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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V Camera e 5a Senato)
3.
Giovedì 7 ottobre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 5 6 7
Giancane Gaetano, Assessore al bilancio della regione Campania ... 5 6
Nannicini Rolando (PD) ... 6
Quaglia Giovanna, Assessore al bilancio e finanze, risorse umane e patrimonio e pari opportunità della regione Piemonte ... 3 6
Vannucci Massimo (PD) ... 5

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 7 10 11
Galletti Gian Luca, Presidente ... 13 16 19 20 22
Borghi Enrico, Presidente dell'UNCEM ... 13
Calvisi Giulio (PD) ... 20
Castiglione Giuseppe, Presidente dell'UPI ... 11
Chiamparino Sergio, Presidente dell'ANCI ... 8 20 21
Leo Maurizio, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma ... 10 22
Marchi Maino (PD) ... 18
Nannicini Rolando (PD) ... 17
Vannucci Massimo (PD) ... 16

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Galletti Gian Luca, Presidente ... 22 29 32 35
Calvisi Giulio (PD) ... 29
Duilio Lino (PD) ... 31
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 32 35
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 22 32
Mazzillo Luigi, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 34
Meloni Maurizio, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 33
Nannicini Rolando (PD) ... 32
Pala Maurizio, Consigliere della Corte dei conti ... 33
Vannucci Massimo (PD) ... 30

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato):

Galletti Gian Luca, Presidente ... 35 38 40 41
Duilio Lino (PD) ... 38
Marzano Antonio, Presidente del CNEL ... 35 40
Nannicini Rolando (PD) ... 39
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
5a (PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 7 ottobre 2010


Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Sono presenti la dottoressa Giovanna Quaglia, assessore al bilancio e finanze, risorse umane e patrimonio e pari opportunità della regione Piemonte, e il dottor Gaetano Giancane, assessore al bilancio della regione Campania, accompagnati dal dottor Paolo Alessandrini e dal dottor Michele Bove, che ringrazio per essere intervenuti.
Do loro la parola per lo svolgimento della relazione.

GIOVANNA QUAGLIA, Assessore al bilancio e finanze, risorse umane e patrimonio e pari opportunità della regione Piemonte. Buongiorno a tutti. Innanzitutto vorrei precisare che io e l'assessore Giancane, che fa parte della delegazione, rappresentiamo la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Mi scuso per l'assenza del presidente della regione Basilicata De Filippo, che aveva precedentemente dato la conferma per quest'audizione. Un impegno in Conferenza l'ha trattenuto.
Deposito agli atti, in modo che possa essere distribuita, copia della relazione che la Conferenza ha elaborato. Cercherò di riassumerne in breve i passaggi di rilievo.
La nuova legge di contabilità e finanza pubblica - legge n. 196 del 2009 - introduce novità di rilievo sul ciclo della programmazione, sulla tempistica, sulla denominazione e sui contenuti degli strumenti di programmazione economico-finanziaria.
Il ciclo di programmazione inizia il 15 luglio con l'invio da parte del Governo alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici e prosegue con la presentazione alle Camere entro il 15 settembre dello schema della Decisione di finanza pubblica.
La Decisione di finanza pubblica è destinata a essere sostituita già il prossimo anno con i nuovi documenti politico-contabili europei, come deciso nel maggio scorso dai Capi di Stato e di Governo, e sarà istituita una sessione di bilancio europea.


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La Commissione ha istituito un coordinamento strategico dei diversi momenti di definizione programmatica per i Paesi membri, organizzando il cosiddetto «semestre europeo». La pianificazione strategica avrà inizio alla fine di aprile con la presentazione simultanea del Programma nazionale di riforma e del Programma di stabilità.
Vi saranno contenuti la sintesi del quadro macroeconomico definito dal Programma di stabilità, l'analisi degli squilibri macroeconomici nazionali, i punti di vulnerabilità nazionali e le iniziative strategiche di riforma per il raggiungimento dei singoli obiettivi nazionali con l'indicazione di tempi, risorse e obiettivi intermedi.
Inoltre, il 29 settembre scorso la Commissione ha adottato, nel piano del rafforzamento della governance economica dell'Unione europea e dell'area dell'euro, un pacchetto di misure che definiscono il nuovo Patto di stabilità e crescita e il regime sanzionatorio da applicare in caso di inadempienze.
Il pacchetto di misure è rappresentato da cinque regolamenti e da una direttiva. Con tali strumenti sono apportate modifiche alla normativa di base della parte preventiva e correttiva del Patto di stabilità e crescita; viene rafforzata la sorveglianza di bilancio sull'area euro; sono stabiliti i requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri; sono introdotti meccanismi per la prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi. Il pacchetto è subordinato all'approvazione da parte del Parlamento europeo, che dovrebbe avvenire entro l'estate 2011.
Nella relazione figura una parte che riporta un quadro di finanza pubblica con alcune grandezze. In sostanza, il quadro di finanza pubblica delineato sconta integralmente il contributo alla manovra di contenimento richiesto al comparto costituito dagli enti locali, anche se non sono ancora state definite le misure relative di attuazione per il conseguimento delle economie attese.
In particolare, si osserva che larga parte della dinamica del debito delle pubbliche amministrazioni si deve alle amministrazioni centrali, a fronte di una sostanziale stabilità del debito delle amministrazioni locali e degli enti di previdenza.
I rischi di insolvenza del settore finanziario emersi con la crisi economico-finanziaria hanno dimostrato i limiti delle analisi focalizzate unicamente sul settore della pubblica amministrazione. Per promuovere una valutazione più accurata delle condizioni di sostenibilità finanziaria complessiva del Paese, anche in previsione della revisione delle regole di governance europea, è stato calcolato il debito aggregato in rapporto al PIL inclusivo del debito della pubblica amministrazione e del settore privato. È stata, inoltre, elaborata una definizione più ampia di debito, il «Debito nazionale lordo», comprensiva anche del debito delle imprese finanziarie.
In relazione ai predetti aggregati, l'Italia ha registrato livelli complessivi di debito più contenuti rispetto alla media dei Paesi esaminati.
Inoltre, lo schema della Decisione di finanza pubblica, relativamente al conto economico delle amministrazioni pubbliche, evidenzia un miglioramento tendenziale della spesa sanitaria in rapporto al PIL, in diminuzione dello 0,2 per cento tra il 2010 e gli anni successivi.
Importanti per il raggiungimento di questo obiettivo sono stati il ruolo delle regioni e il contributo del Patto per la salute 2010-2012, che ha consentito una programmazione condivisa del fabbisogno sanitario nel medesimo periodo dal 6,8 per cento al 6,7 per cento in rapporto al PIL tendenziale indicato nella Decisione.
Per concludere si riportano alcune osservazioni.
Si osserva, in primo luogo, che la Decisione di finanza pubblica è intervenuta dopo l'approvazione della manovra finanziaria estiva e costituisce per quest'anno solo un aggiornamento delle grandezze macroeconomiche indicate nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica per il 2010 ed eventualmente


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una base per la legge di stabilità, la vecchia legge finanziaria, che dovrebbe avere un contenuto solo tabellare, in quanto la manovra di fatto si è già sostanziata.
In secondo luogo, la Decisione non è stata preceduta dall'invio delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici alla Conferenza unificata, in attesa della costituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Gli obiettivi di finanza pubblica del decreto-legge n. 78 del 2010 non erano stati concordati con le autonomie territoriali.
In terzo luogo, seppure non sia previsto dalla legge n. 196 del 2009, sarebbe stato opportuno suddividere il quadro del conto consolidato delle amministrazioni locali in enti locali e regioni, in applicazione anche delle norme previste dalla legge n. 42 del 2009, che dispone espressamente l'indicazione degli obiettivi distinti per comparto a cui la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica dovrebbe concorrere.
In ultimo, non sono contenute indicazioni in merito a eventuali disegni di legge collegati alla manovra finanziaria.
Mi permetto di sottolineare il fatto che nella relazione di apertura della Conferenza delle regioni - in cui sono stati analizzati due schemi di decreto legislativo recanti, il primo, la determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province, e, il secondo, l'autonomia di entrata per le Regioni a statuto ordinario e le province ubicate nel loro territorio, nonché la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, - predisposta dal coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni, nonché assessore al bilancio, finanze e rapporti istituzionali della regione Lombardia, Romano Colozzi, sono stati evidenziati - in merito hanno concordato tutti i rappresentanti delle regioni - le proposte di modifica e i miglioramenti che vorremmo fossero apportati al Patto di stabilità interno. Per quanto riguarda le nostre discussioni in ambito di Conferenza delle regioni, si tratta di un tema su cui poniamo molta attenzione.

GAETANO GIANCANE, Assessore al bilancio della regione Campania. Per quello che mi riguarda, avendo letto il documento, lo trovo conforme a quanto è stato deciso. Non occorre aggiungere altro, se non sottolineare la parte finale dell'intervento dell'assessore Quaglia, quella concernente il Patto di stabilità interno, essendo un argomento che tocca tutte le regioni, soprattutto quelle che si sono trovate in una situazione di partenza deficitaria rispetto all'anno scorso.
Penso che una maggiore attenzione dovrà essere posta in futuro proprio sul Patto di stabilità interno. Mi riferisco anche allo schema di decreto legislativo recante la determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province, che attualmente, è in fase di discussione presso i competenti organi parlamentari.
A parte questa sottolineatura finale, ritengo di non aggiungere altro.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
Li prego di porre, come è consuetudine, domande specifiche, per dare la possibilità agli assessori presenti di fornire risposte compiute.

MASSIMO VANNUCCI. Nutro un po' di disagio per la rappresentanza, anche se capisco che le regioni sono impegnate in questi giorni su ben altri fronti, molto più complessi.
Mi sembra che lo stesso documento sia un commento alla Decisione di finanza pubblica e che nelle osservazioni non ci siano indicazioni. Forse ciò corrisponde a quanto il Governo ha fatto, presentandolo come un documento - è scritto nelle premesse - praticamente inutile, mentre avrebbe potuto essere una grande occasione di discussione.
Anche in questo caso la Conferenza delle regioni e delle province autonome


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avrebbe potuto trovare l'occasione per sostenere che si tratta di una discussione utile e valida, che va svolta soprattutto per capire dove va il nostro Paese, se c'è la possibilità di fargli compiere passi avanti, di dargli un'ambizione, uno scopo, una prospettiva, indicando come si pone in questo quadro il sistema delle autonomie.
Dato che, dopo la Decisione di finanza pubblica, dovremmo approvare la legge di stabilità si sarebbe potuto indicare come si possa fare per correggere parte della manovra finanziaria estiva, che invece viene confermata, sia con la Decisione che, sicuramente, con la legge di stabilità.
Vediamo che l'attenzione si è ora spostata interamente sui decreti di attuazione del federalismo fiscale. Mi sembra questa l'attenzione delle autonomie locali in questo momento. Non credo, però, che nel breve periodo possano riuscire a dare a questo Paese la spinta e lo slancio che sarebbe necessario. La loro stessa elaborazione e progressione mi sembra un po' complessa, nonché affrettata, sbagliata e irrispettosa della legge delega, che invece fissava paletti e un percorso ben diverso.
Non pongo domande specifiche, ma svolgo una considerazione sulle osservazioni finali svolte dall'assessore Quaglia e dall'assessore Giancane, rilevando che si tratta di un'occasione persa da parte della Conferenza delle regioni e delle province autonome. È un'occasione persa di dibattito anche per noi. Capisco che gli auditi non possono andare oltre ciò che è scritto, ragion per cui si può fare poco.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

GAETANO GIANCANE, Assessore al bilancio della regione Campania. In effetti, come è stato rilevato, si è trattato di una presa d'atto da parte nostra. Mi pare che l'onorevole Vannucci, da parte sua, ne abbia manifestata un'altra. Non mi pare che ci sia materiale di discussione, se non ritornando sui punti di osservazione già sottolineati, soprattutto nella parte finale della relazione della dottoressa Quaglia.

ROLANDO NANNICINI. Io ho bisogno di capire una questione. Voi rappresentate, su circa 800 miliardi di euro di spesa relativa al conto consolidato delle amministrazioni pubbliche, 171 miliardi e 926 milioni di euro nel 2009 - mi baso sul consuntivo - di cui 117 miliardi relativi a trasferimenti alle Aziende sanitarie locali. Sostenete, inoltre, una spesa per redditi da lavoro dipendente ammontante a 6 miliardi e 64 milioni di euro, una spesa per interessi di 1 miliardo e 579 milioni di euro e una spesa per trasferimenti agli enti pubblici di 15 miliardi di euro. Sottratti questi forti adempimenti, la vostra spesa discrezionale è di circa 30 miliardi di euro.
Chiamiamola discrezionale, perché tale l'ha definita il Ministro Tremonti con un documento in cui ci ha comunicato che la discrezionalità delle spese del bilancio dello Stato era irrisoria. Se non sbaglio, si trattava di 83 miliardi di euro. Il ministro ci riferiva che il comparto degli enti locali aveva una discrezionalità molto forte, di circa 174 miliardi di euro.
Mi attengo al comparto che voi rappresentate. Gli 8 miliardi di euro di minori trasferimenti - che rientrano tra le minori spese previste nella manovra estiva - che incideranno in gran parte sul trasporto pubblico locale, ragion per cui non sarà il costo della politica a farsi carico di quest'assenza di trasferimenti, in una prospettiva di Stato federale dovrebbero essere il frutto di una attenta contrattazione. D'altronde la Decisione di finanza pubblica non è altro che una contrattazione dei vari livelli di spesa, tenuto conto dei dati macroeconomici, sia con riferimento all'economia nazionale che all'ambito europeo.
Voi siete soddisfatti? Ritenete di trovare spazi di manovra e che nella legge di stabilità ci sia la possibilità di rendere più equi i tagli nella pubblica amministrazione, oppure va bene quanto stabilito a luglio con il decreto-legge n. 78?

GIOVANNA QUAGLIA, Assessore al bilancio e finanze, risorse umane e patrimonio e pari opportunità della regione Piemonte. Come credo sia noto, oggi si è


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tenuta una Conferenza dei presidenti delle regioni, in cui, anche rispetto alle osservazioni che sono state mosse prima, il tema è stato in discussione, anche con tavoli di confronto con il Governo, specialmente per quanto riguarda la parte relativa alla manovra varata a luglio e poi a quella del trasporto pubblico locale.
Credo che siano anche già stati espressi alcuni commenti e sia stata svolta una conferenza stampa a margine della riunione della Conferenza.
Non esistono in questo momento documenti della Conferenza sulle questioni cui lei faceva riferimento, perché in questa fase la posizione delle regioni, come è stata rappresentata dal Presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani, è stata quella di richiedere un incontro e un confronto con il Governo in merito, principalmente, alle decisioni prese a luglio, alle ripercussioni che esse hanno sul comparto delle regioni e poi sullo schema di decreto legislativo concernente l'autonomia di entrata per le Regioni a statuto ordinario e le province ubicate nel loro territorio, nonché la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, approvato oggi dal Consiglio dei ministri.
In questo momento credo che non esista una posizione che io e l'assessore Giancane possiamo rappresentare come Conferenza, perché è in corso un dibattito aperto, che prevede alcuni incontri con il Governo. Non credo di affermare nulla di diverso da ciò che è già stato pubblicato su diversi giornali e anche su documenti pubblici in merito al dibattito tenutosi in seno alla Conferenza nel mese di luglio, a margine della presentazione e dell'approvazione della manovra, sulla posizione generale delle regioni e della Conferenza dei presidenti delle regioni, che l'ha espressa anche con una posizione ufficiale e con la rappresentazione al Governo di alcune richieste.
In merito a tali richieste, peraltro, essendosi tenuto martedì scorso un incontro tra il Ministro Tremonti, il Ministro Calderoli e una delegazione dell'Ufficio di presidenza della Conferenza, su alcuni punti c'è stata un'intesa; sono stati recepiti e vengono inseriti nel decreto. Si tratta di un percorso in cui si devono tenere presenti le specificazioni contenute nella legge n. 42 del 2009.
Questo è ciò che in questo momento si è riusciti ad ottenere.

PRESIDENTE. Questo elemento è di buon auspicio e la dottoressa esprime la sua fiducia in merito. Nel corso delle audizioni svolte ieri, come abbiamo visto, l'ISTAT ci ha ringraziato e, quindi, mi pare che gradualmente la stima dei nostri cittadini nei confronti del Parlamento stia aumentando, il che non può che farci piacere.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 14,30, è ripresa alle 15.

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.
Sono presenti il dottor Sergio Chiamparino, presidente dell'ANCI, l'onorevole Maurizio Leo, nella veste di assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma, il dottor Salvatore Cherchi, presidente dell'ANCI per la Sardegna, e la dottoressa Silvia Scozzese, responsabile finanza locale dell'ANCI.
È, presente, inoltre, il dottor Giuseppe Castiglione, presidente dell'UPI, accompagnato dal dottor Piero Antonelli e dalle dottoresse Barbara Perluigi e Daniela Spina.
È presente, infine, il dottor Enrico Borghi, presidente dell'UNCEM, accompagnato dai dottori Tommaso Dal Bosco e Gianluca Saponaro e dalla dottoressa Maria Teresa Pellicori.


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Ringrazio tutti gli intervenuti per la loro partecipazione alla seduta odierna.
Do la parola al presidente dell'ANCI, Sergio Chiamparino.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Ringrazio il presidente. Avendo portato un documento che deposito agli atti delle Commissioni, cercherò di contenere la mia illustrazione, che poi, eventualmente, il collega Leo potrà integrare e, soprattutto, in seguito, risponderò alle domande che mi porrete.
Voi ci consultate, e per questo vi ringraziamo, sullo schema della Decisione di finanza pubblica, che rappresenta il nuovo DPEF, per esprimermi nei termini che mi sono più consoni per ragioni di età.
Sul merito del documento specifico non è semplicissimo esprimersi, perché si tratta di un documento che si trova compresso fra una manovra già varata, su cui svolgerò alcune considerazioni, e una ridiscussione dei patti europei, che sono ancora da definire e i cui effetti non siamo in grado di prevedere. Il confronto sul merito non è, dunque, semplice.
Comincerei, pertanto, a parlare soprattutto della manovra varata a luglio e delle possibilità di modificare gli effetti che essa comporta sul sistema dei comuni e, in generale, sulla finanza locale.
Per arrivare a questo tema, nel documento - lo richiamo solo per memoria - noi partiamo da un'affermazione, che ripetiamo spesso, ma che non credo sia superflua, vale a dire dal fatto che il comparto dei comuni è quello che, più di ogni altro comparto della pubblica amministrazione, ha contribuito, dal 2004 al 2009 (preciso che quelle del 2009 sono stime dell'Istituto per la finanza e l'economia locale e potrebbero essere lievemente di parte), a determinare un saldo positivo, di circa 4 miliardi di euro, a fronte di un deterioramento complessivo di 32 miliardi di euro del saldo dell'intera pubblica amministrazione.
Sono dati che conoscete, ma che voglio ribadire per memoria e per averli presenti quando si discute del rapporto degli enti locali con la finanza pubblica. Ovviamente tutto ciò è avvenuto attraverso il controllo della spesa, per la semplice ragione che dapprima la limitazione dell'autonomia fiscale e, dopo un dato anno, il blocco di qualsiasi autonomia fiscale ha reso inevitabile puntare soltanto sui controlli e sui tagli di spesa.
In questo contesto, la manovra approvata a luglio comporta per i comuni un peso molto rilevante, perché i dati complessivi, che conoscete meglio di me, indicano che su circa 15 miliardi di euro di riduzione della spesa pubblica - il restante contributo alla manovra dovrebbe derivare da maggiori entrate - un abbondante 60 per cento è a carico del sistema della finanza locale. Esiste quanto meno uno squilibrio iniziale.
I comuni, in aggiunta a quanto già prevedeva la manovra, devono subire la riduzione dei trasferimenti statali per un importo di 1,5 miliardi di euro nel 2011 e di 2,5 miliardi di euro nel 2012, per un totale di 4 miliardi di euro. Le regole del Patto di stabilità interno comportano, inoltre, che in tutte le amministrazioni locali si formino crescenti residui passivi, cioè spese impegnate e non pagate.
L'anno scorso, con l'approvazione di un emendamento al decreto-legge n. 78, recante misure anticrisi, fu concessa la possibilità di utilizzare, nel corso dell'anno, il 4 per cento dei residui passivi, che erano pari, se non ricordo male, a circa 1,4 miliardi di euro. Nella manovra approvata a luglio questa soglia è dello 0,7 per cento, vale a dire di circa 320 milioni di euro, quindi una cifra assolutamente bassa. Ricordo a tutti voi che nel 2009 quasi la metà dei comuni è rientrata nel Patto di stabilità grazie al fatto che è stata accordata questa maggior possibilità di spesa nel secondo semestre dell'anno.
A tutto ciò si aggiunge la questione del Patto di stabilità interno, che, per come è congegnato, sia per il suo riferimento sulla base temporale, sia soprattutto per le sue modalità, è ormai tale per cui credo che chiunque abbia un rapporto con i comuni - fra di voi ci sono autorevoli colleghi che conoscono quanto o meglio di me la situazione, essendo sindaci di comuni che


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hanno meno possibilità di manovra di quanto non possa avere un grande comune - sappia benissimo che più si è virtuosi e meno si può spendere, per esprimersi in termini molto banali e semplici.
Il 9 luglio scorso abbiamo stretto un'intesa di programma col Governo, in cui, da una parte, sollecitavamo l'attuazione del decreto sul cosiddetto federalismo municipale, che io preferisco chiamare autonomia impositiva, e, dall'altra, ci impegnavamo a sottoporre a verifica la possibilità di cambiamento della manovra sostanzialmente sui tre punti che ho citato, ovvero Patto di stabilità interno, percentuale di residui passivi spendibili ed entità della manovra.
Stiamo discutendo in merito. Come sapete, oggi abbiamo chiesto il rinvio del parere della Conferenza unificata sul decreto concernente il federalismo municipale, perché vogliamo cercare un'intesa anche sugli altri punti della manovra. Mi auguro che questo obiettivo si possa raggiungere, però, allo stato attuale, perlomeno fino a ieri non eravamo in grado di farlo.
Sottolineo un'esigenza, conclusivamente. Riassumendo, nel panorama di finanza locale che ho descritto, in cui il comparto dei comuni, che è ben consapevole naturalmente della necessità di farsi carico della riduzione del debito e del riordino e della razionalizzazione della finanza pubblica - fingendo per un attimo di essere il Ministro Tremonti, ricordo che ci sono la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo, che sono lì come memento mori - e quindi delle responsabilità che ciascuno si deve assumere, occorre tenere anche conto che siamo l'unico comparto che, come ripeto, dal 2004 ha significativamente migliorato i saldi di finanza pubblica, a differenza di tutti gli altri comparti. Riteniamo che si debba compiere uno sforzo serio per dare un segnale non solo simbolico, ma materiale e concreto di miglioramento della manovra dal punto di vista delle autonomie locali.
Il rischio è che il combinato disposto del Patto di stabilità interno e del limite della manovra - questo non è il luogo in cui si fa propaganda, perché non si sposta un voto, però tengo a sottolinearlo in una sede altamente rappresentativa dal punto di vista istituzionale - produca una ricaduta pesante sulla possibilità dei comuni di erogare con modalità adeguate servizi fondamentali come, per esempio, quelli educativi.
Al tempo stesso, i rischi per le economie locali derivano dal fatto che spesso i comuni per attività manutentive del verde, delle strade, oppure per provvedere alla sicurezza degli impianti e degli edifici non sono più in condizione di spendere anche cifre minime, ma utili a garantire la salvaguardia di questo patrimonio pubblico e, di conseguenza, a far «girare» l'economia. Si tratta di un rischio piuttosto reale.
Noi non avanziamo richieste impossibili. Comprendiamo, come ripeto, che bisogna essere parte di un discorso generale, però chiediamo alcune modifiche significative, sia con riferimento all'utilizzo dei residui passivi, nel senso di avvicinarsi alla cifra dell'anno scorso, sia alle regole del Patto di stabilità interno, per il quale abbiamo avanzato alcune proposte, che, se il presidente me lo permette, posso anche riassumere.
In breve, tali proposte consistono sostanzialmente nel fatto di impegnare i comuni a pareggiare il bilancio per la parte finanziaria, fermo restando che ciò che manca in termini di risorse per concorrere alla manovra, che comunque è in vigore, venga imputato, in termini di tagli di spesa corrente e con una percentuale equivalente, come eventuali riserve di una manovra che consenta di tagliare alcuni picchi che si determinerebbero per taluni comuni.
Abbiamo avanzato questa proposta al Governo e crediamo che essa avrebbe il grosso merito di cominciare a premiare un po' di più i comuni virtuosi e di obbligare quelli meno virtuosi a rientrare nei parametri stabiliti, garantendo però che tutto avvenga all'interno di una situazione di sostenibilità. È chiaro, infatti, che, se si obbliga un comune a tagliare il 20 per cento delle spese correnti in un anno, gli


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si chiede un'operazione non sostenibile, al di là del fatto che sia virtuoso oppure no.
Avanziamo, dunque, la proposta di aumentare l'utilizzo dei residui passivi, se possibile, anche in considerazione del fatto che, se entra in vigore il decreto sul federalismo municipale e dal 2011 potremo combattere, impegnandoci tutti, una seria battaglia contro l'evasione fiscale, e prevedendo una addizionale comunale nella misura del 20 per cento sulla cosiddetta cedolare secca sugli affitti, potremo avere eventuali entrate che possano compensare una parte della manovra che grava su di noi sotto forma di taglio delle spese. Credo che queste misure andrebbero considerate.
Se mi permette, signor presidente, un'ultima considerazione - misure più dettagliate sono indicate nel documento - riguarda l'autonomia fiscale: ci chiediamo per quale ragione al mondo non sia possibile, eventualmente stabilendo una soglia per i comuni che sono stati più virtuosi fiscalmente e che hanno tenuto le imposte locali più basse, una modifica anche parziale del divieto assoluto di far ricorso all'addizionale IRPEF o una modifica delle aliquote sull'ICI seconda casa.
In alcune situazioni in cui i comuni sono stati parchi e non hanno gravato sui cittadini con un eccessivo carico fiscale, condividendo in sede di Conferenza unificata le soglie massime, domandiamo se non sia possibile, visto che parliamo di federalismo, una forma di revisione del blocco assoluto e totale dell'utilizzo della leva fiscale, che ovviamente contrasta con qualsiasi ipotesi di autonomia fiscale e di federalismo.

PRESIDENTE. La ringrazio innanzitutto per la capacità di sintesi e soprattutto perché le sue argomentazioni sono state esplicitate in maniera assolutamente diretta.
La relazione che lei ha depositato è agli atti e i colleghi avranno la possibilità di esaminarla tranquillamente e in maniera compiuta.
Darei ora la parola al collega onorevole Maurizio Leo, assessore al bilancio del comune di Roma.

MAURIZIO LEO, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma. Il presidente Chiamparino ha illustrato gli aspetti più delicati collegati al Patto di stabilità interno e la richiesta che noi rappresentiamo dello sblocco dei residui passivi.
Vorrei soffermarmi brevemente su altre due questioni, che riguardano più il versante delle entrate, legato anche al federalismo municipale. Le trovate nel documento e concernono la definizione della questione relativa alla tariffa di igiene ambientale (TIA).
Come sapete, la sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 24 luglio 2009 ha definitivamente statuito che la TIA deve configurarsi come tributo e da ciò scaturiscono conseguenze che, anche dal punto di vista operativo e gestionale, stanno creando alcune difficoltà a molti comuni. Riguardo l'ipotesi in cui il servizio è esternalizzato, e quindi non gestito direttamente dal comune, non si potrebbe assoggettare a IVA il servizio.
Su tale questione è intervenuta, come voi sapete, una norma del decreto-legge n. 78 del 2010, che, facendo riferimento alle disposizioni di cui all'articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006, non ancora entrate in vigore in quanto non è stato ancora adottato il previsto regolamento di attuazione, ha ribadito che la TIA deve essere assoggetta all'IVA; tuttavia, come a voi è noto - ancora oggi - in quasi tutte le realtà non vengono applicate le norme del decreto legislativo n. 22 del 1997, il cosiddetto decreto Ronchi. Con un ordine del giorno presentato al decreto-legge n. 78 del 2010 da parte dell'onorevole Murgia e accolto dal Governo si è stabilito che, anche laddove si rende applicabile il decreto Ronchi, sia previsto il regime IVA.
Siamo, pertanto, in una situazione di incertezza, che forse è meritevole di un ulteriore approfondimento dal punto di vista normativo, proprio per non lasciare


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i comuni nel vago in ordine all'applicazione o meno dell'IVA. Questo è un tema che io vorrei porre alla vostra attenzione, perché è di grande interesse.
Come ricordava il presidente Chiamparino, sul versante del federalismo municipale seguiamo l'evoluzione dei relativi decreti. Il primo, quello sul federalismo demaniale, è già norma positiva, però dovranno farvi seguito i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che individueranno i beni.
Altri due sono di assoluta importanza, quello relativo ai fabbisogni standard e quello che definisce tutto il federalismo municipale.
Sui fabbisogni standard l'attenzione particolare che si dovrà porre è collegata proprio alla costruzione e alla quantificazione del fabbisogno standard. Un contributo verrà dato alla Società per gli studi di settore s.p.a. (SOSE) dal nostro Istituto per la finanza e l'economia locale, l'IFEL, che supporterà la SOSE nella costruzione e nella quantificazione dei fabbisogni standard.
L'accortezza che dobbiamo avere è che la SOSE, un ottimo istituto sul versante delle entrate - ricordo che si tratta di una struttura che si occupa specificamente di studi di settore e, quindi, della quantificazione dei cosiddetti ricavi congrui - deve «reingegnerizzarsi», in quanto deve prestare attenzione anche al versante della spesa, con l'individuazione del corrispettivo corretto per un servizio reso dall'ente locale. Si tratta di uno snodo molto delicato, sul quale occorre porre la massima attenzione.
Con riferimento al decreto sul federalismo municipale, osservo che tale provvedimento, come ricordava il presidente Chiamparino, è strutturato in due parti. La prima è una parte transitoria, attraverso la quale si devolverà il gettito di alcuni tributi immobiliari agli enti locali; successivamente, in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, verranno stabilite le percentuali assegnate a ogni comune e verrà definita la ridistribuzione e l'assetto a regime con l'istituzione dell'imposta municipale unica (IMU) e di altri tributi.
La parte più delicata è quella relativa alla compartecipazione. La compartecipazione dello Stato nella fase transitoria è un discorso, ma nella fase a regime, una volta che a decorrere dal 2014 saranno applicati i tributi, non dovrebbe esserci, se non in forma ridotta.
Si vedranno le modalità e se ne sta discutendo. È fondamentale, però, che prevalga il principio per cui, una volta che avviene l'individuazione di un tributo di esclusiva pertinenza dell'ente locale, non si possa poi pensare a costruire meccanismi compartecipativi che vulnererebbero tutto il disegno dell'assetto federale.
In merito al federalismo municipale penso che sia corretto, in una fase transitoria, laddove viene devoluto solo il gettito dei tributi, pensare a una compartecipazione, ma, nel momento in cui si passa a un assetto strutturale, vale a dire quando il tributo diventa di pertinenza del comune, la compartecipazione statale deve sicuramente affievolirsi, fermo restando che poi al comune dovrebbe essere attribuito il maggiore gettito derivante sia dalla lotta all'evasione sia dall'incremento fisiologico degli stessi tributi.
Penso che su questi punti si debba porre la massima attenzione per far sì che il disegno generale del federalismo municipale funzioni.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente dell'UPI, dottor Giuseppe Castiglione, presidente anche della provincia di Catania.

GIUSEPPE CASTIGLIONE, Presidente dell'UPI. Anche noi ci affideremo a un documento che, con il suo permesso, consegneremo alle Commissioni. Devo ringraziare le Commissioni stesse perché questa è un'occasione importante, in cui il lavoro parlamentare, a mio avviso, potrà essere prezioso in merito ad alcune questioni che noi abbiamo posto già da tempo.
D'altronde, si tratta di temi molto rilevanti per il futuro del Paese e soprattutto


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per gli enti locali. Ci accomunano molte posizioni espresse sia dal presidente Chiamparino, sia, presumo, anche dal collega Borghi.
Sono posizioni che noi abbiamo già ampiamente illustrato e che lamentano una grave difficoltà degli enti locali, nell'attuale situazione economica del nostro Paese, in relazione ad alcune iniziative adottate nel segno di una congiuntura economica difficilissima, che noi abbiamo affrontato con grande senso di responsabilità e con un confronto molto sereno con il Governo.
Non possiamo non rilevare, però, che gran parte del peso dell'ultima manovra finanziaria grava in maniera significativa sugli enti locali e sulle autonomie locali, in particolare sulle province, ma - ritengo - anche sui comuni.
La manovra finanziaria approvata con il decreto legge n. 78 del 2010 si inserisce nel solco di un'altra manovra di contenimento della finanza provinciale contenuta nel decreto-legge n. 112 del 2008, nella quale le province avevano già dato segnali molto importanti di contenimento della spesa pubblica.
Vorrei ricordare solamente che per quanto riguarda il 2009 non solo abbiamo centrato l'obiettivo, ma addirittura abbiamo migliorato il saldo finanziario di 292 milioni di euro. Ricordo che le province erano tenute ad un miglioramento del saldo finanziario per un importo di 310 milioni di euro per il 2009, di 555 milioni di euro per il 2010 e di 975 milioni di euro per il 2011; secondo i dati in nostro possesso, risulta che il comparto provinciale si è già ampiamente inserito in questo contesto di contenimento della spesa pubblica.
Oggi non possiamo non rilevare che il taglio dei trasferimenti erariali alle province per un importo di 300 milioni di euro per il 2011 e di 500 milioni di euro per il 2012, come previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, sono una contrazione consistente. Ho appena tenuto una riunione dell'Ufficio di Presidenza dell'UPI in cui la gran parte delle amministrazioni provinciali lamenta la difficoltà obiettiva a realizzare le numerose funzioni che giorno dopo giorno si assommano, ma soprattutto a riuscire a contenere le spese entro le risorse assegnate.
Secondo un calcolo che abbiamo eseguito, 300 milioni di euro nel 2011 e 500 milioni di euro nel 2012 di minori trasferimenti rappresentano una contrazione della spesa pari al 40 per cento nel 2011 e addirittura pari al 67 per cento nel 2012. Su un complesso di trasferimenti pari a 1,3 miliardi di euro verranno tagliati prima 300 milioni di euro e poi 500 milioni di euro. È molto significativo il taglio dei trasferimenti operato sulle province e anche questo comporta gravi difficoltà a far sì che il taglio stesso si applichi in modo equilibrato nei confronti di tutte le province.
Teniamo conto che attualmente 22 province nel nostro Paese non ricevono trasferimenti erariali perché dal punto di vista economico sono quelle che stanno meglio. È un dato che vorrei sottolineare e soprattutto offrire alla valutazione delle Commissioni.
Tutto ciò coincide anche con una riduzione delle entrate delle province, che risentono dell'andamento dell'economia; una congiuntura economica sfavorevole - pensate all'addizionale IRPEF, ma anche a una contrazione del settore automobilistico e del mercato delle assicurazioni sulla responsabilità civile - automobili (RC Auto) - significa per noi una riduzione significativa delle entrate.
Solo per portare alcuni esempi, rispetto al 2009, registriamo già - sono dati al settembre del 2010 - un meno 6,14 per cento sull'addizionale provinciale dell'accisa sull'energia elettrica, un meno 4 per cento sull'imposta provinciale di trascrizione (IPT) e addirittura un meno 7,49 per cento sull'RC Auto. Al taglio dei trasferimenti vanno aggiunte, dunque, anche queste minori entrate. La manovra diventa, quindi, difficile da sostenere per le nostre amministrazioni.
L'ha sottolineato il presidente Chiamparino, ma vorrei sottolineare anch'io con forza il tema dello 0,75 per cento relativo ai residui passivi. Le amministrazioni più


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virtuose, anche quelle che hanno tenuto comportamenti virtuosi, oggi non possono far fronte ai pagamenti.
Da un lato, ci ritroviamo con la disposizione contenuta nell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2009 che impegna le amministrazioni provinciali a pagare entro un termine molto rigoroso i fornitori della pubblica amministrazione - è una precisa prescrizione e obbligo di legge - dall'altro, pur avendone la disponibilità e pur essendo amministrazioni che si sono comportate in maniera virtuosa, esse non possono procedere ai pagamenti e hanno il vincolo dello 0,75 per cento dell'utilizzazione dei residui passivi. Trattandosi di uno dei punti fondamentali, facciamo appello a tutti i componenti delle Commissioni perché questo elemento possa essere modificato.
Nel luglio scorso, come ricordano benissimo il collega Borghi e il presidente Chiamparino, uno dei punti qualificanti dell'accordo che abbiamo stretto con il Governo era proprio la modifica dello 0,75 per cento sull'utilizzo dei residui passivi. C'era chi puntava ad aumentare tale percentuale fino al 10 per cento, ma il 4 per cento, come stabilito per l'anno scorso, potrebbe rappresentare una soluzione di equilibrio, che, soprattutto, permetterebbe di onorare alcuni impegni che le amministrazioni hanno assunto.
Su questo tema c'era stata anche un'apertura da parte del Governo, che si era impegnato a svolgere nel mese di ottobre una verifica sull'andamento dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione e, quindi, a dare una risposta su questo versante.
Basta ricordare anche il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale approvato dalla Commissione bilancio della Camera lo scorso 28 settembre, che, da un lato, dava conto della profonda crisi del mercato dell'auto, che ha influito sulle entrate provinciali, dall'altro, sottolineava il fatto che il contestuale congelamento dell'uso della leva fiscale ha determinato una forte compressione della spesa per investimenti negli enti locali. Per rialimentare la spesa e far partire un circuito virtuoso avvertiamo la necessità che il vincolo dello 0,75 per cento sull'utilizzo dei residui passivi venga modificato.
Abbiamo posto in diverse occasioni al Governo il tema dell'«alleggerimento» del Patto di stabilità interno. Abbiamo appreso che il Governo sta lavorando ad alcune modifiche in tal senso del Patto di stabilità interno, che per noi rappresenta un altro elemento fondamentale perché si possano dare risposte piuttosto concrete soprattutto alle amministrazioni locali.
Per quanto riguarda, almeno, il piano del dibattito politico, superata la fase in cui ci si interrogava in merito all'utilità, al ruolo e alle funzioni delle province, peraltro, rafforzate anche nel disegno di legge concernente la «Carta delle autonomie locali», approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati, ci ritroviamo ad avere più funzioni e ipoteticamente a rafforzare il nostro ruolo, ma a non disporre concretamente delle risorse per poter assolvere a tali funzioni.
Annettiamo una grande importanza a questa seduta delle Commissioni perché in Parlamento si possa compiere un lavoro che dia forza alle autonomie locali. Il Paese potrà ripartire se si dà forza alla capacità di realizzare gli investimenti, che negli enti locali rappresenta la leva principale per far ripartire lo sviluppo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI GIAN LUCA GALLETTI

PRESIDENTE. Do la parola al dottor Enrico Borghi, presidente dell'UNCEM.

ENRICO BORGHI, Presidente dell'UNCEM. Grazie, signor presidente, dell'opportunità che ci viene data e che per noi riveste un carattere particolare.
Vorrei comunicare anche ai signori parlamentari presenti che per noi questa di oggi è la seconda occasione consecutiva in cui disertiamo volontariamente la riunione della Conferenza unificata. Siamo,


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infatti, in presenza di una situazione, che peraltro investe anche il Parlamento, di mancato adempimento e recepimento di un ordine del giorno, il 9/1891/6 presentato, nel corso dell'esame del decreto-legge n. 154 del 2008, dall'onorevole Vannucci e accolto come raccomandazione dal Governo e relativo alla necessità di dover intervenire con un intervento straordinario e strutturale per il finanziamento di quelle leggi statali che hanno garantito trasferimenti di parte corrente alle comunità montane per la copertura di oneri di personale e di mutui a totale carico dello Stato.
Su questo tema c'era stata un'espressione favorevole da parte del Governo lo scorso 20 luglio. Siamo ormai arrivati al 7 di ottobre e tale intervento non è ancora stato attuato.
Poiché, nel frattempo, la situazione è tale per cui i mutui sono stati pagati dai comuni al posto dello Stato per evitare che si attivassero procedure che voi ben conoscete e che gli stipendi non vengono pagati in molti casi, evidentemente riteniamo che una situazione di questo genere debba necessariamente essere risolta, come ripeto, facendo seguito all'impegno formale che il Governo si è assunto lo scorso 20 di luglio, peraltro, in un incontro interistituzionale alla presenza anche delle regioni, oltre che dell'ANCI e dell'UPI.
Stiamo parlando di un volume quantitativo assolutamente irrisorio di risorse rispetto alla finanza complessiva dello Stato, perché si tratta di circa 30 milioni di euro, che sono oneri che gravano sul bilancio dello Stato per l'applicazione di leggi dello Stato, oggi posti a carico, del tutto impropriamente, delle comunità montane e dei comuni montani.
Si tratta di una situazione nella quale - entro nel merito rispetto alle osservazioni - noi continuiamo a rilevare la non capacità o non volontà (sta a voi doverlo giudicare) di cogliere, soprattutto in questo momento di trasformazione nel nostro Paese, un tema che per noi è assolutamente fondamentale, cioè il profilo di quello che chiamerei «differenziale strutturale» del territorio montano nei confronti del resto del territorio.
Non vorrei tediarvi enumerando, visto che si sta parlando di costi standard, le percentuali strutturali di maggiore incidenza nell'erogazione dei servizi, nella gestione e nella manutenzione ordinaria delle strutture o nella realizzazione degli investimenti nei territori montani. Non c'è dubbio, però, che questo svantaggio normativo, rispetto al quale peraltro esiste anche una specifica prescrizione di carattere costituzionale, non venga considerato nel momento in cui si elaborano le linee politiche di intervento sull'economia.
Questo è il primo tema che noi riteniamo di dover sottolineare, in considerazione del fatto che siamo estremamente preoccupati delle conseguenze che ci saranno sui nostri territori a seguito delle ripercussioni della cosiddetta manovra estiva.
Non è ancora chiaro ai cittadini, ma credo che cominci a esserlo agli addetti ai lavori, per esempio, il quadro di quali saranno le ripercussioni sul trasporto pubblico locale. Siamo in presenza di un concreto rischio di dismissioni di reti e di servizi in porzioni intere di territorio.
Quando sosteniamo, quindi, la necessità di riconoscere il differenziale strutturale, osserviamo che, se non c'è un intervento di politica specifica rispetto a questi temi, intere vallate non conserveranno la possibilità di avere il trasporto pubblico locale, oppure in quelle realtà l'incidenza del costo del servizio e, quindi, della tariffazione sarà particolarmente accentuata, anche con ripercussioni sotto il profilo delle aziende, in quanto, come è noto, più aumenta il costo del servizio e meno l'utenza accede all'utilizzo del servizio medesimo.
Si tratta di una situazione estremamente delicata, rispetto alla quale noi facciamo appello al Parlamento affinché si esca dalle declamazioni che sin qui abbiamo sentito - ormai sono passati due anni e mezzo - rispetto alla volontà di intervenire, che ancora non si è riscontrata oggettivamente.


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Nel frattempo la recente giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di assetti istituzionali rende ancor più necessario provvedere, da un lato, ad una ricognizione organica del quadro normativo e organizzativo dello Stato in materia di comunità montane, e, dall'altro, di attivare una capacità di risposta alle problematiche esposte, altrimenti rischiamo molto concretamente di avere realtà regionali nelle quali ci saranno attenzione a tali problematiche e possibilità di intervento nonostante le conseguenze della manovra finanziaria, che sono particolarmente onerose, e altre in cui esse non ci saranno.
Martedì prossimo occuperemo, insieme con i sindaci dei comuni montani, l'Aula del Consiglio regionale delle Marche, perché la regione Marche ci ha comunicato che le conseguenze della manovra finanziaria estiva sono tali che è prevista un'ulteriore riduzione dei trasferimenti ai territori montani di tale realtà.
Dentro questo percorso riteniamo, dunque, concreto il rischio che ci siano regioni nelle quali vi sia la possibilità di intervento e altre nelle quali sia sostanzialmente in atto una sorta di disimpegno.
Segnalo che in Calabria si contano già a decine le scuole chiuse rispetto allo scorso anno scolastico per l'evidente impossibilità di poter tenere conto di quello che ho prima definito il differenziale strutturale.
In questo quadro, e tenuto conto della necessità di attuare l'ordine del giorno presentato dall'onorevole Vannucci in questo contesto, noi crediamo indispensabile che si riprenda il tema delle politiche di sviluppo, uscendo dalla logica tradizionale del meccanismo di redistribuzione finanziaria centralista, non, quindi, attraverso l'utilizzo degli enti locali territoriali come ultimo anello terminale e periferico di una spesa pubblica che di fatto non c'è più, ma attraverso la possibilità di riconvertire questi strumenti sotto il profilo della capacità di produrre sviluppo tramite l'utilizzo e il governo delle risorse naturali presenti sul territorio.
Noi crediamo che questo obiettivo necessiti, però, di un'ordinata e organica azione di riordino, non solo istituzionale, ma anche fiscale, e manifestiamo la preoccupazione rispetto al fatto che nella realtà la Carta delle autonomie locali è su un binario morto, mentre il riassetto istituzionale sta avvenendo attraverso 21 decreti delegati di attuazione della legge n. 42 del 2009, in cui, di fatto, il meccanismo della concertazione è assolutamente archiviato.
Rischieremmo, quindi, di ritrovarci in capo a pochi mesi a una riscrittura di fatto della democrazia locale affidata a livelli tecnocratici. Lo riteniamo già un vulnus dal punto di vista della possibilità di una rappresentanza, ma nel merito si pone un problema di necessaria coerenza tra l'impianto di carattere tributario e fiscale e quello istituzionale.
Insieme con l'ANCI, in particolare, stiamo riflettendo - vi è un punto di convergenza importante rispetto a questo tema - sulla necessità di prevedere un unico livello sovracomunale obbligatorio al quale tendere verso un'aggregazione anche dei profili tributari e di natura programmatoria.
Siamo perfettamente consapevoli che, per come sono strutturate oggi le realtà nel nostro territorio, i 4 mila 200 comuni montani presi singolarmente non possano essere il luogo in cui si applica l'IMU e in cui si realizza il Consorzio tributario previsto dalla recente normativa, anche perché - è questo il secondo tema - per noi è assolutamente centrale la questione della perequazione.
Nei nostri territori rischiamo, infatti, di avere, anche a livello di contiguità, realtà comunali e municipali a fortissimo tasso di capacità impositiva in relazione al settore immobiliare e al settore dell'edilizia e magari comuni vicini con bassissimo indice di popolazione.
Come potrete facilmente comprendere, un conto è l'IMU di Cortina d'Ampezzo, un altro quello del comune immediatamente successivo. Si deve porre un problema di perequazione, ma in merito ancora non abbiamo avuto dal Governo


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risposte adeguate sotto il profilo della stesura del decreto legislativo relativo al cosiddetto federalismo municipale. Crediamo che sia importante accendere i fari su tali situazioni.
Vi è un processo di convergenza lungo questo percorso insieme con ANCI. Riteniamo indispensabile, però, che tale processo avvenga nel quadro di una costruzione armonica. Anche per questo motivo vorremmo richiamare all'attenzione del Parlamento le questioni che riteniamo particolarmente delicate e che abbiamo esposto in questa sede, sperando che possa essere questa l'occasione giusta in cui raccomandare al Governo la definizione corretta di un quadro di compatibilità finanziaria e di risposte organiche.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO VANNUCCI. Sarò brevissimo, presidente. Voglio ringraziare i tre presidenti di ANCI, UPI e UNCEM per aver partecipato direttamente a quest'audizione e, in più, il presidente Chiamparino per essersi fatto accompagnare addirittura da un esponente della giunta comunale della capitale, non in conflitto di interessi, ma in condivisione di ruoli e di problematiche.
Mi sembra che dagli interventi di tutti e tre i presidenti emerge una considerazione: la Decisione di finanza pubblica parte da un presupposto fondamentale, ossia che, avendo il Governo anticipato la manovra all'inizio dell'estate col decreto-legge n. 78 del 2010, ci si limita a recepire gli effetti del citato decreto-legge di manovra confermandolo nella sostanza.
Si è ricordato che il 15 ottobre verranno presentate la legge di stabilità e la legge di bilancio e che la prima sarà una legge composta dalle sole tabelle e che, quindi, non tornerà sugli interventi già definiti. Mi sembra che ANCI, UPI e UNCEM contestino di fatto questa procedura e sostengano che ci sia bisogno di attuare alcune iniziative.
La legge di stabilità deve almeno affrontare due o tre temi che richiedono modifiche di norme specifiche. Si è fatto riferimento soprattutto al Patto di stabilità interno e alle richieste, avanzate insieme da UPI e ANCI di una modifica allo stesso da apportare in occasione della legge di stabilità. Mi sembra questa la linea più importante che rappresentate.
Voi rilevate in generale che questa Decisione di finanza pubblica ha obiettivi di crescita limitatissimi, anche in relazione al contesto internazionale, ma che il contributo della finanza locale è stato già richiesto; evidenziato il fatto che si è verificato un vulnus per cui le linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici che dovevano essere discusse nella Conferenza unificata il 15 luglio non sono state presentate.
Ora il Governo afferma che non dobbiamo intervenire, perché poi entreremo nel meccanismo del semestre europeo e invece voi affermate - chiedo se ho capito bene - che bisogna assumere alcune iniziative, soprattutto con riferimento al Patto di stabilità interno, al fine di modificarlo anche in funzione della crescita e attribuendogli l'obiettivo di concorrere allo sviluppo. Avete, inoltre, rilevato che se i fondi sono bloccati e non si possono compiere nemmeno piccoli investimenti, occorre agire utilizzando i residui passivi.
Diverso è il caso delle comunità montane. C'è stata una risoluzione approvata dalla Commissione bilancio della Camera che elencava i problemi e sollecitava il Governo a incontrare e discutere con i loro rappresentanti, altrimenti vi è il rischio di trascinarsi per anni un contenzioso relativo alle risorse per il personale e alle funzioni.
Era una questione che riguardava le regioni, che oggi, peraltro, non avendo partecipato ai livelli che questa discussione meritava, non hanno rilanciato questo tema, che poi ricadrà sulle regioni. Ne prendiamo atto.
Registriamo anche il contributo del dottor Borghi che ritiene si può intervenire nella legge di stabilità e nella legge di bilancio per recepire alcune delle modifiche alla manovra da lui prospettate.


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Chiedo conferma su questo punto. La Decisione di finanza pubblica presenta la linea descritta, ma voi siete uniti sul fatto di affermare che, al di là dei macro-obiettivi, non sia possibile che, da qui alla fine dell'anno, il quadro rimanga immutato e che, quindi, alcune azioni vanno compiute in questa direzione.

ROLANDO NANNICINI. Anch'io ringrazio per la presenza dei presidenti e la possibilità che ci danno di formulare alcune domande, nonché di essere ragguagliati rispetto a una trattativa che gli enti locali hanno aperto in modo serrato con il Governo e che spesso è difficile intuire. Grazie a voi abbiamo informazioni più precise.
Vorrei partire da un contesto. Noi parliamo solo di manovra finanziaria e di Patto di stabilità interno. Il progetto europeo, però, è anche un progetto di riforma. Ricordo quando l'onorevole Bersani era responsabile economico del partito in Parlamento e lanciò l'idea del documento di programmazione economico-finanziaria europeo. Qualcuno scherzava e chiedeva di che cosa si trattasse.
Entriamo in una prospettiva per cui la nuova Strategia europea 2020 prevede un coordinamento strategico dei diversi momenti di definizione programmatica. Esistono i Programmi di stabilità e di definizione finanziaria, ma anche i Programmi nazionali di riforma.
Occorre chiederci in quale modo l'Italia, con le sue montagne e con il suo mare, sia rappresentata in sede di definizione delle risorse comunitarie da attribuire ai singoli Paesi membri, compresi i quadri di investimento territoriale. Siamo vivendo una fase di torpore, nel seguire un federalismo di cui non riusciamo a coglierne i punti fondamentali perché mancano le definizioni reali del processo.
Ringrazio il collega Leo di avercelo richiamato, però, nella Decisione di finanza pubblica, non trovo alcuna menzione alla parola «federalismo» o alle parole «autonomia finanziaria». Sfido chiunque a leggerlo. Il collega ha avuto anche il pregio di riportarci a discutere su questo tema.
Il nodo sta, prima di tutto, nel Patto di stabilità interno. A tutti noi, al Parlamento intero, a tutte le forze politiche al Governo dobbiamo richiamare che cosa rappresentano gli interlocutori di oggi. Le spese complessive delle amministrazione comunali ammontano - mi fido solo del 2009, i cui i dati sono certificati dall'ISTAT e sono stati inviati alla Commissione europea per la definizione del Patto di stabilità e crescita - a 68 miliardi e 699 milioni di euro, come prima richiamavo per la spesa regionale, in rapporto ad un somma relativa al conto consolidato delle amministrazioni pubbliche di 800 miliardi di euro.
Questo documento avrebbe dovuto definire i livelli e le ripartizioni dei sacrifici, nell'ambito degli impegni assunti con l'Europa, che avremmo dovuto compiere entro il 2 giugno.
Vista la distribuzione del carico dei tagli di spesa pubblica, che non sono certamente assorbiti dai tagli del costo della politica o dalla riduzione dei consiglieri o degli assessori delle varie Giunte - ogni tanto si tenta di far passare questo messaggio - considerato che da queste ultime riduzione al massimo si possono ricavare 70 o 80 milioni di euro, necessari, indispensabili e utili, vorrei domandare se, in relazione ai tagli di spesa che incideranno sul trasporto pubblico locale e sui servizi assistenziali, è possibile ridiscuterli nella legge di stabilità in modo che la loro incidenza risulti equa e corrispondente ai bisogni di uno Stato moderno, che dia anche il senso di affrontare la crisi in modo nuovo, scommettendo su un obiettivo?
Vi porto il primo dato. Le province pesano per 12 miliardi 840 milioni di euro sulla spesa complessiva pubblica; la loro spesa per interessi passivi è di 325 milioni di euro. Visti i vincoli esistenti, ad esempio nel caso in cui si progetta un'opera e vige il divieto di utilizzare la cassa per realizzarla, possiamo rendere proporzionale il


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Patto di stabilità interno? Lo possiamo rendere organico rispetto al sacrificio richiesto al Paese?
Salviamo la previdenza, perché è intoccabile, ma nel quadro generale, fra amministrazioni centrali ed enti locali, vi sfugge un dettaglio. Non vorrei che qualcuno sostenesse che sono nemico delle Camere di commercio, ma, nella spesa complessiva di 255 miliardi di euro relativa alla voce «amministrazioni locali», sono compresi le Camere di commercio, le comunità montane - che sono distrutte -, gli ambiti territoriali ottimali, i policlinici universitari, gli enti locali produttori di servizi assistenziali, le università, i parchi, che tutti insieme rappresentano, nell'ambito della spesa degli enti locali, la bellezza di 32 miliardi di euro.
Occorre ragionare su un Patto di stabilità interno organico, che abbia un senso all'interno dei comparti. Voi ritenete che ci sia spazio nella legge di stabilità per modificare in tal senso il prossimo Patto di stabilità interno e apportare correzioni ad alcuni aspetti distorsivi della manovra di luglio?
Pur essendo la manovra lodevole, perché ha rassicurato i mercati e ha creato fiducia, oggi al nostro interno è possibile aprire una riflessione nel senso di rappresentare l'Italia sul tema dello sviluppo? Su questo punto chiedo vi sia una convergenza, perché è chiaro che, nell'attuazione del federalismo fiscale, altri 2 miliardi di euro saranno pagati dai comuni. La cosiddetta «cedolare secca sugli affitti», che costa 2 miliardi e 300 milioni di euro secondo i miei calcoli - poi si vedrà - , comporta una diminuzione dei trasferimenti agli enti locali in relazione all'IRPEF sugli immobili, nella fase transitoria, fino al 2014.
Ritenete che sia possibile svolgere una riflessione con tutte le forze politiche - l'ANCI ha una grande apertura in questo senso - affinché il Parlamento e il Governo ridiscutano fino in fondo come ripartire i sacrifici della manovra e come elaborare piani di sviluppo negli ambiti territoriali? L'Europa non è solo sacrifici, ma anche dimensione di sviluppo più generale, se ho inteso quello che è scritto nei sacri testi.
Mi scuso, presidente, per essermi dilungato.

MAINO MARCHI. È evidente che, nel momento in cui lo schema della Decisione di finanza pubblica ci indica che sostanzialmente quello che doveva essere deciso è già stato deciso con la manovra di luglio e che nella manovra il peso più rilevante, in termini di tagli della spesa pubblica, graverà a carico del comparto delle regioni e degli enti locali, conseguentemente anche negli anni 2011 e 2012 il peso del risanamento graverà sempre su regioni ed enti locali.
I giudizi politici sulla manovra sono noti. Vorrei, però, partire da essi, perché in un punto si affermava che di questi tagli non si sarebbe dovuto tener conto ai fini dell'attuazione del federalismo fiscale.
Leggendo i due schemi di decreto legislativo di attuazione del federalismo fiscale varati dal Consiglio dei Ministri a me non sembra che ciò avvenga. Il Ragioniere generale dello Stato ci ha riferito, nel corso dell'audizione svolta ieri l'altro, che è una questione squisitamente politica e che non la sa interpretare dal punto di vista normativo, anche se è una disposizione di legge. Ci ha comunicato che lui opera a legislazione vigente, però si tratta di un punto scritto nella legge.
Mi pare che, da una parte, nel momento in cui sullo schema di decreto legislativo concernente la definizione dei fabbisogni standard si afferma che si deve operare a saldi invariati, stabiliti dal decreto legge n. 78, e, dall'altra, lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale prevede la compartecipazione dello Stato al fondo nazionale che sostituisce i trasferimenti e tale livello di compartecipazione è deciso dal Ministro dell'economia e delle finanze con un suo decreto per garantire i saldi di bilancio, mi sembra che la situazione non sia questa.
Se ne tiene conto, nel senso che, nell'attuazione del federalismo fiscale, si parte dalla base determinata a partire


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dalla manovra estiva e non dalla situazione precedente. Chiedo, però, quale sia il giudizio delle associazioni su questo punto rispetto agli schemi di decreto legislativo presentati.
Sempre sullo schema di decreto legislativo relativo alla definizione dei fabbisogni standard è sparita sostanzialmente, già nella relazione generale presentata dal Governo, la questione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che, a mio avviso, erano gli elementi da cui si doveva partire in base alla legge n. 42 del 2009. Non tenendo conto di tali elementi, credo che ci sia una distorsione rispetto all'attuazione di tale legge; si sta applicando un'altra legge e non quella approvata dal Parlamento.
Chiedo, quindi, se ritenete che si possa procedere nella determinazione dei fabbisogni standard, anche se lo schema di decreto legislativo individua semplicemente il soggetto che deve definire la metodologia e non il punto di arrivo, senza svolgere a monte una analisi sui LEP e sui LEA, che dovrebbe essere essenziale per poi stabilire i fabbisogni standard.
Infine, sul Patto di stabilità interno, ritengo che la discussione in corso per una sua revisione, che anch'io credo sia necessaria, dovrebbe vertere anche sulla quantità del contributo posto a carico degli enti locali, perché nel 2011, ai tagli previsti dalla manovra di luglio si aggiungerà il fatto che quello è l'anno di più alto contributo richiesto con la manovra correttiva emanata nel 2008 in riferimento al Patto di stabilità interno.
A saldi immutati , la revisione del Patto di stabilità interno deve far sì che non succeda, come sta avvenendo, che più si è virtuosi e meno si può spendere. Chiedo se la discussione possa avere, a vostro avviso, effetti già sul 2011, oppure se pensate che possa averli, se si arriverà a cambiamenti, solo a partire dal 2012?
Personalmente, credo che sia essenziale arrivare a una revisione. Peraltro, vedo in questi giorni che sono state emanate interpretazioni sulle modalità applicative del Patto di stabilità interno, da parte delle competenti strutture del Ministero dell'interno, con riferimento ai comuni che hanno superato i 5 mila abitanti, per esempio, alla fine del 2008. Le istruzioni emanate dalle predette strutture sono di una complessità tale per cui ai comuni risulta impossibile compilare il bilancio 2010.
Aggiungo anche questa osservazione alle tante che abbiamo già formulato in questi anni sul fatto che questo meccanismo ha prima bloccato gli investimenti e poi condotto al rischio di arrivare complessivamente a investimenti zero e a tagli di servizi, senza riuscire a mantenere nemmeno i livelli già esistenti di prestazioni da parte degli enti locali.

PRESIDENTE. Vorrei svolgere una sola considerazione, anche se ne avrei molte. Per questioni di tempo ne aggiungo una sola, perché non è stata trattata finora.
In allegato alla Decisione di finanza pubblica figura anche il programma delle infrastrutture strategiche, che è parte integrante del documento, in quanto la DFP comprende sia l'analisi delle spese di parte corrente sia il quadro delle risorse per investimenti.
In questo quadro, nell'allegato IV, figurano molte opere che interessano gli enti locali, cioè che lo Stato cofinanzia loro. Il problema è dato dal Patto di stabilità interno, perché, nel momento in cui lo Stato cofinanzia un'opera, ciò significa che l'ente locale deve stanziare la parte restante, che di solito ammonta al 50 per cento del costo complessivo.
Se vogliamo essere chiari, visto che la Banca d'Italia ci riferisce nella sua relazione depositata nel corso dell'audizione di ieri che uno dei limiti di tale questione è di non individuare le priorità, noi sappiamo che quegli interventi non si possono compiere. I comuni non li possono realizzare perché non possono stanziare la propria quota se non sforando il Patto di stabilità.
Penso che sia più onesto e più chiaro per il Paese affermare che i soldi sono fermi e che non verranno mai spesi e che essi vengano spostati da un'altra parte, in


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interventi a carico dello Stato. Oggi, con l'attuale sistema, l'intervento attraverso gli enti locali non si può attuare.
Oppure sarebbe auspicabile - opzione che io preferirei, perché tali opere sono indispensabili per i territori - che si stabilisca che le opere di interesse strategico, che rientrano quindi nel programma infrastrutture strategiche, tra cui figurano anche quelli degli enti locali, non rientrano nel Patto di stabilità interno.
Ricapitolando, o si decide che non realizziamo le opere per via dei limiti imposti dal Patto di stabilità interno, o consentiamo la loro realizzazione e, quindi, escludiamo le opere dall'ambito di applicazione del Patto stesso. L'opzione di lasciarle nel programma e poi non realizzarle è una grandissima ipocrisia.

GIULIO CALVISI. Porto un dato di esperienza. A luglio è stata approvata questa manovra, abbiamo protestato e abbiamo presentato la denuncia, davanti ai nostri sindaci e ai nostri amministratori locali, sull'entità della riduzione dei trasferimenti e sulle condizioni imposte sui saldi, condizioni capestro, per realizzare il saldo programmato di bilancio dei comuni per il 2011 e 2012.
Non solo vi è la riduzione dei trasferimenti, ma anche il vincolo del saldo da realizzare, che è un'altra questione e comporta riduzioni di spesa ancora più pesanti.
In questi giorni, i sindaci dei vari comuni stanno predisponendo il bilancio e sono arrabbiati, perché si trovano in difficoltà. Da quello che mi sembra di capire riguardo i tre punti che voi ponete, mi pare che non ci sia la possibilità di ridurre l'entità della manovra, considerando anche quanto indicato nella Decisione di finanza pubblica presentata dal Governo. Dovrebbe essere cambiato il documento che ci è stato presentato.
Molti nutrono fiducia sul fatto che magari ci possa essere un'apertura sulla revisione del Patto di stabilità interno e sulla questione citata dei residui passivi. Alcuni sindaci mi hanno riferito, però, che viene loro richiesta l'entità del debito sommerso di questi enti, in quanto anche i comuni hanno un debito sommerso.
Voglio capire se nelle vostre interlocuzioni con il Governo questo tema è emerso. Non è possibile pensare di operare interventi sui residui passivi o di rimodulare il Patto di stabilità interno, per non parlare di tutti gli interventi che devono essere compiuti dal lato del federalismo fiscale, senza parlare dell'entità del debito sommerso degli enti locali. Vorrei capire se è solo una questione che alcuni sindaci mi hanno sottoposto, un dubbio che hanno manifestato, o se anche nel tavolo nazionale di confronto che avete aperto con il Governo avete trattato questa questione.
La Corte dei conti ha accertato, per esempio, che il debito delle aziende sanitari locali è stato di 50 miliardi di euro. Se gli enti locali avessero il 40 per cento dei debiti sommersi che hanno avuto le Aziende sanitarie locali, non soltanto verrebbe messa in discussione la possibilità di agire sul Patto di stabilità interno e sullo sblocco dei residui passivi, ma probabilmente dovremmo rivedere al rialzo anche la percentuale fra debito e PIL.
Volevo sapere se avevate discusso di questi temi con il Governo.

PRESIDENTE. Darei la parola prima ai rappresentanti dell'ANCI e poi a quelli delle altre associazioni per una breve replica, compatibilmente con i tempi.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Mi scuso in anticipo per la brevità delle risposte che fornirò, in quanto tra non molto mi dovrò allontanare.
Onorevole Calvisi, noi normalmente non truffiamo. Avere debito sommerso, se le parole hanno un senso, significa sovrastimare le entrate e sottostimare le uscite. Si possono sottoporre a verifiche successive alcune valutazioni previsive, ma non mi risulta che sia un fenomeno che abbia una rilevanza ai nostri fini, per rispondere alla sua domanda.

GIULIO CALVISI. Mi riferisco, ad esempio, ai debiti commerciali del suo


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comune; immagino quali siano le difficoltà della pubblica amministrazione a pagare, per esempio, i debiti commerciali. Penso che questo sia un problema che riguarda lo Stato, ma che vivono anche...

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Mi perdoni, onorevole Calvisi, ma non si tratta di sommerso, quanto di un debito che si conosce. Si ha il patrimonio per fronteggiarlo, si hanno gli strumenti, si utilizza lo strumento della cartolarizzazione e lo si gestisce. È un'altra situazione.
Si tratta di un debito elevato, ma le potrei rispondere che, nel caso del mio comune, deriva dalla compartecipazione alla costruzione della metropolitana e dalla realizzazione di una parte rilevante di investimenti per ospitare le Olimpiadi invernali; l'aumento del debito nasce da tutto ciò. Secondo me è anche giusto che il costo della realizzazione della metropolitana di Torino sia pagato più da mio nipote che da me, perché io, ahimè, l'userò molto meno prima della sua obsolescenza tecnologica.
Procedo rapidamente a fornire altre risposte. Faccio mie le riflessioni del presidente Galletti e dell'onorevole Nannicini, nel senso che, secondo me, sarebbe proprio auspicabile una riflessione complessiva sul Patto di stabilità interno, non solo sulle sue regole, ma anche, se ho ben capito, sulla sua incidenza sugli equilibri complessivi, perché una norma che valga a prescindere dai pesi che ogni comparto riveste rispetto al totale di finanza pubblica è comunque squilibrata.
Se mi si chiede se esistano le condizioni per intervenire in questo frangente, per quel che ci riguarda siamo pronti ed è quello che chiediamo da tempo. Se poi ci siano le condizioni generali non lo so. Forse lo potete sapere più voi di me.
Onorevole Marchi, in linea di principio convengo con lei che, ai fini sia dell'attuazione alla lettera della legge n. 42 del 2009, sia logici, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza sarebbe presupposto necessario alla definizione di tutto l'impianto federalista. Occorre sapere quanto costa un servizio e qual è l'ammontare delle risorse da stanziare per realizzare tale servizio, ossia quali sono gli equilibri di questi due aspetti, per poter impostare un discorso corretto sul federalismo.
Con altrettanta franchezza le rispondo che, dato che per i comuni è essenziale e presenta un carattere strategico la riconquista di un livello di autonomia fiscale, che non esiste più da troppi anni, senza la quale noi perdiamo ogni margine di manovra, siamo disponibili a condividere un percorso che metta su un piatto della bilancia la riattivazione della autonomia fiscale attraverso il decreto legislativo che io preferisco chiamare sull'autonomia impositiva piuttosto che sul federalismo municipale, a condizione che, entro la fine del periodo transitorio definito dal decreto stesso, vi sia una definizione sia dei fabbisogni standard e dei relativi costi, sia dell'entità del fondo perequativo necessario a garantire che, quando il decreto entrerà in vigore, possano essere adeguatamente applicate misure di perequazione per i comuni che subiranno l'effetto di disposizioni che indubbiamente avranno una valenza diversa sul territorio. Questa è la mia risposta, che evidentemente tiene conto anche di certi vincoli.
Passo a un'ultima considerazione. Ieri abbiamo tenuto un incontro al Ministero dell'economia e delle finanze. In relazione al tema della compartecipazione contenuta nel decreto legislativo sul federalismo municipale, sembrerebbe esserci una disponibilità del ministro a non chiedere più la compartecipazione al gettito derivante dalla tassazione immobiliare e a sostituirla con una compartecipazione degli enti locali al gettito derivante dall'istituzione della cosiddetta cedolare secca sugli affitti.
Questo per noi è un passo in avanti. Bisogna poi vedere le cifre, però è indubbiamente un passo in avanti, perché evita che si determini una situazione che trasformerebbe tutta la parte relativa alla tassazione immobiliare contenuta nel decreto legislativo sul federalismo municipale


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sostanzialmente in una finzione: si chiamerebbe pesce il coniglio per mangiarlo nei giorni di vigilia.
Concludo affermando - in modo che sia chiara la posizione dell'ANCI - che noi abbiamo ancora ribadito con il nostro Ufficio di presidenza di oggi che non siamo in grado di dare e non daremo l'intesa sul decreto legislativo sul federalismo municipale se non avremo conseguentemente un cambiamento almeno parziale del Patto di stabilità interno, un allentamento sui residui passivi e una ripartizione diversa della manovra fra il 2011 e 2012, inserendo in questo discorso anche altre due questioni.
Mi riferisco alla necessità di riconoscere un margine di autonomia impositiva agli enti locali, pur tenendo conto della legislazione vigente, in quanto da eventuali addizionali IRPEF e da una maggiore imposizione dell'ICI sulla seconda casa possono derivare maggiori entrate per i comuni - basta volerlo, almeno per i comuni che sono stati sobri fiscalmente - e al recupero dell'ICI sulla prima casa. Se proprio non è possibile modificare la manovra di luglio per ragioni legate allo scenario internazionale, vista anche la situazione economica di alcuni Paesi come il Portogallo e l'Irlanda, ricordo che i comuni attendono il rimborso di 344 milioni di euro a titolo di minore importo riscosso per ICI sulla prima casa.
Credo di essere stato sufficientemente chiaro nel definire quali sono le nostre condizioni.

MAURIZIO LEO, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma. Svolgo una brevissima notazione, con riferimento a quello che ricordava prima il collega Nannicini sull'argomento della concertazione. La legge n. 42 del 2009 prevede un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma. È quella la sede naturale dove si dovrebbero definire gli equilibri citati e proporre le modifiche al Patto di stabilità interno. Confido che il Ministero dell'economia e delle finanze attivi al più presto tale tavolo.

PRESIDENTE. I rappresentanti dell'UPI e dell'UNCEM si rifanno alle risposte dei rappresentanti dell'ANCI.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 16,10, è ripresa alle 16,20.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Sono presenti il dottor Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei conti, il dottor Maurizio Meloni, presidente di sezione, il dottor Luigi Mazzillo, presidente di sezione, i consiglieri Maurizio Pala, Enrico Flaccadoro e Paolo Peluffo e il consigliere Luigi Caso, capo di gabinetto, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. La Decisione di finanza pubblica, sulla quale oggi la Corte è chiamata per la prima volta a presentare appunti e a esprimere le proprie valutazioni, è il primo documento che viene predisposto seguendo i nuovi criteri e la nuova tempistica per la gestione della finanza pubblica previsti dalla legge di riforma di contabilità pubblica, approvata lo scorso dicembre.
Come ricorda lo stesso documento, vi è, tuttavia, da considerare l'impatto che sulla nuova legge avranno gli adempimenti derivanti dal semestre europeo, lo strumento teso a introdurre nell'Unione europea una


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nuova procedura di sorveglianza multilaterale e di valutazione preventiva dei bilanci nazionali.
Se lei mi consente, presidente, ho da poco assunto questo incarico e nel mio discorso di insediamento farò particolare riferimento a questa nuova procedura, a come la Corte si inserisca in questo nuovo processo con la sua funzione e al nuovo assetto dei documenti contabili; mi piace richiamarlo in questo momento per me così importante, perché è la prima volta, peraltro, che riferisco al Parlamento sui documenti di finanza pubblica.
L'urgenza di un aggiustamento in grado di rassicurare i mercati, riducendo i rischi di un'incontrollata propagazione della crisi finanziaria, ha indotto tutti i principali Paesi europei ad anticipare a prima dell'estate la manovra correttiva dei conti pubblici.
Anche l'Italia, come è noto, si è allineata a quest'indirizzo approvando, a fine maggio, un importante pacchetto di misure di contenimento del disavanzo pubblico, il noto decreto legge n. 78 del 2010, nell'orizzonte del prossimo triennio.
Si tratta di un'accelerazione opportuna, ma che, di fatto, - mi si consenta di rilevarlo - ha fatto venir meno aspetti importanti della nuova gestione di bilancio e, soprattutto, il confronto con le autonomie territoriali per la definizione delle principali aree problematiche.
A distanza di quattro mesi dal decreto-legge n. 78 del 2010, la Decisione di finanza pubblica lascia sostanzialmente immutati la dimensione quantitativa della manovra correttiva e gli obiettivi di indebitamento netto e debito, mentre registra modifiche limitate del quadro macroeconomico e, invece, variazioni più consistenti nella composizione dei conti pubblici.
Con il contributo odierno, presidente, la Corte intende centrare l'attenzione su tre aspetti: il quadro macroeconomico 2011-2013 e i riflessi della bassa crescita economica sulla finanza pubblica, la valutazione della manovra correttiva del decreto-legge n. 78 del 2010, anche alla luce delle tendenze recenti dei conti pubblici, e il nuovo quadro di finanza pubblica, evidenziando i punti critici dell'azione di riequilibrio dei conti pubblici.
Con la Decisione di finanza pubblica il Governo apporta lievi modifiche al quadro macroeconomico che fa da sfondo alla costruzione dei saldi programmatici di finanza pubblica.
In particolare, rispetto alle stime della Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, la crescita reale viene elevata dall'1 all'1,2 per cento per il 2010, mentre è ribassata dall'1,5 all'1,3 per cento per il 2011; rimane inalterata l'attesa di un saggio di crescita del 2 per cento a partire dal 2012.
La revisione del quadro macroeconomico consegue agli andamenti del primo semestre di quest'anno, rivelatisi più brillanti delle attese. A partire dal mese di luglio, tuttavia, si sono manifestati segnali di improvviso rallentamento del ciclo. Ribassando le valutazioni di crescita per il 2011, le analisi del Governo prendono atto di questi recenti e non favorevoli andamenti.
L'Italia resta comunque, insieme a Francia, Spagna e Regno Unito, fra i Paesi che conseguirebbero il prossimo anno un risultato migliore che nel 2010, a fronte di una previsione di rallentamento dal 2,6 al 2,3 per cento per la media dei Paesi industrializzati, dal 2,9 al 2,5 per cento per gli Stati Uniti, dal 3,4 al 2 per cento per la Germania.
A tal riguardo, va sottolineato che le stime degli istituti indipendenti collocano anche l'Italia fra i Paesi dove la crescita reale del 2011 si collocherebbe al di sotto del risultato del 2010.
Al di là delle incertezze che circondano gli esercizi di previsione, inevitabilmente accresciutesi dopo la più grave crisi economica degli ultimi 80 anni, il quadro economico evidenzia rischi di incompatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica, laddove si consideri che, pur nella buona congiuntura dello scorso semestre, l'economia italiana ha perso ulteriore terreno rispetto al resto dei maggiori Paesi europei.


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Dalla fine della recessione, nel primo trimestre 2009, a oggi, il PIL è aumentato, in termini cumulati, del 4 per cento in Germania, del 2 per cento nella media europea e solo dell'1 per cento in Italia. Le stesse esportazioni, che hanno condotto la nostra economia fuori dalla crisi, sono cresciute complessivamente del 7 per cento, a fronte del 16 per cento della Germania e dell'oltre 10 per cento della media europea.
Una crescita più lenta, come è noto, acuisce le difficoltà della gestione della finanza pubblica, sia perché riduce la reperibilità di gettito fiscale sia perché tanto più bassa è l'espansione del prodotto, tanto più pronunciati sono gli effetti recessivi connaturati, nel breve periodo, al contenimento della spesa.
In queste condizioni, diviene più complesso consolidare il rigore di bilancio che l'Italia ha di recente privilegiato. Il nostro è l'unico grande Paese europeo che, dopo 10 anni di crescita della spesa, dal 2009 presenta un'invarianza in termini reali dei consumi pubblici.
È auspicabile, a tale riguardo, che, in vista del prossimo avvio del semestre europeo, sia messa a punto una strategia più articolata, capace di integrare il controllo dei saldi di bilancio pubblico con iniziative di rilancio delle prospettive di crescita del nostro Paese.
Alla fine dello scorso mese di maggio l'azione di contenimento del disavanzo pubblico nella prospettiva 2011-2012 si è realizzata con il varo del decreto-legge n. 78 del 2010, inteso ancora una volta ad anticipare a prima dell'estate la manovra di bilancio, tradizionalmente affidata alla legge finanziaria e ai provvedimenti collegati.
Secondo le valutazioni aggiornate della Decisione di finanza pubblica, la manovra si concentra per circa due terzi del totale sulla riduzione delle spese. Ciò appare coerente tanto con l'esigenza di invertire gli andamenti manifestatisi nel corso del 2009, quanto con la necessità di ripristinare più equilibrati valori in percentuale del prodotto, scongiurando così l'insorgere di problemi di sostenibilità futura.
I tagli di spesa interessano per oltre il 60 per cento le amministrazioni locali, alle quali è chiesto per l'intero periodo un contenimento molto rilevante, che non preserva la spesa in conto capitale, già in forte flessione negli anni passati e nella proiezione tendenziale.
È consistente il risparmio atteso dalla spesa previdenziale, risultante da una rimodulazione delle finestre di pensionamento, da una dilatazione del momento di corresponsione del trattamento di fine rapporto (TFR) per i pubblici dipendenti, da un innalzamento dei requisiti per l'accesso ai trattamenti pensionistici e dell'età pensionabile per le dipendenti delle pubbliche amministrazioni. È stato, inoltre, disposto un più severo monitoraggio delle modalità di concessione dei trattamenti di invalidità.
Risparmi non trascurabili sono attribuiti alla riduzione di altre spese, tra cui le spese di personale delle amministrazioni pubbliche, in relazione sia alle misure di blocco delle dinamiche retributive sia agli interventi per la riduzione del numero dei pubblici dipendenti.
La correzione affidata alle maggiori entrate, circa 9 miliardi di euro in termini strutturali, è attesa quasi esclusivamente dai provvedimenti di contrasto all'evasione fiscale, che, secondo le stime governative, contribuisce per circa un terzo alla riduzione dell'indebitamento netto e rappresenta quasi il 90 per cento del maggior gettito atteso dalla manovra correttiva.
Nel decreto-legge n. 78 del 2010, la componente espansiva della manovra è di limitatissima entità ed è sostanzialmente concentrata nel 2011, anno per il quale si prevedono un ampliamento del fondo per la politica economica istituito presso la Presidenza del Consiglio e una riduzione degli acconti IRPEF, poi recuperati come maggiori entrate nel 2012 e 2013.
L'articolazione della manovra, pressoché per intero destinata a contenere il disavanzo, si riflette necessariamente in modo negativo sulle prospettive di crescita economica, la quale potrebbe, tuttavia, trarre beneficio indiretto dal rafforzamento


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della fiducia sulla sostenibilità dei conti pubblici e dal conseguente più ordinato comportamento dei mercati.
La manovra sulle entrate del decreto-legge n. 78 del 2010, che si articola in una trentina di interventi volti ad assicurare un maggior gettito, è stata analizzata dalla Corte nella audizione del 10 giugno scorso, svolta presso la Commissione bilancio del Senato in occasione del ciclo di audizioni disposto in occasione dell'esame del decreto-legge n. 78 del 2010, alla quale rinvio.
In questa sede è, tuttavia, opportuno tornare a evidenziare come detto decreto-legge confermi la linea, adottata negli ultimi due anni dal Governo, di non considerare più il maggior gettito derivante dalle misure di contrasto all'evasione come semplicemente eventuale e aggiuntivo, ma di contabilizzarlo a pieno titolo come fonte di finanziamento delle manovre di finanza pubblica.
La scelta di puntare in via principale sui proventi attesi dalle misure di contrasto all'evasione riflette la volontà di sfruttare gli ancora ampi margini di recupero di materia imponibile offerti dalle perduranti vaste dimensioni del fenomeno dell'evasione tributaria e contributiva, consentendo di aumentare il gettito tributario senza elevare ulteriormente il livello delle aliquote delle imposte.
La rilevanza di tale impegno, tuttavia, sottolinea anche la criticità dei fattori che possono assicurare la realizzazione e il consolidamento dei risultati attesi, a cominciare dal fattore amministrativo.
Il decreto-legge n. 78 del 2010 assegna un ruolo non marginale a operazioni di riduzione della spesa statale, proponendo tagli lineari del 10 per cento delle dotazioni delle spese rimodulabili di tutte le amministrazioni statali, con l'esclusione delle risorse destinate a università, ricerca, informatica e al finanziamento degli interventi relativi alla destinazione del 5 per mille dell'IRPEF.
Nell'ultimo decennio la spesa statale è stata sempre oggetto di tentativi di contenimento nell'ambito delle manovre correttive degli andamenti tendenziali.
Gli esiti di questi tentativi sono stati spesso deludenti, risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti, il che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici delle amministrazioni, o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio; tali debiti sono destinati a essere regolarizzati in anni successivi, con aggravi rilevanti per la gestione contabile dell'esercizio nel quale avviene l'«emersione».
Due terzi del taglio è attribuito, per il primo anno, alla spesa in conto capitale; un terzo alla spesa corrente, con la consueta concentrazione sui consumi intermedi.
Un confronto con i risultati della gestione effettiva di questi ultimi anni, con riguardo specifico al comparto delle «spese rimodulabili», consente, tuttavia, di esprimere alcune riserve sulle stime ufficiali degli effetti attesi. Le perplessità riguardano il contenimento tanto dei consumi intermedi, il cui livello appare ormai difficilmente comprimibile con la mera riduzione degli stanziamenti di bilancio, quanto delle spese in conto capitale, per le quali non sembra realistica l'ipotesi di una flessione dei pagamenti, già nel 2011, pari a poco meno del 50 per cento della riduzione degli stanziamenti.
Come già anticipato, il contributo richiesto alle amministrazioni territoriali è rilevante: si tratta di oltre un terzo della manovra complessiva e del 60 per cento dei tagli previsti per la spesa. Inoltre, nel primo anno, il 2011, la correzione richiesta è ancora maggiore, rappresentando poco meno del 40 per cento della manovra lorda e quasi due terzi dei tagli di spesa.
La manovra opera nei confronti delle amministrazioni territoriali attraverso la «stretta» sui trasferimenti statali a esse destinati: il taglio quantitativamente maggiore riguarda i trasferimenti alle regioni a statuto ordinario, di 4,5 miliardi nel 2011 e 5,5 miliardi nel 2012. È minore il taglio riguardante comuni e province, complessivamente di circa 1,8 miliardi nel 2011 e di 3 miliardi nel 2012.


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Nella ricordata audizione presso il Senato, la Corte ha evidenziato alcuni aspetti critici di tali interventi, soprattutto con riguardo alla sostenibilità dei tagli di spesa richiesti e dei possibili effetti distorsivi di un'applicazione indifferenziata degli stessi.
Sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni locali si riflette, poi, l'inadeguatezza di un meccanismo, quello del Patto di stabilità interno, che non è in grado, nell'impianto vigente, di tener conto delle differenti caratteristiche di un universo di riferimento molto ampio - oltre 2 mila 200 enti - e con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate. Un impianto indifferenziato e non selettivo che si è, di fatto, tradotto o in un inevitabile, ma non opportuno rallentamento della spesa in conto capitale o nel ricorso a scelte elusive e di aggiramento del Patto, come attraverso l'utilizzo distorto delle società partecipate.
Nella manovra definita prima dell'estate, alcune rilevanti decisioni riguardano il pubblico impiego, con l'intento di disciplinare la dinamica retributiva e di riproporre interventi per il contenimento della consistenza del personale.
Come è noto, un primo gruppo di interventi riguarda il blocco degli incrementi retributivi per il biennio 2008-2009 e il rinvio della contrattazione per il triennio 2010-2012 e degli automatismi stipendiali previsti per il personale non contrattualizzato.
Rinvio in merito alla parte scritta, dove questi elementi, peraltro già posti in evidenza nella precedente audizione, sono nuovamente illustrati.
Passo a trattare il nuovo quadro di finanza pubblica.
La Decisione di finanza pubblica, peraltro, a dire il vero, non corredata da alcuni elementi dei documenti previsti dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009, né dalla relazione sui risultati della lotta all'evasione - ciò può comprendersi, attesa anche l'eccezionalità e il momento peculiare del nuovo documento, dei tempi in cui esso è stato previsto e della sua limitazione temporale, posti peraltro in evidenza nella stessa pagina introduttiva della Decisione - fornisce un quadro aggiornato di preconsuntivo per il 2010. Viene confermato il conseguimento dell'obiettivo in termini di indebitamento, mentre risultano limitate le variazioni rispetto al quadro fornito dalla RUEF. Un aumento della spesa complessiva di circa 2 miliardi, prevalentemente riconducibili ad altre spese correnti, è più che compensato da un miglioramento delle entrate in conto capitale e di quelle non tributarie.
Nel caso delle entrate tributarie, alla sostanziale invarianza del livello assoluto del gettito si accompagna, tuttavia, una ricomposizione fra imposte dirette, in flessione per poco più di 7 miliardi, e imposte indirette, in aumento di un'analoga cifra rispetto alla previsione della Relazione unificata. Si tratta di un risultato asimmetrico, che appare scollegato dal mutato quadro macroeconomico e che non sembra trovare giustificazione nell'evoluzione del quadro normativo, considerato, peraltro, che il limitato impulso del decreto-legge n. 78 del 2010 è circoscritto all'imposizione diretta. Si tratta di una proiezione all'intero anno di un andamento registrato attraverso l'attività di monitoraggio e che viene spiegato con la diversa elasticità delle componenti di gettito rispetto all'evoluzione dell'imponibile, oltre che, con riguardo all'IVA, con fattori contingenti come le minori compensazioni oltre alla lievitazione - non segnalata nella DFP che commentiamo - dei prezzi dei prodotti petroliferi.
La spiegazione, in verità, non è del tutto convincente. Non può essere escluso che il calo delle imposte dirette sia riferibile a una non permanente acquisizione di basi imponibili emerse, a seguito di diversi interventi di contrasto dell'evasione adottati negli ultimi anni.
Sono diverse le valutazioni che si possono trarre se il preconsuntivo è posto a raffronto con il quadro programmatico contenuto nella nota di aggiornamento al DPEF 2010-2012, sostanzialmente confermato nella nota informativa del gennaio 2010. Il conseguimento dell'obiettivo in termini di indebitamento si accompagna,


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in questo caso, con una forte ricomposizione della spesa. Il preconsuntivo espone spese correnti per circa 10 miliardi superiori al livello programmato, compensate da una flessione della spesa per interessi e da un ulteriore calo di quella in conto capitale. Pur considerando che in parte l'aumento della spesa corrente possa essere connesso con una diversa valutazione dei Servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati (SIFIM) - il dato di consuntivo 2009 avrebbe spinto a rivedere di circa 1,8 miliardi di euro tale voce, inclusa nei consumi intermedi - la forte crescita che ancora per quest'anno è attribuita ai consumi intermedi ben identifica la rilevanza dell'impegno assunto dal Governo per realizzare, in tale categoria di spesa, risparmi di natura strutturale.
L'esame del nuovo quadro di finanza pubblica 2011-2013, che incorpora la manovra correttiva del decreto-legge n. 78 del 2010, nonché gli aggiustamenti richiesti da una più recente verifica degli andamenti economici, evidenzia comunque alcuni elementi di rilievo.
Le nuove previsioni di finanza pubblica confermano un livello dell'indebitamento netto in linea con i valori concordati in sede europea e già assunti nel Programma di stabilità presentato nel gennaio 2010.
La spesa corrente al netto degli interessi risulta sostanzialmente in linea con il profilo previsto nella Relazione unificata, al netto delle misure previste dal decreto-legge n. 78 del 2010. La correzione attesa è pari a circa 4,8 miliardi di euro nel 2011, che crescono a oltre 10,5 miliardi di euro nel 2012.
Per la spesa per redditi da lavoro dipendente, il rinvio della contrattazione collettiva per il successivo triennio, la cristallizzazione delle retribuzioni individuali ai livelli del 2010 e i più rigorosi limiti alle nuove assunzioni sono alla base di un andamento pressoché stabile per l'intero triennio.
Dopo una crescita di quasi il 2 per cento nel 2010 per effetto dello slittamento dal 2009 di numerosi accordi relativi, soprattutto, alle aree dirigenziali - per un valore complessivo, in termini di cassa, di circa 2 miliardi di euro - il quadro triennale registra una diminuzione nel 2011 dello 0,61 per cento, con aumenti molto contenuti per i due esercizi successivi, dello 0,12 per cento e dello 0,35 per cento. Alla fine del triennio l'incidenza sul PIL dei redditi di lavoro dipendente sarebbe di circa il 10 per cento, il valore più basso dell'ultimo decennio.
Le previsioni scontano poi la probabile diminuzione del personale pubblico connessa con l'ulteriore inasprimento del turnover. Il deflusso potrebbe risultare superiore alle previsioni - basate sulla media delle cessazioni intervenute negli anni precedenti - laddove le misure relative alle diverse modalità di fruizione dell'indennità di buonuscita dovessero rendere meno convenienti per alcune categorie di personale, in possesso della prevista anzianità contributiva, l'ulteriore permanenza in servizio.
Sono state riviste al ribasso le stime relative alla spesa per interessi. In termini di PIL si passa dal 5,2 per cento al 4,8 per cento. Una riduzione che contribuisce per oltre 7 miliardi di euro al miglioramento del saldo nel 2012.
Si accentua, infine, il calo della spesa in conto capitale, che flette, rispetto al livello previsto nel 2010, di oltre 7,5 miliardi di euro. Nel 2013 la spesa prevista è inferiore a quella registrata nel 2009, di poco meno del 21 per cento. In termini di prodotto si passa dal 4,3 per cento al 3 per cento.
Tale negativa proiezione riflette una consistente correzione delle stime ufficiali sugli effetti del decreto-legge n. 78 del 2010. Rispetto alla quantificazione originaria i tagli alla spesa in conto capitale crescono considerevolmente, venendo a rappresentare circa il 30 per cento della correzione complessiva in termini di spesa, da poco più dell'8 per cento nelle valutazioni iniziali.
Muta, infatti, in misura significativa l'impatto atteso dalla riduzione dei trasferimenti alle amministrazioni territoriali: mentre nella versione iniziale del provvedimento il taglio era rimasto a carico della sola spesa corrente, una più attenta valutazione


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ha indotto il Governo a imputare alle spese in conto capitale oltre il 50 per cento della riduzione attesa.
Il profilo nettamente decrescente delle spese in conto capitale alimenta, inoltre, un dubbio non nuovo. Il quadro di finanza pubblica della DFP è, infatti, il risultato di previsioni tendenziali, alle quali la DFP dedica un'apposita nota metodologica, che peraltro non fuga tale dubbio, integrate con gli effetti attesi dal decreto-legge n. 78 del 2010. Ma in questo caso non è chiaro se la proiezione ricomprenda o meno le spese che richiedono un apposito rifinanziamento, come tali non registrate dalle previsioni a legislazione vigente, come per i contributi alle ferrovie e all'ANAS. Nella prima ipotesi ci troveremmo di fronte a una decisione programmatica molto severa, per il collasso di una componente di spesa da sostenere e qualificare. Nella seconda ipotesi, invece, dovrebbe essere segnalata una significativa sottostima della spesa futura, che richiederebbe un apposito finanziamento.
Viene corretto in riduzione di circa 4 miliardi di euro l'importo delle entrate nel 2012 rispetto al quadro della RUEF, comprensivo della manovra estiva. Una correzione equivalente a poco meno del 50 per cento delle maggiori entrate nette attese con i provvedimenti introdotti con il decreto-legge n. 78 del 2010.
Alla luce dei criteri di previsione illustrati nella nota metodologica, la riflessione delle entrate sarebbe l'effetto di due fattori negativi, che sopravanzano l'impulso positivo connesso con il maggior gettito prodotto dagli interventi del decreto-legge n. 78 del 2010. Il primo è costituito dal deterioramento del quadro economico, che, per quanto di dimensioni limitate, si riflette sfavorevolmente sulle entrate tributarie.
Il secondo fattore negativo, deriverebbe dalla proiezione sull'intero arco triennale degli esiti non positivi del «monitoraggio» delle entrate fino a oggi realizzate. Un monitoraggio che ha indotto, in sede di DFP, a effettuare correzioni al ribasso delle previsioni di entrata di dimensioni molto rilevanti, nel 2011 per un importo quasi cinque volte superiore all'effetto di maggior gettito atteso dalla manovra varata con il decreto-legge n. 78 del 2010.
La tendenza al calo delle entrate tributarie potrebbe allora riflettere anche il progressivo esaurirsi delle potenzialità di gettito delle fonti più accette sulle quali si è fatto affidamento nel corso dell'ultimo triennio, legate all'aumento dell'efficienza del sistema di riscossione, alla flessibilizzazione degli esiti dell'attività di accertamento con l'estensione dell'ambito di applicazione degli istituti alternativi al contenzioso, al contrasto dei giochi illegali e alla gestione di tipo industriale delle stesse attività di gioco.
Mi avvio alle conclusioni.
La Decisione di finanza pubblica prospetta un quadro in linea con gli impegni assunti in sede europea per il rientro dal disavanzo.
L'analisi dei conti pubblici resi disponibili anche per i livelli di governo, consente, tuttavia, di confermare la ristrettezza dei margini di intervento di cui dispone la gestione della finanza pubblica, in condizioni di bassa crescita economica e di perdurante rigidità della spesa pubblica.
Il riequilibrio prospettato nella Decisione di finanza pubblica affidato a un forte contenimento della spesa, è allo stesso tempo di non facile realizzabilità e non sufficientemente selettivo. Il taglio massiccio delle spese di investimento è un indice significativo dei limiti e delle difficoltà attuali.
Al termine del periodo di previsione, la pressione fiscale resta comunque molto elevata. La flessione delle entrate connessa alla bassa crescita del prodotto richiede di concentrare la strategia di recupero del gettito su interventi di contrasto dell'evasione fiscale, con un affidamento non esente da rischi di insuccessi almeno parziali.
Analogamente, non può essere sottovalutato il segnale di allarme rappresentato dalla tendenza al calo delle entrate registrato attraverso il monitoraggio.
Vi è, inoltre, da valutare in che misura la revisione delle regole europee del Patto


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di stabilità e crescita, accelerando il percorso di rientro del debito, richiederà interventi sul livello della spesa. La sostenibilità di uno sforzo di contenimento ulteriore è strettamente legata alla capacità del Paese di ottenere tassi di crescita del prodotto superiori a quelli registrati negli ultimi anni. È indispensabile, a questo fine, che anche la politica di bilancio possa accompagnare tale processo.
La ristrettezza dei margini di azione e la conseguente difficoltà di procedere con politiche generalizzate di contenimento della spesa spinge, invece, in direzione di una difficile ma inevitabile linea di tipo selettivo; in altri termini, ripropone il tema della riqualificazione della spesa pubblica.
Un tema che, a sua volta, richiede il potenziamento e l'affinamento degli strumenti di analisi, delle informazioni di base e delle valutazioni dei risultati a diversi livelli di scala.
Coerente con la necessità di attuare un'effettiva riqualificazione della spesa appare il percorso di responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali sottostante al processo di definizione del federalismo fiscale. Un percorso che deve procedere con rapidità, nella consapevolezza dei limiti entro cui deve muovere oggi la politica di bilancio del Paese. Possono essere preziosi a questo fine anche i processi di aggregazione nella gestione delle funzioni fondamentali delineati nella manovra di luglio - che anticipano scelte operate nella Carta delle autonomie locali - o quelli che puntano a un'effettiva revisione del troppo ampio universo delle società a partecipazione locale. Tali riforme vanno, tuttavia, accompagnate da chiare indicazioni attuative, nella prospettiva di determinare una liberazione di risorse a favore di interventi che incidano favorevolmente sulla crescita.
Anche in vista dell'attuazione del federalismo fiscale, resta comunque prioritario proseguire sulla strada di perfezionamento dei meccanismi pattizi che presiedono al coordinamento della finanza pubblica, con l'esplicito fine di pervenire a una distribuzione condivisa dell'onere dell'aggiustamento di bilancio.

PRESIDENTE. Ringrazio vivamente il presidente Giampaolino, poiché ritengo che la sua relazione sia molto utile per il prosieguo dei nostri lavori.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIO CALVISI. Grazie per averci presentato questo lavoro analitico e compiuto, che ci permette di avere informazioni di cui non disponevamo per la discussione che dobbiamo svolgere.
Vorrei formulare al presidente Giampaolino la stessa domanda che ho posto al presidente dell'ANCI. Nel documento che avete depositato - precisamente a pagina 14 dello stesso - voi svolgete un'affermazione contenuta anche nel documento del Governo che stiamo analizzando: «Nel prossimo triennio la spesa corrente delle amministrazioni locali al netto degli interessi è prevista crescere in media dell'1,1 per cento, contro una flessione dell'1,2 per cento per le amministrazioni centrali.» Ciò inverte la dinamica degli ultimi anni, perché la dinamica dell'ultimo quinquennio mostra che - cito testualmente - : «tali spese hanno registrato un incremento medio del 3,9 per cento nelle amministrazioni territoriali e del 5,1 per cento nel caso delle amministrazioni centrali.». Benissimo!
Tornando ora a pagina 7 della medesima nota depositata, voi svolgete un'altra considerazione importante. Dopo aver rilevato che il decreto-legge n. 78 del 2010 assegna un ruolo non marginale ad operazioni di riduzione della spesa statale, aggiungete che: «Nell'ultimo decennio, la spesa statale è sempre stata oggetto di tentativi di contenimento, nell'ambito delle manovre correttive degli andamenti tendenziali. Gli esiti di questi tentativi sono stati spesso deludenti, risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti (ciò che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici dell'Amministrazione) o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio. Debiti destinati ad


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essere regolarizzati in anni successivi, con aggravi rilevanti per la gestione contabile dell'esercizio nel quale avviene l'"emersione"».
Immagino, allora, che questo sia un problema che riguarda l'amministrazione centrale dello Stato, ma anche le regioni e i comuni. Poco fa ho formulato una domanda su tale punto al presidente dell'ANCI, e mi sembra che abbia affermato che non esista tale problema, per il momento e che non esista ai fini di una rimodulazione del Patto di stabilità interno.
Le chiederei, quindi, un approfondimento su tale punto. In particolare, vorrei sapere se voi avete ipotizzato una ricognizione in maniera analoga a quella che svolgeste sui debiti sommersi delle aziende sanitarie locali, nel 2006, che ci consegnò un quadro debitorio fino ad allora non conosciuto.
Vorrei, inoltre, sapere se tale ricognizione possa mostrare un'entità del debito tale da rimettere in discussione quelle previsioni che svolgevamo sull'organizzazione della spesa corrente per le amministrazioni locali e per quelle centrali, se possa avere incidenza sui numeri che avete ricordato, sul deficit, che nelle previsioni della Decisione di finanza pubblica dovrebbe ridursi nei prossimi anni, o addirittura sul debito, che sempre nella DFP dovrebbe crescere nei prossimi anni, per poi ridursi nel 2012-2013.
Essendo quello del debito il problema più importante del nostro Paese, è chiaro che l'emersione di un nuovo debito comporta un aggravio della situazione. Vorrei, dunque, chiederle un chiarimento su tale punto, sperando di essere stato chiaro.

MASSIMO VANNUCCI. Anch'io ringrazio il presidente Giampaolino per l'audizione.
Presidente, anche lei nell'incipit della sua relazione è partito dal Patto di stabilità europeo e dalla prossima apertura del semestre europeo.
La nostra impressione è che questo tema stia diventando un alibi o uno scudo. Non si fa nulla anche in questa Decisione di finanza pubblica, perché poi arriverà il semestre europeo. Noi, invece, dovremmo compiere alcune scelte e anche lei indica quella della riqualificazione della spesa pubblica e altro.
Dovremmo, quindi, tutti insieme cercare di fare sì che questo ritornello si fermi, perché in Europa dobbiamo portare le nostre scelte. Se a novembre dobbiamo discutere del Programma nazionale di riforma, sarebbe bene che interagissimo per conoscere le idee esistenti.
In effetti, ritengo che molti dei nostri problemi siano dovuti alle mancate riforme, alla linea di immobilismo seguita in questa crisi, fatta eccezione per il decreto-legge n. 78 del 2010, che voi commentate ampiamente con luci e ombre. Il problema principale, che viene indicato - e non è da voi disconosciuto - è, infatti, che tale decreto è negativo per la crescita. Si parla di azioni non espansive e si rileva che le riduzioni delle spese sono state soprattutto di spesa in conto capitale, il che incide negativamente sulla crescita.
Sul quadro macroeconomico, rimanendo così la situazione e affermando la Decisione di finanza pubblica che tutto è stato compiuto e che, quindi, nella legge di stabilità e nella legge di bilancio non è più necessario fare nulla, ma solo presentare tabelle, volevo sentire un suo commento sul quadro macroeconomico, cioè sulle previsioni di crescita, che sono molto basse.
La Banca d'Italia, ieri, ci ha già riferito che le ritiene ambiziose e ci ha invitato alla cautela per il troppo ottimismo con questi tassi bassi. È vero che l'Italia non registra un 2 per cento in più da decenni, però si potrebbe anche pensare che, dopo aver avuto un calo del 6 per cento, questi livelli siano raggiungibili.
Svolgo un'ultima considerazione. Voi sostenete che la leva cui appoggiarsi può essere quella delle maggiori entrate rivenienti dalla lotta all'evasione fiscale, visto che la tassazione fiscale è alta. Nel decreto-legge n. 78 del 2010, in merito alle misure di contrasto all'evasione fiscale, abbiamo scontato effetti positivi sui saldi come effetti certi, mentre la Corte dei


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conti ci ha sempre invitato a non scontare effetti finché non si sono prodotti. Questa volta non lo fa: è cambiata la linea della Corte dei conti?
Infine, in materia di riqualificazione della spesa pubblica, di lotta all'evasione fiscale e di entrate da essa derivanti, sarebbe bene procedere ad abbassare la tassazione fiscale o quanto meno a contribuire a una diversa distribuzione del carico fiscale.
Sono dati importanti, perché, se il carico fiscale fosse diversamente distribuito, ci sarebbero immediati effetti nella domanda interna e, quindi, nella produttività del Paese e nella crescita.

LINO DUILIO. Grazie, presidente, per questa sua audizione. Pongo anch'io due domande a proposito di quella che potremmo definire la via europea alla tenuta dei conti e a possibili prospettive di sviluppo.
Per inciso, personalmente vedo queste ultime ben poco verosimili, se non altro per la considerazione, come lei sa, che le risorse proprie dell'Unione europea sono pressoché insignificanti e distribuite su filoni tradizionali che al tema della crescita riservano poco spazio, nonché destinate non a crescere, ma a diminuire anche per il fatto che si consentirà ai Paesi membri di sanare le situazioni debitorie di finanza pubblica abbassando il proprio contributo a livello comunitario.
Non nutro, quindi, molte speranze in merito. Vedremo poi se ci saranno gli eurobond, come sostiene il Ministro Tremonti.
In questo quadro, in cui è certamente importante - per la tenuta dei conti - prevedere un sistema di monitoraggio al fine di evitare che le situazioni di crisi di un determinato sistema economico contagino gli altri sistemi, dato sicuramente positivo, la mia domanda è se esiste ed esisterà, sempre più in prospettiva, uno spazio di politica economica a livello nazionale perché si possano conseguire obiettivi, oltre che di tenuta dei conti pubblici, i quali rappresentano un dato di necessità, anche e soprattutto di crescita del reddito, che, a questo punto, costituisce un bisogno come quello dell'aria che respiriamo.
Siamo arrivati, infatti, al punto in cui, come si afferma anche nella vostra relazione, con il contenimento della spesa pubblica mediante i tagli lineari abbiamo raschiato il fondo del barile e non si può continuare ad andare avanti in questo modo.
Mi incuriosisce anche sapere se dalle vostre rilevazioni cominciano a prefigurarsi effetti reali sull'efficienza e sull'efficacia della pubblica amministrazione, in considerazione della non neutralità dei tagli di spesa sul funzionamento della pubblica amministrazione. Altrimenti dovremmo arrivare alla conclusione o che in questi anni si è «scialacquato» - chiedo scusa per il termine - oppure che si può continuare a tagliare la spesa pubblica, senza che ciò provochi conseguenze di alcun tipo.
A me risulta, per concetti elementari, che anche la pubblica amministrazione, che si tratti di risorse per consumi intermedi o di altro, probabilmente presenta esigenze di efficienza ed efficacia che non sono neutre nelle interrelazioni anche con il tema dello sviluppo e della crescita.
In relazione ai tagli lineari di spesa mi pare che non possiamo andare più avanti così. Avevamo affermato nella legislatura scorsa che bisognava avviare la procedura di spending review al fine di compiere interventi di riduzione della spesa in particolari settori, evitando di applicarli in modo generalizzato, ma siamo da capo, come si suol dire, nel «campo delle cento pertiche». Comunque sia, non possiamo effettuare ancora molti tagli lineari di spesa in prospettiva.
Sul versante delle entrate continuiamo a recitare la giaculatoria della lotta all'evasione e all'elusione fiscale, ormai diventata una telenovela che ci raccontiamo ogni anno. Le varie stime parlano di 170 o di 200 miliardi di euro di imposte evase.
Di questa benedetta evasione ed elusione fiscale potrei affermare «che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa», perché poi, alla fine, non riusciamo a


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iscrivere a bilancio se non le speranze o, come sostengo io, le illusioni, stravolgendo anche le regole contabili, come è stato ricordato poco fa dal collega Vannucci, in quanto tra poco nel bilancio dello Stato inseriremo le speranze quantificate.
Sul versante della crescita abbiamo tassi rachitici ormai da troppo tempo. Delle nuove procedure a livello europeo abbiamo già parlato e non so se dalle stesse scaturiranno conseguenze positive per l'economia nazionale.
A livello nazionale, in merito alla liberazione delle risorse, di cui anche lei parla - sinceramente sono affezionato al termine «liberazione», perché significa liberare alcune potenzialità - non ho ancora capito da dove liberiamo le risorse che dobbiamo liberare; vorrei saperlo, in modo tale da poterle apprezzare quantitativamente ed eventualmente destinarle a politiche nazionali che possano avere effetti positivi sulla crescita.
Concludo con una domanda sulla seconda parte del suo intervento: lei non teme che, andando avanti di questo passo, ci sia anche il rischio che il nostro Paese sconfini in un'area deflattiva? Non voglio rappresentare la Cassandra della situazione, ma questo rischio è totalmente astratto, come io mi auguro, ovviamente, oppure potremmo anche finirvi dentro?
Con una situazione di consumi depressi, con la mancanza, anzi con la caduta di investimenti, con le risorse da liberare che rappresentano solo una speranza, lei nutre questa preoccupazione in cuor suo, se ce lo può confessare, oppure no?

ROLANDO NANNICINI. La ringraziamo perché nelle sue conclusioni lei ha posto al centro un tema; leggo testualmente: «vi è, inoltre, da valutare in che misura la revisione delle regole europee e del Patto di stabilità e crescita, accelerando il percorso di rientro del debito...».
Dobbiamo, dunque, dare per scontato che non solo il deficit, ma anche il rientro del debito richiederà interventi sui livelli di spesa.
Lei ha sottoposto alla nostra attenzione una certezza. Le chiedo se il patrimonio pubblico statale, il cui valore, con riferimento a quello disponibile, è stimato in 3,3 miliardi di euro, è ben censito o non è a disposizione per poterlo utilizzare a fini di riduzione del debito.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Possiamo fornire risposte puntuali, tenendo presente, però, che la magistratura che ho l'onore di presiedere dà elementi di valutazione al Parlamento, mentre le valutazioni spettano a quest'ultimo. Alcune domande postulerebbero un giudizio. Noi vogliamo offrire, nel nostro intento di mantenere un profilo di neutralità e di obiettività, elementi il più possibile neutrali e obiettivi per le vostre valutazioni.
Inizio dalla prima domanda dell'onorevole Calvisi, su una ricognizione dei debiti delle amministrazioni centrali, e in particolare la questione dei ritardati pagamenti. Si domanda perché non svolgere un'analisi anche dei debiti sommersi delle amministrazioni pubbliche.
Vorrei pregare il collega Flaccadoro, che si è interessato di questo argomento, se può rispondere.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Rispondo puntualmente alla domanda. Mi sembrava che essa vertesse, come ho sentito prima nel corso del dibattito svolto in occasione dell'intervento del sindaco Chiamparino, sul fatto se esista una ricostruzione della posizione debitoria delle amministrazioni comunali e regionali.
In effetti, rispondo che la Corte dovrebbe ricevere quest'anno alcuni dati in merito. Come strumento di analisi degli enti territoriali possediamo alcune linee guida e questionari, che vengono compilati dai revisori contabili e inviati alle nostre sezioni.
Due anni fa, proprio in occasione dell'analisi sulle posizioni debitorie sommerse


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degli enti, per fare il punto dell'ammontare dei debiti commerciali degli enti territoriali, è stato disposto che fosse allegata alla relazione che viene inviata alle sezioni regionali da ciascun revisore contabile proprio una relazione sui debiti delle amministrazioni locali, che rappresenta un'analisi accurata sulla sussistenza dei residui passivi.
Come sosteneva il sindaco Chiamparino, ci possono essere sia residui passivi che corrispondono a debiti commerciali sia residui passivi che nei bilanci degli enti rappresentano appostazioni, ma non corrispondono effettivamente a debiti commerciali, perché non hanno ancora avuto seguito gli atti di impegno effettivo.
La Corte sarà nelle condizioni, raccogliendo gli esiti di quest'analisi speciale, che dovrebbero essere allegati dai revisori contabili ai questionari forniti, di portare al Parlamento un'analisi più approfondita di questo fenomeno, che indubbiamente, come è stato osservato, può allargare il confine del debito pubblico, anche se dobbiamo tenere sempre presente che i debiti commerciali non sono considerati, per convenzione, parte del debito pubblico nelle statistiche comunitarie.

MAURIZIO MELONI, Presidente di sezione della Corte dei conti. Con riferimento alle amministrazioni centrali, porteremo l'attenzione su tali aspetti soprattutto in sede di relazione che invieremo al Parlamento insieme al giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2010.
Per le amministrazioni centrali esiste già un osservatorio specifico del cui monitoraggio si dà conto in sede di giudizio di parificazione del Rendiconto, ragion per cui si tratta di un'osservazione che viene già effettuata e che ritroverete in Parlamento nei prossimi mesi. Ne prendiamo nota.

MAURIZIO PALA, Consigliere della Corte dei conti. Provo a mettere insieme in un'unica risposta i quesiti posti essenzialmente sul rapporto tra crescita economica e riequilibrio dei conti pubblici.
Certamente il quadro prospettato dalla Decisione di finanza pubblica può presentare dei limiti, nel senso che le condizioni determinanti per garantire gli equilibri di finanza pubblica non offrono garanzie certissime di realizzazione.
In primo luogo si prevede l'integrale attuazione dei provvedimenti contenuti nel decreto-legge n. 78, che naturalmente presentano, per alcuni aspetti, punti critici, che abbiamo messo in evidenza anche nell'audizione di giugno.
In secondo luogo, si fa riferimento ad un'ipotesi di crescita economica che certamente non può essere iscritta tra le più pessimistiche. Per esempio, gli istituti indipendenti di ricerca indicano proiezioni per il triennio più basse di quelle accolte dalla Decisione di finanza pubblica.
In terzo luogo, si sconta anche il contributo graduale di alcune riforme strutturali, come il federalismo fiscale, l'efficienza della pubblica amministrazione e gli esiti ulteriori della riforma pensionistica.
Se vediamo quali sono alla fine i risultati che dobbiamo raggiungere, secondo il quadro di proiezioni contenuto nella Decisione di finanza pubblica, osserviamo che tale quadro è equilibrato e, se si vuole, in linea con gli obiettivi programmatici solo se si guarda all'accezione aggregata degli obiettivi.
I saldi di finanza pubblica, cioè, sono più o meno in linea con quelli oggi richiesti dall'Europa, però la situazione alla fine del triennio 2011-2013 è tale per cui, per esempio, la pressione fiscale resta comunque molto elevata e vi è un avanzo primario di modesto ammontare, il che rappresenta un problema per il rientro del debito pubblico, un debito che nelle proiezioni cresce almeno fino al 2011. Si tratta, pertanto, di una situazione in cui, in aggregato, gli equilibri sono rispettati, ma a prezzo di una composizione dei conti pubblici certamente non soddisfacente.
Nella nota depositata mettiamo in evidenza, non per la prima volta, che la composizione dei conti pubblici dopo le manovre rileva un tracollo delle spese di investimento, che, anche formalmente, se


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vediamo, ad esempio, la formulazione del Patto di stabilità interno, sono quelle che dovrebbero essere, invece, salvaguardate dai tagli di spesa, proprio perché collegate con l'aumento delle capacità produttive e del potenziale di crescita dell'economia.
I conti pubblici fino al 2013 mostrano, invece, sia per le amministrazioni centrali, sia per le amministrazioni locali, un crollo delle spese di investimento, che, a sua volta, dimostra come sia difficile conseguire anche i risultati di contenimento della spesa richiesti sulla carta dai provvedimenti legislativi di manovra.
Ciò vale, per rispondere a un'altra parte della domanda, anche per il contenimento delle spese delle amministrazioni statali. Come abbiamo messo in evidenza più volte, anche per analisi condotte all'interno della Corte, l'unica categoria di spesa ormai, nelle condizioni di crescita bassa, presa di mira dai provvedimenti è quella dei consumi intermedi.
In condizioni di crescita bassa, in realtà, siamo di fronte a un circolo vizioso. Se pensiamo che, rispetto alle proiezioni formulate all'inizio della legislatura - non si tratta di molti anni fa - la finanza pubblica deve fare i conti più o meno con una perdita permanente di prodotto interno lordo superiore ai 100 miliardi di euro e con un minore ammontare di entrate collegate alla recessione di almeno 70 miliardi di euro, è ovvio che in queste condizioni far quadrare i conti è difficilissimo.
Lo è ancora di più se si considera, peraltro, che, in condizioni di crescita bassa, aumentano le esigenze di spese per il sostegno dei redditi bassi e per la salvaguardia delle spese che, in rapporto al prodotto interno lordo, devono rimanere costanti se non si vuole una riduzione dei livelli assoluti di prestazioni essenziali: pensiamo alle pensioni o alla spesa sanitaria.
I margini sono, dunque, strettissimi e, sotto questo aspetto, una composizione squilibrata del quadro di finanza pubblica non può, naturalmente, che mettere in evidenza con forza un'esigenza di «riqualificazione» della spesa, - può sembrare una parola vana - in sostanza un tentativo di muoversi in maniera più selettiva d'ora in avanti.
Sotto questo aspetto, affinché la riqualificazione non rimanga una parola vuota, rileviamo come alcuni interventi già prefigurati possano davvero costituire occasioni per trovare spazi, anche se molto ristretti.
Come ripeto, dal punto di vista della crescita - questa è un'osservazione che figura anche nella parte iniziale della Decisione di finanza pubblica - l'Italia ha superato gli aspetti più critici della crisi economica, ma, sia nella fase di declino del ciclo, sia nella fase della ripresa, non è stata certamente in cima alla lista.
Nella fase della ripresa vediamo uno scarto notevolissimo dai Paesi europei, che registrano alti livelli di crescita, mentre noi rimaniamo su una crescita strutturalmente molto bassa.
Dal punto di vista degli obiettivi di riqualificazione della spesa, le strade da percorrere che, per esempio, potrebbero consentire una responsabilizzazione maggiore delle amministrazioni territoriali e un'aggregazione di funzioni, sono tutte prefigurate, ma è difficile trovare altro nel percorso difficilissimo di selezione degli interventi.

LUIGI MAZZILLO, Presidente di sezione della Corte dei conti. Cercherò di essere telegrafico. Volevo richiamare il fatto che nella parte della relazione non letta dal presidente si affronta il discorso sull'evasione fiscale e si riconferma quanto era già stato indicato in sede di audizione nel giugno scorso sul decreto-legge n. 78.
In pratica, si rileva che il Governo punta soprattutto sui risultati del gettito derivante dalla lotta all'evasione fiscale e attribuisce a tale gettito un valore uguale a quello delle altre entrate, diversamente da ciò che accadeva nel passato, quando tali entrate erano considerate eventuali e aggiuntive.
Nelle ultime manovre di finanza pubblica tali entrate sono state conteggiate, invece, a pieno titolo ai fini della copertura della manovra, il che naturalmente


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richiede che ci sia particolare attenzione affinché i risultati previsti vengano effettivamente conseguiti.
Noi evidenziamo proprio l'esigenza di recuperare il gap di conoscenza relativo alle variazioni di comportamento inducibili dai provvedimenti di deterrenza e di miglioramento della gestione, in modo da non ritenere che i risultati ottenuti in sede di repressione siano anche interpretabili come ottenuti in termini di maggiore adesione e di compliance di massa, la quale naturalmente non può essere ottenuta soltanto attraverso l'intensificazione dell'attività di controllo.
Un'ulteriore osservazione attiene, invece, all'elemento nuovo nella Decisione di finanza pubblica. Si tratta del riferimento al monitoraggio, che evidenzia una tendenza al calo delle entrate, la quale dura fino al 2013.
Di tale rilevazione non viene data una spiegazione: per il 2010 si afferma che essa dipende dal minore ricorso alle compensazioni, oltre che a una ricomposizione delle entrate fra dirette e indirette, però tale situazione viene proiettata fino al 2013.
Sicuramente si tratta di un segnale di allarme che va tenuto presente per cercare di interpretare i motivi per i quali tale tendenza si è andata affermando.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. È stato chiesto se il patrimonio pubblico sia stato ben censito. Personalmente, trovo che l'Agenzia del demanio abbia notevolmente migliorato la conoscenza del patrimonio pubblico, ma, dal punto di vista di eventuali utilizzi per dismissioni, mi sembra, come è risultato evidente anche in occasione dell'esame del decreto legislativo sul passaggio agli enti territoriali dei beni dello Stato non utilizzati, che gli spazi di manovra siano molto limitati. Il patrimonio disponibile, quindi non utilizzato per usi governativi, e censito dall'Agenzia del demanio è stato adesso trasferito, ma era di entità piuttosto limitata.
Vi sono le partecipazioni, ma rappresentano l'ultimo mezzo cui fare ricorso e sono fluttuanti.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 17,30, è ripresa alle 17,35.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, ai sensi dell'articolo 118-bis, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 125-bis, comma 3, del Regolamento del Senato, l'audizione di rappresentanti del CNEL.
È presente il professor Antonio Marzano, presidente del CNEL, accompagnato dai dottori Stefano Bruni, Sandro Tomaro e Valerio Gironi, che ringrazio per essere intervenuti.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Presidente e signori parlamentari, sono qui per un segno di rispetto verso il Parlamento, ma forse sapete che il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è stato rinnovato. I nomi dei nuovi consiglieri sono stati pubblicati in Gazzetta ufficiale il 1o ottobre scorso, quindi una settimana fa, e l'insediamento del nuovo CNEL avverrà alla presenza del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei ministri e di altre autorità il 20 ottobre prossimo.
Allo stato attuale, quindi, all'audizione odierna partecipa un presidente rinnovato nella carica nell'occasione che vi ho citato e con i tempi che vi ho ricordato, che non può però basarsi su un documento di osservazioni e proposte, come normalmente invece accade, come frutto dei lavori di un'assemblea che si insedierà solo il 20 ottobre.
In questa situazione - forse vi farà piacere sentirvelo dire, data l'ora - sarò


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molto rapido e sintetico. Mi limito, quindi, a comunicare i tre messaggi che nascono dall'assemblea precedente del CNEL, che si riferiscono però alla manovra del luglio scorso.
In tale ottica deposito agli atti un documento, che è opera del CNEL, ma risalente al luglio scorso e che si riferisce alle disposizioni recate dal decreto-legge n. 78 del 2010. D'altra parte, il documento di cui parliamo oggi è largamente basato sulla manovra di luglio, e la conferma.
Illustro il primo messaggio. Il sistema fiscale - afferma il CNEL uscente - in presenza degli squilibri di finanza pubblica che conosciamo, che caratterizzano l'Italia, non può essere strutturalmente corretto senza una riforma complessiva dello stesso sistema fiscale che, sulla base di una puntuale scelta di priorità, si ponga l'obiettivo di una riduzione del prelievo sul lavoro, sulle pensioni e sulle imprese, spostandolo sui consumi. Questa è l'indicazione di massima che dà il CNEL.
Per realizzare in questo senso un intervento significativo di riduzione dell'IRE è ineludibile l'incremento, per valori corrispondenti, dell'imposizione sui consumi a partire dall'IVA, ma una simile operazione è possibile solo se si riescono a ridurre drasticamente l'evasione e l'elusione del principale tributo sui consumi.
Sulla base del primo messaggio, si indica di spostare il prelievo sui consumi e, sulla base del secondo, che bisogna continuare a rafforzare la lotta e il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, in particolare sul tributo dell'IVA.
È positivo, secondo il CNEL, che un simile tema sia al centro dell'attenzione del Governo e che le distorsioni dell'evasione fiscale siano state denunciate con grande efficacia anche dal Governatore della Banca d'Italia - parlo della manovra di luglio, naturalmente, e anche in questo senso mi riferisco a posizioni della Banca d'Italia di allora - contenute nella relazione depositata nella audizione del 10 giugno scorso, svolta presso la Commissione bilancio del Senato in occasione del ciclo di audizioni disposto in occasione dell'esame del decreto-legge n. 78 del 2010.
Tra le iniziative idonee a contrastare efficacemente l'evasione, il CNEL ritiene che alcune debbano avere una particolare considerazione o priorità.
In primo luogo, vi sono le misure di tracciabilità dei pagamenti, che consentono di ricostruire in modo convincente il giro d'affari, della molteplicità di operatori che operano sul mercato della produzione e degli scambi di beni e servizi. Da questo punto di vista, il tetto fissato a 5 mila euro, oltre il quale dovrebbero essere ripristinate le misure di tracciabilità dei pagamenti, appare un primo passo verso una maggiore utilizzazione anche in Italia di transazioni attraverso la moneta elettronica. L'Italia accusa un forte ritardo in questo campo e bisogna muoversi in questa direzione.
Un secondo filone di interventi può riguardare la riduzione del numero delle partite IVA, in modo da concentrare i controlli sugli operatori più significativi e rilevanti.
È auspicabile, inoltre, un controllo più attento della molteplicità di società di diversa natura che denunciano bilanci stabilmente e sistematicamente in perdita, molte delle quali potrebbero avere come unico ruolo quello di intestatarie di beni per favorire comportamenti elusivi di contribuenti persone fisiche. Dovrebbero discendere da una simile attività anche specifiche proposte di norme antielusive.
Riassumendo, il messaggio incoraggia il tentativo di spostare il prelievo dai redditi del lavoro, dalle pensioni e dalle imprese ai consumi, come ricordavo all'inizio, ma ciò comporta soprattutto agire sull'IVA e implica, quindi, un'attenta lotta contro l'evasione e l'elusione soprattutto di questo tributo. Naturalmente, ciò vale anche in generale: l'evasione e l'elusione fiscale non sono ammissibili da alcuna parte.
Passo al secondo messaggio che il CNEL ha formulato, sul fronte della spesa pubblica. L'ha chiamato «manutenzione attiva del bilancio», sul fronte della spesa, ossia una politica programmata di revisione


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della struttura del bilancio che analizzi missioni e programmi, scavando in modo analitico sulle voci di ciascun programma di spesa, sugli obiettivi che ciascun programma si prefigge, sulle procedure utilizzate e sulla dimensione delle risorse, cercando di valutare la coerenza delle procedure e della dimensione delle risorse rispetto agli obiettivi e alla necessità di economizzare e di avere una maggiore efficienza della spesa in quei settori, ottenendo anche possibili risparmi.
La coerenza con il progetto di riforma e di riduzione del prelievo fiscale a cui mi riferivo prima si sposa a questa manutenzione attiva dal lato della spesa.
L'altro messaggio sul fronte della spesa è quello di riorganizzare complessivamente la macchina pubblica e di procedere alla rivisitazione delle strutture delle amministrazioni centrali dello Stato in rapporto ai compiti amministrativi che vengono trasferiti agli enti locali, eliminando o evitando sovrapposizioni e duplicazioni; occorre, inoltre dare attuazione al federalismo fiscale per conseguire la trasparenza dei costi dei servizi resi, soprattutto sulla base dei costi standard, e al finanziamento degli enti locali favorendo una piena responsabilità fiscale di ogni livello di governo.
Si segnala, in particolare, in questa rivisitazione, in quella che abbiamo chiamato manutenzione attiva del bilancio, l'esigenza di procedere alla riqualificazione della spesa sanitaria utilizzando i dati disponibili sulle buone pratiche di prevenzione e di cura per conseguire in tutto il Paese standard di qualità dei servizi elevati, ma a costi più contenuti.
L'ultimo messaggio riguarda le politiche per il Mezzogiorno, essendo il CNEL preoccupato del fatto che l'incidenza della spesa per investimenti pubblici sul totale della struttura della spesa diminuisca, a scapito, ovviamente, dell'area del Paese - tutte hanno un problema di ritardi infrastrutturali - che ne soffre di più, ossia il Meridione.
Aggiungo, se mi permettete, presidente e signori parlamentari, una considerazione non contenuta nel documento che risale al luglio scorso. Se volete, la esprimo anche a titolo personale, ma è presente in molti documenti di osservazioni e proposte precedenti del CNEL.
Penso che sia metodologicamente e logicamente incongruo trattare i problemi di finanza pubblica in modo separato e cioè in maniera tale da prescindere dai problemi dell'economia reale. Credo che questo sia un limite che non si può attribuire specificamente a questo o a un precedente Governo, ma che probabilmente risale al livello europeo.
Come sapete, io ho compiuto altre esperienze politiche prima di ricoprire l'attuale carica di presidente del CNEL e anche nella mia precedente funzione segnalavo che non è corretto, dal punto di vista logico, della logica economica - parlo da economista - discutere dei problemi dell'equilibrio corrente e prospettico della finanza pubblica senza una politica di sostegno dell'economia reale.
Ciò vale fondamentalmente per due ragioni. La prima è che - non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo - l'andamento dell'economia reale ha un'influenza evidente sull'andamento della finanza pubblica. Basti pensare al gettito fiscale, per citare un esempio ovvio.
È ovvio che, se l'economia reale cresce ai tassi che conosciamo, che si attestano intorno all'1 per cento da un po' di tempo a questa parte, per la verità, ma anche prospetticamente, da questa crescita reale e limitata derivano effetti sul prelievo fiscale che rendono ancora più arduo tenere sotto controllo la finanza pubblica.
Ciò è vero a maggior ragione se si aggiunge che, con un tasso di crescita tanto modesto, a cui si accompagnano tassi di disoccupazione elevati - premetto che vi è l'apprezzamento del CNEL verso la politica degli ammortizzatori sociali, realizzata con la cassa integrazione - la finanza pubblica finisce per risentire non solo dal lato del gettito fiscale, ma anche dal punto di vista della necessità di effettuare spese sotto forma di ammortizzatori sociali.
La seconda considerazione, sempre a titolo metodologico e come messaggio che


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mi debbo limitare a fornire in questa sede, è che, se si considerano separatamente - questo è l'errore di metodo che sottolineo - la finanza pubblica e l'economia reale, vi possono essere interventi capaci magari nel breve periodo di recare beneficio alla finanza pubblica, ma che si ritorcono nel medio e lungo periodo a danno dell'economia reale.
Per esempio, se si economizza sugli investimenti pubblici e sulle infrastrutture, gli effetti negativi si ripercuotono sull'economia reale, soprattutto in un Paese come l'Italia, che accusa già ritardi nella sua infrastrutturazione.
In generale, dal punto di vista dell'economia reale, oggi si impone una politica con una priorità, quella di accrescere la competitività dell'economia italiana. Se tale obiettivo non viene realizzato, ciò è grave comunque per qualunque Paese, ma nel caso di un Paese privo di materie prime, come l'Italia, che quindi deve finanziare l'acquisto delle materie prime per l'economia reale attraverso le esportazioni, se non si è competitivi, non si può che entrare in crisi o, se preferite, difficilmente si può raggiungere un ritmo di crescita corrispondente a quello di altri Paesi (che, invece, sono dotati di materie prime e hanno nel sottosuolo, oltre ad alcuni sismi, come capita a noi, anche alcuni giacimenti di materie prime).
Segnalo questo tema - poi concludo, presidente - soprattutto per sottolineare un elemento intuitivo, ossia l'errore di metodo, non esclusivo del Governo italiano, ma proprio di diversi Governi e forse di livello europeo, nell'impostare i problemi di finanza pubblica in maniera separata e indipendente da quelli dell'economia reale.
In questo momento ciò che sta avvenendo sul mercato dei cambi, per cui si deprezzano quasi tutte le monete con l'eccezione dell'euro, con effetti evidenti sulla competitività del sistema, segnala la necessità, ancora una volta, per coloro che hanno come responsabilità principale quella della finanza pubblica di porre il problema del regime dei cambi, del sistema monetario internazionale, all'unico livello possibile, ossia quello europeo.
Se si rimane in questa situazione, in cui il renminbi cinese è sicuramente sottovalutato, la politica del Giappone consiste nel tentare di indebolire lo yen, sempre a fini di competitività sul mercato delle merci, gli Stati Uniti hanno un dollaro che continua a deprezzarsi e l'unica moneta che si rivaluta - non possiamo più considerare una moneta l'oro, che si sta a sua volta rivalutando - è l'euro, l'uso che un giorno si potrebbe pensare di fare della finanza pubblica per il sostegno della domanda globale, con una competitività inadeguata e indebolita ulteriormente dal cambio, si trasformerebbe in una politica del sostegno della domanda a favore dei Paesi terzi. Se il Paese non è competitivo, l'aumento della domanda significa aumento delle importazioni.
Questo è l'ultimo messaggio che volevo comunicarvi.

PRESIDENTE. Grazie, presidente Marzano.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

LINO DUILIO. Approfitto, ringraziando il presidente, ma anche per nostra gratificazione, dell'occasione per porre due domande rapide, rivolgendomi a lei non solo come presidente del CNEL, ma, se me lo permette, anche come studioso di economia.
Non crede che noi italiani, ma non solo noi, siamo orfani di una teoria? Ci si viene a spiegare, cioè, come è stato riferito anche ieri nell'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, che poi ha avuto il buon gusto di andarsene senza rispondere alle nostre domande - glielo faremo presente in una prossima occasione, ma lo rilevo per farle sapere, per sua conoscenza, in quale situazione versa il Parlamento italiano e come è considerato - che chi oggi pensasse anche solo vagamente a politiche di deficit spending è un pazzo. Il Vangelo degli Stati alla luce della crisi internazionale che si è verificata,


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infatti, è quello di tenere sotto controllo i conti pubblici e, quindi, sostanzialmente di non aumentare i disavanzi.
Nessuno è tanto folle. Mi sembra la scoperta dell'acqua calda, come riferiremo al Ministro dell'economia e delle finanze se avrà la bontà di fermarsi in Parlamento.
Se a livello teorico ciò che pure ha rappresentato, come lei sa, una linea di politica economica rilevante non funziona più e se i confini tra la politica monetaria e la politica di bilancio non sono più chiari, lei non crede che il rovello derivi oltre che da una vischiosità delle questioni tributarie anche da un difetto di teoria?
Passo alla seconda domanda, più relativa al tema della crescita. Tutti stiamo scoprendo che si pone il problema della crescita, o meglio, lo si sta rilevando un po' più diffusamente.
Come lei sa, noi attestiamo tassi di crescita rachitici da almeno 20 anni. Quando ci è andata bene, in alcuni anni soltanto, abbiamo registrato tassi di crescita attorno al 2 per cento, in un Paese in cui avremmo bisogno di crescere a una media del 3 per cento all'anno - lo penso io, ma non sono il solo - per un bel po' di anni per risolvere le nostre questioni strutturali di fondo.
Siamo, dunque, tra l'eccesso di chi sostiene che siamo illusi a ritenere che l'onnipotenza della politica economica possa influenzare la crescita, tanto più in un sistema integrato come quello che abbiamo oggi, e che quindi i Governi, in altre parole, non possono fare granché - nessuno conosce la ricetta per far sì che ci sia un tasso di crescita più elevato - e chi invece magari sogna soluzioni opposte. Nei fatti, però, obiettivamente, arranchiamo un po' tutti e per così dire grattiamo il fondo del barile, come ci è stato confermato anche poco fa, per cercare poche risorse con cui compiere un po' di investimenti in una condizione in cui invece gli investimenti calano.
Qualcuno suggerisce un trade-off tra reddito e patrimonio: non avendo soldi, possiamo vendere il patrimonio. Essendo «iperpatrimonializzati» rispetto ad altri Paesi, forse è il caso di esserlo di meno, portando a vantaggio di politiche di sostegno al reddito questa diminuzione di patrimonializzazione.
Qual è la sua opinione su questo tema? Chiedendole un'opinione personale, vorrei sapere se ritiene che il CNEL, in quanto organo previsto dalla Costituzione, dovendo anche forse trovare una propria mission istituzionale, oltre a essere quello che è, anche per evitare che si rischi ancora, come già in circostanze precedenti, che qualcuno suggerisca di sopprimerlo - è stata avanzata una proposta ufficiale a suo tempo - possa dedicarsi a questo problema in modo positivo, come path consultant per aiutare, nei limiti del possibile, il nostro Paese a individuare sentieri di crescita senza i quali, a meno che non si voglia essere visionari, non usciremo da questa situazione?

ROLANDO NANNICINI. Condivido alcuni aspetti e suggerimenti che il presidente ci ha dato, ma ho bisogno di una riflessione sul tema dell'elusione e dell'evasione fiscale, anche dal vostro punto di vista.
Lei ha richiamato il fatto nuovo della tracciabilità dei pagamenti e di un elemento più reale su tale aspetto. Se prendiamo una confezione di profumo, la paghiamo tranquillamente 90 euro. A livello di produzione i costi si aggirano in 7 o 8 euro, su cui poi gravano l'IRAP e tutte le contribuzioni generali. I costi di produzione, quelli del lavoro, quelli complessivi dell'impresa di produzione sono piuttosto controllati; non altrettanto si può dire delle situazioni in cui si determina quel valore aggiunto, che io da italiano desidero; quando vedo una borsa di Prada a New York venduta a 650 a 700 o a 800 dollari sono felice perché si determina un valore aggiunto; scherzando, si può dire che costa come tre televisori. Vorrei conoscere le sue valutazioni in merito all'applicazione, nei vari livelli di produzione, della tassazione dell'IVA, che è concepita in modo tale che incide solo sul prezzo al consumo e non anche nel valore aggiunto, essendo peraltro un'imposta sul


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valore aggiunto. Può darci alcuni suggerimenti da economista?
Tutti i dati indicano che l'Italia e gli Stati Uniti sono i Paesi in cui vi è più divario nella distinzione fra poveri e ricchi. Chi produce e guadagna 10 euro è piuttosto tassato, mentre nei confronti di chi porta il valore della produzione a 90 euro non concepisco ancora fino in fondo, dal momento che poi li sostiene il consumatore, quali sono i livelli di tassazione.
Lo stesso vale anche per gli scambi finanziari. Non possiamo più consentire che il lavoratore dipendente e il pensionato subiscano simili livelli di tassazione e gli altri li eludano con determinati meccanismi. Questo è uno dei temi centrali per ricavare risorse da destinare alla ripresa.

PRESIDENTE. Do la parola al presidente Marzano per la replica.

ANTONIO MARZANO, Presidente del CNEL. Grazie, presidente. Le domande sono molte e richiederebbero tempo e analisi. Cercherò di essere sintetico; anche questo è un messaggio che forse non vi dispiacerà.
La prima domanda verte sul ruolo della politica del bilancio pubblico rispetto ai problemi di inadeguatezza della domanda globale, che si esprima con un alleggerimento della pressione fiscale o con un aumento della spesa.
La risposta, se vogliamo essere sintetici, è la seguente: qual è il limite delle politiche keynesiane? Per semplificare, Keynes era l'economista che raccomandava questo tipo di politiche di sostegno. Il limite di tali politiche è che Keynes aveva in mente un'economia chiusa agli scambi con l'estero e, quindi, il sostegno alla domanda globale era rivolto a una domanda di consumo e di investimento interna. Non erano considerati i rapporti con l'estero.
Quando si pone il tema con riferimento a un contesto di globalizzazione, di caduta delle barriere doganali e dei contingenti che una volta chiudevano i confini, ogni tipo di politica va valutato tenendo presente questo fatto, che originariamente, in teoria, non esisteva, trattandosi in ipotesi di economie chiuse e sotto il controllo dei Governi.
Se ne determina la conseguenza che ricordavo prima, ossia che si può anche svolgere una politica di sostegno alla domanda, però occorre essere competitivi. In caso contrario, il sostegno, sia sotto forma di strumenti di finanza pubblica o anche monetario, defluisce e ha come conseguenza l'acquisto di merci in Paesi ipoteticamente più competitivi. Noi sappiamo che sul fronte dei costi ci sono Paesi più competitivi del nostro. Dal punto di vista della competitività, secondo me, abbiamo la possibilità di battere un sentiero di gamma alta per i prodotti italiani, di qualità. In quel campo abbiamo una possibilità.
Naturalmente non si può neanche trascurare completamente l'aspetto del costo, perché la gente non compra, in nome della qualità, a qualunque costo. Non deve essere un alibi per trascurare l'aspetto del costo. Paesi come l'Italia e la Francia si inseriscono in quest'ottica, mentre altri Paesi europei sono meno sensibili a questo aspetto perché realizzano prodotti più standardizzati che non di qualità.
Quando chiediamo politiche europee di protezione dei marchi del made in, troviamo sostegno da parte della Francia, quale che sia il Governo francese in carica, ma non altrettanto da parte dei Governi di altri Paesi, che non hanno questo tipo di eccellenza.
In termini teorici generali, va bene, dunque, la politica della domanda se si accompagna a una politica della competitività; in caso contrario, si favoriscono le imprese e l'occupazione estere e non quelle italiane.
Il tasso di crescita è attorno all'1 per cento da molti anni, come giustamente si osservava, e con un tasso di crescita di questo tipo nessuno può dirsi soddisfatto della situazione economica del Paese in cui vive.
Segnalo, però, a voi e, se possibile, anche agli uffici, che ho visto in questi ultimi 2-3 anni diversi studi, compiuti da categorie produttive e, quindi, da esaminare,


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approfondire e vagliare, perché le categorie produttive esprimono gli interessi della categoria di appartenenza. Tali messaggi, però, sono arrivati da diverse categorie e associazioni di imprese.
Tali studi indicavano quanto costa non attuare un dato intervento in termini di PIL o quanto costa attuarne un altro; per portare alcuni esempi, quanto ci costa non deregolamentare o quanto ci costa l'eccesso di regolamentazione, oppure quanto ci costa il fatto che non abbiamo le infrastrutture.
Se avete la pazienza - non sono attrezzato ora, perché non ero preparato a questa domanda - di andare a prendere queste analisi e di valutarle dal punto di vista della serietà del metodo, naturalmente, potrete eseguire la somma dei punti di PIL che si perdono se non si realizzano alcune riforme. Dal punto di vista della teoria economica, si tratta della cosiddetta politica dal lato dell'offerta, perché oltre al sostegno della domanda, occorre prevedere il sostegno anche dell'offerta, altrimenti succede quello che rilevavo prima.
Se eseguite la somma dei PIL che si perdono, secondo queste analisi, per il mancato superamento di alcune criticità, vi accorgete che il tasso di crescita potrebbe essere più alto di quello attuale, ma di alcuni punti.
Le situazioni vanno valutate attentamente, perché magari un aumento di PIL che si potrebbe ottenere compiendo un dato intervento è, in parte, contenuto anche in un intervento di un altro tipo e i due non si possono sommare a caso. Bisogna procurarsi questi studi e analizzarli.
L'aumento della crescita è possibile, però bisogna rimuovere le criticità che conosciamo. Sono tutte politiche dal lato dell'offerta, non della domanda. Se si stabilisce di abolire una regolamentazione oppure di renderla più semplice, ciò rappresenta un fatto positivo ove si consideri che soprattutto per il sistema delle piccole e medie imprese le regolamentazioni pesano.
Se mi consentite, aggiungo rapidamente una mia esperienza personale. Sono stato presidente della Commissione per il futuro di Roma capitale. Le città italiane non sono efficienti. È incredibile il tempo che si perde, soprattutto nelle metropoli, vivendo in città inefficienti.
Se si potesse realizzare (è una politica dal lato dell'offerta nuova su cui abbiamo anticipato, compiendo tale analisi con riferimento a Roma, la Francia, che poi ha avviato la stessa ricerca in relazione a Parigi) una politica di efficientamento (un termine orribile) delle città, se le città potessero diventare distretti in cui le diverse componenti non fossero casuali ma interdipendenti e la specializzazione avesse un motivo d'essere, distretti non solo produttivi ed economici, il contrario della città-dormitorio, ma anche distretti culturali e di integrazione sociale, l'Italia, che è il Paese delle 100 città e in realtà anche di più, ne trarrebbe un gran beneficio.
Per esempio, Roma è monocentrica. Bisognerebbe avere una Roma policentrica. Vi rinvio al mio rapporto di allora. Questo è il tipo di interventi che, secondo me, andrebbe compiuto.
Sul problema dell'elusione e dell'evasione, con riferimento particolare all'IVA, rinvierei al documento che ho depositato agli atti, che contiene alcune analisi da parte del CNEL. Forse sarebbe lo strumento migliore da utilizzare.
Mi fermerei, ringraziandovi.

PRESIDENTE. La ringrazio molto e ringrazio anche i commissari che hanno partecipato fino all'ultimo ai nostri incontri.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18,05.

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