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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V-XIV Camera e 14a Senato)
1.
Giovedì 1° luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

Audizione del Commissario europeo per le politiche di coesione, Johannes Hahn, sulla riforma e le prospettive delle politiche di coesione in ambito comunitario (ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 5 15 16
Bonino Emma (PD) ... 7
Bubbico Filippo (PD) ... 5
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 10
Duilio Lino (PD) ... 10
Fallica Giuseppe (PdL) ... 6
Formichella Nicola (PdL) ... 14
Garagnani Fabio (PdL) ... 15
Gozi Sandro (PD) ... 7
Hahn Johannes, Commissario europeo per le politiche di coesione ... 2 6 8 12 15
Vannucci Massimo (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) - XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
14A (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 1° luglio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Commissario europeo per le politiche di coesione, Johannes Hahn, sulla riforma e le prospettive delle politiche di coesione in ambito comunitario.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Commissario europeo per le politiche di coesione, Johannes Hahn, sulla riforma e le prospettive delle politiche di coesione in ambito comunitario.
Accompagnano il Commissario Hahn, Nicola De Michelis, vicecapo di gabinetto, Michele Pasca Raymondo, vicedirettore generale della Direzione generale per la politica regionale, Raoul Prado, direttore presso la Direzione generale per la politica regionale, Elena Montani, funzionario della Rappresentanza in Italia della Commissione europea e Michele D'Ercole, funzionario della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea.
La traduzione sarà assicurata in tempo reale, in quanto il nostro ospite parlerà nella propria lingua, vale a dire il tedesco.
Nel ringraziarlo nuovamente per aver accettato il nostro invito e per essere con noi per questa importantissima audizione, do la parola al Commissario Hahn.

JOHANNES HAHN, Commissario europeo per le politiche di coesione. Ringrazio il presidente. Chiedo venia se non sono in grado di parlare nella vostra bella lingua e ringrazio per l'invito rivoltomi.
Ritengo che sia molto importante, soprattutto in relazione alle nuove possibilità offerte dal Trattato di Lisbona, relative alla sussidiarietà e ad altri concetti chiave, che comporteranno ora una presenza molto più forte da parte dei Parlamenti nazionali nel processo decisionale. Sono molto grato, quindi, per l'invito rivoltomi.
Ritengo che le politiche regionali, per quanto riguarda il budget, rappresentino uno dei settori principali dell'Unione europea. Il nostro budget è pari a circa 347 miliardi di euro per il periodo in corso, 2007-2013, ed è composto da tre fondi, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il Fondo sociale europeo.
L'Italia è uno dei principali beneficiari, precisamente il terzo, in questa classifica - chiamiamola così - con quasi 30 miliardi di euro, a cui si aggiungono alcuni strumenti di cofinanziamento, nonché ulteriori fondi nazionali. Possiamo indicare la cifra complessiva intorno ai 60 miliardi di euro.
Qual è il focus degli investimenti? Vorrei sottolineare la mia visione della politica regionale, volta all'investimento e non alla beneficenza, alla charity. Si tratta di


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investire nelle regioni, a prescindere dal fatto che si tratti di regioni più o meno benestanti.
La politica europea regionale del momento, oggi come domani - il Governo italiano ha già confermato questa visione - dovrà abbracciare tutte le regioni anche in futuro.
Attualmente il focus è posto sulla ricerca e lo sviluppo, sulle infrastrutture, nonché sull'istruzione (training) e l'aggiornamento delle persone.
All'interno dell'Unione europea l'Italia svolge una funzione importante, perché è riuscita a coordinare i finanziamenti europei e nazionali in un quadro comune, mettendo insieme risorse tematiche e di carattere geografico.
Se guardiamo al sud d'Italia quale regione di convergenza, vediamo che essa ottiene circa il 75 per cento di tutti i fondi quale destinatario principale, mentre le altre regioni ottengono, ovviamente, la quota restante. Analizzando la ripartizione tematica, notiamo che la quota maggiore - il 34 per cento - è assegnata al settore ricerca, sviluppo e innovazione, dove per innovazione si intende anche il supporto e il sostegno alle piccole e medie imprese.
Una quota importante, il 7 per cento, è destinata all'energia, la percentuale più alta all'interno di tutti gli Stati dell'Unione europea.
Per quanto riguarda il futuro, in conformità con gli obiettivi della Strategia Europa 2020, l'intero settore dell'efficienza energetica, dello spreco energetico, inclusi i contributi per la lotta ai cambiamenti climatici avranno un'importanza sempre crescente e, pertanto, anche una dotazione finanziaria crescente. I tre quarti dei fondi sono destinati agli obiettivi di Lisbona.
Attualmente, l'attribuzione ai progetti è pari al 38 per cento e il tasso di assorbimento è superiore, quindi, alla media europea. Questi sono i dati principali. Ci sono, comunque, alcune difficoltà nell'attuazione. Siamo arrivati a metà del periodo di programmazione e sia per l'Italia, sia per altri Paesi vale il fatto che la realizzazione dei progetti andrà accelerata. Tutti i responsabili delle politiche regionali, a livello regionale e nazionale, ma anche europeo, dovranno avere un grande interesse ad aumentare il tasso di assorbimento.
Per quanto riguarda le trattative che partiranno per il nuovo periodo finanziario 2014-2020 o 2021, ciò è di particolare importanza, perché si può lottare per avere un budget soltanto dimostrando che i fondi sono necessari e che verranno destinati a progetti utili. Il messaggio che volevo portare alla politica italiana ha già sicuramente raggiunto i suoi destinatari.
Ci sono stati e sono tuttora in corso colloqui sulla necessità che vi sia anche un'integrazione con finanziamenti nazionali. È chiaro, sulla base del Patto di stabilità e crescita, che saranno necessari diversi spostamenti di fondi. Bisognerà porre nuovi accenti; d'altra parte, non a caso, si chiama Patto di stabilità e crescita.
Anche all'interno della Commissione sono in corso discussioni; il dibattito è molto vivo, ma dobbiamo far sì che l'aspetto della crescita in tutta Europa, nonché in uno dei suoi Paesi membri più importanti, ossia l'Italia, venga garantito.
Si tratta di un settore in cui le politiche regionali possono fornire un contributo molto importante alla crescita di un Paese, il che è essenziale per l'intera Europa.
A mio avviso, sarà necessario, al riguardo, in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, riconoscere questa prospettiva e contribuire alla sua attuazione. A causa della crisi economica, alcune misure sono state di breve respiro, ma sottolineo la necessità che vi siano interventi favorevoli a uno sviluppo a medio e lungo termine. Ma ovviamente anche le politiche strutturali, nel corso di una crisi come quella che viviamo al momento e che mai ha assunto forme simili dalla fine della Seconda guerra mondiale, devono poter reagire; noi abbiamo fatto tutto il possibile, anticipando le allocazioni o fornendo ad alcuni Paesi, non all'Italia, denaro extra.
Se pensiamo alla politica di sviluppo strutturale, vediamo che si tratta di una politica con prospettive a medio e lungo termine. Evidentemente, è necessario anche realizzare progetti infrastrutturali,


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perché infrastrutture funzionanti sono la base per il buon funzionamento dei settori dell'economia.
Per quanto riguarda l'Italia, ritengo che sia necessario semplificare i processi decisionali, accelerandoli. È un aspetto che cogliamo nel confronto con altri Paesi.
Un altro punto importante riguarda le attività di amministrazione, per le quali ci sembra auspicabile avere una maggiore continuità a livello personale. Quando riceviamo richieste di progetti all'UE, parliamo di iniziative piuttosto complesse, le quali richiedono determinate competenze, che vanno garantite nel medio termine.
Vorrei spendere una parola in merito al futuro delle politiche regionali e allo stato dell'arte del dibattito a livello europeo. Sarei veramente lieto di poter rispondere a contributi da parte vostra in proposito.
Abbiamo l'obbligo legislativo di presentare, a scadenze regolari, la cosiddetta relazione sulla coesione. La quinta verrà presentata a novembre 2010 e comprenderà, come tutti i documenti del genere, anche le conclusioni, che sono molto importanti perché forniranno la base per la discussione del futuro delle politiche regionali dopo il 2014.
Quali sono i sei punti centrali? Innanzitutto, le politiche regionali dovranno abbracciare tutte le regioni; in secondo luogo, sarà necessaria una concentrazione sulla Strategia Europa 2020, con un focus sul concetto di flessibilità e su alcuni punti principali, come il settore energetico, quello dell'istruzione e delle competenze, quello della dimensione sociale, nonché quello della creazione sostenibile di posti di lavoro.
Dall'altra parte, all'insegna di queste priorità, si tratta anche di raggiungere un'attuazione flessibile all'interno delle regioni. Parliamo di 271 regioni in tutta Europa, che rappresentano una grande varietà e richiedono, in base alle posizioni geografiche e topografiche, l'attuazione di misure basate su aspetti e caratteristiche economiche all'interno dei programmi operativi.
Dobbiamo realizzare, inoltre, in base a quanto appena ribadito, una politica centrata e mirata sul risultato. Sinora, a buon diritto, ci siamo concentrati fortemente sulla correttezza finanziaria dei progetti. Si tratta di portare avanti la gestione condivisa dei compiti anche nel settore dell'auditing strutturato.
Ovviamente, si può sempre migliorare. Non bisogna abbassare la guardia. Il prossimo passo sarà quello di realizzare con ancor maggiore impegno la rilevanza dei risultati, stabilendo all'inizio di un determinato periodo priorità che siano valide per tutte le regioni, coinvolgendo, a livello della Commissione, tutte le direzioni generali competenti, non solo la Direzione regionale della politica regionale della Commissione europea (DG REGIO), ma anche ambiente, cambiamento climatico, ricerca, trasporti, imprese. Tutti questi settori, inclusa l'istruzione, andranno, dunque, coinvolti.
Si tratta anche di analizzare la situazione dalla quale si parte nei singoli settori e i risultati che si intendono raggiungere dopo sette anni. Le autorità competenti, a livello locale e regionale, quindi, avranno il compito di valutare - laddove non si tratti di grandi progetti - se ogni singolo progetto è in grado di rispondere esattamente agli obiettivi prefissati. Vedremo come procederemo su questo cammino. Si tratta di introdurre una più forte condizionalità.
Come ho appena accennato, un altro punto importante è una cooperazione più intensa con altri settori politici, come la politica regionale. Per come la intendo io, a mio avviso, essa non deve solo essere una politica di investimenti, ma deve seguire un approccio integrato, non per settori, riflettendo tutti i settori politici per dare la possibilità alle regioni anche di investire proprio in quelli dove da un lato si registrano i deficit più consistenti, che richiedono maggiori investimenti, e dall'altro si registra una rispondenza con gli obiettivi fissati dall'Unione europea.
Si tratta di un processo approvato dal Consiglio. Non è semplicemente una decisione


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della Commissione, ma è un tema che è stato discusso secondo l'approccio bottom-up ed è stato approvato.
Dobbiamo anche lavorare su un sistema semplificato per i beneficiari finali. L'obiettivo non deve essere quello di attingere ai progetti europei soltanto se si è giuristi di grande esperienza; i progetti dovrebbero essere accessibili anche alle persone che non hanno una tale formazione.
Credo anche che una gran parte della semplificazione consista nel fatto di non cambiare in continuazione le regole. Abbiamo notato tale aspetto in questo periodo: anche se in parte, ovviamente, è stato necessario, ha causato un grande ritardo nell'implementazione, dovuto al fatto che ci si deve abituare e si deve familiarizzare con le nuove regole prima di metterle in pratica.
Un altro argomento discusso in pubblico è la quota degli errori che si registrano. Sottolineo che si tratta veramente di errori: bisogna differenziare tra frode ed errori, perché ogni tanto si mischiano questi concetti.
In realtà, la quota delle frodi è molto bassa, pari quasi allo zero e comunque inferiore all'1 per cento. Siamo molto determinati anche per quanto riguarda l'attività dell'Ufficio Europeo per la lotta Anti-Frode (OLAF). In questo caso, però, si parla del tasso di errori. Il 60-70 per cento di questi casi sono dovuti a interpretazioni e applicazioni diverse nell'ambito del settore degli appalti pubblici.
Questo è un argomento interessante per tutti i Paesi membri, ragion per cui abbiamo istituito un gruppo di lavoro, insieme al mio collega Michel Barnier, per verificare in che misura sia possibile semplificare ancora di più, mantenendo gli stessi obiettivi.
Un altro punto, al quale ho già accennato, è il seguente: dobbiamo ora verificare se siamo veramente in grado di utilizzare i mezzi disponibili in maniera ottimale. Soltanto così possiamo aiutarci a vicenda.
So che all'interno del Parlamento europeo c'è un grande sostegno a favore della politica regionale europea e spero che vi sia anche all'interno del Parlamento italiano, in ambedue le Camere.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. La mia idea è di procedere per blocchi di due questioni per volta, in modo che ci sia poi la possibilità di approfondire ogni singolo intervento.

FILIPPO BUBBICO. Signor presidente, il tasso di assorbimento dei Fondi strutturali europei in Italia risulta piuttosto basso. A questo proposito, mi piacerebbe conoscere il parere del Commissario circa la ventilata ipotesi di rimodulazione dei fondi, nel caso in cui la stessa dovesse assumere una valenza strutturale. In altre parole, vorrei sapere se ritiene che un processo così strutturale e profondo possa risultare compatibile con la regola «n 2» e se tale regola possa, eventualmente, subire una modificazione nel senso dell'«n 3».
Ovviamente, le procedure che le regioni dovrebbero elaborare a seguito di una eventuale rimodulazione dei fondi dovrebbero, in ogni caso, riguardare la rivisitazione del Quadro strategico nazionale, che è stato definito anche in relazione alle risorse straordinarie nazionali, che purtroppo, nel corso di questi ultimi due anni, non sono state stanziate. Il Quadro strategico nazionale è privo, cioè, della componente costituita dalle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.
A questo riguardo e anche in relazione alle sue valutazioni sull'attenzione agli obiettivi di natura territoriale, nonché alla necessità di misurare gli obiettivi settoriali in una dimensione territoriale, anche per favorirne la coesione, vorrei sapere se non ritiene che sia necessario introdurre una sistema di condizionalità più cogente per evitare l'effetto sostituzione nelle politiche poste in essere e rafforzare, in questo modo, la condizionalità stessa.
Rispetto al tema dell'efficacia della spesa, chiedo se non ritiene che debba essere misurata l'efficacia delle politiche e,


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a questo riguardo, se l'esperienza maturata in Italia con gli obiettivi di servizio, per i quali sono state previste forme di premialità, non richieda un sistema di monitoraggio più completo ed evoluto e se, a questo fine, non debba essere misurata la coerenza delle politiche agli obiettivi della Strategia Europa 2020.
In buona sostanza, vorrei sapere se non ritiene che debbano essere introdotte nuove e più efficaci regole di condizionalità per garantire le convergenze strategiche.
Passo all'ultimo punto. Normalmente, nel Mezzogiorno d'Italia in modo particolare, ma non solo, le città sono i luoghi nei quali si manifestano i disagi sociali e il degrado nella vita civile. Vorrei sapere se non si ritiene che le città possano rappresentare luoghi privilegiati per misurare gli obiettivi di crescita inclusiva, sostenibile e intelligente, come declinati tra gli obiettivi della Strategia Europa 2020.

GIUSEPPE FALLICA. Mi fa piacere che il commissario abbia già parlato di semplificazione delle regole. Era un tema in merito al quale volevo porgli una domanda, ma è stato già sufficientemente chiaro. Non crede che sia necessaria e più utile anche una politica diretta ai risultati, e quindi orientata alla maggiore efficacia nell'utilizzo delle risorse?
Essendo io un uomo del profondo Sud, volevo ricordare a tutti noi che, con l'ingresso nell'Unione europea dei nuovi Stati, l'Italia ha subito una contrazione di 9 miliardi di euro a seguito della nuova allocazione delle risorse dei Fondi europei per le regioni più svantaggiate. Per essere sintetico e lasciare spazio anche agli altri colleghi, chiedo se la Commissione europea intenda adottare correttivi ed eventualmente nuovi programmi per fornire una risposta a tali regioni, anche in attuazione della Strategia Europa 2020?

JOHANNES HAHN, Commissario europeo per le politiche di coesione. Per quanto riguarda la prima domanda, abbiamo appena aumentato a «n 3», ma è stato un caso unico, una tantum. Non credo che dovrebbe essere uno stato continuativo, una soluzione definitiva, in quanto comporta soltanto un ritardo nella realizzazione dei progetti. Un minimo di pressione non guasta per realizzarli. Penso, quindi, che in futuro dovremmo forse continuare con la regola dell'«n 2».
Per quanto riguarda la condizionalità, è un tema molto discusso anche in vista del Patto di stabilità e crescita. Come ho affermato diverse volte anche in pubblico, i fondi strutturali, soprattutto all'inizio del nuovo periodo, rappresentano anche una grande occasione in vista di una condizionalità positiva all'interno dei Paesi membri per avviare riforme la cui realizzazione darebbe un contributo a una migliore spesa di tali fondi.
Lo dico in maniera generale, anche se riguarda Paesi specifici: ogni tanto riscontriamo problemi nella realizzazione dei progetti ambientali, in quanto le leggi europee non sono (ancora) recepite nell'ordinamento nazionale. Il finanziamento con i fondi europei si può realizzare solo quando si rispettano le regole europee.
In questo senso, credo che nasceranno tante nuove opportunità. Siamo soltanto all'inizio di questo processo, ma stiamo pensando anche a una riserva di performance che ci darebbe la possibilità di intervenire nuovamente a metà percorso, concependo e attuando riforme più mirate.
La Strategia Europa 2020, come ho già ricordato, è stata decisa pochi giorni fa. I Governi nazionali sono tenuti ad adattarsi ad essa entro la fine dell'anno. È questo il salto di qualità rispetto alla Strategia di Lisbona. Questa volta è necessario concentrarsi di più sugli obiettivi nazionali e, nel caso dell'Italia, anche su quelli regionali, per garantire che si arrivi a soluzioni realizzabili, ma allo stesso tempo ambiziose e non artificiali. Più la soluzione è precisa e concreta, più realistico diventa l'obiettivo europeo in generale.
Secondo Eurostat, più del 70 per cento degli europei vivono in centri con più di 5 mila abitanti e il 30 per cento di tale cifra in città con più di 250 mila abitanti. Nelle città tutto è molto più concentrato e,


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quindi, anche le tensioni sociali sono più alte rispetto alle zone di campagna. Questo è ovvio.
Secondo alcuni studi globali, le città causano l'80 per cento dello spreco energetico rispetto al quadro globale. Se in Europa vogliamo dare un contributo anche al miglioramento energetico, a una maggiore efficienza energetica, dobbiamo iniziare proprio dalle città, dal trasporto pubblico all'interno delle città, dalla lotta contro la povertà, che è un grande problema. Ci sono alcune riflessioni molto intense e interessanti, che ho ribadito anche all'interno del Parlamento europeo per dare maggiore importanza alle città anche sul piano della dimensione finanziaria.
Per quanto riguarda le risorse - rispondo a una domanda postami - si tratta di un obiettivo della Strategia Europa 2020 nella prassi regionale relativa ai programmi operativi.

SANDRO GOZI. Vorrei porre tre domande specifiche al Commissario Hahn.
Il 30 giugno scorso, la Commissione europea ha adottato una nuova comunicazione sulla governance economica, collegando la politica di coesione a un meccanismo di sanzioni e premi.
Lei ricordava, giustamente, che la strategia europea è basata su stabilità e crescita. Non crede che già oggi, in prospettiva, la politica di coesione e la sua programmazione dovrebbero essere collegate molto di più al tema del coordinamento delle politiche economiche e diventare un braccio operativo al servizio della crescita per quanto riguarda la nuova governance economica?
In secondo luogo, si registra ancora, a livello di bilancio comunitario, un utilizzo degli stanziamenti pari all'1,03 per cento del prodotto nazionale lordo (PNL) comunitario. Sappiamo che il tetto massimo di utilizzo consentito è più alto, ed è pari all'1,27 per cento del prodotto nazionale lordo comunitario, e anche che tale tetto è lo stesso che si usava quando l'Unione europea era composta da 15 Paesi, mentre oggi essa è composta da 27 Paesi e, in prospettiva, da 28 o da 29 Paesi, se l'Islanda si adeguerà alle disposizioni in materia di caccia alle balene, anche se non credo che sarà una beneficiaria della politica di coesione, o almeno non una delle principali.
Che cosa sta pensando di fare la Commissione per quanto riguarda sia la revisione di medio termine del bilancio, sia le nuove prospettive finanziare? Proporrete di innalzare almeno i tetti massimi degli stanziamenti oppure ritenete che questa sia una battaglia persa, che non vale la pena neppure di essere combattuta?
In terzo luogo, lei ricordava una cifra, a sua volta inevitabilmente in crescita con l'allargamento, di 271 regioni, con un problema di risorse europee e nazionali e di crescita.
Faceva riferimento anche alle modifiche di recente apportate al regolamento di base relativo ai fondi strutturali, proprio per rispondere alla crisi. Non ritiene che rispetto alla nuova realtà economica e alla crisi europea sia più opportuno, in alcuni Stati soprattutto, ragionare in termini di macroregioni economiche e sociali, vale a dire concepire una programmazione unitaria dal punto di vista nazionale ed europeo attorno a realtà economiche e sociali simili, al di là della distinzione tra le singole regioni dal punto di vista amministrativo? Lo rilevo perché mi sembrerebbe che, con riferimento allo sviluppo economico e sociale, potrebbe avere senso superare sin dall'inizio, in termini di programmazione, una concezione esclusivamente amministrativa legata alle singoli regioni, e ragionare in Europa, soprattutto in alcuni Paesi, in termini di macroaree.

EMMA BONINO. Signor Commissario, espongo una questione relativa alla situazione attuale. Se l'Italia contribuisce alle politiche regionali in ambito europeo per una cifra di 64 miliardi di euro e il tasso medio di assorbimento registrato per il nostro Paese è del 38 per cento, qual è la differenza tra il tasso massimo e quello minimo di assorbimento tra le diverse regioni? Qual è la differenza tra la regione più virtuosa e quelle meno virtuose? Questi


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dati sono utili per capire come si determini un tasso medio di assorbimento del 38 per cento per l'Italia. Se adesso non ha i dati, potrebbe farceli avere?
Sulle prospettive di bilancio è già stata formulata una domanda e anch'io sono interessata ad avere la sua valutazione.
L'ultima questione riguarda il periodo 2014-2020. Lei ha giustamente ricordato che l'entità delle risorse che verranno stanziate per tale periodo sarà valutata, evidentemente, nella prospettiva complessiva di bilancio, ma volevo sapere se aveva già un'opinione in proposito.
Infine, lei ha affermato che tali risorse saranno destinate a tutte le regioni. Le volevo solo chiedere con quali criteri. Per tutte le regioni va bene, ma con quali criteri: con quelli attuali o è in corso una discussione sui criteri da adottare con riferimento all'allocazione delle risorse tra le diverse regioni?

JOHANNES HAHN, Commissario europeo per le politiche di coesione. Rispondo innanzitutto all'onorevole Gozi. Quella che abbiamo deliberato ieri, in osservazione del Patto di stabilità e crescita, è una proposta della Commissione per il Consiglio. Il tema, in effetti, è il seguente: come può la Commissione europea garantire l'osservazione del Patto di stabilità e crescita? È un processo che ovviamente richiede il consenso dei capi di Governo e di Stato dei diversi Paesi. Vedremo in che modo terranno conto delle nostre proposte, visto che si tratterà di attuare un grande cambiamento anche solo se si pensa al tema del semestre europeo.
Già ad aprile i vari Ministri nazionali delle finanze dovranno fornire una previsione di bilancio, sottoponendola a Bruxelles. Pur nel pieno rispetto della sovranità, dobbiamo però poter vedere, a livello comunitario, in che modo tali previsioni si raccordano con gli obiettivi europei. Infatti, spesso si sollevano critiche giustificate sul fatto che questo o quel Paese dovrebbe essere aiutato, e tutti tendono in un secondo momento a sostenere di aver notato che le cose non andavano nel migliore dei modi. Perché non hanno agito prima? Staremo a vedere quali proposte saranno realizzabili.
Per quanto riguarda la politica di coesione, possiamo agire sulla base delle regole esistenti, ma bisogna specificare che esclusivamente i Paesi che ricevono i fondi di coesione, vale a dire 15, potrebbero essere presi in considerazione qualora per l'anno prossimo si decida la sospensione di alcuni stanziamenti.
Quindi per il futuro, qualora si renda necessaria - in relazione a ciò - una modifica della normativa vigente, occorre ricordare che a livello europeo, considerando anche il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali, l'intero iter di modifica di una legge dura all'incirca diciotto mesi, pertanto potrebbe essere più utile trattare questo punto nel periodo di programmazione successivo. A questo proposito, mi riallaccio alla mia idea, già delineata, della condizionalità positiva.
Per quanto riguarda il budget, abbiamo un massimale pari all'1,24 per cento del PNL europeo e, guardando all'andamento degli ultimi anni e alle previsioni per il futuro, l'utilizzo è compreso tra l'1 e l'1,1 per cento. Questa è, quindi, la situazione attuale del bilancio europeo. Credo che nessuno vorrà seriamente mettere in discussione il massimale dell'1,24 per cento.
Ci sarà poi un dibattito con i capi di Stato e di Governo sulla configurazione che il bilancio europeo dovrà avere in futuro, perché dobbiamo partire dal presupposto che il prodotto europeo nazionale scenderà a causa della crisi e, pertanto, la differenza tra il valore attuale e il massimale previsto per la copertura si restringerà. Questo ovviamente può causare problemi all'esterno. Ritengo, però, che l'obiettivo debba essere quello di garantire il budget esistente in cifre assolute, non soltanto nel settore delle politiche regionali, ma anche in quello dell'agricoltura e della pesca per poter continuare a definire le azioni necessarie di volta in volta.
A proposito delle macroregioni, attualmente ci sono diverse configurazioni della cooperazione transnazionale. Nel budget attuale è prevista una somma di circa 8


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miliardi di euro, un 2,5 per cento del budget complessivo. Da parte mia vi è disponibilità ad aumentare tale quota, ma bisogna anche tenere conto dei dibattiti attualmente in corso, per esempio sulla Strategia Danubio o su quella per il Mar Baltico.
Il reale valore aggiunto di queste strategie macroregionali e delle relative cooperazioni sta nel fatto che diverse problematiche che posso essere ragionevolmente risolte solo con la cooperazione di diverse regioni, vengono così risolte contemporaneamente. Per esempio, si sta discutendo della navigabilità del Danubio. In diversi punti ci sono zone con un livello dell'acqua molto basso, che non permette la navigabilità per tutto l'anno. Ovviamente, non ha molto senso se un Paese ovvia a questo problema, mentre gli altri non intraprendono azioni: in questo caso non si avrebbe un miglioramento del 25 per cento, avremmo un miglioramento dello 0 per cento. Bisogna agire congiuntamente.
Prendiamo anche la Strategia per il Mar Baltico, che è nata per combattere il suo inquinamento. Anche in questo caso, a cosa serve che quattro degli Stati che si affacciano sul Baltico avviino azioni efficaci di depurazione dell'acqua, se tutti gli altri non fanno nulla? In questo caso l'acqua continuerebbe ad essere sporca.
In questa euforia della cooperazione territoriale, occorre operare una distinzione tra ciò che possiamo raggiungere a livello regionale anche in relazione alla sussidiarietà e ciò che possiamo, invece, realizzare soltanto grazie alla cooperazione tra diverse regioni, sia a livello transnazionale che all'interno di uno stesso Stato membro.
Si tratta di riconoscere chiaramente il valore della collaborazione territoriale e di un suo ulteriore sviluppo, ma anche di ricordare che occorre concentrarsi su quei problemi che, nel quadro della cooperazione territoriale, non si possono risolvere da soli. Come ha rilevato una signora che è stata tra i miei predecessori, attualmente parliamo di un margine compreso tra il 10 e il 40 per cento. Per il periodo successivo al 2014, so che si discute molto sull'opportunità o meno di utilizzare indicatori diversi dal PNL. La mia risposta è no. So che esistono alcuni gruppi di lavoro nella Commissione e all'OCSE, ma nessuno finora è stato in grado di indicare come si può misurare oggettivamente la qualità della vita. Finché non sarà possibile effettuare ciò che ritengo invece auspicabile, dovremo attenerci al solito indicatore.
Per quanto riguarda, invece, l'attuazione operativa di questo o di quel progetto, sarà importante considerare, per esempio, la percentuale di energie rinnovabili presenti all'interno di una regione, e una volta avute le cifre esatte, quando avremo la cifra esatta, potremo dire che occorrerà aspettare ancora sette anni prima che le cose possano procedere. E nella valutazione del livello di idoneità delle regioni, il PIL con ogni probabilità sarà il dato decisivo anche per il futuro.
Anche in futuro continueranno ad esistere queste due categorie. Personalmente ritengo che sarebbe meglio non denominare una categoria «competitività» delle regioni e l'altra «convergenza»; si tratta in fondo, in tutti i casi, di competitività. La nostra attenzione si concentra per ora sulle regioni che attraversano una fase di transizione; una regione ammessa all'Obiettivo Convergenza ha un PIL inferiore al 75 per cento; se supera tale valore, ottiene fondi più alti rispetto a una regione ammessa all'Obiettivo Competitività, ma più bassi di quelli previsti per regioni che hanno PIL inferiori al 75 per cento. Ci sono poi altre regioni, che hanno un PIL compreso tra il 75 e il 90 per cento, ma che non sono mai scese sotto il 75 per cento. Queste regioni seguono un trattamento diverso.
Il nostro obiettivo sarebbe quello di riservare alle regioni sempre il medesimo trattamento, o quasi, e comunque garantendo che sia un trattamento equo. Le categorie di regioni di cui parlavo interessano circa 30 milioni di abitanti ciascuna, per un totale quindi di 60 milioni di persone complessivamente, pari al 12 per cento della popolazione europea totale. Si tratta, quindi, di un dato molto importante, che bisogna considerare.


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SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ringrazio il presidente e il commissario per le brillanti delucidazioni che ci ha fornito.
Mi soffermerei proprio sull'ultima parte della sua ultima risposta, vale a dire se lo scopo della coesione sia ridurre le distanze tra i diversi Paesi e all'interno degli stessi. Mi chiedo se questo sia ancora lo scopo fondamentale, perché la parola «coesione» implica proprio che le distanze che si sono determinate, all'interno sia dell'Europa, sia dei singoli Stati, vengano colmate.
I criteri possono essere tanti. Lei ha affermato che il PIL resterà uno dei criteri fondamentali. Penso che uno dei criteri fondamentali dovrebbe essere il tasso di occupazione, che è stato indicato dalla Strategia di Lisbona al 70 per cento all'interno degli stessi Stati.
Mi riferisco all'Italia, ma lo stesso discorso vale anche per altri Paesi: ci sono molte regioni che, per fortuna, registrano un tasso di occupazione superiore al 70 per cento e ce ne sono, ahimè, molte altre nelle quali, invece, tale tasso risulta pari al 40-45 per cento, con una distanza enorme rispetto a un obiettivo strategico quale quello posto dalla Strategia di Lisbona. Non crede che questo possa diventare un terreno di riflessione vero per trovare uno strumento di coesione? Personalmente, penso proprio di sì, ma lo indico alla sua riflessione e a quella complessiva che verrà svolta.
La seconda questione, più immediata, riguarda invece l'attuale situazione. Poiché ci sono ritardi nell'utilizzo delle risorse - l'ha ribadito lei in maniera molto chiara - penso che la Commissione dovrebbe avere alcuni poteri sostitutivi, vale a dire che dovrebbe candidarsi, rispetto anche ai Governi nazionali, a poter intervenire per superare tali ritardi. La Commissione dovrebbe avere un potere sostitutivo consistente per fare in modo che le regioni che eventualmente non riescano a spendere velocemente non perdano le risorse, e mediante l'intervento di uno strumento esterno, rappresentato appunto dal potere sostitutivo della Commissione, venga raggiunto quel risultato. Vorrei sentire il suo pensiero al riguardo.

LINO DUILIO. Ringrazio anch'io il Commissario per quest'audizione. Vorrei anch'io porre alcune domande, all'interno di una prima sottolineatura, che già è stata compiuta, dell'esigenza, che credo lei condividerà, di un coordinamento tra le linee, che si dovranno definire, di riforma della politica di coesione del bilancio dell'Unione europea, tenendo anche conto dell'attuazione della Strategia Europa 2020 e del nuovo modello di governance che veniva prima richiamato.
In questo ambito, la prima domanda che vorrei rivolgerle si ricollega a quella formulata dall'onorevole D'Antoni, ma con una sottolineatura un po' diversa. Credo, infatti, che la politica di coesione sia nata con l'obiettivo di accorciare le distanze, come è stato affermato, assumendo però come indice di riferimento una condizione di benessere diseguale nell'ambito dei Paesi dell'Unione, in relazione alla quale occorre cercare di superare le differenze.
Ci troviamo ora in una situazione drammatica per quanto attiene allo stato di salute dell'Unione europea, che evidentemente compete in uno scenario globale. Non bisogna perdere di vista l'obiettivo richiamato di accorciare le distanze e probabilmente la politica di coesione è chiamata a svolgere un ruolo di questo tipo, ma su obiettivi più avanzati, concorrendo sostanzialmente anche al conseguimento dell'obiettivo della maggiore crescita, che tutti evocano.
Tuttavia, non si capisce bene come possa essere ottenuto tale risultato, dal momento che il bilancio comunitario è un po' risibile - se vogliamo chiamare le cose con il loro nome - e le risorse proprie dell'Unione sono assolutamente inadeguate per intervenire sul presupposto per accorciare le distanze, vale a dire l'aumento degli indici di occupazione, posto che tale aumento, evidentemente, è conseguenza anche di un aumento della crescita. È come un cane che si morde la coda.


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Introduco la prima domanda. Dobbiamo compiere un salto culturale per far sì che le politiche di coesione siano chiamate a dare un contributo all'avanzamento della condizione economica dell'Unione europea e non solo a perseguire l'antico obiettivo di un accorciamento delle distanze: è un obiettivo realistico o velleitario?
Introduco la seconda domanda. C'è molta retorica sulle politiche di coesione. Lei ha affermato in modo chiaro che a metà percorso, rispetto al programma 2007-2013, la realizzazione dei progetti - ha usato una formula elegante - dovrà essere «accelerata» e poi ha aggiunto che, poiché non stiamo parlando di beneficenza, ma di investimenti, per il periodo 2014-2020 bisognerà concentrarsi su progetti utili.
Condivido totalmente le sue considerazioni, ma siamo in grado di effettuare una valutazione puntuale di quello che è accaduto, correggendo le distorsioni e gli errori? Nella vita, come anche nella storia dei popoli, alla luce delle esperienze fatte, occorre compiere un bilancio di quanto accaduto, correggere ciò che è stato fatto - se è necessario - ed evitare di commettere gli stessi errori.
Siamo in grado di compiere un bilancio sul raggiungimento degli obiettivi di quantità e di qualità, sull'approccio integrato di cui lei parlava e che va perseguito, tenendo anche conto di quello che accade a livello nazionale? Non so se potrà concretizzarsi quanto proponeva l'onorevole D'Antoni, e ci sarà un potere sostitutivo da parte dell'Europa, ma mi limito a constatare che da una parte c'è poca Europa e, dall'altra - ne parlavamo anche in altra sede nei scorsi giorni - si invoca più Europa. Si vuole che intervenga addirittura direttamente.
Quantomeno rispetto al comportamento degli Stati nazionali, credo che l'Europa potrebbe fare di più. Nel nostro Paese abbiamo registrato, per esempio, una distrazione di risorse destinate alle aree sottoutilizzate, che erano state previste quindi per una determinata finalità e poi, considerata la situazione di crisi nel nostro Paese, sono state utilizzate, transitoriamente, o meglio, definitivamente per altri fini.
Le pongo una domanda ricorrendo a un vecchio proverbio popolare, «aiutati che il ciel t'aiuta». Potremmo dire: «aiutati, che l'Europa ti aiuta». È poco pensabile che l'Europa possa intervenire in un Paese, allorché lo stesso Paese, che si dovrebbe dedicare anima e corpo a contribuire ad accorciare le distanze, per riprendere l'esempio di prima, per ragioni assolutamente rispettabili, magari si comporti poi in modo diverso.
In che modo a livello europeo, lei che presiede al governo delle politiche di coesione, ritiene che nella definizione delle prossime linee si possa prevenire tutto ciò - prevenire è meglio che curare, recita un adagio - ed evitare che ci si trovi nella stessa situazione per il futuro? Credo che sia poco realistico in questo caso immaginare un potere sostitutivo dell'Europa nei singoli Stati nazionali, quando questi non fanno ciò che dovrebbero o fanno meno di quanto dovrebbero.
Passo alla terza domanda. Ai fini dell'obiettivo della crescita, io credo, come ho sostenuto anche in altre occasioni, che a livello comunitario ci si dovrebbe confrontare su prodotti ad altissimo valore aggiunto. Stiamo svolgendo un discorso relativo, per così dire, agli interna corporis dei singoli Paesi, ma la grande questione riguarda le modalità attraverso le quali l'Europa compete a livello globale. È chiaro che dobbiamo sistemare le questioni tra i Paesi europei, ma il problema di tutti i Paesi europei riguarda come, tutti insieme, competono a livello internazionale e, quindi, aumentano la loro ricchezza. Dopodiché, sarà anche più agevole, o meno complicato, risolvere i problemi interni dei singoli Paesi.
In questo senso, sono convinto che dovremmo concentrarci a livello comunitario sulla selezione di alcuni obiettivi ad altissimo valore aggiunto e credo che, all'interno delle politiche di coesione, dovremmo non dico vincolare, ma orientare gli investimenti nelle aree che beneficiano di queste risorse verso la produzione di


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tali beni ad alto valore aggiunto, che concorrano a conseguire l'obiettivo della crescita. Le chiedo se condivide questa opinione.
Vengo all'ultima domanda. Presso le Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea è in corso una discussione sul coordinamento tra le politiche di bilancio dei diversi Paesi, nonché sulla scrittura coordinata dei bilanci. Tra le proposte avanzate, vi è quella volta a introdurre, a livello europeo, un «semestre europeo» in cui i singoli Paesi illustrano i bilanci di previsione per un'analisi preliminare per poi procedere, alla luce delle valutazioni emerse in tale sede, a predisporre il bilancio.
Lei crede che sia necessario? Personalmente credo di sì e anche ai fini delle politiche di coesione ritengo che dovremmo arrivare a bilanci nazionali coordinati a livello europeo, se non altro per capire a quanto ammontano le risorse che vengono destinate, tra il livello comunitario e quello nazionale, alle stesse politiche pubbliche. A volte succede che, a livello europeo, si destinano risorse per finalità rispetto alle quali, a livello nazionale, non sono previste risorse oppure sono previsti stanziamenti ingenti; sarebbe interessante, pertanto, capire che cosa fanno i diversi Paesi e, quindi, come sommatoria, che cosa fa l'Europa in merito ad alcune politiche pubbliche.
La domanda finale riprende le precedenti considerazioni. Lei non pensa che, prima o poi, poiché non si possono fare grandi progetti senza disporre delle risorse necessarie, bisognerà affrontare il problema delle risorse proprie a livello comunitario, altrimenti tutti i discorsi sulla crescita e sulle politiche di coesione rischiano di essere un po' retorici e velleitari?

JOHANNES HAHN, Commissario europeo per le politiche di coesione. La politica regionale era stata concepita originariamente per favorire il superamento dei contrasti, una volta stabiliti gli obiettivi. Questo il grande progetto originario. Penso, però, che, ferma restando questa idea iniziale ancora pienamente valida, dobbiamo sottolineare l'altrettanto grande importanza del concetto di sviluppo permanente delle regioni, anche in relazione agli investimenti.
La riduzione del gap tra regioni più e meno ricche è il nostro grande obiettivo. Se vediamo lo sviluppo del PIL tra il 1995 e il 2008, possiamo notare chiaramente gli effetti. Ho appena sentito che esistono diversi studi macroeconomici, che devono essere analizzati con la dovuta cautela, i quali affermano che in Europa l'esistenza di una politica di coesione che funziona contribuisce, in tutta Europa, a una crescita media annua del PIL pari allo 0,4 per cento.
A livello europeo stiamo discutendo, con l'attiva partecipazione anche del Commissario agli affari sociali, dell'utilizzo del tasso di disoccupazione come indicatore. Si tratta, tuttavia, di cifre soggette a un dinamismo di gran lunga superiore a quello che si può avere quando si effettua una programmazione a sette anni. Dobbiamo quindi considerare l'eventualità di modificare qualcosa in relazione ai fondi, ai programmi e anche alla flessibilità di alcuni fondi, e cercare di essere flessibili nella reazione a tali fenomeni, per esempio alla disoccupazione giovanile in Europa.
Ci sono alcune idee che vanno in questo senso, ma all'inizio di un periodo finanziario, quando si discutono i progetti, esiste un budget comune per il Fondo per lo sviluppo regionale e per il Fondo sociale. La ripartizione dipende dalla misura in cui i diversi Paesi membri intendono utilizzare tali fondi: nelle regioni maggiormente competitive la relazione è più o meno del 50-50, mentre nelle regioni di convergenza è del 70-30, con il 70 per il Fondo per lo sviluppo regionale e il 30 per il Fondo sociale.
Per quanto riguarda la domanda che chiede in che misura l'Europa potrebbe intervenire o adottare iniziative, vi confesso che sono piuttosto scettico per quanto riguarda il lato formale e materiale. Dovete tener conto che abbiamo più di 2 milioni di progetti nella politica


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regionale. Il sistema può funzionare soltanto se abbiamo una gestione ripartita in modo efficiente. È una questione che da Bruxelles non possiamo gestire: non ne abbiamo la competenza e, anche se l'avessimo, avremmo bisogno di un massiccio aumento del personale, che temo nessuno accetterebbe. Vi confesso che non ho neanche la volontà di farlo.
Stiamo cercando - in questo obiettivo rientra anche la mia visita a Roma oggi - di coinvolgere tutti coloro che lavorano nel settore della politica regionale tramite uno scambio continuo per far capire che siamo presenti, che vogliamo capire dove sono i problemi, dove li possiamo risolvere e per poter partecipare, in modo che questo cammino possa essere avviato.
So che ci sono spesso tendenze a spostare i finanziamenti da un punto A a un punto B. Esiste questa flessibilità, ma è anche vero - e l'ho già ribadito in altre sedi - che la politica regionale è a medio e lungo termine.
Quando abbiamo discusso i programmi con gli Stati membri, abbiamo passato molto tempo nell'approfondire l'argomento. Ognuno aveva le idee molto chiare sulle aree in cui bisogna investire e sullo scopo degli investimenti, ovvero di recuperare i ritardi. A questo punto, ci siamo chiesti che cosa fare per applicare questa strategia e consentire la realizzazione dei progetti, che, a nostro avviso, è giusta.
Bisogna, quindi, continuare a puntare sui programmi veramente utili e fare tutto il possibile per creare i presupposti affinché i progetti diventino davvero realizzabili.
Per quanto riguarda il PIL, ho già ripetuto più volte ciò che possiamo fare e quale può essere il nostro contributo. Lo ripeto, ed è giusto ripeterlo: se siamo ancora più coerenti rispetto al passato - esiste già un lungo processo a livello europeo - se siamo in grado di unire le strategie alla realizzazione dei progetti e se riusciamo a farlo in poco tempo, allora saremo veramente in grado di garantire miglioramenti notevoli.
La politica regionale esiste da 35-40 anni. Fino all'attuale periodo 2007-2013 non ci sono mai stati criteri sull'utilizzo dei fondi, ma solo fondi a disposizione delle regioni sulla base delle loro priorità. Adesso, invece, il mio predecessore, la signora Danuta Hübner, è riuscita a difendere un vincolo sull'impiego di tali fondi e ora, grazie a questa nuova cultura, possiamo realizzare i nostri obiettivi.
Vi riporto un esempio concreto: il miglioramento dell'efficacia energetica e le energie alternative non riescono solo a migliorare il nostro benessere personale, ma hanno anche un effetto economico. Il settore economico delle energie rinnovabili in molti Paesi rappresenta un pilastro fondamentale dell'economia. Se l'Europa andrà avanti in questo cammino e il mondo non riuscirà ad adeguarsi con la stessa velocità, allora avremo un grande vantaggio di competitività in questo settore, in quanto possediamo l'industria e il know-how. Anche in questo settore possiamo creare i presupposti per ottenere il maggiore successo possibile.
Abbiamo introdotto anche il Rapporto strategico, in cui i Paesi membri ogni tre anni devono rendere conto del progresso dei loro progetti. Anche questo è un contributo per migliorare la situazione e pubblicizzare determinate questioni. Sapete bene di che cosa sto parlando: pubblicare determinati fatti aiuta. È importante riuscire a realizzare il valore aggiunto dell'azione europea. Riusciremo soltanto se saremo veramente in grado di capire quali sono le priorità di noi tutti e di realizzarle attraverso i progetti.
Voglio ricordarvi il rapporto di Mario Monti, che rappresenta un rilancio del mercato interno europeo. Abbiamo bisogno di un mercato interno funzionante per poter aver successo anche a livello globale. Tutti i nostri competitor globali hanno un mercato interno funzionante, nonché strutture decisionali più veloci delle nostre. Non ha senso, adesso, riflettere sul motivo per cui noi non siamo altrettanto veloci - è così e basta - ma dobbiamo cercare di recuperare.
A questo punto, posso solo appellarmi ai Paesi membri, invitandoli a trasferire una parte delle loro competenze alla Commissione,


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il che penso sia possibile anche alla luce del Trattato di Lisbona, in quanto grazie alla sussidiarietà anche la partecipazione dei parlamenti nazionali è maggiore rispetto a prima.
Per quanto riguarda il semestre europeo credo di aver parlato a sufficienza e non intendo ripetermi perché non abbiamo molto tempo.

MASSIMO VANNUCCI. Signor presidente, ringrazio il Commissario per la sua presenza.
Fra le azioni previste dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea nell'ambito della politica di coesione è prevista un'attenzione particolare alle zone rurali, a quelle svantaggiate dal punto di vista demografico, a quelle a bassissima densità demografica e a quelle di montagna. Dopo anni di politiche di coesione, registriamo, invece, processi di inurbamento e di concentrazione della popolazione nelle grandi città, nonché un progressivo spopolamento delle zone rurali.
La mia domanda è la seguente: è stata misurata l'efficacia delle azioni, ci sono risultati in questo senso, è previsto il raggiungimento di particolari obiettivi? Credo che favorire una corretta distribuzione della popolazione nel territorio eviterebbe molti problemi per le aree urbane e sarebbe confacente a una migliore qualità della vita e a una migliore tutela del territorio. Se non creiamo le masse critiche necessarie a garantire i servizi, si innesca un circolo vizioso che spinge le popolazioni a spostarsi.
In questo senso, quindi, la domanda è se siano stati misurati gli effetti delle politiche di coesione e se siano stati prefigurati obiettivi precisi; inoltre, vorrei sapere, in quali aree dell'Europa è avvenuta tale inversione di tendenza, se è avvenuta, e che cosa si può fare per migliorare la situazione.
Per esempio, chiedo se si possa pensare a deroghe limitate alle aree a bassissima densità di popolazione nell'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato, in modo da coinvolgere le azioni sia europee, sia nazionali?

NICOLA FORMICHELLA. Grazie presidente e grazie signor Commissario per il suo intervento e per la chiarezza delle sue risposte.
Sono consapevole del fatto che lei è investito di una competenza decisiva per il futuro del processo di integrazione europea. La coesione, infatti, è uno dei valori cardine della costruzione europea, in quanto espressione della solidarietà tra gli Stati membri e, secondo me, fattore imprescindibile per uno sviluppo equilibrato delle regioni europee.
Le sottopongo alcune brevi considerazioni scaturite dal lavoro e dal confronto che abbiamo svolto nella Commissione politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati, da noi considerate vere e proprie linee guida.
In primo luogo, non va messo in discussione, secondo noi, il ruolo prioritario della coesione tra le politiche di spesa dell'Unione europea post 2013. La politica di coesione deve continuare ad avvalersi di risorse quantomeno non inferiori a quelle previste nel quadro finanziario vigente. Pertanto, non sono per noi accettabili ipotesi di totale rinazionalizzazione delle politiche regionali.
In secondo luogo, la politica di coesione è una politica regionale e il riferimento territoriale non può che continuare a essere quello regionale. Del resto, lo stesso Trattato di Lisbona introduce espressamente la dimensione territoriale della coesione tra gli obiettivi delle politiche dell'Unione europea.
In terzo luogo, la politica di coesione deve rimanere una politica di sostegno all'occupazione e allo sviluppo delle aree in ritardo. Per questo motivo, occorre evitare qualsiasi tentazione di «lisbonizzarla», cioè di forzarne le finalità per il perseguimento di obiettivi diversi, per i quali, secondo noi, si dovrà ricorrere ad altri strumenti politici e finanziari.
In quarto luogo, occorre aumentare, a nostro avviso, in maniera significativa le risorse aggiuntive distribuite in base ai meccanismi premiali attualmente previsti. Inoltre, occorre semplificare le procedure e i metodi di programmazione e di gestione,


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pur garantendo, ovviamente, il rigore dei meccanismi di spesa e di controllo.
L'ultima, ma fondamentale, considerazione è che non si può immaginare di escludere completamente le aree in ritardo dei vecchi Stati membri dagli stanziamenti per l'obiettivo convergenza. L'Italia e molti altri vecchi Stati membri hanno già accettato, in coerenza con il principio di solidarietà, riduzioni significative degli stanziamenti a favore delle proprie regioni nel periodo di programmazione 2007-2013, in ragione dell'allargamento ai nuovi Stati membri.

FABIO GARAGNANI. Pongo una breve domanda. La Commissione, come sappiamo, valuta la mera regolarità formale dei programmi operativi statali o regionali, che sono finanziati dai fondi strutturali.
La domanda è la seguente: a fronte di questa mera regolarità formale, soprattutto per quanto attiene a un tema che mi interessa in particolar modo, quello della formazione professionale, vorrei sapere se non sia possibile, anche alla luce di quanto previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, introdurre un ulteriore parametro che garantisca un maggiore pluralismo, verificando l'adempimento da parte dello Stato o delle regioni dei criteri di pluralismo.
Ci sono, ad esempio, alcune regioni che producono proposte secondo un loro criterio particolare. All'interno di tali realtà esistono associazioni e corporazioni fortemente presenti sul territorio, che però non riescono a trasmettere alla Comunità europea impostazioni, indirizzi e richieste, pur estremamente validi, che hanno un'incidenza significativa sul territorio medesimo e necessitano di un'attenzione.
La mera regolarità formale non è, dunque, sufficiente per garantire il rispetto di determinati princìpi. Lo Stato e la regione devono introdurre un criterio alternativo, il principio di sussidiarietà, a fronte del rispetto, però, di regole ben precise, che tengano conto di parametri significativi, quali la serietà della proposta, l'imprenditorialità della medesima e via elencando.

PRESIDENTE. Do la parola al Commissario Hahn per le conclusioni.

JOHANNES HAHN, Commissario europeo per le politiche di coesione. Ringrazio il presidente.
Vorrei riprendere l'ultima domanda, che mi sembra riguardi il Fondo sociale. Vi confesso che non sono in grado di fornire una risposta tecnica in merito. Spesso, laddove esistono problemi nell'iter delle richieste - se questo è il punto focale della sua domanda - forniamo assistenza, e lo facciamo, altresì, nella formazione di coloro che avranno poi le competenze a formulare tali richieste o a svolgere tale funzione a livello della regione.
Do una risposta all'onorevole Vannucci, che ha posto una domanda veramente molto interessante sugli spostamenti demografici. Dal punto di vista formale, possiamo affermare che esiste la categoria sparsely populated, con riferimento a regioni poco densamente popolate, con tre o sei abitanti per chilometro quadrato. In questi casi si parla di regioni scarsamente popolate. Esistono anche fondi speciali per le regioni remote, che in linea generale intendiamo mantenere.
Tornando alla questione delle migrazioni, la politica di coesione dovrà impedire le migrazioni interne europee, da un lato riducendo i divari del benessere e fornendo un contributo affinché le persone restino nel loro paese natale. So che circa l'80 per cento delle persone, mediamente, vuole vivere e lavorare nel posto in cui è nato. Ovviamente, ci sono alcuni fenomeni di migrazione, ma a volte ci sono anche contraddizioni.
Se, anche all'interno della Strategia Europa 2020, stabiliamo l'obiettivo di aumentare dal 34 al 40 per cento la quota di chi ha ricevuto una formazione universitaria, in linea di massima mi sembrerebbe una strategia buona, perché l'Europa ha bisogno, per essere competitiva a livello globale, di una classe dirigente meglio formata e spesso ci riferiamo alla formazione universitaria. Se parliamo di un paesino, però, quali sono le possibilità di impiego per chi ha una formazione universitaria?


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Ci sono opportunità per il medico, il prete, l'insegnante, ma vere possibilità su ampia scala non ci sono.
Ho parlato di recente con alcuni creativi, che nella loro realtà professionale hanno la possibilità di lavorare da casa. Mi riferiscono di avere bisogno di stimoli, di incontri per il loro lavoro, di vivere in una città dove si incontrano le persone, fisicamente e non solo su internet.
Produciamo di fatto una migrazione interna. Anche nel caso italiano esiste un fenomeno di concentrazione, ma sono piuttosto scettico sul fatto di riuscire a frenare tali processi. Cerchiamo di agire, per esempio potenziando l'internet veloce, con le relative strutture informatiche, che devono poter raggiungere anche le zone più remote. L'idea di fondo è sempre la stessa: ritengo sia utile, anche a livello parlamentare, discutere tali fenomeni per cercare di arrivare a una risposta.
Per tornare alla domanda in merito alla politica di coesione e alle dotazioni, incontra assolutamente il mio consenso. Forse posso chiedervi di avviare un processo per la presentazione di una risoluzione del Parlamento, che sarebbe opportuno e utile per il nostro lavoro.
Vengo all'ultimo punto. Non l'ho menzionato prima, ma il budget italiano per le politiche regionali, dal periodo precedente a quello attuale, è calato del 10 per cento. Allo stato attuale, con i dati macroeconomici più o meno costanti, dovremmo partire dal presupposto che esso dovrebbe crescere. È ancora più importante fornire dati certi, cosicché in Italia (nord, sud e isole) si faccia un impiego corretto e pertinente dei fondi.
Vi ringrazio di nuovo per l'invito e ringrazio anche le interpreti.

PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Commissario, per questa interessante audizione.
Ricordo, peraltro, che il prossimo 12 luglio si svolgerà presso il Parlamento europeo una discussione proprio su questi temi a livello delle Commissioni bilancio dei diversi Stati membri.
Vi ringrazio per la partecipazione e credo che ci sarà la possibilità di approfondire questi temi anche in altre occasioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.

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