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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III Camera e 3a Senato)
18.
Mercoledì 19 gennaio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 2

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Tunisia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Stefani Stefano, Presidente ... 2 6 7 10 14 16
Antonione Roberto (PdL) ... 10
Boniver Margherita (PdL) ... 6
Dozzo Gianpaolo (LNP) ... 13
Frattini Franco, Ministro degli affari esteri ... 2 14
Livi Bacci Massimo (PD) ... 10
Malgieri Gennaro (PdL) ... 8 12
Marcenaro Pietro (PD) ... 7
Mecacci Matteo (PD) ... 12
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 11
Tempestini Francesco (PD) ... 10
Tonini Giorgio (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 19 gennaio 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Tunisia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sui recenti sviluppi della situazione in Tunisia.
Saluto i colleghi senatori e il loro presidente.
Desidero ribadire - credo non ce ne sia bisogno, ma è giusto dirlo - il più vivo apprezzamento per la sensibilità istituzionale del Ministro Frattini, che è sempre a disposizione quando richiediamo la sua presenza nonostante, come ha detto poco fa la presidente Boniver, la sua mostruosa agenda.
Vi chiedo scusa del ritardo, ma siamo stati impegnati nelle votazioni fino a pochi secondi fa.
Do la parola al Ministro degli affari esteri, Franco Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio i presidenti e i colleghi presenti. L'audizione di oggi può fare solo, evidentemente, una ricognizione provvisoria, ad oggi, della situazione in Tunisia, che rimane ancora estremamente fluida.
Questo è l'inizio delle mie riflessioni su una situazione che include fatti che sono noti a tutti noi e che quindi, evidentemente, non ripercorrerò, a partire dall'inizio delle manifestazioni di protesta fino all'uscita dal Paese dell'ex Presidente Ben Ali.
C'è qualche dato ancora non confermato, come quello dei morti e dei feriti: siamo a 78 morti e 94 feriti. Vi sono molti episodi di saccheggio, di incendio di postazioni della Guardia nazionale, della polizia; sono state assalite 43 banche e moltissimi esercizi commerciali. Una stima ad oggi delle autorità del Governo transitorio tunisino parla di un danno complessivo che supera 1,5 miliardi di euro. È un danno enorme per quel Paese.
I nostri connazionali sono stati immediatamente localizzati. Oltre 4.000 italiani sono residenti per lavoro o per altre ragioni in Tunisia; vi sono ben 700 aziende attive nel Paese. Li abbiamo aggiornati minuto per minuto con l'unità di crisi della Farnesina e abbiamo inviato, d'intesa con lo stato maggiore della Difesa, un nucleo operativo speciale per monitorare l'incolumità dei nostri connazionali. Non è un nucleo che opera attivamente, ma che si trova presso l'ambasciata d'Italia, pronto ove la situazione di incolumità dei nostri connazionali dovesse essere messa in pericolo.


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In collaborazione con Confindustria abbiamo promosso la creazione di un help desk per le aziende italiane, che ha portato un'assistenza continua. Inoltre, abbiamo creato un canale diretto, attraverso ENI, per i dipendenti del gruppo che operano in Tunisia.
Siamo riusciti a persuadere le compagnie aeree e navali italiane a riprendere al più presto possibile i collegamenti, che ora sono ripresi. Hanno iniziato Grimaldi e Alitalia. Circa 700 italiani che lo hanno richiesto sono rientrati; molte centinaia di turisti hanno deciso di continuare le loro vacanze e sono rimasti dove erano. Non vi sono pericoli di nessun genere per chi è rimasto nel Paese, almeno pericoli collegabili alla nazionalità italiana. Ci siamo preoccupati in modo speciale di un gruppo di lavoratori di un circo pugliese e di annessi luna park che erano stati installati, con l'idea di tenerli lì per un anno, nella città di Sfax.
L'esercito tunisino ha assicurato la protezione alle trecento persone, agli animali del circo, alle strutture e oggi essi hanno raggiunto il porto di Sfax e una nave della Tirrenia è partita questa mattina o è comunque in partenza con le persone a bordo per rientrare in Italia.
Al di là di questi fatti, un primo dato di analisi è che certamente questa crisi non è nata per il prezzo del pane, che è stato probabilmente il casus belli. Condivido le parole del Segretario generale della Lega araba pronunciate qualche ora fa al Cairo. In Tunisia c'è stato un grande shock sociale che ha provocato tutto questo; il cumularsi di fatti emergenziali, episodici, come l'oscillazione del prezzo di prodotti alimentari combinato con un'enorme tensione sociale, che non era nata certo il giorno prima, dovuta al fatto che la crescita economica del Paese non aveva saputo raggiungere amplissimi strati della popolazione, soprattutto quelli più poveri.
Questo ha creato quindi da un lato un irrigidimento rispetto alle garanzie democratiche, dall'altro ha pesato la mancanza di un ricambio generazionale nella classe dirigente. Fino all'uscita del Presidente Ben Ali un solo partito era autorizzato ad operare formando i Governi in Tunisia e non vi è stata una risposta adeguata alla domanda di modernizzazione delle istituzioni, anzi, ad esempio, si era vista una sorta di restrizione dell'accesso ai sistemi di informazione come Internet.
Questo, combinato alla capacità delle più giovani generazioni di essere comunque in contatto con il resto del mondo, ha creato quello che Amr Moussa ha definito esattamente uno «shock sociale» combinato con fenomeni di corruzione e di favoritismo particolarmente gravi, che stanno emergendo.
Uno dei primi atti del Governo transitorio è stata proprio la creazione di una Commissione di indagine sulla corruzione nel Paese, affrontando questo problema ci auguriamo alla radice.
È stato uno shock sociale non guidato da motivazioni di tipo islamista, anche se evidentemente vi è un pericolo di una destabilizzazione e di una strumentalizzazione con fattori esterni di tipo islamista da parte di elementi più radicali e fondamentalisti.
Non è un mistero che la Tunisia è stata finora uno dei Paesi che hanno più fortemente prevenuto e contrastato lo stabilirsi di cellule del fondamentalismo islamico, ma evidentemente questo shock sociale si deve a una libera azione di popolo e di reazione alla corruzione, ai favoritismi, alle ineguaglianza sociali, e non a un'azione pilotata da elementi legati al terrorismo islamico.
Evidentemente c'è il pericolo che gli elementi islamisti possano approfittare della situazione e che vi possa essere un tentativo attraverso le reti dell'islamismo più radicale per destabilizzare il Paese.
C'è un appello tra tutti che va segnalato come preoccupante, quello del Presidente dell'Iran all'islamizzazione immediata della Tunisia attraverso una lotta senza quartiere all'Occidente. È un appello di oggi, che però dà l'idea di quali siano le sfide che ha di fronte questo Governo transitorio: garantire il carattere laico dello Stato tunisino, una pluralità di interlocutori, quindi l'apertura verso le elezioni che si svolgeranno entro sei mesi, e


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evidentemente prevenire la circostanza, che potrebbe essere davvero pericolosa, di una destabilizzazione a effetto domino che parta dalla Tunisia e possa propagarsi nei Paesi vicini.
Avete visto le reazioni dei Paesi vicini, reazioni di grande prudenza; avete visto il vertice della Lega araba che ha affrontato l'argomento parlando, da un lato, dell'importanza di tenere conto di questi fattori sociali e interni alla società tunisina e, dall'altro, la necessità di garantire una via gestita dalla stessa Tunisia, senza interferenze esterne o, ancor meno, senza approcci di tipo paternalistico che indichino la strada di quel che si deve fare e di quel che non si deve fare.
Il nuovo Governo che si è insediato è un Governo transitorio che non ha la pretesa di garantire la durata stabile del governo del Paese, ma di preparare le elezioni. Vi sono ancora oggi dei contatti con i principali partiti dell'opposizione affinché questo Governo possa guidare la Tunisia verso le elezioni. Credo che in questo sforzo il Presidente Ghannouchi vada sostenuto con forza. Domani vi sarà la prima riunione del Consiglio dei ministri del nuovo Governo, che dovrà evidentemente ripristinare l'ordine pubblico in via definitiva. Si stanno ogni giorno riducendo le ore di coprifuoco, il che dà il segnale di una strada verso la normalizzazione. Si sta garantendo il coinvolgimento delle cosiddette istanze sociali tunisine. Il dialogo con i sindacati è stato aperto in modo formale e, certamente, l'aggregazione di tutte le forze sane della società tunisina è, a mio avviso, indispensabile.
Credo che l'Italia - è questa la mia intenzione - debba sostenere questo processo di transizione democratica. La collega sottosegretario Craxi ha avuto la prima opportunità di incontrare il Ministro degli esteri tunisino che è stato confermato - un personaggio rispettato da tutti in Tunisia - il quale verrà a Roma per una visita che mi renderà il 1o di febbraio, quindi avrò una prima occasione per parlargli direttamente. Senza dubbio, l'impegno forte deve essere quello di rispettare questa fase di evoluzione democratica, di aiutarla e di incoraggiarla come possibile.
Il punto estremamente importante è che il fermento sociale nella società tunisina può essere un segnale per i Governi della regione, i quali stanno, in alcuni casi, attuando delle politiche di apertura alla società civile e che, comunque, dovranno prestare maggiore attenzione ai giovani, che rappresentano in tutti i Paesi del Maghreb la grande maggioranza della popolazione.
Che cosa può fare l'Italia? Che cosa può fare l'Europa? L'Italia ha un ruolo imprescindibile per la Tunisia e non solo per il rapporto storico di amicizia sempre intercorso tra il popolo italiano e quello tunisino e la collaborazione avuta con il Governo tunisino in questi decenni, anche nella lotta e nella prevenzione del terrorismo, ma anche per la collaborazione allo sviluppo e la penetrazione delle piccole e medie imprese italiane in Tunisia.
Credo, quindi, che il primo impegno dell'Italia debba essere quello di sostenere il processo politico di transizione verso le elezioni e che il secondo sia quello di garantire un pacchetto bilaterale di assistenza finanziaria. Ci è stato anticipato, per il momento in maniera informale: arriveranno richieste da parte tunisina e credo che le dovremo considerare con spirito attento, ma molto positivo. Certamente l'Italia può promuovere iniziative e incontri a carattere regionale con i Paesi del Maghreb.
In tale ambito l'Italia riveste una duplice posizione e, in primo luogo, quella storicamente riconosciuta di Paese ponte nel Mediterraneo; l'altro ieri il Commissario per l'allargamento e la politica di vicinato Füle si è rivolto all'Italia chiedendole di svolgere un ruolo di intermediazione politica per sensibilizzare il Governo tunisino verso la necessità di ulteriori aperture e di ulteriori progressi verso la transizione pienamente democratica. Noi svolgeremo questo ruolo di intermediazione politica, o meglio di incoraggiamento.


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Per questo motivo ho confermato l'incontro con il Ministro Morjane il 1o febbraio e proporrò che al Consiglio dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 31 gennaio, proprio alla vigilia di questo incontro, i colleghi esaminino una più ampia prospettiva di collaborazione tra Unione europea e Tunisia, che, a mio avviso, va rilanciata, essendo la Tunisia già ora il primo Paese nella regione per quanto riguarda l'integrazione economica con l'Unione europea.
I colleghi certamente sanno che la Tunisia è stata ed è il primo Paese dello spazio Euromed a siglare un accordo di libero scambio economico con l'Unione europea per i prodotti industriali. Visto questo ruolo, credo che l'Unione europea debba e possa fare anche di più.
La seconda opportunità che ha l'Italia è quella di convocare, iniziativa che era già in programma, ovviamente, ma che attueremo in modo ancora più accelerato, un vertice ministeriale nella formula cinque più cinque. Come sapete, si tratta di un modello mediterraneo che funziona molto bene e prevede cinque Paesi della riva Nord del Mediterraneo e cinque della riva Sud.
Quest'anno il ministeriale è presieduto dall'Italia e si terrà in primavera. Stiamo cercando le date. Lo scorso anno era presieduto dalla Tunisia. L'incontro dovrà affrontare anche il tema del sostegno euromediterraneo. In mancanza del funzionamento proprio dell'Unione del Mediterraneo, la quale purtroppo è ancora in una situazione di blocco, si spera che almeno il cinque più cinque possa dare un segnale forte di sostegno al processo di riconciliazione in Tunisia.
Stiamo valutando un aiuto di emergenza italiano, ove emergesse in alcune province la necessità di invio di generi alimentari, ma credo che l'Unione europea in tal senso possa lavorare insieme alla Lega araba e all'Unione africana, laddove occorresse un pacchetto più sostanzioso.
Io proporrò il 31 gennaio - l'abbiamo anticipato già ora - l'invio a Tunisi di una missione europea di alto livello. Credo che ciò sia opportuno per reiterare il segnale di impegno di tutta l'Unione europea a favore di questo processo di transizione democratica tunisina.
A medio termine cosa, a mio avviso, può fare l'Europa? In primo luogo, può dare assistenza alle autorità tunisine per la preparazione delle elezioni. C'è un'idea di un'assistenza, ove essa fosse richiesta: noi non siamo i colonizzatori della Tunisia, ma ovviamente, nel quadro dell'accordo europeo di partenariato, se ad esempio vi fosse una richiesta di assistenza sulla preparazione di una nuova legge elettorale noi certamente la offriremmo ben volentieri (Commenti). A chi di voi vuole lasciar perdere, specifico che sto parlando di iniziativa europea, quindi credo che sarete d'accordo se l'Europa collabora con la Tunisia in questa direzione. Se, poi, il Parlamento dirà che non è d'accordo, lo riferirò ai colleghi. La proposta che farò è quella di un'assistenza europea, ove richiesta, per il miglioramento del sistema elettorale tunisino.
Inoltre, proporrò un'assistenza europea per un sostegno economico un po' più strutturato: ad esempio, rilancerò le proposte, che avevo formulato da commissario europeo, di pacchetti di immigrazione pilotata, la cosiddetta «immigrazione circolare» che, in qualche modo, dovrebbe promuovere l'allocazione di manodopera tunisina - non solo altamente qualificata, ma anche poco qualificata - in tutti i Paesi dell'Unione europea che si rendano disponibili.
Una misura su cui rifletteremo, che viene adottata ora a livello bilaterale da Paesi che hanno degli assetti patrimoniali dell'ex Presidente e della sua famiglia, riguarda il congelamento dei beni all'estero. È una misura già adottata dalla Svizzera e dalla Francia, dove vi erano consistenti presenze di assetti patrimoniali.
Io credo che debba essere valutata dall'intera Unione europea una prosecuzione e direi un rafforzamento dei processi e dei progetti, che già l'Unione europea ha avviato, di assistenza al sistema giudiziario tunisino.


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L'Unione europea ha lanciato nel 2007, quando ero commissario anche alla giustizia, tre progetti di cooperazione con la Tunisia proprio per la formazione dei giudici e per l'aiuto all'informatizzazione dei presìdi giudiziari tunisini. Questo, a mio avviso, sarebbe particolarmente utile.
L'ultima proposta che credo l'Europa potrà affrontare, e che io formulerò, è quella di valutare le modifiche che occorrono al piano d'azione sullo statuto avanzato dell'Associazione Europa Tunisia. È in corso un negoziato, esiste uno status di Paese associato quale quello della Tunisia. Se vogliamo meglio cooperare verso il processo di democratizzazione della Tunisia, credo che sarà utile modificare quel piano d'azione e promuovere, ad esempio, un esercizio di più ampia sensibilizzazione verso il pluralismo dei partiti politici.
Sono tutte iniziative che credo, molto concretamente, l'Europa potrà porre in essere e che il Governo italiano intenderebbe presentare alla prima occasione utile.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Frattini.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di contenere i propri interventi entro un tempo di tre minuti. È nell'interesse di tutti, anche per avere una risposta ai nostri quesiti da parte del Ministro, altrimenti ci parliamo addosso.

GIORGIO TONINI. Ringrazio il Ministro per questa relazione, che nelle linee di fondo è condivisibile, in particolare per quanto riguarda ciò che intende fare il nostro Paese per favorire, assistere e aiutare la transizione democratica in Tunisia verso elezioni fair and free, con un'attenzione particolare, nelle forme più rispettose della sovranità tunisina, a lavorare per impedire il diffondersi della piaga del fondamentalismo.
Vorrei però porre alcune domande al Ministro. La prima riguarda la nostra comprensione di ciò che andava accadendo in Tunisia. Almeno a livello di opinione pubblica l'Italia è stata sorpresa dagli eventi e la sensazione è che anche a livello istituzionale siamo apparsi fino all'ultimo momento come sostenitori del regime adesso caduto.
Vorrei quindi chiedere come sia potuto accadere che non ci siamo accorti di ciò che andava maturando. Il Ministro Frattini ha detto giustamente che non è stata solo una rivolta del pane, che è stata il casus belli che ha scatenato una tempesta che covava da tempo.
Dico questo non per ragioni di «sindacato ispettivo», ma per capire se abbiamo una dottrina che ci aiuta a leggere e possibilmente anche a incidere su ciò che avviene nel Maghreb e in tutta l'area molto delicata, praticamente i nostri confini, della sponda sud del Mediterraneo.
Nel giro di pochi anni siamo passati dall'adesione, in qualche passaggio anche un po' acritica, alla dottrina Bush dell'esportazione forzosa della democrazia ad alcuni accenni e poi alcuni gesti che sembrano invece segnare una riscoperta di un «neorealismo» in termini di relazioni internazionali piuttosto statico.
Credo invece che, seppur nei rapporti di buon vicinato con tutti questi Paesi, nel rispetto più assoluto della loro sovranità, ciò che è successo in Tunisia dovrebbe spingerci a ritenere che il nostro compito non possa non essere quello di aiutare e favorire una evoluzione democratica di questi Paesi proprio per prevenire una degenerazione di tipo fondamentalista.
Volevo quindi conoscere l'opinione del Ministro, perché a me sembra questo il punto politico più importante per il presente e per il futuro.

MARGHERITA BONIVER. A differenza del senatore Tonini, ritengo che la relazione che il Ministro degli esteri ha fatto di fronte alle Commissioni riunite sia un'informativa non soltanto molto completa, ma anche molto chiara nei suoi intenti.
Capisco anche l'ironia di chi dice che siamo stati sorpresi, ma non è soltanto l'Italia che è rimasta sorpresa dagli eventi ma soprattutto della rapidità con la quale


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questo regime è letteralmente imploso. Questo vale per qualsiasi altro Paese: basta leggere qualche giornale non italiano per capire che questa volta la sorpresa è stata veramente unanime.
Può anche darsi che abbiamo sbagliato. Lei ha citato adesso la teoria di Bush per l'esportazione della democrazia, che nulla c'entra con questi Paesi, ma c'entra invece molto la Freedom Agenda che proprio il Presidente americano aveva messo in piedi verso la fine del suo mandato. Si tratta di un'agenda che dice, in pratica, di consolidare e aiutare - vale, soprattutto, per le relazioni bilaterali tra Stati Uniti ed Egitto, ma non soltanto - i nostri amici, tra virgolette, e gli amici dell'Occidente sono i nemici del fondamentalismo islamico. Naturalmente, non voglio usare un tono didattico, che non mi appartiene, ma in pratica la vedo così.
Come Italia abbiamo non dei buoni ma degli eccellenti rapporti con tutti i Paesi dell'alto Mediterraneo perché abbiamo saputo costruire nell'arco di oltre trent'anni una politica estera molto intelligente, molto attiva proprio sulla sponda del Mediterraneo, per noi assolutamente naturale non soltanto per motivi geografici, ma per mille altri motivi. Credo che sia assolutamente urgente e necessario interrogarci e capire anche che cosa sta veramente avvenendo.
Non si tratta soltanto del caso della Tunisia e della rapidità del crollo di quel regime, che evidentemente era autocratico. La definizione stessa, infatti, salta agli occhi: in un Paese dove c'è un partito unico non può che esserci una corruzione dilagante e, soprattutto, una mancanza di libertà, di espressione in particolare. Francamente, bastava leggere i giornali tunisini per capire la natura di questo regime, che pure ha avuto, naturalmente, dei suoi meriti. Un Paese solido dal punto di vista economico, infatti, e soprattutto stabile sotto il profilo del contrasto al fondamentalismo islamico, è quanto meno non tra i peggiori.
In ogni caso, i nostri legami con la Tunisia - li ha appena ricordati adesso il Ministro - sono straordinariamente buoni e credo che il ruolo che in qualche modo ci viene assegnato dall'Unione Europea di intermediazione verrà messo a frutto in tutti i suoi aspetti.
Voglio ricordare tutto quello che è successo nelle ultime settimane in una lunga lista di Paesi sul continente africano: in Nigeria, e non soltanto col massacro dei cristiani, ma con una fase politica particolarmente turbolenta; in Costa d'Avorio, ancora un Paese completamente destabilizzato; anche in Egitto, non soltanto con la strage dei cristiani, ma con l'avvicinarsi delle elezioni presidenziali c'è una situazione sempre più fragile dal punto di vista politico; nello Yemen; in Algeria, dove c'è una popolazione che per il 70 per cento ha meno di trent'anni, e quindi chiede evidentemente novità e, soprattutto, posti di lavoro; quello che sta avvenendo adesso in Sudan. Tutto ciò non sarà certamente successo soltanto per colpa della speculazione sui prezzi delle derrate alimentari anche se certamente non aiuta.
Naturalmente, non sappiamo se c'è una formula di contrasto a questa realtà, ma mentre lo sfracello finanziario sta indebolendo sempre di più persino i ceti medi europei e nordamericani, questo tipo di sistema e di speculazione sta facendo dei danni enormi su popolazioni già indigenti di per se stesse in questo arco geografico che è il Maghreb e il Makresh.
Credo che il Ministro abbia dettato un'agenda di cose da fare molto importanti e che l'Italia ancora una volta onorerà tutti i suoi impegni fino in fondo.

PRESIDENTE. Invito i colleghi a contenere il tempo degli interventi.

PIETRO MARCENARO. Non c'è dubbio che gli avvenimenti abbiano avuto una velocità che rendeva difficile una previsione: dal suicidio di un ragazzo in un paese dell'interno il 14 dicembre fino alla caduta di Ben Ali e del suo regime il 16 gennaio non sono passati neanche 35 giorni. Adesso c'è una situazione nella quale il primo problema è fare il possibile perché questo processo, così ancora aperto e contrastato, si sviluppi nella direzione migliore.


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Sappiamo che è ancora aperto un problema molto grande: cinque ministri hanno presentato le dimissioni per un'eccessiva continuità. D'altra parte, sappiamo che elementi di continuità sono stati necessari. Il ruolo dell'esercito nella stabilizzazione in questi primi giorni è stato molto importante per contrastare le milizie fedeli a Ben Ali e le loro squadracce, autrici di gran parte delle devastazioni e dei saccheggi.
D'altra parte, alcuni risultati, se le iniziative citate saranno attuate, sono stati raggiunti. Il fatto che la libertà di stampa sia stata affermata è importante. Le Monde era un giornale vietato in Tunisia. Il fatto che sia stata riaffermata una libertà di organizzazione e di manifestazione è fondamentale.
C'è un aspetto che riguarda, in questo caso, l'Italia, ma naturalmente non solo, perché la responsabilità di un Paese come la Francia è enorme. Pensiamo a quali sono state le dichiarazioni del ministro degli esteri francese di fronte agli sviluppi della situazione in Tunisia, con la proposta di offrire una consulenza sul piano della gestione dell'ordine pubblico.
Anche noi abbiamo, secondo me, il problema di ricavare dalla Tunisia una lezione politica importante. In quei Paesi esiste, infatti, uno spazio e una possibilità per la democrazia. Non è vero quanto è stato sostenuto, indossando un realismo politico esagerato, ossia che l'unica alternativa sono le autocrazie e le dittature. I fatti dimostrano il contrario, ovvero che le autocrazie e le dittature preparano il terreno per il fondamentalismo e che dopo di esse il rischio è che, in questo vuoto di speranze, di orientamento e di prospettive, il fondamentalismo islamico costruisca le sue possibilità.
La Tunisia dimostra, invece, che esiste un'altra possibilità. Questo è il punto. Mi scusi, signor Ministro, alcune questioni possono averci sorpreso, ma questa no. È un punto che noi non abbiamo compreso. Il Ministero degli affari esteri italiano solo alcune settimane fa si è mosso per impedire che quelli che oggi sono i protagonisti di questo cambiamento fossero ricevuti nel Senato della Repubblica.
Ciò è avvenuto poche settimane fa, in omaggio a un'idea delle relazioni del realismo politico ed è il contrario di ciò che bisogna fare. Con tutto il realismo che si vuole, abbiamo il dovere di sostenere coloro che si battono per la libertà e per la democrazia, non di impedire di riceverli nelle nostre sedi parlamentari e nelle nostre istituzioni, come è accaduto.
Si tratta di un problema reale, che chiama in causa una valutazione sul ruolo che noi abbiamo e su che tipo di attività vogliamo svolgere, con la prudenza, con il realismo, con il gradualismo, con tutto quanto necessario, ma con chiarezza in questa direzione. Tutto ciò contraddice quanto è stato fatto concretamente. Su questo aspetto c'è bisogno, dunque, di un cambiamento.
Mi fermo a questo punto. Naturalmente occorrerebbe svolgere una discussione molto più ampia, ma questo è un tema su cui la politica estera italiana deve cambiare e il fatto che lei in una sua intervista al Corriere della sera affermi che è Gheddafi il punto di riferimento per la lotta contro l'islamismo contraddice tale possibilità e speranza. L'alternativa sta, invece, in un'altra direzione. Se guardiamo all'Egitto con questi occhiali, noi prepariamo un contributo a disastri ben gravi.

GENNARO MALGIERI. Volevo complimentarmi con il Ministro per l'eccellente relazione, molto dettagliata, degli avvenimenti tunisini e naturalmente vorrei dare, per quel che conta, l'appoggio mio, ma credo anche della parte che rappresento, alle proposte che il Ministro ha illustrato a queste Commissioni.
Aggiungo però una piccola riserva, signor Ministro - non se ne abbia a male - a proposito dell'impegno europeo su uno dei punti che lei ha illustrato, ossia sull'assistenza nelle possibili, probabili e auspicabili elezioni.
Io credo che tutto il mondo abbia bisogno di darsi sistemi elettorali come meglio ritiene di doverseli dare, senza


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interferenza alcuna. Se poi andiamo a vedere e a discutere quali sono le coerenze all'interno dei sistemi elettorali europei, vi troveremo tante e tali discrasie tra un Paese e l'altro che i poveri tunisini, più che uscirne rafforzati, resterebbero assolutamente confusi. Prego, quindi, di soprassedere a questo riguardo e di dar seguito a tutto il resto, che mi sembra molto più serio.
Detto questo, vorrei richiamare l'attenzione, soprattutto dei colleghi, su una sottolineatura che lei molto opportunamente, signor Ministro, ha fatto sul ruolo dell'Europa, che è stato deficitario, ma non in questi ultimi giorni e in queste ultime settimane. Tale ruolo è stato deficitario negli ultimi ventitré anni, da quando cioè il Presidente Ben Ali ha preso il posto del Presidente Bourghiba. Noi non ci siamo resi conto di che cosa fosse diventata la Tunisia. Non lo sapevamo neanche ai tempi Bourghiba, a dire la verità, che fu colui che vietò Le Monde (e non solo) dopo aver accettato l'appoggio francese per la presa del potere. È uno strano modo di essere grati a un Paese che si reputava amico in una contingenza particolarmente sfavorevole nel Maghreb per ciò che concerneva la Francia.
Tuttavia, l'Europa non si è resa conto che in ventitré anni Ben Ali, oltre ad aver arricchito se stesso, la sua corte e i suoi famigli, aveva depauperato il popolo e aveva stretto le morse di una sorta di dittatura militare - lo si è visto anche negli ultimi colpi di coda del regime di questi giorni - intorno al suo Paese, di cui l'Italia si è detta sempre particolarmente amica.
Voglio dire, signor Ministro, che l'Europa non ha capito cosa stava succedendo, come non sta capendo, a mio modo di vedere, quello che sta succedendo in Algeria, dove quel poco che rimane dell'opposizione non ha nessun ruolo, per esempio nel grande faraonico piano quinquennale lanciato dal Presidente Bouteflika nel maggio scorso: 286 miliardi di dollari per ammodernare l'Algeria, ma finora non è stato aperto nessun cantiere.
L'Italia e l'Europa non sono vicine alle piccole e medie imprese che investono in Algeria e che potrebbero rappresentare dei rimedi rispetto alla fame di alcune regioni del Paese. Non abbiamo una politica di sostegno per queste situazioni, ma per questo naturalmente noi avremo bisogno dell'Europa. L'Europa aveva immaginato di poter svolgere un piano di questo genere con la costituzione dell'Unione per il Mediterraneo nel 2007, rilanciata dal Presidente Sarkozy in ossequio alla ripresa del fallito Processo di Barcellona.
Proprio lei, signor Ministro - e la ringrazio di questo - molto realisticamente, in un'intervista giornalistica apparsa nei giorni scorsi, ha detto che l'Unione per il Mediterraneo è fallita. Lo ha ribadito anche qui, affermando che il cinque più cinque vale molto di più dell'Unione per il Mediterraneo. Mi aspetterei un'azione conseguente del Governo italiano che denunciasse l'Unione per il Mediterraneo dicendo, dopo averla ratificata nel luglio del 2008, che non ha più alcun senso parlare di Unione per il Mediterraneo, posto che tutti i princìpi stabiliti all'epoca si sono rivelati assolutamente fallimentari, anzi non sono stati neanche esperiti. Si è solo creato un carrozzone che si chiama «Segretariato generale dell'Unione per il Mediterraneo», guarda caso con sede a Barcellona: un accordo tra Francia e Spagna che naturalmente ha escluso, per l'ennesima volta, l'Italia.
In conclusione, signor Ministro, vorrei che lei rappresentasse, con la sua sensibilità, la sensibilità di tutti noi. Noi abbiamo sentito l'assenza, nella crisi tunisina, ma nella più generale crisi del Maghreb, dell'Unione per il Mediterraneo nella persona della esimia Lady Ashton. Non l'abbiamo sentita per la cristianofobia, non l'abbiamo sentita quando è successo quello che è successo al Cairo, non la sentiamo in nessuna occasione. Ho sentito, invece, da un canale francese, il Ministro Alliot-Marie - dopo aver incontrato lei, se non sbaglio, signor Ministro - rispondere, al giornalista che chiedeva dove fosse Lady Ashton, «sarà in qualche parte del mondo, forse in una missione».


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Che il Ministro degli esteri francese, come il Ministro degli esteri italiano, non sappia dov'è l'Alto commissario per gli affari esteri e la sicurezza europea mi sembra che quanto meno giustifichi l'inanità che noi denunciamo dell'Europa di fronte a fenomeni come quelli che accadono nell'altra sponda del Mediterraneo.
Mi azzittisco, presidente, sollecitando il Ministro - ma non ne ha bisogno davvero - affinché sottolinei, nel Consiglio europeo e quando ne avrà l'opportunità, le riflessioni che da questa Commissione sono venute.

PRESIDENTE. Non riesco a complimentarmi con nessuno per la stringatezza dell'intervento.

MASSIMO LIVI BACCI. Proverò io ad avere la sua approvazione, anche perché tante cose sono già state dette e io concordo con la linea Tonini-Marcenaro. Credo che occorrerebbe domandarci come noi ci poniamo in rapporto con le opposizioni, e soprattutto con le opposizioni non riconosciute, negli altri Paesi del Maghreb, cioè quale sia la nostra politica, come possiamo essere preparati a eventi il cui episodio scatenante arriva di sorpresa, mentre la tensione montante viene da lontano.
Vorrei sollevare due punti molto specifici. Vorrei sapere come reagisca la diaspora tunisina in Europa (600-700.000 tunisini in Francia, circa 150.000 in Italia). I dissidenti che non sono stati ricevuti ufficialmente in Senato, ma che io e il senatore Marcenaro abbiamo visto separatamente, ci hanno parlato di gruppi di tunisini organizzati dal Governo che intralciano e ostacolano l'attività dei dissidenti quando questi vengono nei Paesi europei. Vorrei chiederle se abbia notizia di questo e come possiamo agire.
Un altro punto su cui non sono d'accordo con la sua proposta è l'ipotesi di rinforzare il pacchetto migrazione. Sono d'accordo con l'idea che questo possa essere fatto, ma non con l'idea che questo venga fatto con la cosiddetta «migrazione circolare», che riguarda solo delle piccole minoranze.
Mi domando se invece non si potrebbe rafforzare il numero dei lavoratori tunisini ammessi nella quota di riserva geografica che spetta alla Tunisia e forse fare una politica più attiva per quanto riguarda gli studenti. Ci sono pochi studenti del Maghreb, pochi studenti del Mediterraneo nelle nostre università. La domanda sarebbe molto elevata, ma credo che qui ci sia una politica lungimirante da fare, che probabilmente non costerebbe granché, ma che nel lungo periodo potrebbe portare buoni risultati. Questi sono i due punti specifici che volevo toccare.

ROBERTO ANTONIONE. Ringrazio il Ministro per la relazione molto esauriente.
Le chiedo, signor Ministro, in sintesi due cose, prima fra le quali di fare una riflessione generale, se la Commissione lo condivide, su quelle che già alcuni colleghi hanno evidenziato come condizioni per approfondire tutte le questioni con il Maghreb che oggi mi sembrano solo da accennare perché stiamo discutendo sull'immediata situazione di emergenza che si è venuta a creare in Tunisia
In seconda luogo sarei contento, signor Ministro, se l'Italia, anche attraverso quello che può fare nei confronti dell'Unione europea, si facesse promotrice di un'iniziativa non solo verso il Governo provvisorio tunisino, ma verso la popolazione tunisina.
Dico questo perché sappiamo quanto siano capaci di fare i nostri «avversari» integralisti soprattutto in altri Paesi come ad esempio la Palestina, dove attraverso una capillare azione sulla popolazione, dandole assistenza, soldi e quant'altro, alla fine riescono a costruire il terreno per poi alimentare tutte le questioni che arrecano a noi incredibili danni.
Un elemento di attenzione verso la popolazione e quindi non solo verso le istituzioni tunisine con qualche idea da sviluppare potrebbe essere una buona cosa su cui riflettere, eventualmente proponendola all'Europa.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Ministro, naturalmente tematiche come


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quelle che sono state sollevate dai miei colleghi con un taglio che condivido meritano una discussione più approfondita. Credo che ci sia un fondo di critica e anche di autocritica che riguarda il modo con il quale nel Mediterraneo possiamo portare avanti una linea di avanzamento degli equilibri democratici.
Si tratta di un tema molto complesso, che però mi pare, per ridurlo a una scheggia di ragionamento, riguardi anche un po' che cosa vogliamo fare come europei in questo Mediterraneo. Se vogliamo essere un modello, dobbiamo riorientare la politica dell'Unione europea sul versante mediterraneo. Il punto di crisi di tutte queste iniziative che ormai appartengono quasi al folclore diplomatico, come l'Unione per il Mediterraneo e quant'altro, danno il segno di un sostanziale disinteresse europeo nei confronti della sponda sud. Credo che il Governo italiano abbia un interesse vitale a riportare l'attenzione europea sul questo versante. Naturalmente, per noi questa è una scommessa - lo è per l'Europa, ma per noi in modo particolare - è una questione strategica, ne va del nostro avvenire.
È ovvio che se vogliamo tentare di fare dell'Europa un modello in competizione con altri modelli, come quello che l'Iran si propone di rappresentare e che sappiamo deve destare indubbiamente preoccupazione, questo deve esserlo non solo nel senso che esige la democrazia, ma anche che la aiuta. Da questo punto di vista, indubbiamente abbiamo nel Mediterraneo - diciamo le cose come stanno - un'azione dell'Unione europea che è scoordinata, dove prevale sostanzialmente l'approccio intergovernativo e, per qualche verso, se facciamo riferimento alla Francia o alla stessa Spagna, sono prevalenti le tentazioni di affrontare le questioni e le tematiche con un approccio puramente nazionale. Si apre, quindi, uno spazio, un terreno politico per l'Italia importante, che per noi, ripeto, è strategico, ma che dobbiamo riempire con contenuti e avendo chiaro che non c'è neanche tempo.
Questa riconversione europea nei confronti del Mediterraneo, infatti, e in particolare della Tunisia per i rapporti storici che ci sono, ma anche per la vicinanza geografica - ma lo stesso discorso riguarda l'Algeria - deve rappresentare per noi una priorità politica e deve vederci promotori certo di tutte le cose che lei ha detto, e non possiamo non concordare, ma dobbiamo fare in modo che l'Europa torni ad avere un occhio diverso nei confronti del Mediterraneo. È questa una tessitura politica di lunga lena, ma dobbiamo cominciarla sin da subito.

FIAMMA NIRENSTEIN. Grazie, signor Ministro, della relazione molto complessa, articolata e anche, direi, molto audace. Apprezzo, infatti, che già si facciano progetti e che si immagini come agire nel contesto di una difficoltà enorme, che non solo ha preso alla sprovvista noi, ma tutto quanto il mondo, che ha prodotto un'immensità di prime pagine stupefatte e controverse, in Europa e negli gli Stati Uniti. Il mio apprezzamento è, quindi, profondo e veritiero.
D'altra parte, io penso che noi qui, cari colleghi anche dell'opposizione, che avete fatto degli interventi molto interessanti, Marcenaro, Livi Bacci e altri, stiamo affrontando il problema dei problemi. Per tutto quello che concerne il mondo islamico, infatti, in particolare il dilemma che ci accompagna da sempre - tutti quelli che studiano la questione lo sanno fino in fondo - è quello proprio che si pone in continuazione tra il tema democrazia e quello della moderazione.
L'Egitto ne è l'esempio più importante: abbiamo un Egitto «moderato» in cui, se mai dovessero affermarsi le forze prevalenti nell'ambito dell'opposizione al Governo, ciò rappresenterebbe indubitabilmente un disastro, non soltanto per il Medio Oriente, ma per il mondo intero.
Laddove è stata tentata una sperimentazione democratica, di cui tutti abbiamo memoria, come nel caso delle elezioni nei territori palestinesi, l'insorgenza di Hamas ha bloccato quello che poteva essere il rapporto fra la società palestinese e la


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forza più avanzata e democratica, che era indubitabilmente Fatah e l'OLP. C'è una situazione di stallo a causa di ciò.
La questione tunisina, tuttavia, per come si pone, ci trova piuttosto fortunati, perché si tratta invece di un Paese in cui l'influenza europea è fra le più alte e la presenza estremista è, al momento, minore, anche se esiste e sappiamo che con sforzo e con difficoltà vengono allontanati i focolai più vivi.
La Tunisia è un Paese che ci ha riproposto appieno il tema che mette in collegamento tre punti fondamentali: dittatura, benessere della popolazione e suo impoverimento legato alle condizioni politiche e fondamentalismo. Sulla questione tunisina la nostra preoccupazione è tutta legata all'interrelazione tra questi tre termini e l'unica risposta che troviamo, quella fondamentale e che è stata trovata anche nel passato, è quella della democratizzazione.
Chiedo al Ministro quale sia il suo parere su questo punto, perché è molto importante. Posto che la questione è quella che accennavo prima e che non ripeto, quanto possiamo marciare nella direzione della democratizzazione senza temere la grande insorgenza fondamentalista islamica, che pure mette fuori la testa in tutti questi Paesi? Quanto ci possiamo contare? Quanto può l'Italia aiutare la democrazia? Io spero che la possa aiutare in ogni modo, ma mi interessa naturalmente conoscere la posizione del Ministro degli affari esteri e del Governo.
Freedom House in questi giorni ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo: è peggiorata ovunque e, in particolare, in questi Paesi. La stretta per cui l'Europa e gli Stati Uniti spingevano con grande determinazione verso prese di posizione e misure più democratiche è calata e, quindi, anche questi Paesi non hanno più sentito la morsa della nostra determinazione.
Questo è quanto è successo dopo aver criticato fortemente e a lungo il tema dell'esportazione della democrazia. Siamo veramente a una stretta teorica e pratica molto pesante. Non so se il Ministro condivide questo punto di vista, ma mi sembra che, prima ancora di arrivare a conclusioni e ad affermare che vogliamo la chiarezza, dobbiamo conquistare e raggiungere la chiarezza stessa. Nessuno di noi ce l'ha, nessuno di noi sa veramente che cosa fare. È con questo gigantesco punto interrogativo che chiedo al Ministro di rispondere alle mie domande.

MATTEO MECACCI. Anch'io, come i colleghi Tonini e Marcenaro, credo che quanto affermato oggi dal Ministro sia in buona parte condivisibile. Siamo, però, in una sede politica parlamentare e credo che vi si debba discutere anche di ciò che il Ministro ha dichiarato nei giorni precedenti.
Nel momento in cui questa crisi era in corso, le parole usate dal Ministro degli affari esteri non sono state quelle di oggi. Signor Ministro, non le ho mai sentito rivolgere una critica all'assenza di democrazia e di legittimazione democratica delle istituzioni tunisine. Mentre c'erano le violenze nelle strade e mentre l'Unione europea - mi rivolgo anche al collega Malgieri - ha preso posizione, chiedendo la fine delle violenze stesse, il nostro Ministero degli affari esteri ha chiesto innanzitutto che si garantisse la stabilità.
Questo è stato ribadito anche a livello teorico...

GENNARO MALGIERI. Non credo intendesse avallare il prosieguo delle violenze.

MATTEO MECACCI. Però il discorso cambia se non si dice di porre fine alle violenze, nel momento in cui queste accadono e un Governo ne è responsabile, come si apprestano ad accertare le istituzioni internazionali.
L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, infatti, ha chiesto un'inchiesta internazionale per accertare le responsabilità di decine e decine di morti civili che non erano pericolosi terroristi. Oggi il fondamentalismo islamico non è organizzato in Tunisia; l'opposizione non è fatta di fondamentalisti islamici.


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Possiamo parlare di altri Paesi, ad esempio dell'Egitto, ma per la Tunisia la questione è diversa e non si può usare questo argomento per puntellare i regimi.
Credo che di questo si debba politicamente assumersi la responsabilità. Se si chiede ad oggi all'opposizione tunisina che si appresta a entrare o non entrare in questo Governo, con tutti i problemi che sappiamo, qual è l'opinione sul Governo italiano vi lascio immaginare quale possa essere la risposta, in quanto una politica di sostegno acritico (molto lontana anche dalle timide affermazioni di oggi del Ministro Frattini) è stata condotta in tutto questo periodo. Nella famosa intervista al Corriere della Sera citata da Marcenaro questo sistema è stato anche teorizzato con una giustificazione di modelli autocratici che, purtroppo, pongono le basi per esperienze non positive.
Nel merito delle proposte che ha formulato il Ministro, a differenza del collega Malgieri credo che debba esserci un impegno dell'Unione europea sul processo elettorale, che è fondamentale. Soprattutto in un momento in cui ci si appresta a voler rafforzare il sostegno economico a questo Governo, se non si garantiscono quantomeno un minimo di regole dello Stato di diritto, una competizione elettorale che assicuri anche ai partiti dell'opposizione riconosciuti e a quelli non riconosciuti di partecipare, poniamo le premesse per andare di nuovo a sbattere contro situazioni di questo tipo.
Credo che anche l'OSCE possa giocare un ruolo. La Tunisia è partner per la cooperazione nel Mediterraneo, dell'OSCE. Ci sono istituzioni che fanno monitoraggio elettorale nell'area ex sovietica fino quasi ai confini con la Cina e noi non riusciamo ad andare nel bacino del Mediterraneo a svolgere operazioni di questo tipo? Credo che, dal punto di vista strategico, per il nostro Paese ci sia un interesse al rafforzamento di queste istituzioni in questo settore.
Signor Ministro, riguardo alla richiesta delle Nazioni Unite di un'inchiesta indipendente su quanto avvenuto, chiedo che ci sia il sostegno del Governo italiano, anche pratico, se è possibile, con un'assistenza tecnica. Credo che sia importante affermare il principio che per garantire la pace e la libertà si deve anche ristabilire un minimo di giustizia. La popolazione tunisina, in questo momento, ha bisogno di sentire che si farà giustizia rispetto a quelli che sono stati i crimini del precedente regime.

GIANPAOLO DOZZO. La ringrazio, signor Ministro, per la puntuale informativa che ha voluto darci quest'oggi. Vorrei lodare l'unità di crisi della Farnesina: a me è capitato di raccogliere, la settimana scorsa, il grido di allarme di un piccolo imprenditore, proprietario di una fabbrica a trenta chilometri da Tunisi, con cinque dipendenti italiani asserragliati nella stessa, e devo dire che l'intervento immediato dell'unità di crisi della Farnesina ha permesso di scongiurare qualcosa di serio. Per questo, la ringrazio davvero e formulo i ringraziamenti miei, dell'imprenditore e dei suoi collaboratori italiani per quello che l'unità di crisi ha fatto.
Penso che quello che lei ha detto circa il sostegno del processo politico democratico di transizione sia l'azione principale che il Governo italiano deve porre in essere in questo momento. Lei ha accennato anche alla richiesta di assistenza finanziaria, ma non so in cosa possa consistere. Spero che il ruolo fondamentale, su questo versante, debba averlo l'Unione europea, perché, oltre a intervenire a livello di aiuto alla democratizzazione e anche alla possibilità di svolgimento di libere elezioni, ritengo che in questo momento il ruolo fondamentale dell'Unione europea debba essere quello di una consistente assistenza finanziaria.
Per quanto riguarda la questione dell'immigrazione circolare e la valutazione di questa possibilità (un collega dell'opposizione ha proposto il rafforzamento della quota di lavoratori tunisini), vorrei ricordare l'appello della Caritas del Veneto fatto la scorsa settimana per quanto riguarda il problema dell'immigrazione. C'è


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già poco lavoro per i nostri: non vorremmo creare altri disperati in questo momento dando loro delle illusioni.
Ritengo quindi che ciò che lei ha puntualmente riferito sia il metodo con cui il Governo italiano deve perseguire e proseguire sulla strada della democrazia in Tunisia.
Sappiamo quali siano i nostri interessi e quante aziende italiane operino in quel territorio, e il nostro primo compito è anche quello di difendere i nostri interessi in Tunisia.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Franco Frattini per la replica.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio davvero tutti coloro che sono intervenuti, perché, come a me personalmente sempre accade, la discussione è stata anche oggi in queste Commissioni molto ricca anche di spunti problematici ma mai inutilmente critici.
In punto di fatto vi posso dire che dei cinque ministri dimissionari due confermano le dimissioni e tre rientrano nel Governo, quindi fortunatamente anche in questo c'è un segnale non negativo della volontà del Governo transitorio di allargare se possibile il dialogo e comunque di contenere le esclusioni o le uscite dal Governo.
Ho sentito diverse problematiche che richiederebbero molto più tempo per un dialogo più approfondito. Effettivamente molti nel mondo (forse tutti) sono stati sorpresi come qualcuno ha detto - non certamente solo l'Italia - dalla rapidità dell'evoluzione di questo shock sociale.
È stata sorpresa innanzitutto la Lega araba, è stata sorpresa certamente l'Europa, che come ho ricordato aveva non solo riconosciuto alla Tunisia il primo spazio di libero scambio con l'Europa per i prodotti industriali, ma aveva già realizzato il più avanzato statuto di associazione tra un Paese arabo Mediterraneo e la stessa Unione europea, considerando evidentemente la Tunisia non solo un Paese stabile, ma un affidabile e valido interlocutore.
Sono state sorprese le famiglie politiche: l'Internazionale socialista fino a quattro giorni fa considerava il partito di Ben Ali uno dei pilastri della sua azione nel Mediterraneo, mentre è stato estromesso quattro giorni fa. Immagino evidentemente anche lì la sorpresa nel vedere quello che alcuni avevano cominciato a fare emergere, i partiti dell'opposizione certamente ma anche osservatori indipendenti, soprattutto per quanto riguarda i mezzi di informazione e la censura sull'accesso ai media.
L'evoluzione è stata rapida, certamente l'Europa non aveva creato le condizioni per prevedere una così rapida accelerazione o quantomeno per guidarla in modo più graduale.
È evidente allora che «il problema dei problemi», come l'ha chiamato l'onorevole Nirenstein, è come trarre dalla questione Tunisia una lezione per il futuro e come rispondere a questo grande problema, come conciliare una via alla democratizzazione con il presidio della stabilità e della lotta all'integralismo. Questo è il punto: come conciliare questi interessi?
Devo ammettere che a me non piaceva la politica dell'esportazione forzosa della democrazia. Non credo che questi Paesi, come nessun altro, possano accettare il nostro modello, per quanto avanzato, come un modello da imporre con il prendere o il lasciare. Certamente era molto più opportuna la Freedom Agenda che nell'ultima parte del suo mandato propose il Presidente Bush. Forse era troppo tardi per questa Freedom Agenda, che però ha segnato la nuova direzione poi perseguita dal Presidente Obama, il quale non ha mai fatto della politica di interferenza in quei Paesi una sua azione, a mio avviso giustamente.
Se volete una mia opinione anche per conoscere quale sarà l'azione che condurrò nei prossimi mesi, non solo sulla Tunisia, ma in genere sui Paesi del Mediterraneo, credo che noi abbiamo avuto un'esperienza molto vicino a casa nostra, un'esperienza molto diversa, ma in cui l'Europa ha dimostrato di poter fare la differenza.


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Mi riferisco all'esperienza della post-dissoluzione della Jugoslavia, in relazione alla quale l'Europa si è trovata una polveriera etnica, linguistica, politica. Con un compact durato molti anni si è arrivati a una situazione in cui alcuni Paesi sono candidati, altri sono entrati e altri stanno entrando. La liberalizzazione dei visti si è affermata.
In breve, cambiando ovviamente le prospettive, perché i Balcani non sono il Mediterraneo, a mio avviso l'unico modo con cui l'Europa può fare la differenza è aumentando e accelerando i processi di integrazione: più Europa nella sponda Sud del Mediterraneo è l'unico incentivo a essere più vicini ai nostri valori democratici senza imporli in alcun modo.
Quanto più noi offriremo statuti avanzati di associazione a quei Paesi, aree di libero scambio, interventi di incentivo per le piccole e medie imprese, dialogo culturale e interreligioso con la protezione delle minoranze - penso alle minoranze cristiane nel Mediterraneo - tanto più l'Europa potrà fare la differenza. Non vedo un altro modo.
L'Unione per il Mediterraneo è stata finora un semi-fallimento, a eccezione della grande struttura del segretariato, che però non ha ancora sostanza: sono stati designati un segretario generale, un vicesegretario generale italiano, altri segretari generali aggiunti, ma finora non è stata promossa neanche un'iniziativa.
Credo allora che l'Europa dovrà agire in via intergovernativa - è triste ammetterlo, ma il cinque più cinque è intergovernativo e non europeo - e io approfitterò della riunione del cinque più cinque che presiederò probabilmente a Napoli in primavera per rilanciare un'idea che guardi non ai prossimi tre mesi, ma ai prossimi dieci anni, in modo che probabilmente attraverso gli strumenti che già esistono, come il dialogo per l'associazione, gli accordi di libero scambio, l'associazione sul dialogo di partenariato, la situazione migliori.
Quelli citati sono gli strumenti dell'Europa che rappresentano, a mio avviso, il modo migliore per avvicinare questi Paesi a una via democratica, che è la nostra, senza dare loro una ricetta europea da prendere o lasciare, il che non potrebbe essere accettato.
Ricordo il coinvolgimento che ha portato in tanti Paesi del partenariato riforme strutturali non obbligate, ma poste in un quadro. Voi sapete che da sette o otto mesi abbiamo bloccato l'accordo di associazione Europa-Siria, perché la clausola di adesione ai criteri di modernizzazione verso il miglior rispetto dei diritti umani ha impedito finora la firma da parte dell'Europa, prima perché non la ritenevamo sufficientemente forte da parte della Siria e ora perché loro la ritengono invasiva della sovranità statale. Questo è l'esempio con cui noi dobbiamo confrontarci, calibrando strumenti europei e mostrando che non siamo l'Europa che vuole imporre, ma quella che vuole coinvolgere.
Credo che il cinque più cinque sia uno strumento di apripista in questa direzione anche per quanto riguarda il processo elettorale. Francamente resto convinto che un contributo dell'Europa, solo se richiesto e non imposto, onorevole Malgieri, sia utile, non solo e non tanto per indicare ai tunisini quale sia la legge elettorale che all'Europa piace di più, perché l'Europa ha in ogni Paese una legge elettorale diversa, ma, per esempio, per mostrare come si possa effettuare il monitoraggio dei processi elettorali.
Credo che l'Europa possa fare questo, come l'ha fatto per elezioni in Paesi molto più lontani della Tunisia. Non credo che si possa negare il consenso, se vi sarà una richiesta, a una missione europea di monitoraggio del procedimento elettorale. Un ruolo rispettoso, ma di presenza sul territorio, per vedere se il sistema elettorale funziona come è interesse del popolo tunisino che sia. La questione non è che piaccia a noi: deve essere utile a loro. Su queste iniziative certamente andrò avanti.
Le piccole e medie imprese sono una priorità italiana. Voi sapete che la principale proposta che l'Italia ha avanzato quando si lancio l'Unione per il Mediterraneo fu la creazione di un'Agenzia euromediterranea per le piccole e medie imprese.


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Non se ne è fatto nulla per ora e noi ogni anno organizziamo in Italia il Forum euromediterraneo per l'economia. Continueremo a farlo anche quest'anno e l'abbiamo fatto negli ultimi sei anni con una grande partecipazione, perché, in mancanza del quadro comunitario, scegliamo quello intergovernativo. Piuttosto che non fare nulla, occorre fare qualcosa. Credo che l'Europa in questo senso vada richiamata con forza e sono d'accordo con voi, che ne avete parlato.
Certamente sul tema migratorio dovremo lavorare. Molti Paesi europei non condividono l'idea di approfondire il tema delle quote di accesso di lavoratori tunisini per una semplice ragione: chiedono prima di conoscere dove questi lavoratori tunisini andrebbero a risiedere e per quali tipi di impiego. Il meccanismo dell'immigrazione circolare presenta il vantaggio di offrire posti in relazione alle domande, cioè al fabbisogno Paese per Paese. Non solo l'Italia, ma gli altri 26 Paesi dell'Unione europea sono o non sono disposti a prendere lavoratori tunisini, temporanei e non? Questa è la domanda su cui ovviamente dovremo lavorare se dobbiamo dare una risposta.
Sugli studenti - qualcuno ha toccato il tema - io sono stato da sempre molto favorevole. Quando ero commissario europeo, proposi addirittura un meccanismo di facilitazione dei visti per studenti collegato a un progetto di Erasmus euromediterraneo. La questione richiedeva un voto unanime, che non vi fu. Questa è la situazione. La Commissione, nella mia persona, allora lo propose e mi auguro che lo riproponga di nuovo. Un Erasmus euromediterraneo per gli studenti dei Paesi del Maghreb e del Mashreq sarebbe, per esempio, uno dei segnali che, in un momento come questo, non solo la Tunisia, ma anche gli altri Paesi attenderebbero con forza.
Credo che su questi argomenti, se le Commissioni condivideranno, signori presidenti, bisognerà tornare, perché non possiamo esaurirle in una discussione di un'ora e mezzo soltanto. Queste sono le linee di azione e magari in vista del cinque più cinque che presiederà l'Italia sarebbe utile tenere un'altra seduta ad hoc delle Commissioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il signor Ministro, i colleghi senatori e il presidente Dini.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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