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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
12.
Giovedì 7 maggio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, sulle tematiche relative all'applicazione della disciplina antitrust nel settore bancario (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 7 8 12 18
Catricalà Antonio, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ... 3 7 10 11 14 17
Ceccuzzi Franco (PD) ... 11
Fluvi Alberto (PD) ... 9 10
Laboccetta Amedeo (PdL) ... 7 17
Leo Maurizio (PdL) ... 12
Pagano Alessandro Saro Alfonso (PdL) ... 8
Ventucci Cosimo (PdL) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 7 maggio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, sulle tematiche relative all'applicazione della disciplina antitrust nel settore bancario.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, sulle tematiche relative all'applicazione della disciplina antitrust nel settore bancario.
È presente un nutrito gruppo di parlamentari, evidentemente molto interessati all'odierna audizione, attesa non soltanto per il prossimo avvio dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo, ma anche perché si registrano novità per quanto riguarda altre tematiche - tra le quali la nuova direttiva sulle banche - che rivestono grande interesse per la nostra Commissione.
Do la parola al presidente Catricalà.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per avermi invitato ad esprimere, in questa importante e solenne sede, il giudizio dell'Autorità sulle attuali tematiche relative al settore bancario. Ho redatto un testo, che spero sia stato distribuito, di cui cercherò di riassumere i tratti essenziali.
L'Autorità ha assunto la piena competenza in materia di antitrust bancario soltanto dal 2006, ma nel breve periodo trascorso sono stati raggiunti risultati che ritengo - anche se non spetterebbe a me dirlo - meritevoli di una certa considerazione, sia dal lato dell'offerta sia da quello dei rapporti fra banche e clientela.
Ciò non significa che la nostra azione sia terminata; anzi, non siamo nemmeno a metà dell'opera. Però, qualcosa si è mosso in un settore che era caratterizzato dall'assoluto immobilismo. I risultati conseguiti, per quanto parziali, non devono essere messi in discussione da coloro che agitano il vessillo della crisi per sostenere la necessità di tornare a politiche di tipo protezionistico.
Le concentrazioni bancarie hanno reso visibile un fenomeno di forte aggregazione. Bastino i dati: in due anni, partendo da un livello inferiore al 50 per cento, i cinque principali gruppi sono andati a occupare il 60 per cento del mercato. Ciò ha evitato la marginalizzazione delle nostre imprese. A quanti ritengono che determinati assetti debbano restare necessariamente italiani (non abbracciamo questa logica, ma rispondo comunque sul punto), faccio presente che le aggregazioni consentite dall'Antitrust hanno sortito un effetto di de-colonizzazione: in sostanza, non siamo stati oggetto di colonizzazione da parte di altri. Tale assetto ci consentirà anche, allorquando si verificherà una ripresa finanziaria


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ed economica, di avere un sistema già competitivo, in grado però di dare luogo a una protezione dei meccanismi concorrenziali nei mercati provinciali. Le aggregazioni in grado di dare origine a veri e propri colossi - noi abbiamo Unicredit, il primo gruppo di Eurolandia e il secondo in Europa, in quanto ne esiste uno più importante, numericamente e quantitativamente, nel Regno Unito - non causeranno, quindi, una compressione della concorrenza nei mercati provinciali. Al contrario, con la tecnica da noi adottata - di consentire le aggregazioni ma, al tempo stesso, di imporre la vendita di alcune centinaia di sportelli a livello provinciale - si sono rafforzati i «piccoli» e si sono costituiti ben quattro gruppi particolarmente importanti, l'ultimo dei quali formato da Monte dei Paschi di Siena e Antonveneta.
Il problema più grave nel settore bancario riguarda la governance. Lo abbiamo evidenziato mediante un'indagine conoscitiva, le cui risultanze abbiamo trasmesso al Parlamento.
Si tratta di una situazione tipicamente italiana. Qualcuno ha osservato che lo stesso problema esiste anche in altri Paesi. In effetti, ciò è vero, ma il problema riguarda i numeri e le proporzioni: da noi, l'80 per cento di banche, SGR (Società di gestione del risparmio) e assicurazioni presenta fenomeni di interlocking directorates, che, se non sostanziano conflitti di interessi (giacché il conflitto di interessi va valutato nella fase dinamica), certamente concretano, nella fase statica, conflitti di ruolo, cioè conflitti tra posizioni di obbligo verso diverse entità che dovrebbero essere in competizione fra loro.
Occorre anche dire che in relazione al problema della governance l'Autorità ha fatto molto in sede di esercizio delle proprie competenze in materia di concentrazioni. Solo per citare l'esempio più recente, nello statuto di Banca Monte dei Paschi di Siena, al momento dell'aggregazione con Antonveneta, è stato chiaramente scritto che degli organi di governance non possono far parte soggetti che, contemporaneamente, ricoprano cariche negli organi di governance di istituti in qualche modo concorrenti.
Purtroppo, nel nostro sistema economico, quest'idea del conflitto di ruolo viene ancora ritenuta, probabilmente, un peccato veniale (non è così in altri sistemi), tanto che abbiamo ricevuto proprio in questi giorni un patto di consultazione tra Crédit Agricole e Generali sulle rispettive partecipazioni in Banca Intesa. Naturalmente, oggi non sono abilitato dal collegio ad esprimere alcun giudizio, poiché il patto è arrivato solamente ieri. Devo tuttavia riferire al Parlamento che abbiamo chiesto a Banca Intesa alcune delucidazioni, che ci dovrebbero pervenire domani. Posso anche dire che la prima idea che ci siamo fatti, leggendo la documentazione, è che non si tratti di un semplice patto di consultazione, poiché l'accordo contiene qualche disposizione atipica rispetto al contenuto che in genere hanno simili patti. Con grande probabilità, ci esprimeremo - se gli uffici riusciranno a completare l'istruttoria - giovedì prossimo, giorno in cui è programmata una riunione del collegio. Voglio ricordare, peraltro, che abbiamo reso esecutivi alcuni impegni assunti da Banca Intesa in senso apparentemente diverso e che tali impegni dovrebbero scadere il 31 dicembre di quest'anno.
Evidenziare il problema della governance significa, di riflesso, anche stimolare il settore ad uscire da una situazione di crisi, in quanto una governance eccessivamente intrecciata dà luogo, tra l'altro, a una caduta di credibilità. In questo momento, invece, il sistema bancario ha bisogno di iniezioni forti di fiducia, soprattutto da parte degli investitori, ma anche dei risparmiatori.
È evidente che, ove fosse approvata una regolamentazione (credo che sarà difficile insistere ulteriormente per l'auspicata autoregolamentazione, considerate le reazioni alquanto fredde che sono arrivate dal comparto a seguito della nostra indagine), quanto meno di principio, recante alcune regole volte a evitare i possibili conflitti di interessi, si darebbe nuova spinta e nuova linfa vitale all'intero settore,


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che, comunque, qualche passo in avanti l'ha fatto, anche grazie alla nostra politica di continua pressione.
È stata ottenuta dall'ABI (Associazione bancaria italiana), che ha migliorato moltissimo il proprio assetto interno in questo periodo, una riduzione del 60 per cento delle commissioni RiBa e RID (costi che sono praticamente a carico di tutti i cittadini). L'ABI ha migliorato il proprio assetto interno - come dicevo - perché, a seguito della nostra istruttoria, ha assunto l'impegno (che ha effettivamente onorato) ad eliminare tutti i tavoli di studio. Questi ultimi, a nostro parere, erano tavoli di concertazione vera e propria, vale a dire luoghi in cui si favorivano le intese, dato che vi partecipavano gli uffici legali e gli uffici studi di tutte le banche.
Abbiamo anche conseguito da COGEBAN una riduzione del 25 per cento del costo della commissione di prelievo Bancomat. In alcuni casi, in sede di autorizzazione alla fusione, abbiamo prescritto che il gruppo incorporante eliminasse le commissioni per i prelievi Bancomat effettuati presso gli sportelli di banche concorrenti situati in comuni nei quali il gruppo medesimo non avesse un proprio sportello. Penso che ciò abbia recato un vantaggio, nel caso di specie, alla stessa Unicredit, la quale ha proposto e accettato che rendessimo esecutivo l'impegno: evidentemente, quando si forniscono migliori servizi alla clientela, quest'ultima tende a fidelizzarsi.
Per quanto riguarda lo strumento di pagamento MAV, abbiamo ottenuto la cancellazione di alcune commissioni - anche grazie ai nostri contatti positivi con Patti Chiari, il consorzio che si è da poco costituito sotto la presidenza di Cavazzuti - e la riduzione di altre.
Altro risultato non privo di rilevanza è quello consistente nella riduzione dei giorni occorrenti per la disponibilità del contante quando si deposita un assegno fuori piazza. Non si è trattato di una grandissima riduzione, in quanto siamo passati da sette a cinque giorni lavorativi. Tuttavia, come i cinque giorni lavorativi diventano poi sette in totale, in precedenza i sette diventavano come minimo nove; per cui il risultato raggiunto, seppur minimo, è pur sempre meglio di niente. Mi sembra, inoltre, che in tal modo il procedimento si sia avviato bene.
D'intesa piena con il Parlamento, abbiamo ottenuto, inoltre, l'eliminazione delle commissioni di massimo scoperto. Ormai la rete degli istituti di credito sta dando esecuzione alla norma. Speriamo che le banche - le quali, nel frattempo, hanno cercato di adeguare il sistema - non sostituiscano alla commissione di massimo scoperto altre soluzioni peggiorative o analoghe. Su questo punto dobbiamo vigilare, poiché si tratta di garantire l'ottemperanza ad impegni presi con l'Autorità.
Le indagini che abbiamo condotto due anni fa evidenziarono che ai nostri correntisti erano praticate le commissioni più alte di tutto il resto d'Europa. Il costo, calcolato su un campione vastissimo, mai esaminato in simili proporzioni da alcun istituto di studi e nemmeno da istituzioni pubbliche, alla fine è stato sostanzialmente accettato come dato medio ponderato sia dai consumatori (che ritenevano fosse molto più alto) sia dalle banche (che lo ritenevano molto più basso). In effetti, è risultato che tale costo era più alto rispetto ad altri Paesi europei: in alcuni casi era doppio, ma rispetto all'Olanda, ad esempio, era triplo.
Da parte loro, le banche straniere che, all'epoca, avevano acquistato banche italiane praticavano due misure: una per il proprio mercato nazionale e una per il mercato italiano, nel quale si adeguavano ai costi da noi applicati, traendone grandi profitti. Mi sembra che oggi - o forse ieri - taluno abbia riconosciuto che rispondeva a verità la nostra asserzione circa l'esistenza di una forte disparità.
Con il consorzio Patti Chiari abbiamo concluso anche un accordo positivo sull'indicatore di costo sintetico, che consente al risparmiatore - con pochi ma significativi dati - di comparare i costi del conto corrente e dei servizi bancari praticati da ciascun istituto. Infatti, abbiamo compreso che la vera difficoltà, per i risparmiatori,


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è riuscire a capire la reale portata delle condizioni offerte e sottoscritte. Si tratta comunque di una situazione precaria, in lenta evoluzione, che può evolvere in negativo se non ci sarà una forte vigilanza da parte del Parlamento, nonché da parte dell'Autorità garante, nei limiti in cui riusciremo ad esercitarla, sull'aspetto strettamente concorrenziale.
Il credito al consumo - settore che codesta Commissione si appresta ad indagare e approfondire - è un credito particolare, che si può concedere esclusivamente ai non professionisti, quindi a coloro che sono definiti consumatori. I professionisti, in questo caso, non sono soltanto gli istituti bancari, poiché l'articolo 121 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia prevede che, oltre alle banche, possono concedere credito al consumo gli intermediari finanziari, nonché alcuni soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi nel territorio della Repubblica, nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo. Sostanzialmente, il settore dei soggetti professionisti che possono fare credito al consumo è molto più vasto di quello delle banche. Ciò potrebbe far sembrare che si tratti di un settore maggiormente concorrenziale. Purtroppo, non è così, perché i soggetti diversi dalle banche sono portati molto spesso a fornire agli acquirenti dei beni di consumo - ai consumatori - informazioni non chiare, non trasparenti.
Le tipologie importanti di credito al consumo sono due: in primo luogo, vengono in rilievo i crediti finalizzati all'acquisto di determinati beni, di beni specifici. Si tratta di mutui di scopo a tutti gli effetti, con tutte le caratteristiche del mutuo di scopo. Quest'ultimo è convenzionale e non reale; si risolve, pertanto, anche se c'è una situazione particolare di inadempimento. Insomma, è regolato da una propria disciplina. Poi, invece, vi sono i prestiti veri e propri, che seguono la disciplina generale dettata dal codice civile per i mutui e sono erogati senza alcun vincolo di destinazione.
Il settore, in realtà, non ha risentito della crisi, perché è cresciuto dell'1,4 per cento nell'ultimo anno. Tuttavia, va fatta una specificazione molto importante. Attualmente, il mercato raccoglie 60,6 miliardi di euro: una somma enorme, grandissima. I mutui finalizzati all'acquisto, però, sono scesi del 13 per cento. È evidente, quindi, da un lato, che si ricorre al credito al consumo per motivi probabilmente diversi dal semplice acquisto e, dall'altro, che gli acquisti sono diminuiti; non penso, infatti, che il periodo attuale sia caratterizzato da una disponibilità di contante tale da far rimanere gli acquisti allo stesso livello pur in presenza di una riduzione del ricorso al credito finalizzato.
Nel nostro Paese, il settore rappresenta il 6 per cento del PIL, ma può crescere se lo strumento è sfruttato bene. In Francia è al 7 per cento, come ho indicato nella relazione, in Germania all'11 per cento e nel Regno Unito al 15 per cento. In Italia, i prestiti finalizzati all'acquisto di autovetture - quindi, di beni di un certo rilievo economico - rappresentano la componente principale del credito finalizzato. Invece, in altri Paesi, come la Germania e, soprattutto, il Regno Unito, il credito al consumo viene utilizzato anche per acquisti di minore entità.
Il settore si presta - come accennavo - a scarsa chiarezza, ad una forma di asimmetria informativa che ha dato luogo a rilievi per pratiche commercialmente scorrette.
Tra i fenomeni che abbiamo dovuto censurare con maggiore frequenza vi è, prima di tutto, la mancata indicazione del TAEG, cioè del costo generale, effettivo e concreto per il consumatore che contrae un mutuo.
Inoltre, molto spesso si dice che il finanziamento è concesso a costo zero o ancora, in maniera più subdola, si dice: «entro i limiti massimi previsti dalla legge» (il che è scontato, altrimenti si tratterebbe di credito usurario). Siamo di fronte a messaggi veramente ingannevoli, per omissione, dal punto di vista pubblicitario.
Abbiamo altresì notato che molti intermediari si spacciano per istituti di credito, per finanziatori diretti. Si tratta,


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invece, di semplici intermediari, che quindi non possono garantire né la certezza del finanziamento né, tanto meno, i tempi dell'istruttoria, poiché quest'ultima dipende da un terzo che non è legato da alcun rapporto di agenzia con il mediatore. In alcuni casi di «credito su misura» o «credito pensato per te», i tempi dell'istruttoria spesso non coincidono con i tempi necessari per l'acquisto. Se si deve comprare un televisore, lo si vuole ricevere nel giro di una settimana; non si può aspettare per tre mesi prima di avere il televisore o l'autovettura.
Un'altra pecca che abbiamo riscontrato nelle modalità di offerta consiste nel fatto che il credito, talvolta, viene offerto non da solo, ma insieme alla stipula di contratti assicurativi o, peggio ancora, di contratti di apertura di credito. Vi sono linee di credito che poi diventano particolarmente costose, in quanto gravate da oneri fissi.
Quindi, il settore del credito al consumo presenta, nel nostro ordinamento, luci e ombre. Riguardo a queste ultime, bisogna lavorare soprattutto sulla chiarezza informativa e sull'onestà intellettuale dei professionisti.
Il settore bancario ha un'evoluzione lenta, che può essere compromessa da disattenzioni o da forme di connivenza del potere politico e delle stesse istituzioni nei confronti di atteggiamenti del passato che sono sopiti, ma non completamente sepolti.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Catricalà.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

AMEDEO LABOCCETTA. Ringrazio il presidente Catricalà per la relazione, nella quale ha sintetizzato il documento consegnatoci, che ho trovato molto interessante.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In merito al documento consegnato questa mattina, mi scuso per i refusi. Ne ho distribuito una versione corretta.

AMEDEO LABOCCETTA. Credo di avere ricevuto quest'ultima versione. Le nostre carte, almeno quelle, sono a posto.
Dopo avere espresso il mio plauso per il lodevole lavoro che il presidente Catricalà e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato svolgono, desidero porre al nostro ospite due velocissime domande.
La prima è relativa ai pagamenti in valuta diversa dall'euro diretti fuori dai Paesi SEPA, per i quali le banche continuano - secondo me, con sospetta uniformità - ad applicare condizioni che aggravano i costi delle operazioni. In particolare, per i bonifici in valuta, le banche fanno pagare un costo tutto compreso che include spread sul tasso di cambio spot mai inferiore all'1 per cento, ulteriori commissioni, fantomatiche spese di intervento, nonché ulteriori costi fissi variamente denominati. Esiste una terminologia variegata, rispetto alla quale si stanno sbizzarrendo, in particolare, le banche italiane. È noto, d'altro canto, che transazioni di questo tipo avvengono per via elettronica, in tempo reale e a costi trascurabili: basta un click per svolgere queste semplici operazioni.
Da un'indagine che ho condotto nel mio piccolo, si distinguono in negativo per tale condotta alcuni istituti italiani. Parlo di Unicredit e di Intesa Sanpaolo, che hanno come clienti un gran numero di piccole e medie imprese, le quali, avendo la necessità di provvedere a pagamenti, finiscono per essere gravate da un costo che incide ulteriormente sul loro livello di competitività.
L'altro quesito riguarda i tempi massimi di esecuzione previsti dalla direttiva sui servizi di pagamento in area SEPA. Com'è noto, il rulebook stabilisce che, al più tardi entro il 2012, un bonifico debba raggiungere il beneficiario finale entro un giorno lavorativo; in altre parole, l'importo dovrà essere accreditato sul conto del


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beneficiario nel giorno lavorativo successivo a quello in cui l'ordinante avrà disposto il pagamento.
Sarebbe opportuno che la modifica fosse recepita al più presto, eliminando l'attuale regola - anch'essa un po' bizzarra - che prevede l'accredito sul conto del beneficiario al massimo in tre giorni.
Su tali questioni vorrei conoscere, presidente, la sua posizione e, quindi, quella dell'Autorità.

ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Il primo quesito che intendo porre al presidente Catricalà è relativo ai tassi di interesse che sono praticati dagli istituti bancari nel Centro-Nord e in Sicilia, segnatamente in provincia di Caltanissetta.

PRESIDENTE. Dalle categorie alle subcategorie...

AMEDEO LABOCCETTA. Da questo punto di vista, la Campania non è da meno.

ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Evidentemente, l'istituto di vigilanza, da una decina d'anni a questa parte, è stato distratto da altro. Il risultato è che molti tassi sono di un punto o addirittura di un punto e mezzo più alti rispetto a quelli praticati in altre aree del Paese.
Gli istituti continuano a giustificarsi adducendo l'esistenza di margini di rischio più elevati. Tuttavia, anche ammettendo ciò in via meramente ipotetica, è chiaro che più i tassi sono elevati, più aumentano i margini di rischio.
Non so se l'Autorità abbia monitorato anche la qualità degli affidamenti. Gli istituti raccolgono e poi investono al Nord: buona parte di quanto raccolto difficilmente resta in Sicilia. Sebbene le percentuali di raccolta in Sicilia siano tra le più alte del Paese - la propensione al risparmio è, infatti, estremamente spiccata - gli investimenti che gli istituti bancari fanno nella regione sono, in rapporto all'entità della raccolta, pressoché nulli. Capisco che l'Autorità non ha specifica competenza su tale aspetto; tuttavia, penso sia arrivato il momento di istituire per lo meno un osservatorio che consenta di denunciare simili fenomeni.
Comunque, mi fa piacere constatare che, a soli due anni dall'acquisizione della piena competenza sui mercati del credito da parte dell'Autorità, si registrano salti qualitativi notevoli - oserei definirli «salti tripli» - rispetto alla situazione di partenza e alle iniziali esigenze.
Un altro problema è quello relativo alle truffe telematiche. Anche in questo caso intendo rivolgere all'Autorità un invito a raccogliere dati e a osservare il fenomeno.
Alcuni istituti affermano che, nel 2007, sono state perpetrate truffe telematiche per 129 milioni di euro. Non dispongo del dato definitivo relativo al 2008, ma la tendenza fa supporre che esso si sia attestato sui 180 milioni di euro. Chiunque entri in possesso di un dato anagrafico e sia dotato di un minimo di cognizioni informatiche può avere accesso a determinati canali bancari e fare in modo che siano addebitate somme - spesso anche di entità esigua - sui conti correnti di ignari utenti. Quando questi ultimi se ne accorgono, poi, il danno è pressoché irreparabile, in quanto non vale nemmeno la pena di intraprendere un'azione giudiziaria.
Secondo il mio modesto parere, l'Autorità dovrebbe impartire direttive affinché gli istituti di credito utilizzino strumenti di controllo più stringenti. Infatti, le banche sembrano quasi mostrare indifferenza, probabilmente perché in ogni caso lucrano sulle operazioni svolte. Tuttavia, ritengo che il «mercato» illegale delle truffe - che si aggira, come già detto, sui 180 milioni di euro l'anno, con tendenza all'aumento - debba essere necessariamente oggetto di attenzione, perlomeno sotto il profilo statistico, in modo che il Parlamento possa assumere le iniziative più congrue.
Oggetto della terza domanda che desidero rivolgerle, presidente, è il credito al consumo. Penso ai messaggi pubblicitari, nei mezzi di trasporto pubblico e nelle pagine delle riviste di ogni genere, che promettono di erogare il 120 per cento degli importi occorrenti per determinati


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acquisti, evidentemente richiedendo idonee garanzie e praticando tassi sostanzialmente usurari. Infatti, non dobbiamo tenere conto soltanto del tasso, che è già border-line rispetto a quello di usura, ma anche delle commissioni, da sommare e spalmare nel periodo di rateizzazione. Eppure, nessuno interviene.
In taluni casi, il prestito viene concesso a fronte della cessione del doppio quinto dello stipendio, a novantenni i quali, evidentemente, fanno da prestanome o, comunque, a sfortunati in procinto di morire che versano in situazioni di estremo bisogno. Un minimo di approfondimento sociologico rivela che spesso, dietro a tali prestiti, vi sono casi non facili: si rivolgono agli intermediari, solitamente, coloro i quali non sono in condizione di ottenere mutui o prestiti da parte del sistema creditizio ordinario. In tal modo, però, per le ragioni già esposte, disperazione viene a sommarsi a disperazione.
Non penso sia il caso di citare in dettaglio le risultanze di tutte le rilevazioni statistiche effettuate al riguardo, perché ciò richiederebbe tempo, e le sue risposte, presidente, anche se limitate agli aspetti generali delle questioni sollevate, sono troppo preziose. Ad ogni modo, riteniamo indispensabile che l'Autorità intervenga.
Una parte della sua relazione, presidente, affronta le principali criticità del settore del credito al consumo sotto il profilo delle pratiche commerciali scorrette. Poiché questa Commissione sta per avviare un'apposita indagine conoscitiva, sarebbe di grande conforto per noi - immagino che il presidente Conte e i colleghi siano d'accordo - conoscere gli orientamenti dell'Autorità in merito a tutte le problematiche afferenti a tale settore.

ALBERTO FLUVI. Desidero prima di tutto ringraziare il presidente Catricalà per la disponibilità con la quale ha accettato di venire in Commissione a ragionare con noi circa le tematiche concernenti l'applicazione della disciplina antitrust nel settore bancario.
Richiamando le considerazioni già svolte dall'onorevole Pagano, rinvierei la riflessione sul credito al consumo ad un incontro successivo, mentre vorrei porre rapidamente alcune domande in merito al sistema bancario.
Intanto, prendo atto delle considerazioni del presidente Catricalà riferite ai risultati, sia pure parziali, raggiunti nei due anni trascorsi da quando l'Autorità ha acquisito la piena competenza sui mercati del credito: non siamo nemmeno a metà dell'opera - mi sembra sia stato questo il tenore dell'espressione adoperata dal nostro ospite - però alcuni passi in avanti sono stati compiuti.
Subito dopo il presidente ha formulato l'auspicio che i risultati in tal modo ottenuti non siano rimessi in discussione da chimere protezionistiche alimentate dal vento della crisi. Proprio da questo punto di vista sono, invece, molto preoccupato; constato, infatti, che le chimere non sono più tali, ma si stanno traducendo in atti e leggi dello Stato.
Senza entrare nel merito - e non le chiedo di esprimersi riguardo alle polemiche fra autorità indipendenti - basta andare a leggere alcuni provvedimenti approvati dal Parlamento di recente, in tema di modifiche al Testo unico della finanza, di passivity rule, di innalzamento dei limiti per l'acquisto di azioni, ed altri ancora, per rendersi conto di come sia fondata, purtroppo, la preoccupazione che ho manifestato poc'anzi.
Credo che gli orientamenti emersi di recente, tradottisi nei provvedimenti ai quali ho fatto cenno, rischino di mandare in fumo un lavoro faticoso e difficile, non ancora terminato, ma che sicuramente ha consentito a questo Paese di dotarsi di un sistema bancario di primario livello. Lei stesso, presidente Catricalà, ha riconosciuto che i due più importanti istituti di credito del nostro Paese si collocano ai primi posti anche in Europa.
Voglio, però, sollecitare anche un suo intervento più incisivo, magari a monte e non a valle dell'approvazione. Ho letto le sue dichiarazioni...


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ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Quelle riguardanti le offerte pubbliche di acquisto?

ALBERTO FLUVI. Le dichiarazioni relative alle offerte pubbliche di acquisto e, dopo il decreto-legge n. 185 del 2008, alle concessioni.
Ebbene, spero che arrivino altre sue dichiarazioni, presidente. Non so se sia già stato approvato dal Senato il disegno di legge recante disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, ma mi risulta che taluni emendamenti allo stesso presentati presso l'altro ramo del Parlamento rimettano in discussione il divieto delle clausole di esclusiva e la limitazione del diritto di recesso annuale nei contratti poliennali nel settore assicurativo. Ho riportato questi esempi, ma ne potrei citare altri.
Da una parte, si pone il problema del rapporto fra l'Autorità di vigilanza (in questo caso, l'Antitrust) e il Parlamento; dall'altra, emerge una riflessione tutta politica - che, quindi, non riguarda lei, presidente - sul ruolo delle liberalizzazioni e sulla possibilità che il Parlamento le intenda come strumento a favore e a tutela del cittadino.
Non voglio aprire una discussione al riguardo in questa sede; tengo soltanto a sottolineare un punto specifico. Gli aspetti che l'Antitrust ha segnalato nella sua indagine trasmessa al Parlamento sono interessanti e illustrati con argomentazioni per molti versi condivisibili. Si pone un problema di governance nel settore bancario: effettivamente sussistono quelli che lei, presidente, ha definito conflitti di ruolo. Anche il fenomeno degli intrecci azionari interessa, purtroppo, il settore bancario, quasi tutte le società quotate e molte altre imprese del nostro Paese.
Penso che un intervento più incisivo dell'Autorità (sulla quale non intendiamo certo scaricare le nostre responsabilità, che sono sicuramente maggiori), a monte e non a valle, in relazione a taluni provvedimenti approvati dal Parlamento in questi ultimi mesi, avrebbe aiutato tutte quelle forze che, all'interno delle sedi parlamentari, credono nelle liberalizzazioni e lottano contro quelle chimere protezionistiche cui lei, presidente Catricalà, ha fatto riferimento nella sua relazione.

COSIMO VENTUCCI. Aggiungo il mio apprezzamento a quello espresso dai colleghi per la grande chiarezza - che, del resto, gli riconosciamo da tempo - con la quale il presidente Catricalà ha spiegato in pochissimi minuti quale sia la situazione. Di ciò lo ringraziamo.
Non voglio riproporre gli argomenti specifici che hanno formato oggetto dei quesiti già formulati. Desidero, piuttosto, svolgere sinteticamente alcune osservazioni.
Presidente Catricalà, lei afferma che dimensioni aziendali eccessive possono ostacolare gravemente il buon funzionamento dei mercati, perché rendono politicamente e socialmente impervia la strada del fallimento. Cita, al riguardo, due contributi di Stiglitz e Alesina (che tutti abbiamo letto) pubblicati, rispettivamente, dal Corriere della Sera e da Il Sole 24 Ore.
L'affermazione ci riporta al periodo nel quale era molto diffusa la massima «piccolo è bello». In seguito, gli economisti hanno sostenuto tesi diverse. Peraltro, non ho molta stima degli economisti, perché, come ho avuto occasione di dire in Assemblea, hanno gli occhi dietro la testa e non davanti: sono ottimi analisti del passato, ma non capiscono nulla di ciò che accadrà l'indomani mattina, altrimenti sarebbero ricchi sfondati e non starebbero a scrivere articoli per il Corriere della Sera o per Il Sole 24 Ore.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Come quelli che danno i numeri al lotto...

COSIMO VENTUCCI. Esatto, è più o meno la stessa cosa.
Mi risulta che in molti comuni - e vorrei che lei, presidente, dal suo osservatorio privilegiato (in senso positivo, tecnico)


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esprimesse la sua opinione al riguardo - agli imprenditori notoriamente titolari di un certo reddito viene proposto di partecipare alla costituzione di banche di credito cooperativo. Per la costituzione bastano un capitale sociale di 20 milioni di euro - se non erro - e un gruppo di almeno 50 soggetti. Tuttavia, quando si va a indagare per capire quale convenienza presentino simili proposte, si viene sovente invitati a fare molta attenzione, perché quello che potrebbe apparire un buon investimento rischia di rivelarsi, con molta probabilità, un esborso quasi a fondo perduto, che comunque non frutterà alcun guadagno.
Avrei piacere di conoscere la sua valutazione in merito a tali iniziative, presidente, anche perché, nella prima parte della relazione, ci ha parlato degli interventi che hanno risvegliato l'interesse dei cittadini riguardo al rapporto personale con le banche, alle commissioni Bancomat e alle altre attività a cui ha accennato l'onorevole Laboccetta.
Pochi minuti fa, mentre lei svolgeva la sua relazione, presidente Catricalà, l'ANSA ha dato notizia della decisione della BCE di ridurre dall'1,25 all'1 per cento il tasso ufficiale di riferimento (è rimasto invariato, invece, ed è tuttora dello 0,25 per cento, il tasso sui depositi marginali). Ebbene, le domando come sia possibile, con un tasso di riferimento ormai pari all'1 per cento, che le nostre banche non prestino soldi se non a tassi d'interesse minimi del 12 o 13 per cento. Si tratta di un problema di enorme importanza, che va al di là della presunta tutela del piccolo consumatore.
Un'ulteriore osservazione riguarda i 60 miliardi di debiti che lo Stato ha nei confronti dei privati e che il Tesoro non onora. Le domando, in particolare, se anche questi debiti non inneschino conseguenze che finiscono per riguardare le banche, le quali potrebbero trarre vantaggio dal fatto che le imprese non riescono a conseguire quanto è loro dovuto da parte dello Stato.
Infine, riguardo alla sua affermazione sulla necessità di una regolamentazione basata sui principi, le chiedo se, rispetto alle tematiche di cui ha trattato, presidente, non sia da considerare ancora valida l'opera di Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli.

FRANCO CECCUZZI. Signor presidente, vorrei ringraziare anch'io il Garante per il contributo che ha offerto a questa Commissione, nonché per i contenuti dell'azione svolta in questi ultimi tre anni dall'Autorità, che anch'io ritengo molto importante.
Per quanto riguarda l'indagine sulle corporate governance di banche e assicurazioni, credo che il contenuto della relazione sia in gran parte condivisibile.
In particolare, desidero soffermarmi sulle questioni riguardanti i mutui e la commissione di massimo scoperto.
Lei, presidente Catricalà, giustamente sostiene che sarebbe necessaria una semplificazione delle norme, sia per rendere le stesse più leggibili e più facilmente applicabili sia per conseguire una riduzione dei conflitti.
In tale ottica, penso sia molto importante lavorare uniti e spingere affinché le innovazioni più significative intervenute in materia di mutui e massimo scoperto siano inserite nel corpus normativo che reca la disciplina del settore bancario e creditizio (TUB). Peraltro, il decreto-legge n. 185 del 2008 ha introdotto per la prima volta sanzioni a carico degli intermediari che frappongono ostacoli alla portabilità dei mutui.
La seconda questione che desidero porre è relativa alla gestione dei fondi assicurativi e dei fondi pensione. Ho letto il libro di Luciano Gallino, uscito qualche giorno fa. Non so se lei abbia avuto modo di prenderne visione.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. L'ho ricevuto, ma non ho ancora avuto modo di leggerlo.

FRANCO CECCUZZI. L'Autore sostiene la tesi, a mio avviso suggestiva, secondo la quale il capitalismo per procura sarebbe


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ormai la forma di capitalismo prevalente: alcune centinaia di migliaia di persone gestiscono le sorti complessive dell'economia mondiale, o per lo meno le condizionano pesantemente, utilizzando fondi non propri, ma affidati loro da altri.
Se sfugge alla nostra competenza sotto il profilo macroeconomico, il tema diventa molto delicato, invece, sul piano dei rendimenti dei fondi assicurativi e pensionistici, soprattutto in considerazione delle scelte operate recentemente in materia di trattamento di fine rapporto. Gli intrecci nei consigli di amministrazione dei fondi, infatti, sono assai più ramificati e più dannosi di quelli che si possono trovare nelle strutture sovrastanti delle banche, alle quali, in ogni caso, gli intrecci medesimi riconducono. Penso che un'indagine o un'attività molto decisa in questo settore sia particolarmente auspicabile, poiché vengono in rilievo gli interessi di un gran numero di consumatori, i quali sono assolutamente ignari di come le risorse da essi affidate ai fondi pensione e alle banche siano concretamente gestite.

MAURIZIO LEO. Signor presidente, mi associo ai colleghi che mi hanno preceduto nel rivolgere un sentito ringraziamento al presidente Catricalà per la puntuale disamina delle problematiche alla nostra attenzione.
Mi ha colpito un passaggio della relazione nel quale si evidenzia che il credito al consumo può essere erogato, oltre che dalle banche e dagli intermediari finanziari, anche dai soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi, limitatamente alla dilazione del pagamento (ciò si evince chiaramente dal dettato normativo). A tale proposito, vorrei conoscere la posizione del presidente Catricalà - e anche di questa Commissione - in ordine al fatto che i soggetti bancari e gli intermediari finanziari, rispetto agli altri che vendono beni e servizi concedendo dilazioni di pagamento, adottano sistemi contabili differenziati: i primi applicano i principi contabili IAS; gli altri hanno una contabilità basata su sistemi diversi. Tale difformità genera ricadute sulla quantificazione delle commissioni: una cosa è la commissione determinata da un soggetto tenuto all'applicazione dei principi contabili internazionali IAS, altra cosa è la commissione determinata da un altro soggetto che utilizza criteri contabili tradizionali. È chiaro che il consumatore rimane disorientato, perché non conosce l'esatto carico che dovrebbe essere determinato.
A tale proposito, mi interessa sapere se l'Autorità ritenga opportuna, proprio muovendo dalle precedenti considerazioni, una rivisitazione del novero dei soggetti abilitati, volta a consentire l'erogazione del credito al consumo solo da parte di coloro che, essendo tenuti ad applicare identici principi contabili, siano anche in grado di garantire un'uniforme determinazione dell'onere connesso al tipo di prestazione resa. È chiaro che si rende necessario l'intervento del legislatore, ma mi interessa conoscere il punto di vista del presidente Catricalà.

PRESIDENTE. Desidero ringraziare anch'io il presidente Catricalà, al quale rivolgerò poche domande.
Quando discutemmo della necessità di guardare alle diverse autorità indipendenti in relazione alle funzioni da esse esercitate e acconsentimmo alla separazione per competenza della vigilanza sul sistema bancario - all'Autorità garante della concorrenza e del mercato la competenza in materia di concorrenza; alla Banca d'Italia quella in materia di stabilità - probabilmente ci aspettavamo che l'Antitrust mettesse in moto tutti i meccanismi possibili per focalizzare la propria attenzione sulle pratiche non concorrenziali che si verificavano allora e che si riscontrano tuttora nel sistema bancario.
Noi, come lei ben sa, presidente, produciamo continuamente norme legislative. Penso, in particolare, alla vicenda della commissione di massimo scoperto, che ha creato molti imbarazzi e sicuramente non ha fatto piacere alle banche. Il problema di fondo è che ci troviamo di fronte a un mondo che è una sorta di muro di gomma e che, anche rispetto a prese di posizione


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del Parlamento tradotte in provvedimenti legislativi, risponde in tempi lunghissimi, tentando in genere di ritardarne gli effetti ovvero di trasferirli su altri settori.
Anche la «piccola» norma in tema di clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto - un po' annacquata, in quanto è previsto che l'adeguamento dei contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 debba intervenire entro centocinquanta giorni dalla data medesima -, sostanzialmente circoscrive la sanzione di nullità ai soli casi in cui il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido.
Viene da pensare che dati i costi non indifferenti - per la sola diversa gestione della commissione di massimo scoperto le banche lamentavano un aumento dei costi tra i 4 e i 7 miliardi di euro - nessuno sia disponibile a rinunciare a tali utili, realizzati in modo abbastanza discutibile.
Questa Commissione si è già occupata anche della vicenda della valuta sugli assegni. Naturalmente, il presidente Catricalà cita come una vittoria dell'Autorità la riduzione dei tempi da sette a cinque giorni, ma rimane comunque difficile capire il comportamento delle banche. Sostanzialmente, esse prendono un giorno sugli assegni propri, mentre per quelli che vanno in stanza di compensazione defalcano i giorni festivi. In tal modo, se si versa un assegno il martedì, l'accredito della somma avviene, talvolta, addirittura alla fine della settimana successiva. Come se i sistemi di elaborazione dati si spegnessero il venerdì pomeriggio e si riaccendessero il lunedì mattina!
Peraltro, credo sia a tutti noto che la paventata concorrenza degli istituti bancari esteri si è rivelata un flop. Quelli che hanno aperto sportelli nel nostro Paese si sono praticamente adeguati al mercato e alle consuetudini. Ciò la dice lunga anche sull'assoluto immobilismo del settore bancario: evidentemente, proprio l'allineamento su pratiche totalmente condivise dimostra la mancanza di un'effettiva concorrenza.
La conclusione riceve conferma, avendo riguardo al tema della governance, dalla vicenda - da lei ricordata, presidente - del patto di consultazione tra Crédit Agricole e Generali. Quando ne ho esaminato il contenuto, non mi è sembrato volto esclusivamente a disciplinare le modalità di preventiva consultazione in merito all'esercizio di alcuni diritti sociali afferenti le azioni ordinarie di Intesa Sanpaolo rispettivamente possedute dai predetti istituti (tra l'altro, mi pare di ricordare che fossero previsti una clausola di uscita, una riduzione della partecipazione fino al 2 per cento ed altro ancora).
Tutto ciò dimostra che, evidentemente, nonostante lo sforzo assolutamente condivisibile compiuto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, qualcosa nel sistema non funziona.
Le domando allora, presidente, se ritenga di disporre di strumenti sufficienti per incidere maggiormente sui descritti comportamenti ovvero se sia necessario che il Parlamento faccia di più, allo scopo di mettere l'Autorità nella condizione di rendere effettive le proprie determinazioni.
D'altra parte, occorre anche considerare che questo è un Paese nel quale l'Autorità decide, il TAR può annullare in primo grado e il Consiglio di Stato può essere chiamato a pronunciarsi in grado d'appello (con la possibilità, in taluni casi, di ulteriori sviluppi giurisdizionali). Ed è ben noto che la durata dei procedimenti giurisdizionali produce un danno proprio a carico di chi è vittima di pratiche anticoncorrenziali.
Passando al tema della governance, mi piacerebbe anche sapere cosa pensi l'Autorità della vicenda Tassara e dei connessi intrecci. Credo sia noto a tutti che, per un lungo periodo, è stato la norma il fenomeno per il quale soggetti terzi si indebitavano con un istituto bancario per comprare azioni di un altro. Le chiedo, presidente, cosa ci possiamo aspettare, rispetto a questi comportamenti che, chiaramente, incidono anche sulle governance degli istituti bancari e sul complessivo sistema industriale.


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Chiedo, altresì, se l'Autorità abbia mai preso in considerazione le operazioni realizzate attraverso le special purpose vehicle, che sono state utilizzate in maniera assai poco trasparente e che hanno creato sperequazioni notevoli sotto il profilo della gestione dei crediti. Questi ultimi - comprati e venduti in assoluta mancanza di trasparenza - servivano sostanzialmente a garantire flussi di denaro da investire in questa o in quella operazione. In tal modo, sono state create sperequazioni anche sotto i profili della concorrenza e della capacità di stare sul mercato.
Personalmente, mi aspetterei dall'Autorità una capacità di dare indicazioni più velocemente anche al Parlamento.
Le sue anticipazioni, presidente, molto spesso assai gradite, inducono a prendere in considerazione temi di grande interesse - come quello relativo alla commissione di massimo scoperto - ma sappiamo tutti che, sul piano sostanziale, sussistono molti comportamenti poco coerenti con i principi della concorrenza.
Quando ha richiamato la nostra attenzione sui temi concernenti le OPA, la contendibilità e la passivity rule, il collega Fluvi ha fatto riferimento a normative che sono state concepite come transitorie. L'obbligo di comunicazione per le partecipazioni superiori a una certa soglia (1 per cento) mi pare più che legittimo: non dà fastidio e, anzi, serve a chiarire meglio come si muovano i soggetti sul mercato. Le altre due operazioni hanno effettivamente generato qualche malumore. Ciononostante, mi risulta che esse, ispirate a un'ottica assolutamente transitoria, siano state realizzate per dare qualche risposta a un mercato che, come notava il collega Ventucci, gli economisti vedevano privo di sbocchi.
Credo che oggi nessuno sia in grado di dire quanto durerà la crisi. Tuttavia, con riferimento agli aspetti da ultimo considerati, le domando, presidente, se non ritenga che il Parlamento debba fare qualcosa per chiarire meglio l'aspetto della transitorietà delle menzionate norme, e in quali tempi. Non le chiedo di fare l'economista - e, quindi, di rivelarci cosa succederà tra uno o due anni - ma di dirci se sia ragionevole pensare a una rivisitazione di certe discipline proprio in relazione alla straordinarietà del momento economico e finanziario.
Do la parola al presidente Catricalà per la replica.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ringrazio il presidente e tutti i deputati per le osservazioni e le domande molto stimolanti, sulle quali l'Autorità avrà modo di riflettere. Riporterò in collegio il clima che caratterizza gli incontri in questa sede parlamentare e i temi in relazione ai quali è più viva l'attenzione della Commissione finanze.
Naturalmente, essendo il rappresentante di un organo collegiale, cercherò di rispondere rimanendo nell'ambito delle competenze di tale organo e delle valutazioni che lo stesso ha effettivamente operato in sede di discussione o diffuso tramite documenti ufficiali.
Risponderei, prima di tutto, al presidente e, insieme, all'onorevole Fluvi, poiché le domande da essi poste sono «di sistema»: riguardano cioè, da una parte, i rapporti tra l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e altre autorità e, dall'altra, i rapporti tra l'Autorità medesima e il Parlamento.
Sono venuto in Parlamento già tredici volte negli ultimi dodici mesi. Non era mai successo che un'autorità indipendente fosse chiamata così spesso a rispondere in Parlamento su varie questioni. Ne sono onorato e ritengo che ciò candidi l'Autorità che presiedo ad essere un referente più costante. Spero di raddoppiare le audizioni l'anno prossimo, per triplicarle poi nell'ultimo anno del mio mandato.
È vero che molto spesso arriviamo in ritardo. Succede perché l'emendamento al decreto-legge e la posizione della questione di fiducia sull'approvazione dello stesso sono così veloci da spiazzarci. È successo con le concessioni autostradali: ebbi a protestare violentemente per la concessione a Società Autostrade, ma il provvedimento era già legge. A quel punto,


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sono stato chiamato in Parlamento, dove sono venuto a dire - era la cosa giusta da fare - cosa bisognava fare in relazione alle altre situazioni; ma non restava molto da fare, dal momento che la Commissione aveva già dichiarato di aver fatto uno strappo alla regola. Nella mia segnalazione era contenuta l'indicazione di non ripetere l'errore nello stesso settore (magari, per gli aeroporti). Si poteva anche seguire tale monito, che, tuttavia, era diventato ingiusto, poiché creava una sperequazione nel settore stesso.
Sull'OPA siamo arrivati in ritardo perché ce ne siamo interessati in sede di conflitto di interessi, a seguito di denuncia.
Purtroppo, abbiamo un problema, che è già stato evidenziato dal presidente. Quando ha approvato la legge sul risparmio - tre o quattro anni fa - il Parlamento ha stabilito le competenze delle diverse autorità. Ebbene, non ho competenza a rispondere alle domande che mi sono state poste in ordine a tematiche rientranti nell'ambito della vigilanza, perché invaderei campi di istituti più grandi, più forti e storicamente più consolidati del mio.
Signor presidente, proprio oggi ho proposto al collegio di inoltrare alla Consob, in ossequio a un parere del Consiglio di Stato, tutte le denunce relative alla vicenda Lehman Brothers che i consumatori inviano a noi: non è una nostra competenza. Non me ne volevo spogliare, anche perché, se il pubblico mi attribuisce una competenza, penso che al Parlamento faccia piacere che qualcuno se ne occupi. Oggi, abbiamo stabilito di inviare sollecitamente all'istituto deputato, cioè alla Consob, le segnalazioni relative alla Lehman Brothers pervenute a noi, che non sono attinenti a problemi concorrenziali, bensì a problemi di trasparenza. A noi la trasparenza interessa, ma solo quando riguarda il profilo concorrenziale.
Nel dare applicazione alla normativa nazionale con la quale è stata recepita la direttiva comunitaria MIFID, il Consiglio di Stato ci ha dato una lezione - che immaginavamo di ricevere, anche se si poteva dare un conforto a un istituto che non può essere spogliato di una competenza in questo modo - stabilendo che spetta alla Consob la competenza ad intervenire riguardo alle condotte scorrette degli operatori del settore finanziario.
È vero che subiamo molto spesso la forza degli istituti, in diversi modi. Abbiamo condotto una battaglia e, forse, avremo anche sbagliato qualche passaggio ma, per quanto riguarda la vicenda della surroga dei mutui, vi erano una legge e una successiva legge interpretativa: entrambe prevedevano che la surroga fosse a costo zero. In realtà, gli istituti mutuanti non l'hanno mai fatta a costo zero e hanno indotto i propri clienti che non riuscivano più a pagare le rate a scegliere meccanismi più onerosi.
Il TAR del Lazio si è pronunciato nel senso che le anzidette norme in tema di portabilità dei mutui non risultavano chiare. Naturalmente, l'Autorità ricorrerà al Consiglio di Stato, perché il fatto che le banche da noi sanzionate non fossero tenute a un determinato comportamento (e che, di conseguenza, non vi fosse illecito) non implica anche che non potesse sussistere un loro comportamento scorretto. Non si tratta di un inadempimento: in tal caso, avrebbe avuto giurisdizione il giudice ordinario. Se i consumatori fanno una denuncia all'Antitrust è perché si trovano dinanzi a un comportamento commercialmente scorretto. È, infatti, anche questione di correttezza: non tieni conto, come saresti tenuto a fare in ragione della tua qualità di professionista, degli interessi della controparte, perché offri un meccanismo oneroso pur quando la legge ne prevede - come obbligatorio ovvero preferenziale - uno di tipo assolutamente gratuito.
Insistiamo su questo punto, sul quale si gioca una partita importantissima: alla correttezza devono essere improntati i comportamenti di tutti i professionisti nei confronti di tutti i consumatori e, quindi, anche quelli del sistema creditizio nei confronti dei clienti.
Se il legislatore formula una clausola generale, non è poi obbligato a scrivere pagine di comportamenti corretti: è compito


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nostro, in sede di interpretazione e di attuazione, riempire la clausola generale di un contenuto che, con il tempo, potrà anche essere adattato alle nuove esigenze senza bisogno di disturbare il Parlamento.
Non credo che il Parlamento debba fare granché al riguardo, giacché il codice del consumo è molto chiaro: bisogna saperlo interpretare e, soprattutto, occorre capire che l'abuso del diritto è cosa diversa dall'inadempimento.
Quanto alle commissioni di massimo scoperto, è vero che c'è stato un nostro intervento, ma solo relativamente alla scarsa informazione. Non potevamo fare di più. Il Parlamento ha fatto benissimo ad abolirle. A questo punto, dovremo vigilare affinché un meccanismo oscuro non sia sostituito da un altro altrettanto oscuro. Questo è un impegno che posso assumere a nome dell'Antitrust, perché effettivamente si tratta di una nostra competenza e, inoltre, perché il collegio è compatto nel ritenere che i risparmiatori non debbano essere presi per il naso per mezzo di un'altra clausola di uso comune. Credo che non succederà.
Per quanto riguarda gli intrecci azionari, è vero che sono presenti anche in altri settori. Il problema, comunque, non è rappresentato tanto dagli intrecci tra soci, che pure sono gravi, quanto da quelli che si creano tra le posizioni di governance. È tipico del nostro sistema finanziario e assicurativo che le posizioni di governance siano affidate sempre alle stesse persone.
La partecipazione come soci, in termini finanziari, a più imprese, non crea alcun problema. Del resto, qualunque capitalista, se sa che un'impresa guadagna, vuole avervi una partecipazione; quello che non deve chiedere è di entrare nella governance.
Al di là dei casi specifici del momento, in generale, si tratta di una questione riguardante le possibilità di concorrenza. Possiamo prescrivere «muri cinesi», l'assoluto divieto di informazione, l'obbligo di uscire dalla riunione, ma comunque chi siede in consiglio di amministrazione conosce tutto. Questo punto è chiaro, e non credo vi sia necessità di un'ulteriore presa di posizione dell'Autorità. Tuttavia, non sarebbe male se il Parlamento dettasse una normativa generale, di principio.
Se mi chiedete cosa si possa fare a livello legislativo, rispondo che si dovrebbero fissare per legge principi a cui la Banca d'Italia, le banche e tutti gli altri protagonisti del settore fossero tenuti ad adeguarsi. Non è necessario che ai principi generali si dia attuazione mediante decreti delegati, poiché l'attuazione può essere rimessa ai singoli statuti.
Sempre in relazione alle questioni di governance, c'era una nostra richiesta, avanzata in altra sede, per cui sulla questione dell'1 per cento conveniva quel tipo di vincolo.
Siamo molto impegnati anche con riferimento alle altre questioni riguardanti le liberalizzazioni e al plurimandato. In una nostra segnalazione, abbiamo ribadito l'auspicio che non fosse reintrodotto il monomandato. Non è che il divieto di esclusiva nella distribuzione di servizi assicurativi relativi a tutti i rami danni non abbia funzionato: non può funzionare se le assicurazioni sperano di poter riavere il monomandato. In tal caso, infatti, per un periodo limitato potranno strapagare le commissioni. Se, invece, sapranno di avere davanti una porta chiusa, allora si dovranno attrezzare diversamente. Oggi, se qualche costo è aumentato, ciò è avvenuto perché le assicurazioni pagano di più la commissione ai propri ex agenti per evitare che pubblicizzino e commercino altre polizze. Si tratta di un difetto interno al sistema, ma la legge è giusta.
Se si vuole fare di più, cominciamo a introdurre il consulente esterno, cioè il broker vero, come nel Regno Unito. Richiamare, in questo settore, ciò che è stato fatto nel Regno Unito potrebbe sembrare sbagliato, perché ne hanno combinate di tutti i colori ma, in realtà, non lo è: le assicurazioni costano di meno perché il broker non è pagato dall'impresa. Il consumatore paga la consulenza, ma si rifà dieci volte di ciò che ha pagato ottenendo il migliore prodotto possibile.
Analogamente, tempo fa ho dichiarato che bisognava introdurre i tetti sul gas. So


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che si vogliono cancellare, o forse sono stati già cancellati. Non avevo chiesto di fissare tetti rigidi, perché l'introduzione per legge di un tetto antitrust rigido non è mai una bella operazione e, forse, oggi come oggi, non servirebbe. Se, invece, si prevedesse un tetto flessibile e, in ragione della domanda e dell'importazione di gas, si stabilisse un limite per l'operatore oggi dominante (che è sempre ENI), allora avremmo una possibilità. Certo, occorrerebbe affidare la vigilanza sul funzionamento del meccanismo - che non può essere rimesso alle determinazioni autonome dell'operatore - al Ministero dello sviluppo economico. Si potrebbe anche ipotizzare, in alternativa, una sorveglianza da parte dell'Autorità per l'energia e il gas. purché si crei comunque un meccanismo grazie al quale i piccoli possano contare sul fatto che una quota andrà esclusivamente a loro.
Vengo alle domande poste dall'onorevole Laboccetta. Relativamente all'esecuzione dei bonifici entro un giorno, mi sembra che il termine sia il 2012.
Abbiamo condotto un'aspra battaglia per arrivare a togliere i due giorni di valuta, perché le banche utilizzano meccanismi di persuasione: lasciano intendere che non è tutto così semplice, che alcuni assegni sono protestati, mentre altri non lo sono, e via discorrendo.
Alla fine, ci era parso, ottenendo questi due giorni, di avere conseguito il massimo possibile...

AMEDEO LABOCCETTA. Non mi riferivo tanto agli assegni, quanto ai trasferimenti.

ANTONIO CATRICALÀ, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per i trasferimenti credo sia molto più facile. Sicuramente è più semplice.
Per quanto riguarda i tassi e gli spread, questi ultimi non possono rappresentare un modo per colpire la clientela. Tuttavia, questa non è la nostra competenza tipica: sul prezzo effettivo non riusciamo ad intervenire.
Nel caso delle truffe telematiche, invece (trattandosi di una pratica commerciale scorretta, prima di tutto è una truffa), la grande difficoltà sta nel trovare i veri colpevoli, al di là del compito, di per sé semplice, di stabilire chi non ha vigilato. È difficile individuare un soggetto che oggi si chiama in un modo e domani in un altro.
Ciò riguarda moltissime pratiche commerciali scorrette poste in essere tramite Internet. Sono infiniti i modelli di pratica scorretta. Tuttavia, accogliamo l'invito del Parlamento, in particolare dell'onorevole Pagano, a vigilare, giacché tali fenomeni involgono aspetti di tutela del consumatore che dobbiamo approfondire.
Riguardo al credito al consumo, abbiamo comminato una serie di multe per pubblicità ingannevole. Solamente l'anno scorso ne abbiamo inflitte per più di un milione di euro. All'epoca le multe erano inferiori rispetto a quelle attualmente in vigore (sono «piccolissimi» i soggetti che andiamo a colpire).
È confermato, peraltro, il rischio che il credito al consumo possa essere utilizzato per pratiche non corrette e che con i tassi «oscuri» si possa arrivare anche a superare i limiti consentiti dalla legge.
In proposito, l'onorevole Leo ha posto il quesito se sia giusto immaginare che solo determinati soggetti possano assumere il ruolo di erogatori. Premesso che il tema è, a mio avviso, effettivamente spinoso, è chiaro che questa è una competenza tipica di Bankitalia, vostra e del Ministero dell'economia e delle finanze. Il punto centrale è che, forse, potremmo superare il problema se riuscissimo a imporre una cultura della chiarezza nell'esposizione delle condizioni. Invece, da questo punto di vista è tutto molto oscuro.
Mi pare di aver dato una risposta sui punti riguardo ai quali ero stato autorizzato a rispondere. Sono contento che mi chiediate di essere più pronto, perché ciò vuol dire che l'Autorità svolge, a vostro avviso, ancora un ruolo, nonostante la crisi economica e finanziaria abbia posto in serio dubbio i valori del mercato.
Penso che l'Italia abbia bisogno di mercato e di libertà economica. Molto tempo


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fa, in America, nel 1933, si fece l'errore di approvare una legge che aveva contenuti anticoncorrenziali e che sortì effetti nefasti, riconosciuti dagli economisti e dai comitati che lo stesso Roosevelt aveva istituito.
Quindi, se posso permettermi, esprimo l'auspicio, a nome dell'Autorità, che non si verifichi alcuna deriva protezionistica e, anzi, che sia abbandonata ogni aspirazione in tal senso. Assistiamo, infatti, in tutti i settori (professioni, tariffe, pubblicità, gas, energia, assicurazioni), a tanti piccoli interventi mediante i quali si ritoccano tante piccole conquiste, del mondo dei consumatori e del mercato, difficilissime da ripristinare. Questo è il mio auspicio.
Per quanto mi riguarda, quando vorrete, sarò pronto a discutere su qualsiasi tema specifico: mi farò autorizzare dal collegio e verrò in audizione.

PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Catricalà, che immagino incontreremo di nuovo presto.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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