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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
2.
Mercoledì 6 ottobre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 8 9 11 14
Duilio Lino (PD) ... 11
Giovannini Enrico, Presidente dell'ISTAT ... 3 11
Marchi Maino (PD) ... 9
Nannicini Rolando (PD) ... 8
Polledri Massimo (LNP) ... 9
Vaccari Gianvittore (LNP) ... 10
Vannucci Massimo (PD) ... 10

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 14 21 23 25
Baretta Pier Paolo (PD) ... 21
Polledri Massimo (LNP) ... 22
Saccomanni Fabrizio, Direttore generale della Banca d'Italia ... 14 23
Vannucci Massimo (PD) ... 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 6 ottobre 2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 20,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
È presente il presidente dell'ISTAT, professor Enrico Giovannini, il quale è accompagnato dalle dottoresse Patrizia Cacioli, Luisa Picozzi, Maria Emanuela Montebugnoli e dal dottor Andrea De Panizza, i quali ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al professor Giovannini per lo svolgimento della sua relazione.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Grazie mille per questa opportunità di esprimerci sui contenuti dello schema della Decisione di finanza pubblica (DFP).
Tali contenuti si discostano notevolmente rispetto al Documento di programmazione economico-finanziaria soppresso nell'ambito della riforma della contabilità pubblica. La DFP, infatti, è interamente dedicata al quadro macroeconomico e ai suoi riflessi sulla finanza pubblica, mentre sono assenti gli aspetti di programmazione, rinviati al Piano nazionale di riforma (PNR) che verrà presentato in bozza a novembre.
Nella nota metodologica allegata alla DFP, d'altro canto, vengono per la prima volta resi pubblici i criteri sottostanti e i risultati di dettaglio di stime e previsioni. È, questo, un aspetto di trasparenza che apprezziamo molto e che rende possibili alcune valutazioni e, quindi, merita di essere sottolineato.
Il contributo dell'ISTAT, conformemente ai suoi compiti istituzionali, è finalizzato a offrire informazioni dettagliate e aggiornate sulla congiuntura economica e sull'andamento dei conti pubblici. In particolare, ci proponiamo di fornire elementi riguardo ai seguenti quesiti: quanto è robusta la ripresa, rispetto alla profondità della crisi? Qual è la capacità di risposta mostrata dalle imprese, in particolare sui mercati esteri? La fase di recupero ciclico e di ripresa nelle quotazioni delle materie prime rischia di determinare tensioni sui prezzi al consumo? L'occupazione sta ancora subendo gli effetti della contrazione dell'attività? L'informazione più recente disponibile corrobora le stime macroeconomiche e di finanza pubblica per l'anno in corso? Ecco, a queste cinque domande tenterò di dare una risposta.


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Abbiamo depositato agli atti una nota che contiene anche ulteriori informazioni che spero possano essere utili per i membri delle Commissioni riunite.
L'analisi congiunturale contenuta nella DFP evidenzia come l'andamento dell'attività economica internazionale, complessivamente sostenuto, sia anche fortemente disomogeneo; mentre nelle grandi economie emergenti di Cina, India, Brasile e Russia i ritmi di crescita annua si collocano tra il 5 e il 10 per cento del PIL, nelle economie avanzate la ripresa è meno intensa e più incerta. In Europa, come negli Stati Uniti e in Giappone, il recupero dell'attività economica è stato sostenuto dagli scambi internazionali, dal settore manifatturiero e dalla domanda per investimenti, cioè da quelle componenti dove più forte era stato l'impatto della crisi.
In quasi tutte le maggiori economie permangono consumi deboli, soprattutto per la perdurante contrazione degli acquisti di beni durevoli. Nel primo semestre del 2010 i consumi delle famiglie hanno offerto un contributo di crescita molto modesto in tutti i principali Paesi, con l'unica eccezione della Spagna; in Italia sono rimasti stagnanti sul livello del terzo trimestre 2009. Parallelamente i consumi collettivi hanno risentito dell'esaurirsi degli spazi di manovra della finanza pubblica. Si ricorda che gli stessi consumi collettivi avevano sostenuto l'attività nella fase più acuta della crisi in quasi tutti i Paesi. Fa eccezione l'Italia, dove i vincoli di bilancio erano particolarmente stringenti.
La dinamica positiva mostrata dagli investimenti è complessivamente conforme alle precedenti fasi di recupero ciclico. Inizialmente, si è avuta ovunque una cospicua ricostituzione delle scorte. La formazione di capitale fisso è ripresa più gradualmente: nel secondo trimestre del 2010, in particolare, il contributo di questa componente è stato pari a quasi un punto percentuale in Germania, 0,7 punti negli Stati Uniti e 0,2 punti percentuali in Francia e in Italia.
Irregolare e diverso tra Paesi è stato soprattutto l'andamento della componente estera della domanda: nel secondo trimestre dell'anno questa ha fornito un contributo positivo alla crescita, pari a quasi un punto percentuale nel caso della Germania, sei decimi di punto in Italia e mezzo punto soltanto in Giappone, ma addirittura negativo per valori compresi tra -0,4 e -0,8 punti percentuali in Francia, Spagna e Stati Uniti.
Coerentemente con il quadro descritto, al recupero sostanziale dell'attività nella prima metà dell'anno - in Italia il PIL è cresciuto di quasi l'1 per cento nell'arco di due trimestri - ha contribuito in maniera determinante la manifattura.
Considerando le differenze nell'ambito dell'Unione europea, nel periodo più recente la Germania e i Paesi nordici e dell'Europa centrale più prossimi alla sua economia hanno mostrato un'accelerazione, mentre la ripresa è stata più lenta in Francia e in Italia, e deve ancora affermarsi in Spagna. A metà dell'anno il tasso di crescita già acquisito per il 2010 è superiore al 3 per cento in Germania, nell'ordine del 2,5 per cento negli Stati Uniti e in Giappone, intorno all'1,5 per cento in Francia e Regno Unito, e poco inferiore all'1 per cento in Italia.
Con riferimento al nostro Paese, si osserva che la lentezza del recupero ciclico fa seguito a una caduta del PIL di entità analoga a quella della Germania e molto maggiore rispetto a Francia, Regno Unito e Spagna. Questo si riflette in un allargamento del divario rispetto a queste economie accumulato nel corso della crisi, con effetti di trascinamento anche nel 2011. D'altra parte, la previsione di una crescita del PIL pari all'1,2 per cento fissata nella DFP per il 2010 è coerente con il mantenimento, nella seconda parte dell'anno, di una dinamica dell'attività simile a quella del semestre passato, con un ritmo di crescita pari a circa lo 0,4 per cento in ciascun trimestre.
Per ciò che riguarda le tendenze della congiuntura, notiamo come nel nostro Paese, così come nell'insieme dell'area dell'euro, la risalita dell'attività ha mantenuto nel corso del 2010 un ritmo moderato ma continuo, soprattutto per quel che riguarda


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il settore industriale. Il recupero nel comparto dei servizi, penalizzato dalla stagnazione dei consumi interni, è risultato disuguale e, nel complesso, più modesto.
L'attività del settore industriale italiano ha mantenuto, nella prima metà del 2010, una tendenza espansiva robusta, con una dinamica grosso modo analoga a quella registrata nell'area dell'euro. Nell'arco della risalita iniziata nella primavera del 2009, la produzione industriale ha segnato nel nostro Paese, così come nell'Unione monetaria, un incremento complessivo di circa il 10 per cento. Ciò equivale a un recupero di circa la metà della caduta della produzione registrata nella fase più acuta della crisi, e a poco più di un terzo della contrazione complessiva dal primo trimestre 2008.
Nei mesi estivi la tendenza è rimasta positiva per gran parte dei comparti industriali. Nonostante un risultato piuttosto modesto in luglio, nel confronto tra gli ultimi tre mesi, cioè maggio-luglio e quelli immediatamente precedenti, il livello complessivo della produzione è aumentato, al netto della stagionalità, di oltre il 2 per cento.
A fronte del permanere di una robusta dinamica espansiva si è, tuttavia, osservata una significativa riduzione del grado di diffusione settoriale della ripresa.
La componente estera della domanda ha assunto un ruolo centrale nella fase di recupero di attività dell'industria. In termini di fatturato, tra il secondo trimestre 2009 (punto di minimo ciclico del fatturato industriale) e il trimestre maggio-luglio di quest'anno l'incremento delle vendite è stato pari a oltre il 17 per cento sui mercati esteri e appena inferiore all'8 per cento su quello interno.
Gli indicatori relativi alle tendenze di brevissimo periodo mostrano qualche segnale di rallentamento della ripresa nell'industria. Gli ordinativi, in veloce crescita sino a maggio, hanno segnato due cali consecutivi di entità significativa in giugno e luglio, risentendo in particolare, di una battuta d'arresto della componente estera.
Anche le inchieste dell'ISAE sul clima di fiducia delle imprese industriali per i mesi di agosto e settembre hanno colto una pausa nella tendenza al miglioramento dei giudizi sulla domanda.
Per quel che riguarda il terziario di mercato, i segnali provenienti dagli indicatori disponibili mostrano una situazione ancora disomogenea, con l'emergere di segni più netti di ripresa nelle attività che forniscono servizi al sistema delle imprese.
L'andamento delle vendite al dettaglio è rimasto complessivamente stagnante.
Riguardo ai servizi turistici, i risultati relativi al movimento dell'intero sistema ricettivo mostrano che nei primi mesi di quest'anno vi è stato, grazie soprattutto a una crescita della clientela straniera, un primo recupero del settore. L'indagine sull'attività alberghiera nella settimana di Ferragosto indica, invece, che nel periodo di picco della stagione estiva vi è stata un'attività leggermente meno intensa rispetto al 2009, quando si era registrato un temporaneo recupero rispetto all'anno precedente.
Infine, l'andamento degli indici del fatturato di alcuni settori dei servizi mette in evidenza una tendenza ancora incerta.
Se ora passiamo alle tendenze del commercio con l'estero e alla competitività, notiamo come la fase di ripresa dell'export si è avviata, per il nostro Paese, a partire dal terzo trimestre 2009. In termini destagionalizzati, dopo una flessione congiunturale rilevante nella prima metà dell'anno scorso, le vendite all'estero sono tornate a crescere, con un aumento congiunturale del 2,1 per cento, sia nel terzo che nell'ultimo trimestre dell'anno, accelerando poi al 5,2 per cento e al 6,6 per cento nel secondo trimestre 2010. I dati più recenti relativi al mese di luglio indicano la sostanziale stabilizzazione del valore delle esportazioni, associata a una leggera flessione sul mercato comunitario. Dopo il recupero dell'ultimo anno, il valore dell'export è ancora molto al di sotto rispetto a quello raggiunto immediatamente prima della crisi. D'altra parte, le importazioni hanno evidenziato una crescita più intensa rispetto alle esportazioni,


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soprattutto nel quarto trimestre del 2009 e nel primo del 2010, mentre il differenziale di crescita si è molto ridimensionato nel secondo trimestre.
Con riferimento ai principali partner comunitari, nei primi sette mesi dell'anno i maggiori incrementi riguardano le esportazioni verso Spagna e Regno Unito; per Germania e Francia, che assorbono complessivamente poco meno di un quarto delle vendite italiane all'estero, gli aumenti sono stati pari, rispettivamente, al 14,1 per cento e al 12,4 per cento. Per quel che riguarda le vendite verso i Paesi extra Unione europea, per i quali i dati sono disponibili fino al mese di agosto, nei primi otto mesi dell'anno le esportazioni segnano incrementi rilevanti verso i Paesi del Mercosur, la Turchia, la Cina e l'India.
Il differenziale di crescita delle importazioni rispetto alle esportazioni registratosi nella prima parte del 2010 è per due terzi spiegato dalla dinamica più sostenuta dei valori medi unitari dell'import ( 8,3 per cento contro 4,5 per cento) e per un terzo dalla maggiore crescita dei volumi ( 9,8 per cento per l'import, rispetto a 7,7 per cento per le esportazioni).
Queste dinamiche hanno determinato, nei primi sette mesi del 2010, un notevole ampliamento del deficit commerciale: -12,5 miliardi di euro rispetto a -1,3 miliardi nel corrispondente periodo del 2009. Il peggioramento del deficit deriva sia dall'allargamento del passivo energetico, da -24,8 a -29 miliardi di euro, sia da una contrazione dell'attivo al netto dei prodotti energetici, che passa da 23,5 a 16,5 miliardi di euro.
Un'analisi più dettagliata dell'andamento dei flussi di beni rivela una crescita del valore esportato, rispetto al 2009, per 216 su 269 raggruppamenti di prodotti. Dal lato delle importazioni, i raggruppamenti di prodotti che registrano incrementi sono 214 su 269.
Nel corso del 2010 i segnali di espansione delle vendite all'estero hanno determinato un ampliamento del numero di operatori all'esportazione: nel primo semestre 2010 gli operatori con livelli significativi di fatturato esportato, cioè con oltre 250 mila euro nel periodo, sono 35.500, 2.500 in più rispetto alla media del 2009, ma meno degli oltre 37.000 operatori del 2007 e del primo semestre 2008, cioè del periodo antecedente la crisi.
Anche nella fase di ripresa, si conferma la tendenza a una diminuzione della quota di mercato complessiva dell'Italia a livello mondiale. Le tendenze delle quote di mercato relative ai principali Paesi esportatori, d'altronde, mostrano una flessione anche per la Cina e una caduta più consistente per la Germania, mentre rimangono sostanzialmente stabili le quote degli Stati Uniti e della Francia e aumenta quella del Giappone.
Per ciò che riguarda l'inflazione - mi avvio verso la conclusione - la fase di rapida disinflazione che aveva caratterizzato la prima metà dello scorso anno, a partire dal secondo semestre 2009 ha lasciato il posto a un'accelerazione della crescita dei prezzi al consumo, il cui tasso tendenziale di variazione è risultato pari, nello scorso agosto, a 1,6 per cento. Nei primi nove mesi dell'anno l'inflazione acquisita per il 2010 è pari all'1,4 per cento.
Nei primi otto mesi del 2010, durante la fase di ripresa dell'inflazione manifestatasi in Italia e nelle principali economie dell'area dell'euro, il differenziale inflazionistico misurato tra il nostro Paese e la media dell'Unione economica e monetaria è rimasto su valori modesti, ma generalmente positivi.
Nel comparto dei beni, i prezzi al consumo hanno evidenziato, nel complesso, un profilo tendenziale sostanzialmente in linea con quello registrato in Germania, Francia e Spagna. Per contro, la dinamica tendenziale dei prezzi dei servizi nel nostro Paese si è mantenuta su ritmi più sostenuti rispetto a quelli dell'Unione monetaria.
Per ciò che riguarda il mercato del lavoro - sono dati noti - nella prima parte del 2010 l'occupazione è aumentata, pur se marginalmente, dopo essere scesa per sei trimestri consecutivi. L'incremento congiunturale è stato dello 0,1 per cento sia nel primo sia nel secondo trimestre (rispettivamente 13.000 e 27.000 persone).


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Il moderato recupero in corso d'anno dell'occupazione ha coinvolto esclusivamente il centro-nord; nel Mezzogiorno, invece, è proseguito il calo degli occupati.
La dinamica occupazionale rimane comunque incerta. Nei dati mensili provvisori si è avuta una leggera flessione a luglio (-0,1 per cento rispetto a giugno) e una variazione nulla ad agosto.
A fronte della crescita del numero di occupati registrata dall'indagine sulle forze di lavoro, i dati di contabilità nazionale riportano una riduzione congiunturale in termini di unità standard di lavoro. La differenza tra i due risultati è dovuta al significativo aumento del lavoro a tempo parziale e del ricorso alla cassa integrazione. In effetti, l'occupazione a orario ridotto ha mostrato una dinamica particolarmente veloce.
Il perdurante ricorso alla cassa integrazione guadagni ha contenuto il calo dell'occupazione. Nel corso dei primi otto mesi del 2010 si è peraltro assistito a una significativa ricomposizione della componente ordinaria verso quella straordinaria e, soprattutto, verso quella in deroga rivolta a piccole imprese industriali e artigianali, normalmente escluse dalla sua applicazione.
In termini di disoccupazione complessiva, il tasso di disoccupazione, rimasto stabile tra giugno e luglio all'8,4 per cento, è sceso in agosto all'8,2 per cento. Nell'ipotesi di stabilità fino al prossimo dicembre del livello raggiunto in agosto, il tasso medio di disoccupazione si posizionerebbe all'8,4 per cento, tre decimi di punto in meno di quanto indicato nella Decisione di finanza pubblica.
Infine, per ciò che concerne la finanza pubblica abbiamo diffuso, pochi giorni fa, i dati sul conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche relativo al secondo trimestre: nei primi sei mesi del 2010 l'indebitamento netto in rapporto al PIL è risultato pari al 6,1 per cento, migliorando di due decimi di punto rispetto allo stesso periodo del 2009.
Faccio presente che la stagionalità del deficit è sfavorevole - diciamo così - rispetto alla media, nei primi sei mesi dell'anno, ed è più favorevole nella seconda metà dell'anno.
Nel corso del primo semestre del 2010 si nota una diminuzione delle entrate totali di circa 2,7 miliardi di euro dovuta principalmente alla contabilizzazione, nei primi sei mesi del 2009, dei versamenti una tantum per l'applicazione dell'articolo 15 del decreto-legge n. 185 del 2008. Di contro, le uscite totali al netto degli interessi passivi fanno registrare una diminuzione di circa 2,9 miliardi di euro. A tale risultato dal lato delle uscite ha principalmente contribuito una diminuzione degli investimenti fissi lordi del 14,2 per cento rispetto al primo semestre del 2009, quando invece questi ultimi erano aumentati del 14,9 per cento, valore su cui aveva inciso l'operazione di cartolarizzazione SCIP. Anche i consumi intermedi - e questo è un segnale importante - sono diminuiti del 2,2 per cento, rispetto a un 9,2 per cento dei primi sei mesi del 2009. La crescita delle spese per prestazioni sociali in denaro è invece andata rallentando: 2,4 per cento nel primo semestre 2010 rispetto al 5,2 per cento dello stesso periodo del 2009.
Il risparmio delle amministrazioni pubbliche, cioè il saldo corrente, nel primo semestre 2010 ha fatto registrare un'incidenza negativa sul PIL pari al 3,7 per cento. A tale risultato, oltre ad alcune delle dinamiche descritte in precedenza, ha contribuito la riduzione della spesa per interessi (-1,2 per cento rispetto al primo semestre 2009).
Gli ultimi trenta secondi della mia presentazione riguardano una valutazione sul nuovo quadro di programmazione economica e finanziaria riformata dalla legge n. 196 del 2009. Al riguardo, vorrei segnalare come l'impostazione del Documento appare coerente con il quadro di rafforzamento delle procedure di controllo della qualità dei dati di finanza pubblica delineato in ambito europeo, quindi, essa può costituire un utile supporto al fine di migliorare la capacità di rappresentazione dei risultati di finanza pubblica.


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Nella stessa direzione di maggiore trasparenza dell'intero processo di formazione e di monitoraggio del bilancio si colloca il documento allegato alla decisione, che descrive le metodologie attraverso le quali sono state ottenute le previsioni. Queste metodologie sono non solo ben descritte, ma pienamente in linea con gli approcci statistici definiti a livello europeo.
Coglierei anche questa occasione per ringraziare, a nome dell'ISTAT e del sistema statistico nazionale, il Parlamento - poiché ne avevo accennato nella mia ultima audizione - che, con la legge n. 122 del 2010, che ha convertito il decreto-legge n. 78 del 2010, ha finanziato i censimenti generali del 2011 della popolazione, delle abitazioni, dell'industria e dei servizi.
Avevo segnalato questo problema nel corso della mia audizione precedente, quindi è giusto anche segnalare il fatto che il Parlamento ha recepito questo grido di allarme e ha finanziato tale importantissima operazione.

PRESIDENTE. Professor Giovannini, la ringrazio per la sua esposizione assolutamente chiara ed esaustiva. La ringrazio anche per il suo riconoscimento al lavoro del Parlamento, un apprezzamento, in effetti, raro di questi tempi.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di essere piuttosto sintetici nelle domande per dare la possibilità a più colleghi di intervenire e, soprattutto, al professor Giovannini di rispondere in maniera compiuta alle domande.

ROLANDO NANNICINI. La ringrazio, professore. Come parlamentare seguo molto volentieri il vostro lavoro. Richiamo un compito molto importante di vostra competenza, quello di trasmettere alla Commissione europea, entro la fine del mese di febbraio di ciascun anno, le statistiche richieste in applicazione del Protocollo sui deficit eccessivi annesso al Trattato di Maastricht.
Tale premessa mi serve - lo dico perché faccio anche parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e ho assistito ieri ad un'audizione - perché mi sembra che si parta sempre dall'anno zero, dalla condizione di dire che in Italia non abbiamo alcun dato per fare alcuna scelta. Citando il professor Longobardi - o forse Antonini - che ha detto che siamo praticamente al Medioevo, io tifo ISTAT per avere dei dati più precisi (e chiederò anche a lei un aiuto nel citarli).
Come dicevo, voi trasmettete le statistiche all'Unione europea. È chiaro che, rispetto alla Decisione di finanza pubblica, per noi parlamentari è decisivo capire a quanto ammonta la spesa delle amministrazioni centrali, delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza. Lo prevede chiaramente l'articolo 10 della legge n. 196 del 2009. Ora, a pagina 31 dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 (Doc. LVII, n. 3) è inserita una tabella con la dicitura «Conto economico delle amministrazioni locali», su cui dobbiamo necessariamente discutere. Secondo i criteri SEC 95 - chiedo la sua conferma - nelle amministrazioni locali rientrano regioni, province, comuni, unioni di comuni, tutte le unità istituzionali che hanno un ambito locale, dunque le aziende ospedaliere, i politecnici universitari, gli enti locali produttori di servizi assistenziali, università, parchi, fondazioni lirico-sinfoniche ed enti di diritto allo studio, gli enti economici locali - ad esempio le camere di commercio - le comunità montane e gli ambiti territoriali ottimali (ATO), relativi sia ai rifiuti che all'acqua.
Mi sono permesso di fare uno studio sulla stima che è fatta in questa pagina, riportato nella relazione che abbiamo predisposto nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. La tabella ci dice che il conto economico delle amministrazioni locali, nel 2009, ammonta a 255 miliardi di euro. Voglio capire qual è la capacità di spesa delle amministrazioni comunali: dai dati che sono a nostra disposizione, che non sono riportati nella Decisione di finanza pubblica, relativi al 2009, che avete inviato all'Unione europea,


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emerge che le amministrazioni comunali hanno una spesa di 68 miliardi 699 milioni di euro e le amministrazioni provinciali di 12 miliardi 840 milioni. Non vorrei disturbare oltre i colleghi, ma sarebbe opportuno sapere anche che alla stessa data le spese delle amministrazioni regionali ammontano a 171 miliardi e quelle del servizio sanitario nazionale a 117 miliardi di euro.
Siamo di fronte a una manovra che non sarà risolta certo dalla diminuzione dei costi della politica, dalle 35 mila poltrone in meno, come leggo in manifesti diffusi, perché le 35 mila poltrone in meno le avremo, se va bene, nel 2013. Ecco, una manovra che vuol dire complessivamente 4,5 miliardi di euro per il comparto, più 1,5 miliardi, senza nessuna riflessione sui 31 miliardi di spesa delle camere di commercio e di altri enti, la ritengo iniqua e non la ritrovo indicata nei dati forniti dal Governo. Bisogna fare enormi sforzi per capire che si tolgono risorse ai servizi delle regioni - essenzialmente nel trasporto locale - e dei comuni.
Le chiedo, allora, se è possibile avere un supplemento di pubblicazione - da parte vostra - sulla spesa pubblica suddivisa per i comparti che compongono il conto economico delle amministrazioni locali: dire 255 miliardi è un falso, perché quando si parla di enti locali si pensa sempre a comuni, province e regioni che sprecano. C'è anche la sanità con i suddetti 117 miliardi di euro.
Io sono molto preoccupato per il fatto che dal primo gennaio del 2011 non troverò più i servizi comunali che le nostre amministrazioni sanno dare in Italia, pur con varie differenze, e il servizio del trasporto locale da parte delle regioni. Anche i dati, insomma, devono essere diffusi in maniera opportuna.
Vi ringrazio, perché nelle consultazioni si sente dire che i dati non esistono, che siamo all'anno zero. Lo abbiamo sentito anche nell'intervento del collega Baldassarri durante l'audizione di ieri, il quale ha tenuto una lezione su come si devono rendere omogenei i bilanci ed altro. I dati, invece, li abbiamo: se seguiamo l'ISTAT, siamo in grado di leggerli. Grazie professore.

MASSIMO POLLEDRI. Anch'io ringrazio il professor Giovannini per la relazione.
Si parla tanto di crisi strutturale. Abbiamo analizzato bene gli andamenti ciclici, sperando di essere all'inizio della ripresa, riscontrando a volte la presenza, ma a volte anche l'assenza, di qualche elemento di ottimismo.
Vorremmo conoscere la sua impressione sulla strutturalità della crisi e chiederle se può fornirci qualche altro dato. La percezione comune è che sia andato un po' in crisi un determinato modello.
Un altro elemento da chiarire è l'entità del risparmio privato. Uno degli elementi di forza è stato la tenuta del sistema bancario, con sofferenze bancarie relativamente contenute. Sappiamo del deficit dei consumi collettivi, della mancanza di fiducia e, quindi, di investimenti, ma vorremmo sapere se gli italiani sono più poveri, e di quanto, anche considerando che il risparmio privato ha costituito forse una delle nostre cause di salvezza, tenendo presente che all'estero l'indebitamento delle famiglie ha portato a una crescita drogata. Gli Stati Uniti saranno cresciuti, in dieci anni, del 30 per cento, ma lì le famiglie si indebitavano del 3 per cento ogni anno. Anche nell'analisi del PIL, dunque, le chiediamo di darci una migliore interpretazione di questo fattore.

PRESIDENTE. Grazie, soprattutto per la sinteticità delle domande e delle argomentazioni.

MAINO MARCHI. Ringrazio anch'io il professor Giovannini per la relazione e pongo una domanda con riferimento all'andamento del PIL.
Nella sua relazione si dice che si osserva la lentezza del recupero ciclico, che fa seguito a una caduta del PIL di entità analoga a quella della Germania, e molto maggiore rispetto a Francia, Regno Unito e Spagna. Rispetto a questo dato e all'insieme


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della situazione che è analizzata nella relazione, vorrei conoscere un suo giudizio sulla previsione - contenuta nello schema della Decisione di finanza pubblica - di aumento del PIL nel 2012 e 2013 del 2 per cento, cioè con un livello che in Italia è stato superato nell'ultimo decennio solo nel 2007, mentre in tutti gli altri anni non si è mai raggiunto. Tale livello risulterebbe, sempre in base allo schema, pari alle previsioni di crescita dell'Unione europea nel 2012 e appena dello 0,1 per cento inferiore alle previsioni per il 2013, mentre la crescita in Italia è stata, spesso, inferiore in misura molto più elevata rispetto a quella dell'Unione europea.
È vero che nella premessa dello schema ci viene detto che sostanzialmente questo è un documento inutile, perché quello che si doveva decidere è già stato deciso con la scorsa manovra economica, e per il futuro ci saranno le nuove regole europee. Tuttavia, le pongo questa domanda perché è evidente che tale previsione del PIL, a mio avviso piuttosto elevata, è determinante per le previsioni relative al debito pubblico. Non a caso, infatti, è nel 2012 e 2013 che si prevede un calo del rapporto tra PIL e debito pubblico: fino al 2011 si passa dal 115,9 per cento del 2009 al 118,5 del 2010 al 119,2 previsto nel 2011, mentre nel 2012 si prevede il 117,5 per cento e nel 2013 il 115,2. Ora, se non avremo una crescita pari al 2 per cento è chiaro che questo rapporto tra il debito e il PIL è destinato purtroppo a modificarsi in aumento. Siccome nelle nuove regole proposte a livello europeo ce ne sono alcune molto più restrittive, sul versante del controllo del debito, per i Paesi che hanno un debito pubblico superiore al 60 per cento - l'Italia è in questa condizione, quasi al doppio - credo che questo sia un elemento centrale anche per il futuro.
Le chiedo, dunque, una sua opinione rispetto alla previsione di poter raggiungere nel 2012 e 2013 un livello di crescita in Italia pari al 2 per cento.

GIANVITTORE VACCARI. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti per questa audizione e per le interessanti note che ci sono state fornite.
Vorrei soffermarmi sulla questione della bilancia commerciale e del rapporto import-export. La questione è interessante anche perché ci sono dei dati un po' fuori scala rispetto a quelli cui siamo stati abituati anche nel passato. Quali proiezioni fate nel futuro, tenendo conto che c'è una preoccupazione generalizzata, anche europea e americana, sul valore delle valute e una particolare attenzione agli acquisti che sta facendo la Cina in campo commerciale, imprenditoriale, ma, come abbiamo visto, anche in campo finanziario? Questo scalino secco che si è verificato come si proietterà nel futuro?

MASSIMO VANNUCCI. Presidente Giovannini, sulla base dei dati che lei ci ha fornito si potrebbe dare una risposta secca alle sue prime due domande, ricavandola dai dati. Alla prima domanda, ossia quanto è robusta la ripresa rispetto alla profondità della crisi, risponderei sinteticamente «poco».
Quanto alla capacità di risposta mostrata dalle imprese sui mercati esteri - questa è la seconda domanda - essa c'è stata, ma non è stata tale da sopperire a una carenza di domanda interna che doveva essere la chiave di volta in questa crisi, nel senso che di fronte a un crollo delle esportazioni si sarebbe dovuto cercare di favorire una ripresa della domanda interna. Lei ci dice nella sua relazione che è stagnante quella privata e ugualmente quella dei consumi collettivi, cioè quella pubblica. Quella pubblica, però, è vincolata a problemi finanziari, al debito pubblico di questo Paese, mentre quella privata può essere favorita con scelte e con riforme soprattutto riferite alla distribuzione della ricchezza, alla leva fiscale, alla distribuzione del reddito.
I dati ci dicono che il carico fiscale è soprattutto sulle spalle dei redditi da lavoro e da pensione. Ora, siccome penso che nei vostri studi stimiate il potere d'acquisto delle famiglie italiane in relazione agli altri Paesi europei e così la diversa distribuzione del carico fiscale, lei


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non ritiene che sarebbe stato necessario - e lo è ancora - agire su questa leva per favorire la domanda e, quindi, anche per aiutare la ripresa?
Dico ciò anche per poter rispondere alla prima domanda sulla ripresa, che è poco robusta, ma non è aiutata dalla domanda privata.

LINO DUILIO. Mi riallaccio rapidamente alla domanda del collega Vannucci, che peraltro ha anticipato alcune considerazioni e richieste che avrei fatto io. Chioso, dunque, la sua osservazione circa la ripresa, non ripetendo quanto ha già detto il collega ma chiedendo se lei non ritiene che - considerate le caratteristiche strutturali dell'economia del nostro Paese, non da oggi fondamentalmente legata alle esportazioni - elementi significativi che possono cercare di farci rispondere alla domanda su quanto sia robusta la ripresa debbano comportare l'esame di un arco temporale un pochino più lungo.
Considerato che l'ISTAT è già autorevolmente - ma io spero lo diventi sempre più - il nostro istituto più qualificato, che ci aiuta nella nostra attività, non ritiene che la scelta di fare delle analisi relative a un arco temporale sostanzialmente breve ci aiuti poco nelle considerazioni che dobbiamo fare relativamente alle misure di politica economica che debbono essere adottate?
In questo senso, vorrei porre un'ulteriore domanda. Mi è capitato di vedere in qualche occasione, anche con qualche amico economista, analisi temporali piuttosto interessanti relativamente agli andamenti dei tassi di produttività nel nostro Paese, che rappresentano una delle questioni più complicate, per usare un eufemismo. Infatti, sul versante della produttività, della competitività, abbiamo registrato andamenti con tassi negativi per troppi anni e questo rappresenta una palla al piede per la nostra economia.
È possibile disporre, quantomeno in prospettiva, di dati affidabili relativamente agli andamenti dei tassi di produttività, riferiti sia alla produttività totale dei fattori sia alla produttività dei diversi settori? Tali dati potrebbero costituire un sostegno per le valutazioni che dobbiamo fare in Parlamento.
In secondo luogo, cito un elemento che non è stato ripreso nel commento, anche se i dati ci sono. Mi riferisco a una disaggregazione un po' più esplicita e qualificata sul versante della disoccupazione, in particolare per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile disaggregato per aree territoriali e il tasso di disoccupazione femminile, altrettanto rilevante nel mercato del lavoro, che peraltro rimanda a questioni anche socialmente rilevanti.
È possibile avere elementi che, anche in questo caso relativamente ad archi temporali significativi, possano aiutarci a comprendere che cosa sta accadendo? Sappiamo bene che, in alcune aree del Paese, dentro il dato aggregato medio ci sono tragedie vere e proprie. A volte ne leggiamo sulla stampa, ma forse con il supporto di un'analisi statistica più puntuale possiamo trarne conseguenze interessanti per noi.

PRESIDENTE. Nel darle la parola per la replica, professor Giovannini, chiarisco che qualora lei avesse necessità di dare risposte più compiute può anche far pervenire alle Commissioni un contributo scritto che sarà messo a disposizione dei colleghi.

ENRICO GIOVANNINI, Presidente dell'ISTAT. Partirei dall'ultima domanda relativa alla disoccupazione e alla disaggregazione territoriale per età. Invito le Commissioni a scorrere i grafici riportati nell'allegato della nota depositata, in cui è possibile vedere, a partire dal 2004, gli andamenti dell'occupazione, del numero dei disoccupati e degli inattivi per sesso e per distribuzione territoriale. Da tali dati è possibile cogliere questa evoluzione più di lungo periodo, anche se parliamo di sei anni fondamentalmente.
Questa analisi mostra che l'occupazione è calata fortemente sia nel Mezzogiorno sia - anche se meno in termini percentuali - nel centro-nord, dove però c'è la maggiore


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quota di occupazione e quindi, in termini assoluti, nel centro-nord c'è stata la riduzione maggiore.
Posso inviare, comunque, alle Commissioni dei dati più disaggregati, in modo tale da analizzare più a fondo questi aspetti.
Quanto ai dati di produttività, in realtà noi pubblichiamo regolarmente i dati sulla produttività sia del lavoro sia totale dei fattori. Lo facciamo con pochi mesi di ritardo rispetto al periodo di riferimento. Direi, quindi, che al riguardo l'informazione è assolutamente dettagliata; comunque farò pervenire alle Commissioni il dossier che abbiamo pubblicato poco tempo fa.
Certamente è utile un'analisi più dettagliata e per periodi più lunghi, ma noi la facciamo normalmente nei rapporti annuali, che credo siano inviati nella sintesi a tutti i parlamentari. In quella sede abbiamo uno sguardo più lungo, mentre questa sera ho inteso concentrare l'analisi sul periodo più breve, anche perché la congiuntura, come altri membri delle Commissioni hanno sottolineato, è ciò che in questo momento state guardando per valutare l'evoluzione della finanza pubblica.
Se mi consentite, seguo questo ordine inverso, perché mi permette di dare risposte ai diversi parlamentari intervenuti. Per quanto riguarda la distribuzione del reddito, secondo i dati OCSE, negli ultimi quindici anni l'Italia, insieme agli Stati Uniti, ha visto il maggior peggioramento della distribuzione del reddito rispetto ad altri Paesi industrializzati. Anche negli altri Paesi c'è stata in generale una tendenza a un arricchimento delle classi di reddito più alte e a un impoverimento di quelle più povere, ma in Italia e negli Stati Uniti questo fenomeno è stato più forte. Questo dicono i dati OCSE, relativamente a un arco di circa quindici anni, quindi si tratta di una tendenza abbastanza persistente.
Riguardo ai dati più recenti, nel rapporto annuale che abbiamo pubblicato a maggio abbiamo chiaramente identificato come il contributo netto che il settore pubblico ha dato al sostegno dei redditi delle famiglie - nel corso della crisi - è stato significativamente positivo, ad esempio attraverso la cassa integrazione e attraverso l'allargamento di questa anche a imprese che prima non ne potevano beneficiare. In generale, le prestazioni sociali sono aumentate significativamente. Questa ha sostenuto i redditi delle famiglie, che sono diminuiti naturalmente, ma di meno rispetto al prodotto interno lordo.
Il carico fiscale naturalmente ha un effetto, da questo punto di vista, ma, come dicevamo prima, i vincoli sono estremamente forti. Come altri di voi hanno ricordato, infatti, il sistema di controllo della finanza pubblica, soprattutto a livello europeo, impone dei comportamenti estremamente restrittivi a quei Paesi che hanno dei deficit, ma soprattutto dei debiti, più elevati. Questa è una valutazione che naturalmente non posso fare io come presidente dell'ISTAT, si tratta di una scelta politica, ma certamente - come richiamavo in precedenza - l'impatto in generale della politica nel corso del 2009 ha assorbito una parte della caduta del PIL; anzi, nel corso della preparazione del rapporto annuale e poi nei risultati che abbiamo pubblicato, abbiamo mostrato come, contrariamente a quello che ci si poteva aspettare, durante il periodo peggiore della crisi non è aumentata significativamente la quota di famiglie che fronteggiano quella che chiamiamo deprivazione. Ciò perché, purtroppo, la crisi ha colpito molto famiglie che erano già deprivate, mentre la cassa integrazione e gli altri strumenti di sostegno al reddito hanno consentito a molte famiglie di non cadere nella quota delle famiglie deprivate. Il settore pubblico e, in generale, le politiche hanno fatto da ammortizzatore di questo impatto.
Inoltre, abbiamo visto come all'interno delle famiglie ci sia stato un forte ruolo delle stesse come ammortizzatore sociale nei confronti dei giovani. La crisi occupazionale, infatti, ha colpito soprattutto i giovani, molti dei quali, però, contribuivano marginalmente al reddito familiare. Quindi, si sono salvati più i posti di lavoro


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dei genitori, che in termini complessivi contribuiscono di più al reddito delle famiglie. Questo spiega una certa tenuta dei redditi delle famiglie e una situazione - qui mi collego a quanto è stato richiamato da alcuni di voi - nella quale l'Italia ha fronteggiato complessivamente questa crisi.
In generale, in Italia abbiamo un rapporto ricchezza-reddito molto elevato e naturalmente le famiglie si sono rivolte alla ricchezza accumulata nel corso dei decenni precedenti per fronteggiare le difficoltà del momento, riducendo il tasso di risparmio. Tale tasso di risparmio, che nel 2002 era intorno al 15-16 per cento, è sceso nel 2009 - se ricordo bene - a circa il 12,6 per cento. È una tendenza graduale che abbiamo osservato. I dati trimestrali ci consentono anche un'analisi congiunturale; tra l'altro, proprio dopodomani daremo i dati del secondo trimestre relativi ai redditi delle famiglie e ai comportamenti dei vari settori istituzionali. In definitiva, le famiglie hanno fatto ricorso al risparmio. Questo ha indebolito profondamente la loro posizione patrimoniale? La risposta è negativa perché, come è stato anche richiamato in precedenza, i debiti contratti dalle famiglie, soprattutto rispetto ad altri Paesi, sono molto più ridotti. C'è un'abitudine al risparmio che ha consentito di evitare un ricorso all'indebitamento così forte come in altri Paesi.
Quanto alle proiezioni future, come sapete l'ISTAT non fa previsioni, quindi mi trovo un po' in difficoltà a rispondere ad alcune domande, ma da economista segnalo che un elemento a mio parere cruciale per capire se il tasso di crescita andrà verso il 2 per cento - piuttosto che verso l'1 per cento - ha a che fare proprio con la nostra capacità di competere sui mercati internazionali, ma - attenzione - anche sul mercato interno.
Ciò che cercavo di richiamare in precedenza è che l'aumento forte delle importazioni, che sta avvenendo in questa fase, se è un evento congiunturale in tutte le fasi di ripresa - poiché siamo un Paese che non ha materie prime, tendiamo a importarle - allora possiamo avere nel medio termine un effetto positivo sul PIL; se, invece, è un segnale di una maggiore penetrazione sui mercati nazionali delle produzioni esterne, quindi è un evento più strutturale, allora rischiamo di avere quello che nel passato abbiamo avuto, cioè un contributo relativamente piccolo della domanda estera netta sull'aumento del PIL.
Ciò potrebbe voler dire che, in presenza di questo elemento strutturale - se tale fosse - stimolare la domanda interna andrebbe molto a favore di altri Paesi e non dei produttori nazionali. È ancora presto per dare una risposta a questo quesito. Dobbiamo però notare che prima della crisi il contributo della domanda estera netta alla crescita del PIL è stato, in Italia, inferiore a quello di altri Paesi europei. Questo ci porta al tema della produttività. È vero, l'Italia ha sperimentato nel passato un periodo di crescita della produttività del lavoro più bassa rispetto alla crescita degli altri Paesi e, purtroppo, l'Italia è forse il Paese che ha la crescita della cosiddetta produttività totale dei fattori più bassa. La produttività totale dei fattori, per usare un linguaggio non tecnico, è l'efficienza con la quale noi combiniamo i fattori produttivi.
Alle persone che dopo anni tornano in Italia chiedo sempre se hanno l'impressione che per fare le stesse cose che facevano cinque anni prima si debba faticare di più: se la risposta è affermativa, significa che la produttività totale dei fattori è in calo.
Su tale aspetto la politica ha potenzialmente una grande possibilità di intervenire. Non è che la produttività multifattoriale cresce a Roma: essa cresce nelle fabbriche, nei posti di lavoro, cioè laddove la produzione avviene, ma la possibilità di liberare risorse per avere un'efficienza maggiore vuol dire poter investire maggiormente sul futuro.
Questo è il senso delle analisi sulla produttività multifattoriale. Credo che la crescita a medio termine dipenda molto - come hanno dimostrato l'OCSE e il Fondo monetario internazionale - proprio da tale crescita della produttività.


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Infine, per ciò che concerne i dati disaggregati, quelli citati in precedenza sono dati ISTAT che noi pubblichiamo regolarmente e che possiamo inviare alle Commissioni, con la disaggregazione ulteriore dei conti dell'amministrazione pubblica a livello locale, per aiutare le vostre analisi.
Credo di aver risposto a tutte le domande e spero di averlo fatto in modo esauriente.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Giovannini per la completezza della sua esposizione e per la disponibilità nei nostri confronti, ribadendo l'invito a farci pervenire l'eventuale altra documentazione che possa servire al prosieguo dei nostri lavori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.
È presente il dottor Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d'Italia, il quale è accompagnato dai dottori Daniele Franco e Sandro Momigliano e dalla dottoressa Paola Ansuini, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al dottor Saccomanni per lo svolgimento della sua relazione, alla quale seguiranno le eventuali domande dei colleghi e la replica.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ANTONIO AZZOLLINI

FABRIZIO SACCOMANNI, Direttore generale della Banca d'Italia. Per accelerare i tempi, fornisco in apertura una rapida sintesi dei temi fondamentali del nostro contributo, sui quali poi fornirò ulteriori dettagli.
Il quadro macroeconomico resta difficile: la ripresa mostra segni di debolezza. L'andamento dei conti pubblici nel 2010 appare sostanzialmente in linea con l'obiettivo di una lieve riduzione del disavanzo rispetto allo scorso anno, al 5 per cento del PIL. Il saldo primario rimarrebbe negativo e l'incidenza del debito pubblico sul prodotto salirebbe ancora, al 118,5 per cento.
La manovra triennale di bilancio anticipata a maggio ha contribuito, insieme a un miglioramento del quadro finanziario internazionale, a ridurre l'incertezza per gli operatori. Essa si fonda soprattutto sul contenimento della spesa. Le misure dal lato delle entrate si concentrano sul contrasto all'evasione. I tagli alle erogazioni in conto capitale sono significativi; si applicano a un andamento tendenziale già flettente di questa voce di spesa, cioè delle erogazioni in conto capitale.
Le stime della Decisione di finanza pubblica confermano il profilo di riduzione del disavanzo nel triennio 2011-2013 indicato con il Programma di stabilità presentato all'Unione europea all'inizio dell'anno. Nel 2012 l'indebitamento netto tornerebbe al di sotto del 3 per cento del PIL e il rapporto tra debito e prodotto inizierebbe a ridursi.
In un contesto in cui perdurano tensioni sui mercati finanziari europei, è necessario verificare costantemente il conseguimento degli obiettivi programmati, soprattutto per quanto riguarda la dinamica della spesa corrente, che nell'ultimo decennio è stata ampiamente superiore a quella del prodotto.
Le misure volte a rendere più efficiente la pubblica amministrazione e a elevare l'età di pensionamento contribuiranno a rendere strutturale il contenimento della spesa. Saranno cruciali le modalità di realizzazione del federalismo fiscale.
Una ripresa dell'economia meno intensa di quella prospettata nella Decisione di finanza pubblica renderebbe più arduo


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conseguire gli obiettivi indicati. Insieme al riequilibrio dei conti pubblici, occorre rafforzare il potenziale di crescita dell'economia. Solo un'elevata capacità competitiva del sistema produttivo cui contribuisca un settore pubblico più efficiente, può assicurare il ritorno a più alti e sostenibili tassi di crescita.
Nelle previsioni l'elevata pressione fiscale resta sostanzialmente costante. È importante che i progressi nel contenimento della spesa corrente e nel contrasto all'evasione fiscale si traducano quanto prima in riduzione delle aliquote di imposta sul lavoro e sulle imprese e in una ripresa degli investimenti pubblici.
Accenno adesso brevemente al quadro macroeconomico. Nelle principali economie avanzate la ripresa avviatasi lo scorso anno e proseguita nei primi due trimestri del 2010 mostra ancora segni di debolezza. A partire dalla metà dell'anno in corso, la crescita delle economie emergenti - che aveva sostenuto l'espansione degli scambi internazionali - si è attenuata, inducendo, insieme al graduale esaurirsi dei principali programmi di stimolo fiscale, un peggioramento del quadro congiunturale sia negli Stati Uniti sia nell'area dell'euro. Esso dovrebbe protrarsi anche negli ultimi mesi del 2010.
Anche in Italia gli indicatori disponibili prefigurano un indebolimento della ripresa dell'attività produttiva rispetto ai primi sei mesi dell'anno. Sulla base delle informazioni più recenti, le proiezioni di crescita per l'anno in corso - 1,2 per cento - contenute nel quadro macroeconomico sottostante alla DFP appaiono leggermente ottimistiche. Il rallentamento atteso per il commercio mondiale e l'esaurirsi della maggior parte dei provvedimenti di stimolo alla domanda aggregata varati dal Governo dovrebbero gravare in misura non trascurabile sulla crescita dell'attività economica, stimata in sensibile attenuazione già nel terzo trimestre.
Per il prossimo biennio, in un quadro di ripresa dell'economia mondiale, la DFP prevede un aumento del tasso di crescita del prodotto italiano, all'1,3 per cento nel 2011 e al 2 per cento a partire dal 2012. Riguardo a quest'ultimo valore appare opportuna una nota di cautela, tenuto conto del fatto che esso è pressoché doppio di quello stimabile per il prodotto potenziale dell'Italia alla vigilia della crisi.
Nel corso dell'estate si erano temporaneamente attenuate, pure in un contesto di perdurante volatilità, le tensioni sui mercati dei titoli di Stato dei Paesi dell'area dell'euro. Vi avevano contribuito, come rilevato nella Decisione di finanza pubblica, le azioni coordinate del Fondo monetario internazionale e delle autorità europee, il dispiegarsi degli effetti del programma di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della BCE e i risultati positivi degli stress test resi noti in luglio dal Comitato europeo di vigilanza del settore bancario. Le tensioni sono tornate a manifestarsi con rinnovata intensità a settembre, per poi allentarsi in questi ultimi giorni. Va ricordato che l'ampliamento dei differenziali di rendimento tra i titoli italiani e tedeschi, che è un indicatore appunto di queste tensioni, registrato nel 2010, è pressoché interamente attribuibile al calo dei tassi tedeschi, passati dal 3,4 per cento all'inizio dell'anno al 2,3 per cento a fine settembre, a fronte di una sostanziale stabilità dei tassi italiani, che erano del 3,8 per cento a fine settembre.
L'area dell'euro è oggi meglio attrezzata per fronteggiare gli effetti di un rapido e significativo intensificarsi delle tensioni sui mercati dei titoli di Stato. L'introduzione dello European Financial Stability Mechanism segna un passaggio importante nella definizione di un meccanismo efficace per la gestione delle crisi, predisponendo procedure chiare e credibili per la concessione tempestiva di assistenza agli Stati membri in serie difficoltà finanziarie. In prospettiva, saranno comunque cruciali gli interventi volti a ridurre i disavanzi e i debiti pubblici e l'introduzione di regole, a livello europeo e nazionale, volte a impedire condizioni di forte squilibrio dei conti pubblici. Su questa linea muovono le proposte formulate dalla Commissione europea lo scorso 29 settembre e quelle che


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saranno fra breve diffuse dal gruppo di lavoro presieduto dal Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy.
Vengo allo stato dei conti pubblici in Italia. Nel 2009 la crisi globale ha determinato in Italia un notevole deterioramento dei conti pubblici, anche se inferiore rispetto alle altre principali economie avanzate: l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è salito al 5,3 per cento del PIL; il saldo primario è divenuto negativo e il debito pubblico è aumentato di quasi dieci punti in rapporto al PIL.
Per il 2010 la legge finanziaria varata alla fine del 2009 non ha previsto ulteriori correzioni dei conti rispetto a quanto già stabilito con la manovra triennale definita nell'estate del 2008. L'obiettivo per il disavanzo, fissato al 5 per cento del PIL, è stato confermato nel Programma di stabilità dello scorso gennaio e nelle valutazioni della Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (RUEF) di maggio.
Anche la Decisione di finanza pubblica stima il disavanzo al 5 per cento del PIL. L'incidenza del debito sul prodotto salirebbe di circa 2,5 punti, al 118,5 per cento, come ho ricordato prima. Si tiene conto degli interventi a sostegno della Grecia, che per l'anno in corso potrebbero raggiungere 0,4 punti di PIL.
I dati sull'andamento dei conti nei primi mesi dell'anno sono sostanzialmente coerenti con la stima annua per il disavanzo. Sia il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, nei primi otto mesi, sia l'indebitamento netto del primo semestre risultano più contenuti rispetto a quelli dei corrispondenti periodi del 2009.
L'analisi dei dati disponibili più recenti segnala, inoltre, che sia la crescita delle entrate sia quella delle spese potrebbero risultare lievemente inferiori a quanto indicato nella DFP.
Secondo le stime della Decisione, nel 2010 le entrate complessive aumenterebbero dell'1,7 per cento rispetto all'anno precedente; la pressione fiscale si ridurrebbe dal 43,2 al 42,8. Tali andamenti riflettono il venir meno di larga parte degli introiti straordinari del 2009, inclusi nelle imposte in conto capitale. Al netto di tali imposte, le entrate aumenterebbero di oltre il 3 per cento e la pressione fiscale aumenterebbe lievemente dal 42,4 nel 2009 al 42,6 per cento del PIL.
Nelle stime dell'ISTAT le entrate del primo semestre del 2010 si sono contratte dello 0,8 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2009. Al netto delle imposte in conto capitale, esse risultano sostanzialmente stabili e le stime della DFP implicano una loro crescita di quasi il 6 per cento nel secondo semestre.
Nei primi nove mesi dell'anno le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono diminuite dell'1,8 per cento - ovverosia di 5 miliardi di euro - rispetto al corrispondente periodo del 2009. Tali entrate non risentono delle compensazioni d'imposta richieste dai contribuenti, che sono fortemente calate - oltre 7 miliardi nei primi sette mesi dell'anno, in base alle stime diffuse dal Ministero dell'economia e delle finanze - accrescendo i versamenti effettivi.
Nelle stime della DFP la spesa complessiva è stata rivista lievemente al rialzo rispetto a quanto indicato nella RUEF lo scorso maggio: essa dovrebbe crescere dell'1,1 per cento rispetto al 2009, a fronte dello 0,9 per cento nelle stime della RUEF. Le spese primarie correnti aumenterebbero del 2,2 per cento, poco meno della metà del tasso medio annuo registrato nell'ultimo decennio. La loro incidenza sul prodotto rimarrebbe sui livelli massimi già raggiunti nel 2009, ossia intorno al 43,5 per cento.
La spesa in conto capitale si ridurrebbe del 9,6 per cento, ossia al 3,8 per cento del PIL, riportandosi su livelli prossimi, in termini nominali, a quelli del 2005.
Secondo i dati dell'ISTAT, nei primi sei mesi del 2010 le spese complessive si sono ridotte dello 0,9 per cento, principalmente per il calo delle erogazioni in conto capitale (20,4 per cento). La spesa primaria corrente è invece aumentata dello 0,9 per cento.
Dato l'andamento fin qui registrato delle entrate, se nei prossimi mesi non si


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verificherà un'accelerazione delle spese, sarà possibile conseguire l'obiettivo per il disavanzo dell'anno.
Passiamo ora ad esaminare il percorso di rientro delineato dalla DFP.
La DFP stima un indebitamento netto pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011 e al 2,7 nel 2012, in linea con gli obiettivi indicati nel Programma di stabilità del gennaio scorso e confermati dalla RUEF. Il disavanzo continuerebbe a ridursi anche nel 2013, collocandosi al 2,2 per cento. Le previsioni scontano la piena efficacia degli interventi di contenimento della spesa e dell'evasione fiscale previsti dalla manovra correttiva della scorsa estate.
Il saldo primario tornerebbe positivo nel 2011, allo 0,8 per cento del prodotto, per poi crescere di ulteriori 1,8 punti percentuali nel biennio successivo. Il miglioramento del saldo nel triennio è interamente attribuibile alla spesa primaria, che nel 2011 dovrebbe contrarsi in termini nominali, per poi crescere a un tasso medio dell'1,6 per cento nel biennio successivo.
La spesa primaria corrente aumenterebbe dello 0,5 per cento nel 2011 e di poco meno del 2 per cento in media nel biennio 2012-2013. L'incidenza sul PIL si ridurrebbe dal 43,5 per cento stimato per il 2010 al 40,8, un valore comunque ancora superiore a quello del 2008.
Nelle previsioni della DFP la spesa in conto capitale continua a ridursi in termini nominali nel triennio 2011-2013. In particolare, dopo la flessione del 9,7 per cento attesa per l'anno in corso, gli investimenti scendono complessivamente del 14,6 per cento nel biennio 2011-2012, per poi crescere del 3,3 nel 2013. Il rapporto tra investimenti e prodotto, pari nel 2009 al 2,4 per cento, scende nel 2013 all'1,7 per cento.
Rispetto alla RUEF la spesa per interessi viene rivista al ribasso in maniera significativa nel 2011 e nel 2012, rispettivamente di 3,2 e 6,9 miliardi. Tali revisioni sono coerenti con l'evoluzione dei tassi a termine impliciti nella curva dei rendimenti sui titoli di Stato. In rapporto al PIL, la spesa per interessi aumenterebbe gradualmente, dal 4,6 per cento previsto per l'anno in corso al 4,8 nel 2012.
L'incidenza delle entrate complessive diminuirebbe lievemente; la pressione fiscale rimarrebbe stabile per tutto il periodo 2011-2013, attorno al 42,5 per cento.
Il debito pubblico inizierebbe a ridursi a partire dal 2012, raggiungendo il 115,2 per cento nell'anno successivo, un livello prossimo a quello registrato nel 1998.
Nell'ambito del processo di riforma della governance europea presentato alla fine di settembre, la Commissione propone di rendere operativa la regola della Procedura per i disavanzi eccessivi relativa al debito, in base alla quale l'incidenza sul PIL del debito delle amministrazioni pubbliche non deve essere superiore al 60 per cento o, se superiore, deve diminuire a un ritmo adeguato. Nella proposta della Commissione quest'ultimo ritmo adeguato viene quantificato in una riduzione annua - nel triennio precedente a quello in cui si effettua la valutazione - dell'ordine di un ventesimo della differenza fra il debito e la soglia del 60 per cento.
La maggiore enfasi posta sul debito è da considerarsi positivamente. Vanno però valutati con attenzione i tempi di applicazione del nuovo criterio per la sua valenza retrospettiva.
La Decisione di finanza pubblica riporta anche l'articolazione per sottosettori - cioè amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza - del conto economico delle amministrazioni pubbliche, secondo quanto stabilito dalla legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).
Rispetto al passato, questa novità aumenta l'informazione disponibile per l'analisi dell'evoluzione attesa dei conti pubblici, rendendo tra l'altro più trasparente l'apporto dei diversi livelli di governo al riequilibrio della finanza pubblica.
Per brevità, ometto la parte della mia relazione nella quale descriviamo i dati sottosettoriali della Decisione di finanza pubblica e passo, adesso, ad alcuni approfondimenti di carattere più politico.


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Il percorso di risanamento delineato dalla Decisione di finanza pubblica si fonda su due pilastri: il controllo della spesa, per il quale nel medio termine sono cruciali l'attuazione del federalismo fiscale e le azioni intraprese nel settore delle pensioni, e il contrasto all'evasione fiscale.
Nella primavera del 2009 il Parlamento ha approvato la legge delega n. 42, che ridefinisce i rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, rafforzando l'autonomia impositiva di questi ultimi. Il nuovo assetto poggia sulla determinazione di costi e fabbisogni standard per il finanziamento delle funzioni decentrate, tenendo conto di una necessaria componente di solidarietà.
Sul contenuto della legge delega ha già riferito al Senato, il 18 novembre 2008, il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Ignazio Visco.
La legge delega ha fissato la cornice generale del nuovo sistema e ha posto un termine di due anni al Governo per l'adozione dei decreti legislativi attuativi della riforma. L'intero impianto applicativo della riforma dovrà essere, quindi, messo a punto entro il maggio del 2011. Seguirà un periodo transitorio di cinque anni, caratterizzato dal progressivo abbandono del criterio della spesa storica e il nuovo assetto dovrebbe entrare a regime nel 2016.
Negli ultimi mesi sono stati compiuti alcuni passi avanti per dare corpo alla riforma, in ottemperanza alle prime scadenze indicate dalla legge delega. In maggio e in settembre sono stati approvati due decreti delegati: il primo riguarda l'attribuzione di una parte del patrimonio demaniale agli enti territoriali, il secondo definisce in via transitoria l'ordinamento di Roma capitale. Alla fine di giugno è stata inoltre presentata al Parlamento una relazione sul quadro generale di finanziamento degli enti territoriali. Al momento sono, inoltre, all'esame del Parlamento alcuni schemi di decreto legislativo che riguardano la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali e l'assetto delle entrate tributarie dei comuni.
La definizione normativa degli aspetti cruciali della riforma è, in alcuni casi, ancora in fase iniziale - in particolare, la determinazione dei costi e di fabbisogni standard dei servizi sanitari e le entrate tributarie delle regioni - in altri è ancora da avviare, come la perequazione fiscale, i premi e le sanzioni per gli amministratori locali, i fabbisogni standard per il trasporto pubblico locale. Per rispettare il termine stabilito per l'esercizio della delega sarà pertanto richiesto uno sforzo notevole.
L'attuazione del federalismo fiscale è un'occasione importante per razionalizzare la spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi forniti ai cittadini. Affinché questi obiettivi siano conseguiti sono necessari vincoli di bilancio rigidi, meccanismi di perequazione trasparenti, margini di autonomia nella fissazione delle aliquote, rilevazioni sistematiche della qualità dei servizi forniti. Il decentramento deve anche rafforzare il controllo dei cittadini sull'operato degli amministratori locali e la concorrenza tra enti nella fornitura dei servizi.
È urgente avviare la transizione della spesa storica al costo standard: il passaggio potrebbe essere relativamente più agevole in campo sanitario, considerata la relativa omogeneità della spesa sul territorio nazionale e facendo leva sull'esperienza già maturata nel settore, unita a una maggiore disponibilità di informazioni statistiche. Il «federalismo sanitario» potrebbe rappresentare un modello da applicare, con le necessarie modifiche, ad altri settori, in modo da accelerare il percorso per l'attuazione della riforma.
La spesa per pensioni assorbe una quota rilevante di risorse pubbliche: il 15,3 per cento del PIL nel 2010, come indicato nella DFP. Gli interventi inclusi nella manovra triennale costituiscono un significativo passo nella direzione del contenimento della sua dinamica di lungo periodo, un elemento essenziale per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici. Essi prevedono il posticipo della decorrenza del pensionamento, l'accelerazione dell'incremento dei requisiti di anzianità anagrafica


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per le lavoratrici del pubblico impiego e l'attuazione delle misure sull'adeguamento automatico alle attese di vita, dal 2015, dei requisiti anagrafici per il pensionamento.
La DFP stima che queste misure determineranno significativi risparmi strutturali di spesa, grazie ai quali nei prossimi tre decenni l'incidenza della spesa per pensioni sul PIL rimarrebbe al di sotto del livello atteso per il 2011 (pari al 15,4 per cento).
Gli interventi attuati negli ultimi anni si sono mossi nella direzione di un prolungamento della vita lavorativa. Essi hanno risposto alla necessità di attenuare il rischio che le pensioni future non garantiscano un tenore di vita adeguato; hanno mirato, inoltre, a ripartire più equamente tra le generazioni gli oneri crescenti derivanti dall'invecchiamento della popolazione.
Il processo di riforma del sistema pensionistico dovrebbe essere ora completato uniformando gradualmente l'età di pensionamento dei diversi gruppi di lavoratori, offrendo maggiore flessibilità nelle scelte di pensionamento e rendendo più tempestivi gli aggiustamenti dei coefficienti del regime contributivo.
Nel confronto internazionale, il sistema fiscale italiano è caratterizzato da un elevato prelievo complessivo a carico dei contribuenti che ottemperano pienamente agli obblighi. Il cuneo fiscale sul lavoro è superiore di circa cinque punti alla media degli altri Paesi dell'area dell'euro. Il prelievo sui redditi di lavoro più bassi e quello sulle imprese, escludendo l'IRAP, sono più elevati di circa sei punti.
Nelle previsioni della DFP la pressione fiscale, che nel 2009 superava di 4,2 punti quella media degli altri Paesi dell'Unione europea, diminuisce di 0,8 punti del prodotto tra il 2009 e il 2013 al 42,4 per cento. La flessione rifletterebbe il venir meno delle imposte una tantum prelevate nel 2009.
Secondo le stime dell'ISTAT il valore aggiunto dell'economia sommersa nel 2008, ossia il valore delle attività legali che sfuggono alla misurazione diretta perché svolte contravvenendo a norme tributarie e contributive, si è collocato tra il 16,3 e il 17,5 per cento del PIL; la stima massima deriverebbe per oltre un terzo dall'impiego di lavoro irregolare e sarebbe concentrata nel settore dei servizi.
Le valutazioni disponibili indicano che il fenomeno dell'evasione dell'IVA è particolarmente rilevante. È possibile stimare con una certa approssimazione che il livello dell'evasione di questa imposta è stato pari al 30 per cento della base imponibile nella media del periodo 2005-2008; in termini di gettito, si tratta di oltre 30 miliardi l'anno, 2 punti di PIL.
In Italia le dimensioni dell'evasione appaiono significativamente più ampie di quelle di economie avanzate a noi confrontabili. Una recente analisi del Fondo monetario internazionale basata su dati del 2006 stima per il nostro Paese una perdita di gettito dell'IVA dovuta all'evasione fiscale pari, in rapporto al prodotto, a oltre il doppio di quella della Germania e della Francia.
Le norme riguardanti le compensazioni dell'IVA entrate in vigore dal primo gennaio scorso rappresentano un passo importante verso la riduzione dell'evasione di questa imposta. Dall'applicazione delle norme è derivato uno slittamento temporale del ricorso a questo strumento, ma anche, probabilmente, una riduzione strutturale degli importi compensati.
L'evasione fiscale rappresenta un freno alla crescita perché sottrae risorse alle collettività, richiedendo un prelievo più elevato per i contribuenti che ottemperano agli obblighi fiscali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti, distorce la concorrenza. La riduzione dell'evasione può rappresentare una rilevante leva di sviluppo, soprattutto se il recupero di gettito verrà nel medio termine utilizzato per ridurre le aliquote fiscali ridistribuendo in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti.
Vengo ad alcune considerazioni finali sul riequilibrio dei conti e sulla crescita economica.


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La manovra triennale sui conti pubblici, anticipata rispetto alle consuete scadenze, ha contribuito a ridurre l'incertezza tra gli operatori economici.
È necessario un impegno costante nella fase di implementazione della manovra, prevedendo verifiche tempestive e accurate dei risultati del contrasto all'evasione e dell'attività di controllo della spesa corrente, per la quale, come ho già detto, gli obiettivi sono particolarmente ambiziosi.
Nell'ultimo decennio la spesa primaria corrente è aumentata del 4,6 per cento l'anno, salendo in rapporto al PIL di 5,3 punti percentuali, fino al 43,5 per cento. Nelle stime della DFP aumenta dello 0,5 per cento nel 2011 e di poco meno del 2 per cento in media nel biennio 2012-2013. Se si decidesse di ridurre gli ingenti tagli delineati per la spesa in conto capitale, la dinamica della spesa primaria corrente dovrebbe essere ancora più bassa.
Un contributo al contenimento della spesa potrà venire dalle riforme avviate in materia di federalismo fiscale e pubblico impiego. Siamo all'inizio della fase di attuazione di queste riforme e serve un forte impegno per completarle in tempi brevi. Occorre vigilare, inoltre, affinché i vincoli alla spesa non si traducano in un ulteriore aumento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche verso il settore privato.
Il principale fattore di debolezza dell'Italia sotto il profilo finanziario è dato dall'ingente debito pubblico. Stante l'elevata pressione fiscale, l'azione della spesa pubblica è essenziale per raggiungere un consistente avanzo primario e ricondurre il debito su un sentiero di rapida riduzione, mettendo al riparo il nostro Paese dai rischi legati alla volatilità dei mercati finanziari e rendendolo maggiormente in grado di affrontare gli oneri connessi con l'invecchiamento della popolazione, che rimangono elevati soprattutto nel campo della sanità e dell'assistenza.
Occorre, in particolare, raggiungere un adeguato livello dell'avanzo primario prima che i tassi di interesse si riportino su livelli più alti.
Il raggiungimento degli obiettivi potrebbe essere, inoltre, a rischio, soprattutto a partire dal 2012, nel caso il tasso di crescita dell'economia risultasse inferiore a quello indicato nella Decisione di finanza pubblica.
Il riequilibrio duraturo dei conti pubblici passa anche per il rafforzamento del potenziale di crescita dell'economia. Nel decennio che ha preceduto la crisi il tasso medio di crescita dell'economia italiana è stato pari all'1,4 per cento, inferiore di un punto alla media dell'area dell'euro. Nello stesso periodo, la produttività di un'ora di lavoro è aumentata in media di poco meno di mezzo punto percentuale all'anno rispetto a oltre un punto nell'area dell'euro.
L'uscita dalla crisi deve essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali che accrescano la produttività e la competitività del nostro Paese.
Una decisiva azione di liberalizzazione può rappresentare un'importante leva di sviluppo. Vi sono ampie evidenze che una regolazione che favorisca la concorrenza nei comparti dei servizi ha effetti positivi sulla crescita della produttività dell'industria, perché agevola la riallocazione delle risorse verso i settori e le imprese più efficienti. L'impatto è particolarmente positivo nei settori ad alta intensità tecnologica.
I processi di liberalizzazione avviati in Italia negli ultimi anni in molti comparti dei servizi si sono arrestati. Permangono ostacoli normativi, forme di autoregolamentazione anticoncorrenziali ed è insufficiente il ruolo delle autorità di regolazione indipendenti.
Indicazioni di tali insufficienze provengono dalle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dalle analisi dell'OCSE sull'intensità della regolazione anticoncorrenziale e da nostre analisi, riferite in particolare ai servizi pubblici locali. Emerge una posizione dell'Italia più arretrata rispetto ai principali Paesi dell'OCSE nei comparti del trasporto aereo, della distribuzione del gas, dei servizi postali, dei trasporti ferroviari e dei servizi professionali.


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Le infrastrutture sono un elemento chiave della capacità di crescita di un Paese. L'evidenza dell'impatto positivo del capitale pubblico sulla performance del sistema economico è abbondante. Per l'Italia, le stime indicano che per ogni punto percentuale di aumento dello stock di capitale pubblico il prodotto può crescere fino allo 0,6 per cento nel lungo periodo. Le misure disponibili concordano generalmente nel segnalare un ritardo dell'Italia rispetto ai principali Paesi europei in termini di dotazione infrastrutturale. Alla luce di queste considerazioni, appare problematica la drastica riduzione delle spese per investimenti previste nel prossimo biennio.
L'Italia non spende meno degli altri principali Paesi europei: la spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche italiane è superiore a quella media dei Paesi dell'area dell'euro e inferiore, tra i principali Paesi dell'area, solo a quella della Spagna. Il ritardo infrastrutturale del nostro Paese riflette soprattutto il modo in cui le risorse vengono spese.
Un'azione di riqualificazione degli interventi potrebbe mitigare l'impatto sullo stock di capitale pubblico della diminuzione delle risorse finanziarie destinate agli investimenti.
Come ha visto, presidente, ho saltato i cosiddetti «corpi piccoli» della relazione che ho depositato agli atti e che è a disposizione, dove sono, peraltro, riportate importanti notizie di dettaglio e dati statistici.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

PRESIDENTE. La ringrazio. I colleghi potranno chiaramente approfondire i contenuti della relazione che ha depositato agli atti.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PIER PAOLO BARETTA. Ringrazio molto il dottor Saccomanni per la sua relazione. Sarò schematico anche per evidenti ragioni di tempo.
Dottor Saccomanni, mi sembra che il perno del ragionamento da lei sviluppato poggi su questa affermazione: una ripresa dell'economia meno intensa di quella prospettata dalla Decisione di finanza pubblica renderebbe arduo il raggiungimento degli obiettivi. Siamo, quindi, a un minimo che bisogna assolutamente rispettare. Queste previsioni, tuttavia, dipendono dal raggiungimento pieno degli obiettivi fissati, cioè il contenimento della spesa e il contrasto all'evasione fiscale.
Una prima considerazione è che nei tagli alla spesa che rendono questo assunto praticabile non ci sono solo spese strutturali, ma anche spese congiunturali. Mi chiedo quale effetto di rimbalzo potrebbe prodursi: per citare un solo esempio, riferito agli stipendi dei dipendenti pubblici, non credo che sia possibile reiterare il blocco previsto per due o tre anni. Quali effetti potrebbero produrre nel medio periodo, che non è molto lontano, visto che anche tutto il vostro ragionamento è calcolato sul medio-breve periodo e non sull'immediato?
Contemporaneamente, voi affermate che, per favorire questo equilibrio tra il mantenimento degli obiettivi minimi e il rispetto delle previsioni, probabilmente è necessario che tutti i risparmi che si ottengono vengano tradotti in riduzione delle imposte sul lavoro e in aumento degli investimenti. In altre parole, lo schema che proponete è andare avanti con il contenimento della spesa e con il contrasto all'evasione, ma senza che tutto il ricavato venga destinato automaticamente all'ulteriore abbassamento del debito; al contrario, deve servire in questa quota parte - non spendendo più dell'oggi, ma spendendo quanto si ricava - a favore della riduzione delle tasse su imprese e lavoro, e a favore degli investimenti pubblici.
A me pare che tutto ciò non corrisponda alla tesi della legge di stabilità esclusivamente tabellare. Non le chiedo


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una risposta su questo, ma mi pare che il problema che abbiamo è se, a fronte di tale scenario, possiamo accontentarci del fatto che tutti gli interventi siano predatati alla manovra dello scorso luglio. Ritengo che il nostro problema sia questo e lo sollevo.
La seconda osservazione riguarda il quadro europeo a cui lei ha fatto riferimento. In tale senso, anche a noi sembra che l'intervento dei due fattori, governance e semestre europeo, cambi obiettivamente le regole del gioco, tant'è che dovremo modificare la riforma della contabilità pubblica che abbiamo appena realizzato.
Abbiamo chiesto ieri al Governo e al Ministro Tremonti di venire in Parlamento prima del prossimo 12 novembre, data entro la quale l'Italia deve consegnare a Bruxelles la prima delle note che poi faranno parte del pacchetto del semestre europeo. La mia domanda non è politica. Vorrei sapere qual è la vostra valutazione sull'impatto che le regole europee possono avere sul quadro di riferimento sia contabile sia gestionale italiano e quale previsione fate sui comportamenti che dovremmo tenere come Paese.

MASSIMO POLLEDRI. Anch'io ringrazio il direttore Saccomanni per la relazione, tutto sommato favorevole in un periodo di pessimismo eccezionale.
L'apertura al federalismo è sicuramente una scommessa, ovviamente una scommessa molto difficile, che richiederà grande coraggio da parte di tutti. Ci sono amministrazioni sanitarie di cui non si conosce ancora il debito: l'altro giorno eravamo a Reggio Calabria e abbiamo chiesto al direttore generale a quanto ammontasse più o meno il bilancio della ASL e non abbiamo ottenuto una risposta indicativa. È ovvio che la situazione del disavanzo è dovuta anche a una serie di misure storiche che saranno difficilmente aggredibili.
La prima richiesta che volevo rivolgere, riguardo all'evasione fiscale e all'evasione nel mondo del lavoro, è un maggior approfondimento sul lavoro nero e sull'evasione dell'IVA. Il lavoro nero oggi è concentrato soprattutto in alcune zone ed è un fattore che incide pesantemente.
La seconda domanda, che ho già posto prima al presidente dell'ISTAT, riguarda il risparmio. Lo scarso indebitamento delle famiglie è stato sicuramente una leva positiva per il mantenimento del tessuto sociale ed è stato un elemento che probabilmente ha contribuito a una crescita bassa; ma in altri Paesi, come gli Stati Uniti, l'aumento del PIL è dovuto all'aumento dell'indebitamento delle famiglie. L'indebitamento delle famiglie aumenta la ricchezza, ma prima o poi si deve pagare. In che modo valuta questo andamento e quali sono, a suo giudizio, le linee tendenziali per il futuro?

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio per questo contributo. Tra le righe leggiamo un forte richiamo alla prudenza. Banca d'Italia - viene anche detto espressamente - giudica le previsioni particolarmente ambiziose.
Vorrei chiedere quali potrebbero essere le cautele che dovremmo mettere in atto, affinché il mancato raggiungimento degli obiettivi non ricada ancor più negativamente sulla nostra situazione economica. Qualcuna l'avete già indicata e l'onorevole Baretta faceva riferimento al fatto che, di fronte a un prelievo fiscale che considerate troppo gravoso nel confronto internazionale, il recupero di evasione deve necessariamente essere indirizzato verso l'abbassamento della pressione fiscale.
Lei ha espresso un giudizio positivo sulla manovra di maggio, però proprio quella manovra ha scontato effetti positivi - in termini di bilancio - dalla lotta all'evasione fiscale, ma non si è orientata in direzione di un calo del prelievo fiscale.
Un'ulteriore considerazione - se ho ben capito, e di questo le chiedo conferma - riguarda l'effetto che potrebbe avere sulla crescita una maggiore domanda interna. Ci diceva poco fa l'ISTAT che questa ha subito la flessione maggiore. Vorrei sapere se, considerata tale flessione, sarebbe utile una rivisitazione del carico fiscale. Oltre a fissare le aliquote, i tetti e l'ammontare del prelievo fiscale, forse si


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dovrebbe meglio distribuire il carico fiscale fra le diverse categorie di contribuenti e, quindi, avere benefici effetti sulla domanda interna. Ciò sarebbe un forte fattore di crescita che inciderebbe positivamente sui conti.

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Saccomanni per la replica.

FABRIZIO SACCOMANNI, Direttore generale della Banca d'Italia. Sul punto sollevato dall'onorevole Baretta, è certamente vero che non si può prevedere un permanere del blocco delle retribuzioni al di là del periodo inserito nella manovra. Nella relazione abbiamo indicato che la spesa pubblica in generale, soprattutto nei canali della spesa sanitaria, della spesa previdenziale e della spesa per la gestione delle infrastrutture, dovrà essere tenuta sotto controllo e si dovrà tenere conto del fatto che, a un certo momento, queste misure, concepite come temporanee, verranno meno.
È un impegno effettivamente molto ambizioso, ma non impossibile da raggiungere se si svolgerà un'azione comprensiva e strutturata che copra i vari settori della finanza pubblica e, soprattutto, se ci sarà, attraverso questo progresso nel campo del federalismo fiscale, un maggiore controllo della spesa decentrata, con tutto ciò che questo comporta.
L'onorevole Baretta accennava anche alla necessità, da noi indicata, di collegare la lotta all'evasione fiscale con la riduzione delle tasse, e anche l'onorevole Vannucci ha fatto riferimento a tale punto. Evidentemente non è possibile che questo si compia simultaneamente. È chiaro che prima bisogna conseguire risultati durevoli e permanenti nella lotta all'evasione e poi, nel medio periodo, aggiustare adeguatamente il carico fiscale.
Come abbiamo visto nella discussione sulle misure adottate per combattere l'evasione dell'IVA, ci sembra che ci possa essere, in effetti, una componente strutturale che potrebbe durare nel tempo. Si tratta di verificarlo per capire in che misura essa possa essere un fatto acquisito e non temporaneo.
Per quanto riguarda, infine, l'impatto della riforma del quadro di governance di finanza pubblica europeo, credo che, da un punto di vista procedurale, una volta inviato il Piano di stabilità alle istituzioni europee, sarà necessario, a livello di Governo e Parlamento, tenere in considerazione le reazioni e i commenti. Da un punto di vista strettamente procedurale, il fatto di anticipare e soprattutto collegare e fare simultaneamente il punto su tutti gli interventi di finanza pubblica a livello europeo - nel cosiddetto semestre -, a mio parere è un dato molto positivo. È un passo, se non proprio verso un governo europeo della finanza pubblica, almeno verso una forma di coordinamento degli interventi di finanza pubblica, che finora non c'è stata. Penso anche che, una volta recepiti i suggerimenti derivanti da questo coordinamento e da questo confronto europeo, dovrebbe essere necessario riferire nuovamente in Parlamento sul risultato di tale processo.
È positivo che questo dibattito venga anticipato e, quindi, da questo punto di vista, la nostra valutazione è favorevole, anche se ci rendiamo conto che si renderà necessario qualche cambiamento nelle procedure appena approvate e forse anche nella «toponomastica» dei documenti, che hanno cambiato nome e che, periodicamente, nella fase finale dell'anno, debbono essere predisposti.
Vengo alle domande dell'onorevole Polledri. Certamente, come abbiamo già detto da tempo, riteniamo che il federalismo fiscale sia una scommessa, e una scommessa da vincere, altrimenti sarà difficile riportare la finanza pubblica sotto controllo.
Io ritengo, come ho detto precedentemente, che il collegamento tra l'evasione fiscale e la riduzione delle imposte debba essere un processo da valutare e attuare in un'ottica di medio periodo.
Per quanto riguarda il risparmio delle famiglie, certamente lo scarso indebitamento e, soprattutto, la forte ricchezza sia reale che finanziaria delle famiglie italiane, sono stati fattori di stabilità nella valutazione che i mercati finanziari internazionali


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hanno dato sulla maggiore o minore sostenibilità delle finanze pubbliche dei Paesi europei. Anche se formalmente tale criterio non è recepito nei documenti ufficiali europei, mi sembra, però, che le valutazioni dei mercati abbiano realizzato una sorta di ranking, di classificazione dei vari Paesi, in cui certamente l'Italia è in una posizione che tiene conto - in maniera positiva - del fatto che evidentemente esiste una solidità finanziaria che non è solo riflessa dal dato grezzo del debito pubblico.
Non dimentichiamoci, tra l'altro, che il debito pubblico dell'Italia è superiore a quello della Spagna, ma il rating che il mercato dà alla Spagna, in termini di spread, è superiore a quello dell'Italia. È evidente, quindi, che, pur essendo il debito più basso, il mercato fa una valutazione complessiva, che tiene conto dell'entità della ricchezza privata o del poco debito. Questo è un elemento importante, perché abbiamo visto che, nel corso della crisi, in molti Paesi, anche importanti come gli Stati Uniti o il Regno Unito, il debito privato, che era cresciuto a dismisura, è poi diventato in parte debito pubblico.
Tale rischio, secondo gli analisti del mercato, non è significativo per l'Italia. Del resto, è stato provato che, nella fase di tensione dei sistemi finanziari e bancari, il ricorso che le banche e le istituzioni finanziarie italiane hanno dovuto fare al sostegno pubblico è stato estremamente limitato, se rapportato a quello di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma anche la stessa Germania e alcuni Paesi del Benelux. Questo è certamente un fattore di stabilità generale.
Mi si chiedeva poi quali sono le linee tendenziali. Il risparmio privato italiano è senz'altro diminuito nel tempo e l'indebitamento delle famiglie, soprattutto attraverso il canale del credito al consumo, è cresciuto. Ciò, per certi versi, è del tutto fisiologico e fornisce un sostegno alla domanda, ma è comunque un elemento da guardare con attenzione, perché permangono ancora tensioni sui mercati finanziari e certamente l'attenzione degli operatori e degli analisti finanziari per i Paesi ad alto debito rimane molto forte.
A proposito delle osservazioni dell'onorevole Vannucci, confermo che è certamente in linea con la nostra tradizione il richiamo alla prudenza. Ci sono dei rischi nelle nostre previsioni, non solo di finanza pubblica, ma innanzitutto per quanto riguarda l'economia italiana, che in un certo senso non dipendono da noi. C'è un quadro internazionale di ripresa che, peraltro, mostra una certa flessione, non grave, ma tale da suscitare qualche incertezza, anche e soprattutto negli Stati Uniti, dove ci si comincia a chiedere se questo non sia l'inizio di un secondo tuffo verso il basso, il cosiddetto double deep.
Il quadro internazionale influenza molto la nostra economia, perché abbiamo constatato che in questo periodo di crisi c'è stato effettivamente un ristagno della domanda interna per consumi e per investimenti e quel po' di crescita, che si è realizzato tra il 2009 e il 2010, è essenzialmente dovuto al traino della domanda estera, di cui si sono avvantaggiati principalmente i settori e le imprese in grado di competere sui mercati internazionali. Le imprese che, invece, mirano esclusivamente alla domanda interna hanno subito una contrazione.
Il quadro, però, come confermato anche dalle stime internazionali, prevede una ripresa più sostenuta nel 2012. Certo, la crisi ha prodotto dei cambiamenti strutturali o paradigmatici. Non si può pensare di ritornare ai livelli di crescita dei consumi, in particolare dei consumi finanziati attraverso l'indebitamento, e ipotecando presunti aumenti del valore delle case che potrebbero non verificarsi. Tale modello di crescita si è certamente interrotto. Anche a livello internazionale c'è un'esigenza di riequilibrio che, dal lato, per esempio, dei Paesi in disavanzo come gli Stati Uniti, richiede la necessità di contenere la domanda interna e puntare di più sulle esportazioni, mentre in Paesi come la Cina la terapia è inversa, poiché si punta fortemente


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sul rilancio della domanda interna, soprattutto per consumi, e sulla riduzione dell'avanzo commerciale.
In questo quadro noi siamo, naturalmente, osservatori attenti e seguiamo l'andamento dell'economia.
In Europa c'è stato un forte rilancio dell'attività economica in Germania e sarebbe stato un bene se l'Italia avesse potuto agganciarsi in maniera più significativa a questo traino. Abbiamo il problema del recupero della produttività e della competitività, a sua volta legato alle riforme strutturali di cui ho parlato, al miglioramento della nostra rete infrastrutturale, alle strategie di liberalizzazione, in particolare nei comparti dei servizi e del commercio.
Questi fattori inducono a essere cauti, a maggior ragione sul piano della gestione della finanza pubblica. L'andamento della spesa, soprattutto corrente, e delle entrate deve essere attentamente monitorato per evitare che ci siano deviazioni rispetto alla previsione.
In questo scenario, la rivisitazione della fiscalità - l'ultimo punto toccato dall'onorevole Vannucci - è certamente necessaria. La relazione mette in luce il fatto che, in Italia, la tassazione dei redditi più bassi è eccessiva rispetto a quanto accade in altri Paesi, come pure è elevata la tassazione sulle imprese. Chiaramente, dati i vincoli di finanza pubblica, ciò deve comportare una riallocazione e una redistribuzione del carico fiscale. Tale redistribuzione, però, è tanto più facile da attuare quanto più sostenuti sono i ritmi di crescita dell'economia: in un'economia flettente o stagnante è ovvio che queste strategie sono sempre più difficili. L'imperativo è quello di riattivare al più presto i meccanismi di crescita dell'economia italiana e, se il contesto internazionale ci sarà favorevole, ciò si potrà di certo realizzare.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Saccomanni e i suoi collaboratori per la disponibilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 22,05.

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