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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
14.
Martedì 15 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 2

Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 2 9 13 19 20
Barbato Francesco (IdV) ... 11
Causi Marco (PD) ... 11
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 9
Fluvi Alberto (PD) ... 12
Saccomanni Fabrizio, Direttore generale della Banca d'Italia ... 2 14 19
Ventucci Cosimo (PdL) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.

COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 15 settembre 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 12,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione europea sulla vigilanza finanziaria europea (COM(2009)252 definitivo).
Do la parola al dottor Saccomanni per lo svolgimento della relazione.

FABRIZIO SACCOMANNI, Direttore generale della Banca d'Italia. Grazie, signor presidente. Sono lieto di poter illustrare alla Commissione le valutazioni della Banca d'Italia in merito ai progetti concernenti la riforma della struttura di vigilanza finanziaria europea.
La crisi finanziaria ha messo in luce la necessità di rafforzare la regolamentazione della vigilanza e accrescere la cooperazione tra le autorità nazionali a livello globale. In ambito europeo, questo sforzo deve essere assistito da una revisione degli assetti istituzionali di vigilanza: è infatti aumentata notevolmente l'integrazione tra i mercati e un ruolo centrale è svolto da intermediari grandi e complessi, con rilevanti interessi in diversi Paesi. La stabilità finanziaria non può più essere presidiata esclusivamente dall'esercizio di competenze e responsabilità attribuite a livello nazionale.
Nell'ultimo decennio è stato realizzato un grande sforzo di armonizzazione della legislazione comunitaria. Sono stati istituiti, tra il 2001 e il 2004, i cosiddetti comitati di terzo livello, con funzioni di supporto tecnico alla Commissione e collaborazione tra autorità nazionali nel campo bancario, assicurativo e dell'attività mobiliare.
Per quanto significativi, i risultati raggiunti non sono sufficienti.
Le regole rimangono assai diverse tra paesi. Le direttive contengono troppe opzioni e discrezionalità nazionali; anche in assenza di spazi di discrezionalità espliciti, il recepimento a livello nazionale consente di declinare le norme in modi assai differenziati. Il risultato è che il rulebook, il manuale complessivo con cui un gruppo internazionale si deve confrontare, è una collazione di testi nazionali che rimangono tra loro assai diversi anche in aree armonizzate.
Le prassi di vigilanza nazionali riflettono gli assetti istituzionali e le diverse tradizioni delle autorità locali. Le regole comuni vengono filtrate attraverso approcci applicativi assai diversi. La crisi ha mostrato, ad esempio, che le norme armonizzate sulla definizione del capitale,


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sulla cartolarizzazione e sul consolidamento degli structured investment vehicles (SIVs) sono state applicate in maniere assai diverse, con approcci molto rigorosi in Italia e con atteggiamenti assai meno restrittivi in altri Paesi.
I collegi di vigilanza, che riuniscono le autorità di vigilanza responsabili per i gruppi cross-border, non hanno giocato un ruolo centrale durante la crisi e sono rimasti fondamentalmente luoghi di scambio di informazioni; solo in pochi casi si è avuto un vero coordinamento nelle valutazioni dei rischi e nella definizione congiunta delle aree prioritarie per gli interventi di vigilanza.
Discrepanze nella natura e nei poteri delle autorità, nonché negli strumenti per la soluzione delle crisi, hanno nei fatti impedito un reale coordinamento degli interventi adottati dalle singole autorità.
La tendenza a ripiegare verso soluzioni nazionali è stata ulteriormente accentuata dall'assenza di principi concordati a livello europeo sulla ripartizione tra Stati membri degli oneri finanziari associati agli interventi di sostegno alle istituzioni in crisi.
La difficoltà di un sistema di vigilanza frammentato lungo linee nazionali a prevenire e gestire crisi di natura sistemica è stata riconosciuta dalla Commissione europea, la quale, nell'ottobre del 2008, ha dato mandato a un gruppo di esperti indipendenti, presieduto da Jacques de Larosière (già direttore del Fondo monetario internazionale e Governatore di Banque de France), di presentare proposte di riforma.
In particolare, al gruppo è stato richiesto di considerare in quali modi si possa rafforzare la cooperazione europea nella sorveglianza dei rischi alla stabilità finanziaria a livello di sistema (cosiddetta vigilanza macroprudenziale). Infatti, la crisi finanziaria ha dimostrato che la solidità degli intermediari individuali non è condizione di per sé sufficiente per assicurare la stabilità del sistema finanziario. È fondamentale tenere conto dell'influenza che rischi comuni possono avere sul sistema nel suo complesso, valutare le interazioni tra i comportamenti seguiti dalle singole istituzioni, tra i diversi mercati e tra finanza ed economia reale, identificare i canali attraverso i quali le crisi si possono propagare, dando luogo a un contagio internazionale.
Inoltre, il mandato al gruppo de Larosière chiedeva di valutare il modo migliore per organizzare la vigilanza microprudenziale sulle istituzioni finanziarie europee, in modo da superare i limiti di un approccio basato esclusivamente sulla cooperazione volontaria tra autorità nazionali.
Com'è noto, il rapporto de Larosière ha proposto una riforma fondata su due pilastri principali. Il primo è riferito alla sorveglianza macroprudenziale, che viene affidata a un nuovo organismo, il Consiglio europeo per il rischio sistemico (ESRB). Il secondo è costituito dalla vigilanza microprudenziale, che fa capo al Sistema europeo di vigilanza finanziaria (ESFS), composto da tre nuove autorità europee con competenze distinte per settore dell'intermediazione (banche, assicurazioni e valori mobiliari), dai collegi dei supervisori e dalle autorità di vigilanza nazionali. Le indicazioni del rapporto de Larosière sono state accolte dalla Commissione europea, dal Consiglio Ecofin del 9 giugno e dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo del 19 giugno. Proposte legislative verranno avanzate dalla Commissione alla fine di settembre e i testi legali dovrebbero essere approvati in tempo per assicurare che il nuovo sistema inizi ad operare già nel corso del 2010.
In base al piano approvato dal Consiglio, l'European systemic risk board avrà il compito di sviluppare analisi sul sistema finanziario europeo, allo scopo di mettere in evidenza le aree di rischio e gli aspetti di vulnerabilità delle strutture finanziarie che richiedono attenzione da parte delle autorità. Il Consiglio europeo per il rischio sistemico formulerà, quindi, raccomandazioni di natura non vincolante, che verranno indirizzate attraverso il Sistema europeo di vigilanza finanziaria e il Consiglio Ecofin, indicando gli interventi correttivi


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da realizzare a livello europeo o nazionale. Vigilerà infine sull'effettiva attuazione delle raccomandazioni.
Per quanto riguarda l'organizzazione e il funzionamento, il Consiglio europeo per il rischio sistemico non avrà personalità giuridica e sarà composto dai Governatori delle 27 banche centrali dell'Unione europea e dal presidente della BCE (o dal suo vicepresidente, se il presidente è nominato presidente dell'ESRB), dai presidenti delle tre nuove autorità di vigilanza europee e da un rappresentante della Commissione europea.
Sul fronte della vigilanza microprudenziale, la riforma istituisce il Sistema europeo di vigilanza, nell'ambito del quale viene prevista la trasformazione dei menzionati comitati di terzo livello (CEBS, CEIOPS e CESR) in autorità europee con personalità giuridica di diritto comunitario, le European supervisory authorities (ESA). Il nuovo sistema continuerà a basarsi sul decentramento delle responsabilità di vigilanza presso le autorità nazionali e i collegi dei supervisori istituiti per le istituzioni cross-border, mentre le autorità europee svolgeranno a livello accentrato alcune importanti funzioni, che descriverò in seguito.
L'assetto istituzionale delineato nelle proposte di riforma presenta diversi elementi positivi. È però necessario che nell'attuazione pratica della riforma si adotti un approccio ambizioso e senza ambiguità. Vorrei soffermarmi su sei punti che ritengo essenziali per il successo della riforma.
Il primo riguarda l'assetto istituzionale e gli strumenti operativi del Consiglio europeo per il rischio sistemico. Poiché alle banche centrali è generalmente attribuito un ruolo primario nell'esercizio della funzione di stabilità finanziaria nei propri Paesi, l'assetto istituzionale dovrebbe essere incentrato sulle strutture delle banche centrali. È fondamentale che il nuovo organismo nasca con un forte ancoraggio alla BCE, in modo da poter beneficiare del patrimonio reputazionale di quest'ultima e dell'apporto diretto di conoscenze tecniche e operative specializzate per l'effettuazione delle analisi di stabilità finanziaria per l'area dell'UE. La nomina del presidente della BCE a presidente del Consiglio europeo per il rischio sistemico contribuirebbe ad assicurare la coerenza negli approcci per il conseguimento della stabilità monetaria e per la salvaguardia della stabilità sistemica. Sottolineo che ciò era originariamente previsto come impegno da condividere. Successivamente, invece, si è deciso di demandare la nomina a una decisione successiva. Il presidente della BCE, quindi, non presiede ex officio il Consiglio europeo per il rischio sistemico, ma potrà essere eletto dai componenti di questo. A tale soluzione si è addivenuti su richiesta di alcuni Paesi (tra i quali il Regno Unito): non facendo parte dell'eurosistema, questi ultimi preferirebbero che la presidenza dell'ESRB fosse assunta da un soggetto diverso dal presidente della BCE.
La base giuridica per l'istituzione dell'ESRB sarà l'articolo 95 del Trattato. Sarebbe comunque opportuno che fosse presa in considerazione anche l'attivazione dell'articolo 105.6 del Trattato, che prevede la possibilità di assegnare alla BCE compiti specifici in materia di vigilanza prudenziale, per definire in concreto e con le opportune garanzie di natura istituzionale il collegamento tra la BCE e l'ESRB, nonché le modalità di coinvolgimento della BCE nell'attività dell'ESRB.
Si dovrebbe prevedere, inoltre, uno stretto raccordo con la vigilanza microprudenziale. La vigilanza macroprudenziale attribuita all'ESRB potrà essere efficace soltanto se le analisi e le valutazioni dei rischi alla stabilità finanziaria riusciranno a orientare le priorità dell'azione di vigilanza microprudenziale sugli intermediari e i mercati finanziari. Il coordinamento tra l'ESRB e le ESA dovrà essere molto forte già nella fase di analisi, in modo da assicurare una condivisione degli orientamenti e lo scambio efficiente di informazioni. In particolare, l'attività di valutazione dei rischi dovrebbe basarsi su un coinvolgimento diretto ed esteso dei collegi dei supervisori. Se si vuole che i risultati delle analisi macroprudenziali


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siano poi utilizzati nella vigilanza sui gruppi finanziari, i collegi dovranno poter contribuire attivamente all'individuazione dei principali fattori di rischio e delle opzioni di policy.
Dall'altro lato, l'ESRB deve esser posto nelle condizioni di acquisire le informazioni microprudenziali necessarie per l'analisi dei rischi, con un particolare focus sulle istituzioni bancarie di maggiori dimensioni.
Il principale strumento dell'ESRB sarà il potere di inviare raccomandazioni alle autorità competenti. La dissociazione tra chi identifica i rischi ed emana le raccomandazioni e chi manovra gli strumenti di policy sulle istituzioni e i mercati finanziari potrebbe dare origine a confusioni nell'attribuzione delle responsabilità e a disallineamenti negli incentivi. Da un lato, appare opportuno che le raccomandazioni dell'ESRB siano formulate a livello dell'area dell'UE, o riguardino anche specifiche categorie di intermediari o gruppi di Paesi, ma non siano riferite a singole istituzioni, al fine di evitare confusioni di responsabilità con le autorità nazionali che vigilano su queste ultime. Dall'altro, i meccanismi di verifica sulle azioni adottate dalle autorità competenti devono essere particolarmente stringenti. Come previsto nella Comunicazione della Commissione, se le autorità nazionali decidono di non seguire o seguire solo parzialmente una raccomandazione, devono dare conto delle proprie ragioni in modo pubblico (act or explain). Ciò implica che alle raccomandazioni dell'ESRB si dovrebbe di norma dare adeguata pubblicità. Si potrebbe anche considerare l'attribuzione diretta all'ESRB di alcuni strumenti.
Il secondo punto critico concerne l'indipendenza dell'ESRB e il coinvolgimento del livello politico. L'ancoraggio del Consiglio europeo per il rischio sistemico alla BCE dovrebbe fornire sufficienti garanzie sull'indipendenza istituzionale della funzione di vigilanza macroprudenziale. Invece, il coinvolgimento del livello politico è assicurato attraverso la partecipazione del presidente del Comitato economico e finanziario dell'UE come osservatore nell'ESRB. Inoltre, il passaggio delle raccomandazioni dell'ESRB al Consiglio Ecofin assicurerà il coinvolgimento e l'impegno governativo, essenziale per l'attuazione delle raccomandazioni stesse.
Meno forti sembrano i presidi all'indipendenza del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (ESFS). Il rapporto de Larosière, la Comunicazione della Commissione e le conclusioni del Consiglio sottolineano come la suddetta indipendenza sia un elemento chiave per il successo della riforma. Tuttavia, la base legale per le nuove autorità sarà unicamente l'articolo 95 del Trattato, che, nella prassi finora seguita, assegna alla Commissione una forte influenza sul funzionamento delle agenzie europee. I testi di attuazione dovranno assicurare una sufficiente autonomia delle ESA nell'emanazione di standard di vigilanza ed evitare una loro dipendenza operativa dai servizi della Commissione.
In assenza di modifiche del Trattato, non è possibile attribuire direttamente alle ESA responsabilità regolamentari. Tuttavia, il processo di approvazione degli standard delle ESA da parte della Commissione non deve, di fatto, sminuire il ruolo delle autorità e la loro responsabilità sulle norme di natura più tecnica. In particolare, non deve essere possibile, per la Commissione, approvare parzialmente o modificare i testi proposti dalle ESA, altrimenti la Commissione si trasformerebbe nello standard setter di vigilanza e il ruolo delle ESA sarebbe svilito a una funzione di supporto tecnico.
Quanto alla governance, presidente e direttore generale delle ESA dovranno essere selezionati attraverso procedure di nomina rispettose della loro indipendenza e con procedure di conferma da parte delle istituzioni europee. La Commissione dovrebbe partecipare al processo decisionale delle autorità con ruolo di osservatore.
Le autorità dovrebbero avere un bilancio autonomo ma, alla luce degli importanti compiti di standard setting delegati dalla Commissione, potrà essere previsto


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un finanziamento consistente dal budget dell'Unione europea o della Commissione.
Infine dovranno essere definite appropriate procedure di accountability per le autorità nei confronti delle istituzioni europee e dovranno essere chiariti i meccanismi per l'applicazione delle decisioni delle agenzie e il regime di appellabilità ad esse applicabile.
Il terzo punto riguarda le regole e gli standard di vigilanza, che dovrebbero essere veramente omogenei nel Mercato unico. Purtroppo, la Comunicazione della Commissione e le Conclusioni del Consiglio lasciano spazio a interpretazioni molto diverse della nozione di single rulebook.
Idealmente, il set di regole che un'istituzione finanziaria autorizzata nell'Unione europea sarà chiamata a osservare dovrebbe essere composto in misura preponderante da norme europee direttamente applicabili e solo in parte residuale da disposizioni adottate a livello nazionale per tenere conto delle specificità dei mercati locali.
Non si può ignorare, però, che il single rulebook andrà sviluppato a partire da una pluralità di ordinamenti e di sistemi di vigilanza che presentano caratteristiche disomogenee. Dunque, il processo di elaborazione del single rulebook richiederà tempo, ma è bene fissarne sin dall'inizio le tappe.
Il ricorso a standard vincolanti dovrebbe essere ampio in tutte le materie più tecniche. Secondo le conclusioni dell'Ecofin, le ESA potranno stabilire standard nelle materie che saranno individuate nella legislazione comunitaria. Sin dalla prima fase di attuazione della riforma, la legislazione comunitaria potrebbe affidare alle nuove autorità europee il compito di fissare gli standard nelle materie che presentano una maggior componente tecnica. Nel campo bancario, ad esempio, all'European banking authority (EBA) potrà essere affidata la responsabilità di emanare standard vincolanti su definizione di capitale, coefficienti patrimoniali, concentrazione del rischio, contenimento del rischio di liquidità, segnalazioni di vigilanza, metodologie e procedure da seguire nell'attività di controllo prudenziale e funzionamento pratico dei collegi dei supervisori. Si tratta, infatti, di ambiti che hanno uno scarso impatto sui principi e sulle norme fondamentali degli ordinamenti nazionali e rispetto ai quali le divergenze correnti derivano, spesso, dalla difficoltà nell'abbandonare prassi consolidate.
Vi sono, però, settori in cui è più difficile ipotizzare che la convergenza possa essere raggiunta mediante standard stabiliti dalle autorità europee di nuova costituzione. Aspetti quali i poteri delle autorità di vigilanza in materia di accesso e fuoriuscita degli intermediari dal mercato, la governance e i controlli interni, le sanzioni, incidono in misura maggiore sugli assetti normativi e istituzionali dei singoli paesi e, pertanto, necessitano di specifiche norme nazionali di attuazione. È possibile che questi ambiti del rulebook continueranno ad essere disciplinati a livello comunitario con il tradizionale strumento della direttiva, sia pure di armonizzazione massima.
Venendo al merito del single rulebook, è importante che l'obiettivo della convergenza su livelli di elevato rigore prudenziale negli standard e nelle prassi applicative non venga perseguito a discapito dell'efficacia delle regole e dei controlli.
Il rulebook europeo dovrà ispirarsi, invece, alle regole e ai modelli di controllo dei Paesi i cui sistemi finanziari si sono rivelati più robusti, meno esposti alle cause che hanno scatenato la crisi e alle sue conseguenze, perché caratterizzati da prassi di vigilanza rigorose e particolarmente attente ai rischi. Crediamo che l'esperienza della crisi mostri che il modello italiano può fornire un utile riferimento al processo di convergenza.
Altrettanto importante sarà definire approcci comuni e stringenti nell'enforcement degli standard europei.
Gli elementi di debolezza del sistema finanziario europeo sono anche derivati dal fatto che, in alcuni Paesi, le regole armonizzate sono state applicate in modo poco rigoroso, seguendo un modello di


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vigilanza leggero, eccessivamente timoroso di interferire nelle scelte degli operatori.
Il quarto punto riguarda la raccolta e lo scambio di informazioni. Le autorità europee avranno un ruolo importante nell'identificare le informazioni di vigilanza che andranno messe in comune e nell'organizzare i processi per la loro raccolta e aggregazione in basi di dati centralizzate. I principali utilizzatori saranno le autorità di vigilanza, che dovranno usare queste informazioni soprattutto nelle attività di valutazione dei rischi dei gruppi cross-border, nell'ambito dei collegi dei supervisori. Nello svolgere tale compito, le ESA dovranno prevedere un forte coinvolgimento dei collegi, prendendo spunto dalle strutture già sviluppate negli ultimi anni.
Le informazioni, che potrebbero essere raccolte e centralizzate in basi di dati gestite dalle autorità europee, dovrebbero consentire ai supervisori di effettuare confronti con le situazioni di istituzioni simili a livello UE.
Oltre alla condivisione di dati fondamentali di vigilanza, potrebbe essere di grande utilità, per i supervisori, mettere in comune i risultati degli stress test condotti sui principali gruppi e alle valutazioni del rischio che i supervisori esprimono a seguito di tali esercizi.
Il quinto punto riguarda il ruolo dei collegi dei supervisori. La riforma delle strutture di vigilanza europee assegna alle ESA un ruolo centrale nel coordinamento dell'attività dei collegi. Il primo passo dovrà essere quello di definire standard per il funzionamento dei collegi, basati sulle migliori pratiche esistenti, per promuovere una maggiore coerenza all'interno dell'Unione. A tale proposito, mi piace ricordare che l'esperienza dei collegi di supervisori istituiti dalla Banca d'Italia per i due maggiori gruppi italiani - presieduti dalla Banca medesima - appare particolarmente valida. Sono già in via di attuazione norme che danno base giuridica ai collegi, ne rafforzano i compiti - anche in situazioni di crisi - e definiscono procedimenti di decisione congiunta nel processo di controllo prudenziale, che può risultare in requisiti specifici di capitale per il gruppo e tutte le sue componenti.
Finora i collegi hanno funzionato in modo efficace laddove c'è legislazione sufficientemente stringente sui compiti loro attribuiti, ad esempio nella validazione dei modelli interni sviluppati dagli intermediari. I risultati sono meno soddisfacenti dove il funzionamento dei collegi si basa, invece, su impegni di natura volontaria.
Per realizzare un sistema dei controlli sui gruppi cross-border veramente integrato, in cui i collegi dei supervisori siano in grado di agire con tempestività ed efficacia, occorrerebbe creare le condizioni per estendere gli spazi per decisioni concertate da parte delle autorità di vigilanza. Andrebbe studiata la possibilità di definire una legislazione comunitaria sui gruppi bancari che, seguendo il modello adottato nella legislazione italiana, riconosca il ruolo di coordinamento della capogruppo e fornisca un quadro di riferimento chiaro per una corretta distribuzione di responsabilità e diritti tra tutte le componenti del gruppo. Alla capogruppo potrebbe essere attribuita la responsabilità di interagire con il collegio dei supervisori e di assicurare che le indicazioni di quest'ultimo siano effettivamente seguite da tutte le componenti del gruppo.
Infine, l'ultimo punto critico riguarda la legislazione e gli accordi sulla gestione delle crisi. In linea con le indicazioni del rapporto de Larosière, il Consiglio Ecofin ha incaricato la Commissione di svolgere lavori per rafforzare la cosiddetta «legislazione di infrastruttura», relativa alle procedure per la prevenzione e risoluzione delle crisi dei gruppi cross-border. Al Comitato economico e finanziario è stato richiesto di sviluppare proposte per migliorare i meccanismi di cooperazione.
In primo luogo, occorre favorire l'armonizzazione della legislazione sugli strumenti di gestione delle crisi. La Commissione si è impegnata a presentare in tempi brevi proposte di legislazione europea su questa materia. Le procedure previste nella legislazione italiana per la gestione delle crisi bancarie, che prevedono anche misure di tipo preventivo, si sono dimostrate


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efficaci e potrebbero costituire un utile punto di riferimento per l'orientamento dei lavori europei. Andrebbe valutata anche la possibilità di introdurre una procedura comune per la gestione delle crisi dei gruppi bancari cross-border.
Passi in avanti sono necessari anche nell'armonizzazione delle legislazioni in materia societaria e fallimentare, per rimuovere gli ostacoli che impediscono il trasferimento di attività e di liquidità tra le diverse componenti dei gruppi bancari cross-border. La possibilità di congelare le attività presenti sul territorio nazionale porta, infatti, a soluzioni razionali dal punto di vista dei singoli Stati membri, ma inefficienti nel valorizzare le attività del gruppo; in casi specifici può anche accelerare l'insolvenza o complicare la gestione della crisi.
Occorre ridurre, poi, le divergenze tuttora presenti nel funzionamento dei sistemi di assicurazione dei depositi. La recente revisione della direttiva ha innalzato i livelli di copertura e ridotto i tempi di rimborso, ma non ha inciso sugli ampi margini di discrezionalità che gli Stati membri mantengono sulle modalità di finanziamento dei sistemi, i presupposti e le tipologie degli interventi. Nel promuovere una maggiore armonizzazione su questi aspetti si potrebbe anche studiare la possibilità di introdurre, a livello europeo, un sistema comune di garanzia dei depositi, che potrebbe dialogare con gli schemi nazionali e fornire un contributo prezioso per l'intervento coordinato delle autorità nazionali in caso di crisi di gruppi cross-border.
Infine, appare necessario sviluppare meccanismi per l'intervento coordinato in caso di crisi che consentano di minimizzarne l'impatto sui mercati e, da ultimo, sui contribuenti. In linea con le indicazioni contenute nel Memorandum of understanding siglato tra i Ministeri delle finanze, le banche centrali e le autorità di vigilanza dei paesi membri dell'UE nel 2008, il Comitato economico e finanziario sta lavorando alla predisposizione di raccomandazioni generali per la definizione di accordi in cui ciascuna autorità nazionale si assuma un chiaro impegno sul supporto che potrebbe fornire in caso di crisi di un gruppo cross-border.
Vengo alle conclusioni.
Nei mesi a venire sarà necessario seguire con attenzione i lavori di attuazione della riforma, assicurando che venga adottato un approccio ambizioso e rigoroso, come del resto auspicato dal Ministero dell'economia e delle finanze nella nota che ha accompagnato la trasmissione della Relazione annuale della Consob alle Camere. Soluzioni non chiare rischiano di generare confusioni di ruoli e conflitti tra autorità; compromessi che mantengano nei fatti lo status quo nei poteri delle autorità nazionali o favoriscano controlli poco stringenti non risolvono i problemi evidenziati dalla crisi.
In questo mio intervento ho cercato di delineare i punti che potranno determinare il successo della riforma, che riassumo brevemente.
Innanzitutto, è necessario dare strumenti operativi efficaci e una solida base istituzionale all'ESRB, possibilmente attivando l'articolo 105.6 del Trattato, che consente di attribuire specifici compiti di vigilanza alla BCE.
Va poi garantita l'indipendenza delle nuove autorità europee: le autorità politiche potranno essere coinvolte come osservatori nel processo di vigilanza macroprudenziale e contribuire all'attuazione delle raccomandazioni dell'ESRB; le ESA dovranno effettivamente avere la responsabilità esclusiva di definire gli standard tecnici di vigilanza per l'UE, con appropriati meccanismi di rendicontazione.
Bisogna muovere con decisione verso regole effettivamente uniformi, con un maggior ricorso a regolamentazioni europee in luogo di direttive e con standard tecnici delle nuove autorità direttamente applicabili sull'intero Mercato unico, senza necessità di trasposizione. Inoltre, all'uniformità delle regole dovranno corrispondere approcci di vigilanza egualmente rigorosi nell'effettuazione dei controlli e nell'adozione di interventi correttivi.
Dovranno essere predisposti meccanismi e regole di confidenzialità che assicurino


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una condivisione di informazioni riservate assai più estesa di quanto accade oggi, facilitando la creazione di basi di dati comuni.
I collegi dei supervisori devono essere posti nelle condizioni di funzionare nei confronti dei gruppi cross-border con la stessa efficacia della vigilanza nazionale; ciò deve essere assicurato attraverso una nuova legislazione comunitaria sui gruppi bancari.
Deve essere sviluppata nuova legislazione sulle procedure di gestione delle crisi e sull'assicurazione dei depositi, assieme ad accordi tra autorità con impegni chiari sul sostegno a specifici gruppi cross-border.
Mi auguro che questi spunti possano essere utili alla Commissione per definire la propria posizione nei confronti delle proposte della Commissione europea e delle raccomandazioni del Consiglio e, inoltre, per fornire indicazioni al Governo sulla posizione da tenere in questo importante riassetto istituzionale.
Ringrazio il presidente e tutti i componenti la Commissione per l'attenzione riservatami.

PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore Saccomanni, il quale è accompagnato dal dottor Andrea Enria, capo del servizio normativa e politiche di vigilanza della Banca d'Italia.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

COSIMO VENTUCCI. Innanzitutto, ringrazio il direttore Saccomanni per averci illustrato, in maniera sintetica e asciutta, le iniziative in atto in materia di riforma del sistema europeo di vigilanza finanziaria.
Ciò premesso, ho l'impressione che la relazione sia farcita di troppi condizionali e di troppi «se», soprattutto con riferimento all'applicazione delle misure da adottare per far fronte a rischi sistemici, le quali costituiranno oggetto di raccomandazioni. Ritengo condivisibili le notazioni del dottor Saccomanni concernenti il rulebook, ovvero l'insieme di regole e standard, che dovrebbero essere il più possibile omogenei; tuttavia, poiché il sistema bancario è condizionato dalla velocità dei rapporti commerciali e finanziari, mi sembrano eccessivi gli auspici rispetto alla prospettata riorganizzazione.
A questo punto, vorrei porre al dottor Saccomanni qualche domanda provocatoria.
Il tema dell'audizione di oggi è la vigilanza finanziaria europea, il cui riassetto dovrebbe poggiare su regole maggiormente armonizzate, a presidio delle quali sarebbe posto lo strumento della raccomandazione (mentre l'eventuale applicazione di sanzioni resta rimessa alla buona volontà dei poteri nazionali). Nondimeno, se tutto quello che si fa - e, così come è stato fatto, lo ritengo valido - può essere inficiato dalla dimensione globale dei rapporti e dalla velocità delle operazioni finanziarie, come possiamo attenderci risultati positivi quando sappiamo già che siamo fortemente condizionati da quanto accade negli Stati Uniti? E se la crisi attuale, come quelle del 1929, del 1971 e del 1997, ha una diversa origine - lei, direttore, ce lo insegna -, in quale modo le nuove regole potranno influenzare certi comportamenti, che siamo costretti a subire, derivanti proprio dall'assenza di regole? Peraltro, leggendo i giornali di questi giorni, veniamo a sapere del rischio che, negli USA, si ricominci ad agire in violazione di certe regole bancarie.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ringrazio anch'io il direttore generale della Banca d'Italia per il prezioso contributo offertoci. Essendo chiamato ad assolvere un compito molto preciso, il dottor Saccomanni ci ha fornito un contributo che tiene conto dello stato dell'arte. Tuttavia, la relazione suscita domande che ampliano il tema originario.
Sostanzialmente, ritengo che l'attenzione debba essere rivolta al G20 di Pittsburgh, nell'ambito del quale tutti speriamo si trovi un'impostazione generalmente condivisa in ordine a regole, controlli e autorità, valida a livello mondiale


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e da applicare in ciascuna area geografica (per quanto ci riguarda, in Europa). Infatti, se per caso il prossimo G20 si risolvesse in un ulteriore fallimento, o anche soltanto in un ulteriore rinvio, i rischi sarebbero seri.
Probabilmente, bisognerebbe partire da un'analisi vera delle cause della crisi, ovvero delle ragioni che hanno prodotto un simile sconquasso a livello mondiale, che ogni Paese sta pagando in misura maggiore o minore, ma comunque consistente. Invero, a scontare in maniera più pesante le conseguenze della crisi - non lo dico per fare demagogia - è la parte più debole della popolazione, ovvero proprio coloro che nulla hanno a che fare con le cause che l'hanno determinata: la crisi la paga chi perde il posto di lavoro, oppure chi è costretto a chiudere un'azienda perché non riceve più credito.
Insomma, di fronte a una crisi che pone questioni di grande rilievo, si è già perso troppo tempo, giacché è passato un anno e ancora non si è addivenuti all'individuazione di regole comuni.
Ieri il Presidente Obama ha dovuto rivolgere un monito agli operatori finanziari americani, avvertendoli che, qualora si ripetessero gli eccessi del passato, sarebbe necessario intervenire con forza. Ciò lascia intravedere quanto sia concreta la possibilità che si possano riproporre certi comportamenti, come se nulla fosse successo. Questa è la vera preoccupazione che tutti noi nutriamo, come rappresentanti del popolo e come singoli cittadini. Ritengo, quindi, che uno sforzo ulteriore debba essere compiuto.
Nella sua relazione, direttore Saccomanni, ha affermato che il modello italiano ha sostanzialmente funzionato. Se è così, allora difendiamolo! Esportiamolo, anzi, in Europa e nel mondo e facciamo in modo che gli altri Paesi si adeguino ad un modello che si è rivelato valido. Se è vero che noi abbiamo avuto meno problemi di tutti gli altri, faremmo bene a correggere ciò che non va nel nostro sistema di vigilanza, ma non a importarne uno meno efficiente, che ci esporrebbe al rischio di patire, la prossima volta, conseguenze più gravi. Sarebbe paradossale, ma il pericolo lo corriamo.
In tutti i dibattiti sull'argomento non ho ascoltato nulla di simile. Perciò, fa bene, dottor Saccomanni a rimarcare la validità del modello italiano di vigilanza, anche se io insisterei molto di più su tale aspetto. Ripeto: se il modello di vigilanza adottato dalla Banca d'Italia ha funzionato bene, e merita quindi di essere rafforzato e diffuso, credo che dovremmo evitare di indebolirlo attraverso l'applicazione di regole generalizzate, elaborate in sede internazionale ed europea.
L'ultima questione che voglio sollevare nasce da una curiosità. È scomparso dal dibattito il ruolo delle agenzie di rating, che in questa vicenda hanno dimostrato tutta la loro incapacità. Non ne hanno indovinata una! Ciò nonostante, le predette agenzie hanno un potere sopranazionale, perché possono attribuire la tripla o doppia «A», o effettuare altre valutazioni meno favorevoli. Tuttavia, chi controlla i controllori? Chi controlla questi signori? Soltanto i Governi, perché, a quanto pare, non esistono altri soggetti legittimati a vigilare sull'operato delle agenzie di rating, le quali, peraltro, hanno «potere» sugli stessi Governi.
Sotto tale profilo, si pongono problemi politici che riguardano il ruolo dello Stato, o degli Stati, nonché del Fondo monetario internazionale, al quale dovrebbero essere attribuiti poteri di intervento molto più consistenti di quelli finora detenuti. Infatti, solo un'autorità politica sopranazionale forte potrà impedire che la complicità di un'agenzia di rating con una banca o con un operatore finanziario produca ulteriori disastri.
Penso che al tema da ultimo segnalato non sia stata dedicata l'attenzione che la gravità della crisi avrebbe richiesto. Ritengo, quindi, che occorra aprire, a tale riguardo, un dibattito finalizzato all'elaborazione di proposte concrete, non solo a livello della Banca d'Italia ma anche in Parlamento. Dal momento che presunti competenti e finanche soggetti autorevoli e indipendenti sono stati responsabili del


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disastro che si è verificato, o quanto meno conniventi, occorre evitare che si riproponga la stessa situazione.
La materia meriterebbe serietà, spazio e approfondimento maggiori, ma non voglio dilungarmi oltre.

MARCO CAUSI. Signor presidente, nell'associarmi ai ringraziamenti rivolti al dottor Saccomanni, faccio mia, innanzitutto, una domanda che già altri colleghi gli hanno posto: a che punto siamo con la discussione, a livello non soltanto europeo, ma anche internazionale? Mi rendo conto che la domanda è un po' fuori tema ma, forse, il dottor Saccomanni vorrà darci una prima risposta, alla luce della quale, signor presidente, potremo eventualmente valutare se sia il caso di svolgere un'audizione su specifici temi che hanno rilevanza internazionale e non soltanto europea.
Vengo alle altre domande che desidero porre al direttore generale della Banca d'Italia.
Credo che il Parlamento approverà una risoluzione volta anche a dare più forza al Governo nella contrattazione europea. Se ho inteso bene, il nostro Paese non ha alcun problema a sostenere l'attribuzione alla Banca centrale europea di un ruolo di primus inter pares all'interno del Consiglio europeo per il rischio sistemico. Direi che, da questo punto di vista, non sia in discussione l'appoggio parlamentare - credo unanime - ad un'azione governativa che caldeggi a Bruxelles la predetta attribuzione. Tuttavia, le domando, direttore, quante probabilità vi siano, effettivamente, che i Paesi non facenti parte dell'area euro possano accettare tale soluzione e, più in generale, di fornirci una sua valutazione circa il quadro complessivo dei rapporti, tra i Paesi euro e quelli non euro, per quanto riguarda il ruolo della Banca centrale europea.
Lei ha giustamente e molto opportunamente evidenziato, direttore, come uno degli aspetti critici del nuovo assetto delineato nelle proposte elaborate dal gruppo di esperti presieduto da Jacques de Larosière sia quello del rapporto fra i servizi della Commissione e gli istituendi organismi di vigilanza.
Si pongono, in particolare, alcune questioni. La prima ci porta un po' fuori tema, ma vale la pena di rilevarla in considerazione delle sue implicazioni istituzionali. La Commissione europea non è l'organo di governo, ma è essa stessa una tecnostruttura, alla quale dovrebbe essere garantita una certa indipendenza. Sotto questo profilo emerge, quindi, un conflittualità, che dovrà essere risolta, sul piano costituzionale europeo, mediante un rafforzamento dei veri organismi politici di governo europei.
I quesiti che investe più direttamente la materia della quale ci stiamo occupando è, invece, il seguente: è possibile evitare duplicazioni? È concretamente e operativamente possibile evitare che tra le articolazioni di tecnostrutture già esistenti e le nuove autorità si creino conflitti o duplicazioni? Non sarebbe preferibile che le nuove agenzie ereditassero - per così dire - alcuni servizi della Commissione? In altri termini - insisto, a costo di apparire demagogico - come si può, da un lato, evitare che la proliferazione di nuove tecnostrutture determini una duplicazione di corpi tecnici (dalla quale potrebbero anche scaturire conflitti) e, dall'altro, semplificare il tema della governance?
Un'ultima domanda che desidero porle, direttore, nasce dalla mia ignoranza (colgo l'occasione per colmare una mia lacuna). Voi proponete - e credo che non abbiamo problemi ad appoggiare la vostra proposta - che i collegi dei supervisori siano posti in condizione di esercitare efficaci controlli sui gruppi cross-border. Ebbene, gli attuali collegi dei supervisori hanno una governance nazionale? Dunque, i collegi di supervisori dovrebbero avere una governance sopranazionale? Ripeto: le rivolgo queste ultime domande, dottor Saccomanni, con la consapevolezza che potrebbe averle ispirate soltanto la mia ignoranza nella specifica materia. La ringrazio.

FRANCESCO BARBATO. Ringrazio il direttore Saccomanni per l'importante contributo che offre stamani alla Commissione


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e, per il suo tramite, rivolgo un ringraziamento alla Banca d'Italia per il prezioso lavoro che essa ha svolto in questi anni, ponendosi come punto di riferimento anche all'interno dell'Unione europea. Penso che l'Istituto possa davvero diventare un modello per le ulteriori attività di vigilanza da svolgere.
Noi di Italia dei Valori riteniamo che l'indipendenza delle autorità di vigilanza - da questo punto di vista, recepisco gli spunti presenti nella relazione del direttore - debba essere garantita e sempre più rafforzata, a livello non soltanto nazionale, ma soprattutto europeo.
Durante la sospensione estiva dei lavori della Camera ho avuto il piacere di leggere Mafia pulita, di cui è coautore il dottor Antonio Laudati, da poco nominato Procuratore della Repubblica di Bari. Nel libro si evidenzia come la mafia sia diffusa nell'economia e, spesso, diventi economia. Poiché la criminalità organizzata si è ormai strutturata a livello internazionale, è necessario travalicare i confini del territorio di origine se la si vuole contrastare efficacemente. Ha poco senso, oggi, parlare di mafia siciliana o di camorra campana (ad esempio, i casalesi), giacché tali organizzazioni sono presenti, ad esempio, in Spagna, nella Costa del sole, fanno operazioni finanziarie ed economiche, aprono negozi in Germania, in Canada o in Australia. Mi pare, quindi, che affidarci a una regolamentazione valida in ambito europeo, oltre che apparire già riduttivo in un contesto di globalizzazione, possa costituire un limite nell'attività di controllo dei movimenti finanziari e dell'economia in generale.
Riteniamo, tuttavia, di dover sostenere con convinzione non soltanto le vostre proposte e la vostra autonomia, ma soprattutto ogni iniziativa normativa europea che elimini gli egoismi nazionali e locali, i quali non servono a nulla, se non a proteggere zone d'ombra che sono da cancellare.
I collegi dei supervisori nei confronti dei gruppi cross-border dovranno essere incisivi. Come istituzioni e come Governo, dobbiamo smetterla di essere forti con i deboli e deboli con i forti. Se vogliamo seguire un percorso etico, dobbiamo comportarci in maniera esattamente opposta: dobbiamo dimostrarci incisivi soprattutto rispetto ai forti, ai prepotenti, a coloro che non sono - tra virgolette - abituati a rispettare le leggi. La politica deve lasciare spazio e autonomia ai tecnici e, quindi, al buon lavoro della Banca d'Italia, alla quale accordiamo sin da ora il nostro sostegno.

ALBERTO FLUVI. Desidero associarmi ai ringraziamenti espressi dai colleghi al direttore generale della Banca d'Italia.
Prima di passare brevemente ad alcune domande, desidero svolgere una considerazione generale. A un anno dal fallimento della Lehman Brothers, ho l'impressione che, mano a mano che ci allontaniamo dall'epicentro della crisi, l'attenzione alle risposte globali, o europee, si stia allentando. Mi è sembrato, dottor Saccomanni, di cogliere considerazioni analoghe anche nella sua relazione, così densa di auspici.
Dalla data in cui il gruppo di esperti presieduto da de Larosière ha presentato la relazione finale, dopo che le proposte della Commissione europea sono state esaminate dal Consiglio Ecofin e dal Consiglio europeo, abbiamo assistito ad una sorta di annacquamento delle regole elaborate per dare vita a una nuova vigilanza europea. Per quanto mi riguarda, anche un piccolo passo nella direzione giusta va bene, continuando tuttavia a lavorare, nei prossimi anni, per raggiungere l'obiettivo auspicato.
Questa considerazione generale mi consente di introdurre alcune riflessioni che ci riguardano più direttamente.
Condivido il giudizio largamente positivo sotteso all'intervento dell'onorevole D'Antoni, il quale ha sostanzialmente evidenziato come la vigilanza della Banca d'Italia e delle nostre authority abbia consentito di limitare, nel nostro Paese, i danni prodotti dalla crisi finanziaria.
A questo punto, vorrei rivolgerle, dottor Saccomanni, una domanda che, forse, tocca in maniera soltanto marginale il tema dell'audizione; tuttavia, le sarei grato se volesse comunque darmi una risposta.


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Cerco di semplificare, rischiando anche di essere imperfetto. Mi riferisco al dibattito aperto nelle settimane scorse dal Ministro dell'economia e delle finanze in merito all'utilizzo, da parte degli istituti di credito, dei cosiddetti «Tremonti bond».
Abbiamo sempre sostenuto che il sistema creditizio italiano è riuscito a rispondere alla crisi meglio rispetto a quelli di altri Paesi. Nel contempo, abbiamo sempre ritenuto che il problema risiedesse nell'assetto patrimoniale degli istituti di credito. Se il punto è questo, gli istituti di credito potevano utilizzare i «Tremonti bond» per seguire due percorsi: intervenire sul patrimonio con aumenti di capitale ovvero diminuire gli impieghi. Mi sembra che nel nostro Paese sia stata scelta la seconda strada.
Vorrei chiederle, direttore, se i miei rilevi siano fondati e se, attraverso le istruzioni emanate nell'esercizio della propria funzione di vigilanza, la Banca d'Italia potesse intervenire per rafforzare i cosiddetti coefficienti, per incentivare certi comportamenti. Non ho una predilezione per i «Tremonti bond» - del resto, faccio parte dell'opposizione -, ma ho l'impressione che, non essendo stata fatta chiarezza su finalità e modalità di impiego di tale strumento, le difficoltà del nostro sistema creditizio (sia pure meno gravi, come ho già avuto modo di accennare) si siano scaricate sul sistema produttivo.
Un'ulteriore considerazione, strettamente legata alla precedente, riguarda la regolamentazione sopranazionale e, in particolare, Basilea 2, del quale abbiamo sempre posto in risalto il carattere prociclico. Ebbene, vorrei sapere se possa fornirci qualche notizia in merito alla revisione dell'accordo.
La mia terza e ultima domanda concerne l'architettura del nuovo sistema di vigilanza. A differenza degli altri settori, quello bancario si avvantaggia di un tassello in più, rappresentato dalla Banca centrale europea. A tale proposito, ritengo che meriti qualche approfondimento il tema dei rapporti tra la Banca centrale europea e le altre strutture, quali il Consiglio europeo per il rischio sistemico, al quale sarà affidata la vigilanza macroprudenziale, e l'agenzia, che dovrebbe esercitare la vigilanza microprudenziale.
Più specificamente, temo che il Consiglio, per il numero dei suoi membri (circa sessanta, fra governatori di banche centrali, osservatori, presidenti delle nuove autorità ed altri soggetti), possa diventare una sorta di assemblea. Dottor Saccomanni, non le sembra che una composizione pletorica, come quella attualmente delineata, rischi di rendere non operativo un organismo che ha il compito di prevenire le crisi sistemiche? Grazie.

PRESIDENTE. Mi limiterò a sviluppare alcune valutazioni, dalle quali implicitamente emergeranno quelli che considero i punti critici del sistema.
Riflettendo sugli errori che hanno contraddistinto la gestione della crisi, e che hanno riguardato anche la BCE e tutti gli organismi di vigilanza, ho avuto la netta impressione che nessuno si fosse accorto di ciò che stava per accadere. Abbiamo subito la destabilizzazione dei mercati finanziari senza che - a quanto pare - né la BCE né le autorità che avevano il compito di vigilare avessero fatto grandi cose. C'è stato un momento, però, a partire dal quale tutti i Paesi hanno cercato di attuare un maggiore coordinamento, al fine di contrastare la crisi in maniera più sinergica.
Rileviamo, però, l'esistenza di diversi assetti. La necessità di un coordinamento a livello europeo deve tenere conto del fatto che la Gran Bretagna, una delle nazioni più colpite dalla crisi finanziaria, in quanto legata ai mercati americani, si trova fuori dal sistema costituito dalla Banca centrale europea e dai Paesi dell'area euro; vi è, inoltre, il G10.
Ho la netta sensazione che in Europa, forse anche per nascondere responsabilità che devono essere equamente distribuite, si sia a un certo punto utilizzato il famoso motto «Facite ammuina!», per dare la sensazione che qualcosa si muovesse. Nella fase più acuta della crisi si sono susseguiti riunioni dei vari G8, G20, G24, G30, coordinamenti e iniziative del Financial stability forum:


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tutti si muovevano all'unisono per dare l'idea di un'intensa attività in corso. In seguito, però, si è tornati alle consuete metodologie: ognuno ha conservato le proprie funzioni e, in una seconda fase della crisi, ha prevalso lo spirito nazionale, nel senso che ciascun Paese ha scelto di risolvere i problemi con le politiche nazionali e gli strumenti a sua disposizione.
Dottor Saccomanni, anche alla luce delle esperienze passate, ritiene che rappresenti un passo in avanti attribuire alla BCE un ruolo così importante nell'ambito del sistema europeo di vigilanza? Non è dell'avviso che, forse, sarebbe stato meglio pensare a un'autorità comune che gestisse, anche ai fini della vigilanza, il coordinamento fra le autorità, la BCE e la politica?
Vorrei inoltre chiederle, direttore, se non ritenga che un'assemblea di 60 componenti, di cui soltanto 28 con diritto di voto, alla quale partecipa un rappresentante politico come osservatore, costituisca un organismo troppo lento. Ad esempio, le regole che disciplinano il funzionamento del nostro Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, alle cui riunioni partecipano le autorità di vigilanza e la politica, consentono uno scambio di informazioni, sulla base del quale si possono anche scegliere metodologie di intervento per fronteggiare le crisi. Mi chiedo perché a livello europeo non si sia pensato a un meccanismo analogo.
Presto o tardi ci occuperemo più approfonditamente di Basilea 2 e del mark to market, che ha praticamente creato il disastro cui abbiamo assistito. Mi piacerebbe sapere, intanto, se le scelte operate siano state riconsiderate, se qualcuno abbia avuto ripensamenti o si sia assunto qualche responsabilità.
Insomma, stiamo sostanzialmente tornando allo status quo ante, aggiungendo anzi al sistema un ulteriore livello istituzionale. L'unica novità del dopo crisi è rappresentata da un'istituenda assemblea delle assemblee. Mi chiedo se sia il metodo giusto per uscire dalla crisi e per prevenirne altre.
Mi pare, peraltro, che le sue indicazioni, dottor Saccomanni, riaffermino la debolezza complessiva dell'impianto. Non si capisce, ad esempio, chi pagherà le nuove strutture, chi garantirà che i controlli sovranazionali vengano coordinati efficacemente e, inoltre, se sia più incisiva la strada dei regolamenti o quella delle direttive, rispetto alle quali ci si può domandare se anch'esse consentano di intervenire rapidamente, anche prima che ciascun Paese decida di dare attuazione a decisioni adottate a livello sopranazionale.
Ho la netta sensazione che l'Europa si stia mettendo sulla stessa china che il Parlamento nostrano imbocca quando si vuole far arenare qualche iniziativa: si dà vita a grandi assemblee per non risolvere assolutamente niente!
Vorrei essere confortato, se possibile, rispetto al quadro che mi sono fatto, certamente non incoraggiante, dell'attuale situazione.
Do quindi la parola al direttore generale della Banca d'Italia, dottor Fabrizio Saccomanni, per la replica.

FABRIZIO SACCOMANNI, Direttore generale della Banca d'Italia. Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente e i membri della Commissione per l'attenzione che hanno voluto riservare alla mia illustrazione e anche per le domande rivoltemi, che considero tutte molto pertinenti e non fuori tema. Ad esse cercherò di rispondere nel modo in cui può farlo un'istituzione che, pur svolgendo un ruolo in tutte le sedi cui abbiamo fatto riferimento, non è certamente in grado, da sola, di orientare il corso degli avvenimenti. Posso sin d'ora assicurare, comunque, che la Banca d'Italia farà ogni sforzo e contribuirà con la forza delle proprie argomentazioni affinché il dibattito e le soluzioni politiche che da esso scaturiranno siano incanalati nella direzione che riteniamo più giusta.
L'onorevole Ventucci ha osservato che nella relazione sono presenti troppi condizionali, troppi «se» e troppi auspici. Me ne rammarico. Nel predisporre il documento, con i colleghi, abbiamo ritenuto


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opportuno mettere l'accento sui rischi che potrebbero profilarsi nella fase di attuazione del nuovo ordinamento, in special modo perché gli egoismi nazionali e le prassi consolidate potrebbero prevalere su scelte ispirate a valori più alti. Così facendo, però, abbiamo dato l'impressione di non attribuire un peso adeguato a quanto è stato già fatto. Infatti, si è veramente creato un ampio consenso dal punto di vista politico, tanto a livello europeo quanto a livello internazionale sugli obiettivi e i contenuti della riforma finanziaria. Vi è stato, dunque, un ruolo importante della politica, dei Governi e degli organi legislativi.
In realtà, l'impostazione generale, secondo la quale bisogna andare verso un sistema più controllato e più garantistico, capace di impedire che possano svilupparsi, in futuro, ulteriori crisi finanziarie, con le conseguenti ripercussioni negative (soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione, come ha rilevato l'onorevole D'Antoni), è totalmente condivisa sia a livello europeo sia a livello del G20.
Abbiamo voluto guardare, quindi, al lavoro che resta da fare per tradurre in pratica il forte impegno politico, che c'è e che è stato riconfermato in varie sedi internazionali. È questa la ragione per la quale abbiamo adoperato parecchi condizionali e parecchi «se». In altre parole, atteso che il consenso a livello politico sembra molto forte, su alcuni aspetti sono ancora necessarie indicazioni di carattere tecnico, che anche codesta Commissione potrà fornire al Governo, per orientarne l'attività futura, attraverso appositi documenti di indirizzo.
L'onorevole Ventucci ha chiesto inoltre - se ho inteso bene - in quali modi si possa preservare la costruzione europea da «contagi» che potrebbe venire dall'esterno: la crisi - ha osservato l'onorevole Ventucci - è arrivata in Europa, ma è nata negli Stati Uniti. Bene, è vero che la crisi è nata in America, ma non è arrivata in Europa per caso. Infatti, certi tipi di prodotti e di alti rendimenti che la finanza forniva - riferiamoci pure alla finanza anglosassone - sono stati considerati molto interessanti da Paesi di tutto il mondo, in particolare anche in Europa. Alcune importanti istituzioni finanziarie europee si sono letteralmente riempite i portafogli di titoli tossici, che promettevano rendimenti più alti e, quindi, consentivano di far quadrare i conti dei bilanci, anche laddove la concorrenza europea poteva creare problemi. Quindi, diciamo che il contagio non è avvenuto come nel caso della peste manzoniana, ma è stato un po' voluto, nel senso che vi è stata un'insufficiente valutazione dei rischi connessi alla diffusione dei singoli strumenti, nonché delle implicazioni che certi comportamenti potevano avere sull'intero sistema. L'enfasi con la quale insistiamo sulla necessità di rafforzare i meccanismi di controllo e di valutazione dei rischi è giustificata, allora, proprio dalla volontà di evitare, per il futuro, simili contagi.
Per quanto riguarda l'Europa nel suo complesso, sebbene siano stati colpiti in misura maggiore rispetto a noi, il Regno Unito, la Germania e, in parte, anche i Paesi del Benelux non vi sono stati i sommovimenti radicali che si sono prodotti negli Stati Uniti, dove l'intera industria dell'investment banking è stata drasticamente ridimensionata, ovvero ha autonomamente deciso di mutare natura per entrare sotto l'ombrello protettivo della Federal Reserve (negli USA si è verificata davvero una crisi epocale).
L'onorevole D'Antoni richiama la nostra attenzione, giustamente, sulla prossima riunione del G20 che si terrà a Pittsburgh. A tale proposito, è noto che il Governatore Draghi non ha potuto partecipare all'audizione odierna in quanto chiamato a presiedere, a Parigi, una riunione del Financial stability board nel corso della quale si dovrebbe mettere a punto il documento che tale organismo presenterà alla riunione del G20. Nel programma dei lavori figurano argomenti molto importanti, quali il rafforzamento patrimoniale delle banche, la riforma degli accordi di Basilea 2, nonché l'ampliamento del perimetro della supervisione di vigilanza sia a intermediari sia a piazze


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finanziarie non coperte dalla stessa, in modo da evitare che vi siano lacune nella rete di sicurezza.
Ebbene, se la data di inizio della crisi è riconducibile all'agosto 2007 - l'episodio Lehman Brothers ebbe ricadute gravissime, ma la crisi era cominciata molto prima -, il lavoro del Financial stability board è cominciato nel settembre del 2007. Nell'aprile del 2008 era già stato elaborato un programma dettagliato di interventi che copriva una serie di aspetti, a partire da quelli che ho appena indicato, i quali comprendono, praticamente, la totalità dell'attività bancaria.
Naturalmente, il rischio di fallimenti o di rinvii c'è sempre (non sono io a poter garantire contro tali eventualità). Tuttavia, non è possibile sostenere che si sia perso tempo. Al contrario, credo che si sia preso atto, con grande preoccupazione, dell'enorme complessità dei problemi da risolvere e, di conseguenza, della necessità di procedere con grande attenzione, onde evitare di provocare danni ulteriori.
Ricordo soltanto - e credo che molti banchieri centrali l'abbiano più volte rimarcato, compreso il Governatore Draghi - quanto è stato sorprendente, per molti di noi, scoprire che si era venuto a creare un sistema bancario ombra (per fortuna, non in Italia, ma nell'economia mondiale), che sfuggiva ai controlli e di cui si sapeva molto poco. Adesso abbiamo idee più precise e, quindi, ci stiamo muovendo, ma i tempi devono essere quelli che la complessità della materia richiede.
Il Presidente Obama ha suonato un campanello d'allarme, perché nella comunità internazionale due tesi si fronteggiano. Taluni sostengono che abbiamo subito una crisi molto profonda, ma che il sistema è sostanzialmente sano e va bene così com'è. Per i fautori di questa tesi chi ha sbagliato deve pagare e le banche insolventi devono fallire; si ripartirà, poi, con rinnovato vigore e secondo il vecchio modello. Mi sembra godere di maggiori consensi, invece, sia a livello europeo sia a livello internazionale, l'idea secondo la quale la crisi ha rivelato le debolezze strutturali del mercato, mettendo in luce la tendenza degli operatori ad assumere troppi rischi. Ci si illudeva che, spalmando i rischi a livello globale, si potesse comunque garantire la stabilità del sistema. La realtà è che il sistema può spalmare i rischi a livello globale, ma altrettanto rapidamente può riaggregarli in capo a particolari intermediari o Paesi. È ciò che è successo negli Stati Uniti con Lehman Brothers e con altri istituti.
Per quanto riguarda la difesa del modello italiano di vigilanza, mentre leggevo la mia relazione, mi sono reso conto, in effetti, che rischiavo di sentirmi rivolgere il monito «chi si loda, s'imbroda!». Tuttavia, un po' dobbiamo rivendicare - e lo abbiamo fatto in sede nazionale - che se certe cose da noi sono successe con minore intensità, ciò lo si deve a un complesso di fattori. Uno è di natura strutturale: il nostro sistema bancario e finanziario è tradizionalmente più prudente e più orientato ad avere rapporti forti con la clientela dei risparmiatori e delle imprese, tanto dal lato della raccolta quanto da quello dell'impiego. Il nostro sistema è, quindi, meno «finanziarizzato», ovvero meno dipendente dai mercati finanziari. Vi sono, poi, fattori legati a un ordinamento legislativo che è fortemente orientato alla prudenza, alla solidità e alla tutela del risparmiatore e, in genere, dell'utilizzatore dei servizi finanziari. Da ultimo, il nostro sistema bancario è caratterizzato da un modello di vigilanza che non si è fatto incantare dalla complessità delle innovazioni finanziarie.
Come dicevo al presidente in separata sede, abbiamo sempre cercato di muoverci nell'ottica del consolidamento. In altri termini, il discorso che portiamo avanti è il seguente: non ci interessa sapere a chi avete venduto i titoli e se avete creato delle strutture parallele; dovete fornirci, però, un quadro consolidato, perché vogliamo conoscere il rischio complessivo per il sistema Italia e per i suoi principali intermediari. Questa è la linea che perseguiamo nelle sedi in cui siamo presenti, che non sono naturalmente tutte (c'è un'ampia dimensione intergovernativa all'interno della quale agiamo, naturalmente,


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nelle vesti di consulenti del Governo italiano; ma le decisioni vengono prese a livello politico). Comunque, mi pare che, complessivamente, gli esempi non siano negativi.
L'onorevole D'Antoni ha accennato anche al tema delle agenzie di rating. La questione non è scomparsa dal dibattito, ma è nell'agenda del Financial stability board e sarà presto oggetto di discussione, a livello europeo e internazionale. A tale proposito, vi sono iniziative di carattere europeo; ad esempio, si prevede di istituire un registro delle agenzie di rating, le cui metodologie dovranno conformarsi a regole più precise. Il meccanismo è in corso di elaborazione. Tra l'altro, bisognerà vedere come tali regole si integreranno con il nuovo sistema europeo di vigilanza, che dovrà tenere conto anche del ruolo delle menzionate agenzie.
Forse, ho in parte già risposto ad un quesito sollevato dall'onorevole Causi. Questa sera sapremo se sarà stato raggiunto un consenso sulla riforma della regolamentazione internazionale. Credo, comunque, che si dovrebbe trovare un accordo su alcuni punti importanti che sono già stati annunciati nelle settimane scorse. Si va verso un rafforzamento della base patrimoniale e un ampliamento del perimetro di vigilanza, verso misure per ridurre la prociclicità e per limitare in qualche modo il rischio che le banche o gli operatori finanziari si indebitino eccessivamente. Ciò è fondamentale. Tutte queste misure sono in fase di elaborazione - già entro la fine dell'anno dovrebbero essere annunciati formalmente livelli quantitativi e indicatori di attività - e dovrebbero essere introdotte in modo da non ostacolare la ripresa dell'economia, con l'obiettivo di entrare in vigore alla fine del 2012.
L'onorevole Causi ha fatto riferimento al ruolo della BCE. Tale ruolo è importante, ma la BCE resta fondamentalmente l'autorità responsabile per la politica monetaria: non ha funzioni di vigilanza a livello europeo, poiché tali funzioni, ai sensi del Trattato, sono di competenza nazionale. Tuttavia, il medesimo Trattato - all'articolo 105, che ho citato più volte - prevede che specifici compiti possano essere attribuiti alla BCE. Dunque, oggi si riconosce che, nell'ambito di quelli che ho definito rischi di tipo macroeconomico e macroprudenziale, la BCE possa guardare anche alla stabilità del sistema finanziario, non soltanto alla stabilità monetaria (intesa come lotta all'inflazione). Pertanto, ritengo che, da questo punto di vista, rischi di duplicazione non ve ne siano. In effetti, le nuove autorità europee di cui si propone la creazione sono la trasformazione dei comitati di terzo livello già esistenti, che avrebbero soltanto maggiori poteri e ruoli più definiti.
Infine, i collegi di supervisori sono collegi internazionali. La Banca d'Italia presiede due collegi di supervisori, per UniCredit e Banca Intesa, nei quali sono presenti i supervisori di tutti i Paesi in cui queste banche operano (Germania, Austria, Polonia e via dicendo). In tali sedi, la Banca d'Italia discute e ha la possibilità di ascoltare le preoccupazioni espresse dagli organi di supervisione in relazione all'attività svolta da una banca nei suddetti Paesi. Tuttavia, al di là dello scambio di informazioni, vorremmo che tali collegi avessero il potere di impartire ai gruppi bancari indicazioni da applicare a livello delle varie filiazioni.
Per quanto riguarda la domanda posta dall'onorevole Barbato - che ringrazio per le sue espressioni di sostegno -, attraverso la normativa in fase di elaborazione, che si integrerà, a livello internazionale, con la legislazione antiriciclaggio (in materia di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo), si potranno sviluppare più robuste sinergie tra gli organi che si occupano della vigilanza sulla stabilità bancaria e finanziaria e quelli che si occupano del contrasto al riciclaggio. Quindi, mi pare che, da questo punto di vista, le cose vadano nella giusta direzione.
Credo di avere già parzialmente risposto all'onorevole Fluvi, il quale teme che si stia attenuando l'attenzione sulle soluzioni a livello europeo e internazionale. Ripeto: i tempi non sono stati brevi; tuttavia,


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penso che a livello politico, sia nell'ambito del G20 sia a livello europeo, vi sia una forte determinazione ad andare avanti. C'è preoccupazione non soltanto per motivi di instabilità, ma anche per la necessità di sostenere l'attività economica.
Per quanto riguarda i cosiddetti «Tremonti bond», abbiamo sempre sostenuto che, in questa fase di crisi, nella quale c'è il rischio che i conti economici si deteriorino e diano origine a perdite da portare a deduzione del patrimonio in futuro, le banche debbano avere un'adeguata base patrimoniale. Quindi, tutti gli strumenti disponibili sono certamente da prendere in considerazione, compresi naturalmente i bond, che, comunque, fanno parte di uno strumentario più ampio.
Ricordiamo che nell'ottobre scorso, durante il momento più acuto della crisi, sono state assunte iniziative, a livello internazionale, ma anche in Italia, per garantire i depositanti. Si è deciso di evitare il fallimento delle banche, di garantire a quelle in crisi iniezioni di capitale, di fare in modo che gli istituti di credito non riducessero gli impieghi e continuassero, invece, a fornire un apporto all'economia attraverso i predetti strumenti. Naturalmente, spetta ad ogni singola banca il compito di scegliere le modalità per attuare tali misure.
Per quanto riguarda Basilea 2, stiamo valutando attentamente il problema della prociclicità. Abbiamo anche preso nota delle recenti iniziative della Confindustria italiana e dell'omologa organizzazione tedesca. Non c'è dubbio che vi siano elementi di prociclicità sia negli obblighi di capitale sia nel meccanismo del fair value, come ricordato dal presidente Conte. Si tratta di aspetti che sono all'esame dei vari comitati. Peraltro, poiché l'accordo di Basilea 2 non è ancora in vigore negli Stati Uniti, e in altri Paesi è appena entrato in vigore, manca un'evidenza storica forte; i dati di cui disponiamo indicano che un effetto prociclico si è sicuramente prodotto, ma inferiore di molto rispetto a quello che si immaginava. Il problema è comunque alla nostra attenzione. A tale riguardo sono state avanzate proposte abbastanza complesse dal punto di vista tecnico, che speriamo possano concretizzarsi entro la fine dell'anno.
Per quanto concerne il rischio che si vada verso l'istituzione di un organo pletorico di tipo assembleare, paventato dall'onorevole Fluvi e del presidente, il rischio purtroppo esiste. L'Europa si è allargata a ventisette Paesi, i nuovi scenari mondiali hanno richiesto che il direttorio (in passato, pretendeva di svolgere tale ruolo il G7) fosse ampliato e alcuni Paesi sono diventati più importanti dal punto di vista sistemico (non solo la Cina, ma anche il Brasile, l'India ed altri importanti Paesi nel Sud-est asiatico o in Africa). Questa domanda di partecipazione pone un rischio e un'opportunità, che è quella di coinvolgere un numero sempre maggiore di Paesi nel disegno di riforma del sistema: ritengo sia un passaggio obbligato, anche se il processo diventa più complicato. Anche a livello europeo, tuttavia, all'interno del Consiglio europeo per il rischio sistemico vi sarà uno Steering committee più ristretto, che avrà la funzione di elaborare analiticamente le tematiche da portare in decisione.
Per quanto riguarda gli aspetti salienti evidenziati dal presidente, la crisi è arrivata e le analisi hanno mostrato come essa fosse dovuta a una serie di cause. Forse, le banche centrali hanno attuato politiche monetarie accomodanti, nel senso che hanno fornito al sistema economico e finanziario la moneta che questo domandava per finanziare un'enorme crescita, poi rivelatasi molto fragile; tuttavia, la causa scatenante è stata l'insufficiente valutazione, da parte degli intermediari e, quindi, da parte degli organi di vigilanza, della rischiosità dei prodotti che venivano comprati e venduti sui mercati finanziari.
Le riunioni che si sono susseguite hanno avuto, in parte, anche la funzione di rassicurare l'opinione pubblica, così scossa dalla crisi. Per quanto riguarda le iniziative concrete, è stato effettivamente adottato un insieme di misure. Quelle urgenti, attuate attraverso interventi della politica monetaria, della politica fiscale e di sostegno alle banche, nel complesso


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stanno avendo effetto. Le proposte relative a modifiche ordinamentali e normative sono state portate avanti più sul piano analitico che su quello legislativo, ma sono ormai in procinto di passare alla fase decisionale.
Alla BCE non viene riconosciuto un ruolo molto significativo nella nuova architettura: la BCE formulerà raccomandazioni sul rischio sistemico (che i sistemi bancari europei potranno correre), senza entrare nel merito delle singole banche, delle singole istituzioni. È giusto che tale ruolo sia svolto da una banca centrale: si tratta di un ruolo di analisi molto tecnica, che nulla vuole togliere alle responsabilità politiche generali. Da questo punto di vista, quindi, il ruolo della Banca centrale europea non cambierà molto, giacché essa resterà responsabile per la stabilità e per la politica monetaria (ambito nel quale dispone di strumenti precisi e ben noti), e avrà una funzione di monitoraggio e di raccomandazione nel campo dei rischi sistemici. Il vero potere resterà ai Governi nazionali e alle autorità di vigilanza.
Le proposte di riforma non mirano, dunque, ad accrescere in maniera smisurata il ruolo della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali, ma intendono semplicemente riconoscere che questa porzione del rischio sistemico rischiava di non essere adeguatamente coperta a livello internazionale.
Le banche centrali e gli organi di vigilanza guardano rispettivamente alla stabilità dei prezzi all'interno del Paese o delle singole istituzioni finanziarie. Il rischio di instabilità sistemiche come quella verificatasi - molte banche e molti operatori si sono trovati contemporaneamente in una situazione di crisi - è rimasto fuori dall'ottica delle autorità monetarie e finanziarie. Perciò, adesso occorre fare maggiore attenzione. Il monitoraggio dei rischi sistemici sarà svolto anche in collaborazione con le grandi autorità mondiali, in primo luogo con il Fondo monetario internazionale, che già nella riunione del G20 di Londra ha visto aumentati le proprie risorse e i propri strumenti di intervento.

PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Saccomanni per l'ampia esposizione.
Nell'ascoltarla, direttore, mi è rimbalzata nella mente una domanda. Nel momento di picco della crisi finanziaria, in cui le banche non si prestavano denaro vicendevolmente, alcune decisioni politiche, a livello europeo, hanno consentito agli istituti bancari di scambiare con le banche centrali titoli CDO o CDS, per procurarsi liquidità.
Vorrei sapere se, in Italia, le banche abbiano utilizzato tale facoltà. Le dichiarazioni di Faissola, secondo il quale le banche non avrebbero ricevuto alcun sostegno, hanno innescato una polemica. Se quanto ho detto è confermato, a me sembra che le banche siano state salvate con soldi che non erano loro.

FABRIZIO SACCOMANNI, Direttore generale della Banca d'Italia. Signor presidente, la situazione da lei richiamata, relativa ai problemi di liquidità nel mercato monetario interbancario, ha effettivamente rappresentato un momento di gravissima crisi, che è stato gestito essenzialmente attraverso gli strumenti della politica monetaria. La BCE ha utilizzato, innanzitutto, lo strumento della riduzione dei tassi, che sono calati dal 4,25 all'1 per cento.
Inoltre, è stata offerta la possibilità di presentare a garanzia delle operazioni di finanziamento, oltre ai tradizionali titoli di Stato, anche un certo ammontare di titoli meno tradizionali, i quali hanno formato oggetto di una valutazione di rischio da parte di tutte le banche centrali nazionali che partecipano all'Eurosistema. Si è trattato di titoli considerati «stanziabili», come si dice in gergo, ai fini delle operazioni di politica monetaria; tra questi anche titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazione (ad esempio, con sottostanti mutui ipotecari), i quali sono stati valutati in un'ottica molto prudenziale, dal momento che sono andati a gravare sul bilancio del sistema europeo di banche centrali. L'ampliamento ha consentito alle banche di accedere alla liquidità della banca centrale, sia pure con «tagli» molto


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pronunciati: fatto uguale a 100 il valore dei titoli presentati a garanzia, si è dato credito per 95, 90 o 80, secondo una strategia che ha tenuto conto della rischiosità delle operazioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il direttore generale della Banca d'Italia, dottor Fabrizio Saccomanni, e i colleghi che hanno partecipato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,55.

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