di cinque minuti per gruppo, mentre il tempo ulteriormente disponibile sarà ripartito per un secondo giro di interventi, in misura proporzionale alla consistenza dei gruppi medesimi.
Prima di dare la parola al Governo, intendo rivolgere un sentito ringraziamento al Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, e al Ministro della difesa, Ignazio La Russa, per la partecipazione alla seduta odierna, che riteniamo molto importante.
Do la parola al Ministro degli affari esteri, onorevole Franco Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie molte, presidente e onorevoli parlamentari. L'ulteriore impegno dell'Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a marzo, secondo la linea fissata dal Consiglio supremo di difesa e, quindi, confortata da ampio consenso in Parlamento.
Con lucidità e con coerenza, il Capo dello Stato ha sintetizzato così - e condivido fortemente questa sua valutazione - l'essenza delle motivazioni alla base dei più recenti sviluppi sulla crisi libica. «Sentiamo di non poter restare indifferenti - ha aggiunto - di fronte al rischio che vengano brutalmente soffocati movimenti comunque caratterizzati da una profonda carica liberatoria».
Come di consueto - e oggi con il Ministro La Russa - continuiamo a riferire costantemente alle Camere, in modo che vi sia chiarezza e piena esplicitazione delle motivazioni che hanno recentemente ispirato l'annuncio del Presidente del Consiglio sullo sviluppo del contributo italiano alla missione della NATO.
Come di consueto e come mi è capitato di dire in altre occasioni, davanti alle Commissioni ma anche in Assemblea, il confronto e il contributo di tutte le parti politiche ha oggi, come è accaduto sin


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dall'inizio della crisi libica, un elemento centrale, che è costituito dall'interesse nazionale dell'Italia. È proprio in nome di questo che il Governo ha dato immediatamente la sua adesione all'invito di alcune componenti dell'opposizione verso un dialogo politico costante e forte su questa crisi.
Come voi sapete, la risoluzione n. 1973 autorizza l'adozione di tutte le misure necessarie per proteggere la popolazione libica e c'è evidentemente oggi un punto chiave che si pone, e che si è già posto nelle scorse settimane, all'attenzione della NATO: come neutralizzare la capacità di fuoco del regime, l'apparato militare che Gheddafi sta usando contro i concittadini e che continuerà certamente ad utilizzare in modo spietato se non verrà fermato per tempo questo arsenale militare. Quest'ultimo è stato ridotto di oltre un terzo, smantellando completamente l'aviazione militare del regime, grazie alla no fly zone, ma continua ad essere, purtroppo, presente in molte aree del territorio.
Quell'espressione della risoluzione n. 1973 è chiara a tutti e ne abbiamo parlato molte volte. Quali siano gli strumenti necessari o indispensabili è una valutazione che non può prescindere dall'osservazione dell'evoluzione sul terreno. Noi abbiamo raccolto informazioni da Misurata - tutto il mondo ha visto le immagini delle riprese televisive nei telegiornali - ma anche dall'ovest del Paese, in zone meno note, che rivelano che la situazione di attacchi delle milizie di Gheddafi si sta caratterizzando per una vera e propria escalation di violenze. Vi è un tragico bilancio di vittime e di feriti, vi è un'emergenza umanitaria di proporzioni gravi e crescenti. È una strage che noi non possiamo ignorare.
Se la missione non fosse partita - ed era questione di ore, quando si decise prima con una coalizione temporanea di volenterosi e poi riconducendola sotto il controllo della NATO - Bengasi, Misurata e altre città libiche sarebbero state più o meno completamente rase al suolo. I rappresentanti del Consiglio nazionale di Bengasi ci hanno parlato di 10.000 morti, un numero enorme che noi non abbiamo verificato ma che non è forse molto lontano da una realtà drammatica di migliaia di morti. Certamente, dunque, se la missione NATO non fosse partita vi sarebbe stata la distruzione vera e propria - avete visto i bombardamenti nelle case di Misurata quali effetti hanno comportato - anche a Bengasi e in altre città.
La nostra decisione di contribuire a rendere ancora più flessibile l'azione militare su Gheddafi si colloca, dunque, all'interno del perimetro delineato dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza.
Osservo, peraltro, a beneficio anche di un chiarimento su interpretazioni devo dire un po' azzardate della risoluzione n. 1973 - interpretazioni spazzate via molto autorevolmente dal Capo dello Stato - che il mandato dell'ONU esclude espressamente solo un'ipotesi, quella dell'uso di una forza di terra sul territorio libico. Questo è e sarà escluso da parte di qualunque partner della coalizione.
Riteniamo, quindi, di operare pienamente all'interno della linea fissata dal Consiglio supremo di difesa, già confortata da ampio consenso parlamentare, in sede di Commissioni riunite e nella sede delle Assemblee.
L'Italia ha ritenuto di agire rapidamente sin dall'inizio della crisi, richiedendo un intervento del Consiglio di sicurezza, contribuendo in modo decisivo a riportare l'intervento nell'alveo della NATO. La nostra decisione, quella annunciata dal Presidente del Consiglio, non poteva che rispondere alle sollecitazioni pervenute anzitutto dal Segretario generale della NATO. Abbiamo ritenuto questo in coerenza con il dovere di rispettare gli impegni con i nostri alleati, con i nostri partner. Voi sapete che il Segretario generale della NATO, anche a Berlino, al vertice della NATO, aveva sollecitato tutti i membri della coalizione, senza indicazioni specifiche, ad un potenziamento degli strumenti delle missioni mirate di attacco contro obiettivi a terra. Mai nessuno ovviamente ha parlato di bombardamenti, mai nessuno ha parlato di azioni indiscriminate. Si è parlato della necessità di


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azioni mirate, sulla base di indicazioni di obiettivi che vengono dal comando della NATO.
Questo mi disse personalmente il Segretario generale della NATO l'8 aprile scorso, quando io lo informai che il Governo stava riflettendo su tale ipotesi. La riflessione vi è stata e abbiamo preso atto della evoluzione delle operazioni sul terreno e della volontà del colonnello Gheddafi di rimanere legato al potere a costo di portare nel suo Paese un ulteriore bagno di sangue. Ma l'elemento importante è stato l'ascolto dei rappresentanti libici, cioè i rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Il Presidente del CNT Abdul Jalil è venuto a Roma e ha reso visita al Capo dello Stato, al Presidente del Consiglio e a me il 19 aprile scorso. Ci ha disegnato un quadro drammatico, ha denunciato le azioni tremende contro i civili. Devo dire che sentirsele descrivere direttamente, con sincerità e commozione, ha fatto una grande impressione anche a noi.
I membri del CNT hanno invocato con forza e insistenza un sostegno anche militarmente più flessibile da parte dell'Italia. Questo aveva già indotto ad accordare la fornitura di alcuni equipaggiamenti protettivi e l'invio a Bengasi di un team di consiglieri militari disposto dal Ministro La Russa. Si tratta di misure che abbiamo ovviamente notificato al Segretario generale dell'ONU in ottemperanza al paragrafo quattro della risoluzione n. 1973.
Ma le dichiarazioni del Presidente Abdul Jalil sull'amicizia tra il popolo libico e il popolo italiano hanno sgomberato il campo anche da ogni possibile dubbio che la presenza dell'Italia in seno alle operazioni della NATO potesse essere interpretata dai libici come un gesto di stampo neocoloniale italiano. Queste dichiarazioni ci hanno permesso di superare quelle preoccupazioni e quelle riserve storico-culturali che ostacolavano un impegno più deciso.
Il Presidente Jalil ha posto l'accento sul vero e proprio obbligo morale dell'Italia, proprio in nome dei vincoli storici tra i due Paesi. Non credo di rivelare un segreto che non si può rivelare se dico che nell'incontro con il Capo dello Stato e con il Presidente del Consiglio egli ha usato questa frase: «Affido alla vostra coscienza la salvezza delle popolazioni di Misurata, di Zintan e delle altre città minacciate oggi dalle truppe di Gheddafi». Questa frase del Presidente Abdul Jalil credo sia un appello che deve essere riferito alla coscienza di tutti noi, che da amici del popolo libico non possiamo volgere il capo dall'altra parte.
Vogliamo una Libia unita, democratica, moderna. Questo richiederà tempo, energie, risorse e certamente leale collaborazione tra tutte le parti chiamate a contribuire a questo risultato. Oggi, però, vi è una situazione difficile che si è venuta a creare sul terreno. Ecco perché occorre andare fino in fondo. Noi avevamo la volontà, sin dall'inizio, di scongiurare questa drammatica evoluzione militare causata delle milizie del regime. Noi sappiamo oggi che nella natura del colonnello Gheddafi, nella volontà confermata da lui e dai suoi figli in questi giorni, c'è la logica di un uomo solo contro tutti e desideroso soltanto di vendetta verso il suo popolo. Questo mette a rischio l'integrità territoriale della Libia e sta causando la strage di Misurata, una vera e propria città martire, dove carri armati e batterie missilistiche stanno facendo stragi di civili.
Dunque, onorevoli colleghi, esclusa l'azione di terra, che rimane esclusa, o colpiamo con singole azioni aeree mirate i carri armati di Gheddafi oppure lasciamo consapevolmente e volontariamente uccidere civili a centinaia, forse a migliaia. Ecco perché non possiamo tirarci indietro ed ecco perché la leale collaborazione con i libici, di sostegno insieme ai nostri alleati, è quella che credo porterà un elemento forte di contributo decisivo, come l'Italia aveva fatto sin dal primo giorno con le altre decisioni prese di partecipazione alla missione.
Ma è sul fronte politico-diplomatico che occorre agire con ancor più concentrazione e rapidità. Il mantenimento dell'integrità territoriale della Libia è un requisito indispensabile per ogni soluzione


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politica. Il Governo italiano per primo ha insistito con decisione sulla necessità di un processo di riconciliazione nazionale inclusivo di tutte le componenti sociali e tribali. L'abbiamo reiterato anche agli amici del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Non intendiamo deflettere da questo impegno e non lasciamo intentata alcuna ipotesi che faccia intravedere uno spiraglio positivo per un reale cessate il fuoco, accompagnato dall'avvio di un dialogo politico nazionale libico, con un'unica precondizione, quella che il colonnello Gheddafi non possa e non debba rivestire un ruolo ulteriore per il futuro della Libia.
Appoggiamo gli sforzi dell'Unione africana. Il primo tentativo, come sapete, non ha portato a una soluzione positiva, ma io credo che vi siano ancora margini perché l'Unione africana possa svolgere un ruolo importante.
Ieri sono stato informato della riunione di Addis Abeba, tenuta in due tavoli separati con i rappresentanti del Consiglio nazionale di Bengasi e con il rappresentante di Tripoli, inviato dal regime di Gheddafi, due tavoli che si sono conclusi con la richiesta di presentare alcune proposte formali di soluzione a entrambe le parti e con la decisione di lavorare a un vertice straordinario dell'Unione africana in preparazione per il mese prossimo.
La valutazione dell'Italia è che il processo politico e il coordinamento delle iniziative di mediazione internazionale debbano far capo alle Nazioni Unite. Questo è stato ribadito dal Segretario generale dell'ONU, che ha sottolineato l'importanza di parlare con una voce sola e di lavorare con pazienza e determinazione in uno sforzo comune. Intendo tornare su questo punto nell'incontro che avrò domani pomeriggio proprio con l'inviato speciale del Segretario generale, l'ex ministro giordano al-Khatib, il quale verrà a trovarmi a Roma sulla strada di Bengasi, dove svolgerà una visita e un incontro con il Consiglio nazionale.
La valorizzazione del ruolo dell'ONU anche nell'assistenza umanitaria, oltre che nei tentativi di rilancio del processo politico, sarà al centro della riunione del gruppo di contatto internazionale che ospiteremo a Roma il 5 maggio. Sarà l'occasione per compiere progressi sostanziali nella ricerca di una soluzione politica complessiva.
Confermare le modalità di uscita dalla crisi, su cui esiste un generalizzato consenso della coalizione e dei nostri interlocutori arabi e africani, ossia la necessità, in primo luogo, di una forte pressione politica, ma anche militare, per giungere al cessate il fuoco, all'uscita di scena del colonnello Gheddafi e alla fine delle ostilità; in secondo luogo, approfondire le modalità di garantire protezione ai civili; in terzo luogo, definire coordinate iniziative nel settore dell'assistenza umanitaria negli interventi di emergenza, soprattutto nelle città sotto assedio; in quarto luogo, individuare meccanismi finanziari che consentano al Consiglio nazionale di sostenere i più essenziali bisogni della popolazione.
Questi sono gli obiettivi che noi proporremo ai partner nella conferenza del gruppo di contatto che si svolgerà a Roma, la quale confermerà il ruolo dell'Italia, un ruolo importante e propulsivo nella gestione della crisi libica, un ruolo che abbiamo assunto e che vogliamo mantenere su un piede di parità con gli altri grandi partner internazionali, un ruolo che ci imponeva di affermare per l'immediato e per il futuro della Libia la pretesa ragionevole dell'Italia a concorrere alle decisioni che verranno prese.
Oltre all'azione politico-diplomatica e al contributo militare, l'Italia ha messo in campo un amplissimo ventaglio di iniziative umanitarie. Ci siamo già recati diverse volte nei territori sotto attacco anche militare. Ne ho parlato al Parlamento in altre occasioni e, quindi, non ripeterò tutto ciò che l'Italia ha già compiuto, ma due passaggi recenti sono meritevoli di essere ricordati.
Un team di esperti guidato da funzionari del Ministero degli affari esteri ha effettuato a Bengasi una recente valutazione delle più urgenti necessità rispetto al funzionamento del porto e dell'aeroporto della città, in vista della presenza di più


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lungo periodo in Libia di tecnici e di specialisti provenienti dal settore pubblico e privato. Ce l'hanno chiesto gli esponenti del Consiglio nazionale, con cui stiamo approfondendo una cooperazione sull'addestramento e sulla formazione in molti settori dell'attività istituzionale, compreso il settore delle telecomunicazioni.
Abbiamo promesso al Presidente Abdul Jalil di proseguire il finanziamento di borse di studio a studenti libici. Si tratta di studenti della Cirenaica, per lo più, ma anche di Tripoli, che sono stati riconosciuti meritevoli di corsi di studio e per i quali il regime di Tripoli ha congelato i finanziamenti. Le borse di studio sono un numero significativo e ancora una volta rappresentano un segnale di amicizia al popolo libico.
Siamo consapevoli che lo scenario libico comporta un impatto sulla situazione dell'immigrazione. Abbiamo visto con quale spregiudicatezza Gheddafi abbia usato tale arma come minaccia nei confronti dei partner della NATO e certamente occorrerà valutare anche un aspetto, cioè se l'attività di organizzare gruppi di alcune centinaia di disperati stipati in un barcone, che ha indirettamente portato al naufragio e alla morte centinaia di persone, attività condotta certamente in collusione con i trafficanti di esseri umani, configuri gli estremi per una delle imputazioni di crimini contro l'umanità su cui il procuratore della Corte penale internazionale sta lavorando.
Credo, onorevoli colleghi, del tutto illusorio pensare che, se l'Italia stesse un passo indietro, riuscirebbe a contenere le partenze di clandestini e di profughi dalla Libia. Non è stato così sinora e non sarebbe così in ogni caso. È evidente a tutti che con Gheddafi non possiamo più negoziare su questo punto, perché egli ha perso legittimità e credibilità. La scelta dell'Italia è una scelta di libertà a favore dei diritti del popolo libico.
Sappiamo con certezza, anzi, che quanto più forte sarà la pressione, anche italiana, sul regime, tanto più difficile sarà per il regime stesso organizzare flussi di profughi verso l'Europa come mezzo di rappresaglia. Come tutti sapete, il Consiglio nazionale transitorio ci ha, da un lato, indicato come e dove il regime tenti di organizzare tale orribile traffico e, dall'altro, si è impegnato fermamente a bloccare l'immigrazione proveniente dalle proprie coste.
I numeri del Ministro Maroni dimostrano con certezza come, a fronte di un enorme numero di immigrati economici illegali tunisini, il numero di profughi dalla Libia durante queste settimane sia limitato, gestibile e ben gestito dal Ministero dell'interno e dal Ministro stesso.
Sul tema dell'immigrazione anche ieri abbiamo parlato a lungo durante il vertice bilaterale con la Francia. Tale vertice ha portato, come sapete, a una lettera congiunta dei due presidenti, il Presidente Berlusconi e il Presidente Sarkozy, al Presidente della Commissione europea e al Presidente del Consiglio europeo, in cui chiediamo all'Europa di ridefinire i suoi rapporti con la riva sud del Mediterraneo e di rivedere la normativa in materia di immigrazione e di asilo per avere più Europa e non meno Europa.
È stato toccato il punto di rafforzamento di Frontex come imperativo prioritario per un controllo delle frontiere e, quindi, si è richiesta una riforma dello statuto di Frontex che possa conferirle il compito che ancora non ha e che noi auspichiamo abbia, ossia quello di gestione e non solo di supervisione della protezione delle frontiere esterne, creando i presupposti per avere un giorno una vera e propria Guardia costiera europea nell'ambito dei compiti e del bilancio dell'Unione europea.
Concludo la mia relazione ricordando come i contenuti centrali di questa lettera e di questa dichiarazione congiunta italo-francese siano esattamente in linea con una risoluzione recentemente proposta dal senatore Cabras e approvata all'unanimità il 20 aprile scorso dalla Commissione affari esteri del Senato.
La risoluzione impegna il Governo a perseguire una destinazione di risorse della politica di vicinato più adeguata ai Paesi della sponda sud, ad assicurare il


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sostegno politico all'estensione degli interventi della BERS all'Egitto, punto su cui noi abbiamo già espresso adesione, a dare più visibilità all'azione europea con il sostegno all'economia locale, a stimolare le riforme economiche, sociali e politiche.
Ci stiamo muovendo lungo queste direttrici, d'accordo con la Francia, per rilanciare un partenariato tra Unione europea e riva sud del Mediterraneo, ispirato alla cooperazione e alla piena solidarietà tra tutti i Paesi membri. È un'intesa di ampio respiro, in cui l'Europa deve essere pronta a fare di più.
Un primo punto, su cui stiamo già lavorando, è quello che abbiamo chiamato un Ufficio euromediterraneo per i giovani, per dare impulso a iniziative di studio e di formazione nei Paesi di origine della riva sud del Mediterraneo, facendo, dunque, in modo che l'aiuto a casa loro sostituisca progressivamente l'impegno che dobbiamo sostenere per gestire le conseguenze di un'immigrazione illegale, che è per necessità e non per scelta, e il cui impatto costa certamente al Paese assai di più rispetto alla promozione della legalità, della democrazia e dello sviluppo nei Paesi di provenienza. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Frattini. Prima di passare la parola al Ministro La Russa, vorrei fare una precisazione sullo svolgimento dei nostri lavori.
Sono pervenute dodici richieste di iscrizione a parlare, di cui dieci da parte dei gruppi di opposizione e due da parte dei gruppi di maggioranza. Per i primi vi è un iscritto a parlare per il gruppo UdC, uno per il gruppo FLI, uno per il gruppo dell'Italia dei Valori, due per il gruppo misto e cinque per il gruppo del Partito Democratico; per i secondi vi è un iscritto a parlare per il gruppo del PdL e uno per il gruppo della Lega. Come ho già avvertito, darò la parola a un rappresentante per gruppo, per cinque minuti e, successivamente, per il tempo residuo, agli altri componenti del gruppo. Per il gruppo del Partito Democratico mi viene segnalato il senatore Tonini; vorrei averne conferma. Per il gruppo misto dei due rami del Parlamento parleranno entrambi gli iscritti per cinque minuti ciascuno, atteso che esiste la possibilità per gli altri di poter poi intervenire successivamente.
Prego, quindi, nel corso dell'intervento del Ministro La Russa, di far pervenire eventuali ulteriori richieste, dal momento che dobbiamo assolutamente essere precisi.
Do la parola al Ministro La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Ringrazio per l'ospitalità la presidenza delle Commissioni del Senato, oltre che della Camera.
Con il mio intervento, onorevoli senatori e deputati, desidero completare il quadro generale illustrato dal Ministro Frattini con le informazioni di più diretta pertinenza della Difesa, nello spirito che ha mosso il Governo, e il mio dicastero in particolare, di mettere sempre il Parlamento nelle condizioni di essere tempestivamente e costantemente aggiornato sulla situazione. Si tratta di un dovere di informazione e un desiderio di condivisione annunciato anche dal Presidente del Consiglio rispetto a una vicenda della quale il Governo avverte tutta la valenza e la delicatezza per il nostro Paese.
La particolarità della crisi libica non ci fa, tuttavia, dimenticare - desidero richiamarlo incidentalmente all'inizio del mio intervento - che l'Italia con le sue forze armate è fortemente impegnata su più teatri, sia nella lotta al terrorismo internazionale, sia nell'attività per garantire la stabilità e la sicurezza nelle aree di crisi internazionali, dall'Afghanistan ai Balcani, dal Libano alla protezione delle vie di comunicazione marittime.
Il Ministro degli affari esteri ha delineato l'evoluzione della situazione e i passaggi di carattere politico internazionale che ne hanno punteggiato il percorso nelle più recenti settimane. Simmetricamente a questi si sono succeduti molteplici passaggi di politica militare che hanno portato a quella che, nelle ultime ore, è stata da alcuni interpretata come una svolta nella strategia e che io desidero fare oggetto di questa informativa.


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A mio avviso, in realtà, non si tratta di una svolta, ma piuttosto di un adeguamento del nostro contributo agli sforzi della comunità internazionale, o meglio, di un aumento di efficacia del nostro intervento e delle nostre modalità operative all'interno della stessa strategia cui la nostra azione si ispira sin dal momento dell'adesione alla risoluzione n. 1973 e, prima di essa, alla risoluzione n. 1970.
Come è stato comunicato dal Presidente del Consiglio lunedì 25 aprile - conoscete il testo del comunicato e non ho, quindi, bisogno di richiamarvelo, ma ve ne cito comunque una piccola parte - l'Italia «che sin dall'inizio sta fornendo un cruciale contributo all'operazione in termini sia di assetti aerei e navali assegnati alla missione, sia di disponibilità delle proprie basi aeree per lo schieramento di aerei alleati, ha deciso di accrescere la flessibilità operativa dei velivoli della componente aerea nazionale, al fine di contribuire meglio e più direttamente allo sforzo della coalizione per difendere la popolazione civile libica».
Mi propongo, quindi, di approfondire tale questione in questa sede, muovendo dai molteplici fattori che ne hanno determinato l'evoluzione dell'impiego.
Primo: l'adesione al dettato della risoluzione n. 1973 del 17 marzo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla luce della nuova situazione sul terreno, laddove essa ha autorizzato gli Stati membri a prendere ogni misura necessaria per proteggere i civili libici o le aree popolate della Libia da attacchi da parte delle forze governative.
Da quel mandato resta imperativo non discostarsi, nella consapevolezza che esso è scaturito dal condiviso convincimento che sia assolutamente necessario mantenere una forte pressione sul colonnello Gheddafi, anche attraverso una credibile ed efficace azione militare, per costringerlo a desistere dalla sua azione contro parte del suo stesso popolo. Tale azione minacciava di tradursi in una vera e propria carneficina e ancora mantiene questa minaccia.
La risoluzione si è posta tre principali obiettivi: la protezione dei civili, il divieto di volo e l'embargo delle armi. Mentre da un lato l'embargo via mare, sotto il comando di un ammiraglio italiano e il divieto di sorvolo, sono stati di fatto totalmente realizzati e approntati in maniera definitiva, continuano però a verificarsi continue e frequenti perdite tra i civili, anche se le valutazioni internazionali sostengono che l'intervento della NATO abbia evitato migliaia di vittime innocenti.
Secondo: la coerenza della risposta nazionale all'impostazione strategica della NATO intervenuta, come si ricorderà, dietro forte impulso della nostra diplomazia, e voglio ancora complimentarmi con l'azione di tutto il Governo ma, in particolare, del Ministro Frattini.
Tale impostazione si confronta con diverse e difficili condizioni operative, che manifestano mutamento della situazione sul terreno. Basti al riguardo pensare alle disperate condizioni nelle quali si trovano attualmente gli abitanti di Misurata, sottoposti da settimane a inaccettabili violenze. Le forze governative di Gheddafi sono passate da un impiego convenzionale a un impiego asimmetrico, cioè guerriglia urbana, cecchinaggio, scudi umani contro i raid della NATO, impiego di mezzi civili e di mezzi leggeri (jeep, pick-up con mitragliatrici e cannoncini), dispersione e occultamento dei mezzi corazzati e blindati.
Grande valore strategico hanno assunto i rifornimenti in termini di reti e mezzi, che devono venire via deserto o via mare per le truppe governative, che incidono sulle capacità di mantenere le posizioni nel tempo. Da qui la necessità che lo sforzo della NATO si concentri contro minacce dirette contro la popolazione, aumentando le missioni selettive contro obiettivi militari, mezzi, armi, materiale bellico e postazioni. Dall'altro lato, è ovvio che bisogna continuare a precludere il flusso dei rifornimenti attraverso l'embargo attuato dalle unità navali di sei Paesi e con il concorso dell'interdizione aerea.


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Terzo: la conformità del nostro impegno a quello degli alleati che sono impegnati nell'operazione, primi fra tutti Francia e Regno Unito, la cui esigenza è emersa sempre più forte con il progredire delle operazioni. Ne ho avuto contezza dai continui contatti con i miei omologhi: il 18 aprile ho incontrato a Washington il Segretario di Stato della difesa americano, Robert Gates, il 20 aprile il Segretario della Difesa britannico, Liam Fox, ho avuto contatti telefonici con il Ministro francese e ho incontrato anche il Ministro emiratino.
Con tutti ci siamo trovati d'accordo nel valutare come l'attuale situazione sul terreno, in assenza di una determinata azione internazionale, potrebbe rischiare di creare una divisione di fatto anche se temporanea della Libia e soprattutto prolungare le sofferenze della popolazione, dando modo a Gheddafi di perseverare nella sua azione violenta contro i civili inermi.
Quarto: l'attenzione alla domanda di aiuto da parte del Consiglio nazionale di transizione libico, da noi riconosciuto come rappresentante legittimo del popolo libico. Il Consiglio nazionale di transizione, cui è attribuito un ruolo centrale nel cammino verso la pace e la democrazia, attraverso i suoi rappresentanti - che sono venuti in Italia e sono stati ricevuti, oltre che dal Presidente del Consiglio, da noi stessi e dal Presidente della Repubblica - ci ha fatto molteplici richieste di aiuto e sostegno proprio in relazione alla sua impossibilità operativa di contrastare l'azione delle forze governative contro la popolazione civile.
Debbo dire incidentalmente che, a prescindere dall'incompatibilità con la risoluzione n. 1973, non ci è stato richiesto un impiego militare sul terreno della Libia.
Quinto: la nostra piena convinzione che la partecipazione nazionale alle operazioni sia stata dall'inizio giustamente dimensionata e correttamente condotta, ma che a fronte dell'evoluzione degli eventi essa richieda un diverso orientamento qualitativo.
Sentiti gli interlocutori internazionali ma in piena autonomia di giudizio, il Governo ha così maturato la decisione portata oggi alla conoscenza del Parlamento. Peraltro che vi fosse una riflessione in corso, sia pure senza che questo venisse riportato nel titolo, già cinque giorni fa ne avevo dato incidentalmente notizia nel corso di un'intervista al Corriere della Sera, dicendo che era in atto una riflessione proprio perché l'Italia voleva maturare una decisione adeguata alle esigenze.
Il nostro impegno già rilevante sia nella forma diretta degli assetti aerei e navali destinati all'operazione, sia nella forma indiretta delle basi e della logistica per gli apporti degli altri Paesi, si configura per il futuro secondo un profilo operativo relativamente più impegnativo.
L'assunzione di questo ruolo è questione di responsabilità e di consapevolezza della necessità di adempimento ai nostri obblighi internazionali e prima ancora di tutela della sicurezza nazionale. A ciò corrisponderà anche la possibilità - e questo lo voglio sottolineare - di incidere maggiormente nelle scelte della strategia internazionale per riportare la pace e la sicurezza della popolazione e, quindi, per avere voce in capitolo nelle conseguenze che la crisi libica produce.
Sesto: il conforto del sentimento nazionale è stato ben rappresentato ed espresso dal Presidente della Repubblica, le cui parole sono state richiamate anche dal Ministro Frattini, che nel condividere la decisione del Governo di ampliare le opzioni del proprio contributo all'operazione Unified Protector ha autorevolmente affermato: «l'ulteriore impegno in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a metà marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa e, quindi, confortata da ampio consenso in Parlamento», aggiungendo inoltre che «non dobbiamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione di Gheddafi».
Signori presidenti, onorevoli senatori e onorevoli colleghi, questi sono i sei fattori che ho ritenuto di dover citare quali fattori che hanno determinato la decisione


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di impegnarsi diversamente dal punto di vista tecnico-militare; con velivoli, più funzionali alle nuove esigenze operative, e anche con l'invio di un piccolo gruppo di istruttori militari presso il Consiglio nazionale di transizione.
Dunque abbiamo confermato sul piano quantitativo - questo è importante - lo stesso contributo di assetti aerei che rappresentava a nostro avviso già un apporto di primo livello sul piano delle capacità, soprattutto se si considerino in sistema con il dispositivo aereo navale e il complesso delle nostre basi e relativo supporto operativo logistico e tecnico.
Per la condotta delle operazioni aeree relative all'imposizione della no fly zone sino ad ora il nostro Paese ha fornito 12 velivoli da combattimento al giorno: per l'esattezza, quattro velivoli di tipo Eurofighter o F16 per compiti di difesa e superiorità aerea; quattro velivoli Tornado ECR per compiti di soppressione delle difese aeree libiche, in grado cioè di lanciare missili - i giornali possono dire di bombardare, io dico correttamente di lanciare missili - per distruggere i radar libici; quattro velivoli AV-8B Plus imbarcati su nave Garibaldi per compiti di difesa aerea e ricognizione.
Desidero qui ricordare che in effetti non c'è stato bisogno di lanciare un solo missile antiradar perché il potere deterrente della presenza in volo dei nostri aerei dotati di quelle capacità ha costretto i libici a mantenere spenti i radar e dunque all'impossibilità di portare minaccia alle forze aeree della coalizione impegnate a colpire con missili aria terra obiettivi militari libici. Queste funzioni continueranno nella misura in cui la catena di comando della NATO preposta all'assegnazione delle missioni ai velivoli la riterrà necessaria.
Nel contempo, con la decisione all'esame odierno abbiamo voluto ampliare il ventaglio delle opzioni di impiego dei velivoli, al fine di renderlo più funzionale alle effettive esigenze operative e agli obiettivi individuati dalla NATO per la difesa diretta della popolazione, aumentandone la flessibilità operativa, autorizzando azioni mirate contro specifici e selezionati obiettivi militari sul territorio libico, ovvero contro obiettivi che rappresentino una immediata e chiara minaccia o pericolo per i civili.
Di conseguenza quattro velivoli di tipo Eurofighter o F16 continueranno ad essere destinati ad assolvere funzioni di superiorità aerea. I quattro Tornado invece potranno essere impiegati in configurazione ECR, come quella che ha operato sino a oggi per neutralizzare le difese aeree libiche, oppure in configurazione IDS con capacità di impiegare sistemi di armamento di precisione a guida laser o satellitare per azioni contro obiettivi militari selezionati o anche per compiti di semplice ricognizione.
I quattro AV-8B plus imbarcati su nave Garibaldi continueranno ad essere impiegati per compiti di difesa aerea e ricognizione, ma in aggiunta potranno all'occorrenza essere anch'essi equipaggiati con armamento di precisione per azioni contro obiettivi militari selezionati, identici a quelli prima illustrati.
L'avvio concreto di questa nuova fase inizia proprio con questa mia comunicazione al Parlamento. Benché potessi formalizzare la disponibilità alla NATO degli assetti che vi ho appena elencato, che ripeto non cambiano dal punto di vista quantitativo, anche prima, ho voluto rispettare l'impegno di illustrarlo comunque alle Commissioni riunite.
Confermo ancora che i nostri velivoli e gli equipaggi sono già pronti a condurre l'intero spettro delle missioni che vi ho elencato e, al termine di questa informativa, verranno quindi resi disponibili alla NATO per essere impiegati non appena saranno assegnati gli obiettivi.
Confermo ancora che l'impiego delle nostre forze aeree avverrà nel pieno rispetto della risoluzione n. 1973 e che l'ingaggio degli obiettivi avverrà con sistema di armi di alta precisione al fine di evitare ogni danno collaterale. Non voglio impiccarmi alle parole, ma continuare a parlare di bombardamenti a me sembra fuorviante. Capisco che non è un fatto lessicale quello su cui oggi ci dobbiamo


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interrogare, e tanto più lo è il desumere dall'improprio utilizzo di questo termine approssimativo un sostanziale cambio di strategia delle nostre forze.
Ancora: quell'impiego non può, né deve essere giudicato come ultroneo rispetto al mandato di difesa della popolazione civile, bensì come l'utilizzo di ogni misura necessaria per garantire quella sicurezza nello spirito e nella lettera della risoluzione delle Nazioni unite.
Ho avuto occasione in questi giorni di dire che dal punto di vista etico - ma l'ho sempre detto, se qualcuno avesse avuto la bontà magari distrattamente di leggere qualche dichiarazione - l'impiego fino a oggi degli assetti italiani non ci ha mai distanziato dall'impiego delle nazioni a noi alleate. Noi abbiamo partecipato alle azioni che hanno colpito obiettivi militari con lo stesso, identico intento, solo nell'ambito della squadra con un compito diverso. Mi sono permesso banalizzando - me ne rendo conto - di fare anche un paragone con i diversi ruoli, centrocampo e attacco, che vi sono in una squadra di calcio perché noi fino a oggi abbiamo consentito la sicurezza degli aerei che utilizzavano i missili per colpire a terra, svolgendo il ruolo decisivo di impedire che la contraerei libica li potesse colpire. Dal punto di vista etico, quindi, abbiamo assolutamente partecipato.
Cosa cambia? Oggi ci assumiamo, non più in termini di concorso, ma in termini diretti, un rischio maggiore, ossia quello di essere noi a provocare effetti collaterali che non sarebbero giustificati. Questo rischio noi cerchiamo di annullarlo dando il preciso impulso all'utilizzo soltanto di strumenti fortemente chirurgici, scientificamente mirati, e impedendo in ogni caso che gli obiettivi siano diversi da quelli squisitamente militari.
Si chiede perché abbiamo cambiato opinione. Lo ha illustrato bene il Ministro Frattini, ma posso dire, come esperienza personale, che avrei potuto - senza colpo ferire e credo senza proteste - nel momento in cui il Parlamento autorizzò l'adesione alla risoluzione ONU, fornire alla NATO e agli alleati i mezzi che ci chiedevano già allora, cioè i Tornado così attrezzati, come oggi facciamo. In quel momento, senza dare un diniego ma discutendo con i miei omologhi, feci presente che potevamo offrire gli ECR che loro non avevano. In quella occasione, non avendo estrema necessità di ulteriori Tornado in grado di colpire aria-terra, l'accordo fu raggiunto e noi fornimmo gli assetti che sapete.
Di fronte alla mutata situazione umanitaria sul terreno, in conseguenza della quale gli alleati e la NATO, alla Conferenza di Berlino, e tutti i rapporti bilaterali che abbiamo avuto insistono perché anche l'Italia non rimanga insensibile (parole, peraltro, del Presidente della Repubblica) alla necessità di intervenire ulteriormente per salvaguardare l'incolumità del popolo libico, sarebbe stato impossibile venire meno a questo impegno senza tradire lo spirito della risoluzione n. 1973, alla quale aderiamo, e senza venir meno a un ruolo dell'Italia, che intende avere voce in capitolo sul futuro del Mediterraneo e non lasciare ad altri il compito di decidere cosa avverrà.
La seconda misura che modifica il precedente impianto operativo - lo dico sinteticamente - vedrà a giorni l'invio di dieci istruttori militari che, insieme al pari numero di istruttori forniti da Francia e Gran Bretagna, saranno inseriti nella costituenda struttura militare di comando del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi.
Gli uomini dei tre gruppi - italiani, francesi, inglesi - non avranno un'unica struttura gerarchica, con un unico comandante, ma agiranno solo in coordinamento fra di loro, con il compito di operare con gli ufficiali del Consiglio nazionale di transizione nei vari settori (verranno suddivisi nei settori personale, logistica, comunicazione eccetera).
Concludo richiamando ancora una volta le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica che, nel fare riferimento al piano di interventi della coalizione postasi sotto la guida NATO, ha voluto rivolgere il suo alto pensiero ai nostri militari, come Capo delle forze


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armate, sottolineando che ancora una volta i comandi e i vari comparti delle nostre forze armate sono chiamati a fare la loro parte con la professionalità e la dedizione che li distinguono. Come responsabile politico della Difesa, posso assicurarvi che questa professionalità, questa dedizione, è integra nei nostri uomini e nelle nostre donne con le stellette e continuerà ad esserci anche in questo impegno per la Libia, terra di un popolo amico che speriamo di vedere presto riscattato alla pace e alla sicurezza. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro La Russa.
Vorrei sottolineare che i tempi sono molto stretti. Infatti, considerando sette gruppi e cinque minuti per l'intervento di ciascun rappresentante di gruppo, siamo già a trentacinque minuti. Inoltre, sono pervenute due ulteriori richieste di intervento, quindi abbiamo complessivamente quattordici iscritti.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Vorrei rinnovare l'invito al gruppo del Partito Democratico e al gruppo del Popolo della Libertà, se ritengono che sia utile una mia maggiore presenza in questa sede, di rinviare alla prossima occasione il question time e di darmi la possibilità di prolungare la mia presenza in Commissione.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro, avevo già sottolineato questa opportunità. Potremmo guadagnare complessivamente circa mezz'ora, qualora dovesse esserci da parte dei gruppi una proposta in questo senso. Se non ci sono ulteriori novità, dobbiamo invece comprimere i tempi, limitando a non più di quattro minuti gli interventi del primo giro e a un minuto gli altri interventi.
Sull'ordine dei lavori ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa.

GIORGIO LA MALFA. Signor presidente, noi siamo stati convocati per comunicazioni del Governo, ma il Ministro della difesa, nel suo importante intervento, ha indicato che essendo mutata la situazione sul terreno questo comporta un cambiamento dell'impostazione italiana, ed ha specificato che attende la conclusione di questo incontro prima di dare il via operativamente a questo cambiamento.
Questo impone, a mio avviso, che ci sia una risoluzione al termine dei nostri lavori, perché il Governo si è rivolto al Parlamento.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole La Malfa. Questa è ovviamente una sua valutazione. Siamo in sede di comunicazioni del Governo davanti a quattro Commissioni riunite di Camera e Senato e non è ammessa una votazione in questo senso. Se verranno presentate delle risoluzioni sarà cura degli uffici di presidenza delle Commissioni definire modi e tempi per il loro esame.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIORGIO TONINI. Signori ministri, non c'è nulla di più dannoso per il Paese che utilizzare a fini di politica interna difficili passaggi in materia di politica estera. Io starò al punto, esprimendo una considerazione di politica estera e poi una che riguarda il procedimento parlamentare.
Quanto alla considerazione di politica estera, il 19 aprile scorso avemmo proprio in quest'aula un confronto con il Ministro Frattini e da parte dell'opposizione si fece osservare come fossimo in presenza di una asimmetria difficilmente sostenibile tra una posizione molto marcata dell'Italia sul piano politico, che era arrivata al riconoscimento del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi come unico interlocutore politico in Libia, e invece una posizione militare molto prudente. Dicemmo allora che questa asimmetria era difficilmente sostenibile e i fatti ci hanno dato ragione, anche perché in quella stessa giornata anche noi, alcuni parlamentari delle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato, abbiamo avuto occasione di incontrare Abdel Jalil e il resto della


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delegazione del CNT e abbiamo anche noi tratto l'impressione di un appello accorato da parte di quelli che credo si possano e si debbano definire i resistenti libici. Un appello accorato che ha liquidato con fastidio anche le volenterose affermazioni di alcuni colleghi che sostenevamo che fossimo impegnati per una soluzione pacifica della crisi libica.
Da parte loro questa espressione fu accolta come un'espressione venata da una qualche ipocrisia: che cosa vuol dire soluzione pacifica finché Gheddafi bombarda con i cannoni la città di Misurata, continua a minacciare anche la stessa sopravvivenza di Bengasi e, comunque, sta facendo quello che sappiamo nei confronti del suo popolo? Chiesi, allora, al Presidente Jalil che cosa noi possiamo fare per stare dentro la risoluzione n. 1973, che per noi è comunque un limite invalicabile.
Questa risoluzione prevede due paletti, non uno: credo si possa dire che nelle parole del Ministro Frattini il secondo è implicito, ma io vorrei che fossero esplicitati entrambi. Il primo paletto prevede che non è possibile un'operazione di terra, il secondo prevede che qualunque altro tipo di intervento, siccome deve essere finalizzato a proteggere i civili, non può comportare maggiori perdite civili.
La risposta di Jalil è stata la seguente: loro sono in grado di aiutarci e la NATO è in grado, anche con il loro aiuto, di individuare obiettivi militari molto chiari sul terreno, quelli che in questo momento stanno minacciando la popolazione civile, e questo è ciò che loro ci chiedono di fare come contributo fattivo.
Ebbene, io credo che l'Italia non possa sottrarsi a questo impegno e, semmai, c'è da riflettere sull'adeguatezza tecnica rispetto a questo. Il Ministro ha detto alcune cose e qui ci sono colleghi che potranno interagire con il Ministro della difesa in maniera più competente di quanto possa fare io circa le capacità che abbiamo di garantire questo risultato. Purtroppo, i precedenti ci dicono che raramente si vincono le guerre dal cielo e questo è l'elemento di inquietudine presente in molti di noi.
Si tratta di capire se per proteggere in maniera efficace quelle popolazioni civili non sia il caso di lavorare a forme di corridoio umanitario, di pensare a truppe ONU di interposizione e via dicendo. Comunque, è chiaro che questa è la direzione nella quale dobbiamo procedere.
Passo alla seconda considerazione, con la quale concludo, relativa al procedimento parlamentare. Come ho detto prima, guai a usare la politica estera a fini di politica interna. La politica interna deve mettersi al servizio della politica estera, in quanto la politica estera è politica per l'interesse nazionale, che per noi non può che essere compreso all'interno dell'articolo 11 della Costituzione, ossia promuovere un ordine internazionale fondato sulla pace e sulla giustizia. Lì va iscritto l'interesse nazionale dell'Italia. In questo momento, perché questo sia possibile sono necessarie due condizioni. La prima è una forte coesione del Governo e della maggioranza; una coesione che, stando alle dichiarazioni di alcuni ministri, in questo momento non vediamo. La seconda è la responsabilità dell'opposizione. I due elementi si richiamano a vicenda.
Pur tenendo ferma la posizione del Presidente Napolitano, che ha affermato che non c'è alcuna necessità formale di un nuovo voto, perché le decisioni assunte dal Governo sono contenute all'interno dei dispositivi già approvati dalla Camera e dal Senato, tuttavia, credo che dal punto di vista politico sia opportuno un dibattito parlamentare, non per scommettere sulle divisioni e per produrre divisioni all'interno del Paese e del Parlamento, ma per costruire una convergenza che consenta al Paese di affrontare questo passaggio con responsabilità e coesione nazionale.

GIANFRANCO PAGLIA. Non fa parte del mio DNA fare alcun tipo di polemica, soprattutto in questi frangenti. Dispiace che, a differenza mia, ci siano membri del Governo che pensano esattamente l'opposto.
Detto ciò, esprimo una semplice considerazione, in maniera molto umile. Consiglierei, vista la situazione così ambigua di


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questa missione, di evitare proclami su ciò che faremo oggi e poi cambiarli dopo una settimana. Mi spiego meglio: affermando qui che non bombarderemo e poi, dopo una settimana, comportandoci esattamente al contrario non facciamo una bella figura. Peraltro, quello che crea un certo imbarazzo è che questa decisione sia cambiata dopo la telefonata del Presidente Obama. Io penso che l'Italia non meriti tutto ciò. A differenza mia, essa ha una spina dorsale e una posizione eretta, che funziona, e quindi ritengo che i membri del Governo debbano maggiormente rispettare l'Italia e soprattutto lo debbano fare gli Stati stranieri.
Vi do atto che avete puntato i piedi per quanto riguarda la leadership di questa missione e che ciò ha rappresentato un punto di forza per l'Italia. Bisogna continuare in tal senso.
Il futuro ci è ignoto. È ambiguo e, come è già stato rilevato poco fa, purtroppo questo tipo di guerra non si vince dall'alto. Dovrà esserci eventualmente un'ulteriore risoluzione dell'ONU per valutare un possibile impiego via terra.
Signor Ministro, osservo però che probabilmente durante i nostri bombardamenti ci potranno essere anche vittime civili. Non possiamo escluderlo. Ne prendiamo atto, ma il mio appello è quello di dimostrarci uniti, maggioranza e opposizione, e ciò vale anche per i membri del Governo, perché, essendo questa una guerra infida, una guerra oscura, di cui nessuno di noi potrà prevedere il futuro, l'unico modo per farsi trovare preparati è quello di essere uniti e di parlare con una sola voce.

LUIGI RAMPONI. Ritengo che quanto sta accadendo, ossia l'ultima decisione di partecipare in termini più decisamente bellici alle operazioni, rientri nell'ordine normale degli eventi. Tutti affermano che la situazione è indeterminata e in evoluzione, un'azione che cambia non solo sul terreno, ma anche per la partecipazione o la non partecipazione di coloro che hanno aderito all'invito delle Nazioni Unite.
Non vedo perché ci si debba preoccupare del fatto che fino a un dato punto abbiamo deciso di non effettuare attacchi al suolo e che successivamente abbiamo deciso di farlo. Ce lo chiedono il Segretario Rasmussen, la NATO e la stessa organizzazione delle Nazioni Unite. Ce lo chiedono perché gli americani si sono ritirati.
A questo proposito, vorrei osservare che dovremmo finire di avere un complesso di inferiorità nei confronti degli altri. Se vogliamo effettuare il confronto tra il comportamento del nostro Paese e quello, per esempio, della Germania, che prima si astiene, poi toglie la nave dal blocco navale e in seguito la concede di nuovo, mi pare che ne esca in modo molto più rispettabile il comportamento del nostro Governo.
Se vogliamo confrontarci con gli americani, che prima lanciano cento missili, poi si ritirano e poi decidono di mandare i droni, vediamo che ogni Governo decide in base alla situazione che si presenta, adeguando a una situazione in evoluzione determinati tipi di impiego e di impegno. Se fra dieci giorni la situazione dovesse cambiare e il Governo cambiasse strategia, ciò sarebbe perfettamente attagliato a una situazione in continua evoluzione.
Il secondo punto è quello della soluzione politica. Spererei che soprattutto l'azione dell'Unione africana potesse avere successo, anche se il primo tentativo è fallito. Ritengo, però, che, a questo punto, la soluzione politica si possa vedere esclusivamente all'interno della Libia, quando il popolo libico, in particolare quella sua parte che ancora sostiene Gheddafi, finirà per perdere la fiducia in lui, attraverso i colpi che militarmente le verranno inferti. Sarà lei a fare giustizia di tale regime. Non credo che sia visibile un'altra soluzione.

PIER FERDINANDO CASINI. Io credo, come è stato da più parti autorevolmente sottolineato, che la scelta che oggi compie il Governo italiano si inserisca nel naturale sviluppo delle scelte che abbiamo compiuto a marzo in base alla risoluzione n. 1973 delle Nazioni Unite. Il Consiglio


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supremo di difesa è stato chiaro in proposito e anche le opinioni del Capo dello Stato, ben lungi dal costituire uno schermo per ciascuno di noi, sono un punto di riferimento importante, su cui, a mio parere, si riassume bene l'unità del Parlamento.
Oggi abbiamo di fronte tre questioni. La prima è l'opinione su questo annuncio di partecipazione militare più intensa da parte del Governo; la seconda è la nostra opinione sugli eventuali appuntamenti parlamentari che si potranno profilare e, la terza, è il giudizio sull'operato.
Voglio essere sintetico ed esprimermi in un minuto. In primo luogo, ho già manifestato la mia opinione su questo annuncio. Per me è un naturale sviluppo e non c'è nulla di nuovo, anche se a nessuno sfuggono le implicazioni che tale vicenda può avere, nonché i possibili futuri passaggi in sede ONU che si dovranno compiere per via della complessità della questione.
In secondo luogo, passo a gli appuntamenti di verifica parlamentare. Il senatore Tonini ha chiesto un passaggio parlamentare e ho visto che l'ha fatto anche il mio amico e collega, onorevole Rutelli. Sono assolutamente d'accordo, se vogliono compiere un passaggio parlamentare. Credo che in democrazia sia sempre meglio un passaggio parlamentare in più piuttosto che uno in meno, ma francamente non credo che esista un vincolo per alcuno di nuovi passaggi parlamentari, perché esiste già di per sé una copertura molto chiara, come il senatore Tonini ha riconosciuto.
Passo al giudizio e ho concluso. Il giudizio, colleghi, è catastrofico e addirittura copre di ridicolo il Governo. Ministro Frattini, lei conosce la stima che nutro nei suoi confronti, che è fuori discussione, ma lei ha sostenuto che l'Italia ha svolto un ruolo propulsivo nella gestione della questione libica. Noi abbiamo cambiato venti opinioni e un conto sarebbe se le avessimo cambiate in silenzio. Invece le abbiamo tutte comunicate in diretta televisiva e con interviste ai giornali: siamo passati da Gheddafi leader del suo popolo, che, rispetto alle altre vicende del Maghreb, è riconosciuto e amato, al sì o no alla no fly zone, al «non disturbo Gheddafi», al partecipiamo, ma non spariamo, fino allo spariamo, ma non colpiremo.
Cerchiamo di fare un fioretto, come affermava la mia nonna, ed evitiamo altri proclami pubblici, perché poi questi, come ha ricordato il collega Paglia, vengono puntualmente contraddetti nello spazio di una settimana e il tutto si traduce in una perdita di credibilità del Governo.
In che cosa un Paese si distingue dagli altri? Si distingue dal fatto che abbia una tenuta di sistema. Oggi il Partito Democratico e altre forze politiche, come la mia, responsabilmente vengono in questa sede e sul tema sostanziale, quello che conta, danno copertura al Governo, perché tengono in considerazione l'interesse nazionale.
Io non credo che il dibattito che in queste ore è clamorosamente sfociato sulle pagine dei giornali nell'ambito della maggioranza sia una situazione che rassicuri l'opinione pubblica internazionale sulla tenuta del nostro Paese. Voi affermerete che non succede nulla e che la Lega non cambia la situazione. Lo sappiamo tutti. Siamo tutti convinti che non succeda nulla e che questo sia un cane che abbaia ma non morde, ma riteniamo anche che sia una questione che non contribuisce a dare credibilità all'Italia. Siamo, anzi, tutti convinti che la danneggi gravemente.

MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Noi abbiamo sempre manifestato, fin dall'inizio della crisi libica, una posizione cauta e prudente, tendenzialmente contraria a ogni intervento di forza. A suo tempo abbiamo accettato, pur manifestando le nostra perplessità, i contenuti della risoluzione n. 1973 e da tali contenuti non crediamo che ci si possa allontanare.
Il pericolo principale che ne può derivare è l'invasione vera e propria di profughi e di clandestini, ma non è l'unico. Dobbiamo essere consapevoli che, se andiamo a inasprire il conflitto, dovremo accollarci, oltre agli ingenti costi diretti dell'intervento, anche quelli della ricostruzione.


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La posizione della Lega a tal proposito è rimasta chiara e coerente con quanto sostenuto fin dall'inizio e anche con quanto votato dal Parlamento solo lo scorso 24 marzo. Avevamo chiesto e ottenuto all'interno di tale mozione alcune precise condizioni.
Ne ricordo solo alcune per brevità di tempo. Innanzitutto, un'azione di pattugliamento del Mediterraneo in funzione di deterrenza e di contrasto alle organizzazioni criminali legate anche a gruppi terroristici e dedite al traffico di esseri umani, nonché in funzione di prevenzione immigratoria e di assistenza umanitaria. Inoltre, avevamo chiesto di ottenere dai partner europei un apporto di mezzi, anche finanziari, per condividere l'onere della gestione degli sbarchi di immigrati e delle operazioni di riconoscimento e di identificazione di coloro che si dirigono verso le coste italiane o ancora della piena attuazione della risoluzione n. 1973 ai fini della protezione dei civili e delle aree popolate sotto pericolo d'attacco, ivi compresa la concessione in uso di basi sul territorio nazionale. Soprattutto quella di garantire, nell'ambito di un rigoroso rispetto della risoluzione ONU, nonché attraverso opportune iniziative politico diplomatiche e intimidazioni del cessate il fuoco, il ritorno più rapido possibile a uno stato di non conflittualità.
Queste non sono le posizioni espresse dalla Lega, ma quelle votate dal Parlamento e che il Governo è tenuto a rispettare. In questo senso va anche il richiamo del Sommo Pontefice, giunto proprio nelle ultime ore. Si tratta di una posizione che la Lega, con chiarezza e coerenza, ha sempre sostenuto.
Appare, però, altrettanto chiaro che la situazione attuale sia la diretta conseguenza di quanto deciso dagli alleati, sia europei, sia americani, con i quali i rapporti non sono, non possono e non devono essere messi in discussione. È necessario, invece, che in questo contesto il Governo faccia valere le ragioni e gli interessi del nostro Paese. Noi intendiamo utilizzare tutto il nostro peso politico per evitare al Paese ulteriori danni e problemi rispetto a quelli già da noi elencati.
Sia chiaro per tutti, però, che la nostra non è una discussione contro il Governo, ma nel Governo e nella maggioranza. Non accettiamo in questo senso alcuna speculazione di tipo politico. Si metta il cuore in pace chi compie paragoni col Governo Prodi. In tale circostanza partecipavano partiti antiamericani e antioccidentali, che avevano l'obiettivo di cambiare i rapporti con i nostri alleati storici. Noi abbiamo sempre sostenuto posizioni diverse, lo stiamo facendo con coerenza e i nostri comportamenti parlamentari saranno conseguenti.

LEOLUCA ORLANDO. Onorevoli presidenti e signori ministri, io credo che questo incontro non sia una sede di deliberazione, ma tesa a registrare la cifra di chiarezza e di coerenza della politica estera e di difesa. Non è certamente la sede per mettere in discussione, e non lo facciamo, il Ministro La Russa né la professionalità e la dedizione dei nostri militari.
Francamente, però, non siamo in presenza di neocolonialismo - non si pone questo pericolo - ma di una neosubalternità. Si tratta una volta di una subalternità al dittatore Gheddafi e adesso di una subalternità all'alleato francese. Una volta si tratta della subalternità a questo dittatore, un'altra volta, invece, della dichiarazione di guerra allo stesso dittatore, appena pochi giorni prima definito un simbolo per il cambiamento.
Siamo in presenza di una escalation. Che piaccia o non piaccia, siamo in una condizione diversa e mi sembra che in toni diversi l'abbiamo riconosciuto tutti, sia il Ministro La Russa, sia coloro che sono intervenuti prima di me.
Abbiamo letto tanti contrasti e tante diverse prese di posizione. Siamo passati dalla no fly zone per impedire il bombardamento in danno della popolazione nel territorio libico al bombardamento - il Ministro La Russa critica tale parola e, quindi, propongo di utilizzare il termine


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«missilamento» - della stessa popolazione nel territorio libico.
Voglio ricordare che noi siamo in Italia e che esistono l'articolo 11 della Costituzione e un Parlamento. Io credo che non sia corretto, di fronte alla gravità e all'ambiguità dei comportamenti, saltare il passaggio parlamentare. Per questo motivo l'Italia dei Valori presenterà una mozione con la quale chiederà al Governo di presentarsi in Parlamento e di riferire ciò che intende fare, essendo convinti che la delega in bianco non sia accettabile e, meno che mai, che lo sia la subalternità del nostro Paese, non solo una volta all'uno e una volta all'altro dei cosiddetti partner e interlocutori, ma anche ai comunicati stampa che si apprendono casualmente e in maniera controversa.
Vorremmo capire la posizione del Governo e vorremmo che su questo punto il Parlamento si pronunci, anche con riferimento a quali azioni diplomatiche e politiche si prevedono e a come si intenda affrontare il tema della cooperazione nel Mediterraneo. Dobbiamo riconoscere che si respira una voglia di guerra che noi riteniamo assolutamente inaccettabile.

FRANCESCO RUTELLI. Presidente e colleghi, mi pare che ci troviamo di fronte a un cambiamento politico e di impatto nella crisi libica, illustrato chiaramente dai ministri che hanno introdotto i nostri lavori. Noi reputiamo che non sia vero che gli annunci che i ministri hanno appena fornito siano incoerenti rispetto al mandato della risoluzione delle Nazioni Unite, ma che ci troviamo di fronte a un chiaro mutamento politico e di indirizzo e a un chiaro mutamento operativo, come in maniera esplicita è stato detto dapprima dal Ministro Frattini, che ha chiarito i termini di quello che ha definito «l'ulteriore impegno» e poi dal Ministro La Russa, che ha precisato quelle che sono le nuove modalità di impiego degli aerei e le nuove azioni che dovranno essere intraprese direttamente contro le minacce portate dal regime di Gheddafi.
Questo apre la questione politica che adesso l'onorevole Reguzzoni ha inteso eludere, ma che è chiaramente davanti a noi. La questione politica è stata posta dal Ministro Calderoli, che ha così precisato la differenza in seno al Governo e il cambio di passo in ciò che sta avvenendo. Riferendosi a una seduta del Consiglio dei Ministri, il Ministro Calderoli ha dichiarato: «quando La Russa ha chiesto di cambiare le caratteristiche del nostro coinvolgimento in Libia io stavo per prendere la parola per esprimere la contrarietà della Lega, ma sono stato anticipato da Berlusconi il quale ha spiegato di non volere neppure un ferito in Libia per mano delle nostre forze armate, aggiungendo che le nostre relazioni con quel Paese sono particolari».
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato finora in modo esplicito che non ci sarebbero state azioni militari da parte del nostro Paese, il Ministro degli esteri e il Ministro della difesa, anche alla luce delle dichiarazioni che hanno fatto inversione a U rispetto a questa posizione del Premier, ci hanno informato del nuovo quadro.
Questo comporta che il Parlamento, in coerenza con la risoluzione delle Nazioni Unite n. 1973, si pronunci per autorizzare questa nuova fase. Preannuncio che per questa nuova fase i deputati e i senatori che aderiscono ad Alleanza per l'Italia voteranno a favore perché si riconoscono nella necessità nelle quali si è riconosciuto il Governo.
Noi chiediamo che si riuniscano formalmente le Commissioni parlamentari alla Camera e al Senato per fornire indirizzo al Governo ed esplicitare le posizioni delle parti politiche, che ad oggi si vuole sostanzialmente dissimulare dentro una dichiarazione che prima era troppo stretta (quella della risoluzione dell'ONU) e adesso è diventata tanto larga da consentire che si dicano le cose radicalmente opposte, che abbiamo ascoltato nel corso di questo stesso dibattito da parte del secondo partito della coalizione di Governo.
Le motivazioni che portano la Lega a sostenere questo riguardano la Lega e non noi, anche se le dichiarazioni del Ministro


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Bossi anch'egli Ministro della Repubblica che dice «ogni bomba che cade arrivano più profughi in Italia» è una osservazione radicalmente infondata: il problema è esattamente il contrario. Come a un certo punto deciso dall'amministrazione americana, la necessità di un intervento in Libia è a causa del fatto che si profilava un massacro di civili.
Ora è in corso un gravissimo eccidio di civili e questo impone all'Italia non un'azione di guerra come sostengono alcuni, ma un'azione di responsabilità per arrestare o diminuire tale eccidio, quello che quotidianamente nella situazione militare di stallo si sta producendo.
Questa evoluzione politico-militare, che comporta che i nostri aerei passino dalla scorta e dal jamming a un'azione diretta di lancio di bombe e di missili, esige un'autorizzazione esplicita da parte del Parlamento, da parte delle Commissioni. La chiediamo formalmente, essa deve aver luogo e in quella sede verificheremo cosa pensano davvero i partiti che ora fanno parte della coalizione di maggioranza.

GIORGIO LA MALFA. La posizione che dobbiamo prendere è molto semplice: il Governo chiede in questa azione di politica estera la solidarietà del Parlamento e mi pare che le forze di opposizione siano orientate a darla. Nel fare questa richiesta, però, il Governo deve poter parlare in espressione di tutta la sua composizione.
Noi abbiamo sentito le parole dell'onorevole Reguzzoni - che rispetto e di cui ho considerazione personale - che dicono che vi è in corso una discussione nella maggioranza e nel Governo (sono parole testuali). Oggi il Governo parla a nome del Governo o i ministri parlano da soli? Poniamo questo tema non perché vogliamo rendere più difficile l'azione del Governo, ma perché non può essere chiesto all'opposizione di concorrere alla politica estera del Paese se il Governo non ha una sua politica estera.
È quindi necessario, presidente, questo chiarimento politico, perché le considerazioni dell'onorevole Rutelli e dell'onorevole Casini impongono un chiarimento politico. Oggi la linea del Governo è condivisibile, più di ieri per quanto mi riguarda, ma dobbiamo sapere se è una linea del Governo o di una parte di esso.

FRANCO MARINI. È emerso nel dibattito di oggi che la decisione del 18 marzo delle Commissioni è - uso una parola in politichese - «capiente» e consente al Governo quello che mi pare il Governo abbia deciso. Resta un punto che sta emergendo ora.
Detto questo, oggi io sto sulla posizione espressa da Tonini che era chiara su questo punto, ma chi può pensare - lo dico al Governo e alle componenti del Governo - che si possa andare avanti con dichiarazioni esplicite di dissenso all'interno della maggioranza per un tempo lungo? Sono i fatti che richiederanno di per sé un chiarimento parlamentare o si pensa di far finta che non ci siano dichiarazioni giornaliere che si dissociano dalla posizione del Governo?
Oggi, quindi, sono d'accordo che la nostra decisione sia capiente, ci sono le difficoltà del Governo, ma, se si continua con questi quotidiani interventi di dissociazione, sarà necessario lo sbocco per una discussione in Parlamento per individuare le vere posizioni.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor presidente, signori ministri, molto è stato detto e io mi rifaccio alle considerazioni del senatore Tonini, ma anche a quelle dell'onorevole Casini e per ultimo a una proposta del senatore Rutelli che condivido e che potrebbe mettere ordine in questa gestione della maggioranza intorno a questa posizione assunta dal Governo, che noi condividiamo.
Sarebbe da valutare, e noi la valuteremmo assolutamente in modo positivo, che in sede di Commissioni si possa arrivare a una definizione di una risoluzione, che consenta almeno in quella sede di poter determinare una base solida. È chiaro che è capiente, come ci ricordava adesso il senatore Marini, ma tra la capienza della risoluzione che abbiamo votato nelle Commissioni riunite e l'incapienza


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- se mi si consente questo termine - del dibattito che c'è stato tra ieri e oggi nella maggioranza, penso che un piccolo passo, quello di una risoluzione da votare in Commissione, sarebbe una cosa assai auspicabile.

MARCO PERDUCA. Concordo anche perché le dichiarazioni dure di entrambi i Ministri, se fossero state fatte nell'estate del 2008, probabilmente oggi non ci si troverebbe qui. Non dico che andava bombardato preventivamente Gheddafi, ma sicuramente denunciarne la qualità del regime avrebbe potuto aiutare a non consolidarlo o tanto meno sdoganarlo in tutto il mondo.
Posto che non si è capito bene quali siano queste misure necessarie che nel frattempo l'Italia ha posto in essere - è stato menzionato dal senatore Rutelli il jamming, ma non si capisce perché quotidianamente Gheddafi continui a parlare alla radio e alla televisione libica, per cui eventualmente questo jamming è stato fatto soltanto rispetto a una parte della dotazione tecnica militare, ma non per l'aspetto altrettanto fondamentale della propaganda - avrei la curiosità di sapere come si ritiene di utilizzare l'Unione africana come luogo da cui far scaturire una soluzione politica.
L'Unione africana è rinata dieci anni fa grazie a Gheddafi, che nel 2009 e nel 2010 ne finanziava un quarto del bilancio e ha fatto una campagna quotidiana perché l'Unione africana si dissociasse dalla Corte penale internazionale, che invece le Nazioni Unite nella risoluzione n. 1973 hanno voluto coinvolgere.
Molto probabilmente il valore dell'amicizia vera o comprata in Africa è diverso da quello in Italia perché dubito che chi ha fatto e detto tutto quello che hanno fatto i Governi italiani dal 1995 con qualcuno come Gheddafi possa trovare lo stesso tipo di reazione in Africa, ma sicuramente tra tutti i luoghi possibili quello mi pare il meno adatto per conseguire un cessate il fuoco e un'uscita di scena del raìs.

MASSIMO LIVI BACCI. La scorsa settimana, Ministro Frattini, le chiesi perché l'Italia non assumesse una leadership nel settore umanitario. Questo è l'obiettivo primario della risoluzione n. 1973: proteggere le popolazioni. Lei mi rispose che l'Italia ha questa leadership perché la creazione di EUFOR il 1o aprile di quest'anno prevede come compiti principali l'evacuazione degli sfollati e il sostegno alle agenzie umanitarie e di EUFOR l'Italia ha il comando con l'Ammiraglio Gaudioso e quindi noi siamo alla testa dell'attività di riscatto umanitario delle popolazioni libiche.
Purtroppo EUFOR esiste solo sulla carta: a quanto mi risulta può agire solo dietro indicazione dell'OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) cioè del braccio operativo del coordinamento umanitario del segretariato delle Nazioni Unite, che finora non ha dato nessun segnale. Siamo quindi leader di qualcosa che ad oggi non esiste, e questo mi sembra abbastanza grave anche perché ci sono stati 616.000 profughi dalla Libia, centinaia di profughi morti nel Mediterraneo, migliaia di morti sotto i bombardamenti, quindi mi sembra che vi sia ampio spazio per fare un'azione umanitaria incisiva.

ANTONIO RUGGHIA. Il Ministro La Russa, per spiegare le ragioni della nuova fase del nostro impegno, ha fatto riferimento al comunicato del Presidente del Consiglio del 25 aprile. Questa nuova fase consisterebbe sostanzialmente nello svolgere la nostra attività in modo conforme all'attività svolta dai nostri alleati in Libia.
Tuttavia il giorno dopo, il 26 aprile, c'è stata un'altra comunicazione del Presidente del Consiglio in cui ha affermato tranquillamente che noi non useremo, come invece fanno i nostri alleati, le bombe a grappolo, ma cercheremo di attivare la nostra Aeronautica soltanto con razzi di estrema precisione.
Credo che sia noi, sia i nostri alleati siamo vincolati alla risoluzione n. 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e che, quindi, neanche i nostri alleati


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possono permettersi di realizzare bombardamenti indistinti quando lo scopo della missione è proprio quello della protezione della popolazione civile.
Credo che questa voglia di distinguersi sempre dagli altri per dimostrare una posizione diversa faccia parte di quelle dichiarazioni che l'onorevole Casini ha già criticato, dichiarazioni che hanno dato un colpo alla credibilità del nostro Paese.
Per questo motivo credo che, come è stato detto dal senatore Tonini, ci sia bisogno di un nuovo passaggio parlamentare perché, se c'è bisogno di una nuova fase, questa deve restituire credibilità all'Italia.

RENATO FARINA. Vorrei esprimere qui la sensibilità di molti che, sostenendo il Governo e avendo fiducia nella qualità di ministri quali il Ministro Frattini e il Ministro La Russa, non vogliono però accettare come ineluttabile la logica dell'intervento armato.
Le incertezze che il Presidente Casini imputa al Governo discendono dal rifiuto di questa ineluttabilità, che avrebbe comportato la teorizzazione dell'escalation come ogni guerra impone, perché non esistono in guerra interventi morbidi. Invece, credo che il Governo saggiamente abbia accettato un'altra logica, quella di essere in prima fila tra coloro che appena si fosse posta la possibilità di una tregua l'avrebbero affermata. Pertanto, chiedo con forza al Governo che, nel partecipare a questa coalizione - non mi vergogno di dire obtorto collo, perché non si fa mai volentieri un'azione di questo genere - esso sia tra i primi a prendere sul serio il monito espresso dal Sommo Pontefice a Pasqua, vale a dire che la diplomazia e il dialogo si sostituiscano alle armi e si favorisca, nell'attuale situazione di conflitto, l'accesso ai soccorsi. Non definirei questo «umanitarismo», ma saggezza umana e storica.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro la Russa per la sua replica.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Credo che la replica possa essere affidata in maniera esauriente al Ministro degli esteri. Mi scuso se dovrò allontanarmi per rispondere al question time, che non è stato ritirato. Tuttavia, vorrei dare alcune brevi risposte.
A volte non bastano le parole, anche se registrate, per farsi capire. Non sono bastate quelle del Presidente Berlusconi, forse non sono bastate neanche le mie. Quelle del Presidente Berlusconi, onorevole Rugghia, mi sembravano chiarissime, anche se mentre le pronunciava ho pensato che qualcuno, magari volutamente, avrebbe cercato di fraintendere. Onorevole, non penserà davvero che qualcuno in Italia oggi possa immaginare di usare ancora bombe a grappolo, come nella seconda guerra mondiale. Per essere chiari, il Presidente ha anche aggiunto «come avveniva nella seconda guerra mondiale». Credo, comunque, che solo lei, in tutta Italia, abbia inteso in questo modo le parole del Presidente Berlusconi.
Si è quasi voluto assumere in alcuni interventi, sia pure in maniera garbata, che si sia annunciato un cambio di strategia. Rileggo le parole che ho pronunciato all'inizio: «...mostrando che in realtà di questo non si tratta, ma piuttosto di un adeguamento del nostro contributo agli sforzi della comunità internazionale o meglio di un aumento di efficacia del nostro intervento e delle nostre modalità operative.». Quindi, tutt'altro che un cambio di strategia, che rimane identica a quella che abbiamo svolto sin dal momento successivo alla risoluzione n. 1973.
Ringrazio chi, accanto alle critiche rivolte al Governo, ha voluto ricordare che il grande successo diplomatico dell'Italia è consistito nell'affidare alla NATO la guida di questa missione. Non è che gli elementi positivi debbano essere accantonati. Ringrazio il senatore Ramponi per aver ricordato che in una situazione come questa le posizioni sono necessariamente in evoluzione. Nessun Paese mantiene bloccate le proprie opzioni di intervento. Rimane costante la volontà di dare seguito alla risoluzione, ma le modalità vengono di volta in volta decise dai singoli Paesi a seconda delle necessità. Cosa è cambiato?


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È cambiato che ciò che prima non era indispensabile, ossia il nostro intervento anche nell'azione aria-terra, oggi è diventato necessario per la drammatica situazione di Misurata e perché vi è un minore apporto degli Stati Uniti in questa funzione.
È cambiata la situazione, cambia la modalità operativa del nostro intervento, ma non l'eticità dello stesso, che rimane uguale a prima - partecipare alle missioni aeree per colpire chi procura pericolo ai cittadini libici - con la stessa intensità.
Adesso mi recherò in Aula per riferire quello che l'onorevole Reguzzoni ha già detto qui, sottolineando l'enorme differenza tra chi contestava in altre occasioni la linea del Governo puntando su un diverso posizionamento internazionale e chi, invece, ha sin dall'inizio manifestato dei dubbi non sulle alleanze, ma sulle modalità dell'intervento. Mi pare che l'onorevole Reguzzoni abbia concluso dicendo che le posizioni parlamentari e i voti del gruppo della Lega saranno conseguenti alla circostanza - che non può essere messa in discussione - che l'atteggiamento nei confronti delle alleanze internazionali non cambierà. I rappresentanti della Lega hanno affermato di parlare nel Governo e non contro il Governo.
Io apprezzo i buoni propositi che ho sentito e mi compiaccio veramente della gran parte degli interventi, sia della maggioranza sia dell'opposizione. Credo che oggi debbano essere anch'essi portatori di una conseguenza positiva. Se ci fosse un voto, una presa di distanza, una crisi di Governo voluta dal Governo, lo capirei, ma il cercare disperatamente di avere come sbocco polemico una divisione della maggioranza che, al momento, è costituita solo da dichiarazioni di maggiore o di minore prudenza, di maggiore o di minore adesione ad alcune scelte, mi sembra che non sia conseguente allo spirito di coesione che pure, a partire dal senatore Tonini, ho positivamente registrato. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, Ministro La Russa.
Do la parola al Ministro Frattini per la sua replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie, presidente. Molte questioni sono state trattate anche dal Ministro La Russa e ovviamente non entrerò nel merito di esse.
Io valuto molto positivamente la riunione di oggi, nonché - lo riprenderò - il principio per cui la politica estera deve essere al servizio dell'interesse nazionale dell'Italia. Tutti i colleghi dell'opposizione, oltre a quelli della maggioranza, che hanno, da un lato, segnalato l'atteggiamento positivo sulle comunicazioni e sulle decisioni operative del Governo e, dall'altro, il fatto che non si debba usare a fini di politica interna la politica estera, come ha affermato il senatore Tonini, hanno il mio convinto apprezzamento.
Registro anche che molti colleghi hanno notato, e il Presidente Marini lo ha espresso in modo esplicito, la capienza delle decisioni votate dalle Commissioni riunite. Se non vi fosse, come non vi è, la volontà di una strumentalizzazione a fini di politica interna, tale decisione, che parlava, come si è ricordato, di un'attuazione piena della risoluzione n. 1973, non troverebbe oggi nelle modalità operative annunciate alcun tipo di cambiamento: si era, si è e si resterà all'interno della risoluzione n. 1973, quindi no ad azioni di terra, no a obiettivi civili e certamente sì a tutto quanto occorre alla protezione della popolazione civile libica. Questi sono i punti.
Onorevole Paglia, ho cercato di spiegare, forse in modo inefficace, che la decisione assunta non è stata presa dal Presidente del Consiglio per via della telefonata del Presidente degli Stati Uniti. Il Presidente degli Stati Uniti ha avuto un colloquio con il Presidente Berlusconi, in cui evidentemente quest'ultimo gli ha comunicato una decisione. Il punto di svolta è arrivato quando abbiamo ascoltato, come l'hanno ascoltato anche l'onorevole Tempestini e tutti i colleghi dell'opposizione, il Presidente Abdul Jalil, il quale sosteneva che avrebbe affidato alla nostra


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coscienza migliaia e migliaia di civili della Libia. È una decisione che abbiamo preso proprio perché non potevamo rimanere insensibili a tale appello.
Il Presidente Obama si è congratulato e lo hanno fatto anche gli altri leader mondiali, ma l'interesse nazionale dell'Italia è teso a non voltare la testa dinanzi a una tragedia umanitaria in corso in Libia.
Ricordo a me stesso, ma in questo caso all'onorevole Casini, che stimo, ricambiando le espressioni di apprezzamento che mi ha rivolto, che l'Italia ha davvero svolto un ruolo propulsivo. L'azione per ricondurre la coalition of the willing all'interno della NATO aveva trovato in chi vi parla una spinta propulsiva forte, che ha ricevuto anche molte reazioni negative formali.
La politica italiana ha sostenuto la mia azione e il risultato è stato ottenuto. Non è stata solo l'Italia a ottenerlo, ma è stata tra i primi Paesi, se non il primo certamente. Non potevamo immaginare una coalition of the willing a guida bilaterale o trilaterale. Abbiamo fortemente voluto e ottenuto la NATO.
Il Presidente Casini ricorda che la nostra partecipazione alla missione è stata decisa sin dal primo giorno, ma ricorderà anche - in tale ambito c'è stato davvero un ruolo propulsivo ancora una volta dell'Italia - che il riconoscimento del Consiglio nazionale transitorio è stato deciso dall'Italia, unico Paese europeo, insieme alla Francia, per dare una spinta e uno sprone che hanno fortemente aiutato. Altri Paesi stanno valutando posizioni analoghe e alcuni Paesi arabi hanno riconosciuto il CNT.
Credo che ciò non possa essere dimenticato e rispondo anche al senatore Livi Bacci in merito al fatto che sul ruolo umanitario dell'Italia non temiamo confronti. Abbiamo la guida di EUFOR. È pronta, non ha ancora operato, è vero, ma non ha ancora operato perché deve chiederlo l'ONU. Non è certamente colpa dell'Italia - spero che non vorrà suggerire questo - se l'ONU non effettua la richiesta.
Anche a livello bilaterale non esiste Paese europeo che ha fatto più dell'Italia. Credo che tutti noi, come italiani, dovremmo essere orgogliosi di ricordare che l'Italia ha inviato quattro missioni navali che hanno portato aiuti, ha provveduto all'evacuazione di cento feriti, tra cui alcuni gravi, anche da ospedali di Misurata, ha sostenuto missioni umanitarie importanti di privati e sta preparando team di medici italiani che hanno già dato la loro disponibilità. Alcuni sono medici privati di un'importante ONG che compie azioni umanitarie, che noi ovviamente abbiamo aiutato perché si tratta di ONG e non di azioni del Governo. In campo umanitario, lo ripeto francamente, non temiamo confronti dal punto di vista quantitativo e qualitativo ed è bene ricordarlo.
Il senatore Perduca si chiede perché ci riferiamo all'Unione africana. Senatore Perduca, come saggiamente ci ha ricordato l'onorevole Farina, ogni tentativo di pervenire alla pace va preso sul serio. Non userei il disprezzo che lei ha usato verso l'Unione africana. Non è una banda di gente al libro paga di Gheddafi, ma gente che vuole sinceramente impegnarsi. Se lei avrà l'occasione, ma forse l'ha già avuta, di incontrare il Presidente Ping, che io ho incontrato molte volte, vedrà che si tratta di un leader africano di peso, che non ha alcuna intenzione di praticare sconti a Gheddafi.

MARCO PERDUCA. È il Presidente della Commissione e non dell'Unione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Senatore Perduca, lei fa torto alla sua intelligenza, se crede che io non sappia chi è Ping, che conosco forse un po' meglio di lei. Il Presidente della Commissione dell'Unione africana è colui che ha guidato la delegazione di cinque presidenti che stanno negoziando la pace. Per questo motivo l'ho citato e non perché non sappia distinguere tra l'uno e l'altro organismo.
Se l'Unione africana non riuscirà nel suo tentativo, noi chiederemo che siano le Nazioni Unite, con il Ministro al-Khatib, ad assumere la leadership dei tentativi,


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riconducendoli a unità ed evitando le dispersioni di tentativi di trattativa multilaterale, bilaterale, più o meno segreti, riportandoli nell'ambito dell'ONU. Non escluderei, però, che se un giorno l'Unione africana potrà portare un contributo, possa tornare in gioco.
Il fatto che ieri vi siano stati colloqui su tavoli separati sia con il CNT, sia con gli emissari del regime di Tripoli, ad Addis Abeba, significa che l'Unione africana non rinuncia all'idea di arrivare a un cessate il fuoco che non sia il consolidamento dello status quo del regime di Gheddafi. Non potremmo accettare tale soluzione ed è per questo motivo che noi incoraggiamo ad andare oltre quel tentativo infruttuoso, che è fallito, come tutti sapete, proprio perché la condizione dell'abbandono di Gheddafi non era stata indicata dall'Unione africana. Per questo motivo giustamente il tentativo è fallito.
Quanto alle altre osservazioni di merito, a cui mi associo, in relazione alla condivisione di massima della linea di azione dell'Italia, voglio svolgere due ultime considerazioni. Noi non abbiamo mai accettato l'inevitabilità dell'intervento armato, se non quando abbiamo visto migliaia di persone rivolgere appelli disperati, sostenendo che si trattava di una questione di ore prima che Bengasi venisse rasa al suolo. Non abbiamo accettato l'inevitabilità di un'ulteriore pressione militare finché il Presidente Abdul Jalil non ci ha comunicato che la coscienza dell'Italia era richiamata in questo momento dinanzi alle stragi che stavano avvenendo a Zintan, città meno nota di Misurata, che è presa d'assalto da almeno due settimane dai carri armati di Gheddafi.
Le stragi sono la ragione che ci ha indotto, onorevole Farina, ad accettare di fare ciò per cui alcuni ci avevano accusato di una prudenza iniziale. Proprio per questa prudenza noi non avevamo voluto rassegnarci, fino a quando non abbiamo sentito i libici chiedere di non voltare la faccia dinanzi a donne e bambini che muoiono.
Questa è stata l'evoluzione, non un cambio di strategia, ma un'evoluzione che ci ha impedito di voltare la faccia dall'altra parte. Lo voglio ribadire perché io sono non sensibile, ma ancora di più, all'appello del Santo Padre. Credo che dovremo assolutamente lavorare affinché una pace arrivi rapidamente.
Parleremo dei siriani, onorevole Casini. Lei forse sa che io sono stato il primo ieri, con il Ministro Juppé, a chiedere che un'inchiesta indipendente dell'ONU venga formalizzata e che l'Unione europea a maggio discuta di sanzioni al regime siriano. L'hanno chiesto l'Italia e la Francia. Su questo tema, Presidente Casini, siamo d'accordo in partenza.

PRESIDENTE. Ringrazio entrambi i ministri e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

La seduta termina alle 15,50.

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