Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle audizioni

Torna all'elenco delle sedute
Commissioni Riunite
(IV Camera e 4a Senato)
3.
Mercoledì 22 aprile 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2

Comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2 6 8 13 14 16
Cantoni Gianpiero Carlo, Presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica ... 6
Cicu Salvatore (PdL) ... 10
Del Vecchio Mauro (PD) ... 13
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 8
La Russa Ignazio, Ministro della difesa ... 2 12 13 14
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 11
Pinotti Roberta (PD) ... 9
Ramponi Luigi (PdL) ... 7
Rosato Ettore (PD) ... 14
Scanu Gian Piero (PD) ... 12 13
Torri Giovanni (LNP) ... 9
Villecco Calipari Rosa Maria (PD) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE
IV (DIFESA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 4a (DIFESA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 22 aprile 2009


Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano.
Ai fini di un ordinato svolgimento dei lavori invito i gruppi di Camera e Senato a far pervenire agli uffici l'elenco dei propri componenti che intendessero intervenire nel corso della seduta, entro i primi 20 minuti della seduta stessa.
Do la parola al Ministro della difesa Ignazio La Russa, che ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Ringrazio e saluto i presidenti delle Commissioni di Camera e Senato e tutti i commissari.
Chiedo scusa se abbiamo dovuto rinviare questo incontro - tenevo ad essere presente - ma la calamità naturale che ha colpito l'Abruzzo, e quindi tutti noi, ha reso impossibile lo svolgimento di questa audizione nella precedente occasione. Quel giorno, infatti, ho accompagnato il Presidente del Consiglio nel luogo del sisma, per portare non tanto una presenza simbolica, ma un momento di condivisione ai militari impegnati in quel difficile compito.
Oggi, prima data utile che mi avete indicato, partecipo molto volentieri a questo incontro, anche per il sentimento di lealtà che nutro nei confronti del Parlamento. Sono qui per indicarvi le linee di tendenza degli impegni delle nostre Forze armate in Afghanistan, in particolare nel periodo delle elezioni presidenziali. Tali impegni sono stati oggetto di una discussione nel vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi della Nato tenutosi a Strasburgo il 3 e 4 aprile, a cui ho avuto l'onore di prendere parte.
Devo dire subito che, al momento attuale, non vi sono mutamenti significativi nello scenario afghano e, in particolare, lì dove operano le nostre forze. Già dall'ottobre scorso, infatti, più volte abbiamo sottolineato, anche nelle sedi parlamentari, la difficile situazione nel Paese. Non vi sono ulteriori crescenti difficoltà, ma che i problemi fossero in aumento - non rispetto a ottobre, ma al periodo precedente - lo abbiamo già segnalato.
La guerriglia si è resa più aggressiva e l'azione degli insurgent, gli insorgenti, si è intensificata ed è diventata anche qualitativamente più complessa. Non possiamo parlare, però, di una strategia mirata contro le forze italiane; infatti, l'obiettivo prioritario dei terroristi è quello di rendere più difficile il processo di riconciliazione nazionale, quindi l'avvio dello sviluppo e della normalizzazione del Paese.
Contestualmente, come confermato nella relazione dei servizi di sicurezza al Parlamento, l'accresciuta pressione da parte della coalizione internazionale nell'area meridionale dell'Afghanistan (che lambisce la zona ovest in cui noi operiamo) in qualche modo potrebbe spingere


Pag. 3

le forze ostili verso l'area dove sono presenti i nostri militari, accrescendo le probabilità di contatti e scontri.
Del resto, questo è ovvio: è la teoria del deflusso di un liquido laddove il territorio lo consente. Se premiamo queste forze dal sud è possibile, se non probabile, che l'insorgenza si sposti in zone ritenute meno pericolose. Siamo perfettamente consapevoli di questa minaccia e, quindi, la nostra attenzione rimane su livelli molto alti.
In tale quadro, i nostri militari continuano ad operare con grande impegno, professionalità ed efficacia. Il nostro contingente è impegnato, nello stesso tempo, a consolidare la sicurezza del Paese, ad addestrare le forze afghane dell'esercito e della polizia e anche - questo per noi è un dato molto importante - a ricostruire, assistendo la popolazione e generando fiducia.
Dobbiamo dire che la cosiddetta «nuova dottrina» di Barack Obama è, in realtà, l'evoluzione dell'ultima della strategia che gli Stati Uniti hanno messo a punto prima della sua elezione. Come sapete, il Ministro della difesa è rimasto lo stesso, a testimoniare una sorta di continuità. Tuttavia, vi è un approccio diverso che tenta di coinvolgere maggiormente i Paesi che partecipano al contingente internazionale e, nello stesso tempo, vi è una maggiore attenzione a ciò che noi abbiamo sempre predicato, ossia che la ricostruzione debba avvenire contestualmente alla contrapposizione. A volte si aspetta che un'area sia completamente bonificata prima di cominciare la ricostruzione. Noi riteniamo che le due azioni possano procedere, sebbene parzialmente, in sovrapposizione. In altre parole, dove le condizioni lo consentono - anche solo in una frazione di territorio - è necessario cominciare a ricostruire. In questo modo non solo si accelerano i tempi, ma si rende il rapporto con le popolazioni immediatamente migliore e, anche se ciò comporta un maggiore pericolo per chi opera, il beneficio che ne deriva, a nostro avviso, è importante. Insomma, ne vale la pena.
La consistenza numerica media del contingente italiano - nei miei appunti è scritto «media», ma in realtà il numero che riferisco è quello attuale - è di 2.795 militari. Ricordo che 2.800 è il numero stabilito dal decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 209 di proroga semestrale della partecipazione italiana alle missioni internazionali.
Nell'ambito dell'ISAF siamo oggi presenti in due regioni: nell'Afghanistan occidentale - con circa 2000 militari, nell'ambito del comando di Herat (comando a guida italiana), e nella regione di Kabul, con circa 700 militari inseriti nel Regional Command Capital e in altre strutture operative della Nato.
Fra gli assetti disponibili abbiamo tre velivoli senza pilota, un velivolo da trasporto e due aerei tornado. Ricorderete che erano stati autorizzati quattro tornado, ma due non sono mai partiti non per problemi nostri, bensì dovuti alla ricettività degli aerei (prima non c'era la pista, poi il luogo dove ripararli). A maggio, comunque, andranno ad aggiungersi gli altri due tornado contemplati nel pacchetto autorizzato.
Come ho avuto modo di indicare in un mio precedente intervento in Senato, gli impegni già assunti in ambito Nato porteranno, nel corso dell'anno e sino ad agosto 2009, ad un incremento del personale nazionale presente in Afghanistan, con lo schieramento del comando di reazione rapida della Nato di Solbiate Olona quale nucleo centrale del comando ISAF (incremento di 151 militari, di cui 114 italiani).
Per quanto attiene lo sviluppo dell'ANA (Afghan National Army), cioè dell'esercito afghano, in ambito Nato è stata condivisa la necessità di incrementare l'impegno da parte di tutti i Paesi membri e partner dell'Alleanza. Il nostro Paese ha risposto portando a sette il numero degli OMLT, che sono le strutture in cui i nostri partecipano attivamente da istruttori e da guida nelle operazioni insieme ai militari afghani.
Passo, ora, al tema cruciale delle elezioni presidenziali nel Paese, che come sapete avranno luogo il 20 agosto. Certamente esse costituiscono una verifica significativa dei progressi del processo di


Pag. 4

democratizzazione dell'Afghanistan e dell'effettiva capacità dell'apparato di sicurezza afghana. Queste elezioni dovranno essere, ovviamente, legittime e imparziali; dunque è necessario un clima di ragionevole sicurezza che consenta il regolare svolgimento sia della campagna elettorale sia dell'esercizio del voto.
Fra l'altro, nessuno può escludere che, in concomitanza con le elezioni, vi sia un aumento dell'attività dell'insorgenza. In vista di tale evento, nel corso della riunione informale dei Ministri della difesa della Nato che si è tenuta il 20 febbraio scorso a Cracovia e, poi, anche nel vertice di Strasburgo, di cui ho già parlato, si è discusso della possibilità di aumentare temporaneamente il contributo militare e civile di tutti i Paesi dell'Alleanza, proprio allo scopo di incrementare il livello di sicurezza nel Paese in questa occasione elettorale.
Come sapete, l'Italia è oggi uno dei maggiori contributori della missione della Nato ed è, quindi, già impegnata in maniera che io reputo consistente. Riteniamo, tuttavia, di dover fare la nostra parte, così come in passato, per la specifica finalità di garantire il corretto e pacifico svolgimento delle elezioni.
Anticipo che gli Stati Uniti - nei miei appunti è riportato in fondo - hanno annunciato un rinforzo importante da parte loro: non solo 4.500 uomini in più per azioni di polizia, ma anche 17 mila o 17 mila e 500 uomini delle Forze armate. Alla fine, con gli incrementi che sto per annunciarvi, il rapporto di forze, attualmente di un americano ogni tre uomini, diventa di un americano ogni due (ovviamente non rispetto all'Italia, ma alla somma di tutti gli uomini che partecipano all'ISAF). Devo riconoscere, dunque, che nel chiederci una maggiore presenza e uno sforzo ulteriore, gli Stati Uniti hanno dato l'esempio, assicurando un apporto di uomini più consistente di quello inviato dall'insieme di tutti gli altri Paesi.
Noi abbiamo previsto un incremento di circa 400 militari dell'esercito e di circa 40 militari dell'aeronautica militare, più due aerei da trasporto C-27J, nonché tre elicotteri Medevac, che servono per l'eventuale sgombero sanitario e trasporto del personale.
In particolare, i 400 militari daranno vita a un nucleo di comando e a un complesso di forze di manovra alle dipendenze del comandante della regione ovest, cioè il nostro, con il compito di intervenire in caso di necessità. I due aerei C-27J garantiranno il supporto tattico logistico e il trasporto all'interno del teatro operativo necessario per le election support forces e i tre elicotteri AB 212 assicureranno, come avevo detto, la possibilità di effettuare tempestivamente lo sgombero e il trasporto di feriti (speriamo non ce ne sia bisogno).
Il periodo di schieramento è previsto a partire dall'inizio di luglio, per le unità terrestri, e da agosto per i velivoli, fino, presumibilmente, al prossimo novembre.
Per quanto riguarda l'attività addestrativa dei nostri carabinieri a favore dell'Afghan National Civil Order Police, la polizia afghana, in risposta al requisito formulato nell'ambito dell'Alleanza - ci hanno chiesto di aumentare il numero dei nostri carabinieri che svolgono azione di istruttori - abbiamo dato disponibilità all'invio di 50 carabinieri, oltre a quelli già presenti in Afghanistan (altri 50 circa), a partire dal prossimo novembre. Di questi, sei saranno, invece, inviati immediatamente.
Permettetemi, a questo punto, di fornire un chiarimento rispetto ad alcune notizie apparse sulla stampa circa i cosiddetti caveat che adesso, in realtà, possiamo definire remark: non si tratta più di caveat vero e proprio, ma di una nota che riguarda solo un limite di tempo che continuiamo a ritenere utile, se non strettamente necessario, per la possibilità di intervento degli uomini del contingente italiano fuori della nostra zona.
Come ricorderete, avevamo portato questo limite da 72 a 6 ore. Devo dire che, da allora, questa possibilità è stata usata con il contagocce. Non riteniamo che il limite delle 6 ore vada a detrimento dell'efficacia delle operazioni. Peraltro, le autorità ISAF si sono sempre espresse in termini di piena soddisfazione per la disponibilità e capacità del nostro contingente,


Pag. 5

quindi ho ritenuto di mantenere, al momento, queste remark che, fra l'altro, corrispondono al tempo di approntamento. Mentre noi decidiamo, le forze cominciano a prepararsi; ma anche se questo limite di 6 ore non ci fosse, esse comunque non sarebbero pronte a partire «un minuto dopo».
Fin qui ho descritto la situazione attuale e il quadro del futuro rafforzamento in vista delle elezioni. Ciò non toglie che l'annunciato dispiegamento di 17 mila soldati da parte degli Stati Uniti potrà comportare, nel breve e medio periodo, un riassetto delle truppe della Nato sul terreno, con lo scopo di ottenere risultati ancora più concreti e visibili.
Nei miei appunti ciò che dirò non è riportato, tuttavia voglio essere esaustivo anche negli aspetti ancora non definiti. Ebbene, una ipotesi percorribile e probabile è che nella parte sud della zona ovest, ossia la parte di confine tra la nostra zona e la zona degli inglesi, degli australiani eccetera, vi sia una forte immissione di truppe da parte delle forze attualmente presenti nella zona sud (inglesi, australiani e via dicendo). Se, da un lato, questa circostanza è confortante, in quanto quella potrà diventare una zona caldissima, dall'altro lato mi ha portato a dire apertis verbis ai rappresentanti americani che il nostro desiderio, remark a parte, è quello di operare nella zona ovest alle dipendenze del nostro comando, finché è possibile. Quindi in quella zona, poiché da sempre intervengono i soldati americani che vengono da altra zona, ci troveremmo in una situazione in cui il comando non sarebbe nostro se intervenissimo in misura minoritaria rispetto alla presenza dei soldati americani.
Non dico, perciò, che noi arretreremo. Credo, invece, che una suddivisione di aree molto precisa sia allo studio dei nostri comandi ed è quella che io ho auspicato. Si tratta, lo ripeto, di un work in progress, una sorta di ipotesi che, tuttavia, ho voluto riferirvi. Dal momento che non ci vediamo tutti i giorni, infatti, è meglio riportare tutto quello che può avvenire.
In ogni caso, dal punto di vista della pericolosità dell'azione dei nostri militari, questa ipotesi potrebbe anche rappresentare un vantaggio. Tuttavia, lo ripeto, il nostro contingente non opera con la logica di un'azione rivolta a zone meno pericolose. Innanzitutto, non ci sono zone meno pericolose, ma zone dove è più frequente il conflitto e dove l'azione può essere ripetuta; tuttavia questo non ha nulla a che vedere con il grado di effettiva pericolosità che, come abbiamo visto, può determinarsi in ogni parte. Comunque, i nostri soldati sono pronti ad assolvere a qualunque compito. Oggettivamente, lo ripeto, questo cambiamento potrebbe portare a un impegno in una zona quantitativamente meno interessata dalla insorgenza; il problema semmai, come ho detto, potrebbe essere di comando, ma stiamo cercando di risolverlo nel migliore dei modi.
Permettetemi di concludere, signori deputati e senatori, rivolgendo un pensiero a tutti gli uomini e le donne che in Afghanistan, ma anche negli altri Paesi oggetto di azioni difficili, giorno dopo giorno, dimostrano la loro professionalità e la loro altissima specializzazione. Essi, proprio in vista di un evento fondamentale per la democrazia in Afghanistan, quali le elezioni presidenziali, sono consapevoli di svolgere un ruolo assai delicato ed importante. Mai da nessuno di loro ho sentito recriminazioni o polemiche; mai ho sentito da parte dei nostri soldati parole di sfiducia verso di voi, di noi o verso chi ha assegnato loro questo compito.
Credo che questo sia il frutto della solidarietà concreta che, al di là dei colori politici, tutta l'Italia e tutto il Parlamento hanno saputo dimostrare e continuano a dimostrare. Come Ministro della difesa, sono grato di ciò a ciascuno di voi, uno per uno.
Ho avvertito, però, il loro forte desiderio di avere il sostegno continuo, non solo del Paese in quanto tale, ma anche, con segni tangibili e concretamente, del nostro Parlamento e delle nostre istituzioni. Per questo motivo chiedo la vostra adesione al progetto che vi ho illustrato e farò tesoro delle vostre osservazioni e delle vostre indicazioni. Vi ringrazio.


Pag. 6

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro della difesa Ignazio La Russa.
Abbiamo dieci iscritti a parlare; poiché ci sono meno di 50 minuti a disposizione, come contingentamento, quindi, abbiamo quattro minuti a testa.
Vorrei innanzitutto, ringraziarla per la sua presenza e cogliere l'occasione per comunicare che ieri, insieme ad altri colleghi della Commissione difesa, abbiamo partecipato ad un importante incontro con due governatori afghani: uno era proprio il governatore di Farah.
Credo che sia importante riferire alla Commissione e a lei, anche se, sicuramente, avrà già avuto modo di apprenderle in altre circostanze e in incontri istituzionali, alcune cose che ci ha detto. I governatori, in sostanza, chiedono alla coalizione più uomini per poter garantire il processo di democratizzazione dell'Afghanistan, per mantenere i diritti civili che faticosamente stanno cercando di portare nelle regioni e per garantire la sicurezza anche di quelle infrastrutture che con fatica l'occidente sta realizzando sul territorio.
Più specificamente essi chiedono, almeno lo chiede il governatore di Farah, che è la zona nostra, un maggiore impegno dei nostri militari per la realizzazione delle infrastrutture. Hanno riferito che l'Italia le sta effettivamente realizzando e, secondo la loro valutazione, non sarebbe opportuno che i militari della coalizione abbandonino l'Afghanistan prima di 15 anni. Hanno espresso la preoccupazione e, in generale, hanno rappresentato l'inutilità complessiva degli interventi dei caccia bombardieri, pensando che sia molto più efficace l'impiego di elicotteri da combattimento. In maniera particolare, hanno apprezzato moltissimo l'impegno dei militari italiani che vengono giudicati i migliori sia per la capacità di mantenere un ruolo di azione di sicurezza, sia per la capacità di penetrazione nel rapporto con la popolazione.
Come ultimo dato, signor Ministro, vorrei sottolineare che noi abbiamo approvato un decreto semestrale che, per quanto riguarda il finanziamento alle missioni estere, era stato giudicato da tutti ampiamente idoneo; è chiaro, però, che ci sarà un impegno progressivo di un maggior numero di militari e, quindi, di risorse, di mezzi, e ciò, oltretutto, in un clima complessivo che lei stesso ha detto essere di maggiore rischio per via delle elezioni.
Chiediamo, quindi, che lei faccia sentire la sua voce nel Governo perché le risorse non siano assolutamente inferiori alle necessità che dovremo affrontare nel prossimo semestre.
Do la parola al presidente della Commissione difesa del Senato, senatore Cantoni, e poi ai colleghi senatori e deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANPIERO CARLO CANTONI, Presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica. Grazie, signor Ministro. Mi complimento per la sua relazione. Vorrei solo dire che, insieme al Presidente del Senato Schifani, tre settimane fa siamo stati in visita al nostro contingente in Afghanistan in occasione del cambio di guardia della brigata Julia con la brigata Folgore. Devo dire che ho avuto un'impressione di estrema professionalità e specificità delle nostre truppe. È stato un viaggio estremamente interessante che mi ha molto confortato: ho visto, infatti, grande spirito di corpo ed efficienza, seppure per le poche ore che siamo rimasti in presenza di questi militari. Dobbiamo, quindi, essere onorati di avere una partecipazione così efficiente e di grande umanità.
Anche alcuni governatori che erano presenti hanno voluto esprimere al Presidente del Senato e al presidente della Commissione difesa del Senato il loro apprezzamento per l'assoluta forza di operatività che i nostri militari, costantemente, dimostrano in questa zona.
Concludo, quindi, ringraziando, penso a nome di tutti, i nostri militari, ufficiali e comandanti presenti in Afghanistan.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie, signor Ministro, per aver accolto il


Pag. 7

nostro invito; durante il question time in Aula, infatti, lei aveva promesso di approfondire alcuni aspetti che erano rimasti, per mancanza di tempo, non completamente chiariti.
Vorrei partire esattamente da quanto sottolineato dal presidente della Commissione difesa della Camera in relazione all'incontro che ieri abbiamo avuto con i due governatori afghani.
In particolare, è emerso un punto piuttosto importante che anche nella sua relazione, soprattutto nell'ultima parte, lei ha posto nuovamente all'attenzione di queste due Commissioni. Si tratta del punto relativo alla percezione delle due missioni presenti in Afghanistan, cioè la missione «Enduring Freedom» e la missione ISAF. Esse hanno due obiettivi diversi, ma ieri i due governatori hanno espressamente dichiarato che questi sono invece percepiti in maniera analoga. Anzi, hanno detto di più e cioè che le loro funzioni spesso vengono fornite in maniera non solo analoga ma addirittura inversa: a volte, ISAF fa quello che dovrebbe fare «Enduring Freedom» e viceversa.
Viste anche le dichiarazioni che oggi lei ha rilasciato sulla questione del coordinamento nell'area che probabilmente, come lei stesso ha detto, sarà un'area a rischio e sarà sotto il controllo italiano, vorrei chiederle qual è la sua posizione, in maniera molto chiara, su questo coordinamento fra le due missioni, soprattutto in relazione al fatto che le due missioni hanno, appunto, funzioni e obiettivi diversi. Questo non è assolutamente indifferente rispetto ai rischi cui si espongono i nostri militari e le nostre truppe nella zona a sud, quella di Farah e quella della nuova postazione italiana di controllo perché influisce sulla percezione della popolazione e degli insorgenti.
I due governatori hanno aggiunto anche che gli insorgenti non sono sempre talebani né sono sempre sotto il controllo dei talebani. Quella degli insorgenti è una categoria un po' più ampia di quella che noi possiamo definire come strettamente collegata agli integralisti e, quindi, a coloro che sono sotto il controllo talebano.
Inoltre, lei ha sottolineato - mi perdoni se lo dico, non mi sembra in continuità - che effettivamente quello militare non può essere l'unico strumento di controllo, di garanzia e di sicurezza in Afghanistan. Devo dire che, in tal senso, ieri abbiamo avuto conforto anche dal governatore di Farah. Egli, infatti, ha detto che se, come coalizione, vogliamo porre un termine alla missione - che, comunque, egli stesso ha stimato in una presenza ridotta di almeno 15 anni - le due azioni devono essere assolutamente contemporanee e non l'una prima e l'altra dopo. Questo è un elemento essenziale, considerando anche il fatto che nell'ultimo decreto di finanziamento delle missioni abbiamo dovuto combattere per far stanziare nuovamente i fondi per la cooperazione. È stata una battaglia che, per fortuna, poi è stata condivisa dalla maggioranza ma che ha, comunque, trovato un grosso limite.
I governatori lo hanno spiegato in maniera molto chiara: quando si parla di contemporaneità, si allude anche al fatto che se non c'è sviluppo, se non c'è un'alternativa al traffico e alla coltivazione dell'oppio - e l'alternativa, come ci hanno indicato, potrebbe essere il bestiame - tutto questo non potrà finire e la soluzione della questione dell'Afghanistan sarà, quindi, sine die.

LUIGI RAMPONI. Ringrazio il signor Ministro per la relazione puntuale e, come sempre, chiara. L'Afghanistan rappresenta, oggi, il punto nevralgico più delicato della politica estera nazionale delle Nazioni unite e dell'Europa. Certamente, esso deve essere affrontato con questa visione. Se riteniamo che l'Afghanistan sia il punto nevralgico più delicato della sicurezza internazionale, allora, onestamente, dobbiamo fare ogni sforzo per rispondere coerentemente a questa minaccia.
Di sicuro noi italiani, come lei ha ricordato, abbiamo svolto un'azione incisiva molto importante negli anni della nostra partecipazione. Confortano i discorsi


Pag. 8

fatti dal presidente della Commissione della Camera dopo la recente visita e riecheggiano ancora i discorsi ascoltati sin da dieci giorni prima della costituzione della struttura ISAF, da parte delle Nazioni unite.
Debbo fare una considerazione: per quanto mi è dato conoscere, mi compiaccio del fatto che la struttura delle nostre forze presenti nell'area è finalmente ben bilanciata rispetto ad un tempo, in funzione dei compiti che l'attendono. È giusto, come lei ha detto, come ha ripetuto l'onorevole Villecco e come gli stessi interlocutori afghani hanno chiesto, spingere di più sulla ricostruzione senza operare quella separazione che abbiamo sempre predicato: prima, cioè, provvedere alla sicurezza e dopo partire con la ricostruzione, anche se, in realtà, dobbiamo garantire una sicurezza a chi deve avviare la ricostruzione. È altrettanto importante, però, che la struttura abbia un bilanciamento di forze tale da garantire questa sicurezza. Io sono convinto che con gli ultimi rinforzi e con gli ultimi invii, questo traguardo sia stato raggiunto e ciò rappresenta anche una forma di garanzia per i nostri uomini mandati ad operare in loco.
È vero che vi è un nuovo approccio da parte del Presidente Obama ed è vero che anch'egli pone l'accento su una maggiore partecipazione europea - o comunque delle forze che sono presenti - e su un incremento nella ricostruzione. Tuttavia, come lei ha ricordato, è altrettanto vero che gli Stati Uniti hanno deciso di mandare 17 mila uomini più altri 4.500.
Dunque, se riteniamo coerentemente che quello sia un punto nevralgico, che il nostro Paese debba avere una dignità internazionale e che debba difendere i propri interessi, allora è giusto partecipare rispondendo positivamente alla richiesta che ci viene, sì, dagli Stati Uniti, ma in sostanza anche dalle Nazioni Unite, perché la nostra è una partecipazione - almeno nelle due volte in cui abbiamo partecipato alla missione «Enduring Freedom» - nell'ambito dell'ISAF, che è una struttura nata proprio dalle Nazioni Unite.
Quindi, nulla da dire sugli incrementi, che evidentemente sono opportuni e necessari.
Inoltre, è anche molto interessante quello che lei ha detto in relazione al bilanciamento della situazione al confine tra l'occidente e il sud, nonché la sua sollecitazione affinché venga presidiato fortemente il sud per evitare che vi siano influenze nefaste e compromissioni di situazioni nell'area di nostra responsabilità.
Ciò mi sembra molto giusto; si tratta di un discorso operativo, ma soprattutto politico, che merita il mio apprezzamento.
In conclusione, voglio avanzare una considerazione di carattere più generale, sempre in funzione della tutela dei nostri uomini e del raggiungimento dell'obiettivo. È giusto questo rinforzo sul terreno, ma sarebbe altrettanto giusto riflettere - e a questo invito soprattutto il Governo, più che il Ministro della difesa - sulla considerazione che la soluzione del problema afghano passa per il Pakistan. Infatti, fino a quando nella fascia di confine fra Pakistan e Afghanistan, Al-Qaeda e gli insorgenti avranno la possibilità di un asilo tranquillo, essi continueranno a rappresentare una minaccia che, di questo passo, durerà oltre i quindici anni.
In questo contesto, mentre gli americani hanno ben capito ciò e dunque aiutano i pakistani, sono presenti e costringono anche i russi a partecipare - concedendo, per esempio, una seconda via di rifornimento ai Paesi arabi, come l'Arabia saudita ed altri - l'Europa paradossalmente manda i propri uomini a combattere e a morire, non garantendo loro una cornice di sicurezza attraverso una più attiva partecipazione nel sostegno del Pakistan, che rappresenta la chiave di volta della sicurezza afghana. Grazie.

PRESIDENTE. Vorrei sottolineare ai colleghi che i primi due interventi hanno richiesto dodici minuti.

AUGUSTO DI STANISLAO. Sarò breve anche perché condivido quanto ha detto la collega Calipari e alcune considerazioni del senatore Ramponi. Io sono convinto


Pag. 9

che da questo punto di vista l'impegno italiano sia assolutamente significativo per uomini, mezzi e strutture. Tuttavia, mi chiedo in che modo e in che misura questi ultimi stiano dentro ad una strategia e se questa strategia abbia, nelle sue linee direttrici, degli elementi che informano anche tempi, modi e opportunità che si intersecano ed eventualmente si armonizzano con le iniziative degli altri Paesi.
Io credo che questo sia importante soprattutto alla luce di ciò che ha detto il Ministro, dal momento che siamo di fronte ad alcuni elementi che appartengono a micro-conflitti di carattere etnico ed interno, i quali possono rappresentare dei cedimenti in quelle aree di cui parlava adesso il generale Ramponi.
Quello che mi convince un po' meno - e chiedo al Ministro di fare chiarezza su ciò - è l'aspetto legato alla contestualità della ricostruzione e all'andare avanti giorno per giorno. Vorrei sapere come lei pensi che si possa contestualizzare questo elemento, che io ritengo assolutamente importante per la ricostruzione, come dimostra il ruolo molto più significativo che hanno assunto le nostre forze in quell'area, considerato che proprio su tale elemento la nostra azione si è fondata in questi anni.
Dunque, le chiedo di chiarirmi questo aspetto, che ritengo assolutamente importante. Infatti, tali elementi vanno ad aggiungersi a quelli di carattere territoriale che riguardano gli insorgenti e che comportano, magari, il rischio di un'aggregazione più ampia che può devastare ulteriormente quel territorio. Le chiedo se questi elementi rispondono a una strategia che ha delle linee direttrici che si armonizzano con la strategia di carattere più generale.
Dunque, vorrei capire meglio questo aspetto, perché corriamo il rischio di essere una monade all'interno dell'Afghanistan che, magari, mal si concilia con altri elementi. Se fosse così, rischieremmo di impegnarci ulteriormente con uomini, mezzi e strutture senza riuscire ad ottenere quel risultato e quella caratterizzazione che in questi anni hanno collocato l'Italia in modo significativo in Europa e nel mondo.

GIOVANNI TORRI. Molto brevemente mi ricollego a quanto detto dal presidente della Commissione Difesa della Camera a proposito del discorso fatto dal governatore afghano della provincia di Farah. Quest'ultimo ha fatto un'affermazione che può essere scomoda, ovvero ha detto chiaramente che gli italiani in quella regione combattono e lo fanno anche bene.
Lei, Ministro, ha sostenuto - lo ha fatto con franchezza e puntualità, e io lo apprezzo - che non vi sono delle zone di minore pericolosità.
Ritengo che quando si deve giocare una partita bisogna avere la possibilità di farlo fino alla fine con la dovuta dignità. Chiaramente, il Governo prenderà delle decisioni consone a quelle degli altri Stati. Dunque, volevo capire cosa pensa il Ministro su questo punto, anche in considerazione del fatto che gli americani, da un lato, combattono e, dall'altro, hanno creato i PRT (Provincial reconstruction team) che sono, appunto, le strutture per la ricostruzione.
Ebbene, a mio parere, anche l'Italia dovrebbe lavorare in questa direzione in maniera consistente e non già in misura minore.

ROBERTA PINOTTI. Saluto e ringrazio il Ministro La Russa che ha risposto alla richiesta del Parlamento di venire a fare il punto sulla situazione afghana. Mi associo alle sue ultime parole, con le quali ha ricordato quanto tutti gli uomini che mandiamo nelle missioni siano attenti, soprattutto laddove si vivono missioni pericolose, al fatto di essere inviati in quei territori da un Paese che presenta un quadro politico che, da questo punto di vista, è unito; questa è, infatti, la situazione rispetto alle missioni internazionali. Dunque, chiedo al Ministro, in tutte le occasioni che ha di incontrare i nostri contingenti, di ricordare loro che ci dividiamo su tante cose, ma che su questo punto, e cioè nell'averli inviati in queste missioni, non ci sono divisioni.


Pag. 10


Alcune questioni sono state toccate in parte già dagli interventi precedenti. Una di esse è stata affrontata molto bene dalla capogruppo Calipari, ovvero la questione del tenere insieme l'aspetto della ricostruzione con quello militare. Questo è un tema che abbiamo discusso a lungo e che, in qualche modo, considero come riconosciuto e scontato. Tuttavia, voglio ricordare che esso significa anche investimenti da parte della comunità internazionale e dei Paesi donatori.
Invece, vorrei soffermarmi maggiormente su altri due punti, che ricorrevano nella relazione del Ministro oltre che negli interventi. La prima questione riguarda il riferimento che lei, Ministro, ha fatto rispetto a come dovrebbero essere dislocate le nuove forze. In qualche modo, si è percepita fra le righe una certa preoccupazione da parte del nostro contingente di poter mantenere un proprio profilo di comando per avere una propria linea di comportamento. Infatti, chiunque abbia visitato l'Afghanistan e i contingenti e parlato con i militari e con i rappresentanti politici afghani sa che non tutti i contingenti combattono allo stesso modo e che non tutti hanno le stesse modalità di approccio con la popolazione civile. In questo gli italiani vogliono mantenere un proprio profilo, grazie al quale vengono accolti positivamente dalle popolazioni.
Tuttavia, su questo punto, rispetto alla questione specifica, si pone un problema più generale che credo l'Italia debba «mettere sul piatto». Intendo dire se sia ancora sensato mantenere due missioni («Enduring Freedom» e ISAF) o se, al contrario, non si possa immaginare a questo punto - con una strategia che diventa sempre più condivisa, come la formazione dell'esercito o della polizia - che ci debba essere una sola missione, suddivisa poi fra i vari Paesi. Io ritengo che si debba mantenere la missione ISAF.
La seconda questione è la seguente. Quando siamo stati in Afghanistan con il Presidente del Senato Schifani e il presidente Cantoni, l'ambasciatore mi ha riferito che il motivo per cui immediatamente l'occidente si è accorto della legge - quella che imponeva di fatto per la minoranza sciita, per le donne sciite, una legge fondamentalista e talebana di totale dominio dei mariti o degli uomini di casa per quanto riguarda lo studio, il lavoro e la vita coniugale - che stava per essere approvata, è stato l'intervento delle parlamentari donne, le quali hanno immediatamente chiamato tutti i diplomatici, denunciando quanto accadeva.
Ricordo ciò perché credo che nel momento in cui la comunità internazionale decide per un impegno ulteriore - che io ritengo giusto e corretto - debba nello stesso tempo far sentire con forza che insieme a questa ricostruzione non si possa pensare di tornare indietro. So che l'obiettivo primario era quello della lotta al terrorismo; tuttavia tra gli obiettivi c'era anche quello di dare una mano a ricostruire uno Stato che, pur nel rispetto di tradizioni diverse, non potesse deflettere rispetto a certi diritti. Ritengo che su questo, non solo nel momento dell'emotività, ma complessivamente, ci debba essere un'attenzione particolare.

SALVATORE CICU. Grazie, presidente. Credo che il quadro della situazione che ci è stato presentato dal Ministro sia non solo condivisibile, ma anche da sostenere. Per primo, durante l'esame dell'ultimo provvedimento che autorizzava le missioni internazionali, ho fatto una riflessione che scaturiva dall'esigenza che i nostri militari abbiano strumenti e, soprattutto, siano di un numero adeguato rispetto alle problematiche che quel territorio vive. Quindi, non posso che essere soddisfatto in ordine all'aumento della nostra presenza militare.
Tuttavia, per quanto riguarda gli obiettivi, i due governatori che abbiamo incontrato ieri ponevano, secondo me, una riflessione che va oltre gli aspetti che conosciamo maggiormente, ovvero quelli della coltivazione dell'oppio, della povertà, di una cultura diversa, di etnie che si scontrano e si confrontano.
Signor Ministro, ieri i due governatori ci ponevano il problema della necessità di uno Stato di diritto, di legalità, di certezza, di una cultura che guardi al riconoscimento


Pag. 11

dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il problema delle donne e dei bambini. Tutto questo i nostri militari, ma anche il nostro Governo, lo stanno sostenendo e credo che ciò troverà un primo spunto di riflessione, di analisi, di verifica e di valutazione con le elezioni di agosto. Queste ultime rappresenteranno sicuramente un momento straordinario per capire quale affluenza ci sarà, con quale livello di libertà, con quale possibilità di valutazione e di riflessione libera e, soprattutto, quale sarà il quadro d'insieme in ordine alla partecipazione delle diverse etnie, tribù e fazioni.
Io, colleghi, credo che sia banale sottolineare ancora oggi la distinzione tra «Enduring Freedom» e ISAF, peraltro richiamando anche la percezione avuta al riguardo dai governatori. Infatti, non può esistere una percezione che collochi in maniera diversa le due missioni: da una parte c'è il combattere contro il terrorismo e contro coloro che vogliono inevitabilmente soffocare le radici di libertà e di democrazia che noi stiamo realizzando; dall'altra il percorso e il progetto di ricostruzione. Ebbene, mi chiedo come chi governa quel tipo di comunità, con tutti i problemi che si debbono affrontare, possa distinguere e fare valutazioni in ordine al coordinamento di questi due modi di agire o di intendere o di creare obiettivi.
Credo che sia nella natura delle cose che il governatore, alla fine, si renda conto, dal momento che c'è una lotta contro il terrorismo, della preminenza di questo obiettivo. Con le situazioni che abbiamo vissuto e che vivremo a causa dei talebani, ne siamo consapevoli - penso, infatti, che essi purtroppo non siano stati né indeboliti né sconfitti ma, anzi, penso che si stiano rafforzando - bisogna anche capire che possiamo e dobbiamo rafforzare la nostra azione di cooperazione e di sostegno rispetto al progetto di ricostruzione civile e di ricostruzione dell'economia.
Il problema dell'oppio lo abbiamo affrontato costantemente. Ieri abbiamo avuto la valutazione, elementare e semplice, dei governatori, i quali dicono che se l'oppio rende, le braccia destinate all'agricoltura vengono indirizzate in quel settore. Se noi riuscissimo a far capire che l'oppio rende solo a pochi e che viene strumentalizzato e prodotto per le grandi e potenti «multinazionali» dei diversi Paesi, forse quelle braccia potrebbero essere ricollocate nell'agricoltura.
Ben venga, quindi, signor Ministro, un'azione forte, importante e mirata come quella da lei descritta: noi non le faremo mancare il nostro sostegno.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Ringrazio il Ministro per essere presente. In fase di conversione del decreto di rifinanziamento delle missioni, avevamo sollecitato, infatti, un momento specifico di approfondimento sull'Afghanistan: sono felice che questo possa avvenire oggi.
Mi desta un po' di perplessità l'impostazione iniziale della sua relazione, laddove si dice che la situazione è sostanzialmente immutata e che c'è continuità dal punto di vista della politica della comunità internazionale.
Per quello che ne so, da quanto leggo e da quanto mi viene riferito, vedo che la situazione politica in Afghanistan è in costante evoluzione. Mi piacerebbe condividere l'ottimismo del collega Cicu sulle elezioni presidenziali e mi auguro che saranno un grande appuntamento, ma la difficoltà di questo passaggio non sfugge a nessuno di noi.
Allo stesso modo, credo che la linea di politica internazionale dell'amministrazione americana, e del Presidente Obama in particolare, indipendentemente dalla continuità di gestione della macchina militare americana - che è chiaramente indicata dalla riconferma di Gates -, segni un cambiamento di direzione molto evidente dell'impostazione che gli Stati Uniti stanno dando da un punto di vista politico, prima ancora che militare, nell'area. Questo, militarmente, si traduce in un surge e politicamente altrettanto. È chiaro, infatti, che c'è un investimento politico e diplomatico. C'è un approccio diverso di relazione con i Paesi dell'area e, dunque, c'è un chiaro cambio di strategia americana,


Pag. 12

innanzitutto, ma, in parte, anche della coalizione, rispetto al modo in cui si stanno affrontando le questioni nell'area dell'Afghanistan e dintorni.
Mi lascia sorpresa, quindi, la lettura di continuità che invece il Governo pare stia dando.
Mi chiedo, dunque, quale sia, all'interno di questo cambiamento di strategia internazionale, il contributo e l'approccio del Governo italiano; come il Governo italiano si inserisca, se lo fa, in una riflessione sul cambio di strategia internazionale nell'area.
Capisco che questo argomento non attiene soltanto al suo ministero - chiaramente, tocca anche altre competenze - tuttavia nella definizione della strategia internazionale dell'area, c'è sicuramente anche una parte militare.
Le chiedo, pertanto, maggiori dettagli al riguardo. Non stiamo parlando, infatti, soltanto di ordinaria amministrazione, di quanti militari inviare e dove, ma anche di cosa e come fare, il che rappresenta una parte abbastanza rilevante del senso della nostra missione.
Il secondo punto che volevo toccare riguarda la «cooperazione/confusione» delle due missioni internazionali presenti sul campo. Mi risulta che anche in sede statunitense sia in atto una riflessione sul senso del mantenerle separate; effettivamente, esse lo sono da un punto di vista formale, ma dal punto di vista sostanziale operano di fatto sotto lo stesso comando. Da questo punto di vista, le chiedo, quindi, un aggiornamento: vorrei sapere se il livello formale e il livello sostanziale stanno per coincidere o sono destinati a farlo oppure no e qual è la posizione italiana in merito.
Le chiedo, infine, un ulteriore chiarimento su quanto lei ha da ultimo accennato, al di fuori della sua relazione, circa quello che sta succedendo nella zona sud e nella zona ovest. Le chiedo di essere un po' più preciso, in particolare, rispetto al comando e, quindi, alla nostra posizione. Se non ho capito male, abbiamo richiesto di continuare ad operare sotto il comando italiano, il che probabilmente significa che continueremo ad operare.
Le chiedo, pertanto, se può chiarire questo passaggio, perché l'ho trovato un po' confuso.

GIAN PIERO SCANU. Signor Ministro, le porrò delle domande in maniera estremamente sintetica.
Questa sera lei ha esordito sostenendo - leggo testualmente - «non c'è una strategia mirata contro gli italiani». Naturalmente questo ci tranquillizza. Molto opportunamente, però, dal punto di vista del metodo utilizzato, lei ha reso questa affermazione dopo aver richiamato una serie di circostanze, di fatti e di accadimenti che hanno interessato, com'era giusto che fosse, gli organi di informazione e che hanno preoccupato tutti quanti noi.
Le chiedo, dunque: se non c'è una strategia mirata contro gli italiani, ma permane una situazione di grande tensione, quale tipo di pericolosità lei ritiene possa essere individuata nel contesto che ha descritto? Quanto stiamo rischiando (Commenti)? ... C'è un altro che ha la bacchetta magica, non la chiedo al Ministro. Basta il Presidente.
Passo alla seconda domanda. Lei probabilmente ricorderà - benché io non abbia la pretesa che le considerazioni dei senatori del PD possano restarle impresse nella memoria - che in occasione dell'ultima audizione, mutuando da affermazioni rese dal Capo di Stato maggiore della difesa, abbiamo manifestato la nostra preoccupazione riguardo la possibilità che, in ragione dell'anemizzazione dei fondi dei finanziamenti, potesse esserci una riduzione del grado di addestramento, con conseguente danno operativo per l'invio delle forze nei teatri di guerra. È un pericolo tuttora esistente?

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. L'anticipo: non è mai esistito e mai esisterà!

GIAN PIERO SCANU. Lo ha affermato il Capo di Stato maggiore della difesa (Commenti del Ministro della difesa).


Pag. 13


PRESIDENTE. Lasciamo finire e poi si daranno le risposte.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. A me piace a volte interloquire. Non è offensivo.

PRESIDENTE. È la procedura.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor presidente, ogni tanto ci lasci «violare» la procedura!

GIAN PIERO SCANU. Signor Ministro, probabilmente ricordo male, mi capita spesso anche nel corso dei lavori della Commissione. Ricordo, però, una sua affermazione anche molto allarmata e molto preoccupata a commento dell'impatto determinato dal decreto-legge n. 112 del 2008, prima ancora che entrasse in vigore la legge di conversione n. 133, in cui si parlava di rischio concreto per la realizzazione delle missioni internazionali.
Introduco ora la mia terza domanda. Lei, più di tutti noi, sa che per finanziare il semestre che si sta per concludere sono stati utilizzati più di 600 milioni di euro. In occasione del dibattito che ha accompagnato l'approvazione di quel provvedimento, era stata ipotizzata l'eventualità che la stessa cifra potesse essere utilizzata per il successivo semestre, superando, quindi, abbondantemente il miliardo che è notoriamente a disposizione.
Gentilmente, vorrei chiederle se lei ritenga che possa essere realizzato questo auspicio, che naturalmente comporterebbe una significativa immissione di risorse a beneficio dello standard, e quindi delle condizioni non solo di esercizio, ma anche di sicurezza del personale.

MAURO DEL VECCHIO. Ringrazio il signor Ministro per la sua relazione franca e schietta. Infatti ci ha ricordato che siamo in Afghanistan da otto anni e che le difficoltà purtroppo sono crescenti rispetto al passato. Questo, naturalmente, ci pone degli interrogativi che stiamo cercando di affrontare.
Il Ministro ci ha ricordato che il contributo nazionale verrà incrementato fino a raggiungere, probabilmente, le 3.100-3.200 unità, riportandoci a quel livello che l'Italia aveva già raggiunto in occasione delle elezioni del 2004 e del 2005 e ci ha anche ricordato una serie di assetti molto importanti (gli aerei, i velivoli ad ala fissa e quelli ad ala ruotante). Il tutto riporta ancora una volta il contributo nazionale, che non va, naturalmente, sottostimato, al quinto o sesto posto tra le forze che contribuiscono all'operazione in Afghanistan.
Questo intervento nazionale - vorrei ricordarlo a qualcuno che evidentemente pretende dai soldati la dignità del loro lavoro - è sempre stato improntato alla massima dignità. Dal primo momento, i nostri uomini e le nostre donne hanno rappresentato dei punti di riferimento in tutto il contesto internazionale e le stesse dichiarazioni di grande apprezzamento per l'impegno dei nostri soldati, ricordate dal presidente della Commissione difesa della Camera, stanno a testimoniare che noi abbiamo fatto, sin dal primo momento, tutto quello che dovevamo fare e lo abbiamo fatto al meglio.
Noi abbiamo svolto, sin dal primo momento, anche tutte le attività connesse alla nostra presenza in Afghanistan.
Infatti, la fase di ricostruzione, di cui stiamo sottolineando l'importanza, è sempre stata una delle prime incombenze del nostro contingente nazionale. La fase di sostegno del processo di democratizzazione del Paese e di sostegno dell'economia l'abbiamo sempre supportata.
In questo momento si tratta, così come è stato deciso, di incrementare la componente militare; probabilmente, però - e mi riallaccio a quanto è stato detto -, si tratta anche di fare in modo che non solo l'Italia, ma tutta la comunità internazionale, faccia qualcosa per incrementare anche gli altri settori, ossia quelli strategici e quelli della ricostruzione e del sostegno alla popolazione.
Senza il consenso della popolazione, infatti, non si riesce certamente a vincere questa guerra in Afghanistan.


Pag. 14


A tale riguardo, condivido, signor Ministro, le preoccupazioni da lei espresse in merito alla possibilità che forze non appartenenti all'area di nostra competenza operino all'interno del nostro settore. Ci dobbiamo porre dei dubbi e delle domande: siamo in grado di ottenere il coordinamento dell'azione di queste forze? Se la risposta è affermativa, allora va bene. Se non siamo in grado, invece, dobbiamo fare molta attenzione, perché - come ho cercato di dire in questo mio breve intervento - la dignità e la professionalità degli italiani si evidenzia nell'attività di sicurezza, ma anche nell'approccio a tutti gli altri aspetti.
Nutro, quindi, veramente delle preoccupazioni in merito al fatto che un eventuale intervento nella nostra area di competenza, non coordinato da noi, possa portare nocumento all'immagine del nostro contingente.

ETTORE ROSATO. Grazie, signor Ministro, per la sua relazione. Avrei tre quesiti da porre, sui quali la pregherei di svolgere qualche approfondimento.
Il primo riprende una riflessione fatta dal senatore Scanu e riguarda una lettura che noi abbiamo dato delle parole dette in questa sede sia dal Capo di Stato maggiore sia, in numerose occasioni, anche da lei rispetto alle risorse assegnate al suo dicastero. La riassumo con questa domanda. Le nostre truppe in Afghanistan potrebbero essere meglio equipaggiate o supportate di quanto lo sono adesso, secondo le indicazioni che arrivano dagli stessi responsabili sul posto?
La seconda questione è stata affrontata in maniera approfondita sia dalla deputata Mogherini sia dal senatore Ramponi e riguarda lo scenario internazionale in cui si colloca la crisi afghana. È evidente che lì non siamo di fronte solo a un problema regionale, ma a un problema di più ampia portata in cui ci sono i rapporti con l'Iran, una delle vie tradizionali per l'esportazione o per il traffico dell'oppio, e i rapporti con il Pakistan, che rappresenta un confine decisivo per sconfiggere le truppe insorte talebane e il terrorismo talebano. Su questo lei, probabilmente per ragioni di competenza, ma anche per il tempo a disposizione, non ha fornito un approfondimento che io, invece, ritengo importante rispetto a una soluzione sì militare ma anche politica, soprattutto in questo scenario che riguarda anche l'Unione europea.
Seguendo la logica e la richiesta che più colleghi hanno avanzato di capire qual è il percorso di unificazione delle due missioni, chiedo se su questo c'è stata un'espressione dei ministri europei, anche alla luce della richiesta legittima e assolutamente utile degli Stati Uniti di incrementare le truppe. C'è stata, dunque, una finalizzazione per affermare che l'aumento delle truppe dei nostri contingenti, quali partner europei, è indirizzato anche all'unificazione delle due missioni?
La terza ed ultima questione riguarda il Presidente Obama, che lei amabilmente chiama Barack. Egli ha apprezzato e ha espresso in più occasioni una nuova politica nei confronti della lotta alle coltivazioni di oppio, alla quale lei ha fatto un accenno. Io vorrei sapere quali sono le intenzioni del nostro Paese. C'è una disponibilità a sostenere una politica di acquisizione della produzione di oppio? Su questo a che punto si è arrivati? C'è stato un approfondimento in sede europea?

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro La Russa per la replica.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Spero di essere sintetico, ma nella stessa misura esauriente. Procederò raggruppando le domande. Ringrazio alcuni esponenti della maggioranza che hanno espresso attenzione e considerazioni ed hanno sostanzialmente dato conforto alle tesi e alla linea politica che il Governo, senza contrasti, sta seguendo. Tuttavia, la stessa maggioranza ha posto alcuni temi, uno dei quali è quello della maggiore o minore pericolosità, sul quale mi pareva di essere stato abbastanza esaustivo. Non si può dire che vi sia una maggiore pericolosità dovuta ad un grado accresciuto di


Pag. 15

qualità dell'aggressione. Sicuramente, vi è nell'ultimo periodo - lo abbiamo notato - una quantità di aggressioni, soprattutto di esplosioni, numericamente di molto superiore al passato.
Quindi, statisticamente, vi è un maggior numero di occasioni di pericolo dalle quali, peraltro, fino ad ora siamo usciti bene, perché i mezzi a disposizione dei nostri militari hanno retto sempre adeguatamente all'aggressione. In prospettiva, ho precisato che la spinta forte che sta avvenendo, ovvero la pressione che vi è nel sud nei confronti dell'insorgenza, che lì è più virulenta, potrebbe in ipotesi spostare come via di fuga l'insorgenza stessa verso la nostra zona e conseguentemente vi è l'intenzione del contingente - specificatamente di quello non italiano che opera al sud - di presenziare in maniera massiccia la zona limitrofa.
Ebbene, in questa zona, al momento, ci potrebbe essere la presenza contestuale - nostra e loro - come, peraltro, avviene normalmente in altre zone. Con ciò intendo dire che nella nostra zona lavoriamo insieme agli spagnoli, mentre nella zona di Kabul lavoriamo insieme ad altri; quindi è normale che si lavori in questo modo. Il problema è quello del comando: comando americano, mi pare, o inglese, del sud, e comando italiano, della zona ovest. Su questo stiamo ragionando per evitare che vi siano scompensi ma, complessivamente, sul grado di pericolosità l'intervento massiccio nella nostra zona, che diventa più pericolosa, teoricamente porta ad un minore e non ad un maggiore rischio. Ciò specie se le mie direttive trovassero accoglienza, ovvero se si procedesse ad una sistemazione con un concentramento delle nostre truppe un po' più a nord, perché ce n'è molto bisogno in tutta la zona ovest.
Al di là del problema del comando, quindi, se potessimo scalare un po' al nord le nostre truppe ne ricaveremmo un forte vantaggio. Alla fine, non credo che questo costituisca una maggiore pericolosità. Peraltro, è vero che ci sono approcci leggermente diversi a seconda dei contingenti e questa è una cosa di cui va tenuto conto e che mi sembrava di avere riferito assolutamente in maniera leale. Dunque, complessivamente rimango del parere che vi sia una forte pericolosità, ma non accresciuta rispetto agli ultimissimi periodi, né rispetto a periodi più antichi nei quali, ovviamente, sappiamo qual è stata l'escalation.
Con mia sorpresa, ho sentito molte domande sulle due missioni. Per la verità, questo tema a livello internazionale non ha alcun rilievo e perciò non ce ne siamo occupati. Può darsi che si stia muovendo qualcosa per formalizzare quello che allo stato dei fatto già è, ossia un'unica missione. Il generale McKenzie comanda l'una e l'altra; non ci sono differenze operative, se non marginali. Tuttavia, ripeto, quello dell'unificazione non è un tema centrale. A questo punto, credo che sarebbe opportuno verificarlo nell'ISAF, ma in verità si tratta di un tema che è rimasto del tutto estraneo sia a Cracovia sia a Strasburgo, dove ci siamo incontrati poco tempo fa.
Al momento, la nuova strategia americana è ancora più teorica che pratica. Quando parlo di assoluta continuità mi riferisco all'operatività miliare. Anzi, nell'ambito dell'operatività militare, con la presenza di nuovi militari, 17.000 o 17.500 più gli altri 4.500, vi è un rafforzamento della strategia di contrasto a cui ci si augura possa fare da pendant una nuova strategia politico-diplomatica. Dal punto di vista militare, non vi è alcun significativo mutamento, quantomeno rispetto all'ultima fase della precedente amministrazione, se non - come ho segnalato - un'aumentata attenzione verso la nostra richiesta di accelerare i tempi di ricostruzione, sempre in condizioni di sicurezza: quindi mai in assenza di tali condizioni, ma con una diversa valutazione delle stesse. Dunque, non necessariamente in tutta l'area: se in un'area anche ristretta c'è sicurezza, ebbene lì possiamo cominciare, non c'è bisogno di iniziare contemporaneamente in tutta l'area. Questo è il nuovo atteggiamento che può venire.
Diverso è se vogliamo esaminare - ma non compete specificatamente a noi - gli approcci diversi della politica americana con l'Iran e con il Pakistan. Concordo con


Pag. 16

chi ha detto che per trovare una via di soluzione alla questione afghana si dovrà tener conto anche del problema del Pakistan. Questo è di tutta evidenza, ma non da oggi.
Certamente si tratta di un approccio diverso, persino con la stessa insorgenza - ma ancora non c'è nulla di concreto - che potrà essere materia di valutazione e di discussione. Al momento, al di là di qualche proposito, io non vedo mutamenti sul piano che più interessa questa Commissione, ovvero sul piano operativo militare; anzi, noto che giustamente, a fronte di un'apertura dal punto di vista politico diplomatico ad immaginare la ricostruzione, si prefigura un intervento militare sempre più adeguato a fronteggiare l'insorgenza.
A tal proposito, posso rassicurare ancora una volta che mai è stato messo in discussione il grado di addestramento dei nostri soldati che vanno in missione all'estero. Io mi dimetterei un minuto prima di inviare un solo soldato che non avesse ricevuto l'adeguato addestramento e mi dimetterei un minuto prima se per motivi di danaro, che pure esistono, noi non mandassimo il massimo di equipaggiamento che un soldato possa avere. Certamente, ci possono sempre essere attrezzature avveniristiche. Cosa mi hanno chiesto in più i soldati? Mi hanno chiesto più elicotteri. Sappiamo, tuttavia, che questo è un problema generale e che anche in quel campo si sta facendo il massimo sforzo, ma occorre tener conto che ad ogni elicottero in più corrisponde un tratto di strada con i mezzi terrestri in meno, e ciò comporterebbe un maggiore pericolo. Forse questo è l'unico miglioramento attuale possibile sul piano dell'equipaggiamento anche se l'elicottero non lo possiamo considerare equipaggiamento.
Mi sembra che non ci siano domande alle quali io non abbia dato risposta.
Ringrazio il generale Del Vecchio che insieme al generale Ramponi ha uno specifico passato extra politica e il generale Speciale, anche lui proveniente dalle Forze armate, e successivamente comandante della Guardia di finanza. Mi complimento con il senatore Ramponi - questa è un'affermazione apparentemente fuori luogo, ma voglio farla lo stesso - per l'incarico di responsabile della consulta difesa in seno al PdL.
Credo che anche i vostri interventi di oggi abbiano, in qualche modo, dato contezza che su questo terreno non ci sono differenze sostanziali. Io ho ravvisato in tutti i vostri interventi il sincero desiderio che la nostra azione non sia fine a se stessa, ma sia tesa al raggiungimento - in là nel tempo, però verso quella direzione - di una fase di libertà e di democrazia in Afghanistan, con il massimo possibile di sicurezza per i nostri soldati.
In tutti i vostri interventi ho ascoltato considerazioni positive per quanto fanno i nostri militari e di ciò, in questa occasione, voglio ancora ringraziarvi.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro La Russa e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.

Consulta resoconti delle audizioni
Consulta gli elenchi delle audizioni